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1. INTRODUZIONE A ll’interno di questo articolo verranno con- siderati i “beni culturali” in un’accezione piuttosto ampia (che gli Anglosassoni chia- mano più convenientemente Cultural Herita- ge). Per “beni culturali” s’intendono, infatti, l’insieme di artefatti in senso lato (oggetti, pit- ture, sculture, edifici) ma anche tradizioni, co- stumi, che in qualche modo costituiscono il nostro “patrimonio culturale”, tramandatoci da coloro che ci hanno preceduto. Concreta- mente, per quanto riguarda l’Italia, possiamo dire che si tratta di parchi archeologici, musei, oggetti di valore storico-artistico, edifici rile- vanti, monumenti, chiese, quadri, mobili, ar- redi, oggetti di culto, tessuti, ed anche città, strutture urbanistiche, tradizioni popolari, tra- dizioni alimentari (oggi di gran moda), tradi- zioni culinarie, tradizioni religiose ecc.. Come premessa generale diciamo che non ci occu- peremo di arte e cultura contemporanee, in rapporto alle tecnologie: ci porterebbero su un terreno molto diverso da quello “classico”, che considera la cultura tradizionale. La prima cosa che vogliamo proporre alla ri- flessione del lettore è che il termine “cultura- le”, applicato a quanto si produce oggi, non si riferisce alla specifica natura fisica dell’og- getto, né al suo valore “estetico” (gli oggetti d’arte, in senso stretto, sono solo una frazio- ne dell’immenso patrimonio culturale Italia- no). Per “culturale” s’intende che l’oggetto d’interesse (sia esso un edificio, un vaso gre- co, o una ricetta di cucina): ha una storia (nota o meno); questa storia ci viene da lontano (il tempo lo ha in qualche modo “nobilitato”); questa storia si correla in qualche modo con noi, alla società odierna, e ha quindi un qual- che valore (questo per non far coincidere il concetto di bene culturale con qualsiasi cosa che sia semplicemente molto vecchia); MONDO DIGITALE • n.3 - settembre 2005 Per ICT s’intende, comunemente, quell’insieme di tecnologie che provengo- no dallo sviluppo dell’informatica (intesa in senso ampio) e dalle reti di teleco- municazione, con Internet naturalmente al centro della scena. Lo scopo di questo articolo è mostrare come le ICT abbiano supportato e in qualche ca- so rivoluzionato (o stiano per rivoluzionare), il settore dei Beni Culturali. Come esempi si utilizzeranno alcuni progetti che il laboratorio HOC 1 del Politecnico di Milano, da tempo attivo nel settore, ha realizzato nel corso di un decennio. Paolo Paolini Nicoletta Di Blas Francesca Alonzo ICT PER I BENI CULTURALI ESEMPI DI APPLICAZIONE 44 4.7 1 HOC, Hypermedia Open Center (http:hoc.elet.poli- mi.it) è un laboratorio multidisciplinare, creato al- l’interno del DEI (Dipartimento di Elettronica e Informazione) del Politecnico di Milano. HOC è specializzato nello sviluppo di progetti e metodo- logie per applicazioni multimediali, interattive, basate sul Web e altri canali.

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1. INTRODUZIONE

A ll’interno di questo articolo verranno con-siderati i “beni culturali” in un’accezione

piuttosto ampia (che gli Anglosassoni chia-mano più convenientemente Cultural Herita-ge). Per “beni culturali” s’intendono, infatti,l’insieme di artefatti in senso lato (oggetti, pit-ture, sculture, edifici) ma anche tradizioni, co-stumi, che in qualche modo costituiscono ilnostro “patrimonio culturale”, tramandatocida coloro che ci hanno preceduto. Concreta-mente, per quanto riguarda l’Italia, possiamodire che si tratta di parchi archeologici, musei,oggetti di valore storico-artistico, edifici rile-vanti, monumenti, chiese, quadri, mobili, ar-redi, oggetti di culto, tessuti, ed anche città,strutture urbanistiche, tradizioni popolari, tra-

dizioni alimentari (oggi di gran moda), tradi-zioni culinarie, tradizioni religiose ecc.. Comepremessa generale diciamo che non ci occu-peremo di arte e cultura contemporanee, inrapporto alle tecnologie: ci porterebbero suun terreno molto diverso da quello “classico”,che considera la cultura tradizionale.La prima cosa che vogliamo proporre alla ri-flessione del lettore è che il termine “cultura-le”, applicato a quanto si produce oggi, nonsi riferisce alla specifica natura fisica dell’og-getto, né al suo valore “estetico” (gli oggettid’arte, in senso stretto, sono solo una frazio-ne dell’immenso patrimonio culturale Italia-no). Per “culturale” s’intende che l’oggettod’interesse (sia esso un edificio, un vaso gre-co, o una ricetta di cucina):❙ ha una storia (nota o meno);❙ questa storia ci viene da lontano (il tempo loha in qualche modo “nobilitato”);❙ questa storia si correla in qualche modo connoi, alla società odierna, e ha quindi un qual-che valore (questo per non far coincidere ilconcetto di bene culturale con qualsiasi cosache sia semplicemente molto vecchia);

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Per ICT s’intende, comunemente, quell’insieme di tecnologie che provengo-

no dallo sviluppo dell’informatica (intesa in senso ampio) e dalle reti di teleco-

municazione, con Internet naturalmente al centro della scena. Lo scopo di

questo articolo è mostrare come le ICT abbiano supportato e in qualche ca-

so rivoluzionato (o stiano per rivoluzionare), il settore dei Beni Culturali. Come

esempi si utilizzeranno alcuni progetti che il laboratorio HOC1 del Politecnico

di Milano, da tempo attivo nel settore, ha realizzato nel corso di un decennio.

Paolo PaoliniNicoletta Di Blas

Francesca Alonzo

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1 HOC, Hypermedia Open Center (http:hoc.elet.poli-mi.it) è un laboratorio multidisciplinare, creato al-l’interno del DEI (Dipartimento di Elettronica eInformazione) del Politecnico di Milano. HOC èspecializzato nello sviluppo di progetti e metodo-logie per applicazioni multimediali, interattive,basate sul Web e altri canali.

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❙ esiste una forma di consenso (sebbene nonnecessariamente universale) sul valore del-l’oggetto.Come si distingue un sasso qualsiasi (di nes-sun interesse) dal sasso (di grande valoreculturale) con cui Davide uccise Golia? Innan-zitutto, perché c’è una storia legata a quelsasso; in secondo luogo, perché la storia delgiovinetto che sconfigge un gigante è intri-gante di per sé; in terzo luogo, perché è unastoria di molti secoli fa2; infine, perché, siaattraverso la tradizione religiosa sia attraver-so “l’immaginario collettivo”, questa storia èsentita ancora come significativa per noi eper i nostri valori nella società attuale. Quindiun sasso qualsiasi non c’interessa, come be-ne culturale, mentre il sasso di David (se fos-se rintracciato) sarebbe bene accetto in qual-siasi museo del mondo.Con una sintesi estremamente ardita possia-mo, quindi, elencare i principali usi dell’ICTper i beni culturali. La classificazione cheusiamo nel seguito si basa sulla “destinazio-ne d’uso”, piuttosto che sulle tecnologie uti-lizzate. Per questo motivo alcune tecnologieverranno citate più volte in punti diversi, inquanto utilizzate per scopi differenti.In relazione alla finalità, le principali applicazio-ni delle tecnologie ICT al settore dei Beni Cul-turali possono essere classificate come segue:❏ Gestione: applicazioni che consentonouna migliore (più efficace e a minor costo)gestione del patrimonio culturale.❏ Studio e ricerca: applicazioni che favorisco-no le attività di studio (a livello universitario esuperiore) e di ricerca inerenti ai beni culturali.❏ Diagnosi: applicazioni che consentono (diaiutare) la diagnostica dello stato di conser-vazione (o degrado) dei beni culturali.❏ Restauro: applicazioni che consentono (diaiutare) le attività di restauro di beni culturali.

❏ Tutela: applicazioni che consentono di tu-telare il patrimonio, sia contro atti criminosisia rispetto a calamità naturali.❏ Comunicazione-divulgazione: applicazioniche consentono di “comunicare” al grandepubblico la rilevanza del nostro patrimonioculturale, sia a scopo divulgativo generaleche per favorire il turismo.❏ Formazione: applicazioni rivolte ai giovanistudenti (scuola media superiore o livellouniversitario) per aiutarli negli studi.❏ Fruizione: applicazioni che consentono difruire in modo più efficace del patrimonioculturale.La classificazione sopra indicata non ha alcu-na pretesa di scientificità, ma solo lo scopo diorganizzare l’esposizione dei contenuti diquesto articolo. È evidente, inoltre, che diver-se attività sono tra loro correlate: un buon in-ventario di beni culturali di una regione (utileper la gestione), per esempio, può diventarela base per un’attività di tutela. Tuttavia, biso-gna dire molto chiaramente che non esistononessi causali tra le varie applicazioni ed è,quindi, falso che un’applicazione ne implichiautomaticamente un’altra (come spesso sitende a far credere in Italia): l’inventario, perrestare all’esempio di cui sopra, non assicuradi per sé una efficace tutela del patrimonio e,a volte, nemmeno la favorisce3.

2. GESTIONE DEI BENI EDEL PATRIMONIO CULTURALE4

Ogni soggetto che si trovi ad essere respon-sabile di beni culturali deve preoccuparsi del-la loro “gestione”: termine generico che vuoldire conoscere quali sono i vari beni, le lorocaratteristiche generali, la loro collocazione,il loro stato di manutenzione ecc. I soggettiche necessitano di queste applicazioni sono

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2 Un lettore malizioso potrebbe domandarsi se gli oggetti de “Il Grande Fratello” fanno parte del nostro Patrimonio Culturale. Cer-tamente hanno una storia che li caratterizza e una forte relazione con la società odierna. L’unico “difetto”, che ci consente diastenerci dal metterli sotto tutela come oggetti culturali, è che non ci provengono dal passato. Ma tra qualche secolo, chissà?Questa possibilità è meno paradossale di quanto sembri: agli inizi degli anni ’60 i film di Totò e di Franco Franchi e Ciccio Ingras-sia erano considerati dalla cultura ufficiale espressioni deteriori del gusto popolare, oggi sono considerati parte della cultura ita-liana e circolano nei cinema d’essai.

3 Si è verificato più volte, infatti, che l’elenco dei beni per un’attività (la gestione del patrimonio, ad esempio) non fosse affatto uti-le per un’altra attività (la tutela del patrimonio, per esempio). Per questa ragione ogni attività tende a fare il proprio “inventario”,sia per mancanza di coordinamento, che per diverse esigenze sulle informazioni necessarie e sul modo di organizzarle.

4 Queste applicazioni, per i musei, vengono chiamate nel mondo anglosassone collection management.

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le sovrintendenze5, le regioni, le province, imusei, le diocesi, le banche e tutti i privatiproprietari di beni culturali rilevanti.Sostanzialmente, si tratta di applicazioni diBasi di Dati: tutti gli immobili e gli oggetticonsiderati devono essere “inventariati” inmodo opportuno e queste schede di inventa-rio devono essere organizzate in modo utile.Questa operazione, mutuata dalle applica-zioni aziendali, risulta (per i beni culturali) inrealtà spesso più complessa di quanto sem-bri: immaginiamo un parco archeologico, peresempio. Quali sono gli oggetti da inventa-riare? Gli edifici? Le singole pareti, qualoraospitino un affresco particolarmente signifi-cativo? Gli oggetti vanno presi singolarmenteo vanno considerati i loro raggruppamenti?Si pensi, per esempio, ai diversi oggetti checompongono un corredo funerario! Bisognatener presente il fatto che in un parco archeo-logico tipico possono trovarsi diverse mi-gliaia o diecine di migliaia di “oggetti”, da untempio ad un frammento d’anfora. Analogoragionamento può essere fatto per le chiese,che contengono miriadi di “oggetti” di poten-ziale interesse. Se l’inventario riguarda unmuseo d’arte, è abbastanza facile identifica-re gli oggetti da inventariare; se, invece, sitratta di altre realtà, l’operazione risulta evi-dentemente assai più complessa.In ogni caso la domanda fondamentale è: a co-sa serve veramente l’inventario dei beni cultu-rali, vale a dire la cosiddetta “catalogazione”?Un obiettivo gestionale “classico” è quello dipoter controllare “il magazzino”: sapere quel-lo che “ci dovrebbe essere” e avere la possibi-lità di verificarne la presenza effettiva.Un secondo obiettivo è quello di fungere dasupporto all’attività di studio e ricerca: lostudioso, grazie all’inventario, può sapere“cosa c’è e dove si trova”.Un terzo obiettivo è quello di supporto alle at-tività di tutela: l’inventario consente di pianifi-care le azioni di tutela, o di sapere cosa man-ca, per esempio in caso di furto o alluvione.

Un quarto obiettivo, recentemente venuto inauge, è quello di poter dare un “valore” al pa-trimonio culturale, quasi fosse – ancora – ilcontenuto di un classico magazzino azienda-le. Dando un potenziale valore economico aciascun oggetto inventariato, si può arrivarea stimare il valore potenziale del nostro patri-monio culturale6!Se l’analogia con la gestione aziendale sem-bra facile (tutte le aziende, con un minimo diorganizzazione interna, fanno l’inventario delloro magazzino), la realtà del settore dei beniculturali è ben diversa: la maggior parte delpatrimonio culturale italiano non è inventaria-to, o inventariato male, con modelli di rappre-sentazione dei dati antiquati. A questo si deveaggiungere che gli inventari esistenti non ven-gono quasi mai usati, nella realtà quotidiana:sono considerati necessari adempimenti bu-rocratici, ma di scarsa se non nulla utilità ope-rativa. La cosiddetta valorizzazione economi-ca poi, lodevole nelle intenzioni, ha incontratotali difficoltà oggettive (per esempio, con qua-li criteri attribuire dei valori), tanto da restare,di fatto, lettera morta.C’è stato poi, negli ultimi decenni, il tentativodi standardizzare le informazioni dell’inventa-rio: il MiBAC, attraverso i suoi organi preposti,ha definito quali devono essere i dati dell’in-ventario (dati diversi a seconda del tipo di be-ne). Il problema è che alle difficoltà oggettivedell’operazione si sono aggiunte difficoltà dialtra natura: una impostazione burocratica ecentralistica, la confusione tra inventario e al-tre applicazioni (scientifiche e di tutela, peresempio) ecc.. Pertanto, l’obiettivo di avere uninventario “ragionevole” del Patrimonio Cultu-rale Italiano pubblico è ancora lontano, mal-grado l’ingente sforzo economico degli ultimidecenni. I milioni di “schede di catalogazione”prodotte, e tuttora in produzione, al costo didiecine di milioni di Euro, giacciono tristemen-te in archivi che non vengono consultati danessuno. Le schede contengono dati eteroge-nei e, in genere, poco utili a tutti. L’affidabilità

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5 Per i lettori meno esperti sull’argomento si ricorda che sul territorio nazionale il Ministero dei Beni e AttivitàCulturali, MiBAC, è articolato in “sovrintendenze”, secondo criteri sia geografici (regioni, province, città…)sia di settore (per esempio, archeologia, architettura…).

6 Verrebbe da osservare che, con stretta analogia con i magazzini aziendali e il loro uso nei bilanci, è possi-bile “giocare” sui valori attribuiti, modificando (verso il basso o l’alto, a seconda delle esigenze) il valoredel patrimonio nazionale.

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dei contenuti delle schede è spesso dubbia, senon quasi nulla7. La conclusione è che sarebbemeglio, prima di proseguire nell’opera e inve-stire massicciamente le – già scarse – risorsedisponibili in nuovi sforzi di catalogazione, ri-vedere seriamente i requisiti e gli obiettivi del-la stessa, reimpostarla adeguatamente e soloallora, eventualmente, riprendere.Un cenno merita un argomento di cui oggi mol-to si parla: la “geo-referenziazione”, vale a di-re, l’uso di tecniche moderne per identificarecon precisione le coordinate sulla crosta ter-restre del patrimonio culturale. Se alcune atti-vità, come per esempio la tutela e lo studio/ ri-cerca, si possono avvantaggiare della geo-re-ferenziazione (per altro molto costosa), il pen-sare che questa sia la soluzione della sostan-ziale mancanza di un inventario usabile non èun’ipotesi credibile; sarebbe, forse, più auspi-cabile una riflessione seria su come gestire me-glio il patrimonio, piuttosto che sperare in unanuova tecnologia come soluzione di tutti i ma-li (soprattutto di quelli di origine organizzativa).

3. STUDIO E RICERCA

In questa categoria possiamo annoverare va-rie applicazioni:❏ Catalogazione: applicazioni di basi di dati,estensione della inventariazione, con datiutili per gli specialisti del settore e le loro at-tività di ricerca.❏ Cartografia: applicazioni di mappe carto-grafiche usate per studiare il territorio.❏ Analisi: varie applicazioni che consentonodi studiare in profondità edifici e oggetti, adesempio per verificare le tecniche utilizzate, imateriali, lo stato di conservazione ecc..❏ Ricostruzioni virtuali: ricostruzioni di edi-fici o ambienti non più esistenti; queste ap-plicazioni sono di interesse anche per la co-municazione.

❏ Altro: altre applicazioni descritte in seguito.

3.1. CatalogazioneAi dati necessari per inventariare (da unpunto di vista amministrativo) un bene cul-turale, bisogna aggiungere ulteriori dati uti-li per le attività di studio e ricerca. Quali sia-no veramente i dati utili non è certo chiaro:come già detto, dietro l’impulso del Ministe-ro dei Beni Culturali, si sono create milionidi “schede di catalogazione”. Queste sche-de sono spesso farraginose (in base aglistandard emanati), di difficile o addiritturaimpossibile consultazione e gestite con tec-nologie svariate, alcune delle quali, oggi,obsolete. Inoltre, per giustificare lo sforzodi catalogazione, si è spesso creata confu-sione con l’inventariazione: non è chiaro selo scopo sia creare un inventario oppure of-frire uno strumento di lavoro ai ricercatori.Fonte di confusione è la struttura stessadelle schede “ufficiali” di catalogazione8,che mescolano vari tipi di dati (per esempio,di inventario, di descrizione fisica, di valuta-zione critica, di interpretazione ecc.) e han-no una struttura spesso inadeguata alloscopo9. Una ulteriore fonte di confusione èla pretesa implicita che la catalogazione siala base “sicuramente necessaria e forse an-che sufficiente” per l’attività di comunica-zione e valorizzazione. La realtà è ben diver-sa: lo sforzo di catalogazione fin qui messoin atto non ha prodotto quasi nessun risul-tato apprezzabile ai fini della comunicazio-ne e della valorizzazione. I milioni di schedecreate sono difficilmente accessibili alla co-munità di studiosi per i quali, in teoria, sonostate create. I contenuti delle schede sonospesso dettagli di dubbia utilità; le schedesono state create principalmente da perso-nale giovane e inesperto, con risultati quali-tativamente scarsi; la natura essenzialmen-

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7 Molte delle catalogazioni sono state realizzate da precari poco addestrati, lavoratori socialmente utili e si-mili; pochissime catalogazioni sono state seriamente revisionate e controllate, per verificare la qualità e at-tendibilità dei contenuti.

8 Dovute all’attività dell’ICCD (Istituto Centrale del Catalogo e della Documentazione) organo del ministeroche ha definito i cosiddetti “standard di catalogazione” per vari tipi di Beni Culturali.

9 Un problema gestito molto male è, per esempio, la modellazione della situazione in cui ci sia un aggregato(per esempio, un corredo funerario) e dei singoli oggetti contenuti in esso: le attuali schede obbligano aduplicare una serie di dati. Un altro caso gestito male dalle schede (di natura gerarchica) sono i riferimentiincrociati tra beni (per esempio, tra una tomba e il relativo corredo funerario).

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te testuale delle schede, con poche immagi-ni, le rende ancora meno utilizzabili.

3.2. CartografiaLa cartografia dovrebbe essere di grande aiu-to, soprattutto per l’archeologia o per indaginiche avessero bisogno di analizzare il territorio(per esempio, nel rilevare i tipi di attività uma-ne che hanno “antropizzato” in qualche modoil territorio, tracce di antiche viabilità ecc.). Perle attività scientifiche (non legate cioè alla tu-tela e alla prevenzione di disastri naturali) lebanche dati cartografiche sono ancora pocoutilizzate nel settore dei Beni Culturali. Peresempio, esiste da diversi anni una tecnolo-gia innovativa (quella legata alla cartografiasatellitare) sia su spettro visibile che su spet-tro diverso da quello visibile. In teoria, questatecnologia dovrebbe essere di grande interes-se per l’archeologia: è possibile, infatti, rileva-re, con precisione fino a un metro, fenomenidel terreno (quali la presenza di rovine sepol-te, per esempio) non facilmente percepibilinello spettro visivo. Le tecnologie cartografi-che, con la sola eccezione della mappaturadelle zone a rischio idrogeologico, sono adoggi molto poco usate. Ciononostante la geo-referenziazione (sopra descritta) è considera-ta da molti uno sviluppo di grande interesse,spesso in modo poco “fideistico”.Le ICT di questo settore sono di tipo specia-listico, riconducibili alle metodiche dei GIS(Geographical Information System). I GISsono molto sviluppati nel settore ammini-strativo, soprattutto su scala regionale, matuttora poco usati per i Beni Culturali, peruna varietà di motivi (sia culturali che eco-nomici).

3.3. AnalisiVari tipi di analisi (per esempio, raggi X, laserecc.) possono essere utilizzati non solo per ladiagnostica ma anche per rilevare aspetti im-portanti (di varie stesure dei livelli di pitturasu di quadro, ad esempio). Banche dati di im-magini non tradizionali, ottenibili con varietecnologie, sono ancora poco sviluppate,mentre potrebbero essere di grande ausilioagli studiosi. Essenzialmente, ad oggi, ci so-no episodi interessanti di uso di queste tec-nologie avanzate, ma una scarsa diffusione egeneralizzazione.

3.4. Ricostruzioni virtualiLe ricostruzioni virtuali, a due dimensioni o atre dimensioni, consentono di riprodurre ar-tefatti: edifici, pareti, vie, spazi urbani, ogget-ti, oggi non più disponibili o gravemente de-teriorati o comunque non più corrispondentiall’originale. Le ricostruzioni virtuali possonoessere importanti per discutere ipotesi scien-tifiche su edifici, ambienti oggi distrutti. No-nostante le aspettative e le promesse di qual-che anno fa, le ricostruzioni virtuali non sonodiventate uno strumento di lavoro per studio-si e addetti ai lavori (contrariamente a quantosuccede in altri settori quali la medicina e labiologia, per esempio). Oggi si può dire che lericostruzioni virtuali sono confinate, e nem-meno con molto successo, all’ambito delladivulgazione. Per le attività di studio e ricercasono un settore di fatto non più di interessesostanziale: il perché sussista questa sia lasituazione non è chiaro.

3.5. AltroCi sono svariate applicazioni delle tecnologieICT che riguardano ambiti specifici di utilizzo.Citiamo, per esempio, la “carta del rischio”,vale a dire la possibilità di conoscere, in mo-do preventivo o per situazioni di emergenza,la situazione di rischio del nostro patrimonioculturale e la sua dislocazione sul territorio.Altre applicazioni possibili possono esserquelle riconducibili a integrazioni di banchedati provenienti da varie fonti (o almeno inte-grazione delle banche dati che insistono sullastessa porzione del territorio). Sebbene, datempo, si discuta circa questo tipo di applica-zioni, non esistono ancora realizzazioni con-crete: si resta a progetti su carta, studi di fat-tibilità o, nella migliore delle ipotesi, a proto-tipi dimostrativi che non hanno la possibilitàdi diventare veri e propri strumenti di lavoro.

4. DIAGNOSI

Il problema della diagnostica applicata ai be-ni culturali, in generale, è quello di riuscire adottenere informazioni dettagliate e accuratesullo stato di un bene (oggetto, scultura, af-fresco, edificio ecc.) senza danneggiare in al-cun modo (o il meno possibile) il bene stesso.Non è, quindi, possibile, come si fa per altribeni, “saggiare” l’intonaco togliendone un

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pezzo, asportare del materiale ecc.. Qualsiasiprelievo fisico (si tratti di edifici, statue, og-getti, dipinti ecc.), in generale, è da escluder-si. Le tecniche utilizzate, in funzione del tipodi bene e del tipo di danno da rilevare, posso-no basarsi sui raggi-X (rilevando, per esem-pio, la diversa “trasparenza” dei vari materia-li), sui raggi laser (rilevando, per esempio, idiversi andamenti di una superficie), sulle on-de sonore (intercettando, per esempio, le di-verse vibrazioni emesse, in reazione a unostimolo sonoro, dalle varie parti di una super-ficie) ecc.. Le tecnologie informatiche e delletelecomunicazioni, in genere, non hanno unruolo da protagoniste in queste attività didiagnostica. Possono servire a “filtrare” invario modo il segnale per aumentarne la “leg-gibilità”, a memorizzare in una base di dati ivari rilievi effettuati, e poco più. Le tecnologieveramente rilevanti sono altre.Una possibilità, potenzialmente rilevante, èquella del tele-rilevamento ai fini diagnostici:come per altre misure “ambientali” dei sen-sori (opportunamente dislocati sul territorioe/o in edifici) potrebbero inviare i loro dati inmodo continuo a delle centrali informatizza-te, che potrebbero sintetizzarli per renderlipiù leggibili agli esperti. Di queste applica-zioni per i beni culturali si parla, ma per oranon si vedono veri e propri risultati, sia per ilcosto di simili operazioni, sia per la difficoltà(sopra citata) di non essere “invasivi” (comespesso i sensori sono), sia per la complessitàorganizzativa (in Italia, capita spesso che va-rie porzioni del territorio siano di pertinenzadi amministrazioni diverse, che gli edifici sia-no di pertinenza di soggetti diversi, che i benimobili siano di pertinenza di altri ancora).

5. RESTAURO

Restaurare un bene culturale vuol dire modifi-care il suo stato, o ai fini di una migliore con-servazione, o per ripristinare uno stato che inqualche modo si ritiene più corretto (si veda diseguito la discussione sui tipi di restauro). Co-me per la diagnosi, e ancor più in questo caso,le tecnologie dell’informazione non sono pro-tagoniste. In genere, al di là dell’utilità per lagestione dei dati e l’accesso (anche remoto)agli stessi, informatica e telecomunicazionihanno poco da dare alle tecniche di restauro.

Le tecniche di comunicazione (sotto descritte)potrebbero giocare un ruolo importante neldirimere alcune annose questioni in merito alrestauro. Spesso capita di discutere su qualedebba essere il fine del restauro: preservare lasituazione attuale nel modo migliore possibi-le (per esempio, limitandosi a cercare di “con-servare” lo stato attuale di un intonaco); ripri-stinare la situazione ottimale (per esempio,“ravvivando” i colori del dipinto sull’intona-co); ricostruire la situazione originale (peresempio, ricostruendo le parti di muro crolla-te e colmando le lacune dell’intonaco). La di-sputa estrema è tra “comunicatori” (che sispingono, a volte, fino a suggerire la ricostru-zione di parti non più esistenti o seriamentedanneggiate) e “filologi” (che sostengono chei beni vanno conservati, nel miglior modo pos-sibile, nello stato in cui si trovano), con nettaprevalenza, in Italia almeno, dei secondi suiprimi. Le tecnologie informatiche potrebberoaiutare in due modi: consentendo, mediantesimulazioni, di valutare la qualità “estetica” (escientifica) del restauro, prima di compierlo;oppure, e più credibilmente, mediante rico-struzioni virtuali, soddisfacendo coloro chevorrebbero, in qualche modo, rivedere l’a-spetto originale (di un edificio, di un dipinto,di un oggetto…), lasciando ai “filologi” campolibero. Il restauro “filologico” dei beni cultura-li, accompagnato da adeguate ricostruzionivirtuali, potrebbe essere una via perseguibile,con soddisfazione di tutti.

6. TUTELA

La tutela del patrimonio dei Beni Culturali inItalia è, naturalmente, una priorità, data laricchezza del patrimonio stesso; si tratta nel-lo stesso tempo di un’attività difficile, datal’estrema frammentazione del patrimonio ela sua distribuzione sul territorio. Bisogna te-ner conto del fatto che il patrimonio dei BeniCulturali, nel nostro Paese, si trova non solonei posti noti (musei, palazzi presidiati, par-chi archeologici nazionali) ma anche pressouna miriade di realtà poco o per nulla presi-diate (chiese, palazzi privati, piccole collezio-ni e piccoli musei ecc.).Per quanto riguarda la tutela contro le cala-mità naturali, la possibilità principale offertadall’informatica è “la carta del rischio”, vale a

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dire una mappa sul territorio di tutti beni cul-turali: una base di dati che cataloghi tutti i be-ni a rischio potenziale, con le informazioni ne-cessarie per decidere cosa fare per un prontointervento. Questa carta del rischio è stataimpostata a livello nazionale, ma è ben lonta-na dall’essere completa e definitiva: troppisono i beni culturali, troppa è la dispersionesul territorio, troppe sono le zone a rischio inItalia. Una soluzione auspicabile potrebbeessere un Sistema Informativo più distribuitoe gerarchizzato: il ministero potrebbe occu-parsi direttamente dei beni nazionali più im-portanti, mentre altri soggetti potrebberorealizzare, per altri beni, carte del rischio re-gionali, provinciali, di area ecc.. Circa la rea-lizzazione di un sistema del genere, i proble-mi non sono soprattutto tecnici (o tecnologi-ci): sistemi informativi di questo tipo sonostati realizzati da numerose aziende. I proble-mi sono essenzialmente politici (consenso ditutti gli attori interessati, attribuzione dei co-sti, non banali, ai vari soggetti ecc.) e/o orga-nizzativi (coordinamento delle iniziative,standardizzazione delle soluzioni, modelli dirappresentazione dei dati unificati ecc.).Il secondo importante aspetto della tutela ri-guarda la prevenzione e la repressione delcrimine. Il patrimonio dei beni culturali è cosìdiffuso, che una sua protezione efficace è ve-ramente difficile: furti di ogni genere sono al-l’ordine del giorno e alimentano il mercatodella ricettazione (e di una parte dell’antiqua-riato, purtroppo). I carabinieri hanno creatoda tempo un nucleo specializzato, per la tute-la del patrimonio culturale, molto efficace,ma sprovvisto di una infrastruttura sul territo-rio adeguata. Il ruolo delle ICT, in questo ca-so, potrebbe essere quello di fornire una ba-se di dati distribuita, accessibile facilmenteda tutto il territorio nazionale, ma estrema-mente protetta: l’accesso di malintenzionatiad un simile sistema, infatti, potrebbe addi-rittura costituire un’utile guida per i furti10! Cisono, dunque, due ordini di problemi: da unlato, costituire un’efficace banca dati, dall’al-tro renderla accessibile alle forze dell’ordinema inaccessibile ai malintenzionati. La situa-

zione attuale è sconsolante: i carabinieri han-no costituito una loro banca dati, di beni tra-fugati, ma non sono in grado di accedere inmodo efficace alle varie banche dati (d’inven-tariazione - catalogazione). E queste banchedati, comunque, sarebbero di scarsa utilità inquanto per lo più sprovviste dell’elemento (adire dei carabinieri stessi) essenziale: una fo-to del bene! Anche le descrizioni iconografi-che dei dipinti (cioè quali sono i soggetti rap-presentati), sarebbero di grande rilevanza.Bisogna considerare che, spesso, un oggettoo un dipinto rubato, vengono smembrati evenduti sul mercato in singoli pezzi (peresempio, porzioni di un dipinto). Degli ogget-ti rubati spesso la scheda manca o è priva difotografia: le forze dell’ordine pertanto nonhanno elementi per rintracciare e riconoscerela refurtiva. Le attuali banche dati di inventa-riazione sono quindi, in buona sostanza, inu-tili per la tutela del patrimonio. Considerandoi formidabili problemi di sicurezza, potremmoquasi definire come un fattore positivo il fattoche non esista (e che non esisterà per un belpo’) un vero e proprio inventario nazionaledei beni culturali! Rischierebbe di avere i ma-lintenzionati come clienti principali.

7. COMUNICAZIONE

La comunicazione, applicata ai beni culturali,è uno dei temi più importanti e, in Italia, pro-babilmente anche uno dei meno compresi. Cisono dei fautori a spada tratta della comuni-cazione, intesa come divulgazione di massa,e ci sono coloro che la considerano un peri-colo (per “la scientificità della cultura”) da te-nere a bada. C’è chi pensa che si tratti di unavera e propria miniera d’oro, e chi ritiene chel’aspetto “monetario” possa svilire la sacra-lità della cultura. Fraintendimenti riguardanosia il modo di fare comunicazione, sia le suefinalità, diversamente da quanto avviene,per esempio, nel mondo anglosassone.Prima di entrare nel merito dell’uso delle tec-nologie, sarà bene, quindi, portare il lettoread esaminare criticamente il rapporto tra co-municazione e cultura. Se si condivide il pun-to di vista, espresso nell’introduzione, checultura vuol dire “la storia” che si può narra-re a partire da un bene culturale, allora co-municazione e cultura diventano quasi sino-

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10 I furti di beni culturali sono spesso commissionatiin modo preciso e circostanziato.

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nimi. La cultura non è legata alle caratteristi-che fisiche degli oggetti, ma alla loro capa-cità di suscitare emozioni, istituire nessi, ri-svegliare curiosità. Comunicare equivale,dunque, a fare cultura e fare cultura equivalea comunicare. Per rendere importante un be-ne culturale agli occhi di un pubblico (grandeo piccolo che sia) è importante comunicarnegli aspetti salienti e quindi, per l’analogia so-pra stabilita, fare cultura. Comunicare bene èdunque il modo per valorizzare i beni cultura-li agli occhi del pubblico, e questo vuol direrendere importanti i beni culturali agli occhidella società. Questo favorirebbe tra l’altroun maggior flusso di risorse economiche ver-so il mondo dei beni culturali, provenienti siadalla pubblica amministrazione (in base alconsenso popolare) che da sponsor privati(in base all’interesse del grande pubblico) oda mecenati (per promuovere il proprio no-me o il ricordo di sé) ecc..“Valorizzare” non equivale a “monetizzare” inmodo diretto e immediato i beni culturali (co-me schemi semplicistici farebbero intendere),ma piuttosto aumentare le risorse economi-che, in seguito ad una corretta comunicazione(che, lo ripetiamo, vuol dire fare cultura).La comunicazione di cui parliamo, natural-mente, non coincide con una volgare e scor-retta divulgazione; bisogna stare attenti d’al-tro lato che la pretesa di scientificità (a voltepurtroppo un paravento che nasconde l’inca-pacità di comunicare efficacemente) non bloc-chi ogni sforzo di fare cultura in maniera ade-guata ai diversi tipi di pubblico. Le istituzioniculturali del Nord Europa e del Nord America,considerando se stesse come “luoghi di diffu-sione della cultura”, hanno sviluppato e mes-so in campo efficaci strategie di comunicazio-ne, con le quali raggiungono ampi strati dellapopolazione: le famiglie, le scuole, i giovaniecc.. Le conseguenze di questo atteggiamen-to sono molteplici: le istituzioni culturali sono

immensamente popolari, sono una presenzaattiva e vivace nella società, sono capaci di at-trarre grandi risorse economiche11, riescono afornire “servizi” a costi molto contenuti, espesso non costano nulla alla pubblica ammi-nistrazione. Il paragone con le istituzioni cul-turali in Italia è troppo facile (in senso negati-vo) per poter essere sottaciuto.La comunicazione, verso la società nel suocomplesso, è la grande assente tra gli obietti-vi principali delle istituzioni culturali in Italia:per verificarlo, è sufficiente guardare gli orga-nigrammi delle istituzioni culturali, il modoche hanno di allocare le risorse, i loro pro-grammi attuali e futuri, il modo che hanno diparlare al pubblico12. Si tenta di compensarequesta assenza di comunicazione con eventispettacolari, che non fanno cultura e non co-municano nulla se non mondanità; oppure sisognano fantomatiche comunicazioni multi-mediali planetarie che dovrebbero produrrealtrettanti fantomatici ricavi (editoriali o turi-stici) immediati.Questa lunga premessa serve a chiarire co-me le possibilità di comunicazione medianteICT siano realtà vive in gran parte del mondooccidentale e ancora un’aspettativa (troppevolte delusa) in Italia.Esaminiamo, quindi, le possibilità di comuni-cazione, offerte dalle tecnologie:❙ Applicazioni multimediali interattive: sonoapplicazioni, disponibili su CD-ROM (oraDVD-ROM), che rendono accessibile il patri-monio culturale. Di gran moda a cavallo tra glianni ’80 e ’90, sono state ora in gran partesoppiantate dal Web. L’attuale mercato è co-stituito soprattutto da applicazioni per lescuole e, solo in minima parte, da prodottieditoriali per adulti. Restano, tuttavia, nellastoria dell’editoria multimediale, alcuni pro-dotti mirabili, per qualità e profondità. Laqualità dei siti Web non ha ancora raggiuntola qualità dei migliori CD-ROM. La caratteristi-

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11 Una cosa sconvolgente per un europeo è costatare come i grandi musei americani siano gestiti da fonda-zioni private che si autofinanziano con donazioni, sponsorizzazioni, iniziative culturali e (in misura minima)contributi statali. Naturalmente questo è anche legato alla “detassazione” di spese per la cultura: ma que-sto è un tema che ci porterebbe lontano.

12 Il lettore può controllare, ad esempio, quale materiale (brochure, cartelloni, schede ecc.) sia offerto al visi-tatore di un tipico museo italiano, o la “qualità comunicativa” dei cartellini associati a quadri e oggettiesposti. Esempi brillanti (o esilaranti) sono diciture quali “oinokoe”, “figura maschile”, “vaso di bucchero”,ripetuti all’infinito, con impatto culturale sul visitatore che si può immaginare.

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ca negativa di queste applicazioni è che ne-cessitano di una catena distributiva per ren-derle accessibili al pubblico; la caratteristicapositiva è che sono fonte diretta di reddito(anche se sono stati pochissimi i titoli chehanno prodotto veri e propri guadagni). Ilmercato rimasto è quello delle grandissimetirature, a basso costo, diffuse in edicola: nonsempre queste edizioni risultano, tuttavia,soddisfacenti sia per i contenuti sia per le so-luzioni multimediali che offrono.❙ Siti Web: oggi sono il maggior veicolo per ladiffusione di applicazioni multimediali interat-tive, nell’ambito dei beni culturali. Sono im-mediatamente accessibili da tutto il mondo enon hanno costi di distribuzione. La loro faci-lità di realizzazione ne ha favorito la diffusio-ne, ma anche prodotto risultati di livello moltodiscontinuo come qualità. Se alcuni siti sonodi elevata qualità, molti sono invece di bassolivello13 e sostanzialmente inutili, se non con-troproducenti. La caratteristica positiva è chenon necessitano di una catena distributiva; lacaratteristica negativa è l’impossibilità di pro-curare ricavi diretti, dato che tradizionalmentel’accesso ai siti Web è gratuito.Là dove la comunicazione mediante Internetè diffusa (America settentrionale soprattuttoe anche Europa settentrionale), i siti Webhanno percorso un’evoluzione tipica: all’ini-zio, siti che presentavano l’istituzione (“siti-vetrina”); in seguito, un’introduzione detta-gliata alle collezioni permanenti (quasi unariproduzione delle classiche esposizioni mu-seali); attualmente, descrizione delle mostreed eventi temporanei (anche a scopo promo-zionale, per attrarre visitatori), mostre virtua-li (utilizzando le tecnologie per eventi dispo-nibili solo via Web), giochi educativi e appli-cazioni per le scuole (una delle attività piùdiffuse oggi). Grazie a questi sviluppi le isti-tuzioni riescono a raggiungere un ampiopubblico e a svolgere il loro ruolo di diffusoridi cultura. Internet, oggi, è uno straordinario“museo virtuale”, accessibile a tutti; i mag-giori musei del mondo, ma anche, e soprat-

tutto, i piccoli musei, sono una presenza atti-va e stimolante.Per quanto riguarda l’Italia, la presenza deiBeni Culturali su Internet è a dir poco imba-razzante: l’Italia è virtualmente assente (sal-vo poche eccezioni) e molto spesso la pre-senza è purtroppo di bassa qualità. La ragio-ne non è un deficit professionale, quanto,piuttosto, un atteggiamento negativo di fon-do del mondo culturale italiano rispetto allacomunicazione, di cui abbiamo già parlato.❙ Applicazioni per palmari e apparecchi mobi-li: queste applicazioni rappresentano la nuo-va frontiera nel settore, oggi “embrionalmen-te” disponibili, ma sempre più efficaci nelprossimo futuro. Si tratta dell’evoluzione de-gli strumenti precedenti: i siti Web, le audio-guide e le brochure distribuite all’interno deimusei o dei parchi archeologici. Da un lato,consentono approfondimenti e ricerche (co-me i siti web), dall’altro, guidano il visitatore(come le brochure); offrono inoltre commentisonori a supporto delle visite (come le audio-guide). In aggiunta, queste applicazioni of-frono giochi educativi, chat tra visitatori al-l’interno del museo (o parco), informazionipratiche, acquisti on-line ecc.. ❙ Ricostruzioni Virtuali: sono state già descrit-te tra le applicazioni a possibile supportodell’attività scientifica. In realtà, l’uso di tec-nologia (soprattutto grafica 3D) per ricostru-zioni virtuali si è dimostrato valido soprattut-to per la comunicazione e l’intrattenimento.Anche in questo ambito, superato l’entusia-smo iniziale (in cui va riconosciuto che l’Italiaha prodotto alcuni degli episodi più notevo-li), il numero di applicazioni realizzate è innotevole diminuzione: forse agli alti costi,necessari per produrre applicazioni di qua-lità, non corrispondono ricavi equivalenti,mentre applicazioni di bassa qualità nonsoddisfano più le aspettative del pubblico.❙ Giochi interattivi: sono applicazioni d’intrat-tenimento, con soggetto culturale. La mecca-nica delle applicazioni è quella dei “classicigiochi”: puzzle, giochi di abilità, percorsi adostacoli ecc.. Al di là del fatto che l’argomentodi riferimento sono i beni culturali, i giochihanno caratteristiche di puro intrattenimento.Che si tratti di vera e propria comunicazioneculturale è discutibile, nel senso che non ven-gono trasmessi veri e propri valori culturali.

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13 Prodotti di bassa qualità editoriale erano menocomuni per i CD-ROM, dato che i costi di produzio-ne e distribuzione assicuravano almeno i livelli mi-nimi di professionalità.

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L’attrazione su giovani e ragazzi è certa; che illoro uso serva ad aumentare la diffusione del-la cultura è ancora da dimostrare. Certo è chele istituzioni culturali nordamericane sonomolto impegnate in questo settore, mentre leistituzioni italiane sono quasi del tutto assenti.❙ Applicazioni educative: sono applicazionisempre rivolte ai giovani, ma più tradizionali.Sono applicazioni interattive, in genere piùcon grafica che multimediali, basate su “rac-conti” semplici (sullo schema classico dei li-bri per ragazzi) con soggetto di natura cultu-rale. Possono essere usate (per citare alcuniesempi recenti), per spiegare come giocava-no a palla gli Atzechi, come andò la scopertadell’America, come erano strutturati i cantipopolari Messicani ecc.. Sono tra le più diver-tenti applicazioni oggi in circolazione, manon hanno (ancora) una diffusione tale dafarli considerare fenomeni di massa.

8. FORMAZIONE

Queste applicazioni fungono da supporto al-le attività di studio. Ancora una volta stiamoparlando della realtà nordamericana piutto-sto che di quella italiana. Si tratta di applica-zioni di e-Learning, specializzate per il setto-re dei beni culturali. Materiali educativi, do-cumenti e, soprattutto, immagini, vengonomessi a disposizione degli studenti. Il con-sorzio AMICO, per esempio, mette a disposi-zione di studenti delle università consorziateimmagini di opere d’arte di elevato livello,fornite da alcuni principali musei mondiali;va rilevato che al consorzio non partecipa al-cun museo italiano.

9. FRUIZIONE

Queste applicazioni sono ancora in fase disviluppo iniziale. In generale, la tecnologianon può essere troppo visibile all’interno d’i-stituzioni culturali. I visitatori di musei d’arteo archeologici non amano mescolare gli og-getti in mostra con apparecchi tecnologici.Per questo motivo all’interno delle istituzioniculturali si usano ancora i tradizionali pan-nelli cartacei e mai i pannelli elettronici.La situazione sta mutando per la disponibi-lità dei “palmari”: calcolatori sufficientemen-te piccoli e leggeri da essere portati in mano.

Come si è già detto questi apparecchi (checombinano le funzioni di approfondimento,audio-guida, e altro ancora) cominciano a di-ventare una realtà all’interno di musei e par-chi archeologici. Hanno sicuramente grandepotenzialità nell’offrire al visitatore unaesperienza più ricca e valida: che questo suc-ceda realmente è ancora da dimostrare mafortemente plausibile.

10. I PROGETTIDEL LABORATORIO HOC

Per dare concretezza a quanto discusso finoa questo punto, verranno presentati, in que-sto paragrafo, alcuni progetti realizzati dal la-boratorio HOC, presso il Politecnico di Mila-no. Si tratta di progetti adatti a fornire unaesemplificazione concreta dei concetti sopraesposti (oltre che una testimonianza dellosforzo di un’istituzione italiana per “fare cul-tura” nel senso che si è detto).Presenteremo alcuni progetti di applicazioniper musei14 e per la RAI (Radio TelevisioneItaliana); un progetto per l’integrazioni diBanche Dati di beni culturali (DICE); un pro-getto con finalità educativa altamente inno-vativo (SEE) e, infine, una metodologia checonsente l’accesso ai siti Web (relativi al pa-trimonio culturale) ai non vedenti (WED).

10.1. Applicazioni musealiÈ il lontano 1996 quando il laboratorio HOCcrea una delle prime visite “virtuali” a una saladi un museo: l’esperienza, svolta per e condi-visa con i Musei Civici di Pavia, riguardò i pre-ziosi e rari oggetti dell’Arte orafa longobarda(Figura 1). Questa applicazione multimediale,su CD-ROM, si proponeva un duplice obiettivo:offrire al pubblico la possibilità di visitare vir-tualmente l’allestimento di una sala dei museiche, in realtà, sarebbe stata accessibile fisica-mente solo dopo molti mesi, e la possibilità diconsultare in seguito, sul posto, le informazio-ni relative agli oggetti d’arte. Un approccio in-

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14 Musei Civici di Pavia, Museo Appiani-Lopez di Ce-resio, museo Poldi Pezzoli di Milano, Museo dellaScienza e della Tecnica di Milano, Museo PaoloGiovio di Como, il Museo Archeologico di Milano,la Triennale di Milano e il Museo Civico di ScienzeNaturali di Milano.

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teressante, che entusiasmò i curatori dei mu-sei civici e il pubblico, perché apriva la pro-spettiva nuova della creazione di mostre vir-tuali in anteprima e punti informativi all’inter-no del museo stesso. Tali punti informativi era-no utilizzati come strumenti propedeutici allavisita e organizzati in percorsi “preconfeziona-ti” (guided tour) che l’utente poteva sceglierein base ai propri interessi, seguendo tutte letappe oppure interrompendo il percorso perproseguire in maniera tradizionale. Il risultatodi questa esperienza fu la creazione una sortadi “ipermuseo”, un moderno ambiente virtua-le navigabile con continuità, a dispetto dellaframmentarietà delle testimonianze.

Nell’ambito della “multimedialità museale” leiniziative HOC hanno visto la realizzazione diun CD-ROM dedicato al museo etnograficoAppiani-Lopez di Porto Ceresio. Il CD-ROMpresentava una collezione di manufatti d’artereligiosa, con l’obiettivo non solo di cataloga-re ma di presentare questi oggetti, esaltando-ne l’aspetto etnografico. Il supporto multime-diale restituì, in pieno, l’espressione della ric-ca cultura popolare e ne conservò lo spirito,guidando l’utente in un corretto approccio al-l’argomento. Nonostante il contenuto potes-se sembrare insolito, almeno per un prodottomultimediale, il lavoro si rivelò interessante,dimostrando che proprio con le nuove tecno-logie era possibile esaltare aspetti “trasversa-li” al contenuto vero e proprio.Alla fine degli anni ’90, HOC affrontò una sfi-da difficile: la realizzazione del punto infor-mativo dedicato al “Polittico Agostiniano”per il museo Poldi Pezzoli di Milano, un pro-getto complesso e di grande successo. Lapresentazione multimediale del restauro delPolittico di Piero della Francesca, in partico-lare della tela raffigurante “San Nicola”, di-mostrò che attraverso le nuove tecnologie sipossono “vedere” e presentare aspetti diun’opera inimmaginabili. All’ingresso delmuseo venne preparato il punto informativomultimediale, attraverso il quale il pubblicopoteva documentarsi sulla storia del ritrova-mento della preziosa tela, sulle fasi di analisie attribuzione della tela a Piero della France-sca, sulle modalità artistiche e scientifichedel restauro, sulle tecniche adoperate, suimateriali utilizzati e sulle difficoltà incontratedurante tutto il periodo del restauro (Figura2). Il successo di questa esperienza consi-stette nel raggiungimento di due obiettivi:rendere una presentazione multimediale(sintetica per sua “natura”) significativa e in-teressante; restituire in forma multimedialeun’infinita mole di contenuti di alto valorescientifico. Molti “artifici”, tecnologici, ani-mazioni, effetti televisivi, come ad esempiole sfumature e l’uso dello zoom sui dettaglidell’opera, permisero di presentare in manie-ra immediata contenuti ostici ai più.Un altro progetto multimediale per la divul-gazione di una materia complessa come la fi-losofia venne realizzato da HOC per la RAI. IlCD-ROM “Le rotte della filosofia”, ideato da

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FIGURA 1Arte Orafa Longobarda (CD-ROM)

FIGURA 2Esempio

di animazione pertecnica di restauro

(Museo PoldiPezzoli)

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Renato Parascandolo e pubblicato da Para-via, raccoglieva parte dell’imponente lavorodell’Enciclopedia Multimediale degli Studi Fi-losofici. Le numerose interviste a filosofi,tutt’ora viventi e conservate negli archivi del-la Rai, rappresentavano il cuore dell’applica-zione multimediale, arricchita da altri conte-nuti: brani antologici delle opere filosofiche(classiche e non), biografie degli intervistati,presentazione dei periodo storici a cui i pen-satori appartenevano. “Le rotte della filoso-fia” era un’opera realizzata per gli studentidelle scuole superiori, con l’obiettivo di ren-dere più “interattivo” e più critico lo studiodella filosofia. Lo studente poteva, infatti, co-struirsi delle lezioni su misura attingendo alricco materiale presente nell’applicazione.Uno degli esperimenti “cultural-tecnologici”più “azzardati” ha visto protagonista il Mu-seo della Scienza e della Tecnica di Milano.Nell’estate del 2000, HOC realizzò la prima“visita virtuale cooperativa” in ambienti 3D,dedicata alle macchine di Leonardo da Vinci(www.museoscienza.org/leonardo; Figura3), un’applicazione che permetteva ai “visita-tori” presenti contemporaneamente nell’am-biente 3D di azionare le macchine, scambiar-si opinioni in tempo reale, visitare il mondovirtuale “attraverso gli occhi” della guida,senza dover navigare in modo attivo. Il pro-getto ha ricevuto molti premi, tra cui il rico-noscimento americano alla conferenza “Mu-seums & Web” del 2000 (premio come mi-glior “exhibition on-line”), seguito da una di-mostrazione (a New Orleans) ad un pubblicodi 400 operatori del settore, provenienti da30 Paesi diversi. Dopo il successo america-no, il museo ha organizzato numerose visiteguidate virtuali, con insegnanti e studentidelle scuole medie inferiori, interessati al-l’approccio ludico dell’applicazione che con-sentiva di insegnare principi della fisica inmaniera semplice e immediata.Storia recente sono gli esperimenti culturali,frutto del fortunato sodalizio con il Museodella Scienza e della Tecnica, che hanno datoalla luce un altro impegnativo progetto: la vi-sita cooperativa alla “Città ideale di Leonar-do” (www.museoscienza.org/idealcity). Sitratta della rappresentazione di un luogoche, in realtà, non è mai esistito: una cittàideale, costruita unendo le idee architettoni-

che, urbanistiche, tecniche e artistiche diLeonardo. Ispirandosi a un plastico degli anni’50, custodito al museo, HOC ha realizzatogeometrie tridimensionali nelle quali è possi-bile incontrarsi e interagire movendosi tra icanali, le strade sotterranee, gli edifici, le tor-ri di guardia e i lunghi colonnati della città im-maginata dal grande architetto (Figure 4 e 5).Numerosi progetti dedicati ai musei hannovisto anche l’uso della realtà virtuale foto-grafica, come i tour realizzati per il MuseoPaolo Giovio di Como, il Museo Archeologi-co di Milano (Figura 6), il Museo Civico di

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FIGURA 3“Le macchine di Leonardo”: la stanza della vite aerea (Museo della Scienza edella Tecnica)

FIGURA 4La città idealedi Leonardoricostruita in 3D(Museo Scienzae Tecnica)

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Storia Naturale di Milano (Figura 7), il Mu-seo della Scienza e della Tecnica e la Trien-nale (http://hoc.elet.polimi.it/micromusei;http://hoc.elet.polimi.it/giovio). La realtàvirtuale fotografica è una tecnologia abba-stanza “giovane” che permette di “entrare”in una foto, di guardarsi attorno osservandoil mondo che ci circonda in tutti i suoi detta-gli. Punto d’incontro tra fotografia profes-sionale e le nuove tecnologie multimediali,la realtà virtuale fotografica trasforma l’im-magine 2D in un’esperienza immersiva,unendo grafica 3D e componenti interattive.L’utente ha, perciò, la possibilità di muover-si in un volume di realtà sferico con il sem-plice utilizzo del mouse, senza bisogno diindossare scomodi occhiali, caschi o guanti.Per realizzare queste affascinanti navigazionivirtuali, tra le tecnologie scelte da HOC c’èIPIXTM. IPIXTM permette di realizzare, a costinotevolmente contenuti e con modalità piùsemplici che con altre tecnologie, un’immagi-ne “sferica” navigabile, a partire da due im-magini (due emisferi dell’ambiente) scattatecon una particolare lente (fisheye). Con que-sta tecnologia fu realizzato il primo tour al-l’interno del Museo “Paolo Giovio” di Como:esplorando con il mouse le foto si ha l’im-pressione di visitare le stanze e grazie a hy-perlink, creati sulle teche, è possibile aprireun’ulteriore finestra del browser e “mettere ilnaso” sulla vetrina per vedere gli oggetti con-servati. Quest’applicazione, come quelle cheseguirono (il Museo Archeologico di Milano,il Museo Civico di Storia Naturale di Milano, ilMuseo della Scienza e della Tecnica e laTriennale di Milano), si sono rivelate moltoutili per la visualizzazione dei dettagli archi-tettonici di un museo come, per esempio, ipavimenti, spesso maiolicati, e i soffitti, ric-chi di decorazioni.L’utilizzo di questa tecnologia potrebbe es-sere molto utile per la conservazione di ope-re d’arte che il tempo oppure disastri natura-li potrebbero far sparire, cose che non riusci-remo più a vedere se non sotto questa forma.A tale proposito, anche il tour, dedicato allamostra temporanea del “Design Italiano” allaTriennale, aprì un’altra importante prospetti-va: rendere “eterne” le mostre temporanee.Chi avesse perso questa mostra del 2001,può ancora visitarla on-line!

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FIGURA 5 Una macchina di Leonardo immersa nel canale della città ideale (MuseoScienza e Tecnica)

FIGURA 6 Una vetrina del Museo Archeologico di Milano

FIGURA 7Una vetrina minerali del Museo Civico di Storia Naturale

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10.2. DICE: Integrazione di diverse fonti diinformazione sul patrimonio culturaleL’Italia ospita una delle più grandi collezionidi beni culturali al mondo, sparsi sul territo-rio nazionale e appartenenti ai più diversisoggetti (il Ministero per i Beni e le AttivitàCulturali, le Regioni, le Province, le città, laChiesa Cattolica, i musei, privati cittadini…).Le fonti d’informazioni sono altrettanto va-riegate: dai cataloghi e basi di dati di coloroche custodiscono/ posseggono i beni si vaalle produzioni scientifiche delle università,all’editoria del settore artistico, alle produ-zioni legate al turismo, ecc.. Questa situa-zione rende complesso raccogliere informa-zioni su un determinato bene o “tema”: unostudioso, un operatore turistico, un editore,deve spendere tempo e denaro per rintrac-ciare e consultare le diverse fonti.DICE (Distributed Infrastructure for CulturalHeritage) è un progetto, co-finanziato dalMIUR (MInistero della Università e Ricercascientifica), che coinvolge diverse aziende(EDA, eWorks, Marconet, Palepolis, Colonne-se), e università di spicco (Politecnico di Mi-lano e CEFRIEL-Politecnico per la tecnologiae Forma, Scuola Normale di Pisa, per gliaspetti culturali), con il coordinamento scien-tifico di HOC. Obiettivo di DICE è dimostrareche è possibile integrare diverse fonti d’infor-mazioni creando un ambiente di lavoro effi-cace per utenti professionali, “mediatori cul-turali” verso il pubblico (ricercatori, promo-tori di eventi culturali, curatori museali, ope-ratori turistici ecc.) che necessitino d’infor-mazioni per costruire “prodotti culturali”(guide, cataloghi, monografie ecc.).DICE si compone di una infrastruttura tecno-logica, una piattaforma software, un modelloorganizzativo e un modello culturale.La base tecnologica è un’infrastruttura peer-to-peer. Le informazioni sono rese disponibilia tutti, direttamente, ma ciascun possessoremantiene il controllo sulle proprie. L’utente dimuove così in un “universo informativo”, con idiversi elementi interconnessi in una rete.L’accesso si svolge secondo quattro modalità:❙ Itinerari: sequenze di “schede” predefinitesecondo un tema (per esempio, “gli animalinegli affreschi romani”).❙ Indici, basati su tassonomie standard (peresempio, soggetto, materiale, cronologia ecc.).

❙ Ricerche (interrogazioni alla base di dati)basate su profili semantici assegnati alleschede informative.❙ Cartelle di lavoro personali, vale a dire foldercostruiti dall’utente.DICE fornisce un modello diverso per il conte-nuto (descritto con schemi XML) e una diver-sa classificazione semantica per ciascun pro-filo utente.Dal punto di visto organizzativo, una comu-nità DICE si basa su un gruppo di soggetti,fornitori d’informazioni, che si accordano suun “modello culturale” comune, vale a direla strutturazione delle informazioni e deiprofili semantici. Uno schema XML vieneutilizzato per descrivere la struttura logicadi ciascuna fonte di informazione e i dizio-nari semantici (comuni alle varie fonti). Al-goritmi “fuzzy”, basati su attributi di classi-ficazione, sono usati per creare i link che so-no alla base della navigazione.Per dimostrare la validità del suo approccio,DICE ha implementato nel marzo 2004 un “di-mostratore” con le seguenti caratteristiche:❙ Aree culturali: “Archeologia in Campania” e“Ceramica in Campania” (Figura 8).❙ Fonti informative: sovrintendenze, musei,ricercatori, editori, per un totale di 20 fontiper ciascun’area culturale.❙ Utenti: ricercatori, archeologi, editori, scrit-tori, promotori turistici ecc..

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FIGURA 8 Pagina di accesso all’area “Ceramica in Campania” (progetto DICE)

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Il dimostratore, che contiene più di 3.000schede informative, serve da campo di pro-va per una versione più ampia (con diversemigliaia di schede). Inoltre, è in corso di de-finizione un accordo con il MiBAC per esten-dere il dimostratore (utilizzando le variebanche dati sulla Campania) e utilizzarlo co-me base per realizzare una “sezione dimo-strativa” del Portale della Cultura Italiana(per il quale il Politecnico ha realizzato unostudio di fattibilità).

10.3. SEE: un ambiente di edutainment perla scuolaSEE (Shrine Educational Experience) èun’entusiasmante esperienza di didattica eintrattenimento (“edutainment”: “educa-tion and entertainment”): attività di studio ericerca tradizionali sono intercalate da coo-perazione in un mondo 3D condiviso in In-ternet, nel quale studenti di scuole e paesidiversi s’incontrano virtualmente. SEE è sta-

to progettato in vista di 4 obiettivi didattici:❙ fornire contenuti culturali rilevanti sui rotolidel Mar Morto15 e argomenti ad essi correlati,❙ favorire scambi interculturali,❙ offrire interazione e coinvolgimento comestimolo per attività tradizionali di studio,❙ incoraggiare l’uso di Tecnologie Innovativeper la didattica.Ogni “Esperienza” coinvolge 4 classi di stu-denti tra i 12 e i 19 anni d’età, di paesi diversi, edura 6 settimane: nell’arco di questo periodogli studenti svolgono diverse attività che li con-ducono da una non esistente o scarsa cono-scenza del rotoli del Mar Morto, attraverso l’e-same approfondito di alcuni temi particolari, auna comprensione profonda dei nessi tra unacultura antica di 2.000 anni e il mondo attuale.L’aspetto innovativo di SEE risiede nei 4 in-contri on-line che si svolgono in un ambientevirtuale tridimensionale (che rappresentauna diretta evoluzione di quello realizzato asuo tempo per il “Leonardo Virtuale”): 2 stu-denti per classe, rappresentati da “avatar”(rappresentazioni grafiche degli utenti), “en-trano” nel mondo virtuale per incontrare lealtre classi e una “guida” (Figura 9).I contenuti – scaricabili in formato stampabi-le dal sito SEE (www.seequmran.it) – consi-stono in interviste a esperti mondiali dei ma-noscritti, di letteratura antica ecc.. A differen-za dei libri di scuola, le interviste offrono unpunto di vista critico e sfaccettato sulla ricer-ca di livello accademico, ma allo stesso tem-po in un formato gradevole e diretto.Gli studenti sono organizzati in due squadre,in competizione tra loro: questa è la parte piùcoinvolgente dell’esperienza e uno stimolopotente allo studio dei contenuti. Per quantol’abilità “fisica” sia richiesta per vincere, nes-sun punto viene assegnato senza una rispo-sta soddisfacente ai quiz culturali. In questomodo, anche gli studenti meno inclini allostudio, desiderosi di far bella figura nei gio-chi, studiano la loro parte e supportano lasquadra (Figura 10 e 11).

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15 Manoscritti databili tra il II sec. a.C. e il 68 d.C., scrit-ti probabilmente da una comunità di Ebrei Esseniche viveva nel deserto di Giuda presso il sito ar-cheologico di Khirbet Qumran. Rappresentano la piùantica versione di libri della Bibbia, una fonte unicaper comprendere le radici della civiltà occidentale.

FIGURA 9“Avatar” nel mondo 3D

FIGURA 10Un “avatar” si cimenta nei “giochi olimpici”

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La prima fase sperimentale di SEE (primave-ra 2003) ha coinvolto 36 classi da Italia eIsraele, con circa 1000 studenti, e ha dimo-strato lo straordinario valore educativo delprogetto. Una nuova sperimentazione, conclassi da Italia, Israele Belgio e Germania, si èsvolta nella primavera del 2004, conferman-do entusiasmo ed efficacia.

10.4. Il progetto WED: accessibilità al Web“come un dialogo”Il Web si è rivelato uno dei mezzi di comuni-cazione più efficaci e al contempo economi-ci per diffondere il patrimonio culturale eraggiungere un ampio pubblico; tuttavia, lasua natura “visiva” esclude di fatto una fa-scia di utenti socialmente molto rilevante: idisabili alla vista. Gli utenti non vedenti ac-cedono al Web facendo uso di screenreader,vale a dire, un software che interpreta il co-dice HTML e lo legge “ad alta voce”. Non tut-ti i siti, però, hanno le caratteristiche neces-sarie per “essere letti” dagli screenreader: aquesto riguardo, il consorzio W3C ha ema-nato, nel maggio 1999, una serie di lineeguida per l’accessibilità, la cui seconda ver-sione è attualmente in corso di preparazio-ne (www.w3.org/TR/2003/WD-WCAG20-20030624). Tali linee guida hanno lo scopodi aiutare a costruire siti effettivamente ac-cessibili ai non vedenti. È risultato prestochiaro però che la rispondenza alle normeW3C non è assolutamente sufficiente a ga-rantire un uso efficiente e soddisfacente delWeb ai non vedenti.Il progetto WED (WEb as Dialogue), svoltoin cooperazione dal Politecnico di Milano el’Università della Svizzera Italiana, affrontail tema dell’accessibilità. L’obiettivo è quel-lo di costruire nuovi principi di design apartire dal paragone tra dialoghi umani edialoghi “uomo-macchina”, per spostarel’interazione dal canale visivo a quello ora-le e creare una sorta di “dialogo” tra il sitoe l’utente.Attualmente, i dialoghi con il Web sono as-sai poco “naturali”: gli screenreader adotta-no una strategia di lettura dall’alto a sini-stra a in basso a destra che rende l’intera-zione con il sito lenta e faticosa.Il lettore può rendersene conto provando aleggere un quotidiano con la stessa strate-

gia: quanto tempo occorre prima di rag-giungere un argomento rilevante? O perchésia chiaro quali sono i principali argomentitrattati?Allo scopo di mettere alla prova i primi risul-tati della ricerca, il gruppo WED ha realizza-to, nell’ambito del progetto europeo HELP,il sito per una mostra di stampe di Munchche si è svolta ai Musei di Stato di Berlinonella primavera del 2003 (www.munchund-berlin.org) (Figura 12).Nel sito di Munch si trovano diverse funzionispeciali rivolte a migliorarne l’accessibilità;una delle più importanti è il “page schema”.Lo screenreader legge anzitutto lo schemadella pagina, vale a dire, una sorta d’indicedelle sezioni di contenuto principali. In que-sto modo, l’utente può accedere diretta-mente alla sezione cui è interessato. Il pageschema non compare visualizzato nella pa-gina, ma viene solo letto dallo screenreader(Figura 13).

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1FIGURA 11Gli “avatar” riflettono sulla risposta al primo quiz

FIGURA 12Home page del sito di Munch

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11. CONCLUSIONI

Malgrado le numerose critiche alla situazio-ne italiana, le conclusioni sono improntate aun cauto ma convinto ottimismo:❙ il patrimonio italiano di Beni Culturali è tra ipiù rilevanti al mondo;❙ la preparazione scientifica degli “addetti ailavori” italiani è spesso notevole;❙ c’è una crescente attenzione per un uso effi-cace dell’ICT nel mondo dei Beni Culturali;❙ in molti corsi (di Master soprattutto) si tro-vano dei giovani brillanti laureati in disciplineumanistiche che si interessano alle tecnolo-gie e al loro uso;❙ è crescente l’attenzione della “politica” peril problema.È sicuramente necessario tuttavia reperiremaggiori risorse economiche “dal mercato” equindi stimolare un dibattito più consapevo-le e coraggioso.Questo lavoro vuole appunto costituire unostimolo (in qualche caso una provocazione)a una discussione più incisiva, seria, liberadalle eccessive pastoie della “tradizione”ma anche meno legata alle mode e alle fu-ghe in avanti.

Bibliografia

Relativa alla comunicazione dei beni culturali attra-verso le nuove tecnologie:

[1] Bearman D., Tran J.: (Eds.) Museums and theWeb 2004. Selected Papers from an internatio-nal conference. Pittsburgh: Archives & MuseumInformatics, 2004.

[2] International Cultural Heritage InformaticsMeeting. Proceedings from ichim04. CD ROM.Archives & Museum Informatics, 2004.

[3] International Cultural Heritage InformaticsMeeting. Proceedings from ichim03. CD ROM.Archives & Museum Informatics, 2003.

[4] Bearman D., Tran J.: (Eds.) Museums and theWeb 2003. Selected Papers. Pittsburgh: Archi-ves & Museum Informatics, 2003.

[5] Bearman D., Tran J.: (Eds.) Museums and theWeb 2002. Selected Papers. Pittsburgh: Archi-ves & Museum Informatics, 2002.

[6] Bearman D., Garzotto F.: (Eds.) InternationalCultural Heritage Informatics Meeting. Procee-dings from ichim01. Pittsburgh: Archives & Mu-seum Informatics, 2001.

[7] Bearman D., Tran J.: (Eds.) Museums and theWeb 2001. Selected Papers. Pittsburgh: Archi-ves & Museum Informatics, 2001.

Relativa ai progetti presentati in questo articolo:

Progetti Leonardo Virtuale e La città ideale

[8] Barbieri T., Paolini P.: Reconstructing Leonar-do’s Ideal City - From Handwritten codexes toWebTalk-IIa: A 3D Collaborative virtual environ-ment system, in proceedings ACM VAST 2001,Athens, 2001.

[9] Barbieri T., Paolini P.: Cooperation Metaphors forVirtual Museums, in Bearman D. & Trant J. (Eds),(2001) Museums and the Web 2004. Selected Pa-pers from an International Conference, Archives& Museum Informatics, Seattle, U.S.A.

[10] Barbieri T.: Networked Virtual Environments for theWeb: The WebTalk-I and WebTalk-II Architectu-res. In: Proceedings IEEE for Computer Multime-dia, Expo 2000 (ICME), New York, USA, July 2000.

[11] Paolini P., Barbieri T., et al.: Visiting a MuseumTogether: how to share a visit to a virtual world,in in Bearman D., Trant J. (eds), (1999) Museums

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FIGURA 13 Template di pagina

dal sito di Munch

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and the Web 2004. Selected Papers from an In-ternational Conference, Archives, MuseumInformatics, New Orleans, U.S.A..

[12] Paolini P., Barbieri T., et al.: Visiting a MuseumTogether: how to share a visit to a virtual world.In Journal of The American Society for Informa-tion Science, Wiley&Sons, October 1999.

Progetto DICE

[13] Colazzo S., Perrone V.: Integrating DistributedHeterogeneous Information Sources for Cultu-ral Heritage: the DICE approach. In Proceedingsof the Third International Workshop on Presen-ting and Exploring Heritage on the Web – PEH‘04, co-located with DEXA 2004, 30 August – 3September 2004, Zaragoza, Spain.

Progetto SEE

[14] Di Blas N., Gobbo E., Paolini P.: Immersive 3Dand Cultural Heritage: Suggestion or Realism?In Bearman D., Trant J. (Eds), (2004) Museumsand the Web 2004. Selected Papers from an In-ternational Conference, Archives & MuseumInformatics, Vancouver, British Columbia,U.S.A. (accepted paper).

[15] Gobbo E., Paolini P.: What We Have Learned ByUsing Cultural Heritage, Technology Based, Edu-cational Environment: SEE (Shrine Educational Ex-perience). ICHIM International Cultural HeritageInformatics Meeting 2004 Proceedings, Berlin.

[16] Di Blas N., Paolini P., Poggi C.: A Virtual Museumwhere Students can Learn. In R. Subramaniam(ed.) E-learning and Virtual Science Centers,Idea Group Inc., U.S.A. (i.c.s.).

[17] Di Blas N., Paolini P., Poggi C.: Learning byPlaying. An Edutainment 3D Environment for

Schools, in Proceedings of ED-MEDIA 2004.World Conference on Educational Multimedia,Hypermedia, Telecommunications, June 21-26,2004; Lugano, Switzerland.

[18] Di Blas N., Paolini P., Poggi C.: Shared 3D Inter-net environments for education: usability, edu-cational, psychological and cognitive issues. InJ. Jacko & C. Stephanidis (eds) Human - Compu-ter Interaction: Theory and Practice. Volume I ofthe Proceedings of HCI International 2003, LEA2003 Lawrence Erlbaum Associates, Mahwah,New Jersey.

[19] Di Blas N., Hazan S., Paolini P.: Edutainment in3D virtual worlds. The SEE experience, in Bear-man D. & Trant J. (Eds), (2003) Museums andthe Web 2003. Selected Papers from an Interna-tional Conference, Archives & Museum Infor-matics, Charlotte, South Carolina, U.S.A..

Progetto WED

[20] Di Blas N., Paolini P., Speroni M.: Web Accessi-bility for Blind Users. Towards Advanced Guide-lines. Proceedings of the 8-th ERCIM UI4ALLWorkshop, June 27-28, Vienna, Austria, 2003.

[21] Di Blas N., Paolini P., Speroni M., Capodieci A.:Enhancing accessibility for visually impairedusers: the Munch’s exhibition. In Bearman D. &Trant J. (Eds), (2004) Museums and the Web2004. Selected Papers from an InternationalConference, Archives & Museum Informatics,Arlington, Washington, U.S.A.

[22] Di Blas N., Paolini P.: “There And Back Again”:What Happens To Phoric Elements in a “WebDialogue”. Journal of Document Design, Vol. 4,n. 3, 2003, p. 194-206.

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PAOLO PAOLINI è professore ordinario al Politecnico di Milano e docente all’Università della Svizzera Italiana diLugano. È coordinatore scientifico di NET-LAB, una rete di laboratori impegnati nella ricerca su comunicazio-ne avanzata e nuove tecnologie, specialmente nell’ambito dei beni culturali. NET-LAB comprende il laborato-rio HOC (Politecnico di Milano, campus di Milano e Como), TEC-LAB (Università della Svizzera Italiana) e SET-LAB (Università di Lecce)[email protected]

FRANCESCA ALONZO è socio fondatore e responsabile di Sophie srl, un’azienda incubata presso l’Acceleratore delPolitecnico di Milano, che sviluppa progetti di comunicazione multimediale. È stata consulente presso l'HOC(Hypermedia Open Center) del Dipartimento di Elettronica e Informazione - Politecnico di Milano, collaboran-do alla progettazione di applicazioni ipermediali culturali e di siti collaborativi per il [email protected]

NICOLETTA DI BLAS insegna Teoria della Comunicazione presso il Polo di Como del Politecnico di Milano. È lau-reata in Lettere Classiche e ha ottenuto un dottorato in Linguistica all’Università Cattolica di Milano. Attual-mente la sua attività di ricerca, all’interno del laboratorio HOC del Politecnico di Milano, si concentra su tema-tiche di linguistica, usabilità e applicazioni con finalità didattiche, specialmente nel campo dei beni [email protected]