I v g anteprima

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Otto storie vere, scelte per la loro drammatica semplicità e narrate con l’intento di stimolare la riflessione di chi legge. Cosa succede nell'animo di chi decide di abortire? Quali sono le storie che precedono questa devastante decisione? Alcune di esse sono raccolte in questo libro e chiedono di essere lette. Ma c’è spazio anche per capire cosa succede nell'animo di chi, andando contro corrente, decide di adoperarsi a favore delle donne che hanno preso la loro sofferta e drammatica decisione. In qualche modo ne restano coinvolti e partecipano, loro malgrado, a quella che finisce per essere la prova più difficile nella vita di una donna. Contrariamente a quello che in mala fede molti affermano, l’aborto non è mai quello che sembra, ma molto di più. 2014 - ISBN 9788896926482- brossura - pp. 83

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Sandro Orlandi

I.V.G.

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Copyright © 2014 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i PaesiCasa Editrice AntipodesVia Toscana, 290144 [email protected]

In copertina: Natività di Maristella Angeli

ISBN: 978-88-96926-48-2

Sandro Orlandi, I.V.G., Antipodes, Palermo 2014

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A tutte le donne che ho avuto modo di aiutare,

e anche alle altre.

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Dobbiamo imparare ad ascoltare il silenzio

se vogliamo sentire l’anima commuoversi

(Madre Teresa di Calcutta)

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Premessa

La sigla I.V.G. sta per interruzione volontaria di gravidanza.La famosa legge 194/78 sull’aborto volontario, a suo tempo sot-

toposta a referendum, continua a tutt’oggi a regolamentare il co-siddetto aborto legalizzato, nella forma e nel contenuto. Per quasiventisei anni il sottoscritto ha fatto parte dell’esiguo numero di gi-necologi non obiettori votati ad applicare la suddetta legge di stato,convinto che fosse giusta e anche l’unico mezzo per combattere gliaborti clandestini, antica pratica esecrabile, lesiva della vita, dellasalute e della dignità della donna. Per due volte a settimana, inmedia quattro ivg per seduta, ha praticato il raschiamento abortivolegalizzato, dopo aver avuto modo di entrare in contatto con idrammi che tale decisione comportava, non solo per le donne, maanche per chi, lavorando, metteva spesso alla prova la propria co-scienza. Solo negli ultimi anni di professione, quando ormai le mo-tivazioni personali hanno cominciato a non essere più sufficienti,quando la realtà della società, mutata in tanti anni di lavoro, lohanno costretto a prendere atto dell’inutilità di continuare il pro-prio sacrificio, ha smesso di praticarli. Questo perché a frontedell’aumento significativo del lavoro e delle responsabilità che leivg comportano, a cui peraltro non ha mai corrisposto un aumentodi retribuzione, si aveva al contrario una svalutazione professio-

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nale in quanto abortista, e spesso anche un’offesa continua daparte di colleghi e gente comune. Le storie descritte quindi sonotutte vere, come pure i personaggi di cui parlo e le situazioni chedescrivo. Naturalmente i nomi sono immaginari, ma ho voluto ri-portare il più fedelmente possibile i casi che più di altri mi sonorimasti impressi per la loro drammaticità e, a volte, anche perchéinsoliti o imprevedibili. Si vedrà che non tutti hanno la stessa con-clusione e non finiscono sempre con l’aborto, ma il dramma chescatena interiormente è il medesimo in tutti i casi. Attraverso que-sti, accuratamente scelti e descritti, ho tentato di far capire cosasignifica abortire per la donna che decide in questo senso, e ancheper coloro che partecipano a questa sua coraggiosa presa di co-scienza, mettendo in pratica la legge. È qualcosa che solo dall’in-terno si può capire, vivendola. Per questo ho sempre respinto confastidio chi, dall’esterno, non avendone cognizione alcuna, giudicae sentenzia. Ho tentato di non lasciarmi andare troppo nell’espri-mere le mie convinzioni in tema di aborto e volutamente non misono addentrato in considerazioni religiose, morali, sociali o po-litiche. Solo descrivere onestamente la realtà per quello che è, si-curo che, letta con attenzione e tralasciando per un momento leproprie pur sacrosante convinzioni, se ne possa trarre tutti le do-vute conclusioni, arrivando ad un sano e auspicabile arricchimentodi pensiero.

Non è forse tra le cose più importanti che ognuno di noi do-vrebbe perseguire nella propria vita?

S. Orlandi

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Adele

Il dottor Annibaldi arrivò al parcheggio dell’ospedale con dodiciminuti di ritardo. Il traffico era stato peggiore del solito e ci avevaimpiegato un’ora e dodici minuti, appunto.

Sicuramente il collega lo avrebbe salutato in tono teso, masche-rando, ma non troppo, il disappunto e dandogli le consegne con unpiede già fuori della porta. Dei sette che con lui formavano l’equipemedica della divisione di ostetricia, era l’unico con cui non andavad’accordo. Tronfio, saccente, arrogante e pure ignorante, nel sensoletterale del termine. Insomma confermava il detto: meno sei e piùti vanti, meno sai e più vai avanti. Non che il dottor Sandro Anni-baldi si lasciasse intimorire e sottomettere facilmente, anzi, a dettadi tutti era impossibile domarlo. Purtroppo però il suo collega tra itanti difetti uno non l’aveva: quello di arrivare tardi. Era quasi sem-pre puntuale, il maledetto. D’altra parte lui abitava relativamentevicino all’ospedale e non doveva affrontare trenta chilometri di traf-fico terrificante per arrivarci, come invece toccava fare a lui.

Come al solito il posto per la macchina non c’era. Per l’enne-sima volta pensò di buttar giù quel cartello che recitava: “Strutturaadibita agli utenti dell’ospedale” E lui cos’era? Un utente? Era giu-sto che ci parcheggiassero tutti in quello che avrebbe dovuto essereil parcheggio riservato a chi lavorava lì? E proprio in quel momento

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vide una vecchia seicento scalcagnata, appena posteggiata, da cuiscendeva tranquilla una donna con la sporta della spesa.

Digrignando i denti s’infilò tra la siepe e il muretto, facendo il con-torsionista per uscire dalla macchina. I minuti erano diventati diciotto!

«Buongiorno dottore!» chiosò Elisa l’infermiera.Rispose con un mezzo sorriso e tirò dritto verso la camera del

medico di guardia.«Oh, buongiorno! » lo salutò con enfasi Gina, l’ostetrica di turno.«Sì, sì, buongiorno, buongiorno», rispose lui sempre meno convinto.Dal terzo buongiorno in poi rispose con grugniti e cenni del

capo. Arrivò in stanza dopo l’ottavo. Dopotutto il corridoio da percorrere era lungo una ventina di metri

buoni e le porte dei locali che vi si aprivano almeno una decina.Quando entrò nella stanza, il dr. De Pompeis era seduto sul letto

col cappotto indossato e la borsa in mano. Per prima cosa, com’erasuo stile, guardò platealmente l’orologio, come a dire: “guarda chesei in ritardo”.

«Lo so» sibilò Annibaldi tra i denti, entrando e posando la suadi borsa «ho diciotto minuti di ritardo».

«Venti!» precisò il caro collega.«Scusa», si trovò costretto a dire, ma con voce gutturale, tanto

che sembrò un ringhio.Con teatrale atteggiamento di superiorità e sopportazione, De

Pompeis prese le sue cose e fece per uscire dalla stanza, poi, comeper aggiungere qualcosa si fermò e si voltò verso Annibaldi. Questi,già in posizione di attacco, attese la prevedibile provocazione.

Ma non se ne fece niente, almeno per quella volta. Infatti fortunavolle che proprio in quel momento arrivasse l’altra collega, Anna,che entrò sorridente e leggiadra sfoderando un “ciao” innocente edestabilizzante.

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«Ciao». Le rispose De Pompeis, che nel frattempo si era accortodell’aperta ostilità dell’altro e, com’era suo solito, già batteva in ri-tirata psicologica.

«A lei non glielo dici che è in ritardo?» abbaiò Annibaldi.«Ah sì, scusa sai?», sorrise Anna «c’era un traffico terrificante

e… ma che c’è?» guardando entrambi in viso.«Niente» disse sornione il caro collega «buona giornata!», con-

cluse rivolto ad Anna, e uscì.«Oh, ma non impari mai? E lascialo perdere, ormai avrai capito

che se gli dai corda fai il suo gioco, no?».«È che certe volte non sono in vena di sopportare e quindi…».«Ma almeno te le ha date le consegne?».«No. È anche vero che, se avesse aggiunto solo mezza sillaba e

se non fossi arrivata tu, gli avrei sicuramente azzannato quel grossocollo flaccido, sognando di essere un rottweiler».

Il reparto era in preda al solito bailamme del lunedì mattina:pronto soccorsi a ripetizione, cartelle urgenti da completare, attivitàambulatoriali, referti da scrivere, accettazioni da fare e, oltre a tuttoquesto, si doveva tenere sotto controllo la sala travaglio, dove abi-tualmente stazionavano due o tre donne che di lì a poco sarebberoandate in sala parto a partorire. E infine c’era da prendere gli appun-tamenti per le IVG, ovvero le Interruzioni Volontarie di Gravidanza.

Un quadernino mostrava la lista delle donne che si erano pre-notate per abortire, e la lista arrivava già a oltre tre mesi, malgradol’ospedale fosse piccolo e di provincia. Ma era anche vero cheormai l’attività si era decuplicata rispetto a soli tre anni prima.

Il dottor Annibaldi si cambiò, indossò la tuta verde, il camice,gli zoccoli e immaginò di mettere anche l’elmetto. Fece un sospiroe s’infilò in trincea, sperando di uscirne vivo ancora una volta.

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