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GUIDA AGLI ITINERARÎ FLISCANI NEL TIGULLIO Viaggî alla scoperta della storia dei Fieschi nel Tigullio e nel suo entroterra G UIDA AGLI I TINERARÎ FLISCANI NEL TIGULLIO

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GUIDA AGLI ITINERARÎFLISCANI NEL TIGULLIO

Viaggî alla scoperta della storia dei Fieschinel Tigullio e nel suo entroterra

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GUIDA AGLI ITINERARÎFLISCANI NEL TIGULLIO

Viaggî alla scoperta della storia deiFieschi nel Tigullio e nel suo entroterra

Testi a cura diDaniele Calcagno, Marina Cavana eColette Dufour Bozzo

con la collaborazione diFrancesca Arfanotti, Barbara Bernabò,Flavia Cellerino, Marco Gasparini,Andrea Lercari, Marco Raffa,Sandro Sbarbaro, Vittoria Torre

Provincia di GenovaAssessorato alla Cultura

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Pubblicazione realizzata con il contributo di:

Provincia di GenovaAssessorato alla Cultura

Comuni di:

Borzonasca MonegliaCarasco NeCastiglione Chiavarese NeironeChiavari OreroCicagna San Colombano CertenoliCogorno Santa Margherita LigureLeivi Santo Stefano d’AvetoLòrsica Sestri LevanteMezzànego Varese LigureMocònesi Zoagli

Comitato Scientifico del Progetto:Daniele Calcagno (coordinatore),Marina Cavana, Colette Dufour Bozzo

La realizzazione di quest’opera è stata possibile usu-fruendo dei risultati scientifici dei progetti di ricer-ca avviati dall’Istituto di Studî sui Conti di Lavagna apartire dal 1994.

Referenze fotografiche:Fabrizio Benente, Biblioteca Apostolica Vaticana, Marco Bo, BritishMuseum, Gigi Cavalli, Collezione Topografica del Comune di Ge-nova, Comune di Grondona, Comune di Leivi, Comune di Mezzà-nego, Comune di Santa Margherita Ligure, Consorzio MonegliaNuova, Mauro Del Grosso, Michele Ferraris, Gianni Ferrero, MarcoGasparini, Istituto Internazionale di Studî Liguri, Sezione “Tigullia”,Istituto di Studî sui Conti di Lavagna, Liguria Planet, Pro Loco Ne ValGraveglia, Studio Flavio Parodi, Valtaro Network, Getto Viarengo.

Provincia di GenovaAssessorato alla Cultura

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Nata in occasione del 2004 la Rete di percorsi tematici (di cui la presente Guida faparte) è stata una delle tre sezioni di lavoro che ha visto coinvolti, considerando an-che gli altri due progetti-pilota (Percorsi culturali tra fede, lavoro e musica attraverso gliantichi valori dell’uomo nel territorio del Ponente genovese e Progetto Rotte terrestri del Por-to di Genova – Viaggio nelle valli Scrivia, Polcevera e Trebbia attraverso i secoli) la grandemaggioranza dei Comuni, Comunità Montane e Enti Parco del territorio provinciale.È, probabilmente, la prima volta che un così alto numero di amministrazioni pub-bliche si trovano a lavorare insieme su un progetto culturale il cui fine principale èla valorizzazione e la diffusione delle testimonianze storiche e artistiche del nostroterritorio.La mia speranza è di essere riusciti a sollevare curiosità, a stimolare interessi e arichiamare l’attenzione verso un patrimonio, culturale e civile nello stesso tempo,meritevole di una più ampia frequentazione diretta.Questa ragione operativa, peraltro, convive con un’altra convinzione che riposa sulfatto che “noi siamo ciò che ricordiamo” e che tanto più è approfondita la conoscen-za del nostro passato, tanto più apprezzabile ed efficace sarà la nostra progettazio-ne per il futuro.È così, allora, che storia, arte, usi e costumi cessano di diventare un “reperto”, siapure autorevole e significativo del nostro passato, per trasformarsi in un elementoche, innervandosi nella realtà del presente, lo arricchisce e lo potenzia.Solo il tempo potrà dire se questo impegno, non sempre facile, ha conseguito i risul-tati cui aspirava: è certo, però, che l’opera non si è affatto conclusa con il lavoro av-viato, prospettandosi, al contrario, indagini più mirate. In tale ambito operativo, pos-sono senz’altro essere collocati i Percorsi risorgimentali di imminente realizzazione.Personalmente non posso che ringraziare collettivamente (nella pratica impossibi-lità di farlo individualmente) tutti coloro che, a diverso titolo, hanno concorso a tra-sformare il progetto iniziale nella realtà concreta che il lettore ha oggi tra le mani.

MARIA CRISTINA CASTELLANI

Assessore alla Cultura della Provincia di Genova

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È un’esperienza straordinaria quella che lo studioso attento o il turista curioso siaccinge a vivere con la lettura di questa “guida” molto particolare.Per noi indigeni è l’occasione per approfondire la conoscenza delle nostre radici;per il forestiero è la scoperta di un mondo che la lasciato tracce profonde nella sto-ria e nel paesaggio di questo Levante ligure che merita, davvero, di essere meglioconosciuto.È con entusiasmo e curiosità che mi accingo a percorrere, nel magico territorio delTigullio e del Genovesato, questi nove affascinanti Itinerarî fliscani che si sviluppa-no fra costa ed entroterra in un susseguirsi di emozioni e di piacevoli scoperte, an-che sotto il profilo naturalistico e, perché no, enogastronomico.

SERGIO POGGI

Sindaco di Chiavari

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e la ricerca finalizzata a questo lavoro avessedovuto confluire in una grande monografia –come, peraltro, era stato programmato agli inizî

dal Comitato Scientifico – l’impegno degli Autori nonsarebbe stato né maggiore né di più ampio respiro.Sicché il mutare di indirizzo non ha certo nuociuto siaalla qualità sia allo spessore dell’indagine che, quindi,risulta di alto profilo. A iniziare dall’impostazione delvolume e dalla peculiarità del suo stesso impianto.Questo, infatti, per analizzare un’area del Levante ligu-re si avvale di un approccio originale che razionalizzi,tramite itinerarî mirati, l’illustrazione del paesaggioda considerare, al fine di agevolarne la conoscenza, sol-lecitando nel contempo la curiosità del lettore.È così allora che da queste pagine si è condotti permano attraverso i comprensorî attinenti a più di venti-quattro comuni, ubicati fra la costa e l’entroterra dellaProvincia orientale di Genova.I percorsi da seguire sono nove e sono stati scelti inbase a un comune denominatore riferibile alla storiadella regione: la presenza più o meno scoperta di unadelle famiglie egemoni in loco, la cui eminenza ha se-gnato la vicenda di queste terre, eccedendone i confi-ni locali: il cosiddetto clan dei Fieschi.Da qui nasce la denominazione di Itinerarî fliscani.Una simile opzione di fondo, è ovvio, introduce nelloscenario del pieno Medioevo, che è quella stagione incui si verifica l’origine, l’affermarsi e il declino – forsepiù apparente che reale – del consorzio dei conti di

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Lavagna, il potere del quale ha impresso segni inde-lebili nelle località che si è in procinto di visitare. Staora agli Autori riconoscere, per riproporla al visita-tore, questa memoria di fasti d’alto lignaggio – e spe-cialmente di taglio artistico – alla quale hanno volutodare un nome, altrettanto illustre e idoneo per identi-ficare storia e cultura delle contrade raggiunte dallevie indicate. Sicché ecco apparire, a denotare gli itine-rarî, titoli accattivanti, relativi a protagonisti di rangoche abbiano valicato il territorio in questione – o co-munque a esso si siano rapportati –, i cui nomi rispon-dono a quello di un re e futuro imperatore (Enrico VII,l’Arrigo di Dante nel quinto itinerario); o a quello di unaSanta (Caterina Fieschi Adorno nel sesto itinerario); o, an-cora, vanno da quello di un compagno d’avventura diCristoforo Colombo (Bartolomeo “delle Indie”, nel setti-mo itinerario), fino a quello di un bandito di insigne stir-pe (Nicolò della Cella, nell’ottavo itinerario), tanto per ci-tare alcuni esempî rappresentativi.Come si può constatare, si tratta pur sempre di storia;questa, a sua volta, si intreccia con il paesaggio da cuitrae origine e in cui si sviluppa, definendo le lineeguida della sua parabola artistica. Nel rispetto, allora,di una simile impostazione, è d’obbligo seguire nell’e-sposizione un ordine cronologico, ragion per cui i noveitinerarî iniziano con quello dedicato ai figlî di Tedisio,ossia alla origine del potere dei conti di Lavagna (primoitinerario), che già a partire dai secoli XI e XII lasciaun’impronta reale benché talora sbiadita fra i com-

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prensori di Portofino, Santa Margherita Ligure, Rapal-lo e Zoagli, per giungere a quello di Elisabetta Farnese,la sposa di Filippo V di Spagna (nono itinerario), di-scendente da un casato in dimestichezza con i Fieschi,la quale attorno al 1714 raggiunse il Tigullio, dopoaver superato valli, passi e colline, da Varese (Ligure)a Sestri (Levante).A fronte di questa suddivisione diacronica piena-mente giustificata, ogni itinerario, per contro, segue alproprio interno uno svolgimento di assetto geografico,anch’esso parimenti legittimato dallo scopo di facilita-re l’uso e la frequentazione dei tracciati prospettati.Se, cambiando registro, si entra ora nello specifico deicontenuti della Guida i suoi titoli di merito appaionomolteplici. Tra questi, degni di una menzione privile-giata sono i numerosi spunti che suggeriscono le dueintroduzioni – storica e storico-artistica – premesse ainove itinerarî. Della prima, che si deve a Daniele Cal-cagno, va rilevato come essa rappresenti, pur nella suabrevità, una delle più complete e aggiornate sintesidella vicenda fliscana a cura di un tecnico dei conti diLavagna quale è, appunto, l’Autore. Non solo. Le no-vità poste in luce sono da ricercare, specialmente, nel-l’aver definito i contorni del vasto areale di intervento –o comunque di presenza e/o influenza della famiglia –,il quale risulta di ampiezza ben maggiore di quantocomunemente ritenuto, e di estensione tale da rag-giungere regioni europee come, ad esempio, l’Inghil-terra, l’Ungheria e il Regno Armeno di Cilicia; o, anco-

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ra, l’aver individuato alcune dinamiche messe in ope-ra dal clan, basate su di un’abile sinergia di differenti stra-tegie finalizzate a una politica che trova nelle realtà ec-clesiastiche del tempo un naturale referente; o, infine –per scendere in dettaglî e sempre esemplificando – l’a-ver scoperto in Fontanabuona l’ingerenza dei Fieschidel cosiddetto ramo di Recco, là insediatisi tra la finedel Duecento e gli inizî del Quattrocento.Della seconda introduzione, a cura di Marina Cavana,resta da segnalare sempre l’individuazione di uno sce-nario tanto innovativo quanto internazionale che dise-gni i caratteri di una cultura artistica fliscana, desunti daanalisi specifiche su manufatti restituiti dal suolo inesame. Così, dopo l’avvertimento che le tracce fliscanereperite anteriori al Duecento sono oggi ancora sporadicheanche se già molto significative, si viene delineando unquadro in cui evidenze monumentali come la Torre diZerli o il Ponte della Maddalena sono di pari eminenzaartistica della cosiddetta Croce pettorale di InnocenzoIV, o della Tomba di Luca Fieschi nella cattedrale di Ge-nova. Senza trascurare, da ultimo, il portato delle ric-che biblioteche di Ottobuono (Adriano V) e dello stessoLuca nonché – in Età Moderna – le raccolte di oggetti an-tichi di Sinibaldo Fieschi, fine conoscitore e collezionista,probabilmente in contatto con i grandi Umanisti del tempo.Sono tutti – come conclude Marina Cavana – segni fortie riconoscibili sul territorio che veicolano un messaggio,articolato fra potere economico, politico e cultura, spe-cialmente alta, in linea con le grandi committenze interna-

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zionali dell’epoca.Anche nel ripercorrere i nove itinerarî, le novità cheemergono sono numerose e di estremo interesse. Diqueste, ne segnalo per brevità solo alcune che meri-tano di essere sottoposte all’attenzione del lettore.Nell’ordine, seguendo la sequenza dei percorsi, mipiace ricordare a margine del primo itinerario come glistudî documentarî – che hanno ratificato l’interessefliscano per il Tigullio occidentale (Barbara Bernabò eFlavia Cellerino), attestando l’ampliamento dell’areadi presenza e di controllo della famiglia nel LevanteLigure – siano stati confermati sul piano toponomasti-co e architettonico dal rinvenimento in Santa Marghe-rita Ligure della località in Fiesco, nonché – e ancor più– del mulino di Ottobuono Fieschi, menzionato in unalocazione del 1268 (Barbara Bernabò), da identificare,forse, con un frantoio tuttora esistente in località Chiap-pa a Sant’Ambrogio di Zoagli, o per lo meno con il suosedime, come ha sostenuto Susanna Canepa.Allo stesso modo, in relazione al secondo itinerario, me-rita rilevare la riacquisizione inedita o quasi – a cura diDaniele Calcagno – della dipendenza dal monasterobenedettino di San Pietro in Ciel d’Oro in Pavia – anzi-ché da quello di San Colombano in Bobbio – dell’inse-diamento di Villa Cella (Rezzoaglio, Sandro Sbarbaro),dove sono stati individuati, inoltre, ruderi antichi ditale risalto da consigliare una ripresa delle ricerche insitu, come suggerisce Marina Cavana.Dopo aver riservato un solo cenno per il valore di po-

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sizione e monumentale del più noto Castello Malaspi-na-Fieschi-Doria a Santo Stefano d’Aveto (Sandro Sbarba-ro) e passando al terzo percorso, non va trascurata l’im-portanza del già ricordato Dongione di Zerli, tanto indi-cativa al fine di connotare i caratteri di certa commit-tenza fliscana; o l’eccellenza del più famoso Polittico diGiovanni Barbagelata (Marina Cavana); o, ancora, la ri-levanza storica e strategica del Castello di Rivarola (Fla-via Cellerino), innalzato nel XII secolo dal Comune diGenova per contrastare il potere espansionistico deiconti di Lavagna, i resti del quale sono in fase di recu-pero nel corso di recentissimi scavi, diretti da Alessan-dra Frondoni con la responsabilità sul campo di Fa-brizio Benente.Dante e Alagia Fieschi sono due delle personalità dispicco, eponime del quarto tragitto sviluppato, per lopiù, lungo il corso della fiumana bella. La giovane spo-sa di Moruello Malaspina – della quale una monogra-fia fresca di stampa a cura di Eliana Vecchi ha ricostru-ito un’esistenza finora confinata nell’ombra – offre l’oc-casione a Daniele Calcagno di sciogliere alcuni nodicirca i rapporti tra i due casati in questione, talora con-flittuali – ma non troppo – superando luoghi comuniancora incontrastati.L’insula di San Salvatore di Cogorno, considerata nelquinto itinerario è troppo nota per commentarne diffu-samente, sicché è sufficiente ricordare da un lato che sitratta – forse – della terra d’origine dei Fieschi, il luogodelle loro radici elevato a una sorta di sacrario di fami-

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glia di cui tramandare memoria consegnandola a duedei monumenti più prestigiosi in assoluto della lorocommittenza – la “basilica” di San Salvatore e il cosiddettoPalazzo comitale –; dall’altro, ribadire il taglio innovati-vo – frutto delle più recenti letture critiche – con cui èpresentato l’insediamento, ossia nel suo aspetto carat-teristico di insula aristocratica che trova corrisponden-za in altre analoghe e site nella regione più prossima,come ad esempio, quelle di Trigoso o – probabilmente– di Roccatagliata (Flavia Cellerino); o – fuori zona e inGenova – quella più tarda di Santa Maria in Via Lata, oquella precedente, e in fase di individuazione, di SanLorenzo e cioè sorta attorno alla cattedrale del capoluo-go ligure. A compendio, una scheda di Marco Raffa re-laziona sulle annuali celebrazioni che commemoranola memoria dei Fieschi in tutto il Genovesato e il Le-vante ligure.Sorvolare, ora, sul sesto e settimo itinerario non significauna carenza di interesse per i territorî in causa, tantopiù che nelle loro circoscrizioni sono collocati sia l’ab-bazia di Sant’Andrea di Borzone – un complesso di cul-tura alta nel panorama architettonico locale e di pro-babile ascendenza d’Oltralpe – sia l’intero insediamen-to di Chiavari. Dove le fabbriche civili come il cosiddet-to Palazzo dei Portici neri – la cui proprietà, da docu-menti reperiti da Daniele Calcagno, è ora ratificata ap-partenere a Opizzo Fieschi – denuncia un’impronta dicultura urbana, che richiama addirittura il Palazzo diAndrea Fieschi – poi inglobato in Palazzo Ducale di

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Genova –, e che si riconosce, del pari, nel già ricordatocosiddetto Palazzo comitale di San Salvatore; senza con-tare, inoltre, che il progetto insediativo chiavarese –voluto però da Genova – appare configurarsi qualemodello per alcuni borghi tigullini e non. Allora: nonindifferenza, dunque, per un comprensorio di rag-guardevole peso, ma penuria di spazio a disposizioneche non consente neppure il dovuto risalto circa altrenovità emerse da indagini dell’ultima ora, come quelleinerenti la Chiesa di San Francesco e dovute a VittoriaTorre.Dopo l’ottavo tragitto – il cui titolo riferito a Nicolò dellaCella, nativo di Cabanne e protagonista di episodî chedella zona disegnano uno spaccato sociale finora som-merso, senza però dimenticare quanto profondo fu, an-cora per tutto il Cinquecento, il rapporto dei Fieschicon il territorio del Tigullio interno (Andrea Lercari) –concludo questa rassegna con un breve commento sulnono itinerario che, come i precedenti, crea l’opportu-nità di segnalare temi inediti e stimolanti. Tali, infatti,sono specialmente quelli da riferire al complesso di SanNicolao di Pietra Colice, dove campagne di scavo – di-rette, le prime nel 1998, da Alessandra Frondoni e lesuccessive da Fabrizio Benente – hanno riportato in lu-ce a partire dal 2001 un organismo per l’assistenza deipellegrini tra i più grandiosi della Liguria, dotato diun hospitale di ampie dimensioni e di una chiesa, conplanimetria a croce immissa, già nota dal 1222 e rileva-ta, a suo tempo, da Leopoldo Cimaschi.

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In chiusura, infine, mi rimane da segnalare una pre-ziosa finestra in cui Marina Cavana discute uno dei pro-blemi più caldi della critica odierna in loco: la questio-ne circa l’identità, la cronologia e la diffusione dell’ar-chitettura cosiddetta eulitica. La sua risposta al quesito –che mi trova in pieno accordo – è ulteriore confermadella qualità scientifica di questa Guida, che crea un’in-novativa occasione di lettura dell’area ligure considerata,di cui tramanda, difendendola, la testimonianza arti-stica radicata nel territorio: un valore, dunque, di altoprofilo se è vero – come è vero – che la memoria è la ra-dice del futuro.

COLETTE DUFOUR BOZZO

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FOTOPIANO (SCALA 1 : 25)DEL PORTALE DELLA “BA-SILICA” DI SAN SALVATO-RE DI COGORNO(MARCO GASPARINI)

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SOMMARIO

I FIESCHI: UNA FAMIGLIA EUROPEA NELLA LIGURIA DEL MEDIOEVO 17

LA CULTURA ARTISTICA FLISCANA: I FIESCHI E L’ARTE 29

N O V E I T I N E R A R Î A L L A S C O P E R T A D E I F I E S C H I

I I FILII TEODISII E L’ORIGINE DEL POTERE DEI CONTI DI LAVAGNA 43

II LA RITIRATA DI FEDERICO BARBAROSSA PER LE MONTAGNE DEI MALASPINA 53

III GIOVANNI FIESCHI DA CAMEZANA E LA VALLE DI GARIBALDO 61

IV DANTE E LA “FIUMANA BELLA” 69

V IL PASSAGGIO DI ENRICO VII DI LUSSEMBURGO NELLA RIVIERADA RECCO A PORTO VENERE 77

VI LA SANTA DEI FIESCHI: CATERINA (1447-1510) 87

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VII BARTOLOMEO FIESCHI "DELLE INDIE", AMICO DI CRISTOFORO COLOMBO 99

VIII IL BANDITO NICOLÒ DELLA CELLA 109

IX ELISABETTA FARNESE, SPOSA A FILIPPO V DI SPAGNA 119

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I Fieschi:una famiglia europeanella Liguria del Medioevo

enza soffermarsi sulla complessa origine delle fa-miglie appartenenti al consorzio dei conti di La-vagna, gli studî che da alcuni anni sono stati in-

trapresi hanno offerto indubbiamente nuovi spuntiper una riconsiderazione della reale importanza delclan nella storia di Genova e della Liguria, soprattuttofra la seconda metà del XII secolo e la prima Età Mo-derna. È però vero che il rapporto con le istituzioni ec-clesiastiche sovrasta tutta la storia dei conti di Lava-gna. Se i Fieschi, certamente il ramo più importantedel clan, ebbero nella Chiesa il loro naturale referenteoltre a costituirne il principale centro di potere, anchele altre famiglie, collegate e affini, trovarono piena ri-spondenza nelle istituzioni ecclesiastiche. Non devonoinfatti essere passati sotto silenzio i rapporti interni alCapitolo metropolitano genovese, gestito principal-mente da membri del consorzio o da famiglie appun-to affini, come i Bianchi e i signori di Cogorno che, perl’evidente sovrapposizione territoriale, ebbero – tran-ne poche, sporadiche eccezioni – una politica “al trai-no” di quella condotta dal cardinale espresso in quelmomento dai Fieschi. Ma non deve essere dimenticataanche la presenza costante di questo gruppo di fami-

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LO STEMMA DELLA FAMIGLIAFIESCHI IN UN’INTERPRETA-ZIONE SETTECENTESCA, SOR-MONTATO DALL’ANIMALEARALDICO (UN GATTO SEDU-TO) E DAL GRIDO D’ARME:SEDENS AGO

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glie nei capitoli e nelle realtà ecclesiastiche di tutta lazona compresa fra Liguria Orientale, Emilia e BassoPiemonte: basti pensare alla Diocesi di Parma, a quel-la di Brugnato, a quella di Savona, o alla loro ingeren-za a più titoli nella Diocesi di Tortona e in quella di Sar-zana, per non considerare il loro interesse alle impor-tanti abbazie di San Paolo di Mezzano (Scotti) in ValTrebbia, di Sant’Alberto di Butrio, di San Nazzaro Se-sia, di Nostra Signora di Vezzolano, o nel sorgere stes-so della Diocesi di Mondovì.È proprio la montagna appenninica a costituire, accan-to alle istituzioni ecclesiastiche, l’altro centro nevralgi-co del loro potere, la base alla quale attingere quelle ri-sorse umane da cui trarre – più che aiuti economici –collaboratori fidati attraverso i quali attuare il control-lo dell’area, oppure dalla quale chiamare contingentimilitari fidati per compiere rapide incursioni su Ge-nova, città da sempre oggetto del loro interesse matuttavia non essenziale al progetto di espansione.Da Genova essi avranno infatti spesso problemi: bastipensare alla vendita forzata dei feudi di Nicolò Fieschinel 1276 o alle vicende del Trecento e del Quattrocen-to, senza contare che essa rappresentò proprio la lororovina quando Gian Luigi il Giovane tentò un colpo dimano che ancor oggi appare poco comprensibile e tut-to sommato inutile ai fini della politica familiare.Genova costituiva infatti, per così dire, una sorta di“vetrina” per le attività economiche e imprenditoria-li (comunque limitate) dei Fieschi e dopo l’assesta-

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UNO STEMMA FIESCHI GRAF-FITO SULLE PARETI DELL’AB-BAZIA DI SANT’ALBERTO DIBUTRIO.

UN PARTICOLARE DELL’ABBA-ZIA DI SANT’ALBERTO

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mento territoriale raggiunto, nella seconda metà delXV secolo, con grande tenacia – ma anche con grandefatica – da Gian Luigi Fieschi il Grande, l’oligarchia cit-tadina non rappresenterà più una minaccia effettivaper l’integrità di quello “Stato” costituito dal Fieschifra l’immediato entroterra della Repubblica di Genovae la Pianura Padana. L’abilità di Gian Luigi il Grandeconsistette, infatti, nel rappresentare il principale ele-mento di pressione sul governo cittadino, cercando co-sì di dirigere – o perlomeno indirizzare – a proprio fa-vore gli equilibrî genovesi.La riforma costituzionale di Andrea Doria (1528), co-me più volte è stato scritto, non costituì pertanto unelemento di preoccupazione né – tutto sommato –l’“ingerenza” dell’ammiraglio poté rappresentare unproblema reale per gli interessi dei Fieschi. Difficile,quindi, comprendere quali furono i motivi scatenantidel risentimento nell’animo di Gian Luigi il Giovane; dif-ficile comprendere in quale ambiente maturò il pro-getto della Congiura o a quali fini realmente tendesse.Forse Gian Luigi poteva essere animato dal desideriodi farsi signore di Genova, in un confuso processo diemulazione/identificazione con Pier Luigi Farnese, sen-za tuttavia comprendere la diversità intrinseca di Ge-nova e dei Genovesi, una diversità grazie alla qualeanche alla sua famiglia era stato possibile emergere edifferenziarsi all’interno del tessuto urbano.Ma questo è soltanto uno degli aspetti della storiadella famiglia. Il momento più importante è infatti

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GIAN LUIGI FIESCHI IL GIO-VANE IN UNA INCISIONE OT-TOCENTESCA

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quello che dalla fine del XII secolo arriva a metà Tre-cento, quando – grazie anche alla spinta impressa dalcardinale Sinibaldo Fieschi, poi papa Innocenzo IV – lacasata palesa tutta la propria ambizione familiare e –perché no – sfoggia tutta l’abilità politica e diplomati-ca. È l’utilizzo che Innocenzo IV fa dei proprî familiari,che invia in ogni parte del mondo allora conosciuto, fi-nanche in partibus infidelium, che vorremmo evidenzia-re: è il caso di Opizzo Fieschi (mandato in un primo mo-mento in Europa Orientale, che sarà artefice di un’in-tricata trama di rapporti tra la Chiesa di Roma, l’Un-gheria, la Polonia e la Lituania e quindi, promosso pa-triarca di Antiochia, con lo strategico Regno Armenodi Cilicia, relazioni che permetteranno alla famiglia diimporsi a livello internazionale), o quello del cardinaleOttobuono (anch’egli papa, seppure per pochi giorni,con il nome di Adriano V, legato apostolico in Inghil-terra), che inizierà un legame stabile del clan con i Plan-tageneti. La legislazione ecclesiastica emanata (nel sol-co e nella tradizione dello zio Innocenzo IV) da Otto-buono durante la sua legazione sarà tra l’altro osser-vata quasi fino ai giorni nostri, poiché nel 1679, a Ox-ford, W. Lyndwood, nel pubblicare il Provinciale seuConstitutiones Anglie, ovvero il corpus legislativo dellaChiesa Anglicana, vi comprenderà le Constitutiones le-gatine domini Othonis et domini Othoboni. E come nonrinviare il pensiero a una miniatura del XIV secoloconservata al British Museum di Londra, che raffigurauna seduta del Parlamento inglese presieduta da re

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PAPA ADRIANO V (OTTO-BUONO FIESCHI) IN UNA IN-CISIONE SEICENTESCA.

A LATO, PAPA INNOCENZOIV (SINIBALDO FIESCHI) INUN PARTICOLARE DI UNA IN-CISIONE SEICENTESCA

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Edoardo I: il monarca, assiso in trono, è affiancato allasua destra dal re di Scozia Alessandro III e dall’arci-vescovo di Canterbury; alla sua sinistra dal principe diGalles e dal legato apostolico, Ottobuono Fieschi, inabiti pontificali e con il proprio seggio sormontato dal-l’emblema pontificio, uno scudo scarlatto caricato dadue chiavi bianche decussate. Come non ricordare l’ar-civescovo di Ravenna Bonifacio Fieschi, più volte men-zionato da Dante, o il cardinale Luca, nipote di Otto-buono, due volte legato apostolico in Inghilterra e con-tinuatore dei rapporti con la casa reale inglese, relazio-ni sincere e fiorenti, proseguite ancora per tutto il Tre-cento attraverso l’amicizia e la dedizione del futuro

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LONDRA, BRITISH MUSEUM:MINIATURA DEL XIV SECOLORAFFIGURANTE UNA SEDUTADEL PARLAMENTO INGLESE.NEL PARTICOLARE, REEDOARDO I PLANTAGENETO,ASSISO SUL TRONO SORMON-TATO DALLE ARMI REALI, ÈAFFIANCATO, ALLA SUADESTRA, DAL RE DI SCOZIAALESSANDRO III; ALLA SUASINISTRA DAL PRINCIPE DIGALLES E DAL LEGATOAPOSTOLICO, OTTOBUONOFIESCHI

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vescovo di Vercelli (e cardinale) Emanuele Fieschi conlo sfortunato re Edoardo II (che trovò rifugio pres-so l’abbazia di Sant’Alberto di Butrio proprio grazie aEmanuele, allora semplice chierico tortonense) e ilfiglio Edoardo III.Ma la fortuna internazionale della famiglia è dovutaanche all’attività di alcuni cardinali “delle origini”, a Ru-baldo da Lavagna, ma soprattutto al cardinale Man-fredo da Lavagna, virum nobilem et sapientem come vie-ne definito dall’annalista Caffaro, alla sua azione poli-tica e diplomatica dapprima a favore del Comune diGenova presso il pontefice Adriano IV – l’inglese Ni-cholas Breakspear (forse un caso?) – e poi, promossocardinale dal suo successore, Alessandro III, inviatocon il cardinale Pietro Caetani (e sui rapporti fra que-st’ultima famiglia e i Fieschi varrebbe la pena di an-dare più a fondo) legato apostolico a re Guglielmo ilMalo di Sicilia. È però l’attività svolta da Manfredo inquel complesso periodo della seconda metà del XII se-colo presso la Lega Lombarda e il variegato ambientedei comuni e dei differenti signori locali dell’alta Italiache caratterizza l’ascesa politica e sociale del casato.È infatti un’abile sinergia di differenti strategie l’azio-ne politica dei Fieschi: ove non sia possibile raggiun-gere il controllo diretto dei territorî (o, come nel casodi Nicolò a fine Duecento, dove sia necessario rinun-ziarvi a favore di una potenza in quel momento piùforte), essi manterranno comunque il più possibile in-tatto il complesso dei loro beni allodiali, delle loro pro-

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LA PRESUNTA TOMBA DEL RED’INGHILTERRA EDOARDO IIPLANTAGENETO NEL CHIO-STRO DELL’ABBAZIA DISANT’ALBERTO DI BUTRIO

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prietà: è il caso di Lavagna, i cui diritti signorili saran-no rinunziati in favore del Comune di Genova nel 1166,ma i cui smisurati possessi resteranno intatti ancoraper secoli. Sull’altro versante, il controllo di diocesi“propedeutiche” al progetto territoriale attraverso l’in-sediamento di proprî familiari – o di parenti e affini –sulle cattedre episcopali, permetterà ai conti di Lava-gna di estendere ulteriormente i confini della propriaarea d’influenza. Forse, più che “Stato”, sarebbe op-portuno definire il territorio al quale, in qualche mo-do, furono interessati i Lavagna proprio come “area diinfluenza”: solo così è infatti possibile spiegare la loropresenza in diocesi come Parma o Sarzana, ma ancheAlbenga, Mondovì, Noli, Savona o Vercelli.Tuttavia, quale il fine, quale il progetto che sottende aquesto complesso e delicato processo gravitazionale?A nostro avviso un progetto semplice e quanto mai an-tico: il controllo del territorio. Però non un controllo me-ticoloso, pesante e soffocante come quello attuato giàallora da altri signori feudali, ma leggero, malleabile,che si adatti e rispetti le differenti realtà locali e che, at-traverso la frequente concessione di esenzioni e be-neficî, sappia guadagnarsi la fiducia degli uomini. E ilprogetto, tutto sommato, paga e – in un certo senso –è vincente; nel più duro momento della disfatta, quan-do la rocca di Montoggio, l’11 giugno 1547, viene e-spugnata dalle truppe imperiali, fra i soldati fedeli alconte Gerolamo Fieschi si contano uomini venuti datutti i suoi feudi: Pontremoli (i cui abitanti, come

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IL “TERMINE DEL GATTO”,UNO DEI CIPPI CHE SEGNAVA-NO I CONFINI DELLO “STATOFIESCHI” FRA VAL DI TARO EVAL DI MAGRA

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narra l’annalista pontremolese Bernardino Campi, im-pauriti dalla possibile rappresaglia imperiale, si rifu-giano in territorio farnesiano), Borgo Val di Taro (delquale Gerolamo Manara, appartenente a una delle fa-miglie più eminenti del borgo, sarà brutalmente tru-cidato all’atto della conquista della rocca), Varese (Li-gure), Santo Stefano (d’Aveto), Torriglia, la stessa Mon-toggio, Garbagna, Grondona, Varzi. Un arco di terreche dalla Lunigiana risale nell’Appennino Parmense,prosegue a Occidente per quello Piacentino; ridiscen-de per l’Oltrepò Pavese per ripiegare quindi verso la

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UN PANORAMA DEL QUAR-TIERE SUPERIORE DI PONTRE-MOLI

IN BASSO, UN ARCHITRAVE DIINIZIO CINQUECENTO CON ILNOME DI GIAN LUIGI FIESCHIE GLI STEMMI DELLA COMU-NITÀ DI BORGO VAL DI TARO(A SINISTRA), DEI FIESCHI (ALCENTRO) E DELLA FAMIGLIAPLATONI (A DESTRA)

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Liguria, comprendendo tutta l’area del Tortonese alladestra della Scrivia: in sintesi quello che Jacques Heersnel suo Genova nel Quattrocento definisce “Stato Fieschie Malaspina”.Già, i Malaspina. Una famiglia con la quale, secondouna trattazione superficiale, vi sarebbero stati frequen-ti lotte di potere: nulla di più inesatto. I Malaspina rap-presentarono infatti il modello di riferimento per i pri-mi conti di Lavagna quando, verso la metà del XII se-colo, essi si mostrarono stabili e fidati alleati del mar-chese Opizzo, amico e nemico a fasi alterne dell’im-peratore Federico I Barbarossa. Per inciso, proprio aOpizzo Malaspina appartennero quasi tutti i territorîdove, nel corso dei secoli, si sarebbero insediati i di-scendenti dei conti di Lavagna e quindi dei Fieschi.Ma la secolare alleanza dei Fieschi con i Malaspina an-drebbe approfondita e non è possibile limitarla – comesin qui è stato fatto troppe volte – alla (abusata) di-scendenza di Moruello Malaspina e di Alagia Fieschi,figlia di Nicolò, sorella del cardinale Luca e ricordatada Dante: più complessi e frequenti appaiono infatti irapporti e le alleanze matrimoniali fra le due famiglienell’area compresa fra la Lunigiana e le valli dell’A-veto, della Trebbia, della Stàffora e del Curone, comeun monumentale lavoro di Giorgio Fiori lascia intra-vedere.Le alleanze matrimoniali sono un altro punto nevral-gico della gestione del potere: un aspetto che avrebbepermesso ai Fieschi di imparentarsi con le più impor-

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LA CONFLUENZA DEL TOR-RENTE AVETO NELLA TREB-BIA, AL CENTRO DEI POSSESSIDEI MARCHESI MALASPINA

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tanti casate dell’epoca come i conti di Savoia, attraver-so i quali essi si congiungeranno con le case reali di Fran-cia, Inghilterra o Armenia. E una ulteriore, approfon-dita analisi dei procedimenti matrimoniali dei Fieschiraffrontata con i modelli elaborati per il XII secolo daGeorges Duby, potrebbe riservare non poche sorprese.Difficile affrontare, quindi, uno studio di questa fami-glia che prescinda dalla storia istituzionale in sensostretto; impossibile comprenderne la reale importanzasenza calarla nella storia generale della Chiesa, re-stringendola soltanto a quella genovese: i confini me-tropolitani di Genova furono infatti sempre stretti aiFieschi. Solo nel contesto europeo - invece - la loro azio-ne in campo ecclesiastico appare veramente compren-sibile e solo in esso è intelligibile quella serie ininter-rotta di cardinali e quel numero – che difficilmente tro-va paragoni in altre casate – di abati, vescovi o arci-vescovi. Forse è questo il principale errore in cui spes-so si incorre: i Fieschi sono sì una famiglia genovese insenso stretto, ma non certamente in quello lato, poichéessi – contrariamente a tutte le altre famiglie liguri, a ec-cezione forse (e comunque in una fase molto più tar-da) dei Della Rovere – appartennero a quell’élite co-smopolita che gravitava attorno alla Curia Romana, do-ve il continuo scambio di informazioni e l’incessantecontatto di culture e popoli differenti può finalmentefar comprendere le loro reali funzioni in ambito lo-cale, soprattutto a Genova e in Liguria.Non è quindi un caso che nell’unico momento finora

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L’ATTUALE CAPPELLAFIESCHI NELLA CATTEDRALEDI SAN LORENZO. SOTTO UNPARTICOLARE DELLA STESSA

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studiato – e da quel grande maestro che fu RobertoSabatino Lopez – in cui i Fieschi si spinsero in specu-lazioni economiche, essi abbiano i loro referenti pro-prio nei banchieri al servizio della Chiesa: i Bonsignoridi Siena, i Leccacorvo di Piacenza.È in definitiva la dimensione europea e della sua e-spansione verso l’Oltremare e l’Africa del Nord, in po-che parole fra il Nord Europa e il Mediterraneo: que-sto è l’autentico campo d’azione dei Fieschi e non solol’orizzonte dell’impero coloniale di Genova.E ancora per Lopez non è un caso che proprio in quelmomento di metà Duecento venisse reintrodotta a Ge-nova la monetazione aurea grazie alla materia primaproveniente dalle miniere dei Fieschi in Tunisia: unaautentica quanto abile operazione di propaganda po-litica cittadina nell’unico, breve periodo, in cui illi deFlisco si identificarono con il “guelfo” Comune di Ge-nova.La vera grandezza del casato passa quindi attraverso ilegami di parentela con i della Volta, con gli Zaccaria,con gli Embriaci signori di Jbeil, con i tradizionali al-leati Grimaldi, che alla fine del XIII secolo costituisco-no con un colpo di mano una piccola – ma per Genovaassai insidiosa – signoria a Monaco. Così, verso la finedel XV secolo, ripensando forse ai grandi orizzonti chei membri del casato avevano lungamente attraversato– dall’Europa Orientale all’Armenia e l’Oltremare diOpizzo all’Inghilterra, la Francia e la Spagna di Ottobuo-no e Luca – i Fieschi trovano la forza, ancora una volta,

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GLI STEMMI DELLE FAMIGLIECOMPONENTI L’ALBERGOFIESCHI (1528) IN UNA COPIAMANOSCRITTA DELLA NOBIL-TÀ DI GENOVA DI AGOSTINOFRANZONI (XVIII SECOLO)

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di guardare oltre, di muoversi là dove altri tentennanoo esitano. Teodoro Fieschi, fra il 1454 e il 1456, è infattiimpegnato a Caffa in una società di cui costituisce, dasolo, più di tre parti del capitale, operazione che saràripetuta qualche anno più tardi da Francesco Fieschi,appaltatore sotto la nuova signoria degli Osmanli.Tutto sommato è soltanto un modo differente di inter-pretare la dimensione intravista con le spedizioni algran khan dei Mongoli volute nel 1245 da InnocenzoIV: è l’apertura degli spazî, lo stravolgimento dei con-fini geografici fino allora conosciuti il vero termine diparagone di questa famiglia.E così, in un tardo Medioevo dagli “orizzonti aperti”,il lignaggio guarderà a Occidente, verso l’ignoto, conquel Bartolomeo Fieschi detto delle Indie perché amicoe compagno di Cristoforo Colombo, che accompagnònel quarto e ultimo viaggio e che di lui conobbe l’ama-rezza degli anni del retiro.Queste, in sintesi, le principali linee della storia deiFieschi fra Medioevo ed Età Moderna; questi i suoiorizzonti, la sua grandezza, l’apertura mentale, cheancor oggi può aiutare a essere maggiormente euro-pei, veri cittadini del mondo.

DANIELE CALCAGNO

PAPA INNOCENZO IV (SINI-BALDO FIESCHI) IN UN PARTI-COLARE DELL’AFFRESCO DEL-LA CERCHIA DI BERNARDINOE LORENZO FASOLO, NELLALUNETTA DEL PORTALE DELLA“BASILICA” DI SAN SALVATOREDI COGORNO

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La cultura artistica fliscana:i Fieschi e l’arte

atto, Gatto! è questo il grido di battaglia deiFieschi - conti di Lavagna -, ma il modo di sug-gellare il controllo e la presenza sul territorio

non è tanto con la forza, quanto attraverso una com-mittenza prestigiosa, spesso di alto se non altissimo li-vello, che coinvolge non soltanto oggetti preziosi ostrutture monumentali, ma anche edificî funzionali,che si presentano, però, con una veste raffinata, fruttodell’utilizzo di maestranze specializzate.Segnare uno spazio con un monumento significa ren-derne evidente il suo controllo; se il manufatto è poiarchitettonicamente perfetto e unico, vuol dire ag-giungere e veicolare un ulteriore messaggio di presti-gio, cultura, aulicità, soprattutto se i modelli ripropo-sti sono autorevoli e di casate reali, oltre che esclusivi.Le tracce fliscane reperite anteriori al Duecento sonooggi ancora sporadiche, anche se già molto significa-tive: segni indelebili sul territorio, che attestano la ri-chiesta e il finanziamento di opere raffinate, una pertutte il dongione di Zerli, una torre di ridottissime di-mensioni ma che, nell’apparato murario a bugnato, staal pari con le grandi costruzioni occidentali del tempodelle Crociate: un’architettura che sembra un gioiello,posto a suggellare la presenza della famiglia in questavalle laterale. Negli stessi anni, a Parma, Opizzo da La-

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NE: IL DONGIONE DI ZERLI(XII SECOLO)

A FRONTE, SIGILLO DI GIANLUIGI FIESCHI IL GRANDE

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vagna, vescovo della città, ha probabilmente una parteimportante e determinante nell’affidare a Benedetto An-telami l’esecuzione del Battistero.Talvolta si tratta, ancora, di ipotesi o intuizioni sullacommittenza, che lasciano, tuttavia, intravedere qual-cosa di molto più vasto e importante, che tocca i gran-di cantieri del Medioevo: il legame di Rubaldo, cardi-nale e vescovo di Modena, con i lavori di abbellimen-to del duomo - la Porta di Artù -, oppure il ruolo svoltoda Innocenzo IV nei cantieri lateranensi o ancora icontatti fliscani di matrice artistica con la Francia - eLuigi IX in particolare - o con l’Outremer.Se le premesse - come si è visto - esistono già, è con ilXIII secolo che il rapporto tra i Fieschi e l’arte si fa piùevidente. Il secolo si apre con l’edificazione in muratu-ra del ponte della Maddalena con annessi l’ospedaledi San Lazzaro e la chiesa di Santa Maria Maddalena.L’opera, che ha una forte componente funzionale, perla sua monumentalità - tredici arcate, quando rari era-no in genere i ponti in pietra - presuppone un grossoinvestimento finanziario, la cui ricaduta ha soprattut-to una valenza di prestigio. Questo primo atto culmi-nerà di lì a poco nella committenza e conseguente edi-ficazione della “basilica” di San Salvatore “dei Fieschi”,patrocinata da Innocenzo IV e terminata da Adriano V- i due papi Fieschi -. Il suo progetto, con l’introdu-zione del grande rosone - sovradimensionato - prove-niente direttamente dalla Francia - Saint Denis, forse,non a caso -, porta nella nostra regione le prime novità

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LAVAGNA: PARTICOLARE DELPILONE MEDIEVALE SUPERSTI-TE DEL PONTE DELLA MAD-DALENA (XIII SECOLO)

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del gotico francese.Se il San Salvatore, con la sua possente torre nolare e ilgrande rosone, segna in maniera quasi prepotente ilterritorio e diviene l’edificio religioso a cui far riferi-mento nelle committenze successive, i palazzi civili distampo urbano - ad ampî loggiati con paramento inbugnato a cuscino, polifore ai piani superiori e uso

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COGORNO: IL ROSONE DELLA“BASILICA” DI SAN SALVATO-RE DI COGORNO (XIII SECOLO)

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della bicromia - fanno la loro comparsa anche in am-bito rurale o periferico, con un trasferimento di tipolo-gie architettoniche del tutto originale.San Salvatore può a buon diritto essere consideratal’insula fliscana del Tigullio, a Genova questa nasceisolata, sulla collina di Carignano, attorno alla chiesadi Santa Maria in Via Lata, voluta dal cardinale Lucanel 1336, rifacendosi a un modello aulico: il Sant’A-driano di Trigoso (Sestri Levante), fondato da Otto-buono, futuro papa Adriano V.L’apogeo della committenza - soprattutto architettoni-ca - lo si raggiunge - come si è visto - con il Duecentoe Trecento, ma le realizzazioni patrocinate dai Fieschisi protraggono con regolarità almeno fino alla Con-giura del 1547, per essere poi ridimensionate, ma pro-34

GENOVA: SANTA MARIA INVIA LATA IN UNA LITOGRA-FIA DI N. ORSOLINI (1839) E,IN BASSO, UN ELEMENTO ER-RATICO PROVENIENTE DAL DI-STRUTTO PALAZZO FIESCHI DISANTA MARIA IN VIA LATA(FINO AGLI ANNI CINQUANTADEL NOVECENTO ERA POSSI-BILE LEGGERE NEL CARTIGLIOIL NOME SINIBALDUS, PADREDI GIAN LUIGI FIESCHI ILGIOVANE)

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seguire magari in altri luoghi, per esempio a Parigi.Uno degli episodî più significativi dell’Età Moderna èsenz’altro l’ammodernamento - secondo i criteri piùaggiornati - del castello di Montoggio, capolavoro del-l’arte fortificatoria, praticamente inespugnabile e pro-tagonista indiscusso del lungo assedio a seguito dellaCongiura.Completamento di qualsiasi edificio è la decorazionepittorica e plastica. Anche in questo la committenza

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MONTOGGIO: LA FRONTE IN-TERNA DEL CASTELLO DEIFIESCHI AFFACCIATA SUQUELLO CHE FU IL CORTILEINTERNO

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GRONDONA, CHIESA DELLAANNUNCIAZIONE DI NOSTRASIGNORA: PAPI, IMPERATORI,CARDINALI, VESCOVI E SANTIE, IN BASSO, LA VERGINE CONIL BAMBINO (XV-XVI SECOLO)

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fliscana primeggia, per esempio, con l’impiego dei mi-gliori artisti sulla piazza e non importa che l’edificioda affrescare sia in Valle Spinti, come la piccola cap-pella dell’Annunziata. L’artista ingaggiato sembra es-sere Franceschino Boxilio, che ricopre le intere paretidella semplice aula, trasformandola in un vero gioiel-lo dell’arte tardo quattrocentesca e primo cinquecen-tesca del Basso Piemonte.Nella Genova del Quattrocento, arrivata nel XIV seco-lo all’apice delle sue fortune, la classe dirigente trasfor-ma le dimore, di chiaro stampo medievale, con accor-pamenti e addizioni. La caminata - punto focale dell’a-bitazione - rinnova il suo aspetto con nuovi decoriparietali. Dalle fonti notarili è un susseguirsi di ingag-gî, con chiari riferimenti ai modelli da seguire: traquesti ci sono gli affreschi fatti realizzare nel propriopalazzo da Paride Fieschi in quegli stessi anni, che sipongono inequivocabilmente come modello prestigio-so.La committenza coinvolge - e non poteva essere diver-samente - anche l’ambito della scultura - architettoni-ca e figurativa -, con esiti del tutto originali. Basti quiricordare la sontuosa tomba per il cardinale Luca -morto nel 1336 - posta nella cattedrale di Genova, do-ve la realizzazione dell’impianto architettonico e scul-toreo si deve a due maestri pisani, in linea con le no-vità del momento. Questi creano il più grandioso,complesso e articolato monumento funebre del Tre-cento genovese, secondo solo a quello di Margherita

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GENOVA, MUSEO DIOCESA-NO: L’ATTUALE RICOMPOSI-ZIONE DELLA TOMBA DELCARDINALE LUCA FIESCHI(XIV SECOLO)

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di Brabante di Giovanni Pisano.Fino a questo punto si è focalizzata l’attenzione so-prattutto sugli edificî, entità che in maniera macrosco-pica segnano il paesaggio e che colpiscono immediata-mente l’osservatore. Si deve, però, ricordare comequeste strutture fossero completate dalla presenza dioggetti, spesso artistici, donati e commissionati dallafamiglia Fieschi, che andavano ad arredare e arricchi-re i già prestigiosi edificî. La maggior parte di questimanufatti sono andati dispersi, ma restano i moltiInventarî e qualche esemplare, sufficiente a rendere

GENOVA, MUSEO DIOCESA-NO: PARTICOLARE DELLATOMBA DEL CARDINALE LUCAFIESCHI (XIV SECOLO)

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evidente non soltanto il gusto e la cultura dei commit-tenti, ma anche l’ampio raggio di relazioni che la fami-glia ha sempre intessuto e mantenuto. Valga per tuttila splendida Croce pettorale con reliquia (enkolpion), tra-dizionalmente donata alla “basilica” di San Salvatore“dei Fieschi” da papa Innocenzo IV, oggi inserita inuna stauroteca in argento dorato della seconda metàdel XVI secolo. La reliquia della Vera Croce è inglobataall’interno di una Croce di Lorena in cristallo di rocca eargento di manifattura orientale (IX secolo). Di questooggetto esiste ancora la custodia originaria (staurotecaFieschi-Morgan), attualmente conservata al Metropo-litan Museum di New York; il pezzo è stato recente-mente messo in relazione con oggetti di produzionecostantinopolitana - imperiale? - della prima metà delIX secolo, facendo ipotizzare l’acquisto da parte delpapa di un vero e proprio gruppo di reliquie di grandevalore anche materiale, donato ai suoi uomini più fi-dati, riservando (1245) per la “basilica” di famiglia lareliquia più preziosa in assoluto.Committenti capaci, che introducono idee nuove e no-vità, ma sicuramente uomini colti - i segni forti lasciatisul territorio non possono che rivelare una vasta cul-tura, nel senso estensivo del termine -: sono note le ric-che biblioteche di Ottobuono e di Luca; il trattato diOttica, quello di Musica e quello di Medicina commis-sionati dallo stesso Ottobuono Fieschi, in Età ModernaSinibaldo Fieschi è un collezionista e fine conoscitoredi oggetti antichi, probabilmente in contatto con i più

CHIAVARI, MUSEO DIOCESA-NO (GIÀ COGORNO, “BASILI-CA” DI SAN SALVATORE): LASTAUROTECA CHE RACCHIUDELA CROCE PETTORALE INDOS-SATA, SECONDO LA TRADIZIO-NE, DA PAPA INNOCENZO IVAL I CONCILIO DI LIONE (IXSECOLO-XVI SECOLO)

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grandi Umanisti del tempo. La preziosa raccolta bi-bliografica è custodita e adorna lo splendido e sontuo-so palazzo di Via Lata a Genova, oggi non più esisten-te. Dalle parole di Paolo Pansa si evince come la cul-tura artistica romana approdi prima e in maniera piùcompiuta nel palazzo di Carignano, in anticipo di circavent’anni dalla realizzazione della fastosa abitazionedi Andrea Doria a Fassolo.Se il “principe” si sia ispirato al palazzo di Sinibaldo,questo non è dato sapere; la Congiura ha purtroppointerrotto bruscamente questa trama, fatta di commit-tenze e acquisizioni spesso di livello superiore, le cuitracce testimoniano in maniera ineluttabile un mododi concepire la politica territoriale molto vicina a quel-la delle case reali: fatta di segni forti e riconoscibili sulterritorio che veicolano un messaggio sì di capacità e-conomica e potere, ma soprattutto di cultura, alta, inlinea con le grandi committenze internazionali dell’e-poca.

MARINA CAVANA

GENOVA, SANTA MARIA INVIA LATA: PADRE ETERNOBENEDICENTE, ELEMENTOERRATICO DAL DISTRUTTOCOMPLESSO FLISCANO

A FRONTE, UNA PAGINA DEL-LE CARIGNANE DI PAOLOPANSA NELLA QUALE È DE-SCRITTO IL PALAZZO FIESCHIDI VIA LATA(CITTÀ DEL VATICANO,BIBLIOTECA APOSTOLICAVATICANA)

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RILIEVO FOTOGRAMMETRI-CO (SCALA 1 : 20) DELLATO EST DEL DONGIONEDI ZERLI(MARCO GASPARINI)

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I filii Teodisii e l’originedel potere dei conti di Lavagna

iverse sono le ipotesi intorno all’origine delpotere del consorzio familiare dei conti di La-vagna. Tuttavia, si è concordi nel ritenere che

essi debbano le ragioni della loro ascesa, da un lato, al-lo stretto rapporto con il territorio (forse) d’origine e, dal-l’altro, al solido rapporto, fin dagli inizî, con gli ambi-enti della Curia Romana e, più in generale, della Chie-sa Cattolica.È possibile supporre che questa famiglia, forse di ascen-denza obertenga, in un periodo e in un luogo impre-cisato, venne investita, forse più volte, dell’ufficio comi-tale e che, in un primo momento, i suoi membri furonodesignati semplicemente con il titolo di comes/comites,nel frattempo usurpato in titolo ereditario.Almeno a partire dal X secolo i conti di Lavagna si ra-dicarono sempre più fortemente nell’area del Tigullio,forse la propria zona di origine, acquistando terre e be-ni diversi, contribuendo probabilmente alla riorganiz-zazione del territorio avviata dai vescovi di Genova (cu-ria di Lavagna) e raggiungendo un certo grado di con-trollo su quel territorio e sull’entroterra del Tigullio at-traverso la concessione a livello (affitto) di beni vesco-vili. In seguito, essi assunsero il predicato di Lavagna,accostandolo all’antico titolo comitale e contribuendo,consapevolmente, all’equivoco causato dalla sovrap-posizione del titolo di comes con il predicato signorile.Cercando di consolidare sempre più il processo di for-mazione della signoria territoriale sul comprensorio la-vagnese e – progressivamente – sugli altri centri del Ti-gullio e del suo entroterra, i conti di Lavagna hanno con-

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ALCUNI MOMENTI DELL’AN-NUALE RIEVOCAZIONE (13AGOSTO), CURATA DAI SE-STIERI DI LAVAGNA, DELL’AD-DIO AL CELIBATO (ADDIO DOFANTIN) DEL CONTE OPIZZOFIESCHI A SAN SALVATORE DICOGORNO

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Il castello BrownIn vari momenti le vicende di Portofino si sono intrecciate ai casi dellafamiglia Fieschi.Nel 1409 il borgo è in mano ai Francesi e ai “guelfi” loro alleati; gli abitanti,guidati dal cardinale Ludovico e da Luca Fieschi, si asserragliano nella chiesadi San Giorgio, ma il 28 dicembre si devono arrendere; molti sono imprigio-nati mentre i due Fieschi abbandonano la Riviera. Vent’anni dopo il dogeTommaso Campofregoso, aiutato sempre dai Fieschi, si impossessa del castel-lo per opporsi al dominio di Filippo Maria Visconti. Nel 1434 troviamo castel-lano Gian Antonio Fieschi; mentre nel 1445 i Fieschi conquistano il fortilizio,così come nel 1513.Questo continuo interesse è motivato dalla posizione geografica di Portofino,che risulta essere uno dei migliori porti naturali della Liguria di Levante,mentre la morfologia del suo territorio ne decreta fin dalle origini la funzionedi presidio e militare, come punto chiave del sistema difensivo costiero.Nato per proteggere lo sbarco delle navi, con il tempo acquista un’importantefunzione strategica e difensiva a più ampio raggio. La tradizione, infatti, vuoleche già i Romani edificassero sulla penisola di San Giorgio un castrum conuna turris, alla quale nel Medioevo si sarebbe appoggiata una seconda torreda segnalazione. Questa struttura non avrebbe subito radicali modifiche finoai primi decenni del XV secolo, quando il saliente sarebbe stato trasformato inuna forma ellittica, che richiama il torrione della vicina Chiavari anche per laposizione del tutto simile. Il castello appare, comunque, già configurato secon-do lo schema attuale.Nel 1528 la Repubblica di Genova, a causa del conflitto fra Spagna e Francia edella minaccia turca, delinea un progetto di ampliamento e rafforzamento dellestrutture difensive, che culminerà nel 1554 con l’incarico all’architetto Giovan-ni Maria Olgiati; tale disegno risulta completato già nel 1557. Altre ristrut-

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turazioni si hanno nel 1624 e nel 1725. In Epo-ca Napoleonica è potenziato con nuovi arma-menti, ma con la fine di questa avventura per-de ogni valenza militare.Verso il 1870 l’edificio è acquistato, infine, dasir Montague Yeats Brown, che lo trasformain residenza privata, facendolo restaurare dal-l’architetto Alfredo D’Andrade. (FA)

L’IMPONENTE MOLE DEL CA-STELLO BROWN A PORTOFINO

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tribuito, certamente insieme ad altre famiglie signorilidell’area (Verzi, Vezzano, Passano, Lagneto, Nascio,etc., a loro affiancati nell’esazione delle decime vesco-vili nel comprensorio del Tigullio) all’incastellamentodella zona, perlomeno per i castra di Graveglia (attesta-to ante il 1076) e di Lavagna (attestato almeno dal 1110).Essi, spesso accanto ai Malaspina (per gran parte delXII secolo loro superiori feudali), si contrapposero ef-ficacemente all’avanzata del Comune di Genova nella Ri-viera Orientale, con il quale iniziarono a scontrarsi al-meno a partire dal 1110, anche se il processo può dirsiconcluso soltanto negli anni Settanta del XII secolo,quando da entrambe le parti si rinunciò al confrontoarmato, e quando Genova confermò ai comites Lavaniei proprî possessi e diritti a contro del riconoscimento,da parte degli stessi conti di Lavagna, della superiori-tà feudale di Genova sulla Liguria Orientale.Anteriormente (o comunque dal 1147), essi ottennero,forse grazie a una politica di sostegno del potere ve-scovile genovese nel Tigullio, la maggioranza (60%circa) delle decime (tasse) nelle cinque pievi della zo-na: Rapallo, Lavagna, Sestri (Levante), Moneglia eVara.A completamento di questo processo, i conti acquista-rono, probabilmente dal ramo obertengo degli Adal-berti, almeno metà dei loro beni feudali a Lavagna eparte di quelli a Sestri (Levante), ottenendo dagli anti-chi signori feudali dell’area – gli Obertenghi – i dirittidi banno (dazio) su tutte le strade di collegamento frail mare e l’entroterra, che furono loro confermati dal-l’imperatore Federico I Barbarossa nel 1158 o nel 1161assieme ai feudi acquisiti per diritto ereditario o con qual-siasi altro mezzo legale e alla vasta silva regia del MontePenna, a cavallo delle valli Sturla, Aveto, Taro e Vara,

L’ABBAZIA DI SANFRUTTUOSO DICAPODIMONTE E UN PARTI-COLARE DEL SUO CHIOSTRO

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I Fieschi fra San Fruttosodi Capodimonte e Santa MargheritaI Fieschi possedevano beni nel territorio di Santa Margherita(Ligure) almeno dall’inizio del XIII secolo: nel 1209 Alberto Fieschi,fratello di papa Innocenzo IV, vendeva alla chiesa di Santa Marghe-rita una terra nella zona di Pescino, in località Casa.Qualche anno più tardi ancora un altro fratello del pontefice, RuffinoFieschi, divenne abate del vicino cenobio benedettino di San Frut-tuoso di Capodimonte.Successivamente, avrebbero ottenuto la medesima carica alcuni reli-giosi di spicco di casa Fieschi: il discendente di un altro fratello di Si-nibaldo (Innocenzo IV), il cardinale Ludovico (1401-1413), quindiLorenzo (1487-1518), che ebbe in commenda l’abbazia insieme allechiese di Santa Margherita e di San Siro. Queste due parrocchie sa-rebbero state poi tenute da Obietto e Urbano Fieschi fino alla metà delXVI secolo. Agli anni di questi abati risale un parziale riordino del-l’antico archivio, testimoniato da un bello stemma coevo in testa al Li-ber instrumentorum del monastero, conservato a Roma presso l’Ar-chivio Doria Pamphilij Landi, ai quali, successivamente, furono con-cessi i beni del monastero.Documenti seicenteschi testimoniano, presso il borgo di Corte, in San-ta Margherita, l’esistenza della località in Fiesco, sulla quale sareb-be sorta villa Chiavari, oggi Durazzo, in posizione strategica, dominan-te sui borghi di Pescino e di Corte, nonché sugli accessi al mare e sul-la strada di crinale diretta a Ruta e all’abbazia di San Fruttuoso.

(BB)

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acquistando, fra 1164 e 1221, la restante metà dei benifeudali a Lavagna e Sestri (Levante) dai Malaspina.Forse la brillante ascesa dei comites Lavanie – la cuisvolta andrebbe quindi cercata negli anni a cavallo delprimo Millennio – risiede proprio nella decisa scelta dicampo compiuta agli inizî dell’XI secolo da Tedisio I,sempre che non la si debba ascrivere al padre Ansal-do. Un fatto è certo: il trampolino di lancio dei comitesLavanie è stato la scelta, fin quasi dai primi momenti,di porsi a fianco della Chiesa.E da quel momento non se ne discosteranno più.

(DC)

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I Fieschi a RapalloRapallo e il suo distretto sono presenti con continuità negli interessifliscani e delle altre famiglie del loro consorzio, spesso in rapporto aibeni che la Chiesa genovese e milanese detenevano in loco.Nel 1031 terre vescovili nella valle di Rapallo sono date in affitto aTedisio, mentre i conti di Lavagna tengono quote per la riscossione del-le decime nella locale pieve. L’addensarsi degli interessi e la loro per-sistenza è attestata da un pulviscolo di atti e di nomi, qui selezionatia titolo esemplificativo.Il 7 ottobre 1209 Alberto Fieschi, alla presenza di Ambrogio Fieschi,e di altri testimonî, vende per venti soldi a prete Giovanni della chie-sa di Santa Margherita in Rapallo una terra in Valle Pixini (SantaMargherita era allora un quartiere di Rapallo).Il 26 maggio 1254 Giacomo Boleto vende a Simona, vedova di Tedi-sio Fieschi, agente per conto del figlio Nicolò, una torre con terre inRapallo, in Pastinis, presso la chiesa di San Vincenzo (oggi non piùesistente, ma documentata ancora nel 1501). Il complesso sarà in se-guito acquisito da Ottobuono Fieschi (mulino della Tuia). Un’altratorre della famiglia sarebbe stata in salita alla Torre Domeneatto, inzona extramuraria, oggi una strada tra moderni palazzi.Nel 1273 viene rogato un documento che attesta l’attività “imprendi-toriale” dei Fieschi rapallini e la proprietà di edificî nel borgo: il 15agosto Giacomo di Testa di Bonifacio riceve da Simone di AlbertoFieschi e da tal Bucuccio la parte di una rapina fatta in accordo congli uomini di Porto Venere ai danni dei Veneziani; il rogito è redattoa Rapallo, sotto il portico di Ugolino Fieschi.Ottobuono Fieschi, il 4 marzo 1274, da Lione, sceglie Giovanni da Ra-pallo, canonico di San Lorenzo di Genova, come suo procuratore.

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I1 6 aprile 1276 Giovanni Fieschi e Ugolino Falacca, canonici della pie-ve rapallese di Santo Stefano, eleggono prevosto Gandolfo de Paretoe chiedono al cardinale genovese la ratifica.Non trova riscontri documentarî, allo stato attuale delle conoscenze,la notizia riportata da Giovanni Agostino Molfino circa un arredo del-la chiesa dei Santi Gervasio e Protasio (santi ambrosiani, e Rapallo fudipendenza di detta Chiesa): il pulpito seicentesco che reca le scenedella Passione di Cristo sarebbe stato riassemblato da Lorenzo Reddiutilizzando bassorilievi provenienti da una cappella voluta da Otto-buono Fieschi. La qualità del manufatto, molto raffinato, potrebbe an-che avvalorare tale informazione, tuttavia nessun documento relativoa Ottobuono cita questa cappella. (FC)

UN PARTICOLARE DEI BASSO-RILIEVI DELLA PROBABILECAPPELLA DI OTTOBUONOFIESCHI E, A LATO, UN PANO-RAMA DI RAPALLO DAL MARE

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UN PARTICOLARE DEI BASSO-RILIEVI DELLA PROBABILECAPPELLA DI OTTOBUONOFIESCHI NELLA CHIESA DEISANTI GERVASIO E PROTASIOA RAPALLO E, A LATO, ANCO-RA UN PANORAMA DAL MAREE IL CASTELLO DI RAPALLO

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Il mulino del cardinaleIl 9 marzo 1268 l’arciprete di Lavagna Gu-glielmo, procuratore del cardinale Otto-buono Fieschi (futuro papa Adriano V), lo-cava a Ugheto da Fontanabuona le terre ela casa con torre, forno e frantoio situatinella parrocchia di Sant’Ambrogio dellaCosta. Si trattava probabilmente dei beniche il futuro papa assegnò, con il suo te-stamento, alla “basilica” familiare di SanSalvatore di Cogorno e che comunque ri-masero proprietà dei Fieschi anche nei se-coli successivi. Ancora nel 1640, infatti,l’affittuario pagava regolarmente il terra-tico alla famiglia proprietaria.Il frantoio menzionato nel documento due-centesco non esiste più, ma nella medesi-ma località - Chiappa, sul confine fra i Co-muni di Rapallo e di Chiavari (via Cor-nice di Sant’Ambrogio) - è possibile vede-re ancora un vecchio mulino, segno di unacerta continuità produttiva.Certamente i Fieschi possedevano beni an-che nel territorio di Zoagli, dove la rileva-zione catastale del 1640 indicava, in loca-lità Forno e Norè, proprietà di Maddale-na Fieschi e degli eredi di suo figlio Inno-cenzo. (BB)

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ZOAGLI: IL MULINO OTTO-CENTESCO DI VIA CORNICE DISANT’AMBROGIO, CHE - FOR-SE - SORGE SUL SEDIME DEL-L’ANTICO MULINO DEL CAR-DINALE OTTOBUONO FIESCHI,DA LUI ASSEGNATO AI BENIDELLA “BASILICA” DI SANSALVATORE DI COGORNO

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La ritirata di Federico I Barbarossaper le montagne dei Malaspina

el 1167 l’imperatore Federico I Barbarossa, nel-la sua ritirata da Roma, fu costretto a scegliereun’altra strada per valicare gli Appennini, per-

ché la Via di Monte Bardone (l’odierno Passo della Ci-sa) gli era interdetta dall’ostilità dei Pontremolesi. Il mar-chese Opizzo Malaspina, giunto in soccorso all’impe-ratore, scelse un percorso che, attraverso i suoi estesipossessi della Montagna appenninica, fece giungereFederico e il suo esercito a Pavia. Il cammino seguì, perun primo tratto, quello della cosiddetta Via Regia e ta-gliò orizzontalmente la Val d’Aveto da dove, probabil-mente per Orezzoli, la carovana raggiunse la Val Treb-bia, Varzi e l’antica Ticinum. La Cronaca dell’Anonimopiacentino (1154-1284) racconta, infatti, che l’impera-tore, in fuga da Roma con quelli che erano sopravvis-suti agli scontri, raggiunse Pavia con il marchese Ma-laspina passando per diversi castelli della Toscana eper le montagne di Piacenza. Allora, mentre l’impera-tore attraversava le montagne con il marchese Opizzo,vedendole così erte e aspre, gli avrebbe domandato comepotesse vivere in quelle contrade, dove non vedevanulla di buono. Il marchese avrebbe risposto che vive-va e si arricchiva con le “volte”, ovvero con il commer-cio. La “volta” era una struttura architettonica composta

N

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LA TORRE DEL CASTELLOMALASPINIANO DI VARZI INUNA VEDUTA NOTTURNA E LAVAL D’AVETO DAL PASSODEL PESCINO, SULLA STRADAPER OREZZOLI

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I Benedettini di San Pietroin Ciel d’Oro di Pavia in Val d’Aveto

Nel cosiddetto atto di investitura o permuta del 1251 fra il marcheseCorrado Malaspina e i de Meleto, Corrado riservava a sé e agli eredi ilcontrollo di una parte del territorio della Val d’Aveto. Evidente eralo scopo di controllare le strade che, dai valichi posti fra la Val Nuree la Val di Taro - ossia fra il Passo del Tomarlo e il Monte Penna -,portavano in Val Trebbia e quindi a Piacenza, oltre alla strada versoFabbrica e Ottone o quella che, proseguendo in costa, seguiva l’anti-co percorso Genova-Barbagelata-Piacenza. Il pedaggio era esatto sul-le direttrici di Cella, Cefalco e, più in generale, di Val d’Aveto.A Villa Cella giungeva il percorso che, dalla Valle Sturla, immettevain Val d’Aveto e di qui - tramite le diverse alternative - scollinavaverso la Pianura Padana. Il prosciugamento del lago di Cabanne fa-vorì, però, la direttrice che dalla Valle Sturla giungeva al Passo delBozale e, quindi, alla stessa Cabanne. Al tempo di Gian Luigi Fieschiil Giovane, infatti, vi si riscuoteva il dazio. Lo svuotamento aveva e-liminato un giro vizioso, ma allo stesso tempo aveva decretato la crisidella direttrice passante per Villa Cella.L’opera sarebbe stata portata a termine - secondo la tradizione - daimonaci benedettini che, intorno al 1103, avevano fondato la cella diSan Michele di Pietra Martina. Essi provenivano dalla casa madre diSan Pietro in Ciel d’Oro di Pavia e facevano riferimento alla cortemonastica di San Pietro di Alpepiana, la cui chiesa (nel frattempopassata al clero secolare) nel 1252 era investita al chierico Armannode Lavania (o de Sanguineto, o de Meleto). A Villa Cella i monaci

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avevano eretto una piccola cella che an-noverò fra i suoi abati anche quel Ge-rardo da Cogorno, dei conti di Lavagna,che, passato a Borzone attorno al 1238, ènoto per aver fatto riedificare nel 1244,in forme aggiornate, la chiesa e il campa-nile dell’abbazia di Sant’Andrea. Il nucleoavetano era probabilmente composto - se-condo la prassi - dalla chiesa, dal chio-stro circondato dagli edifici per il clero eda altre strutture. Oggi resta soltanto lachiesa - dedicata a San Lorenzo e nonpiù a San Michele - che in alcuni puntisembra mostrare tracce di un tessutomurario medievale e pare individuareuna planimetria identica a quella attua-le. Sul sedime del monastero, invece, èstato probabilmente impiantato il muli-no di cui restano ancora vistose tracce.Alla fine del XIII secolo, intanto, nasce-vano in Valle nuove istituzioni rette dalclero secolare ed espressione delle fami-glie locali.Villa Cella perdeva, come già Alpepiana, lasua centralità e i monaci benedettini a-vevano quasi esaurito la loro parabola: ilmonastero di San Pietro in Ciel d’Oro diPavia stava cedendo il passo alla Diocesidi Tortona. (SS)

LA CHIESA DI ALPEPIANA, RI-COSTRUITA NEL XVII SECOLO.IN BASSO, UN PARTICOLAREDEL MULINO E DELLA CHIESADI VILLA CELLA

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da uno o più ambienti “voltati” - di qui il tipico nome- destinati al ricovero delle mercanzie, da una serie distalle per la sosta dei muli e - molto spesso - da un’aladestinata alla ricettività o al ristoro, principalmente ilpernottamento o il vettovagliamento dei conduttori(mulattieri) delle numerose carovane mercantili che al-lora interessavano l’Appennino. Talvolta queste strut-ture assumevano caratteristiche fortificate - se ne con-servano esempi in Val di Taro e in Val Polcevera - e inquesto caso l’edificio appariva più massiccio, con strut-ture di controllo agli accessi (garitte o posti di guardia)e l’intero complesso era facilmente e rapidamente bar-ricabile. Ancora oggi sono riscontrabili numerose strut-ture di questo genere in Val d’Aveto, alcune delle qua-li potrebbero essere ascrivibili al periodo della domina-zione dei Fieschi (1495-1547). Questo passo della Crona-ca, spesso citato in maniera errata, confondendo il ter-mine “volta” con il lemma latino vulnus (ferita, qui in-ferta al fine di derubare qualcuno), ha fatto sì che la fi-gura del marchese Opizzo fosse avvolta da una sortadi leggenda nera, con la quale sarebbe addirittura spie-gata l’origine del suo cognome: “mala” spina, “cat-tiva” spina. In realtà il marchese si arricchiva grazie aifiorenti traffici che interessavano la montagna appen-ninica, da sempre importante crocevia commercialefra Toscana, Emilia, Liguria e Lombardia. La principa-le vocazione dei Valdavetani, infatti, fu quella del mu-lattiere e solo con l’Unità d’Italia (ovvero con la sop-pressione delle barriere doganali - e dei dazî - fra Re-

QUANTO RESTA DI ALCUNE“VOLTE” IN VAL D’AVETO:PARAZZUOLO E VENTAROLA

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Bobbio non è mai giunto qui

Bobbio non è mai stato qui. Malgrado, da diversi anni, si sia cercatodi dimostrare la presenza del monastero colombaniano in Val d’Aveto,Bobbio non è mai giunto in queste contrade, se non si eccettuano unica-mente alcuni beni - proprietà - da lui tenuti nella corte avetana di Tor-rio. Così, l’importante presenza in Valle del monastero di San Pietroin Ciel d’Oro di Pavia (documentata dagli inizî dell’VIII secolo) e diquella - più sfumata - di San Paolo di Mezzano (Scotti) vengono pur-troppo cancellate dal pur benemerito Michele Tosi e da alcuni suoi col-laboratori sulle colonne di «Archivum Bobiense».Ancora, per dimostrare la presenza dei monaci scotti in Val d’Aveto,ci si ostina ad affermare che lo stesso monastero di San Pietro inCiel d’Oro di Pavia non avrebbe potuto che dipendere da quello di Bob-bio, per Michele Tosi unico “faro” di cultura a quel tempo in Pavia,allora capitale dello stesso Regno Longobardo.È invece importante sottolineare l’effettiva rilevanza del monasteroticinese in Valle, dapprima ad Alpepiana (luogo - locus - di proprietàdi San Pietro da prima del 714, da dove sicuramente prese le mossequel processo di organizzazione del territorio avetano ancor oggi rico-noscibile e caratterizzato da un insediamento sparso) e quindi a VillaCella (1103), abbazia anch’essa dipendente da San Pietro e origine diuna nuova fase della presenza di San Pietro in Ciel d’Oro in Val d’A-veto. Riconoscere il ruolo, la potenza e l’influenza di questi istituti ec-clesiastici (benedettini) sul territorio avetano e - più in generale - delTigullio, conoscerne la vera storia, apprezzarne le testimonianze an-cora esistenti può far comprendere meglio la storia di una società com-plessa come è stata quella della Val d’Aveto. (DC)

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gno di Sardegna e Regno Lombardo Veneto) e defini-tivamente con l’apertura delle moderne vie di comu-nicazione intorno agli anni Trenta del Novecento sipose termine a questa attività, provocando un rapidoabbandono della Valle e una forte migrazione verso leAmeriche o, nella migliore delle ipotesi, verso Genovao Chiavari. (DC)

ALCUNI MANUFATTI “VIARΔVALDAVETANI DI ETÀ MO-DERNA: IN ALTO IL PONTE DICORNALETO, SOTTO IL PONTEDI ALPEPIANA E, IN GRANDE,UN PARTICOLARE DELLA SUAEDICOLA DEDICATA ASANT’ANDREA.IN BASSO LA “DOGANA DIMARIA LUIGIA” AL PASSODEL TOMARLO

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Una torre con rivellino...Il castello di Santo Stefano d’AvetoNell’atto di permuta del 1251 fra Corrado Malaspina e i de Meleto, con il qua-le Corrado si riservava, con altri luoghi, Santo Stefano (d’Aveto), compaionosolo alcuni mulini, mentre si ignora l’esistenza di strutture fortificate. Nel1425 è citata a Santo Stefano la casa del signore marchese di Mulazzo. Fi-nalmente, in un documento del 1476, è menzionata una torre a Santo Stefano(d’Aveto). Nel 1504 il castello pare prendere consistenza. Un testimone nelladisputa fra Gian Luigi Fieschi il Grande e gli eredi di Francesco Malaspina,che vendette il castello al Fieschi, dopo insistenze e tentativi di prenderlo conle armi dei Tassi e dei della Cella, afferma che il castello è costituito da unatorre con rivellino. A questa i Malaspina avevano aggiunto un’ulteriore strut-tura difensiva prospiciente il saliente e a protezione dello stesso. Poco noto unepisodio, seguito alla Congiura dei Fieschi, citato dall’ambasciatore GomezSuarez de Figueroa all’imperatore Carlo V il 29 gennaio 1547, in cui si rac-conta che Santo Stefano (d’Aveto) si era arresa al commissario di donFerdinando (Gonzaga), ma poco dopo era venuto il figlio bastardo delconte (Cornelio Fieschi) e di notte aveva scalato il castello prendendolo.Il fortilizio nelle forme attuali, con qualche modifica, è da attribuirsi probabil-mente ad Antonio Doria fu Giovanni Battista, cugino di Andrea Doria, chelo raccomandò all’imperatore Carlo V per l’acquisizione del feudo. Antonio,sposato a Geronima Fieschi di Savignone, lasciò un figlio, Giovanni Battista,che fu così inviso ai terrazzani di Santo Stefano da costringerli alla rivolta del1591-1592. A quell’epoca risale il disegno del castello eseguito da DomenicoRevello. La torre prima, il castello poi controllavano la strada del passo delTomarlo, diretta a Piacenza, dove al tempo di Gian Luigi Fieschi il Giovanesi riscuoteva il dazio. (SS)

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ALCUNI PARTICOLARI DELCASTELLO DI SANTO STEFANO(D’AVETO) E UNA VEDUTADEL BORGO DALLA STRADAPER IL TOMARLO.SOPRA, UN PARTICOLARE DEIRESTI DELLA “TORRE CON RI-VELLINO” DI FINE QUATTRO-CENTO-INIZIO CINQUECENTO

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Giovanni Fieschi da Camezanae la Valle di Garibaldo

ra i diversi rami della famiglia Fieschi, che co-minciano a delinearsi a partire dalla fine del XIIsecolo, ne figura anche uno che, stabilitosi a Ca-

mezana, oggi in Comune di Casarza (Ligure), ne as-sunse per praticità il predicato, chiamandosi conti diCamezana. Innocenzo IV (Sinibaldo Fieschi) accorda-va, infatti, negli anni 1245-1250 la chiesa inglese diVingrave (Diocesi di Lincoln) al nipote maestro (laurea-to in Legge all’Università di Bologna) Giovanni de Ca-mezana, cappellano pontificio, e il 4 marzo del 1252 lostesso pontefice conferiva un beneficio a Guglielmo,chierico di San Quirico di Sestri (Levante), parente disuo nipote Giovanni de Camezana, “abbreviatore dellelettere pontificie”. Il 15 settembre del 1259 Giovanni deCamezana era prevosto della cattedrale di Genova e il26 agosto del 1268, dicendosi figlio del fu Ugo, facevatestamento stabilendo anniversarî perpetui nelle chie-se di San Lorenzo e di Nostra Signora delle Vigne a Ge-nova, in quelle francesi di Elsfer (Diocesi di Evreux) edi Annecy, delle quali era canonico. Egli lasciava, inol-tre, una cospicua somma per la ricostruzione dellachiesa di San Giovanni Battista di Candiasco, frazionedi Casarza (Ligure). Giovanni de Camezana aveva inol-tre un parente di nome Enrico, il quale, per poter com-

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DUE IMMAGINI DELLA COSTADI VERICI DAL SAGRATODELLA CHIESA DI SANGIOVANNI BATTISTA DICANDIASCO

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LA CHIESA DI SAN GIOVANNIBATTISTA DI CANDIASCO

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Candiasco e il tritticodi Giovanni Barbagelata

Giovanni da Camezana, con testamento del 26 agosto 1268, lasciauna cospicua somma per la ricostruzione della chiesa di Candiascodedicata a San Giovanni Battista. L’edificio sacro ancora oggi presen-ta l’aspetto tipicamente medievale con muratura a vista in concîsquadrati e corsi orizzontali. A una più attenta lettura è, però, pos-sibile rilevare diverse fasi, tra le quali, con uno studio approfondi-to, si potrebbe anche individuare con maggior certezza quella fruttodel finanziamento di Giovanni. L’edificio mostra, infatti, nella parteinferiore una serie di corsi con grossi concî, che sono tipici dell’EtàBassomedievale (XIII-XIV secolo). Sicuramente in un periodo piùtardo (Età Moderna) l’edificio ecclesiastico è stato rialzato - forse percreare all’interno volte in muratura - e di conseguenza anche il cam-panile ha subito una soprelevazione, che ha comportato la creazionedi una nuova cella campanaria e il tamponamento della precedentecorredata di monofore con ghiera bicroma, di cui restano le tracce.All’interno era conservata una pala d’altare - oggi nella parrocchialedi Casarza (Ligure) - con San Giovanni Battista fra San Michele eSan Pietro, il tutto sormontato dall’Annunciazione e dalla Cro-cifissione. Il trittico, dalla carpenteria in legno dorato che prelude aistanze già rinascimentali, è datato e firmato in un cartiglio ai piedi

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del Precursore:

Iohanes Barbazerata pinxit MCCCCLXXXXVIIII die XXII iunii.

Il dipinto, che risente ancora della tradizione genovese e in particolaredelle opere di Mazone, propone spunti già rinascimentali tratti pro-babilmente dalla produzione tarda di Braccesco.Suggestivi risultano essere anche alcuni legami dell’artista con l’am-biente fliscano: oltre al trittico di Candiasco, si ha notizia che il pit-tore - la cui famiglia è forse originaria di Barbagelata, un piccoloborgo a cavallo delle valli Trebbia e Aveto e controllato dai conti diLavagna - ricevette la commissione (5 febbraio 1495) di fornire adAgostino Fieschi, canonico di San Salvatore di Cogorno, un altareBeate Marie Virginis da collocare nella stessa chiesa, il più insignepatronato della famiglia.Legami sottili che si alternano e si intrecciano per scoprire unacostante: la presenza del consorzio dei conti di Lavagna, e in partico-lare del loro ramo più illustre, quello dei Fieschi. (MC)

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piere i suoi studî a Bologna, fu investito dal ponteficedi diversi chiericati a Reppia e a Genova e usufruiva diuna prebenda nel palazzo arcivescovile.Possedeva anche un chiericato nelle due chiese di SanMichele de Osti e di San Martino de Drevenio (Adre-veno) nella “Valle di Garibaldo”, oggi Val Graveglia,feudo dei conti di Lavagna almeno a partire dal Mille.La chiesa di San Michele di Osti, insieme con quelle diSan Vincenzo di Terizzo, Sant’Antonio di Pontori (ilmartire Sant’Antonino - di Piacenza? - fu più tarditrasformato in Antonio da Padova) e San Biagio diGaribaldo furono distrutte, essendo stata trasportatala cura in un posto centrale - alla Chiesanuova - perdecreto del cardinale Orazio Spinola del 26 agosto1603. Tuttavia, della chiesa di San Michele di Ostirimangono visibili, immersi nel verde, i suggestiviruderi dell’abside. La chiesa di Adreveno fu in se-guito unita a quella di Tolceto o Caminata. (DC)

L’ABSIDE DELLA DIROCCATACHIESA DI SAN MICHELE DIOSTI E, IN BASSO, I RUDERIDELLA CHIESA DI SANTA RE-PARATA VECCHIA (NE), DOVEGIOVANNI FIESCHI DE CAME-ZANA AVEVA UN CHIERICATO

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IL DONGIONE DI ZERLI E, INBASSO, UN PARTICOLAREDELLA MURATURA INTERNA

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Il dongione di ZerliImmersa nella vegetazione e quasi nascosta alla vista, su di una lin-gua di terreno che si protende nella valle, ecco la torre di Zerli, omeglio, quel che resta del saliente.La torre è documentata per la prima volta nel luglio 1145 (...Çerliinfra domicnionem...), data che ben si accorda con l’aspetto dellacostruzione, che presenta tipologie del tutto all’avanguardia rispettoa quanto proposto da edificî più antichi, ma anche contemporanei.Soluzioni nuove rese con l’utilizzo di una tecnica raffinata, dovuta amaestranze specializzate, che solo una committenza forte può averpatrocinato: i conti di Lavagna.Il manufatto è in pietra a vista, formato da concî perfettamente squa-drati, spesso con faccia a bugnato, contornato da fettuccia. Anchel’interno - di solito grezzo e meno rifinito - in questo caso mostrablocchi lapidei squadrati e spianati.Considerata la qualità del monumento e il precario stato di conser-vazione - in vista di un suo possibile consolidamento e restauro - èstato eseguito il rilievo completo, in maniera da consentire interven-ti più puntuali sia nella fase preliminare di studio, sia in quella diripristino.L’aspetto, però, più interessante della torre sono le quote relative, talida porla come un manufatto del tutto anomalo e dalle valenze parti-colari. I muri a sacco hanno spessore ragguardevole, che denunciacome in origine l’altezza dovesse essere di tutto rispetto e quindi benvisibile dalla Valle. Ma l’elemento veramente particolare sono le di-mensioni: il saliente ha una volumetria molto ridotta, che quasi nepreclude un utilizzo pratico - forse mantiene solo quello di controllo

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-: al suo interno con difficoltà stanno due persone.Con molta probabilità si tratta di un manufatto con valenze soprat-tutto simboliche che, nelle sue forme perfette e corrispondenti alletipologie dell’arte militare - per esempio, l’ingresso soprelevato -,intende veicolare un messaggio chiaramente ideologico, con il quale,pur ribadendo la capacità di controllo sul territorio, esalta al tempostesso il prestigio e la raffinatezza del committente, in linea con ilmodo di proporsi al mondo della famiglia Fieschi. (MC)

ALCUNI PARTICOLARI DELDONGIONE DI ZERLI68

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Dante e la “fiumana bella”ante Alighieri, nel suo esilio da Firenze inizia-to nel 1302, trovò ospitalità presso diversi si-gnori locali. Nel 1306 soggiornò presso i Mala-

spina, in Lunigiana: per loro ricoprì incarichi diploma-tici e dedicò alcuni celebri versi della Divina Commediaa Corrado l’Antico. Probabilmente in quel periodo eb-be modo di conoscere esponenti della famiglia Fieschi,nel vicino Tigullio, ma certamente conobbe e apprez-zò Alagia, figlia di Nicolò Fieschi e moglie di MoruelloMalaspina. Ad Adriano V (Ottobuono Fieschi), unodei due papi di casa Fieschi (11 luglio-18 agosto 1276),Dante dedicò alcuni versi del Purgatorio (XIX, 97-114);in essi Adriano, dopo essersi qualificato successor Petri,ricordava l’origine della sua stirpe con queste parole:Intra Siestri e Chiaveri s’adima / una fiumana bella; e delsuo nome / lo titol del mio sangue fa sua cima. La sua fa-miglia, cioè, traeva vanto dal titolo (conti di Lavagna),derivante dall’omonimo fiume, che lungo il suo corsotocca i territorî fliscani della Val Fontanabuona. Dantecolloca impropriamente Ottobuono fra gli avari (Cor-nice V), alludendo alla sua pretesa cupidigia; proba-bilmente si basò su fonti orali e non su una conoscen-za diretta (quando Adriano V morì, nel 1276, il poetaaveva soltanto undici anni). I documenti del tempo, alcontrario, menzionano la sua liberalità, ascrivendoglisemmai un certo attaccamento al potere, all’epoca pe-rò assai comune. (DC)

D

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DANTE NELL’INTERPRETAZIO-NE DI ANDREA DELCASTAGNO (1450) E LATOMBA DI ADRIANO V INSAN FRANCESCO A VITERBO

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La preghiera e la spada

Posizionato all’ingresso della Val Fontanabuona, Carasco era la chia-ve d’accesso alla principali vie di collegamento dal mare al retroterrae pertanto fulcro della gestione e supremazia territoriali poste in es-sere dai Fieschi e dai loro consorti in continua competizione con Ge-nova.Il monastero dei Santi Eufemiano, Giustiniano ed Elio, di antica fon-dazione, è stato demolito a metà Ottocento e gli atti d’archivio docu-mentano che era munito di castello e torre. Esso dipendeva dall’abba-zia di San Colombano di Bobbio, come attesta un documento del 30 mar-zo 1076 che vede il marchese obertengo Adalberto rinunciare ai suoi di-ritti sull’insediamento monastico a favore dell’istituzione bobbiese, la qua-le si impegna a non reinfeudare quanto ottenuto. Il 1° aprile successivoCona, figlio di Ariberto, membro del consorzio lavagnese, entrando nelmonastero di Bobbio offre ad esso tutti i suoi diritti sul cenobio di San-t’Eufemiano, impegnando i proprî familiari a giurare fedeltà a Bobbio.Il castello di Rivarola, collocato all’estremità nord-ovest del Poggio Me-nini, oggetto di recenti campagne di scavo (1996, 1997), non è anco-ra leggibile in toto, a causa della difficoltà delle condizioni d’acces-so. Le parti murarie messe in evidenza hanno avvalorato la datazioneal XII secolo, già deducibile dai riscontri documentarî, permettendocontestualmente un’ipotesi sulla sua struttura costituita, forse, da unpalazzo fortificato, con ampliamenti e migliorie successive.Il fortilizio, infatti, fu conquistato nel 1132 dai Genovesi, che lo sot-trassero probabilmente ai signori di Lavagna, procedendo quindi a unripopolamento nel 1145, grazie all’inserimento di uomini che giura-no fedeltà al Comune, seguiti dalle loro famiglie. Intorno al castello

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gli scavi hanno messo in luce strutture omogenee non orientate secon-do i terrazzamenti - che seguono le linee di livello -, localizzate a norddella fortezza, le quali potrebbero essere il luogo di insediamento dellefamiglie sopracitate. Le vicende del castello sono in linea con il pro-cesso di incastellamento che si dipana in tutta la Val Fontanabuonae, in generale, nel resto della Liguria: protagonista Genova, che a par-tire dalla fine dell’XI secolo attua una politica aggressiva volta a farrifluire dalla costa verso l’entroterra le forze feudali, appropriandosiprogressivamente anche delle strutture viarie. (FC)

I RESTI DEL CASTELLO DIRIVAROLA DURANTE GLISCAVI CONDOTTI DALLASOPRINTENDENZAARCHEOLOGICA DELLALIGURIA E DALLA SEZIONE“TIGULLIA” DELL’ISTITUTOINTERNAZIONALE DI STUDÎLIGURI E, SOPRA, IL POGGIODI RIVAROLA

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IL PONTE “DEI FIESCHI” ACICAGNA

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Il ponte dei Fieschi,fra storia e leggendaCicagna aveva nel ponte il suo fulcro: esso, infatti, univa le due partidel borgo; naturale, quindi, che alla sua esistenza e ricostruzione sialegata una leggenda.Era l’anno 1557, Lorenzo, giovane di buone speranze, e Agatina, fi-glia del mandriano del feudatario di Lavagna, erano promessi sposi;quando a Cicagna giunse il giovane figlio del conte per prendere pos-sesso dei dominî ereditati, la fanciulla se ne invaghì e, dimentica del-la promessa fatta a Lorenzo, si fidanzò con il nobile. Lorenzo, lontano peraffari e ignaro di tutto, ritornò in paese proprio il giorno delle fastosenozze. Agatina, con l’abito nuziale, per raggiungere la chiesa doveva pas-sare sul ponte, ancora in legno. Lorenzo le si gettò ai piedi supplican-dola, ma lei era irremovibile; allora le ricordò l’anello che portava an-cora al dito: la fanciulla per tutta risposta se lo tolse e lo gettò nel La-vagna, gridando Vattelo a riprendere! Lorenzo allora l’abbracciò di-cendo: Vieni a riprenderlo meco! I due caddero nel torrente che su-bito si richiuse su di loro. Furono ritrovati ancora abbracciati e ven-nero sepolti insieme. Il ponte fu abbattuto e ricostruito in pietra conuna cappelletta, in ricordo dei due sfortunati giovani.L’antico ponte - anche se rimaneggiato - è ancora qui, imperturbabilealle turbolenze del Lavagna, a un’unica arcata, leggermente a schienad’asino; non ha più la cappella, forse perché qualche danno lo ha sop-portato anch’esso, ma continua a unire le due parti del borgo anchese una nuova struttura di passaggio lo affianca. (MC)

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Il feudo di RoccatagliataRoccaforte dei Fieschi – con il castello erto sul picco sovrastante l’at-tuale chiesa di San Lorenzo -, Roccatagliata ha l’aspetto di un tran-quillo borgo rurale, tranciato in due dalla carrozzabile (che nel trat-to tra le case prende nome, coerentemente, di via Fieschi). Con un po’ diattenzione è possibile cogliere i tre agglomerati costituenti l’insedia-mento, composto da balze che si agglutinano intorno alla rupe del castel-lo, dal quale si domina il percorso per il Passo del Portello (alle spalledi Roccatagliata), conducente verso le valli Trebbia o Aveto, e il crinale op-posto che dal Monte Carpena giunge agli imponenti contrafforti del Mon-te Lavagnola. Il castello sorgeva sulla rupe che sovrasta la chiesa, ma diesso sono visibili soltanto labili tracce: la spianata artificiale del pendio,la presenza di un vacuo - forse la cisterna -, segni di roccia lavorata aformare il terrapieno. Si può risalire il picco solo attraverso un disagevolesentierino e portarsi sulla sommità quadrangolare per godersi il pano-rama. È possibile, peraltro, ipotizzare che parte del materiale edilizio uti-lizzato nelle abitazioni del borgo provenga dal diruto castello, secondouna prassi consolidata.Il territorio di Roccatagliata, dipendente dalla pieve di Uscio, faceva par-te dei possedimenti che la Chiesa milanese deteneva nella Riviera diLevante, ottenuta a seguito della fuga in Genova del presule ambrosia-no durante l’avanzata longobarda. Nel 1173 il castello fu conteso fra Ro-lando Avvocato (curatore dei beni della Curia milanese) e l’arcivesco-vo di Genova; il 10 ottobre 1259 era venduto dalla famiglia Avvocati aiDoria, che lo cedettero ai Fieschi nel 1273; riconquistato dai Genovesi nel1371, fu restituito l’anno successivo. I Fieschi rivendettero il castello nel1433 ai Genovesi, per entrarne nuovamente in possesso. Il feudo fu defi-nitivamente lasciato nel 1547, dopo la Congiura di Gian Luigi Fieschi,

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e il castello divenne sede della podesteriagenovese di Roccatagliata-Neirone.Il 28 settembre 1275 il testamento di Otto-buono Fieschi cita esplicitamente un palaz-zo posto a Roccatagliata, che la tradizione as-segna al sottostante borgo di Corsiglia, mache in via ipotetica potrebbe essere anche in-dividuato in un’abitazione, posta al limita-re del gruppo di case oltre la chiesa, che pervolumetria si pone come un edificio di uncerto rispetto. L’attuale chiesa di Roccata-gliata, dedicata alla Beata Vergine del Car-melo e a San Lorenzo, si presenta nella for-ma di fine Ottocento. L’interno è decorato daaffreschi recenti (1956) del pittore Bandi-ni, che reinterpretano la vita borghigiana aipiedi del castello al tempo dei Fieschi; all’in-terno è murata una lapide del 1328 con l’ar-ma fliscana che ne ricorda l’erezione. (FC)

IN GRANDE, L’AREA DELCASTELLO DI ROCCATAGLIA-TA E, IN SECONDO PIANO,ALCUNE CASE DEL BORGO.IN ALTO, LA LAPIDE DEL1328; SOTTO, LA RICOSTRU-ZIONE DI ROCCATAGLIATA AITEMPI DEI FIESCHI DEL PITTO-RE BANDINI E UNA VEDUTAMODERNA DEL PAESE

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La chiesa della Maddalenaa LumarzoNel 1336 il cardinale Luca Fieschi, nel suotestamento, cita la chiesa di Santa MariaMaddalena in Roccatagliata, da individuar-si nella chiesa di Lumarzo (dipendente dal-la pieve di Uscio, come Roccatagliata, e dal1850 titolata a San Camillo), per la quale di-spone una rendita utile a mantenere un sa-cerdote e un chierico.Egli premette si completa est, facendointuire che erano stati fatti precedente-mente lavori di costruzione o di amplia-mento della struttura. La sua edificazione de-ve essere collocata, però, soltanto tra la fi-ne del Trecento (i varî cataloghi della Dio-cesi genovese non la menzionano, infatti)e il Quattrocento, quando, sul finire del se-colo, è ricordato il suo primo rettore.

(FC)

ALCUNI PANORAMI DI LU-MARZO E, IN BASSO, L’ATTUA-LE CHIESA PARROCCHIALE DISAN CAMILLO, CHE HASOSTITUITO LA PRECEDENTEDEDICATA A SANTA MARIAMADDALENA E VOLUTA DAIFIESCHI

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Il passaggio di Enrico VIIdi Lussemburgo nella Rivierada Recco a Porto Venere

ell’autunno del 1311 scendeva in Italia l’im-peratore eletto Enrico VII di Lussemburgo, nelquale i “ghibellini” riponevano grandi spe-

ranze (Dante vedeva il lui il Veltro a lungo invocato);il 21 ottobre entrò a Genova, accolto con grandi onori.Sarebbe rimasto in città fino al febbraio 1312, quandopartì per raggiungere Pisa, viaggiando forse via marefino a Recco e quindi via terra fino a Portovenere, conun seguito di circa 1.500 persone. Nella corte di EnricoVII era Luca Fieschi, cardinale diacono del titolo diSanta Maria in Via Lata, uno dei tre cardinali che loavrebbero incoronato imperatore in San Giovanni inLaterano il 29 giugno successivo. Egli aveva raggiun-to il campo di Enrico VII l’anno precedente, quando l’e-sercito imperiale stava assediando Brescia, e lo avevaquindi seguito a Genova nel suo ingresso. Luca erafiglio del conte Nicolò Fieschi, nipote del ponteficeInnocenzo IV (Sinibaldo Fieschi) e fratello del cardi-nale Ottobuono (Adriano V), colui che aveva cedutonel 1276 al Comune di Genova estesi possessi, accu-mulati in oltre un ventennio, in Val di Vara e in Luni-giana. Fra questi beni figuravano Pignone e Corvara,

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TINO DI CAMAINO,L’IMPERATORE ARRIGO VIIASSISO IN TRONO (PISA,MUSEO DELL’OPERA DELDUOMO)

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Il monastero di Sant’Eustachioe i suoi beni a Leivi

A Leivi possedeva beni il monastero chiavarese di Sant’Eustachio.Fra 1257 e 1258 il cardinale Ottobuono Fieschi e Andrea, arcidiaco-no di Genova, figlî di due fratelli del defunto papa Innocenzo IV, ef-fettuarono una serie di acquisti fondiarî nel territorio di Leivi: il loroprocuratore, fra’ Boiolo, comperò infatti numerose terre nelle localitàdi Chiusella, Costalunga, Cuniolo, Cuturo, Gretino, Lavaxelli,Pastine, Pescina, Solario. I venditori erano abitanti del luogo, perlo più coppie di coniugi, ai quali talora fra’ Boiolo concedeva in loca-zione le terre appena acquistate, secondo un uso diffuso nel mondoagricolo. Nel caso dei beni di Cuniolo, i venditori Vivaldo di Leivi ela moglie Ansaina alienarono anche un appezzamento che tenevanoin condominio con Macia Fieschi, conte di Lavagna.Questi, figlio di un altro fratello di Innocenzo IV e pertanto cuginodi Ottobuono e Andrea, nel 1264 permutava con Conforto di Bardimolti beni siti a Rezza Soprana e a Leivi, nelle località Caneva,Conio, Comalus, Cogaçario, oltre a castagneti nei boschi di Leivi.Negli stessi anni il procuratore dei cugini Fieschi concesse in locazio-ne a persone del luogo terreni nelle località ad Macolum, Castello,Costalunga (con casa), Pessina, Pastine, Chiusella, Lavaxelli euna proprietà con case e frantoio a Conio. (BB)

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sulla via di crinale fra Sestri (Levante) e Porto Venere.Forse fu proprio Luca a suggerire ai comandanti del cor-teo imperiale la strada ed è inoltre curioso che EnricoVII, in questo breve tratto di cammino, sia passato di-nanzi a quasi tutti gli edificî fatti costruire dai Fieschia partire dall’inizio del Duecento. Arrivando a Chia-vari era stato accolto dal convento delle monache diSant’Eustachio (sull’attuale Piazza del Popolo, fonda-to dal cardinale Guglielmo Fieschi), era passato dinan-zi all’antica chiesa di San Giovanni Battista (fondatanel 1181 da Bardo da Lavagna) e quindi davanti al con-vento di San Francesco (voluto alla metà del Duecentodai nipoti di Innocenzo IV). Attraversato Capoborgo,era arrivato sulle rive dell’Entella, nei pressi della chie-sa della Maddalena (oggi in prossimità di Piazza San-front, eretta dal conte Ugo Fieschi, padre di InnocenzoIV, fra 1209 e 1210), aveva percorso il ponte fatto rico-struire in muratura negli stessi anni ancora da Ugo edera passato sull’altra sponda del fiume davanti all’o-spedale di San Lazzaro (non più esistente), ultimo ele-mento del complesso fliscano posto “a presidio” dellafiumana bella. Per andare verso Sestri (Levante) l’im-peratore poteva passare da Cogorno, e allora avrebbeammirato la chiesa di San Salvatore, sulla piazza ador-na di palazzi, ardenti nel loro contrasto cromatico bian-co-nero; ma se avesse voluto lambire la costa, sarebbeentrato in Lavagna passando dinanzi all’antica pieve eavrebbe così visitato la culla della stessa origine dellafamiglia Fieschi. Arrivato a Sestri (Levante) ammirò

ALCUNI PARTICOLARI DIQUELLA CHE FU LA CHIESA DISANTA MARIA MADDALENAA CHIAVARI (XIII SECOLO)

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ALCUNI PARTICOLARI DELLA“BASILICA” DI SAN SALVATO-RE DI COGORNO E, IN BASSO,LA FACCIATA DEL COSIDDET-TO PALAZZO COMITALE

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San Salvatore: l’insula fliscana

Un gruppo di case e due chiese, poste a mezza costa lungo la stradache risale la valle, in un punto di indubbio valore strategico e simbo-lico: questa è San Salvatore, l’insula fliscana per eccellenza. Inrealtà, prima della costruzione della “basilica”, il nucleo già esistevae si sviluppava lungo la strada - oggi via Antica Romana - perBreccanecca e l’interno, mentre la chiesa di San Salvatore il vecchio -oggi sala polivalente - era voltata di 180° e prospiciente la via. In questoborgo, su uno spazio relativamente ristretto, è fondata, nella primametà del XIII secolo, la “basilica”. I patrocinatori della costruzione fu-rono Innocenzo IV - al secolo Sinibaldo Fieschi - prima e, a seguire, il car-dinale Ottobuono Fieschi, futuro papa Adriano V. La rappresentazio-ne dell’evento è riproposta nella lunetta del portale, dove un pittoredella cerchia di Lorenzo o Bernardino Fasolo all’inizio del XVI secoloaffrescò la Crocifissione affiancata dai due committenti: papa Innocen-zo IV con in mano il modellino del tempio e il cardinale Ottobuono.L’edificio ecclesiastico è il risultato di almeno due progetti sussegui-tisi nel tempo, che portarono alla soprelevazione della torre nolarequadrata, del cleristorio e all’inserzione del grande rosone in marmobianco di gusto squisitamente francese. Soltanto un ulteriore studiosupportato dagli indispensabili rilievi potrà accertare con sicurezza ilcomplesso iter edilizio di questo manufatto, che anche nella sua gene-si si pone come prodotto dalle mille sfaccettature. L’interno della

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“basilica” è a tre navate con copertura lignea, divise da colonne concapitelli in pietra di tipologia arcaica, e termina con transetto immis-so e cappelle rettilinee coperte in muratura. Il modello planimetrico,come la sobrietà dei materiali impiegati - pochissimo marmo -, richia-mano molto da vicino le realizzazioni degli Ordini Mendicanti, con i qua-li i Fieschi sembrano essere in sintonia, gruppi religiosi che propon-gono nelle loro costruzioni - importandole soprattutto dalla Francia -le prime tipologie gotiche.Un monumento che ridisegna il paesaggio circostante e che ha nellapoderosa torre nolare e nell’ampio rosone i suoi elementi determinan-ti e simbolici.Nei pressi della chiesa sorgono i palazzi dei membri della famiglia,dotati delle caratteristiche logge sottostanti, oggi occultate da vivaciintonaci. Resta ancora leggibile nel suo impianto medievale il cosid-detto Palazzo comitale - in via di parziale ristrutturazione. L’aspet-to è quello di un edificio urbano con loggia passante a bugnato e po-lifore ai piani superiori decorate con elementi in marmo e connotatodal tipico paramento a strisce bianche e nere, così frequente in ambitocittadino. San Salvatore - come più tardi Santa Maria in Via Lata aGenova - si pone come punto forte e rappresentativo della famigliaFieschi. (MC)

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I Fieschi tra festa e ricordoNegli corso degli anni e nel segno dei Fieschi sono nate, nel Genovesato, alcu-ne manifestazioni che, più di recente, si sono trasformate in eventi spettacolari.La tradizione è rappresentata dalla festa che a Corniglia si svolge il giornodella festa patronale dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno): i massarî della Con-fraternita di San Pietro preparano un dolce che, in passato, era portato in pro-cessione per le viuzze del centro storico. È la Torta dei Fieschi più antica. Suquesta tradizione, dal 1949, a Lavagna si fondano i festeggiamenti per le nozze(1230) del conte Opizzo Fieschi (la Torta dei Fieschi del 14 agosto), che abbina-no alla distribuzione di un dolce di 10-12 quintali il corteo, lo spettacolo medie-vale curato dai Sestieri di Lavagna e un gioco popolare di ricerca dell’animagemella. La Torta dei Fieschi ha dato origine nel 1982 a un prologo ambienta-to a San Salvatore di Cogorno: sul sagrato della “basilica” si svolge (13 agosto)l’Addio do fantin, l’addio al celibato del conte. La festa vivacizza il borgo con unbanchetto, giochi d’arme, danze e musiche. Sempre nel segno dei Fieschi van-no ricordate altre ricorrenze che animano gli antichi feudi dei conti di Lavagna:a Casella, in Valle Scrivia, ogni secondo sabato di luglio il Gruppo Storico Fie-schi rievoca, con un lungo corteo che si snoda per le vie del borgo, il matrimonio(1331) di Isabella Fieschi con il Duca di Milano Luchino Visconti. A Montog-gio, ogni terzo sabato di giugno, si svolge la “Giornata fliscana” con cena rina-scimentale e spettacoli teatrali in ricordo dell’assedio al castello, di cui sonovisibili i ruderi, seguìto al fallimento della Congiura di Gian Luigi Fieschi(1547). Infine, a Zerli di Ne, in Val Graveglia, la visita guidata ai ruderi dellasplendida torre eretta per volere dei conti di Lavagna attorno alla metà del XIIsecolo è stata per alcuni anni spunto per una rievocazione storica. (MR)

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certamente l’ospedale e la chiesa di San Tommaso, fat-ti costruire da Ottobuono Fieschi (Adriano V), e la re-cente chiesa di Sant’Adriano a Trigoso, dove eranoconservati molti libri, tra cui anche il codice originaledelle Decretali di Innocenzo IV. Da Sestri (Levante) En-rico VII raggiunse Pignone, dove si riposò dalle fatichedel viaggio; l’indomani arrivò a Porto Venere e di quisi imbarcò verso Pisa. (DC)

UNO SCORCIO DI PIGNONE E,SOTTO, LA FACCIATA DEL-L’ANTICA PIEVE DI SANTAMARIA (XIV SECOLO)

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La chiesa di Santa Croce di Monegliaamministrata dai FieschiCon bolla del 1478 papa Sisto IV - Francesco Della Rovere - univa San-ta Croce di Moneglia a un canonicato della “basilica” di San Salvato-re di Cogorno. Da questo momento e praticamente fino al 1777 i Fieschiamministrarono la chiesa monegliese, dove fino al termine del XVIIsecolo gli arcipreti furono della stessa famiglia o di altre affini. Giàdal XII secolo, però, possedevano parte dei diritti di decima sulla stes-sa pieve.La chiesa, posta nel centro di Moneglia, annovera almeno tre momen-ti di costruzione: quello più antico, uno trecentesco e quello che l’haportato all’aspetto attuale, collocabile nel XVIII secolo.Proprio per la continuità della presenza fliscana all’interno della suagestione giuridica, si può supporre che buona parte degli interventidi abbellimento e arredo di Santa Croce in qualche modo vadano rife-riti alla famiglia Fieschi. Indicativi almeno due episodî. La creazionedi una cappella dedicata a Santa Caterina da Genova - Fieschi Ador-no -, dove all’altare si può ammirare una tela barocca con la Visionedi Cristo con la Santa inginocchiata e affiancata da San VincenzoFerrer e dal Beato Baldassarre Ravaschieri, una triade già propostanella tela conservata in una cappella in San Giovanni Battista a Chia-vari, chiesa fondata da Bardo da Lavagna. Santa Croce possiede anche

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una copia, realizzata probabilmente dalla bottega, dell’Ultima Cenadi Luca Cambiaso, eseguita per la chiesa di Nostra Signora della Con-solazione a Genova. Su entrambe le versioni, ma qui in maniera piùchiara, Cristo consuma l’agnello contenuto nel Sacro Catino - re-liquia conservata nel Museo del Tesoro della Cattedrale di Genova -che in un momento della sua storia è stato legato anche alla famigliaFieschi. (MC)

UNA FOTO STORICA DEL CEN-TRO DI MONEGLIA (SVETTA ILCAMPANILE DI SANTA CRO-CE) E, A DESTRA, L’ORATORIODEI DISCIPLINANTI, IL SAGRA-TO E LA FACCIATA DELLASTESSA CHIESA DI SANTACROCE

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La Santa dei Fieschi:Caterina (1447-1510)

iglia di Giacomo Fieschi e Francesca Di Negro,Caterina nacque a Genova (in un palazzo dell’at-tuale vico Indoratori) nel 1447; a soli sedici anni

sposò Giuliano Adorno, di vent’anni più anziano maesponente di una delle più importanti casate genovesi.Dopo un periodo di vita matrimoniale infelice e turbo-lenta, i due coniugi si avvicinarono alla religione:Giuliano divenne terziario francescano e Caterina sipose al servizio dei poveri e degli ammalati: per tren-tadue anni si dedicò a loro nell’ospedale genovese diPammatone, dove morì, trovando sepoltura nella vici-na chiesa della SS. Annunziata di Portoria. Fu canoniz-zata nel 1737 e proclamata da Pio XII patrona seconda-ria degli ospedali d’Italia. Il corpus degli scritti, che contie-ne il suo pensiero raccolto dai discepoli (comprende laVita, un Dialogo di carattere mistico e il Trattato del Pur-gatorio), a partire dal 1551 ebbe varie edizioni a Ge-nova, Firenze, Venezia, Napoli, Padova, e fu tradottoin molte lingue europee. Dobbiamo ad Arturo Fer-retto, il grande storico genovese di primo Novecento,la notizia del passaggio di Caterina per Chiavari, diritorno da Santa Maria del Taro, il 5 febbraio 1497. Frai documenti dei fondi dell’Archivio di Stato di Geno-va, Ferretto ne reperì uno che scopre un lato ancora

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MARCO BENEFIALI, SANTACATERINA INVOCA LA PROTE-ZIONE SUGLI AMMALATI DEL-L’OSPEDALE DI PAMMATONE,PARTE ANTERIORE DELLOSTENDARDO INNALZATO DU-RANTE LA CANONIZZAZIONEDELLA SANTA NELLA BASILI-CA DI SAN GIOVANNI IN LA-TERANO DI ROMA IL 16 MAG-GIO 1737

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Il ponte della Maddalena

Una lapide posta in origine sul ponte ricordava epoca e committente dellariedificazione del monumento con annessi un ospedale e una chiesa: UgoFieschi, anno 1210.Il ponte probabilmente già esisteva da tempo, ma costruito in legno e sogget-to ai capriccî dell’Entella. Ugo Fieschi - capostipite della famiglia - con unaoperazione di ampio respiro e di notevole impegno finanziario fece costruirenon solo un ponte di ben tredici arcate in muratura, ma anche una serie di edifi-cî funzionali, a esso connessi: l’ospedale di San Lazzaro sulla sponda sinistrae la chiesa con piccolo ospizio di Santa Maria Maddalena sulla sponda destra.Del ponte medievale resta oggi una pila (la quarta da Lavagna), la cui mu-ratura denota, però, l’attenzione e la maestria con cui l’intera struttura è stataedificata: i concî sono perfettamente squadrati, con la faccia a vista spianata elegati da pochissima malta. In origine, al centro del monumento era collocataun’edicola con l’effigie di Sant’Erasmo - santo protettore dei marinai - sosti-tuita nel 1210 da un’icona - bizantina? - con la Vergine e Bambino, conser-vata oggi nella chiesa di Nostra Signora del Ponte, edificata alla fine delQuattrocento e ampiamente rimaneggiata in seguito.Nel 1252, Innocenzo IV pose l’intero complesso, già unito alla chiesa di SanSalvatore, alla diretta dipendenza della Santa Sede, svincolandolo dalla giu-risdizione dell’arcivescovo di Genova. I Fieschi ne sarebbero rimasti proprie-tarî fino al 1451, quando ne cedettero i diritti e la manutenzione alla Confra-ternita dei Disciplinanti dell’Oratorio di San Francesco.Sembra che, per rendere più sicure le strutture del nuovo ponte, soggette inorigine a distruzioni per le periodiche piene del fiume Entella, si rese neces-saria una serie di interventi che comportarono anche la modifica parziale delsuo corso. Ritornato allo stato originario, quando la famiglia Fieschi - a segui-

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to della Congiura del 1547 - perse ogni potere sul territorio, i danni allestrutture del ponte ripresero più numerosi.Un’opera, questa, di ampio raggio, che interessa interventi anche di tipo geo-logico e presuppone l’ingaggio di maestranze altamente specializzate e daicosti elevati, intervento che nel suo complesso ridisegna un tratto del fiume ei suoi dintorni, preludio alle grandi committenze duecentesche, che segneran-no con forza il territorio fliscano.

(MC)

CHIESA DI NOSTRA SIGNORADEL PONTE A LAVAGNA: LO-RENZO FASOLO, NOSTRA SI-GNORA DELLA MISERICORDIA(1508 CIRCA) E UN PARTICO-LARE DELL’ANTICO PORTALE

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inedito della Santa: nel corso delle vertenze per il con-trollo del “cuneo” di Codorso (una lingua di terradipendente dal feudo fliscano di Varese (Ligure), chescendeva a separare le giurisdizioni dei feudi dei Lan-di - Bedonia e Compiano - da quelli dei Ravaschieri,signori di Santa Maria del Taro) si inserisce una let-tera, scritta da Caterina al podestà di Compiano il 5febbraio 1497 proprio da Chiavari, con la quale ribadi-va che il luogo del rivo di Codurso è della giurisdizione delTaro. Con questa sua semplice affermazione - circo-stanziata e frutto dell’osservazione diretta sul territo-rio - Caterina conferma la tradizione, secolare, che iden-tificherebbe nella Santa il donatore della statua di No-stra Signora ancor oggi venerata nella chiesa di SantaMaria del Taro, già priorato dipendente dall’abbaziadi Sant’Andrea di Borzone. Il percorso di Caterina,come sottolineato da Ferretto, toccò Chiavari, Lavagna(certamente attraversò l’Entella sul ponte della Mad-dalena e non è improbabile che abbia venerato anchel’icona mariana da poco collocata nel santuario di No-stra Signora del Ponte), Cogorno (dove si dice abbiaammirato anche la Croce di Innocenzo IV, conservatanella “basilica” di San Salvatore), per poi passare perCarasco, Mezzànego, il Passo del Bocco (o Borzonascae Prato Sopra la Croce) e, quindi, Santa Maria del Ta-ro. Una volta visionati i confini dei feudi, la Santa per-corse il cammino in senso inverso, in direzione diChiavari e, quindi, Genova per la via costiera o lungola Val Fontanabuona. (DC)

DALL’ALTO IN BASSO: COM-PIANO, IL “CUNEO” DI CO-DORSO DALLA SOMMITÀ DELMONTE GROPPO; SANTAMARIA DEL TARO CON, SUL-LO SFONDO, IL MASSICCIO DELMONTE PENNA

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SANTA MARIA DEL TARO: LASTATUA DI NOSTRA SIGNORAPORTATA, SECONDO LA TRADI-ZIONE, DA SANTA CATERINAFIESCHI; UN PARTICOLAREDELLA LAPIDE CHE RICORDALA DEDICAZIONE DELLA CHIE-SA PER ORDINE DI OTTOBUO-NO FIESCHI E LA FACCIATADELLA CHIESA ATTUALE

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La casa del Crovo

Mezzànego è ancora oggi un insediamento sparso posto a lato della di-rettrice viaria che, salendo da Chiavari, toccava Carasco, le Prè (Pra-ti), sede attuale del Comune, quindi Borgonovo e Borzonasca, per di-rigersi ai valichi della Val d’Aveto e a Piacenza o, tramite la Val Trebbia,in Lombardia.Giulio Pasqua ricorda la morte del padre d’Ansaldo, forse il caposti-pite dei conti di Lavagna, in una non meglio identificata spedizionecontro Mezzànego, effettuata verso il 979 dagli armati dei Lavagnacontro quelli del vescovo di Genova. In realtà non esiste alcuna con-ferma a questa notizia, non riportata da alcuna altra fonte, anche seessa è comunque meritevole di ulteriori approfondimenti, vista l’at-tendibilità delle informazioni offerte dall’erudito cinquecentesco.Mezzànego sembra aver dato i natali al bandito Vincenzo Zenoglio,detto Vincenzo del Fossato, passato alla leggenda come il Crovo. Lasua banda, assai composita, arrivò ad armare quaranta uomini a ca-vallo, una milizia ragguardevole per l’epoca.Innumerevoli furono gli assalti ai danni di mulattieri in transitoverso i valichi. Borgonovo fu scelta come base operativa dai banditi esembra che il Crovo abbia utilizzato l’attuale Palazzo Rocca a Bor-gonovo come propria dimora. La sua alleanza con i Ravaschieri e i Ba-cigalupi contro i Rivarola creò problemi al capitano di Chiavari, co-stretto ad assistere inerme a furti e omicidî in città. La banda del Cro-vo, alla mala parata, si rifugiava in Val d’Aveto, giurisdizione delconte Gian Luigi Fieschi, o a Santa Maria del Taro, feudo di Manfre-do Ravaschieri, dove godeva di impunità. Le sue spavalde imprese conti-nuarono sino a che, avendo assaltato presso il Passo delle Cento Croci

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la retroguardia del Duca di Toscana, dipassaggio verso Genova, e avendone sva-ligiata la cassa, fu oggetto di un barattofra il conte Gian Luigi Fieschi e la Re-pubblica di Genova, che ne esigeva la te-sta.I sicarî del conte, nella notte fra il 15 e il16 agosto 1543, misero così fine a Rez-zoaglio all’esistenza del Crovo e dei suoiaccoliti, pare presso la Casa dei Galli odel Posà. (SS)

IL “CASTELLO” O PALAZZOROCCA A BORGONOVO, BASEDEL BANDITO CROVO; UNPARTICOLARE DELL’ARCO PRE-SENTE IN UNA CASA DIROC-CATA LUNGO LA PROVINCIA-LE CHE ATTRAVERSA BORGO-NOVO. SOPRA, LA CASA DEIGALLI NEI PRESSI DI REZZOA-GLIO IN VAL D’AVETO

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Il lavoro e la preghiera:Sant’Andrea di BorzoneIncastonata nel verde dei boschi e dei prati della Valle Sturla, sorgel’abbazia di Sant’Andrea di Borzone.Fondata forse già nell’Altomedioevo - una tradizione, tutta da verifi-care, vorrebbe addirittura un intervento dei monaci bobbiesi -, di-viene abbazia per volere dell’arcivescovo di Genova Ugo Della Volta,che nel 1184 chiama a officiarla i monaci benedettini della Chaise-Dieu direttamente dall’Alvernia - gli stessi che prendono possessoanche del monastero di San Siro a Genova -. Il complesso cenobiticosi presenta oggi nella facies due-trecentesca, alla quale si sono ag-giunte alcune strutture posteriori e le rivisitazioni di Età Moderna.Della chiesa più antica sembra siano stati ritrovati i resti nell’areapresbiteriale: una cella attribuibile all’XI secolo. L’intervento, che fa del monastero - chiesa e campanile - un unicumnel panorama ligure, è, però, quello di Età Bassomedievale, dove glistilemi - propri della Chaise-Dieu - sono riproposti con uno spicca-to gusto per il cromatismo, creato dall’accostamento della pietra gri-gia e del mattone rosso.L’epigrafe murata nel campanile documenta il nome del committentee la data dei lavori: l’abate Gerardo di Cogorno, dei conti di Lavagna,e il 1244.La medesima bicromia si ritrova anche all’interno della chiesa, doveil motivo esterno ad arcate cieche ritorna sulle pareti laterali e incontrofacciata.Segni forti sul territorio, in primis per l’unicità dei due manufatti:la torre campanaria di Sant’Andrea si presenta con connotati che ne

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fanno un elemento chiaramente e voluta-mente individuabile per le dimensioni, lescelte tipologiche di costruzione, la raffi-natezza dell’esecuzione, l’originalità del-le soluzioni (l’epigrafe è posta forse nona caso su di essa).Si è scritto molto sul saliente, che è in re-altà un felice esempio di bugnato a cusci-no, soluzione presente soprattutto in am-bito civile urbano dalla metà del Duecen-to, frutto dell’utilizzo di maestranze spe-cializzate.All’interno della chiesa, in bella vistasull’altare maggiore, era il polittico conSant’Andrea e altri Santi - oggi con-servato nel Museo Diocesano di Chiavari- eseguito nel 1484 da Carlo Braccesco,pittore lombardo che ha lavorato moltonel Genovesato. Accanto al Santo tito-lare è rappresentato - canonicamente indimensioni minori - il committente, pro-babilmente un Ravaschieri, dei conti diLavagna, famiglia presente sicuramentenell’abbazia almeno dalla metà del XIIIsecolo con i suoi abati e ricordata anchein una iscrizione del 1512 riportata sullosportello di un tabernacolo e da una lapi-de dello stesso periodo con il loro stem-ma, entrambe ancora in situ. (MC)

ABBAZIA DI SANT’ANDREADI BORZONE: UN PARTICOLA-RE DELLA TORRE CAMPANA-RIA E UNA PARTE DEL FIANCOSUD, CON IL MOTIVO DELLEARCATE CIECHE IN MATTONI,NEL RIFACIMENTO DUECENTE-SCO VOLUTO DALL’ABATEGERARDO DA COGORNO

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Borzonasca:i portali “eulitici”

Crocevia dei traffici fra il mare e la pianura, Borzonasca mantieneancora intatte le sue caratteristiche di borgo di strada.Le case, in parte ancora in pietra a vista, sfoggiano interessanti por-tali con architrave monolitico, alcuni di notevoli dimensioni.Molto numerosi nelle valli attorno al Tigullio - ma presenti un po’ intutta l’area appenninica compresa tra Piemonte, Liguria, Emilia eToscana - sono i cosiddetti portali e finestre eulitici (eulitico = bellapietra), alcuni tamponati o reimpiegati in tutto o in parte in strut-ture più o meno recenti, venuti ultimamente al centro dell’attenzioneperché ritenuti segni della cultura e presenza longobarda o, comun-que, attestanti manufatti di Età Altomedievale, in qualche modo ema-nazione del monachesimo delle origini e nella fattispecie di Bobbio.Tralasciando queste discutibili attribuzioni - sia dal punto di vistametodologico sia storico, essi sono, invece, una testimonianza viva eimprescindibile della cultura materiale di ambito rurale, che scoprein una struttura architettonicamente semplice, ma monumentale -per l’utilizzo di blocchi monolitici di grandi dimensioni - un elemen-to di decoro e aulico. L’uso di questo tipo di ingressi affonda proba-bilmente le sue radici ben oltre l’epoca longobarda, addirittura pre-romana, per protrarsi praticamente uguale a se stesso fin quasi aigiorni nostri, caricato com’è di forti connotati simbolici e monumen-tali, e coprendo un’area che è quella propria della cultura mediterra-neo-europea. Nelle costruzioni rurali essi diventano il fulcro dell’in-tero edificio, talvolta l’unico elemento decorativo, valenza che per-

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mane anche quando vengono reimpiegati come pezzi singoli.Molti di questi sovrapporta recano incise date, segni religiosi o laiciche possono essere di aiuto nell’individuazione della storia del manu-fatto stesso, formata spesso di usi e riusi che travalicano i secoli per giun-gere fino a noi.Restano, oggi, a testimonianza e riprova del ruolo simbolico assegna-to al portale d’ingresso e alle soglie in genere, spesso caricate di unvero e proprio senso di sacralità.In ambito urbano questi architravi assumono connotazioni molto piùarticolate, che arrivano a ospitare veri e proprî rilievi figurativi,diventando una delle caratteristiche peculiari dell’edilizia genovesedel Quattrocento e oltre. (MC)

UN BELL’ESEMPIO DI PORTALE“EULITICO” DA VILLA CELLA,IN VAL D’AVETO

NELLA PAGINA SEGUENTEL’ABBAZIA DI SANT’ANDREADI BORZONE VISTA DALEVAGGI

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Bartolomeo Fieschi “delle Indie”,amico di Cristoforo Colombo

rapporti tra la famiglia di Cristoforo Colombo -originaria di Terrarossa di Mocònesi - e i Fieschidatano almeno agli anni ‘40 del Quattrocento. Il

navigatore era legato da grande amicizia a BartolomeoFieschi, nipote della futura Santa Caterina, che fu infat-ti capitano della nave Vizcaina, nel quarto viaggio diColombo verso il Nuovo Mondo, partito il 3 aprile 1502dal rio di Siviglia, durante il quale toccò le Antille, ilSud di Haiti, Cuba e l’Honduras. Nell’ottobre del 2001sono stati localizzati, al largo di Panama, i resti dellaVizcaina il cui quasi perfetto stato di conservazione delloscafo sarebbe dovuto al fatto che, a differenza delle altre ca-ravelle... (non sarebbe) naufragata ma abbandonata perchéinservibile... (e quindi) affondata lentamente posandosi sulfondale. Sulla strada del ritorno i venti e le correnti por-tarono la sua flotta verso la Giamaica e in quell’occa-sione proprio Bartolomeo salvò la vita a Colombo. Fuanche testimone alla stesura del testamento dell’Am-miraglio (Valladolid, 19 maggio 1506) e fu presentealla sua morte, avvenuta due giorni dopo. In quellostesso anno il Fieschi, tornato a Genova, in occasionedel tumulto popolare guidato da Paolo da Novi, ven-ne condannato al bando per aver insultato e maltratta-to un contadino della Val Polcevera. Bartolomeo si ri-

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RITRATTO DI CRISTOFOROCOLOMBO, DI SEBASTIANODEL PIOMBO (SEBASTIANOLUCIANI)

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DUE IMMAGINI DEL PALAZZO“DEI PORTICI NERI” A CHIA-VARI. NEL PARTICOLARE LOSTEMMA FIESCHI SU UNADELLE COLONNE DEL PORTI-CO.IN BASSO, UNA IMMAGINE DIINIZIO NOVECENTO DELLACHIESA DI SANT’EUSTACHIOA CHIAVARI

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Committenza ecclesiastica e civileSe è vero che la rifondazione di Chiavari è voluta dal Comune diGenova per contrastare in qualche modo la nascente potenza dei contidi Lavagna, va evidenziato come le stesse famiglie del consorzio ab-biano attuato una penetrazione all’interno del centro attraverso unloro coinvolgimento nelle fondazioni ecclesiastiche, in sintonia conuna prassi ormai riscontrata un po’ ovunque, indipendentemente dal-le posizioni di partenza, e che è riconosciuta come una cifra tipica delgruppo signorile.Questi interventi in alcuni casi riguardano edificî che segnano inmaniera determinante il territorio e ne condizionano la vita futura.L’atto iniziale è la fondazione - fra 1181 e 1182 - del primo edificioreligioso all’interno di Chiavari: San Giovanni Battista, voluto daBardo da Lavagna. La chiesa, ricostruita e ristrutturata nel corso deltempo, resta per secoli sotto l’orbita dei Fieschi o delle famiglie a essavicine, quali i Ravaschieri: lo attesta per esempio l’altare della Ma-donna degli Angeli, dove tra i santi rappresentati nella tela esegui-ta da Giuseppe Ferradini (inizio del XVII secolo) si trova Santa Ca-terina Fieschi Adorno.Passano poche decine d’anni e Ugo Fieschi, con un’operazione digrosso impegno, ricostruisce in pietra il ponte sull’Entella, ai cui api-ci pone due edificî assistenziali: l’ospedale di San Lazzaro e la chiesadi Santa Maria Maddalena, con ospizio. Quest’ultima conserva anco-ra l’impianto originario, caratterizzato dall’uso di una muratura aconcî squadrati, che rispetto alla prassi coeva hanno dimensioni note-voli, soprattutto in rapporto alla volumetria dell’edificio.E sempre i Fieschi sono presenti nelle fondazioni di San Francesco, diSant’Eustachio, di San Cristoforo e in quella di Nostra Signora del-

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l’Olivo a Bacezza.Almeno dal Duecento, infine, compaiono attorno alla chiesa di SanGiovanni Battista anche i palazzi civili – Ravaschieri, Fieschi -, i cuicaratteri architettonici denunciano un cambiamento nella tipologiain uso fino a questa epoca a Chiavari. L’edificio più rappresentativoresta, però, il palazzo detto dei Portici neri o Portici alti, caratteriz-zato da peculiarità costruttive tipicamente urbane, rintracciabili, peresempio, nella dimora di Alberto Fieschi a Genova (prima metà delXIII secolo). A un ampio porticato in bugnato a cuscino segue un pri-mo piano in bicromia con trifore e un secondo in mattoni e trifore conghiera bicroma.Sul rocco di una colonna, un po’ nascosto, fa bella mostra di sé lo stem-ma Fieschi, databile tra la fine del Quattrocento e gli inizî del Cin-quecento. Un segno tangibile della proprietà del palazzo, attestatodalle fonti di metà Duecento nel patrimonio del conte Opizzo Fieschi,fratello di Innocenzo IV e capo della famiglia. I documenti, fra l’al-tro, tramandano una peculiare abitudine del suo antico proprietario:dalla primavera in avanti, di giorno, Opizzo era infatti solito sostaree svolgere la sua attività sotto il portico, una consuetudine continua-ta anche in tarda età e che è un po’ uno dei tratti caratteristici del rap-porto dei Fieschi con la gente e le città costiere e dell’entroterra dellaLiguria di Levante. L’edificio, passato in proprietà agli eredi di Opiz-zo, restò fra i beni di famiglia fino agli inizî del Seicento.Un palazzo, quindi, di notevoli qualità estetiche e di ampia superficie,atto a un personaggio di rango che oggi possiamo finalmente individua-re con sicurezza in un influente membro della famiglia Fieschi.

(DC-MC)

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tirò così a Chiavari, dove la sua famiglia possedevabeni e case nel Borgolungo e a Rupinaro. BartolomeoFieschi “delle Indie”, come riferiscono gli Annali del Giu-stiniani, fu nel 1525 capitano, ossia commissario, delle naviarmate in Genova a profitto di Carlo V e che scelgono Va-razze come teatro di guerra contro l’armata Francese (Fer-retto). Il 9 maggio 1528 il Fieschi, ammalato, dettava lesue ultime volontà, ordinando di essere seppellito aGenova, in San Giovanni il Vecchio (San Lorenzo), la-sciando numerosi legati (fra i quali 30 soldi all’O-spedale di Pammatone, forse in ricordo della zia Ca-terina) e diversi beni alla moglie Pelota Cybo di Lu-dovico, al figlio naturale Pantaleone (e a sua madre,Caterina Ispana) e ai figlî Eleonora e Giovanni.Bartolomeo doveva essere molto legato all’Ordine Ge-rosolimitano: nel testamento aveva infatti stabilito lasua sepoltura in San Giovanni il Vecchio, già precetto-ria dell’Ordine, e anche la moglie Pelota, nelle sue ulti-me volontà dettate il 28 febbraio 1556, scelse di essereseppellita nella chiesa inferiore di San Giovanni di Pre’.L’origine di questa “sensibilità” all’Ordine Gerosoli-mitano, con il quale i Fieschi non sembrerebbero averintrattenuto particolari rapporti, parrebbe legata al pe-riodo di bando (esilio) seguito alla rivolta genovese del1506, quando Bartolomeo soggiornò a Chiavari nelquartiere di Rupinaro, che aveva nella precettoria ge-rosolimitana di San Giacomo il suo cuore pulsante.

(DC)

LA TORRE DELLA CITTADELLADI CHIAVARI PRESSO L’ANTI-CA “PORTA DELLA MARINA”

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LA CHIESA SCONSACRATA DISAN FRANCESCO DICHIAVARI E ALCUNI PARTI-COLARI DELLA ZONA ABSIDA-LE E DEL FIANCO SUD

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La chiesa di San Francesco di ChiavariLa chiesa, committenza di non meglio precisati nipoti di Sinibaldo Fieschi, papacon il nome di Innocenzo IV, sorge su un lato di piazza Matteotti, accanto a VillaRocca, nella zona dove terminavano le antiche mura e sorgeva una delle portedella città, in posizione adatta a un edificio dei frati Minori, che spesso si colloca-vano, nel Duecento, in zone marginali dell’abitato e da bonificare, o subito al difuori di esso. San Francesco sorse probabilmente attorno alla metà del Duecento -quindi in un momento di poco successivo rispetto a quanto si pensava finora - ri-sultando consacrata nel 1256. L’edificio presenta anche altre caratteristiche che lo ri-conducono a molte delle direttive principali dell’Ordine in materia di architettura,sebbene in una parziale traduzione locale: per esempio le dimensioni, notevoli ri-spetto a quelle delle altre chiese coeve della zona e del Levante ligure in generale econsone a numerose fondazioni minorite. Tali caratteri sono ancora riscontrabiliperché l’elemento rimasto più simile alle origini è probabilmente la pianta, anchese a prima vista la fabbrica sembra essere stata completamente modificata dai notiinterventi seicenteschi operati dalla famiglia Costaguta. Le uniche vere modifichesulla planimetria, infatti, dovrebbero riferirsi alla terminazione dell’abside mag-giore, che inizialmente era forse piana, e a una cappella di grandi dimensioni,attualmente addossata al braccio sud del transetto immisso. In origine, San Fran-cesco doveva avere in particolare due elementi connotanti: quasi sicuramente unatorre nolare, sostenuta dai possenti pilastri che si innalzano tuttora nella campa-ta all’incrocio con il transetto e che sono parzialmente visibili sotto il rivestimen-to seicentesco e, forse, un rosone. Non esistono prove che l’apertura, che dovevanecessariamente trovarsi nella parte alta della facciata, avesse effettivamente que-sta forma, ma la sua presenza è ipotizzabile - insieme all’idea che fosse di grandi di-mensioni - a motivo della frequenza con cui questo tipo di bucature è rintraccia-bile sia in ambito ligure, sia mendicante e delle numerose altre somiglianze cheaccostano in qualche modo San Francesco alla “basilica” di San Salvatore“dei Fieschi”. (VT)

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CHIAVARI, MUSEO DIOCE-SANO: CROCE RELIQUIARIO DIPAPA INNOCENZO IV

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Il Museo Diocesano di Chiavari,scrigno dei tesori fliscaniNaturale completamento di qualsiasi struttura è l’arredo - mobili,oggetti, suppellettili -, nel donare il quale le famiglie committenti - iconti di Lavagna - o le comunità locali, a questi legate, non furono me-no prodighe, dotando gli edificî di manufatti di grande bellezza e qua-lità, alcuni dei quali sono oggi conservati ed esposti nel Museo Dio-cesano di Chiavari.Da Moneglia provengono due pezzi di notevole rilievo: un cofanettodi produzione limosina del XIII secolo con angeli entro medaglioni insmalti policromi, appartenente agli arredi liturgici della chiesa di SantaCroce, e la tavola della Madonna con Bambino, dell’Oratorio deiDisciplinanti, attribuita alla metà del XIV secolo e affiancata dai la-certi di due santi e da quelli di un orante o committente. A Cogorno- chiesa di San Lorenzo - è legato il Polittico di San Lorenzo, data-to 1492, opera di un ignoto pittore vicino a Braccesco e Foppa. Dalla“basilica” fliscana è giunto, invece, un calice cinquecentesco dalleforme essenziali e con stemma abraso, marchiato torretta e con leiniziali del fravego genovese - L.V. -, forse il medesimo che parteci-pa alla realizzazione della cassa del Corpus Domini per la cattedraledi Genova. Dalla chiesa di San Giovanni Battista di Chiavari, fonda-ta da Bardo da Lavagna, sono arrivati due pezzi importanti: una ta-vola con Madonna e Bambino (1360-1380 ca.) di artista ligure in-fluenzato dalla pittura senese, che nel gesto del Bambino, che si toccail piede, ripropone in tempi precoci un’iconografia diffusa, ma con-tenuta all’interno dei confini liguri, e una seconda tavola, Madonnacon Bambino, di Bernardino Fasolo - figlio di Lorenzo - datata 1512,

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esponente di una famiglia di artisti legata da numerose committenzeal clan dei conti di Lavagna.Infine, è qui che oggi si conserva uno degli oggetti più preziosi dellafamiglia lavagnina per i molteplici significati che racchiude: la Cro-ce-reliquiario di Innocenzo IV. Si tratta, in realtà, di una Crocepettorale con la reliquia della Vera Croce - usata dal pontefice - e piùtardi montata su un supporto in argento dorato attribuibile a mani-fattura genovese del XVI secolo. La Croce originaria - una Croce diLorena - è in cristallo di rocca e rifinita in argento dorato; recenti ri-cerche, che hanno attribuito la custodia originaria a una produzionecostantinopolitana della prima metà del IX secolo, permettono di con-siderare il prezioso manufatto del medesimo ambito e tempo. Un og-getto - donato alla chiesa di San Salvatore probabilmente dallo stessoInnocenzo IV - dai molti significati simbolici: custodisce la reliquiapiù importante per il mondo cristiano, è stata la Croce pettorale di unpapa, è di antica produzione e proviene dal luogo da dove - per tra-dizione - giungono le “vere reliquie”. (MC)

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Il bandito Nicolò Della Cellael 1583 si tenne a Santo Stefano d’Aveto,feudo fliscano pervenuto ai Doria nel XVI se-colo, un processo contro il bandito ventiduen-

ne Nicolò Della Cella di Cabanne, in Val d’Aveto, reodi avere partecipato a un omicidio nel territorio geno-vese di Orero, nella Val Fontanabuona (compresa nel-la podesteria di Rapallo). Il delitto era avvenuto sulvalico che collegava Rapallo alla Fontanabuona, dovespesso entravano in azione i banditi ai danni dei viag-giatori. Torturato, Nicolò si decise a confessare anchealtre rapine effettuate in Valle Sturla contro tessitori divelluto. Nell’entroterra del Tigullio si registrarono inquel periodo altri episodî simili a questo, che mostra-no uno spaccato sociale dei territorî di Avegno, Uscio,Tribogna, Corèglia Ligure, Mocònesi, Orero, Lòrsica eFavale di Màlvaro. (DC)

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TRE PARTICOLARI DELLAVAL FONTANABUONA, CHEEVIDENZIANO LA PROFONDAINCISIONE PRODOTTA DALTORRENTE LAVAGNA

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Lungo la via Patrania

Lasciando la strada statale e attraversando il fiume Lavagna in direzione diCorèglia se ne costeggia per un breve tratto l’alveo quando, nei pressi di unaofficina che utilizza in parte un edificio che nel lato sud dichiara la sua strut-tura antica (benché non databile), compare sulla sinistra una piccola cappel-la, circondata da alberi, su un terrapieno sostenuto da un basso muretto asecco: indica il luogo in cui sorgeva l’ospedale di San Pietro di MonteOscano; nel 1502 fu intitolata a San Bartolomeo e quindi, nel 1736, a SanContardo. L’edificio attuale, a pianta rettangolare monoabsidata, non è quel-lo primitivo, ma segnala soltanto il sito originale dell’ospizio, in corrispon-denza dell’innesto fra la via di fondovalle - la cosiddetta Patrania -, che tran-sitava lungo tutta la Fontanabuona per raggiungere Torriglia oltre il MonteLavagnola, e quella che arrivava da Rapallo guadagnando il crinale versoMontallegro, per il passo di Canevale e di Corèglia. Un punto strategico, quin-di, che necessitava di una struttura di ricetto, qui documentata dal 1034.L’ospedale dipendeva dalla chiesa di Soglio - che si trova sull’altura di fronte- e fu retto, tra gli altri, da Giovanni di Cogorno della famiglia Rossi, consor-tile dei Fieschi, già canonico della cattedrale di San Lorenzo, poi arcivescovodi Genova nel 1239, dove morì nel 1252.Risalendo la strada per Corèglia si raggiunge il piccolo borgo, accolti da unaserie di case abbandonate, che conservano le pietre forate per infiggervi i palidestinati a sorreggere la vite coltivata sul tetto. La chiesa di San Nicolò sorgelungo la via, cuore di un abitato sparso, e non conserva traccia del suo remo-to passato. Essa dipendeva dalla chiesa di San Maurizio dei Monti di Rapallo- a conferma del legame di Corèglia con il percorso di collegamento ricordato- ed è citata già nel 1147. Tra i varî rettori si annoverano Stefano Fieschi, de-

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signato da Giulio II con bolla del 1510. Costui,nel 1503, ricusò le chiese di San Maurizio, Co-règlia e Canevale e il papa vi nominò LorenzoFieschi, vescovo di Mondovì. La chiesa si pre-senta nelle fattezze moderne (1862-1869), re-staurate nel 1931, anche se nello spigolo norddella facciata, in basso, incisa malamente nelcemento si legge la data IHS 1667, forse riferi-ta a una lapide preesistente. Dalla spianatadell’edificio si gode un panorama invidiabilesulla parte bassa della valle. (FC)

LA CHIESA DEI SANTI BARTO-LOMEO E CONTARDO A PIANDI CORÈGLIA

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Gli uomini di Gian Luigi FieschiRecenti studî hanno messo in luce un aspetto finora poco studiato e che meri-terebbe un approfondimento: la penetrazione dei Fieschi del ramo di Recco inFontanabuona, a partire dalla fine del XV secolo, attraverso l’insediamento invarie parrocchie della vallata. Il borgo di Recco, infatti, costituì la principalesede di residenza dei Fieschi di Torriglia nella Riviera di Levante; qui si stabi-lì Antonio Maria, figlio di Ibleto e pertanto nipote ex fratre di Gian Luigi ilGrande, dando vita - con la discendenza avuta da Innocenza Cybo (di Fran-cesco, figlio di papa Innocenzo VIII, e di Maddalena de’ Medici di Lorenzo ilMagnifico) - a questa linea familiare che fra XV e XVI secolo avrebbe forni-to un importante supporto ai potenti cugini. Nel 1506, ad esempio, durantela guerra civile tra nobili e popolari, Antonio Maria fu attivissimo in Riviera:nel settembre occupò per conto dello zio Gian Luigi, arroccato in Val Fontana-buona, il borgo di Chiavari affinché i popolari non lo prendessero. Ritiratosisulle montagne, continuò a condurre azioni belliche contro la fazione avver-saria in Rapallo e in altri luoghi della Riviera. Proprio ai Fieschi di Recco sideve il mantenimento di saldi legami con il territorio, anche attraverso unionimatrimoniali con i notabili locali, perlopiù esponenti della fazione popolare,legami assolutamente inusuali nel contesto genovese. Antonio Maria Fieschiaveva avuto i figlî Rinaldo e Lodisio, sposo di Preziosa Della Torre, che nel1506, evidentemente già vedovo, riceveva l’arcipretura della pieve di San Gio-vanni Battista di Cicagna con annessa la chiesa di Sant’Ambrogio di Cornia,in Val Fontanabuona. Due anni dopo, Lodisio ricevette anche la rettoria dellechiese di Sant’Andrea di Lago, nella media Val di Vara, e di Santa Margheritadi Mocònesi.I Fieschi di Recco mantennero fitti anche i contatti con il potere politico-reli-gioso, dando alcuni ecclesiastici di spicco, primo fra tutti Lorenzo (fratello diAntonio Maria), protonotario apostolico, vicario arcivescovile di Genova, com-

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mendatario perpetuo dei monasteri benedettini di Santo Stefano di Genova edi San Fruttuoso di Capodimonte e della chiesa di Santa Margherita Ligure(allora quartiere di Rapallo), nonché vescovo di Brugnato (1502), di Ascoli(1510) e di Mondovì (1512). Un suo figlio naturale, Stefano, fu legittimato ecreato a sua volta conte palatino dall’imperatore Carlo V. Tutti nomi che ri-troviamo nel clero della Fontanabuona a partire dalla fine del XV secolo.Cicagna. Nel 1506 l’arciprete titolare dell’antica pieve di San Giovanni Bat-tista, Araone de Albereto, cedeva la cura di Cicagna, Mocònesi e Dezerega (og-gi frazione di Corèglia Ligure) a Lodisio Fieschi. Successivamente, dal 1510al 1515, ne fu rettore Eusebio Fieschi, quindi Ibleto (1535) e Andrea (1537-1563). Quest’ultimo, che teneva anche l’arcipretura di Moneglia, agiva a Ci-cagna attraverso il procuratore Domenico da Varese, proveniente da uno deipiù importanti feudi fliscani.Corèglia Ligure. L’antica chiesa di San Nicolò di Corèglia, già testimoniatanel 1147, dai primi anni del XV secolo fino all’inizio del XVII restò annessaalla chiesa di San Maurizio dei Monti di Rapallo. In quel periodo ebbe nume-rosi amministratori, tra i quali Stefano Fieschi, canonico di San Lorenzo in Ge-nova, nominato nel 1510 con bolla di papa Giulio II. Tre anni più tardi eglirinunciò alle chiese di Monti, Corèglia e Canevale, cosicché il 18 luglio 1513il papa nominava un altro prelato della famiglia, Lorenzo Fieschi, vescovo diMondovì.Mocònesi. Nel 1506 l’arciprete titolare della pieve di San Giovanni di Ci-cagna, Araone de Albereto, cedeva la cura di Cicagna, Mocònesi e Dezerega(oggi frazione di Corèglia Ligure) a Lodisio Fieschi. Nel 1535 era rettore diSanta Margherita di Mocònesi Ibleto Fieschi, che vi rinunciò il 2 luglio diquell’anno. Un altro Fieschi, Gerolamo avrebbe retto la chiesa nel 1588.Orero. La chiesa di Sant’Ambrogio nel 1495 fu incorporata nella parrocchia diZèrega, due anni dopo passò sotto il controllo dell’arciprete di Cicagna, finchénel 1603 l’arcivescovo di Genova la eresse a parrocchia indipendente. (AL)

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IN GRANDE: CRISTO APPAREIN VISIONE A SANTA CATERI-NA DA GENOVA (XVIII SECO-LO); DUE PARTICOLARI DELLACHIESA PARROCCHIALE DILÒRSICA E UNA INTERESSAN-TE TESTA APOTROPAICA

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Santa Caterina da Genova,la patrona di LòrsicaLòrsica è un tipico centro di strada che si sviluppa a nastro lungo la di-rettrice per Ventarola. A protezione dei suoi abitanti sorge la parroc-chiale intitolata a Santa Maria Annunziata e - più tardi - anche aSanta Caterina Fieschi Adorno, che oggi è la patrona della parrocchia(festa la quarta domenica dopo Pasqua). Secondo la lapide posta infacciata, la chiesa, edificata nel XVI secolo, fu completamente trasfor-mata nel 1834, forse perché l’edificio originario non era più in gradodi ospitare la popolazione, molto aumentata per lo sviluppo dell’atti-vità artigianale legata alla produzione dei damaschi, broccati e lam-passi. Infine - recita sempre l’epigrafe -, fu restaurata nel 1954.All’interno, oltre all’altare consacrato alla Santa, è conservata una te-la raffigurante Cristo porta la Croce in visione a Santa Caterina daGenova, frutto di una forte spinta devozionale sull’onda della recentecanonizzazione, avvenuta il 16 giugno 1737. Bartolomeo de Martini,infatti, nel suo testamento dell’11 agosto dello stesso anno, lasciò unlegato alla masseria della chiesa, per realizzare un quadro della Santa.L’iconografia è quella allora codificata per la nuova Santa da Lorenzode Ferrari, di cui esiste un esempio in un disegno eseguito dall’artista,praticamente identico al quadro lorsicano. Caterina indossa un abitomolto semplice, che risponde alla moda genovese del suo tempo fatta dibroccati, velluti, damaschi e lampassi prodotti in gran quantità pro-prio a Lòrsica.Al di là del portato artistico, la rapidissima ricezione del culto di San-ta Caterina in questa contrada è la conferma del pervicace rapportoche la famiglia Fieschi ebbe con la Val Fontanabuona. (MC-FC)

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I due politticidi Gattorna e MocònesiRisalendo la strada che porta da Gattorna a Roccatagliata - feudo fli-scano - si incontra il santuario della Madonna della Guardia, così tito-lato in seguito a una funesta epidemia di colera di metà Ottocento.La dedicazione originale era a San Giacomo, ossia al santo dei pelle-grini per eccellenza. Un documento del 1174 riferisce che qui fu costrui-ta una chiesa con annesso ospedale, su concessione arcivescovile al mo-naco Guglielmo, posta nella plebania di Uscio. Il prevosto di Uscio nel1255 incaricherà il monaco Albertinus di governare chiesa e ospizio.Per quanto non sia esplicito il rapporto con i Fieschi, è facile immagi-nare un loro coinvolgimento, anche indiretto, nella tutela o nel control-lo di una istituzione così legata ai fascî viarî. D’altronde uomini di Mo-cònesi sono citati tra i fideles di Gian Luigi Fieschi il Vecchio.La chiesa - in restauro - è frutto di continui interventi migliorativi pro-tratti per più di due secoli: avviata la costruzione nel 1714, ricon-sacrata nel 1741, costruito il campanile nel 1786, nel 1882 fu alzatala facciata, ampliato l’edificio e allungato ancora il campanile; la cu-pola fu compiuta nel 1939, nel 1954 si procedette all’intonacatura e al-l’affrescatura, nel 1981 alla sistemazione del presbiterio, sino a un ge-nerale restauro nel 1988.Un polittico, nella cappella centrale, racconta la lunga storia dell’inse-diamento: in una bella cornice dorata che reca la data 1578 sono raf-figurati, da sinistra a destra, Sant’Antonio Abate, il Salvatore e SanBernardo esorcista, sulla predella Cristo con gli Apostoli cheostentano i simboli del supplizio, dialetticamente disposti, e in al-to la Madonna con Bambino fra San Sebastiano e San Rocco. La

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tavola è praticamente identica, nell’impo-stazione e nella struttura, al polittico con-servato a Mocònesi Alto nella chiesa di San-ta Margherita recentemente restaurata. Nel-la cappella a destra del presbiterio il polit-tico - datato 1577 - mostra a sinistra SanTerenziano, al centro Santa Margheri-ta che schiaccia il drago e a destra SanBernardo esorcista. La predella riportaancora l’immagine di Cristo e degli Apo-stoli. (FC)

GATTORNA, CHIESA PARROC-CHIALE DI NOSTRA SIGNORADELLA GUARDIA: DUE PARTI-COLARI DELL’EDIFICIO E ILTRITTICO DI SAN GIACOMO

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La Congiura di Raffaele della TorreCàlvari è nota in Val Fontanabuona - dove la memoria è più lenta asvanire - anche per la Congiura ordita contro la Repubblica di Genovada Raffaele della Torre, membro di uno dei rami dei conti di Lavagna.Siamo nel 1672 e Raffaele - nobile genovese -, convinto sostenitore del-l’unione della Liguria al Piemonte, prepara una sollevazione popolare,appoggiata dall’esterno dai Savoia. Si uniscono a lui anche i della Torredi Càlvari, Chiavari e Rapallo, suoi parenti. Uno dei punti di raduno deicongiurati è la casa dei fratelli Vincenzo e Pasquale, appunto a Càlva-ri. La Congiura, però, fallisce per il tradimento di un certo Vico che te-neva i contatti fra i della Torre e le truppe piemontesi. La notte di SanGiovanni Battista, festa del Santo patrono, scelta per approfittare dellaconfusione, i congiurati entrano a Genova ma vengono subito catturati. Da-gli atti del processo emergono le gravi responsabilità di Pasquale, che vie-ne condannato a morte. La sua abitazione a Càlvari è rasa al suolo e alsuo posto è collocata una lapide in marmo che perpetui in eterno la gra-ve infamia. Alla caduta della Repubblica di Genova, la comunità locale di-strusse l’epigrafe, di cui si conservano alcuni frammenti. Nel 2002, 330° an-niversario della Congiura, sull’edificio eretto a Càlvari dalla Repubblicaa presidio del paese, è stata murata una targa rievocativa. (AL)

LA VAL FONTABUONA E ILGOLFO DEL TIGULLIO ALTRAMONTO DAL BORGO DIBARBAGELATA, ANTICO PRE-SIDIO ALLE STRADE DI COLLE-GAMENTO FRA LA RIVIERA DILEVANTE E LA VAL TREBBIA

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Elisabetta Farnese,sposa a Filippo V di Spagna

lisabetta Farnese (1692-1766), figlia del duca diParma Odoardo, nel 1714 andò sposa al re diSpagna Filippo V, con un matrimonio combina-

to dal cardinale Giulio Alberoni, ambasciatore di Par-ma a Madrid. Nell’estate dello stesso anno, in previ-sione del passaggio di Elisabetta, l’itinerario stradaleda Cento Croci a Sestri (Levante) costituiva l’argo-mento principale del carteggio fra il conte Rocca e l’in-caricato parmense a Genova, Giovanni Battista Moran-do. L’11 settembre l’inviato ducale annunciava al Se-nato della Repubblica la prossima partenza della du-chessa, affinché da parte genovese si preparassero let-tighe, portatori e muli; il 16 settembre successivo unaguarnigione di alabardieri del real palazzo si imbarca-va su una galea per Sestri (Levante) e - contempora-neamente - un reggimento di quattrocento militari cor-si si metteva in cammino per Varese (Ligure). Nell’oc-casione, il 1° ottobre il marchese Agostino Spinola di-sponeva il trasferimento da Genova a Sestri (Levante)di musici e cantanti da far esibire nel concerto pro-grammato in onore di Elisabetta. Il numeroso seguitorichiese inoltre un cospicuo impegno economico daparte genovese, meticolosamente computato dai com-missarî generali a Sestri (Levante) e Varese (Ligure),Ippolito De Mari e Giuseppe Maria Durazzo: per l’ac-

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ELISABETTA FARNESE EFILIPPO V DI SPAGNA

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Per volontà di Ottobuono - Adriano V -

Quando la strada proveniente da Sestri Levante abbandona il suo tracciatopiano e inizia a salire dolcemente, si entra in Trigoso, luogo fliscano per eccel-lenza.L’insediamento dei Fieschi, ancora leggibile nel suo nucleo più rilevante, èconcentrato presso via Paraso, una piccola salita lastricata che consente diaccedere alla chiesa parrocchiale. Sulla sinistra del vicolo un muro impediscela vista della cappella di Sant’Adriano, facente parte di un terreno di proprie-tà privata trasformato in uliveto, a destra una sequenza di case lascia intuirele primitive parcellizzazioni, nonostante i rifacimenti successivi. Più lontano,disposto perpendicolarmente alla cappella, dipinto in rosso mattone, un impo-nente palazzo dalle forme settecentesche delimita il complesso religioso eabitativo.La cappella, ampiamente rimaneggiata, è quanto resta di un edificio sacro de-dicato a Sant’Adriano voluto da Ottobuono Fieschi con dispositivo emanto daViterbo il 26 aprile 1270, ripreso più ampiamente nel testamento del 28 set-tembre 1275 redatto in Francia, a Valence. Interessante un tondo lapideo (unachiave di volta?) con l’immagine di papa Adriano V recante nella mano il mo-dello della chiesa, che ne ricorda la sua committenza.Dall’atto del 1275 si evince l’importanza attribuita al complesso stante ladotazione di molti beni preziosi, reliquie e apparati liturgici (casule, dal-matiche, piviali in sciamito rosso, verde e viola, tappeti) e l’indipendenza daSan Salvatore di Cogorno. Furono affidati ai religiosi numerosi libri di fisica,grammatica, dialettica, teologia e diritto, segno che la collegiata avrebbe potu-to, forse, diventare centro di formazione culturale e teologica sotto il patrona-to familiare. La discendenza di Ottobuono, infatti, dimostrò un particolare at-taccamento all’eredità in Trigoso, se a metà Settecento Domenico Fieschi

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provvide a un restauro dell’edificio, in segui-to ai danni provocati da un’incursione pira-tesca del 1607 e dalle ingiurie del tempo, e nel1795 Giacomo Filippo Fieschi era responsa-bile della cappella, inserita con altri beni nellatenuta Chiosella gestita dal Conservatorio Fie-schi, un istituto patrimoniale sorto nel 1749.Ottobuono cita anche il palazzo e pone alle di-pendenze di Sant’Adriano l’erigenda chiesadi San Tommaso di Sala con annesso ospeda-le.Il 26 ottobre 1304 Nicolò Fieschi, da Torriglia,dispone la sepoltura della moglie Leonetta inSant’Adriano in una cappella, riccamente do-tata, nella quale sarà sepolto anch’egli alla suamorte.Pochi decenni dopo, il 31 gennaio 1336, daAvignone, il cardinale Luca chiede nel testa-mento di essere sepolto a Genova in San Lo-renzo, istituendo nella cattedrale due cappel-lanie che saranno dipendenti dal patronato diSant’Adriano. Stabilisce inoltre che in Geno-va, presso la collina di Carignano, sia costrui-ta una chiesa dedicata a Santa Maria in ViaLata, che dovrà essere simile a quella di Tri-goso. È la nascita del grandioso complesso diVia Lata, demolito in buona parte all’indoma-ni della Congiura ordita da Gian Luigi Fieschiil Giovane contro Andrea Doria. (FC)

IN ALTO UNA VISTA GENERA-LE DELL’ATTUALE COMPLESSODI TRIGOSO. A DESTRA LACHIESA DI SANT’ADRIANO,INTONACATA.SOTTO, DUE PARTICOLARIDELLA ROSSA MOLE DELPALAZZO. SUL FRONTONEDELLA FACCIATA CAMPEGGIAANCORA L’ARMA DEI FIESCHI

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coglienza del corteo reale era indicata la cifra com-plessiva di 22.126 lire, comprendenti la retribuzione distaffieri, cuochi, servitori, falegnami, oltre le fornitureda parte di pollaroli, formaggiari, candelari, vinaî etc.Alla corte parmense il programma del viaggio si sub-ordinava alla preliminare verifica della strada da Cen-to Croci a Sestri (Levante), nonché degli alloggî ade-guati alla dignità regale degli ospiti, compito affidatoal colonnello Odi, inviato con un furiere dal Duca perprendere lumi delle disposizioni fatte dalla serenissima Repub-blica di Genova, ma il risultato deludente dei rilievi rife-riti a corte determinava la decisione del cardinale Acqua-viva di “dilatare” la partenza al 20 settembre per la con-sapevolezza del tempo necessario a rendere convene-vole alloggio in Varese e in Sestri. Tale data era conferma-ta dal conte Ignazio Pescia in una lettera all’incaricatoparmense a Genova, Morando, in previsione dell’arri-vo della regina a Borgo Val di Taro per il 23 settembree a Sestri (Levante) due giorni dopo. Nel suo viaggioverso la Spagna, seguita da un nutrito corteggio, viag-giò in carrozza e in lettiga fino a Cento Croci e, scesa aVarese (Ligure), vi trascorse la notte del 25 settembrenel palazzo dei Cesena, famiglia da secoli legata ai Fie-schi che l’avevano accolta nel loro feudo nel XV seco-lo. Il giorno successivo Elisabetta riprese il camminoin portantina verso Sestri (Levante), dove si sarebbeimbarcata per la Spagna, toccando Castiglione (Chia-varese), Casarza (Ligure) e Trigoso. (DC)

DUE PANORAMI DAL PASSODI CENTO CROCI E, IN BASSO,IL PASSAGGIO DI ELISABETTAFARNESE PER IL VALICO DICENTO CROCI DI PIER ILARIOMERCANTI DETTO SPOLVERI-NI (1657-1734)

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Un’area di sostaper pellegrini e viaggiatori

In prossimità del passo del Bracco, nella località Pietra Colice, dopo aver su-perato l’erta salita che dal mare porta in quota, i viaggiatori trovavano riparoe possibilità di sosta presso l’ospedale/ospizio di San Nicolao. Il primo docu-mento che ne attesti l’esistenza è del 1222: in esso si nominano terre di suapertinenza.Oggi di questo importante luogo di accoglienza non resta quasi nulla, se nonle tracce della chiesa e i muri perimetrali rasati del grande complesso per l’o-spitalità - il più vasto noto in Liguria -. Un’attenta campagna di scavi ha peròpermesso di mettere in luce i diversi vani da cui fu composto nel tempo e ditrarre preziose informazioni dai materiali ritrovati, ancora in fase di studio.Dell’hospitale faceva parte anche la chiesa - dedicata a San Nicola -, un edifi-cio che si pone subito all’attenzione dell’osservatore per la forma e le dimen-sioni di tutto rispetto in rapporto all’intero complesso. Di essa si vede circa 1m in altezza dei muri perimetrali e altrettanto di un vano quadrato, probabilmen-te il campanile, che al suo interno presenta i resti di una tomba. La planime-tria è a tau, una tipologia non molto diffusa e di solito scelta da gruppi re-ligiosi ben precisi. La muratura ancora visibile, che utilizza concî ben squa-drati con uso di poca malta, e i resti in situ di alcuni archetti pensili a tuttosesto, collocherebbero la struttura fra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo.L’ospedale, invece, dopo un’ipotizzabile prima fase (anteriore al XIII secolo)con dimensioni molto ridotte e unico vano, subisce un notevole ampliamentonel corso del XIII-XV secolo, probabilmente sotto la spinta dei Fieschi, che nericonoscono un punto nevralgico nel panorama delle vie di traffico da e per ilmare e la pianura.

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Nel 1256 il San Nicolao diviene un possedi-mento della chiesa di San Salvatore ed è po-sto, di conseguenza, sotto il diretto controllodella Santa Sede, svincolandolo di fatto dallagiurisdizione dell’arcivescovo di Genova.Quello che gli scavi stanno portando alla luceè un vasto complesso, all’altezza delle neces-sità del tempo, quando sulle strade più impor-tanti transitavano ogni giorno migliaia dipersone spinte dalle esigenze più svariate eche veicolavano e si scambiavano idee e novi-tà, spesso proprio nei momenti di sosta pressoi numerosi hospitalia, che - come fari - costel-lavano la rete viaria medievale. (MC)

SOPRA E A LATO DUE PANO-RAMI DALLA VETTA DELMONTE SAN NICOLAO

IN ALTO, UN PARTICOLAREDEGLI SCAVI DELL’HOSPITALEDI SAN NICOLAO (2003) ESE-GUITI DALLA SEZIONE “TIGUL-LIA” DELL’ISTITUTO INTERNA-ZIONALE DI STUDI LIGURI

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ANCORA DUE MOMENTI DE-GLI SCAVI DELL’HOSPITALE DISAN NICOLAO (2003) ESE-GUITI DALLA SEZIONE “TIGUL-LIA” DELL’ISTITUTO INTERNA-ZIONALE DI STUDI LIGURI

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Il feudo di VareseNel 1158-1161 i conti di Lavagna ottennero investitura dall’imperatoreFederico I di un’ampia zona a cavallo delle valli Vara, Aveto e Taro; alla finedel XII secolo due rami dei conti - i Fieschi e i Penelli - si stabilirono nell’at-tuale Càssego e di lì iniziarono a disboscare, a costruire edificî in legno, adavviare l’agricoltura e l’allevamento. Nell’ambito delle lotte fra le due famiglieconsanguinee furono costruite, nel corso del XIII secolo, numerose fortifica-zioni, i cui resti sono ancora disseminati su tutto il territorio. La superioritànumerica e la migliore dislocazione logistica portò i Fieschi a conquistare lasupremazia nell’alta Val di Vara e, per consolidare la loro presenza sul terri-torio, entro la fine del XIII secolo fondarono un borgo che potesse diventare ilfulcro della vita dell’intera zona. Scelsero una posizione strategica, all’incro-cio delle due strade transappenniniche dirette verso Parma e Tortona attra-verso i passi di Cento Croci e del Bocco, anche nell’ottica di favorire i contat-ti con l’Emilia, dove da tempo la famiglia godeva di solide relazioni giocate sulpiano politico, parentale e delle gerarchie religiose.Il piano edilizio era estremamente moderno: si stabilì un numero di abitazionitutte uguali da edificare in muratura (e non di graticcî), entro un certo tempoe secondo un preciso progetto. Per la sua tipologia, il Borgo richiama la strut-tura di altri abitati medievali della Val di Vara - quali Brugnato, Groppo,Bozzolo - a pianta circolare, mentre i portici ricordano l’impianto tipico dellecase genovesi: il portico al piano strada, sotto il quale erano ampî vani a voltaadibiti a magazzino; accanto, un vano più piccolo che ospitava la scala diaccesso all’abitazione del piano superiore. A nord, il Borgo era chiuso dalpalazzo del feudatario (successivamente trasformato in castello) e, all’interno,si trovava una cappella dedicata a Santa Maria, scomparsa nel XVII secolo.La difesa dell'insediamento era costituita dalla cortina delle pareti esternedelle case. Le mura furono erette in un periodo successivo e dotate di due

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porte: una probabilmente vicina al palazzo deiFieschi, l’altra a sud, visibile ancora oggi, a duefornici e costituita da concî in pietra regolari.Nasceva così quello che oggi è noto come Bor-go rotondo, ascrivibile ad Alberto Fieschi, ni-pote di Innocenzo IV e fratello di Ottobuono(papa Adriano V) e di quel Nicolò che alla me-tà del Duecento aveva costituto un vasto do-minio in Lunigiana con l’acquisizione di nume-rosi feudi, che nel 1276 fu costretto a vendereal Comune di Genova.A poco a poco il Borgo fu popolato da famiglieprovenienti da zone limitrofe di influenza fli-scana: dalla Val di Taro, dal Tigullio, dal Pontre-molese, rimaste per secoli fedeli ai Fieschi, chetennero il feudo fino al 1547, con due brevi in-terruzioni: fra 1386 e inizio Quattrocento a se-guito della vendita alla Repubblica di Geno-va, nel 1435 per la conquista da parte delPiccinino in nome del Duca di Milano.Nel 1472 Varese passava sotto la dominazio-ne dei Landi a seguito del matrimonio di Man-fredo con Antonia Maria Fieschi. Gian LuigiFieschi il Grande, cugino della donna, nel 1479lo riconquistò alla famiglia, che lo tenne finoal 1547, quando, in seguito alla fallita Con-giura di Gian Luigi il Giovane contro An-drea Doria, molti dei suoi dominî furono in-camerati da Genova. (BB)

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VARESE LIGURE: UNA FOTO-GRAFIA AEREA CHE EVIDEN-ZIA LA PIANIFICAZIONE DELBORGO; LA PORTA DI ACCESSOAL “BORGO ROTONDO” E UNPARTICOLARE DEL CASTELLO