I trimestre - Fondazione Interculturagiuntoci dall’antichità, “le vite dei filosofi” scritto...

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Babele e scuola: cosmopolitismo e scambi La lezione di Luciano Canfora Una ricerca sugli atteggiamenti degli adolescenti verso gli scambi Educarsi alla cittadinanza mondiale 68 I trimestre 2013 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D. L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46 ) art. 1 comma 2 - D.C.B. Roma/anno 2008

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Babele e scuola:cosmopolitismoe scambi

La lezione di LucianoCanfora

Una ricerca sugliatteggiamentidegli adolescentiverso gli scambi

Educarsi alla cittadinanzamondiale

68I trimestre2 0 1 3 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D. L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46 ) art. 1 comma 2 - D.C.B. Roma/anno 2008

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La Fondazione Intercultura Onlus

La Fondazione Intercultura Onlus nasce il 12 maggio 2007 da una costola dell’Associazione che portalo stesso nome e che da 55 anni accumula un patrimonio unico di esperienze educative internazionali,che la Fondazione intende utilizzare su più vasta scala, favorendo una cultura del dialogo e dello scambiointerculturale tra i giovani e sviluppando ricerche, programmi e strutture che aiutino le nuovegenerazioni ad aprirsi al mondo ed a vivere da cittadini consapevoli e preparati in una societàmulticulturale. Vi hanno aderito il Ministero degli Affari Esteri e quello dell’Istruzione, Universitàe Ricerca. La Fondazione è presieduta dall’Amba sciatore Roberto Toscano; segretario generale èRoberto Ruffino; del consiglio e del comitato scientifico fanno parte eminenti rappresentanti del mondodella cultura, dell’economia e dell’università. Nei primi anni di attività ha promosso convegniinternazionali sulla Identità italiana tra Europa e società multiculturale e sull’educazione alla cittadinanzamondiale, numerosi incontri con interculturalisti di vari Paesi, ricerche sulla percezione dell’alteritàda parte dei giovani, un progetto pilota di scambi intra-europei con l’Unione Europea. Raccogliecontributi di enti locali, fondazioni ed aziende a beneficio dei programmi di Intercultura. Gestisce il sitowww.scuoleinternazionali.org.

www.fondazioneintercultura.org

L’Associazione Intercultura Onlus

L’Associazione Intercultura Onlus (fondata nel 1955) è un ente morale riconosciuto con DPR n. 578/85,posto sotto la tutela del Ministero degli Affari Esteri. Dal 1 gennaio 1998 ha status di Organizzazionenon lucrativa di utilità sociale, iscritta al registro delle associazioni di volontariato del Lazio: è infattigestita e amministrata da migliaia di volontari, che hanno scelto di operare nel settore educativo escolastico, per sensibilizzarlo alla dimensione internazionale. È presente in 142 città italiane ed in 65Paesi di tutti i continenti, attraverso la sua affiliazione all’AFS ed all’EFIL. Ha statuto consultivoall’UNESCO e al Consiglio d’Europa e collabora ad alcuni progetti dell’Unione Europea. Ha rapporticon i nostri Ministeri degli Esteri e dell’Istruzione. A Intercultura sono stati assegnati il Premio dellaCultura della Presidenza del Consiglio e il Premio della Solidarietà della Fondazione Italiana per ilVolontariato per l’attività in favore della pace e della conoscenza fra i popoli. L’Associazione promuove, organizza e finanzia scambi ed esperienze interculturali, inviando ogni annooltre 1600 ragazzi delle scuole secondarie a vivere e studiare all’estero ed accogliendo nel nostro Paesealtrettanti giovani di ogni nazione che scelgono di arricchirsi culturalmente trascorrendo un periododi vita nelle nostre famiglie e nelle nostre scuole. Inoltre Intercultura organizza seminari, conferenze,corsi di formazione e di aggiornamento per Presidi, insegnanti, volontari della propria e di altreassociazioni, sugli scambi culturali. Tutto questo per favorire l’incontro e il dialogo tra persone ditradizioni culturali diverse ed aiutarle a comprendersi e a collaborare in modo costruttivo.

www.intercultura.it

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in questo numero

Redazione: Fondazione Intercultura Onlus Via Gracco del Secco 100 • 53034 Colle di Val d’Elsa • Tel. 0577.900001

http://www.fondazioneintercultura.org • email: [email protected]

Direttore Responsabile: Carlo Fusaro

Grafica e impaginazione: Claudia Tonini • Roma

Stampa: Grafica '90 • Roma

Registrato il 04/05/2010 presso il Tribunale di Siena al n. 3

Finito di stampare nel mese di gennaio 2013

Babele e scuola: cosmopolitismo e scambi

Il 65° Congresso nazionale di Intercultura, che si è tenuto a Lecce dal 9 all’11 novembre 2012,portava il titolo “Babele e Scuola: le radici del cosmopolitismo e la pratica degli scambi” ed haofferto un momento di riflessione sull’origine del concetto di cosmopolitismo nel nostro mondomediterraneo (attraverso la prolusione di Luciano Canfora) ed una messe di dati sulle attivitàinternazionali delle scuole attraverso il IV rapporto dell’Osservatorio sulla mobilitàstudentesca, presentato da Nando Pagnoncelli.

In questo numero pubblichiamo il testo integrale dell’intervento di Luciano Canfora che hainteressato l’uditorio – nell’imponente castello di Carlo V – accompagnandolo in unacoinvolgente panoramica su Atene, l’ellenismo e l’impero romano e sulle scuole di pensierostoica ed epicurea che hanno segnato quei mondi.

Pubblichiamo poi la relazione di Nando Pagnoncelli ed una categorizzazione degli adolescenticome è stata rilevata da IPSOS per la Fondazione Intercultura, per quanto riguarda i loroatteggiamenti verso altri Paesi e le possibilità di studio o di lavoro all’estero.

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Cosmopolitismo anticoLa romanizzazione del mondoIl pensiero stoicoPosidonio: la cosmopoli e la condizione umanaAtene e la chiusura verso l’altroIl filone platonico e l’epicureismoDiogene: tutto il mondo è un’unica patria

Valori e atteggiamenti delle nuove generazioni verso l’internazionalizzazione della scuolaAlla scoperta della “Generazione i”Una fotografia del rapporto tra gli adolescenti del 2012 e l’esteroFamiglie e scuola: vere maestre di vitaLa scuola internazionale: un’esperienza ancora per pochi A scuola di internazionalità: si inizia con l’insegnamento delle lingueMobilità individuale: la conoscono ancora in pochiIl diverso approccio all’internazionalità di ragazzi e ragazzeConclusioni

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Il tema del cosmopolitismo, la parola stessa e leorigini di questo atteggiamento mentale, im-pongono un chiarimento preliminare. Il profilo

storico che cercherò di tracciare è doloroso, non è unamarcia enfatica ed euforica. Tutt’altro! La percezio-ne di essere cosmopoliti, cioè cittadini del mondo, èuna conquista. Si cita molto spesso un grande librogiuntoci dall’antichità, “le vite dei filosofi” scritto daDiogene Laerzio, un personaggio a noi poco noto maimportantissimo. “Le vite dei filosofi” narra anche diDiogene Cinico che, interrogato su quale fosse il suopaese, rispondeva “cosmopolites”, sono cittadino delmondo. Questo aneddoto, verosimile per quanto co-nosciamo di Diogene, non deve indurci a pensare chequesto atteggiamento mentale fosse normale, ovvio oaccettato. Per questo, dicevo, racconterò una vicen-da dura e aspra. Tuttavia è la ricostruzione di unagrande conquista e perciò merita, a mio avviso, di es-sere evocata.

Per farlo partirò dal testo di un filosofo inglese, gran-dissimo scopritore, accanto a Machiavelli, della poli-tica moderna: Thomas Hobbes. Cominciò a scriveremolto tardi, anzi cominciò addirittura con una tradu-zione delle storie di Tucidide dal greco all’inglese,molto istruttiva e significativa. Poi scrisse un libromemorabile in latino e in inglese (ne diede due di-verse versioni): in latino il titolo è “De cive“, “sul cit-tadino”. Nelle prime pagine di questo libro Hobbesnarra in chiave positiva di un aneddoto relativo ad unmomento particolarmente tragico della storia roma-na, il conflitto tra Roma e le popolazioni italiche.Riferisce, seguendo una fonte antica, le parole del ca-po degli italici Ponzio Telesino il quale, passando inrassegna le truppe che si sarebbero poi scontrate conl’esercito romano di Silla, incitava i suoi (che poi fu-rono sconfitti nella battaglia di Porta Collina alle por-te di Roma) con l’ammonimento che non si sarebbe

mai conseguita la libertà finché non si fosse distrut-ta la tana delle belve, che erano ovviamente i romani.Gli italici furono schiacciati da Roma prima di essereassorbiti, con un procedimento che rappresenta il fi-lo rosso della conquista romana del mondo.

Tanti anni dopo Thomas Hobbes, nel 1925, UlrichVon Wilamowitz Moellendorff, grande studioso delmondo antico non solo greco ma anche Romano elle-nistico, è ospite a Firenze. Era stato sostenitore acca-nito delle ragioni tedesche durante la prima guerramondiale ed era a Firenze per la settimana dell’amici-zia italotedesca, un segno importante di riconciliazionetra due popoli che si erano combattuti ferocemente ne-gli anni dal 1915 al 1918. Essendo un uomo scontrosoe abbastanza controcorrente, oltreché geniale, pro-nunciò un discorso intitolato “storia italica” durante ilquale sollevò un problema: tutte le stirpi precedentiavevano la loro propria vita e civiltà, ad esempio la gre-cità della Sicilia, che Roma ha distrutto. L’ultimo sus-sulto fu per l’appunto la guerra sociale degli italici, cheinsanguinò l’Italia dal 90 all’88 a.C.

Quindici anni più tardi, nel 1940, la scrittrice e fi-losofa francese Simone Weil, allora giovanissima,pubblicò un saggio memorabile intitolato “la politi-ca estera di Roma e la politica estera di Hitler”.Benché il parallelo in questo caso ci interessi poco,in questo scritto l’autrice si sofferma con molta effi-cacia su un fenomeno che, nell’insegnamento anchescolastico, viene presentato in una luce estrema-mente positiva: la romanizzazione della Gallia. LaWeil scrive con nettezza che si trattò di un genocidio intermini di vite umane e della estirpazione di una ci-viltà che non parlava più per la semplice ragione cheera stata cancellata. Si tratta chiaramente di un giu-dizio unilaterale. Dinanzi al grande fenomeno della ro-manizzazione della Gallia e del mondo celtico si pos-sono avere due atteggiamenti: uno per così dire irenicoe storicistico (attraverso questa immensa sofferenzauna civiltà più forte ha coinvolto un mondo intero, ac-quisendolo dentro di sé e creando una forma nuova di

Cosmopolitismo antico

LA ROMANIZZAZIONE DEL MONDO

Pubblichiamo il testo della prolusione pronunciata da Luciano Canfora nella sessione inaugurale del 65°congresso nazionale di Intercultura, a Lecce nel Castello di Carlo V, il 9 novembre 2012. L’argomento delleorigini del cosmopolitismo nel mondo antico si ricollega all’interesse dell’Associazione verso il tema del-l’educazione alla mondialità, sul quale la Fondazione Intercultura ha recentemente organizzato un con-vegno internazionale: “Ricomporre Babele – Educare al Cosmopolitismo” (Milano 2011).

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civiltà romana-gallica, che ha avuto una lunghissimadurata), l’altro come quello di Simone Weil, cioè un at-teggiamento fondato su un giudizio etico e soprattut-to sulla possibilità che la storia non abbia una sola usci-ta, ma ne abbia sempre due o tre o più, così che èpiuttosto comodo ma mentalmente pigro accettare co-me unica uscita possibile quella che si è realizzata. Ilfenomeno dinanzi al quale ci pone la riflessione diSimone Weil è però evidentemente quello della unifi-cazione brutale del mondo attraverso il dominio, lacreazione forzata di una cosmopoli imperiale.

Dinanzi a questo fenomeno che ha segnato secoli del-la storia del Mediterraneo, noi cogliamo, nel pensie-ro antico, due atteggiamenti diversi e cercheremo dichiarirli entrambi in modo sintetico. Entrambi pro-vengono da un grande orientamento di pensiero, lostoicismo, che è in un certo senso il portatore uffi-ciale dell’istanza dell’unità del genere umano ed èquindi la filosofia cosmopolitica per eccellenza.

Rispetto al fenomeno della unificazione violentadel mondo conosciuto, all’interno della stessa correntefilosofica dello stoicismo ci sono due risposte possibi-li. Da una parte ci sono pensatori il cui nome ancoraoggi ci dice moltissimo come Panezio e Posidonio (for-se il più grande pensatore dopo Aristotele, vissuto altempo di Pompeo nel primo secolo avanti Cristo). Perentrambi è possibile conciliare l’istanza cosmopoliti-ca del pensiero stoico con la realtà imperiale romana,cioè prendere atto che l’unificazione è avvenuta inquel modo. L’altro atteggiamento è invece di ribellio-ne e di contestazione che quella fosse l’unica possibi-le soluzione ed è legato anch’esso ad un nome, quellodi Blossio di Cuma. L’italico Blossio era stato il con-sigliere politico e spirituale di un grande riformato-re sfortunato quale Tiberio Gracco (siamo quindi nel133 a.C.). Quando Tiberio Gracco, tribuno della ple-be, tenta una certa riforma, Blossio, pensatore stoi-

co che gli sta accanto come consigliere e come mili-tante, pronto anche a subire le conseguenze dram-matiche della sconfitta, si trova ad affrontare la rea-zione del potere politico romano. Si tratta della scenatremenda in cui i senatori in prima persona, capeg-giati dal Pontefice Massimo (che era una carica poli-tica elettiva e vitalizia molto importante), vanno aduccidere Tiberio, spezzano gli scranni del Senato peravere delle armi contundenti e lo uccidono accusan-dolo di aspirare al “regnum”. Poi arrestano Blossio elo processano. Questi dichiara la sua fedeltà piena aTiberio, così gli viene chiesto provocatoriamente seavrebbe bruciato il Campidoglio, fosse stato Tiberioad ordinarglielo. Lui risponde che se Tiberio l’aves-se ordinato, sarebbe stato senza dubbio a fin di bene,e che quindi lui avrebbe eseguito. Una risposta ov-viamente provocatoria quanto la domanda. Blossiofugge dall’Italia e raggiunge l’estremo opposto delMediterraneo, recandosi nello stato di Pergamo, unapiccola monarchia nata dalla frantumazione dell’im-pero di Alessandro, sotto la dinastia degli Attalidi.L’ultimo regnante, Attalo III, lascia in eredità al po-polo romano il suo regno e il Senato procede, con for-malismo giuridico estremo, all’acquisizione di questodono piuttosto singolare: un sovrano che regala il suopaese ad un altro paese, ovviamente senza consulta-re i cittadini. Le spiegazioni di questo avvenimento sipossono facilmente ricondurre ad una monarchia incrisi che cerca di salvarsi affidandosi al grande pote-re imperiale. Blossio si unisce ai ribelli dello stato diPergamo che lottano per anni contro i romani e muo-re ucciso in quella guerra. Il filosofo stoico Blossio hadunque scelto: a Roma, è rimasto accanto a TiberioGracco. A Pergamo, accanto ad Aristonico, leader diquesti ribelli che si muovono in nome della città delsole, una grande utopia di tipo egualitario e così con-clude la sua carriera con una coerenza estrema alleproprie idee, si potrebbe dire agli antipodi delle scel-te di Posidonio e di Panezio. Eppure vengono tutti dal-la matrice dello stoicismo.

IL PENSIERO STOICO

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Posidonio era un siriaco ma parlava il greco, poichéapparteneva all’elite greca costituitasi quandoAlessandro occupò l’oriente e diffuse il greco fino inAfghanistan. Ha scritto tantissimo di molte materie:storia, filosofia, geografia, arte mantica. Insomma ungrande scienziato di cui purtroppo non abbiamo nul-la se non attraverso le tracce di coloro che lo hannoletto. Spesso è questo il destino di tante opere del-l’antichità. Un grande storico inglese diceva cheavrebbe volentieri dato indietro un po’ di libri di TitoLivio per averne uno di Posidonio. Tra quelli che lohanno letto e ne hanno parlato citerò soltanto un no-me, un personaggio di solito poco apprezzato di cuiperò abbiamo 20 libri e molti estratti: Diodoro diSicilia, vissuto più o meno nell’età di Cesare. Diodoroha scritto una storia universale che si chiama “biblio-teca storica”, opera preziosissima che però i profes-sori snobbano dicendo che in fondo ha solo copiatodalle sue fonti. Per fortuna che le ha copiate, dico io,perché ci ha tramandato cose che altrimenti avremmoperso. Nella sua lunghissima introduzione di fattoriassume il pensiero di Posidonio e sviluppa un’ideache lo affascina: il mondo essendo una cosmopoli, cioèun’unica patria, l’unica storia possibile è la storia uni-versale, non si può scrivere che la storia della cosmo-poli e gli storici sono i suoi sacerdoti. Diodoro bana-lizza dei pensieri che Posidonio aveva certamenteespresso in forma più articolata e profonda, ma ci faintravedere una delle motivazioni più interessanti del-la necessità che la storia sia storia universale. Dicouna delle più interessanti perché l’altra motivazionedello scrivere una storia universale non era la co-smopoli ma la giustificazione dell’imperialismo ro-mano. Come ad esempio in Polibio, prigioniero grecoinvaghito di Roma, che decide che la città è il destinodel mondo. E dunque, avendo Roma con la sua politicaimperiale unificato il Mediterraneo e quindi il mon-

do, la storia universale si giustifica in quanto raccon-to della conquista romana, non della cosmopoli.

Posidonio, che come ho detto ci è noto solo attra-verso coloro che lo hanno letto, era attratto da un pro-blema inerente alla cosmopoli e cioè la condizione uma-na, che mette alla prova di un’istituzione caratteristicae strutturale nel mondo antico: la schiavitù. Il suo pro-blema è la condizione dello schiavo. Si coniugano inlui due orizzonti e questo lo rende diversissimo daBlossio di Cuma: da una parte l’accettazione del do-minio del mondo da parte della potenza militarestraordinaria che fu la Repubblica ro mana, dall’altraperò la domanda sul perché della condizione servile.Questo è un pensiero che viene da molto lontano.

Al riguardo abbiamo dei frammenti su papiro di unpensatore molto precedente rispetto a Posidonio:Antifonte sofista. Si tratta di un ateniese della fine delquinto secolo avanti Cristo. La Atene democratica, chespesso ci viene additata come un modello non solo po-sitivo ma addirittura appetibile, è in realtà una cittàestremamente chiusa verso “l’altro”. Quando ad Atenegoverna Pericle, nel momento di massimo splendoredella città da tutti punti di vista, viene fatta approva-re una legge secondo cui è cittadino e quindi ha la pie-nezza dei diritti, soltanto chi sia di padre e madre ate-niese. Il che restringe ulteriormente il diritto dicittadinanza, che Atene magari elargisce come donoa qualche sovrano del Mar Nero perché ha mandatouna partita di grano in un momento di carestia, manon concede a coloro che abitano nell’Attica e fannoattività economiche importantissime, ma sono maga-ri siciliani che parlano il greco. Ad esempio il padredell’oratore Lisia era un ricco industriale, grande ami-co di Pericle, ma era siciliano e non era mai potuto di-ventare ateniese, nonostante avesse fatto tanto perAtene e suo figlio si fosse battuto per la libertà degliateniesi nel momento della guerra civile. Quindi

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ATENE E LA CHIUSURA VERSO L’ALTRO

POSIDONIO: LA COSMOPOLI E LA CONDIZIONE UMANA

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Antifonte è un sofista che ha un’idea oligarchica delpotere ma al tempo stesso aggredisce il concetto stes-so di distinzione fra il libero e lo schiavo. I righi che sisono salvati hanno dato la stura a infinite interpreta-zioni, ma sono molto chiari. Dicono “il barbaro e il gre-co respirano tutti e due col naso, parlano tutti e duecon la bocca. Dov’è la differenza?” E quando dice “ilgreco e il barbaro” sta parlando anche dello schiavo,dato che la gran parte degli schiavi sono prigionieri diguerra. Le masse schiavili nelle miniere dell’Attica co-sì come nei grandi latifondi siciliani venivano da altrearee, non erano certo cittadini. Quindi quandoAntifonte pone la questione del “sistema di respira-zione”, quindi di una differenza assolutamente artifi-ciosa, solleva la questione della distinzione fittizia tragreco e barbaro, libero e schiavo. Da questo viene la ri-flessione che passerà attraverso le scuole socraticheper giungere allo stoicismo.

Questo è un punto che credo meriti di essere messoin luce quando si parla dell’origine del concetto di co-smopolitismo: la tradizione filosofica che si è affer-mata, anche per il fatto che le opere si sono conser-vate, è quella platonica. Abbiamo tutto il corpo delleopere di Platone e Aristotele mentre abbiamo soloframmenti delle scuole socratiche ed ellenistiche.Quindi il filone vincente è quello platonico, che èestraneo alla problematica del varcare i limiti dellapolis, della cittadinanza considerata nella sua ma-niera più ristretta. È la sofistica, cui Socrate appar-tiene nonostante tutta la polemica interna ad un mo-vimento così contraddittorio, che ha sollevato laquestione della arbitrarietà e convenzionalità dellalegge, per cui chi è caduto prigioniero è schiavo equindi “minoris juris” (come si direbbe nel diritto ro-mano), ma soltanto per convenzione. La “fysis”, lanatura è uguale e dunque tutti gli esseri umani ap-partengono ad un’unica famiglia. Questo è il nucleo

più forte del pensiero sofistico che passa attraversoSocrate e giunge alle scuole socratiche, che sono al-la base delle due grandi correnti di pensiero elleni-stico, quella stoica e quella epicurea. Siamo abituatia concepirle in antitesi, ma anche questo è dettatodal modo in cui la tradizione si è formata. Infatti ab-biamo le opere praticamente complete di Cicerone edi Plutarco, due importantissimi intellettuali vissutil’uno nel primo secolo a.C. e l’altro a cavallo tra il pri-mo e il secondo. Ma entrambi sono impegnati in unapolemica costante contro l’epicureismo e portati asottolineare l’antitesi epicureismo-stoicismo su tan-ti aspetti, il più importante dei quali è l’idea della di-vinità. Per gli epicurei gli dei restano da qualche par-te, si disinteressano di noi e quindi è come se non cifossero: per loro il mondo è un immenso teatro di ato-mi che si incontrano, si scontrano, si combinano equesto è il fluire dell’esistenza. Per gli stoici invecela divinità è dentro la realtà, in tutti noi e anche nel-la natura cosiddetta inanimata. Il loro straordinariopensiero supera l’antitesi umano-divino. Quindi è evi-dente che tra le due scuole c’è un abisso, ma c’è unterreno sul quale si incontrano ed è per l’appuntoquello dell’unità del genere umano.

Seneca lo possiamo classificare come stoico or-todosso? O come stoico eretico? Tantissimo del pen-siero di Epicuro è contenuto nelle epistole a Lucilio.Nella epistola 95 lui pone il problema in maniera me-morabile, con una formula che credo sia nella me-moria di tutti: “costituiamo parti di un unico corpo”.La formulazione più radicale della indistinzione trail libero e lo schiavo, tra lo straniero e il cittadino è

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IL FILONE PLATONICO E L’EPICUREISMO

Nella pagina a fianco,sessione plenaria

del congresso

A destra Luciano Canforadurante il suo intervento

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nella lettera 95 di Seneca, che può essere sottoscrit-ta tanto da uno stoico ortodosso quanto da un epicureoconvinto. Aggiungerei anche che noi abbiamo una vi-sione abbastanza scolastica e unilaterale di queste di-stinzioni, perché tendiamo a pensare che ciascuno de-gli esponenti delle due correnti, non abbia fatto altroche ripetere l’insegnamento dei rispettivi maestri,quindi Epicuro da una parte e Zenone dall’altra. Nonè così! Ognuno di loro ha portato un contributo nuo-vo e originale. Chi legge Lucrezio, che è l’unico gran-de epicureo tramandato per intero (i sei libri del “Dererum natura”), capisce rapidamente di trovarsi di-nanzi ad un pensatore originale che è andato ben oltrel’insegnamento del maestro su tanti punti. E lo stes-so vale per Seneca rispetto all’ortodossia stoica.

Torniamo all’interesse di Posidonio per la condi-zione umana. Storiograficamente questo interesse siconcreta, come intravediamo nei libri 32 e 34 diDiodoro, nello studio del fenomeno delle miniere. Ilfenomeno della miniera come tale inquieta lo stoico apriori rispetto a qualunque considerazione umanita-ria, perché scavare significa violare la terra. Ma se laterra è divina perché Dio è dovunque, allora l’operadi cercare l’oro o materiali preziosi violando la su-perficie terrestre è nefasta e per questo la miniera vacondannata. I metalli cosiddetti preziosi sono prezio-si per convenzione e la condizione umana dei minato-ri è tale che i minatori stessi, come scrive Diodoro tra-scrivendo Posidonio, preferiscono la morte allacondizione in cui vivono. Nel quinto libro di Lucrezioc’è quella pagina memorabile sulle miniere d’oro del-la Tracia, che costituivano la ricchezza di Atene e deibravi democratici ateniesi. Lucrezio descrive non so-lo l’abbrutimento dei minatori, ma anche il clima mal-sano in cui essi sono costretti a lavorare a causa dicerti effluvi che provengono da quella zona e insiste suun punto: “avete mai osservato come muoiono giova-ni i minatori che lavorano in Tracia?”. Questo fa capi-re fra l’altro che Lucrezio ha visitato quella zona.

A conclusione della nostra riflessione sul tema del co-smopolitismo antico volevo collocare un testo forsepoco noto, sebbene si sia tramandato nella forma piùdurevole possibile. Si tratta dell’opera filosofica di unsignore che si chiamava Diogene, un greco nato sullacosta meridionale della Turchia, fanatico del pensie-ro di Epicuro. Non sappiamo quando sia vissuto esat-tamente. Quale manifestazione estrema di dedizioneall’insegnamento del maestro stabilì nel testamentoche le sue opere e quelle di Epicuro venissero iscrit-te su lapidi ed esposte nei portici di Enoanda, la suacittà. Così Epicuro avrebbe potuto parlare a chiun-que attraversasse i portici della città. Centinaia diframmenti di questo memorabile portico sono statiritrovati alla fine dell’ottocento da archeologi austriacie ricomposti, per cui abbiamo un mosaico di fram-menti che ci ridanno l’opera di Epicuro ma soprat-tutto di Diogene. Il fuoco, il centro della riflessione diquest’uomo, come si ricava dai frammenti recupera-ti e ricomposti, è che tutto il mondo è un’unica patria.Noi dividiamo la realtà geografica in paesi e regionima è come tagliare un corpo vivo. E non soltanto laterra è patria comune, ma tutti gli esseri umani sonosolidalmente tra loro uguali e degni di pari rispetto.“Quando si affermerà l’insegnamento del maestro”,scrive Diogene in questi frammenti, “non ci sarà li-bero né schiavo, non ci sarà lavoro che dipende e la-voro parassitario. Tutti vivranno di poco e tutti sa-ranno fratelli”. Non pensiamo che Epicuro abbiascritto questo. Epicuro ha certo scritto parole me-morabili, da cui un suo devoto allievo, in quell’angolodella Turchia, ha elaborato questo convincimento eha voluto che rimanesse sulle mura della sua città.Questo, a mio modo di vedere, è il punto più alto del-la riflessione antica sul cosmopolitismo.

Luciano Canfora

DIOGENE: TUTTO IL MONDO È UN’UNICA PATRIA

A destra Luciano Canfora

durante il suointervento

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Idati di questa ricerca attestano che solo il 25%degli adolescenti italiani dimostra un profilo diapertura internazionale molto spiccato (11% ap-

partiene al cluster dei Determinati e 14% a quello deiGlobetrotter).

Si tratta della “Generazione i”, ovvero di quegli ado-lescenti che, per necessità o per vocazione, si conside-rano attratti dall’estero. Un profilo internazionale chepresuppone ragazze e ragazzi con caratteristiche benprecise: informati, impegnati, inar restabili, intrapren-denti, interconnessi, interculturali, in gamba…

Il questionario utilizzato per l’indagine spazia dal-l’analisi dei consumi culturali, alle attività e allerelazioni a scuola e nel tempo libero, all’osserva-zione di taluni atteggiamenti e aspirazioni, finoalla relazione con genitori e insegnanti. Sonoemerse sei categorie.

FANNO PARTE DELLA “GENERAZIONE I”

I. I Globetrotter Sono soprattutto giovani liceali. Veri figli del mondo.A muoverli verso l’estero è una continua tensione ver-so la scoperta di un mondo nuovo. Hanno viaggiato econtinuano a farlo, nella vita e nei blog, dove entrano incontatto con culture diverse dalla propria, perché ladiversità non può essere che uno stimolo per miglio-rarsi. Potremmo definirli i “linkati” al mondo, con un’a-pertura a 360 gradi; per loro anche in Italia ci si do-

vrebbe impegnare per una maggior valorizzazione del-l’apporto fornito dagli immigrati. Bravi a scuola (mediadei voti in pagella del 7,2), eccellono nelle lingue, gra-zie anche alla frequentazione di persone straniere (il31% lo fa tutti i giorni o quasi). Sono portati per un ap-prendimento euristico della lingua più che passivo: il93% di loro quasi tutti i giorni ascolta canzoni in linguastraniera e il 55% non ha paura di navigare su siti inaltre lingue. Hanno in comune con il prossimo gruppodei “Determinati” il pieno sostegno di una famiglia cheha fiducia in loro e che condivide lo stesso amore perla cultura. In grandi percentuali assegnano un lusin-ghiero voto da 8 a 10 al comportamento della propriafamiglia verso l’educazione all’integrazione e al rispetto(88%), al sostegno nelle scelte per il proprio futuro(82%), all’incoraggiamento ad essere autonomi (84%).

II. I Determinati Sono giovani in piena sintonia con la scuola, in un rap-porto di riconoscimento del reciproco apporto e impe-gno (hanno la media dei voti più alta: 7,3), i ragazzi“Determinati” sono particolarmente attenti alla propriaformazione e investono sul loro futuro. Apparten gonoalla “Generazione i” e il mondo fa parte della loro quoti-

Valori e atteggiamenti delle nuove generazioni verso

l’internazionalizzazionedella scuola

Quella che segue è una sintesi, presentata da Nando Pagnoncelli (Ipsos) al congresso nazionale di Intercultura,del Rapporto 2012 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilitàstudentesca della Fondazione Intercultura. Esso indaga i comportamenti, gli atteggiamenti, la scala divalori e i timori di 800 studenti del II, III, IV e V anno delle scuole superiori italiane e di 400 genitori,rappresentativi dell’intera popolazione nazionale, verso le attività internazionali. Mette in luce il diversoapproccio di apertura o di chiusura dei ragazzi e delle ragazze verso un mondo senza confini e mette inrelazione i diversi tipi di atteggiamento nei confronti dell’apertura internazionale e delle sollecitazioni cheprovengono dalla famiglia di origine, dalla scuola, dagli amici o dalla motivazione personale.

ALLA SCOPERTA DELLA “GENERAZIONE I”

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dianità: guardano film e leggono libri in lingua stranie-ra (rispettivamente il 24% e il 16%) con percentuali mol-to più alte dei “Globetrotter” che si fermano all’8% e 2%perché privilegiano il contatto diretto. Hanno viaggiatomolto all’estero, con la famiglia e anche da soli. All’internodi questo gruppo vi sono coloro che hanno anche vissu-to oltre confine. Il loro approccio è però “didattico”: l’e-stero è visto come qualcosa di interessante e utile per ilproprio futuro, qualcosa per cui impegnarsi. Vi si avvi-cinano come ad una nuova disciplina. Sono ragazzi aper-ti, preparati, sicuri di sé perché hanno il pieno appoggiodella famiglia: il 73% crede fermamente (assegnando unvoto da 8 a 10) che la propria famiglia li stia educandoall’integrazione e li sostenga nelle scelte per il futuro.

SONO A UN PASSO DALLA “GENERAZIONE I”:

III. I Basici Sono curiosi e hanno desiderio di scoperta del mondoesterno, socievoli e pronti a mettersi in gioco. Sono peròmeno evoluti rispetto all’utilizzo della tecnologia (solo il10% naviga su siti non in italiano tutti i giorni o quasi) edevono investire un po’ di più nell’apprendimento dellalingua straniera (il loro voto a scuola è in media del 6,8).I “Basici” hanno le caratteristiche essenziali per entra-re a far parte della “Generazione i”, perché l’interessee la motivazione non mancano, ma non hanno gli stru-menti. Dovreb bero essere stimolati e accompagnati permano fino all’imbocco della via per l’estero. Anche inquesto caso la famiglia è un soggetto presente che sainiettare fiducia nello studente (si sentono educati al-l’integrazione più dei “Determinati”: 78%).

SONO A... PIÙ DI UN PASSO DALLA “GENERAZIONE I”:

IV. Gli Individualisti Amano l’Italia, le sue tradizioni, la cucina, gli amici e lafamiglia. Difficilmente la lascerebbero, anche se in fon-do hanno una certa curiosità verso l’estero, motivataanche dal riconoscimento dell’importanza delle linguestraniere. Sono molto concentrati su se stessi, con unapproccio marcatamente individualista che li rende piùcerebrali e meno istintivi, frenati nella scoperta del mon-do. Rispetto ai “Basici” mancano dell’anima esterofilae hanno una minore curiosità. Hanno i piedi un po’ trop-po inchiodati per terra, sul suolo italiano. Anche loro ri-cevono il sostegno della famiglia nelle loro scelte (il 69%

afferma di sentirsi decisamente sostenuto dalla fami-glia e il 71% indica: “mi sprona a essere autonomo”).

SONO LONTANI DALLA “GENERAZIONE I”

V. I Conservatori Bravini nello studio, ma senza eccellenze (la mediadei voti è del 6,8): secondo loro la scuola non ricono-sce le loro capacità. Radicati nella propria cultura,vedono lo straniero come il barbaro invasore e si rin-tanano nel proprio fortino (non leggono libri né ve-dono film in lingua straniera e la percentuale relati-va alla frequentazione quotidiana di persone di altrenazionalità si ferma all’8%). Chiusi nel loro mondo,sono a tratti addirittura refrattari anche all’appren-dimento delle lingue straniere che riescono a inter-pretare come una minaccia per la preservazione del-la propria lingua. In questo caso forse la famiglia“chioccia” li ha un po’ troppo inglobati nella propriainfrastruttura invece di crescerli più liberi dal re-taggio culturale (solo il 47% ritiene di avere alle spal-le una famiglia che li sprona a essere autonomi).

VI. I Demotivati Non sembrano neppure figli di quest’epoca, forse per-ché abbandonati a se stessi quando invece più di altrinecessiterebbero del sostegno della loro famiglia, cheperò non c’è. Sono un po’ sperduti, anche a scuola, da-to che viaggiano sul filo della sufficienza (hanno unamedia del 6,3). Sono scarsamente interessati al mondoin generale più che all’estero in particolare. Riacqui -stano un minimo di lucidità quando colgono l’impor-tanza delle lingue straniere, ma poi non fanno nulla peravvicinarvisi. Sono decisamente meno evoluti rispettoai “Conservatori”, ma anche meno convinti delle pro-prie posizioni, posto che ne abbiano; è possibile pensa-re che si aprano verso l’estero, ma la strada è lunga e bi-sogna motivarli con un’iniezione di fiducia unita a unsostegno più attivo. Sono ragazzi in bilico ma hanno an-cora chance di aprirsi all’internazionalità.

I giovani si scoprono più “tradizionalisti” che

“intraprendenti”: sono il 27% contro il 25%

Il 27% dei ragazzi che frequentano una classe ita-liana tra il secondo e l’ultimo anno delle superioriè lo zoccolo duro dei Conservatori e dei Demo tivati(rispettivamente 17% e 10%). Lonta nissimi da loro si

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collocano i Determinati e i Globetrotter (11% e 14%).Nel mezzo stanno i Basici (22%) e gli Individualisti(26%), pronti a propendere da una parte o dall’altra,ma mai per decisione propria.

I valori più importanti: prima gli affetti

del successo personale

Per i giovani intervistati la famiglia, l’amicizia, il ri-spetto degli altri rappresentano il trittico su cui si ba-sa la loro scala di valori e, a seguire, l’apertura alla co-noscenza e i soldi. L’amore per la cultura e il successovanno di pari passo e purtroppo solo all’ultimo postosi trova la spinta all’integrazione. Si reputano socie-voli (29%) e simpatici (24%), ma ben pochi si descrivo-no intraprendenti (9%) o avventurosi (8%).

Se interrogata nella sfera delle buone intenzioni,questa generazione di adolescenti si dice aperta ri-spetto alle sollecitazioni multiculturali e alla forma-zione internazionale. Ben vengano dunque i viaggi (lodesidera il 62% dei ragazzi), la presenza di stranieriper scoprire nuove culture (lo afferma il 64%), l’a-pertura all’integrazione per far crescere il nostro pa-trimonio culturale (66%), la diversità culturale inquanto stimolo per mettersi alla prova (66%) e, so-prattutto, le lingue straniere (76%).

Diverso il discorso, però, quando si va nel vissutodi tutti i giorni e si chiede di condividere i proprispazi con chi è di una cultura diversa dalla nostra.In questo caso ci si scopre più propensi a tu telare i va-lori e le tradizioni della cultura italiana (fondamentaleper il 54% dei ragazzi), piuttosto che cedere alle lusin-ghe della globalizzazione (a cui crede meno della metàdel campione, il 46%).

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La lingua straniera: per molti è solo una

materia, più che un mezzo di dialogo

A scuola studiano tutti l’inglese (100%), quasi nessu-no le lingue extraeuropee (russo, arabo e cinese, tut-ti al 3%).

La maggior parte ascolta quasi tutti i giorni canzo-ni in lingua straniera (lo fa il 64% di loro) e circa un quar-to utilizza siti internet non in italiano (il 23% quasi ognigiorno). Certo, c’è una profonda differenza di atteggia-mento tra i diversi cluster: i Globetrotter, assetati diconoscenza del mondo esterno, ascoltano tutti i giornicanzoni in lingua straniera (lo fa il 93% di loro), un terzo(31%) frequenta quotidianamente persone di altre nazio-ni; altrettanti comunicano in una lingua diversa dall’i-taliano via internet. I Determinati, invece, categoria piùinteressata al successo scolastico, preferiscono naviga-re su siti web in lingua straniera (lo fa tutti giorni il 62%),come pure guardare film e leggere libri in lingua origi-nale (24% e 16%). Se andiamo ad analizzare invece i com-portamenti dei cluster più tradizionalisti, si assiste a unacaduta in picchiata di queste percentuali, arrivando alsolo 8% dei Conservatori che si dicono disposti a fre-quentare (tutti i giorni o quasi) persone straniere, al 4%dei Demotivati che si spingono su siti internet non initaliano, allo zero assoluto (o quasi) di Basici, Indivi -dualisti, Conservatori e Demotivati attratti dalla visio-ne di film e alla lettura di testi in lingua originale.

Lavorare all’estero: per tanti un’ultima

speme più che un’opportunità

Il lavoro è un punto dolente. Gli adolescenti del 2012sono terrorizzati all’idea che in Italia non si troverà la-voro se non per conoscenze (33%) e che il diploma ser-virà a ben poco per costruirsi un futuro lavorativo(23%). Tra le altre paure: quella di essere condanna-ti a un lavoro precario per un lungo periodo (27%) edi essere costretti a dover andare all’estero per tro-vare un lavoro dignitoso (10%).

L’estero è però visto più come meta di viaggioche di lavoro. La maggior parte dei ragazzi ha viag-giato almeno una volta fuori confine: il 60% con lafamiglia, il 33% con gli amici e il 21% con un pro-gramma di studio (di cui l’88% per vacanze studio).Più dell’85% di chi ha viaggiato all’estero è rimastoall’interno dei confini europei.

UNA FOTOGRAFIA DEL RAPPORTO TRA GLI ADOLESCENTI DEL 2012 E L’ESTERO

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Eppure, all’idea di vivere all’estero, il 35%punta i piedi per terra e dice di voler rimanere nel -la propria città e un ulteriore 29% si dice disposto –al massimo – a spostarsi in una città più grande delproprio Paese. Il 36% si vede fra qualche anno inun’altra nazione europea o extraeuropea alla ricercadi migliori prospettive economiche e professionali.

Comunque anche tra il 64% (35% e 29%) che im -magina il proprio futuro in una città italiana, quasitutti (84%) si dicono disposti a spostarsi oltre confi-ne per un paio d’anni. E dovendo scegliere dove vive-re la meta rimane tradizionale: Regno Unito (34%),Usa (33%), Spagna (15%). Solo il 3% si immagina inGiappone e il 2% in Cina. È interessante notare chele prospettive dei ragazzi combaciano con quelle deiloro genitori che vedono, anche loro, ai primi due postiRegno Unito e Stati Uniti (30% e 29%) seguiti dallameta che più tradizionalmente veniva individuatacome polo di immigrazione dalla loro generazione,ovvero la Germania (15%), immediatamente seguitadalla Svizzera (13%). Ancor più interessante è vede-re l’altra faccia della medaglia: sono di più i genitoriche immaginano il futuro dei loro figli in un altro con-tinente che non gli stessi ragazzi: aumentano adesempio le percentuali di chi propende per l’Australia(7% studenti, 12% genitori) e per il Canada (3% ragaz-zi, 6% genitori).

Una vita all’estero? Il confronto

interculturale fa ancora molta paura

Africa, Asia, America Latina? Bellissimi continenti do-ve trascorrere una magnifica vacanza. Ma se si trat-ta di lavorarci, meglio optare per i più classici Paesidell’Europa (61%) e del Nord America (22%).

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Meglio in Europa che in Asia? Sì perché più

simile all’Italia, anche se c’è meno lavoro

Gli adolescenti temono in molti casi il confrontocon società diverse come quelle oltre Oceano, pre-ferendo quello con popolazioni dal substrato cultura-le e storico più affine a quello italiano, rappresentatodai Paesi dell’Europa centrale e occidentale.

Alla richiesta dunque di motivare il perché o me-no del gradimento di una certa nazione dove pensaredi poter vivere e lavorare, pongono in primo piano ifattori storico-culturali dell’Europa (51%), mentreil Nord America è preferito per quelli socio-econo-mici (46%). Le mete più esotiche, come l’Australia,vengono invece identificate con i “bei paesaggi” (31%)oltre che con buone condizioni socio-economiche (36%).

Gli stessi fattori storico-culturali sono alla basedel non gradimento dei Paesi asiatici (47%), anchese probabilmente sarebbe più facile trovarvi delle op-portunità lavorative. Da scartare invece l’Africa sesi va alla ricerca di un impiego (il 56% non sceglie-rebbe mai questo continente per questo motivo), co-me pure l’America Latina (29%).

In ogni caso Europa batte USA, perché è più im-portante sentirsi a proprio agio che trovare occasionidi lavoro. Se gli USA quindi offrono molte opportunitàper gli studenti (55%) e premiano i migliori (49%), lacara e vecchia Europa è da preferire perché più vivibile(soprattutto Svizzera 62%, Spagna 48%).

Il ruolo dei genitori: il desiderio di conoscere

culture diverse nasce in famiglia

Molti degli atteggiamenti descritti nelle sei tipo-logie di ragazzi affondano le loro origini nella fa-miglia di provenienza che, in modo nettamente piùpermeante di quanto possa fare la scuola, determi-na, o per lo meno influenza, il modo di porsi di questiragazzi verso l’internazionalità. Di conseguenza l’in-dagine Ipsos ha chiesto ai ragazzi intervistati di ri-flettere anche sul rapporto con mamma e papà e, perapprofondire, ha coinvolto anche un ulteriore cam-pione di 400 genitori di altri studenti italiani1.

Dall’analisi dei dati è evidente che i ragazzi più in-traprendenti, cioè i “Globetrotter” e i “Determinati”,provengono da famiglie molto attente all’autonomiadei propri figli e che sostengono le loro scelte: litrattano come adulti e riconoscono loro la capacità didecidere, di scegliere.

Il quadro sociale appare spaccato in due: i geni-tori dei ragazzi individuati da Ipsos come i più lonta-ni dalla “Generazione I”, (“Demotivati” e “Conserva -to ri”) pensano soprattutto a garantire i beni primaridei loro figli, tra i quali l’istruzione (lo dice ri-spettivamente il 75% e il 70% di loro, una percentua-le che scende al 56% e al 54% tra i “Globetrotter” e i“Determinati”). A questo ammirevole sforzo non cor-risponde però altrettanta attenzione quando si par-la dell’importanza dei viaggi, visti positivamente (oforse più plausibilmente come un obiettivo fattibile)

FAMIGLIE E SCUOLA: VERE MAESTRE DI VITA

1 Ipsos ha condotto due indagini: • una attraverso la somministrazione di un questionario ad un campione di studenti rappresentativo dell’universo degli studenti frequentanti il II,

III, IV e IV anno superiore in Italia, per sesso, tipologia di scuola frequentata (liceo, istituto tecnico, istituto professionale) e area geografica; • una attraverso la somministrazione di un questionario ad un campione di genitori con figli frequentanti il II, III, IV e IV anno superiore in Italia. Anche

in questo caso il campione è stato costruito in modo da rappresentare l’universo di riferimento degli studenti, campionando quindi i genitori per ses-so dei figli, tipologia di scuola frequentata dai figli (liceo, istituto tecnico, istituto professionale) e area geografica di residenza.

Statisticamente è importante garantire un elevato controllo campionario affinché non ci siano relazioni di parentela tra i genitori e gli studenti inter-vistati; infatti eventuali interviste fatte all’interno dello stesso nucleo familiare inficerebbero la bontà dei dati, rendendo alcuni interessanti risultatipotenzialmente frutto di una compilazione congiunta del questionario tra familiari, e rendendo dubbia la rappresentazione della realtà. Il fatto chesiano stati scelti campioni non imparentati protegge da questa eventualità e garantisce una notevole significatività ai risultati e alle opinioni comuni.

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solo dalle famiglie del 9% dei “Demotivati” e del 15%dei “Conservatori”. Nei genitori dei Globetrotter in-vece la dimensione del viaggio gode di importanzapari a quella dell’istruzione (sempre 56%).

Molto interessante è anche l’ammissione, di-chiarata anche con orgoglio, di far parte di fami-glie “chioccia” soprattutto da parte dei “Con ser -vatori” (58%) e degli “Individualisti” (31%) chesan no che i loro genitori preferiscono tenerli vicini einsegnare i valori della cultura italiana2.

Il rapporto tra i genitori e i figli varia molto traun gruppo e l’altro. Se l’84% dei “Globetrotter” af-ferma che mamma e papà li spronano ad essere au-tonomi, la percentuale scende specularmente al 48%tra i “Demotivati”. È interessante anche notare chei “Basici” e gli “Individualisti” godono anche essi diuna forte spinta emancipatrice (73% e 71%).

Percentuali ancora più basse, tra i “Demotivati”,quando si tratta di beneficiare di un po’ di tempo dedi-cato dai genitori a conoscere le loro opinioni (35%), undato che cresce più del doppio (75%) tra i “Globetrotter”.Ancora più scarse, sempre tra i “Demotivati”, le possi-bilità che i genitori approvino le loro scelte (27%).Percentuali basse (seppur molto più alte dei “Demo -tivati”) anche tra gli “Indivi dualisti” e i “Conser va tori”(47% e 46%), le cui strade, evidentemente sono state giàpensate dagli adulti per loro. “Globetrotter” e “De -terminati”, al contra rio, sono maggiormente intitolatiad andare contro corrente (69% e 59%).

C’è però un punto comune tra tutti: l’educazioneall’integrazione e al rispetto, impartita all’88% dei“Globetrotter” e all’81% degli “Individualisti”, così’come al 78% dei “Basici”, al 74% dei “Conservatori”e al 73% dei “Determinati”.

La scuola spesso non riesce a trasmettere il giustospirito di intraprendenza a tutti gli studenti, lasciandouna parte di essi completamente esclusa e lasciandoai margini della sua attività la ricerca della propriavocazione internazionale. Se è vero che “Globetrotter” e “Determinati” consi-derano le proprie scuole più dinamiche rispetto aglialtri cluster, è anche vero che praticamente tutti

giudicano insufficiente il livello di internaziona-lità della loro scuola. Solo tra i “Globetrotter” il vo-to medio assegnato alla propria scuola si avvicina al-la sufficienza (5,8); in tutti gli altri cluster il votomedio scende, arrivando a 4,5 tra i “Conservatori” eaddirittura al 4,3 tra i “Demotivati”, che si conside-rano spesso tenuti a margine dei progetti interna-zionali.

Gli studenti che più vengono incoraggiati dallascuola ad aprirsi al mondo, attraverso progetti voltiall’internazionalizzazione e a iniziative presentate in

2 Le percentuali si riferiscono a quanto, secondo i ragazzi che hanno risposto, le frasi sopra riportate si adattano alla propria famiglia.

LA SCUOLA INTERNAZIONALE: UN’ESPERIENZA ANCORA PER POCHI

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modo allettante, sono la colonna portante della“Generazione I”: sia i “Globetrotter”, sia i “Deter -minati” frequentano scuole un po’ più attive. Spieganoche il numero medio di progetti internazionali realiz-zati dalla loro scuola è rispettivamente pari a 2,6 e 2,4.Si tratta soprattutto di scambi di classe, collaborazio-ni con altre scuole, stage di studio all’estero. Il datoscende a un numero medio di progetti pari a 1,7 tra lescuole dei “Basici”, a 1,4 tra quelle degli “Indivi -dualisti”, a 1,1 tra quelle frequentate dai “Conser -vatori” e a 1,5 tra i “Demotivati”.

È per questo che complessivamente i giudizi sul-la scuola appaiono più positivi tra gli appartenenti al-la “Generazione I”, mentre diventano più critici al-lontanandosi da essa. I “Globetrotter” riconosconoaddirittura alla propria scuola un ruolo importantenel sostegno alla loro crescita: il 34% assegna un vo-to da 8 a 10 su questo aspetto.

Sono le scuole frequentate da “Demotivati” e“Conservatori” a ricevere i giudizi peggiori ri-guardo all’internazionalizzazione, con una percen-tuale di voti 1-5 che supera il 65% e un voto medio chesi aggira attorno al 4,5. In effetti, i “Conservatori” inprimis e i “Demotivati” a seguire sembrano frequen-tare scuole generalmente poco inclini a organizzareiniziative. D’altro canto sorge spontanea una do-manda: è colpa della scuola che non fa abbastanza odello studente che, essendo meno ricettivo, automa-ticamente si defila da simili iniziative? Difficile ri-spondere, ma l’atteggiamento con cui i “Demotivati”si pongono nei confronti di questo aspetto sembre-rebbe sostenere la prima ipotesi: questi ragazzi in-fatti si lamentano proprio per la carenza di progettiinternazionali e, ove presenti, per la loro limitazionea poche classi/studenti.

Non a caso, una profonda identificazione tra stu-denti e scuola si realizza nel caso dei ragazzi della“Generazione I”, che valutano in maniera positiva laqualità dell’insegnamento. Il motivo? La scuola forni-sce loro tutti gli stimoli necessari, sia a livello di pro-gramma scolastico sia di iniziative volte all’aperturainternazionale. Non si può dire purtroppo altrettantoper le altre categorie. Un’ulteriore conferma del ruo-lo fondamentale dell’istruzione nel motivare le giova-ni generazioni a uscire dal proprio guscio.

L’esperienza di studio all’estero purtroppo è vistaancora dalla maggior parte degli studenti come ac-cessibile a pochi. Così la pensano soprattutto i De -

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motivati (73%) e i Basici. Non bisogna comunque sot-tovalutare la spinta propulsiva verso esperienze dicarattere internazionale di quella parte più attiva del-la “Generazione I”: il 41% dei Globetrotter, infatti,pensa che nella scuola ci sia un impegno sempre mag-giore verso l’internazionalità, anche se molti passivanno ancora intrapresi; il 9% dei Deter minati, ad-dirittura, pone piena fiducia nell’istituzione scolasti-ca, affermando che le iniziative ci sono: sta allo stu-dente trarne vantaggio.

Verso una generazione poliglotta: il 40% dei

ragazzi studia due lingue

La totalità dei ragazzi oggi in Italia studia una linguastraniera, oltre il 40% almeno due. Soprattutto in-glese (100%) e francese (39%), mentre lo spagnolo(17%) scalza il più classico tedesco (12%).

Il 17% degli studenti intervistati dichiara di stu-diare almeno una lingua straniera extra-curriculare,anche se sono ancora quelle “più tradizionali” ad es-sere di maggior richiamo per gli studenti. Si affacciatuttavia un 3% di lungimiranti avventurosi, che si ci-mentano nello studio di arabo, cinese e russo.

Il 35% afferma di conoscere bene l’inglese e unulteriore 45% dice di conoscerlo comunque discreta-mente.

CLIL: un’iniziativa interessante

L’applicazione del CLIL è riconosciuta dagi studenticome una delle attività più importanti tra le diverse

iniziative promosse dalla scuola, in quanto mezzo ido-neo a raggiungere una pluralità di obiettivi che con-corrono alla formazione internazionale di ragazzi.

Purtroppo, nonostante l’effettiva introduzione nelnostro sistema scolastico del CLIL, solo il 14% deglistudenti dichiara che all’interno della propria scuolavengano realizzati tali progetti mentre un risicato 7%ha vissuto direttamente nella sua classe questa espe-rienza (attivata soprattutto nelle materie scientifi-che). E ben il 57% dei genitori intervistati non l’hamai sentita nominare, forse perché vista ancora co-me una novità.

Le materie in cui il CLIL è applicato sono so-prattutto scienze/chimica (24%), italiano (18%), storia(16%), economia (15%), diritto (14%), matematica/fi-sica (13%), geografia (12%) e arte (9%).

A SCUOLA DI INTERNAZIONALITÀ: SI INIZIA CON L’INSEGNAMENTODELLE LINGUE

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Il 38% degli studenti che non hanno parteci-pato al CLIL, dichiara di essere interessato a pro-vare questa nuova esperienza. Infatti, tra chi hapartecipato al CLIL, circa l’80% si rende conto del-l’utilità dell’iniziativa per l’apprendimento e l’impie-go delle lingue straniere, mentre è solo un 20% che silamenta delle limitazioni linguistiche (proprie o de-gli insegnanti coinvolti) che ostacolano l’apprendi-mento. Il CLIL risulta inoltre utile, in termini piùgenerici, per la crescita degli studenti e può fungereda stimolo per una maggiore conoscenza dell’estero.

C’è però un altro 43% che sarebbe interessatocon qualche titubanza: emerge difatti una certa insi-curezza e paura di mettersi in gioco da parte dei ra-gazzi che affermano che il CLIL sia un’attività trop-po impegnativa per la loro età (5%) o che la loroconoscenza della lingua non sia adeguata (34%); al-tri invece sottolineano che la loro titubanza derivi daldubbio che i docenti non siano all’altezza (4%).

Progetti internazionali: per studenti e

genitori sono esperienze riservate a pochi

Un’altra nota dolente nel lungo percorso verso unascuola internazionale è la diffusa sensazione che leiniziative siano poche e riguardino poche classi (losottolinea il 63% degli studenti e il 66% dei genitori,in questo caso sommando anche la voce “non credone siano realizzate”).

Ma quali sono le iniziative promosse e con qualeincidenza? Secondo la propria esperienza nel corsodell’intero ciclo scolastico, il 53% degli studenti ri-ferisce che la loro scuola ha organizzato almeno unaattività internazionale: un dato che conferma quan-to affermato dai presidi nella rilevazione 2011.Tuttavia, a prendere parte a queste iniziative è me-no del 40% dei ragazzi, in quanto tali attività nonsono necessariamente obbligatorie o non sono rivol-te a tutti gli studenti.

Tra le attività organizzate più di frequente vi so-no gli stage di studio all’estero (28%), i progetti dicollaborazione con altre scuole (26%) e gli scambidi classe (25%). Secondo le dichiarazioni dei ragazzinon è altissima la diffusione del CLIL (14% rispettoal 23% dichiarato dai presidi nella rilevazione 2011),ma non è da escludere che alcuni studenti, la cui scuo-la abbia implementato questa attività, non siano con-sapevoli della presenza di tale iniziativa in altre clas-si al di fuori di quella da loro frequentata.

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Sono soprattutto gli studenti del Nord Est e delCentro (59%) ad indicare che la propria scuola orga-nizza almeno una delle iniziative esaminate. Nel NordEst, in particolare, sembrano essere molto diffusi gliscambi di classe, organizzati nelle scuole del 35% de-gli intervistati. Nelle regioni centrali e meridionali,laddove la scuola offre nel corso dell’anno una seriedi iniziative internazionali, è molto alto il tasso di ade-sione dei ragazzi: circa 3 studenti su 4 sono coinvol-ti. Fanalino di coda, sia per quanto riguarda l’orga-nizzazione da parte della scuola sia la partecipazioneda parte degli studenti, sembra essere il Nord Ovest,dove meno del 50% dichiara che la propria scuola or-ganizza attività volte all’internazionalizzazione e il70% non ha mai partecipato ad alcun progetto.

Le informazioni provenienti dai genitori si alli-neano perfettamente con quelle dei ragazzi per tut-te le attività che si svolgono all’estero (scambi di clas-se, mobilità individuale, stage); per le iniziative svolteall’interno delle scuole, una parte dei genitori pro-babilmente sovrastima il coinvolgimento diretto delproprio figlio in attività internazionali, pensando chele attività realizzate dalla scuola siano per tutti glistudenti (almeno secondo il 46% degli intervistati).

La ragione principale della mancata parteci-pazione degli studenti ai diversi programmi risie-de principalmente nel coinvolgimento di un numerolimitato di classi (quasi 50% delle citazioni) o è lega-ta alla scarsa disponibilità degli insegnanti (circa25%). Seguono la mancanza di motivazione (“nonm’interessava” 15%), l’alto costo (circa il 5%) e il fat-to di non essere selezionati (circa l’1%, quindi so-stanzialmente irrilevante).

La conferma arriva anche dai genitori: oltre lametà di coloro che hanno il figlio in una scuola cheorganizza attività internazionali, ritiene che la man-cata partecipazione sia da imputare al non coinvol-gimento della classe del figlio, sottostimando maga-ri l’assenza di interesse da parte del figlio stesso versole iniziative proposte (individuata come causa dall’8%dei genitori e mediamente da oltre il 15% degli stu-denti).

Ciò significa che strutturalmente la scuolanon è in grado di rispondere, anche a livello quan-titativo, alla voglia di aprirsi al mondo da partedei ragazzi, quando, invece, il giudizio sulle iniziati-ve è pienamente positivo sia dal punto di vista dellacrescita personale che della generazione di curiosità

verso l’estero. Tra le attività a cui va il plauso deglistudenti (attribuiscono un voto da 8 a 10) ci sono glistage di studio (per le due motivazioni sopra citaterispettivamente lo dice il 63% e il 74%) e l’applica-zione del CLIL (49% e 46%).

I genitori concordano con quanto affermato dairagazzi: il 72% di loro dà un voto tra 8 e 10 all’utilitàdelle iniziative internazionali, perché aiutano i gio-vani nella loro crescita personale, e il 77% perchéagevolano l’apertura verso l’estero.

Insegnanti: a loro il compito di informare

sui progetti internazionali

Secondo gli studenti, i professori hanno un ruolo pri-mario come fonte di informazione a proposito delleattività organizzate dalla scuola: il 77% dei ragazziha sentito parlare per la prima volta di tali ini-ziative proprio da un docente (spesso di lingue).

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Solo in percentuali minori sono altri soggetti ad at-tivare il circolo virtuoso delle informazioni: nel 26%altri studenti, spesso rientrati dall’esperienza all’e-stero, quindi il giornalino della scuola (15%), il pre-side (13%), la segreteria (7%). Solo l’1% di questa ge-nerazione, sempre interconnessa, afferma di averlosputo leggendolo su internet.

L’atteggiamento del docente è un requisito fon-damentale nell’incoraggiamento a intraprendereesperienze di carattere internazionale e, a detta de-gli studenti, lo fa la metà di loro (54% degli insegnantidi lingua e 45% di quelli delle altre materie). Purtrop -po rimane importante la percentuale tra gli inse-gnanti, ben il 10% (sono esclusi quelli di lingua), cheinvece cercano di dissuadere gli studenti dalla par-tecipazione.

Intanto i genitori stanno alla porta. È bassa la per-centuale di chi condivide con il proprio figlio le infor-mazioni sulle attività internazionali: solo il 12% dei ge-nitori dichiara che il proprio figlio parla frequente mentedelle attività internazionali svolte dalla scuola. Il 19%,addirittura, non ne ha mai sentito parlare. Questo è undato molto importante perché il grado di intrapren-denza dei ragazzi non può prescindere dall’atmosferainternazionale che si respira a casa.

Scuole sempre più internazionali? Sembra pro-prio di no agli occhi di studenti e genitori. L’insuf -ficienza piena è decretata sia dai ragazzi, che attri-buiscono un inclemente 4,9 in pagella, sia dagli ancorapiù severi genitori che non si sentono di dare più di4,4. Una china difficile da salire e che sembra scre-ditare il punto di vista di presidi e docenti i quali, nel-le passate ricerche, attribuivano al grado di interna-zionalizzazione della scuola italiana un voto piùlusinghiero (rispettivamente 6,3 e 6,7).

Tra gli aspetti individuati come particolarmentecarenti da segnalare l’opportunità di trascorrere unperiodo di studio all’estero e il sostegno dei docentinei confronti dei programmi di mobilità studentesca.

Un anno all’estero? Si può veramente fare?

Quasi la metà degli intervistati ne è all’oscuro

Diversamente dagli scambi di classe, la mobilità in-dividuale sembra essere un’attività ancora ignota amolti. Solo il 60% degli studenti è a conoscenza del

MOBILITÀ INDIVIDUALE: LA CONOSCONO ANCORA IN POCHI

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fatto che si possa trascorrere un anno di scuola(o parte di esso) all’estero; di questi circa la metà losa solo per sentito dire, ma non si è mai informata ariguardo.

Le informazioni circolano soprattutto tra gli stu-denti del secondo/terzo anno, probabilmente mag-giormente portati ad informarsi in vista di un’even-tuale partenza l’anno successivo, e tra i ragazziall’ultimo anno, presumibilmente grazie ai racconti dicompagni e/o amici che hanno vissuto l’esperienza.

Tra i genitori la conoscenza di questi progetti èaddirittura inferiore: la metà (il 52%) non ne ha maisentito parlare e solo un quinto (20%) ne ha una buo-na conoscenza.

I professori giocano un ruolo strategico: sono lamaggiore fonte di informazione per i ragazzi, anchese in questo caso la percentuale di studenti che hasaputo di questa opportunità da un professore (43%)si riduce drasticamente rispetto alle altre iniziative in-ternazionali illustrate nei paragrafi precedenti (77%,vedi pag 9). È invece importante il ruolo divulgativodi altri studenti (26%), e di amici e parenti deposita-ri in prima persona dei benefici dell’esperienza vis-suta all’estero (25%).

Studenti, genitori e docenti: divisi tra chi è a

favore e chi è contro la mobilità individuale

Sia per i genitori, sia per i ragazzi, la prima im-pressione verso l’esperienza personale all’esteroè positiva, molti si dicono propensi, seppure l’in-teresse sia mitigato da qualche timore e perples-sità. Nello specifico, il 37% degli studenti affermache è un’esperienza interessante ma difficile, per il24% è una bellissima opportunità, il 12% la conside-ra un’esperienza per pochi e l’11% afferma che nonriuscirebbe a stare lontano dai genitori.

Il timore degli studenti ha infatti principalmen-te origini personali (il 30% di coloro che non sonopartiti adduce motivazioni di questo tipo), da indivi-duare nelle difficoltà che tale esperienza li portereb-be ad affrontare. Molti rinunciano per la paura di nonessere all’altezza. Secondariamente, ma con un pesonon indifferente, si pone il problema dell’impattoeconomico sul budget familiare (20%) e non manca-no le motivazioni didattiche (16%) tra cui la scar-sa chiarezza sui programmi di studio all’estero e lapaura di una scarsa considerazione del periodo tra-scorso all’estero da parte della propria scuola.

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I genitori, più pragmatici dei ragazzi, pongono leragioni economiche al primo posto tra gli ostacoli al-l’adesione (25%). Al secondo posto a pari merito(20%), troviamo invece le motivazioni e le paure per-sonali dei loro figli insieme allo scarso interesse mo-strato verso questa possibilità: a ben guardare, for-se il poco interesse è per alcuni il frutto di paure einsicurezze inespresse o non comprese dai genitori.

In ogni caso, il 72% degli studenti ne ha parla-to a casa, registrando opposti commenti tra i ge-nitori che hanno reagito positivamente (48%) equelli che invece hanno dato una risposta negativa(46%), tant’è che i meno interessati (28%) non ne han-no proprio parlato in famiglia. L’opinione non è peròcondivisa dai genitori che affermano invece di esse-re favorevoli in una misura pari al 55% del campio-ne. I loro buoni propositi vengono però meno nellapratica, poiché sono evidenti i dubbi dei genitori ri-spetto ai programmi di mobilità individuale: l’83%ammette di non aver consigliato al figlio di frequen-tare la scuola all’estero per un periodo. I motivi: permancanza di informazioni (39%), per motivi econo-mici (12%), per tenersi il figlio vicino (9%).

E se proprio all’estero il figlio vuole andare,meglio se nella classica Inghilterra (31%) o, almassimo negli USA (29%). Scelte di destinazioneabbastanza condivise anche dai ragazzi che preferi-rebbero gli USA (44%) o l’Inghilterra (26%). In en-trambi i casi, gli altri Paesi europei, asiatici odell’America Latina si prendono solo le briciole.Nonostante questo, negli ultimi anni i dati diIntercultura rilevano un forte aumento delle richie-ste da parte dei ragazzi verso Paesi dell’AmericaLatina, dell’Asia (rispettivamente il 21% e l’11% sul

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totale dei partecipanti per l’anno scolastico 2012-13),e quelli dell’Est e del Nord Europa. È la confermadi un trend che vede l’emergere di una percentuale distudenti più attenta ai nuovi scenari economico-so-ciali e più propensa all’incontro con culture molto di-verse dalla propria.

Il timore più grande dei genitori è la paura del di-stacco (14%) seguita da una mancata chiarezza su comei docenti accoglieranno lo studente una volta rientrato.

Ben il 53% degli studenti ammette che i docentinon hanno proprio parlato con loro in merito alla mo-bilità individuale. Solo il 7% si è sentito sostenuto, il

5% ha ricevuto consigli su vantaggi e svantaggi, il10% ha potuto scegliere senza condizionamenti e l’1%si è sentito sconsigliare.

E cosa ne pensano i ragazzi dei loro compagniche sono all’estero? Più che bravi a scuola (23%) ecoraggiosi (27%) ritengono che siano fortunati (33%)e autonomi (29%). Il 20% sostiene che saranno av-vantaggiati in quinta e tra le varie dichiarazioni nonmanca chi indica che sono furbi (7%). Per molti la co-noscenza dell’esperienza vissuta dai compagni è piut-tosto vaga e lontana o comunque, anche se la cono-scono e la desiderano, resta un miraggio in tanti casi.

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Le studentesse italiane delle scuole superiori espri-mono maggior interesse e apertura verso l’estero ri-spetto ai loro coetanei maschi: amano di più viaggia-re e provare nuove esperienze, sono più curiose evivono gli stranieri più come una ricchezza che comeun pericolo. Domina in loro la consapevolezza del-l’importanza delle lingue straniere, verso cui hannoun atteggiamento attivo.

Non è un caso, quindi, che le ragazze frequenti-no scuole che prevedono l’insegnamento di una se-conda lingua straniera più di quanto fanno i ragazzi;non sono più brave a scuola dei ragazzi, ma dimo-strano un maggior impegno proprio nelle materie lin-guistiche, anche attraverso la lettura di libri e la vi-sione di film in lingua originale. I maschi, invece,hanno un approccio più “sociale” (frequentare ami-ci, navigare in internet, ascoltare musica); una mo-dalità di apprendimento che forse non viene ade-guatamente percepita.

Le ragazze si impegnano di più, ma è il 39% a di-chiarare una buona conoscenza dell’inglese contro il31% dei ragazzi. Si presume pertanto che non sia so-lo la conoscenza della lingua a determinare il diver-so approccio ai programmi di mobilità.

Vi è invece un divario rispetto alla conoscenza del-la lingua straniera tra i ragazzi che partono per l’e-sperienza all’estero e i loro coetanei maschi: proba-bilmente per i maschi la conoscenza della lingua èdeterminante per infondere loro coraggio e voglia diprovare.

Le ragazze dimostrano di essere maggiormenteinformate sull’organizzazione di progetti internazio-nali all’interno della propria scuola (il 66% ne cita al-meno uno contro il 50% per i ragazzi), così come del-l’opportunità di partecipare ad un programma dimobilità individuale (nota al 37% contro il 28% deiragazzi ). Quando partecipano attivamente, predili-gono più dei ragazzi i progetti che implicano un sog-giorno (anche se breve) all’estero (stage di studio 50%contro 29%); i ragazzi invece, si differenziano per unuso maggiore della tecnologia come strumento di con-tatto con il mondo estero.

Sembra inoltre dominare nelle ragazze una mag-gior lungimiranza. Affrontano lo studio delle lingue e

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IL DIVERSO APPROCCIOALL’INTERNAZIONALITÀ DI RAGAZZI E RAGAZZE

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le esperienze scolastiche rivolte al loro approfondi-mento convinte della loro natura strategica nell’of-frire maggiori opportunità di successo. Riescono piùdei ragazzi a pianificare, programmare e vedere oltreil proprio presente. Non hanno un maggior deside-rio di vivere all’estero, perché come i ragazzi dellastessa età amano la propria città e sono legati ad es-sa, ma valutano la possibilità di soggiorni anche bre-vi per garantirsi un futuro migliore.

I ragazzi sono più miopi nel valutare i vantaggifuturi che un’esperienza come quella della mobilitàindividuale può portare loro; se pensano ad un pe-riodo lavorativo all’estero, sanno però scorgere i van-taggi economici. Forse una leva per incrementare lapartecipazione dei ragazzi ai progetti di mobilità sa-rebbe proprio quella di sottolineare come la maggiorinternazionalità potrebbe renderli soggetti più inte-ressanti sul mercato del lavoro per le aziende.

Tutti gli studenti percepiscono la difficoltà insitanel periodo di studio all’estero, ma mentre i maschivedono i propri compagni che vivono l’esperienza co-me persone brave a scuola, le ragazze buttano losguardo più in là e colgono il vantaggio che avrannodopo il ritorno dall’estero.

La mancanza di un chiaro vantaggio tangibile eimmediato legato al periodo di studio all’estero po-trebbe essere alla base della disparità di partecipa-zione tra ragazzi e ragazze.

Lo spirito per l’avventura non sembra invece es-sere discriminante: gli studenti che partecipano aprogrammi all’estero si descrivono avventurosi eistintivi tanto quanto gli studenti maschi più restii al-

la mobilità. Le femmine invece si sentono general-mente più sensibili e insicure dei ragazzi e riesconoevidentemente a superare l’ostacolo caratteriale conla determinazione e il senso di responsabilità.

Non è da sottovalutare l’influenza delle famigliesulle scelte dei figli. Le studentesse avvertono piùdei maschi il sostegno e l’appoggio della famiglia:sembra infatti che i genitori delle ragazze siano ingenerale più informati su ciò che riguarda le loro fi-glie, almeno sulle iniziative scolastiche, e quindi sipresuppone da parte delle ragazze una maggior con-divisione con la propria famiglia di tutto ciò che ri-guarda la loro vita, almeno scolastica.

I genitori delle studentesse non solo infondono piùfiducia alle loro figlie sostenendo le loro scelte, ma cer-cano di trasmettere loro l’importanza di viaggiare.

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I giovani mostrano curiosità verso l’esplorazionedi nuovi mondi e realtà differenti dalla propria, masempre con moderazione. Coesiste infatti una in-sicurezza legata al timore di inadeguatezza e allapaura di mettersi in gioco. Questa ‘contrapposi-zione’ spesso rende alcuni atteggiamenti esclusi-vamente ideali, ostacolandone la realizzazione.

Il sostegno dei genitori gioca un ruolo fondamen-tale nel processo di crescita dei ragazzi, affinchédivengano individui autonomi, in grado di fare lescelte che ritengono “giuste” per il proprio futuro.

Il ruolo che la scuola assume in questo contesto hauna rilevanza strategica, ma ha ancora delle po-tenzialità inespresse. Il parere di Presidi e docen-ti appare divergere da quello degli studenti: gli univalorizzano molto le attività internazionali orga-nizzate dalla scuola, nonostante la consapevolez-za che coinvolgano un numero ancora esiguo di stu-denti, mentre gli studenti ed i loro genitori hannouna visione dell’internazionalità molto diversa ri-spetto a quello che la scuola oggi offre e sono de-cisamente critici nell’esprimere il proprio giudi-zio.

Tra i giovani, le ragazze dimostrano una maggio-re propensione verso l’estero, alimentata da unamaggior curiosità e da un misto di serietà e sensodi responsabilità che le porta a pensare maggior-mente al loro futuro e a programmarlo (nonostantedimostrino un forte legame con la famiglia e il ter-ritorio in cui vivono).

I ragazzi sembrano più abituati a ragionare sulpresente, rimandando il momento delle scelte; lamaggior disinformazione sulle attività della scuo-la, non li aiuta a cogliere le opportunità.

“Sulla carta” i programmi di mobilità entusia-smano tutti, ma al momento della scelta di partirele paure riaffiorano.

È evidente a tutti il valore di un’esperienza all’e-stero, ma bisognerebbe che scuola e famiglia abi-tuassero i ragazzi a costruire il proprio futuro e aguardare un po’ più avanti dell’oggi.

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CONCLUSIONI

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Occuparsi dell’educazione dei figli vuol dire anche metterliin contatto con coetanei di altri paesi.

Non è sempre possibile andare all’estero per un lungoperiodo ma è facile accogliere in casa per un anno

scolastico o una durata più breveuno studente straniero selezionato da Intercultura.

Sono giovani di sedici o diciassette anni motivatia conoscere e capire l’Italia e desiderosi di parlare

del proprio paese: Intercultura li iscrive a scuola e li assiste attraverso i suoi volontari.

Dal 1955 ad oggi migliaia di famiglie li hanno accolti in casa li hanno inseriti nella propria vita

ne hanno accettato l’idealismo e le incertezze,l’entusiasmo e gli scoraggiamenti.

Oggi hanno un amico per la vita.

Aggiungi un posto a tavola!

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