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curatore. Nel caso di san Giacomo, ciò lo dice chiara- mente lo storico ebreo Giuseppe (Antich., XX, 197 ss): il procuratore romano Pesto era appena morto, il suo suc- cessore Albino non era ancora giunto; Anano, ultimo figlio del Gran Sacerdote Anna, colse l'occasione per ra- dunare in tutta fretta un tribunale, condannare Giacomo e giustiziarlo. Gli ebrei stessi, scontenti di quest'atto di violenza, avvertirono il procuratore fin dal suo arrivo; il Gran Sacerdote, dicevano essi, non aveva il diritto di agire cosl e d'imbastire un processo senza il suo consenso. La legge generale resta dunque vera: gli ebrei non potevano più condannare a morte. Il Vangelo è oggettivo quando mostra il Sinedrio che ricerca un motivo valido da presentare al governatore. Solo quest'ultimo può ema- nare una sentenza che abbia valore esecutivo. E, in caso di morte, si tratterà di crocefissione, pena romana. Dopo avere esaminato il senso profondo di questa seduta del Sinedrio, possiamo rammaricarci dell'atteggia- mento degli ebrei, che hanno respinto l'inyiato di Dio, ma eviteremo di chiamarli « deicidi». Come hanno detto Gesù e gli Apostoli, « essi non sapevano ciò che face- vano ». Soprattutto è importante tener presente che in quel momento cruciale, in cui sfociavano le discussioni fatte nel Tempio, Gesù ha riconosciuto solennemente, di- nanzi al suo popolo, alla storia ed all'umanità, quello che sosteneva di essere e per cui andava a morire: il Messia trascendente, spirituale, di rango divino. Gesù accetta una momentanea umiliazione, ma sarà ben presto rialzato da suo Padre e trionferà sulle nubi del cielo, fondando, nel suo corpo resuscitato, il culto nuovo di cui vivrà per sempre la Chiesa., di cui vivranno tutti coloro che ,re- dono in lui. 168 ,,[ l I J I ,. ]I I CAPITOLO VI Gesù dinanzi a Pilato

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curatore. Nel caso di san Giacomo, ciò lo dice chiara­mente lo storico ebreo Giuseppe (Antich., XX, 197 ss): il procuratore romano Pesto era appena morto, il suo suc­cessore Albino non era ancora giunto; Anano, ultimo figlio del Gran Sacerdote Anna, colse l'occasione per ra­dunare in tutta fretta un tribunale, condannare Giacomo e giustiziarlo. Gli ebrei stessi, scontenti di quest'atto di violenza, avvertirono il procuratore fin dal suo arrivo; il Gran Sacerdote, dicevano essi, non aveva il diritto di agire cosl e d'imbastire un processo senza il suo consenso.

La legge generale resta dunque vera: gli ebrei non potevano più condannare a morte. Il Vangelo è oggettivo quando mostra il Sinedrio che ricerca un motivo valido da presentare al governatore. Solo quest'ultimo può ema­nare una sentenza che abbia valore esecutivo. E, in caso di morte, si tratterà di crocefissione, pena romana.

Dopo avere esaminato il senso profondo di questa seduta del Sinedrio, possiamo rammaricarci dell'atteggia­mento degli ebrei, che hanno respinto l'inyiato di Dio, ma eviteremo di chiamarli « deicidi». Come hanno detto Gesù e gli Apostoli, « essi non sapevano ciò che face­vano ». Soprattutto è importante tener presente che in quel momento cruciale, in cui sfociavano le discussioni fatte nel Tempio, Gesù ha riconosciuto solennemente, di­nanzi al suo popolo, alla storia ed all'umanità, quello che sosteneva di essere e per cui andava a morire: il Messia trascendente, spirituale, di rango divino. Gesù accetta una momentanea umiliazione, ma sarà ben presto rialzato da suo Padre e trionferà sulle nubi del cielo, fondando, nel suo corpo resuscitato, il culto nuovo di cui vivrà per sempre la Chiesa., di cui vivranno tutti coloro che ,re­dono in lui.

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CAPITOLO VI

Gesù dinanzi a Pilato

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COMPARIZIONE DINANZI A PILATO

Mt 27, 1-2. 11-14

1 Quando arrivò il mattino,

tennero consiglio contro Gesù tutti i grandi sacerdoti e gli anziani del popolo

per farlo morire. 2 E,

dopo averlo legato, lo condussero

e lo consegnarono a Pilato, il governatore.

Mc 15, 1-5

1 E cosi, il mattino,

avendo tenuto consiglio,

i grandi sacerdoti con gli anziani

e gli scribi

e tutto il Sinedrio

dopo aver legato Gesù, lo condussero

e lo consegnarono a Pilato.

I

COMPARIZIONE DINANZI A PILATO

Le 23, 1-5

22 66 Appena fu giorno,

si riunì (l'assemblea)

degli anziani del popolo, dei grandi sacerdoti e degli scribi ed essi lo trascinarono nel loro Sinedrio.

1 E, quando tutti si furono alzati,

lo portarono

davanti a Pilato.

Gv 18, 28-38

2s Essi portano Gesù dalla casa di Caifa

al pretorio.

Era mattina. Ed essi non en­trarono nel pretorio per non contaminarsi e (per poter) mangiare la Pasqua.

29 Pilato usci fuori verso di loro e domandò:

2 Cominciarono ad accusarlo « Quale accusa '> portate contro quest'uomo?».

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11 Gesù fu portato davanti al governatore

Mc

e il governatore l'interrogò, 2 E Pilato gli domandò: dicendo: « Sei tu il re dei Giudei? ». « Sei tu il re dei Giudei? ».

Le

dicendo: « Abbiamo trovato costui, che incitava la nostra gente alla rivolta, proibiva di pagare il tributo a Cesare, e affermava di essere il Cristo, Re».

3 Pilato l'interrogò, dicendo: « Sei tu il re dei Giudei? ».

Gv

30 Gli risposero dicendo: « Se non fosse un malfat­tore non te l'avremmo conse­gnato».

3t Pilato disse loro: « Pren­detelo voi e giudicatelo se­condo la vostra legge ». I Giu· dei gli risposero: « A noi non è permesso di uccidere nes­suno». 32 Affinché s'adempissero le parole di Gesù colle quali aveva predetto di qual morte doveva morire.

33 Pilato entrò di nuovo nel pretorio, chiamò Gesù

e gli disse: « Sei tu il re dei Giudei? ». 34 Gesù rispose: « Dici questo da te, o altri te l'hanno detto di me? ».

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Gesù rispose:

Mt

« Tu (lo) dici ».

12 E, per tutto il tempo in cui fu accusato dai grandi sacerdoti e dagli anziani,

non rispose niente. 13 Allora Pilato gli disse:

174

Mc

E lui gli rispose dicendo: « Tu (lo) dici».

3 Molte accuse gli muoveva­no i grandi sacerdoti.

4 Pilato di nuovo l'interrogò:

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Le

E lui gli rispose dicendo: « Tu (lo) dici».

I 2 3 9 Gli rivolgeva molte

Gv

35 Disse Pilato: « Son forse Giudeo? La tua nazione e i grandi sacerdoti ti hanno con­segnato a me. Che cosa hai fatto? ».

36 Gesù rispose: « Il mio re­gno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di que­sto mondo, le mie guardie certo avrebbero combattuto, perché non fossi consegnato ai Giudei. Ma il mio regno non è di quaggiù ». 37 Gli chiese allora Pilato: « Dunque, tu sei re? ». Gesù rispose: « Tu dici che io sono re; per questo io son nato, e per questo son venuto nel mon­do: per rendere testimonian­za alla verità. Chiunque è dalla parte della verità ascol­ta la mia voce».

38a Gli domandò Pilato: « Che cos'è la verità? ».

19 9b Ma Gesù non gli dette nessuna risposta. 10 Pilato gli disse allora:

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Mt

« Non senti quante sono le accuse che essi fanno contro di te? ».

14 Ma egli non rispose neppure ad un'accusa, tanto che il governatore ne era grandemente meravi­gliato.

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« Non rispondi nulla? Vedi di quante cose t'accusano! ».

5 Ma Gesù non rispose più niente, tanto che Pilato ne rimase meravigliato.

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I

Le

domande,

ma egli non rispose niente.

10 Intanto i grandi sacerdoti e gli scribi eran là che insiste­vano nell'accusarlo.

4 Pilato disse ai grandi sacerdoti e alla folla: « Io non trovo nessun motivo (di condanna) in quest'uo­mo». 5 Ma quelli insistettero di­cendo che sobillava il popolo, insegnando per tutta la Giu­dea, e aveva cominciato dalla Galilea finché era giunto là .

r1. - Panione e Resurrezione ...

Gv

« Non mi parli? ... ».

38b E detto questo, uscì di nuovo davanti ai Giudei e disse loro:

« Io non trovo nessun motivo (di condanna) in lui».

177

1

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GESU' INVIATO A ERODE E RINVIATO A PILATO

Ml

27 12 E, per tutto il tempo in cui fu accusato dai grandi sacerdoti e dagli anziani,

non rispose niente. 13 Allora Pilato gli disse:

« Non senti quante sono le accuse che essi fanno contro di te? ».

14 Ma egli non rispose neppure ad un'accusa ...

Mc

1 5 3 Molte accuse gli muove­vano i grandi sacerdoti.

4 Pilato di nuovo l'interrogò:

« Non rispondi nulla? Vedi di quante cose t'accusano! ». 5 Ma Gesù non rispose più niente ...

GESU' INVIATO A ERODE E RINVIATO A PILATO

Le 23, 6-12

6 Quando Pilato senti nomi­nare la Galilea, domandò se quest'uomo fosse galileo; 7 e avendo riscontrato che era della giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode, che in quei giorni si trovava anche lui a Gerusalemme.

s Erode, quando vide Gesù, ne fu molto contento. Da mol­to tempo, infatti, desiderava conoscerlo per tutto quello che aveva sentito (dire) di lui, e sperava di vederlo compie­re qualche miracolo.

9 Gli rivolgeva molte domande,

ma egli non rispose niente. IO Intanto i grandi sacerdoti e gli scribi eran là che insisteva-

Gv

19 9b Ma Gesù non gli dette nessuna risposta. IO Pilato gli disse allora:

« Non mi parli? ... ».

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27 27 Quindi i soldati ...

2s ••• gli misero addosso un manto scarlatto, 29 e ... si prendevano gioco di lui .. .

Mc

1 5 16 I sol da ti allora ...

17 Poi lo rivestirono di porpora ...

CONDANNA A MORTE

M 27. 15-26 Mc 15, 6-15

r8o

Le

no nell'accusarlo. 11 Erode insieme ;Ile sue guardie, dopo averlo trattato con di­sprezzo, si prese gioco (di lui) facendogli indossare una veste splendida,

poi lo rimandò a Pilato. 12 Ed Erode e Pilato in quel giorno stesso diventaro­no amici, mentre prima si odiavano l'un l'altro.

Gv

19 2 Intanto i soldati ...

e lo rivestirono d'un manto di porpora ...

CONDANNA A MORTE

Le 23, 13-25

13 Pilato allora, convocati i grandi sacerdoti, i capi e il popolo, 14 disse loro: « Voi m'avete portato davanti quest'uomo come se incitasse il popolo alla rivolta, ed ecco,

Gv 18, 39 - 19, 16•

19 4 Pilato intanto usd di nuovo fuori

e disse loro:

« Ecco, ve lo conduco fuori

181

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Mt

15 Ora, ad ogni festa, il governatore era solito

liberare alla folla un prigioniero, quello che volevano.

16 Avevano allora un prigioniero famoso, chiamato Gesù Barabba.

17 Appena si furono radunati

Mc

6 Ora, ad ogni festa,

liberava loro un prigioniero, quello che essi reclamavano.

7 Allora

uno chiamato Barabba si trovava in prigione con dei sediziosi che avevan commes­so un omicidio durante la sommossa. 8 E la folla, che era salita, incominciò a chiedere quanto era solito concedere ad essi.

Le

io l'ho interrogato alla vostra presenza, ma non ho trovato in que­st'uomo nessun motivo (di condanna) per cui voi l'accusate; '

15 anzi, neppure Erode, pe~­ché l'ha rimandato a noi. Quindi niente che meriti la morte è stato commesso da lui. 16 Dopo averlo fatto flagella­re, lo rimetterò in libertà ».

17 Era necessario

ad ogni festa che egli liberasse loro qualcuno.

Gv

perché sappiate che non trovo in lui nessun motivo (di condan­na)».

39 « E per voi una usanza

che io vi liberi qualcuno

per la Pasqua

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Pilato disse loro: « Chi volete che liberi: Gesù Barahb.: o Gesù, chiamato Cristo?».

18 Sapeva infatti che (era) per gelosia

(che) essi glielo avevano con­segnato.

19 Ora, mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: « ( Che non ci sia) nulla fra te e quel giusto, perché oggi, in sogno, ho sof­ferto molto a causa di lui ».

2o Ma i grandi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla

a chiedere Barabba per rovinare Gesù.

Mc

9 Pilato rispose dicendo: « Volete che vi liberi

il re dei Giudei? ». 10 Capiva, infatti, che (era) per gelosia (che) i grandi sacerdoti glielo avevano consegnato.

11 Ma i grandi sacerdoti

istigarono la folla

perché liberasse loro piutto­sto Barabba.

a

Le

18 Essi gridarono tutti insieme, dicendo: « A morte quest'(uomo)! Liberaci piuttosto Barabba».

Gv

Volete che vi liberi

il re dei Giudei? ».

40 Essi di nuovo gridarono,

dicendo: « Non quest'(uomo) ma Barabba».

19 Questi era stato messo in E Barabba era un assassino. carcere per una sommossa av-venuta

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Mt Mc Le Gv

l in città e per un omicidio.

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19 1 Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare.

2 Intanto soldati, -~

avendo intrecciato una corona di spine, gliela posero sul capo e lo rivestirono d'un manto di porpora; ,,

I 3 Poi gli andavano davanti

I I e gli dicevano:

« Salve, re dei Giudei! ». « Salve, re dei Giudei! ». « Salve, o re dei Giudei! » 30 ... e lo percuotevano sulla 19 E gli percuotevano la te- e gli davano degli schiaffi . testa. sta ... 2 3 13 Allora Pilato ... 4 Pilato intanto

uscì di nuovo fuori

14 disse loro: « ... ed ecco, e disse loro: « Ecco, io l'ho interrogato ve lo conduco fuori alla vostra presenza, perché sappiate ma non ho trovato in que- che non trovo in lui st'uomo nessun motivo (di condanna) nessun motivo per cui voi l'accusate ... ». (di condanna)».

5 Gesù uscì fuori, portando

186 187

l

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Mt

21 Rispondendo il governatore domandò loro: « Chi dei due volete che vi liberi? ». Risposero: «Barabba». 22 Pilato disse loro: « Che devo dunque fare di Gesù che è chiamato il Cristo? ».

Tutti

risposero: « Che sia crocifisso! ». 23a Replicò:

Mc

12 Pilato, di nuovo, rispondendo, domandò loro:

« Che devo dunque fare ( di colui) che voi chiamate il re dei Giudei? ».

13 Ma quelli gridarono di nuovo:

« Crocifiggilo! ».

14a Pilato disse loro:

« Ma che ha fatto di male? ». <<Ma che ha fatto di male?)>,

188

I f; I i ,, ~

Le Gv

la corona di spine e il mantello di porpora. Pilato disse loro: « Ecco l'uomo ».

20 Di nuovo, Pilato 12 Da quel momento Pilato

si rivolse loro

col proposito di liberare Gesù. Cè r.::ava di liberarlo.

21 Ma quelli gridavano

dicendo: « Crocifiggilo! Crocifiggilo! ».

22 Pilato disse loro per la terza volta:

<< Ma che ha fatto di male quest'uomo?

Non ho trovato in lui niente che meriti la morte. Per questo lo lascerò libero dopo averlo fatto flagellare.

6 Appena lo videro i grandi sacerdoti e le guardie gridarono,

dicendo: « Crocifiggi! Crocifiggi! ».

Pilato disse loro:

« Prendetelo e crocifiggetelo voi, perché io non trovo in lui nessun motivo (di condan­na)».

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Mt

27 12 E, per tutto il tempo in cui fu accusato dai grandi sacerdoti e dagli anziani,

non rispose niente. 13 Allora Pilato gli disse:

« Non senti quante sono le accuse che e~sì fanno contro di te? ».

Mc

r 5 3 Molte accuse gli muove­vano i grandi sacerdoti.

4 Pilato di nuovo l'interrogò: « Non rispondi nulla?

Vedi di quante cose t'accusano! ».

I te

:1 I I

Gv

7 Gli replicarono i Giudei: « Noi abbiamo una Legge, e secondo la Legge egli deve morire, perché s'è fatto figlio di Dio». 8 Pilato, allora, sentite que­ste parole ebbe ancor più paura, 9 e rientrò di nuovo nel pre­torio e disse a Gesù: « Di dove sei? ».

Ma Gesù non gli dette nessuna risposta. 10 Pilato gli disse allora: << Non mi Parli?

Non sai che io ho il potere di rimetterti in libertà e ho il potere di crocifiggerti? ». 11 Rispose Gesù: « Tu non avresti su di me nessun pote­re, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo, chi ha consegnato me nelle tue mani è più colpevole di te ».

I9I

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Mt

23b Ma quelli, sempre più forte gridavano, dicendo:

« Crocifiggilo! ».

Mc

14b Ma quelli, sempre più forte gridarono:

« Crocifiggilo ! ».

Le

12 3 20 Di nuovo Pilato si rivolse loro col proposito di liberare Gesù.

23 Ma quelli insistevano. con grandi grida chiedendo

che fosse crocifisso. E le loro grida diventavano sempre più violente.

r3. - Passione e Resurrezione ..•

Gv

12 Da quel momento, Pilato

cercava di liberarlo. Ma i Giudei gridavano, di­cendo: « Se tu liberi que­st'(uomo), non sei amico di Cesare. Chiunque infatti si fa re si oppone a Cesare ». 13 Pilato, udite queste parole, condusse fuori Gesù e sedette in tribunale nel luogo detto Litostroto, in ebraico Gab­bata. 14 Era la Parasceve della Pa­squa, era circa l'ora sesta. E disse ai Giudei: « Ecco il vostro re». 15 Quelli allora

gridarono:

« A morte, a morte! Crocifiggilo! ».

Pilato disse loro: « Dovrò crocifiggere il vostro re? ». Risposero i grandi sacerdoti: « Noi non abbiamo altro re che Cesare».

193

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Mt

24 Vedendo che non otteneva nulla, anzi, che il tumulto si faceva maggiore, Pilato, pre­sa dell'acqua, si lavò le mani in presenza della folla, dicen­do: « Io sono innocente di questo sangue; ve la vedrete ·, VOI. ».

25 E tutto il popolo, rispon­dendo, disse: « Il sangue suo (cada) su noi e sui nostri figli! ».

26 Allora liberò loro Barabba.

Quanto a Gesù, dopo averlo fatto flagellare, lo consegnò perché fosse crocifisso.

194

Mc

15 Pilato, volendo contentare la folla,

liberò loro Barabba

e consegnò Gesù, dopo averlo fatto flagellare,

perché fosse crocifisso.

Le

24 E Pilato

decise che fosse fatto secondo la loro richiesta.

25 Liberò colui che era stato messo in carcere per una sommossa e un omicidio, che essi recla­mavano;

quanto a Gesù

lo consegnò

alla loro volontà.

Gv

16a Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

195

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OLTRAGGI A GESU' RE

Mt 27, 27-31

21 Quindi i soldati

del governatore, portato insieme a loro Gesù

nel pretorio, radunarono contro di lui tutta la coorte. 2s E, dopo averlo spogliato, gli misero addosso un manto scarlatto

29 e, avendo intrecciato una corona di spine, gliela posero sul capo

e gli misero una canna nella mano destra. E, inginocchiandosi davanti a lui, si prendevano gioco di lui, dicendo: « Salve, re dei Giudei! ». 30 E, sputandogli addosso, gli toglievano la canna e lo percuotevano sulla testa.

Mc 15, 16-20

16 I soldati allora

lo condussero nell'interno dell'atrio, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte.

17 Poi lo rivestirono di porpora e gli misero, dopo averla intrecciata, una corona di spine.

18 Quindi cominciarono a salutarlo: « Salve, re dei Giudei! ».

19 E gli percuotevano la testa con una canna e gli sputavano addosso e piegando i ginocchi,

..

OLTRAGGI A GESU' RE

Le

2 3 11 Erode, insieme alle sue guardie ...

facendogli indossare una veste splendida ...

e si prese gioco di lui...

Gv

19 2 Intanto i soldati,

avendo intrecciato una corona di spine, gliela posero sul capo e lo rivestirono d'un manto di porpora;

3 Poi gli andavano avanti

e gli dicevano: « Salve, re dei Giudei! ».

E gli davano degli schiaffi.

1 97

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Mt

3! E, dopo averlo cosl scher­nito, gli tolsero il manto e gli rimisero le sue vesti e lo condussero ad essere crocifisso.

Mc

gli rendevano omaggio. 20 E, dopo averlo così scher­nito, gli tolsero il (manto) di porpora e gli rimisero le sue vesti e lo condussero fuori per crocifiggerlo.

Le Gv

• • J

199

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Dopo essere comparso dinanzi alle autorità ebraiche del Sinedrio, Gesù viene condotto dal governatore roma­no, Pilato. Di questa seconda comparizione parlano tutti e quattro gli evangelisti. Lo stesso Giovanni, che non rife­risce la seduta del Sinedrio, racconta lungamente la com­parizione dinanzi a Pilato. Noi studieremo successiva­mente i quattro racconti degli evangelisti, per trarne il messaggio proprio di ciascuno.

Il racconto di Marco

Il racconto di Marco è il più semplice, il più detta­gliato, nonostante alcune inesattezze di presentazione. Egli ci dice l'essenziale, ci fa percepire i momenti decisivi del dramma, meglio di quanto faranno Matteo e Luca, i quali omettono certi preziosi dettagli. Lo svolgimento dei fatti, quale viene presentato da Marco, è molto vero­simile; vi si riconoscono due fasi, separate da un episodio.

La prima fase del racconto comporta inizialmente un incontro tra Pilato e i capi ebrei (Mc 15, 2-5); poi la folla viene a chiedere la grazia di un prigioniero per la Pasqua (Mc 15, 6-7); infine il processo riprende con

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un'udienza pubblica alla quale è presente la folla; la se­duta termina con la condanna (Mc 15, 8-15).

Prima di studiare la seduta in se stessa, rileggiamo !'inizio del capitolo (Mc 15, 1 ): E così, il mattino, avendo tenuto consiglio, i grandi sacerdoti con gli anziani e gli scribi e tutto il Sinedrio ... questa seconda seduta del Si­nedrio, nel mattino del venerdì, è riferita molto breve­mente nel racconto di Marco e di Matteo. Nulla viene detto della discussione. Si dice soltanto: dopo aver legato Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato (Mc 15, 1). Come è stato spiegato nel capitolo prece­dente, è al mattino, e non nella notte, che dev'essere col­locata in realtà la seduta del Sinedrio. Quanto ai dibattiti di questa seduta, sono riferiti da Marco come svoltisi durante la notte (14, 55-64). Ma passiamo immediata­mente all'arrivo presso Pilato.

Il processo nella sua prima fase vede Pilato faccia a faccia coi capi degli ebrei. E Pilato gli domandò: « Sei tu il re dei Giudei? ». E lui gli rispose dicendo: « Tu lo dici ». Molte accuse gli muovevano i grandi sacerdoti (Mc 15, 2-3). Ecco già una piccola incongruenza: Marco menziona le accuse dopo le parole del governatore. Non l'ha potuto inventare Pilato che Gesù era re dei Giudei; se lo dice, è perché ha già udito le accuse. Logicamente, il versetto 3 dovrebbe trovarsi prima del versetto 2. Ma ciò ha poca importanza, il racconto di Marco è spontaneo.

Fin dall'inizio appare qual è il nocciolo della discus­sione: Gesù, re dei Giudei. È intorno a quest'accusa che ruoterà il processo, ed è con essa che si concluderà, poiché l'iscrizione della croce sarà: « Costui è il re dei Giudei ». Sul piano dei fatti esterni, Gesù sarà condannato dal po­tere romano per un motivo politico.

Pilato di nuovo l'interrogò: « Non rispondi nulla? Vedi di quante cose t'accusano ». Ma Gesù non rispose più niente, tanto che Pilato ne rimase meravigliato

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(Mc 15, 4-5). Gesù aveva risposto per prima cosa: « Tu lo dici», che equivaleva ad una accettazione moderata: « Certo, io sono re, ma solo in un certo senso, diverso da quello che tu immagini». Dopo questa risposta, Gesù non dice più nulla. Questo silenzio completo contrasta c_QD_i discorsi che invece gli farà tenere Giovanni. Forse Marco ha pensato all'atteggiamento del Servo, dell' Agnel­lo che tace dinanzi a coloro che lo tosano (Is 53, 7).

Dopo questo primo enunciato, con cui s'inizia il pro­cesso, ha luogo un intermezzo: Ora, ad ogni festa, egli liberava un prigioniero, quello che essi reclamavano (Mc 15, 6 ). Era il cosiddetto privilegio dell'amnistia pa­squale: ad ogni festa di Pasqua il governatore romano liberava un prigioniero. Quest'abitudine è confermata solo nel Vangelo. Tuttavia un caso un po' analogo è stato ritrovato in un papiro greco-egiziano (P. Fior 61, 59ss). Un prefetto dell'Egitto dice all'accusato: « Meriteresti la frusta per i crimini che hai commesso, ma io ti cedo alla folla ». Questo gesto è paragonato a quello di Pilato, sebbene sia un po' diverso. Qui sembra si tratti di una consuetudine propria della Palestina, come dirà Giovan­ni: « È per voi un'usanza che io vi liberi qualcuno». La consuetudine è verosimile: la Pasqua era l'anniversario dell'uscita dall'Egitto, della liberazione del popolo dalla schiavitù e del suo passaggio nel paese della libertà. Ogni anno, la sera di questo giorno, gli ebrei commemoravano con un pasto familiare questa grande liberazione e vede­vano in essa una garanzia di future liberazioni. Era quindi opportuno che per accentuare il significato di tale festa si liberasse un prigioniero.

Allora uno chiamato Barabba si trovava in prigione con dei sediziosi che avevano commesso un omicidio du­rante la sommossa (Mc 15, 7 ). l\forco scrive la sommossa, supponendo che ne siamo al corrente. Ma noi non sap­piamo di quale rivolta si tratti; sappiamo solo questo: un

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terrorista ha commesso un omicidio; è prigioniero; si chiama Barabba. Barabba è un nome semitico, e più pre, cisl;lmente aramaico, poiché Bar significa « figlio » in ara­maico e in siriaco. Diverse etimologie sono state pro­poste: può trattarsi di Bar Rabba, figlio del maestro, figlio del Rabbi. Può trattarsi di Bar Abba, figlio di suo padre, modo di chiamare una persona di cui non si conosce il nome. Soluzione, quest'ultima, abbastanza seducente: sarebbe una specie di soprannome.

E la folla, che era salita, incominciò a chiedere quanto era solito concedere ad essi (Mc r 5, 8 ). Bisogna notare questo dettaglio: « la folla è salita ». Il pretorio si trova dunque nella parte alta della città. D'altro canto essa chiede la grazia tradizionale, ma senza pensare a Gesù. Spesso noi ci rappresentiamo Gesù condotto al pretorio da tutta la folla e dai capi dei Giudei. Ciò non è esatto: solo una delegazione, alcuni grandi sacerdoti ed alcuni capi ebrei, è andata di buon mattino a svegliare Pilato. In questo momento, la gente è occupata ciascuna nelle sue faccende, e non pensa a Gesù. Più tardi s'interesserà di venire a reclamare il suo prigioniero per la Pasqua, e perciò salirà al pretorio, ma senza pensare a Gesù e nep­pure a Barabba.

La seconda fase del processo comincia con la parola di Pilato: « Volete che vi liberi il re dei Giudei? » (Mc 15, 9). Pilato, che non vuole condannare Gesù, vede in quest'amnistia pasquale un'eccellente occasione per trarsi d'impaccio. La folla chiede un prigioniero: « Ecco, egli dice, quest'uomo che mi è stato condotto or ora. Volete che io liberi il re dei Giudei? » Spera in tal modo di far piacere alla folla, evitando nello stesso tempo una faccenda seccante. Poiché, aggiunge Marco, egli capiva infatti che era per gelosia che i grandi sacerdoti glielo avevano consegnato ( r 5, ro ). Pilato comprende la posi­zione di ognuno: la folla è indifferente e non si preoc-

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cupa di Gesù, in questo momento, mentre invece i capi, per gelosia, ordiscono tutto l'intrigo. Per non cedere ai capi ebrei, Pilato tenta di attirare la folla dalla sua parte, graziando il prigioniero. Coloro che si oppongono a Gesù, non avranno così più nulla da dire e la vittima sarà loro strappata. È bene considerare l'atteggiamento psicologico di ciascuna delle parti: i capi ebrei che ordiscono il com­plotto vogliono la morte di Gesù; la folla, come ogni folla, è indifferente: non sa di che si tratta e chiede un prigioniero qualsiasi; Pilato cerca di concludere questa vi­cenda senza condannare Gesù.

Accade che talora si presenti Pilato come un mezzo cristiano, impressionato da Gesù, commosso per la sua grandezza e quasi convertito. Questo quadro è troppo poetico. Bisogna semplicemente vedere in lui un governa­tore romano, come tanti altri, che ha un sufficiente buon senso per comprendere che Gesù non è pericoloso, che l'accusa scagliata contro di lui è senza fondamento, e che questo pover'uomo, che sta lì silenzioso e tranquillo, non ha fatto niente di male. D'altra parte Pilato è felice di poter resistere ai capi ebrei contro i quali egli esercita una specie di guerra fredda permanente, molestato dalle loro richieste e dalle loro esigenze. Capisce che i capi ebrei desiderano la condanna di quest'uomo, e farà di tutto per non accordargliela. È un errore mettere un'au­reola dietro la testa di Pilato, come hanno fatto alcuni apocrifi cristiani. Ed egli non è neppure il più grande criminale del mondo. È un semplice governatore romano che non pensava a Gesù il giorno prima, e che forse non vi penserà più all'indomani. Vede bene che quest'uomo è innocente, qualunque cosa dicano i capi ebrei, e, per trarsi d'impaccio in questa brutta situazione, cerca l'ap­poggio della folla contro i capi.

Ma i grandi sacerdoti istigarono la folla perché libe­rasse loro piuttosto Barabba (Mc r 5, II). I capi ebrei

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non vogiiono lasciarsi scappare Gesù, eccitano la folla e le suggeriscono il nome di Barabba dicendo: « Liberare Gesù? Ma che pensate? Chiedete Barabba, è un uomo che ha dimostrato di saperci fare, lui che ha guidato la sommossa e non ha esitato a uccidere! Questo Gesù, invece, che cosa ha mai fatto per voi? E che cosa può fare? ». Allora la folla - sappiamo quel che sono le folle - si lascia convincere e sùbito, con alte grida, chiede che si liberi Barabba e si condanni Gesù. I grandi sacerdoti son riusciti a sobillare la folla e ad aizzarla contro Gesù.

E tuttavia la folla - è necessario sottolinearlo, anche se qui non appare - era favorevole a Gesù. Marco stesso lo scrive, un po' più in là nel suo Vangelo. Quando Gesù ha cacciato i venditori dal Tempio (Mc rr, 18), i grandi sacerdoti irritati volevano farlo perire, ma lo temevano « perché tutta la folla era rimasta colpita dal suo inse­gnamento». Quando Gesù ha interrogato gli scribi sul Figlio di David, Marco annota: « e la folla numerosa l'ascoltava con piacere» (12, 37). I capi sono irritati nel sentire che qualcuno li attacca, i rabbini non sanno cosa rispondere, invece la folla, contenta forse di vedere i po­tenti in iscacco, passa volentieri dalla parte di Gesù. Più tardi, quando i capi preparano il complotto contro di lui e cercano di ucciderlo, dicono: « Non facciamolo di fe­sta, perché non nasca un tumulto in mezzo al popolo » (Mc 14, 2): sentono che della folla non possono fidarsi. La folla, quindi, era piuttosto favorevole a Gesù; ma i grandi sacerdoti sono riusciti ad aizzarla in favore di Barabba, contro Gesù.

Pilato tenta di riprendere in mano la situazione: « Che devo dunque fare di colui che voi chiamate il re dei Giudei?» (Mc 15, 12). Il povero Pilato non è molto abile, ricordando questo titolo che urta la folla: « Il re dei Giudei ». In realtà egli riesce solo ad eccitarli mag­giormente. Ma quelli gridarono di nuovo: « Crocifiggi-

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lo! » (Mc 15, 1 3 ). La folla è stata abilmente eccitata, e, come tutte le folle, grida tanto più forte quanto meno comprende perché lo fa.

Pilato resiste ancora: « Ma che ha fatto di male? » Ma quelli sempre più forte gridarono: « Crocifiggilo! » Pilato, volendo contentare la folla, liberò loro Barabba e consegnò Gesù, dopo di averlo fatto fiagellare, perché fosse crocifisso (Mc 15, 14-15). Pilato finì per acconsen· tire. Sebbene Marco non precisi maggiormente, s'indovina ch'egli è stanco e non vede nessuna via d'uscita: la folla vuole la morte di Gesù: ebbene, che se lo prenda! Ed egli libera Barabba il criminale e cede in mano alla gente Gesù dopo averlo fatto flagellare. Questa scena della fla­gellazione sarà studiata dopo.

Il racconto di Matteo

Il racconto di Matteo è molto vicino a quello di Mar­co, ma egli omette certe precisazioni utili, tanto che la progressione degli avvenimenti diventa meno chiara; d'al­tra parte egli fa alcune aggiunte'.

In Matteo, come anche in Marco, Gesù viene con­dotto davanti al governatore. Pilato l'interroga: « Sei tu il re dei Giudei?» « Tu lo dici» (Mt 27, rr). Gli ebrei accusano, Gesù tace.

La prima fase del processo, in cui i grandi sacerdoti attaccano Gesù, è presentata da Matteo (27, 12-14) nello stesso modo di Marco. Poi Matteo, sempre seguendo Marco, ricorda il privilegio dell'amnistia pasquale e l'esi­stenza di Barabba (Mt 27, 15-16). Bisogna notare che Matteo chiama costui un prigioniero famoso. Questo ci

1 Mt 27, 3-ro riporta la morte di Giuda. Quest'avvenimento meriterebbe da solo un lungo esame, ma è d'importanza minore e l'ho trattato al­trove; cfr. Exégèse et Théologie, Parigi 1961, I, pp. 340-59.

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fa capire perché la folla prende subito le parti di quel­l'uomo: si tratta di un celebre terrorista, che ha guidato la sommossa e che ha tenuto testa al governatore romano.

Matteo non dice che la folla sale per chiedere la gra­zia di Pasqua; sembra che sia là fin dall'inizio. Così spa­risce questo dettaglio, tanto prezioso nel racconto di Mar­co, e questo colorito movimento scenico di massa.

Nel racconto di Matteo, Pilato assai maldestramente domanda: « Chi volete che io liberi: Gesù Barabba op­pure Gesù chiamato Cristo?» (27, 17). Pilato commette l'errore di pronunciare il nome di Barabba e di metterlo in parallelo con Gesù. È evidente che la folla sceglierà l'agitatore. In Marco, Pilato, molto più abile, non men­ziona Barabba perché la folla lo dimentichi, ma le pro­pone Gesù condotto dai capi ebrei: « Prendetelo, ecco il vostro prigioniero, vi rilascio lui ».

Infine, nel racconto di Matteo troviamo un'altra gof­faggine: Egli sapeva infatti che era per gelosia che essi glielo avevano consegnato (Mt 27, 18). «Essi» indica tutti gli ebrei, e non soltanto i grandi sacerdoti. Nel rac­conto di Marco, sono i grandi sacerdoti che son gelosi, mentre la folla è piuttosto favorevole a Gesù; itLmtdlo dL,MatteQqu~sto dettaglio è sparito.

Per contro, il racconto di Matteo comporta tre ag­giunte. La prima forse non è autentica: in alcuni mano­scritti Barabba viene chiamato Gesù Barabba. Avrebbe avuto come nome Gesù e come soprannome Barabba, e Pilato avrebbe detto: « Volete che io vi consegni Gesù Barabba oppure Gesù il Cristo? ». Il parallelo sarebbe più evidente, se costoro avessero avuto tutti e due il nome di Gesù. La cosa non è impossibile, perché il nome Gesù era frequente. Tuttavia i manoscritti che sostengono que­st'aggiunta non sono sicuri, ed è possibile che la tradi­zione abbia immaginato di rafforzare la scena con questo

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parallelo. D'altra parte, tale particolare non ha molta importanza.

Un altro passo, aggiunto da Matteo, è il sogno della moglie di Pilato: Ora, mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: « Che non ci sia nulla fra te e quel giusto, poiché oggi, in sogno, ho molto sofferto a causa di lui» (Mt 27, 19). Matteo è il solo a raccon­tare questo fatto, e lo fa con discrezione; Gli apocrifi riportano il nome della donna, Procula; Matteo invece non lo dice. I particolari storici che soltanto Matteo ag­giunge, non sono garantiti con assoluta certezza: si tratta forse d'una tradizione tardiva. Questo gesto della moglie d'un giudice che chiede al marito di non condannare un prigioniero, appartiene al folclore, poiché lo si ritrova al­trove, ad esempio presso i rabbini in Babilonia 2

• L'aned­doto ha potuto infiltrarsi nel racconto di Matteo per qualche influenza straniera. D'altra parte, neppure que­sto particolare ha grande importanza.

L'ultima aggiunta di Matteo è più grave. Vedendo che non otteneva nulla, anzi, che il tumulto si faceva maggiore, Pilato, presa dell'acqua, si lavò le mani in pre­senza della folla dicendo: « Io sono innocente di questo sangue, ve la vedrete voi! » E tutto il popolo, rispon­dendo, disse: « Il sangue suo cada su di noi e sui nostri figli/» (Mt 27, 24-25).

Il gesto di lavarsi le mani è molto noto nella Bibbia: vuol significare che non si è immischiati in un crimine. Questo gesto e questa parola hanno dei precedenti bi­blici. Il codice deuteronomico impone agli abitanti di una città, nelle vicinanze della quale è stato commesso un omicidio, di lavarsi le mani al di sopra di una gio­venca immolata, dicendo: « Noi non siamo responsabili

2 Talmud di Babilonia, Ta'can 24 b e Qid. 70 b, citati da STRACK-BIL­

LERBECK, Kommentar wm Neuen Testament aus Talmud tmd Midrascb vol. I, Monaco 1922, p. ro32. '

14. - P assio11e e Resurrezione ...

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di questo omicidio» (Dt 2r, 6). Analogamente, nel sal­mo che noi recitiamo durante la Messa: « Lavabo ... mi lavo le mani » (Sal 26, 6), questo gesto è l'espressione naturale dell'innocenza.

La formula « far cadere il sangue sulla testa di qual­cuno» è egualmente un'espressione biblica. Quando Gioab ha ucciso per tradimento Abner, il generale di Saul, David dice: « lo ed il mio regno siamo per sempre innocenti da­vanti a Jahvé del sangue di Abner, figlio di Ner: che esso ricada sulla testa di Gioab e su tutta la sua famiglia! » (2 Sam 3, 28-29; vedere anche 2 Sam r, r6). Ciò che sem­bra sorprendente è che Pilato, governatore romano, compia un gesto biblico. È vero che questo gesto, d'un simbolismo spontaneo, può essere di uso universale.

Quanto alla parola del popolo, riferita soltanto da ,o Matteo, essa ha una singolare energia ed impegna la 1 < piena responsabilità del popolo ebraico nella morte di

o Gesù. Con questa frase Matteo mette in evidenza, in modo biblico e potente, il senso profondo della scena. Non è necessario che gli ebrei abbiano pronunciato tale e quale questa frase. Come in molti particolari del Van­gelo - soprattutto se isolati o tardivi -, non bisogna ri­cercarvi il rigore di un verbale stenografico: la loro ve­rità consiste nel trarre l'insegnamento essenziale degli av­venimenti.

w~ ~~ ~ La frase c'insegna che 1~., folla ebraica, malgrado le · , ', resistenze del governatore romano, ha voluto la morte di ,.~:,,,·,,.,Gesù. Ma, pur se bisogna riconoscere la colpevolezza de­,Lt~ (' gli israeliti, nel dialogo tra ebrei e cristiani non si può . '. , . . però insistere unicamente su parole come questa, che sca-'\"'"''·'-' y",~

., · " vano un abisso. Alcuni rimproveri sono fondati, ma psi-~ fu',,.'

1" cologicamente così duri e penosi che impediscono qual­

.,.i ht '· siasi ravvicinamento. La Chiesa ci chiede oggi di non ,,f ·, mettere in rilievo ciò che divide, ma di far dominare la

buona volontà, la comprensione reciproca. Una parola

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come questa, vera in sé, deve restare al livello profondo della teologia di Matteo. Bisogna ricordare altre parole, pronunciate da Gesù, che ristabiliscono l'equilibrio: « Es­si non sanno ciò che fanno! » ( Le 2 3, 3 4). Senza alcun dubbio, gli ebrei hanno agito contro Gesù, ma chi può stabilire la responsabilità dell'uomo? Ricordando agli ebrei di Gerusalemme che essi hanno fatto morire Gesù Pietro aggiunge: « Tuttavia, fratelli, io so che è per igno~ ranza che voi avete agito, come pure del resto hanno fatto i vostri capi» (At 3, 17; cfr. r3, 27). Si tratta non di scagionare in maniera totale da ogni colpa, ma di non mantenere più un'atmosfera di odio, che impedisce ogni comprensione reciproca.

Il racconto di Luca

Il piano di Luca è differente: egli abbandona questa distinzione, fatta da Marco, di una prima fase con Pilato e i capi ebrei e di una seconda con la folla. D'altro canto Luca completa Marco, specialmente all'inizio, a proposito del motivo dell'accusa. Marco e Matteo non riferiscono alcun rimprovero concreto; i grandi sacerdoti accusano Gesù, ma di che cosa l'accusano? Come fa Pilato a sapere che Gesù si dice il re degli Ebrei? Luca prova il bisogno di precisare.

Cominciarono ad accusarlo dicendo: « Abbiamo tro­vato costui che incitava la nostra gente alla rivolta e proibiva di pagare le tasse a Cesare, e affermava di essere il Cristo, Re» (Le 23, 2). Ecco tre motivi di accusa, tali da impressionare un governatore romano. Pilato non si preoccupa che Gesù sia o no il Messia, ma se quest'uomo incita alla rivolta, egli deve intervenire; lo stesso deve fare se quest'uomo impedisce di pagare le imposte o se si dice re. Luca utilizza abilmente la vita di Gesù, e rias-

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sume i rimproveri che gli ebrei hanno potuto presentare a Pilato perché la causa diventasse interessante ai suoi occhi: Gesù è un rivoluzionario, Gesù è contro il fisco, Gesù si fa re. L'accusa non è interamente giusta, perché Gesù non ha proibito di pagare il tributo a Cesare. Al contrario, ha detto: « Restituite ciò che è di Cesare a Cesare, e ciò che è di Dio a Dio» (Mt 22, 21 ). Ma non bisognava forse modificare le sue affermazioni, per met­tere inquietudine nel governatore? Analogamente Luca mostra chiaramente come gli ebrei passino dal capo d'ac­cusa di Cristo a quello di Re. Cristo è il titolo messianico che li interessa, il titolo religioso, messo in causa dinanzi al Sinedrio, e che essi rifiutano di riconoscere a Gesù; ma perché il governatore possa accettare l'accusa, lo cambiano in quello di Re. Cristo è il Messia, il Re-Mes­sia; gli ebrei utilizzano questa equivalenza per presentare la questione sotto un'apparenza politica. Tale è il signi­ficato dell'intrigo; gli ebrei trasformano i motivi religiosi che sono i loro, in motivi politici di natura tale da inte­ressare il governatore. È per questo che il processo ter­minerà con una condanna politica, la morte su una croce, e che la motivazione dell'accusa sarà scritta così: « Re dei Giudei». Per mettere in moto il potere romano, gli ebrei dovevano manovrare in tal modo.

Alla domanda di Pilato: « Sei tu il re dei Giudei? » Gesù risponde: « Tu lo dici», come in Marco e Matteo ( Le 2 3, 3 ). Pilato disse ai grandi sacerdoti e alla folla: « Non trovo nessun motivo di condanna in quest'uomo» (Le 23, 4). Bisogna notare questa frase che ritornerà tre volte (Le 23, 4; 23, 14; 23, 21). Analogamente in Gio­vanni, Pilato affermerà a tre riprese: « Io non trovo nes­sun motivo di condanna in lui». E questo, sia detto per inciso, è uno dei punti di avvicinamento tra Luca e Gio­vanni, La dichiarazione è importante: il governato:e romano, dopo avere interrogato Gesù, non ha trovato in

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lui colpevolezza! Luca sottolinea questo fatto per i suoi lettori del mondo greco-romano e per lo stesso potere romano. Il suo Vangelo e gli Atti degli Apostoli sono stati redatti come una apologia per mostrare ai romani che non avevan nulla da temere dal cristianesimo, né da Paolo, né da Gesù. Negli Atti, Luca ricorda tutti gli epi­sodi in cui Paolo è comparso davanti alle autorità romane senza che lo si sia trovato colpevole. Allo stesso modo, nel Vangelo si preoccupa di mostrare ai pubblici poteri dell'impero romano che i cristiani non hanno tramato nulla contro di esso. È per questo che qui vuol dire: il vostro governatore di Gerusalemme ha dovuto giudicare Gesù che si sarebbe proclamato Re, secondo gli accusa­tori, ma quando lo ha interrogato, egli ha riconosciuto per ben tre volte: « Non trovo nulla di colpevole in lui». Senza dubbio, per poter riconoscere che non trovava colpa in Gesù, Pilato ha dovuto parlare con lui e svol­gere una piccola inchiesta. I nostri testi evangelici sono molto succinti: secondo essi, Gesù non ha fatto che ri­spondere: « Tu lo dici ». Bisogna supplire al silenzio dei racconti sinottici.

Gesù dinanzi a Erode

Si colloca qui un episodio che è pro_prio di Luca. Gli ebrei insistono dicendo che Gesù ;;tfizava il popolo, in­segnando attraverso tutto la Giudea, e aveva cominciato dalla Galilea finché era giunto là (Le 23, 5). Pilato vede allora un'altra via d'uscita per questo difficile processo: invierà Gesù da Erode. Erode Antipa, uno dei figli di Erode il Grande, era governatore della Galilea; egli sa­liva a Gerusalemme in occasione delle feste. Non abitava nel palazzo di suo padre, che era diventato il palazzo del governatore, cioè il Pretorio. Quando veniva come pel-

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legrino a Gerusalemme, abitava, a titolo privato, nella residenza di famiglia degli Asmonei, situata nell'antico quartiere ebraico - oggi distrutto - dell'attuale città ara­ba, ai piedi del Santo Sepolcro e dominante la valle di Tyropoeon. Pilato è al corrente della sua presenza a Ge­rusalemme per la Pasqua, e gli manda Gesù.

Erode, quando vide Gesù, ne fu molto contento. Da tanto tempo infatti egli desiderava di conoscerlo ... e spe­rava di vederlo compiere qualche miracolo (Le 2 3, 8 ). Erode si mette dunque ad interrogarlo, ma Gesù non risponde nulla mentre i gran sacerdoti continuano ad ac­cusarlo. Seccato e indispettito, Erode si burla di lui e, per beffarsene, lo riveste con un magnifico mantello, forse uno degli splendidi mantelli del suo guardaroba; poi lo rinvia da Pilato. E Erode e Pilato in quel giorno stesso diventarono amici mentre prima si odiavano l'un l'altro (Le 23, 12).

Questa scena è stata criticata; alcuni studiosi hanno sostenuto che non fosse storica. Luca l'avrebbe inventata partendo dal salmo 2. È infatti il salmo che evocano Pietro e Giovanni quando, liberati dal Sinedrio, pregano coi fratelli (At 4, 27): « Perché queste nazioni in tu­multo? Perché insorgono i re della terra e cospirano i magistrati contro il Signore? » (Sal 2, 1 ). Pietro e Gio­vanni commentano così il Salmo: « Si tratta di un'al­leanza che Erode e Pilato, con le nazioni pagane ed i popoli di Israele, hanno formato in questa città contro il tuo santo Servo Gesù». Essi vedono in questo Salmo 2

l'annuncio profetico dell'unione di Pilato e di Erode con­tro Gesù. I cristiani hanno dunque applicato questo testo all'episodio di Erode e di Ponzio Pilato, ma si può forse dire che è per giustificare simile interpretazione del Sal­mo che hanno inventato un invio di Gesù ad Erode? Io ritengo che ciò sia capovolgere la realtà dei fatti. Il testo del Salmo è troppo vago per bastare da solo a fare inven-

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tare l'episodio. Questa comparizione dinanzi a Erode ha avuto luogo, ed è a partire da essa, che si è pensato di applicarle il Salmo. L'applicazione è avvenuta dopo il fatto, e non inversamente.

Sembra d'altra parte che Luca sia stato bene infor­mato sulle tradizioni concernenti Erode, probabilmente da Manaen, amico d'infanzia del tetrarca (At 13, 1). 'L&,ça non aveva forse preparato questo incontro di Gesù con Erode, quando aveva aggiunto al racconto di Marco: « Ed Erode cercava di vederlo » (9, 9 )? /iveva anche segnalato una specie di appuntamento a Gerusalemme dato da Gesù al tetrarca: « Alcuni farisei si avvicinarono a lui dicendo: "Vàttene e allontànati di qui, perché Erode vuole ucci­derti". Rispose loro: "Quando sarete partiti, dite a quella volpe: Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno avrò terminato! Tuttavia, bisogna che oggi e domani ed il giorno seguente io sia in cammino, perché non è conveniente che un profeta perisca fuori di Gerusalemme"» (Le 13, 31-33).

Del resto, questo invio da Erode è verosimile. Esi­stono casi analoghi in giurisprudenza: un magistrato de­manda una causa ad una terza persona, sollecitando per lo meno il suo parere'. Erode non aveva giurisdizione in Giudea, poteva però essere consultato. Pilato sarebbe stato felice se un sovrano ebreo si fosse preso la respon­sabilità della condanna di Gesù. Sappiamo d'altra parte che i rapporti erano tesi tra Pilato ed Erode. Erode An­tipa, il figlio del grande Erode, accusava volentieri, a Roma dove aveva amici, il governatore romano, tanto che Pilato aveva paura di lui e cercava di conciliarselo. Sottoporgli il caso d'un suo cittadino, era un gesto di cortesia, che poteva solo lusingarlo e migliorare le loro

3 Cfr. E. BICKERMANN, « Utilitas Crucis. Observations sur !es recits du procès de Jésus dans !es Evangiles canoniques », in Revue de l'Histoire des Religions, CXII, r935, pp. r69-24r, in particolare pp. 204-208.

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relazioni. Tutto questo è verosimile. Anche se Luca non ha ricevuto di quest'episodio un racconto circostanziato e se lo ha completato con i particolari della scena circo­stante, io penso che questo sia un fatto autentico, vero, un'interessante vicenda del processo. Vedremo più in là che la derisione subìta dal Maestro in casa di Erode, nei bel mezzo del processo, si ricollega molto bene agli ol­traggi di Gesù in casa di Pilato, che Giovanni riferisce ugualmente in mezzo al processo.

Essendo Gesù ritornato da Erode, Pilato dice alla folla: « Non ho trovato in questo uomo nessun motivo di condanna per cui voi lo accusate; anzi, neppure Ero­de ... Dopo averlo fatto fiagellare, lo rimetterò in libertà » (Le 23, 14-16). Pilato tenta un'ultima volta di liberare Gesù, proponendo di lasciarlo dopo avergli inflitto un castigo. Poiché non ha potuto ottenere che la folla recla­mi la sua liberazione come grazia di Pasqua, né che Erode si schieri con lui, egli tenta una terza soluzione, quella di un~ pu,t1izione moderata: « Per accontentarvi io lo fac­cio flagellare, poi lo rilascerò. Non vi pare che questo basti? ». La mossa di Pilato resta senza successo, la folla insiste: « A morte quest'uomo! Liberaci piuttosto Ba­rabba» (Le 23, 18) '. Come in Marco e in Matteo, la folla reclama la morte di Gesù e chiede la libertà per Barabba; Pilato resiste. Ma la folla grida: « Crocifiggilo, crocifiggilo » (Le 23, 21). Per la terza volta Pilato di­chiara: « Ma che ha fatto di male quest'uomo? Non ho trovato in lui niente che meriti la morte. Per questo lo lascerò libero dopo averlo fatto fiagellare » (Le 23, 22). Siccome però la folla continua ad insistere, egli emette la sua sentenza: « Che fosse fatto secondo la loro richie-

4 Il versetto r7 della nostra edizione, omesso da eccellenti testimoni, sicuramente non è autentico; è per questo che non è stato riportato qui. Ed ecco il contenuto: Era necessario ad ogni festa che egli liberasse loro qualcuno. È un'eco della tradizione di Marco e di Matteo, che un co­pista troppo zelante ha pensato bene di attribuire a Luca.

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sta », e lo consegnò alla loro volontà (Le 2 3, 24-2 5 ). Le parole sono scelte da Luca intenzionalmente: gli ebrei hanno « richiesto » Gesù, e Pilato lo cede alla « volontà » degli ebrei, secondo il significato della parola greca. Se Luca scrive cosl è per indicare esattamente che il gover­natore non voleva cedere; non è lui che ha voluto la morte di Gesù, son gli ebrei che l'hanno reclamata, vo­luta ed ottenuta.

Il racconto di Giovanni

Giovanni omette alcuni dati e alcuni particolari dei sinottici ma aggiunge due fatti. Rileviamo dapprima il movimento scenico: fuori del pretorio - nel pretorio: gli ebrei non entrarono nel pretorio per non contaminarsi, e per poter mangiare la Pasqua (Gv 18, 28). La sera stessa. Quest'informazione è preziosa. La Pasqua è stata cele­brata in quell'anno il venerdl sera. Dunque il giovedl Gesù ha anticipato liturgicamente la Pasqua ebraica; egli ha celebrato un pranzo teologicamente pasquale, durante il quale ha istituito la Pasqua cristiana dell'Eucaristia. Ma la Pasqua nel senso proprio della parola, egli l'ha celebrata sulla croce, essendo egli stesso l'Agnello, il che non è certo meno bello.

La folla resta dunque fuori, mentre Gesù è all'inter­no, nel Tribunale del Pretorio. Pilato andrà quindi dal­l'uno all'altro; questo movimento scenico è alla base di tutto il dialogo. In Giovanni la discussione è assai detta­gliata, comporta molte più parole che non nei Sinottici. Con questo dialogo alquanto teologico - come egli sa farne -, Giovanni ci espone i principali motivi del dramma.

Egli spiega anzitutto perché Gesù è stato crocifisso, e non lapidato. Il ragionamento che siamo soliti fare è

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questo: se Gesù l'avessero ucciso gli ebrei, l'avrebbero lapidato; dunque la crocifissione va attribuita ai romani. Invece Giovanni afferma: è perché gli ebrei non pote­vano condannare a morte, ed è perché hanno ottenuto dal governatore romano che lo giustiziasse lui, Gesù, al loro posto, è per questi due motivi che Cristo è morto sulla croce. L'introduzione (Gv 18, 29-32) serve a dimo­strarlo. Pilato dice agli ebrei: « Quale accusa portate con­tro quest'uomo? » Gli risposero dicendo: « Se non fosse un malfattore noi non te l'avremmo consegnato». Pilato disse loro: « Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vo­stra Legge». Pilato parla con ironia e Giovanni ama molto l'ironia. Gli ebrei seccati rispondono: « A noi non è permesso di uccidere nessuno ». Ed ecco la conclusione rivelatrice di Giovanni: affinché s'adempissero le parole di Gesù colle quali aveva predetto di quale morte doveva morire (Gv 18, 29-32).

Questo è chiaro: Gesù è morto sulla croce perché gli ebrei non avevano il potere di metterlo a morte e perché non hanno potuto colpire se non col braccio romano. Questo dato, storicamente vero, è di capitale importanza per stabilire le responsabilità.

Poi Giovanni espone un nuovo dialogo, molto ben costruito (Gv 18, 33-38). Non si tratta di un resoconto stenografico, ma di un'esposizione teologica, nella quale Giovanni mette sulle labbra di Pilato parole che forse non ha pronunciato tali e quali, e soprattutto fa dire a Gesù cose che Pilato non poteva comprendere. Giovanni colloca la discussione su un terreno che il lettore cristiano comprenderà: mette in luce, come fa molto spesso, il senso profondo degli avvenimenti: qui, il vero significato dell'accusa di Gesù Re. I Sinottici hanno riferito che c}~s'{i", accusato di considerarsi re, aveva risposto di sì; ma non hanno detto null'altro, tanto che restiamo nel­l'imbarazzo. Il rimprovero era serio? I romani non hanno

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forse avuto ragione d'incrudelire contro di lui? Giovanni ci spiegherà di quale regalità si tratta.

Quando Pilato domanda, come nei Sinottici: « Sei tu il re dei Giudei? », Gesù risponde: « Dici questo da te o altri te lo hanno detto di me?» (Gv 18, 34). Ciò vuol dire: Hanno forse i romani visto da se stessi in Gesù un pericoloso agitatore? Oppure sono stati gli ebrei a suggerire loro la supposizione? Disse Pilato: « Sono forse Giudeo? La tua nazione ed i grandi sacerdoti ti hanno consegnato a me» (Gv 18, 35). Pilato ammette che non ha nulla personalmente contro Gesù, sono gli ebrei che lo hanno accusato: « Che cosa hai fatto? » domanda Pi­lato. Gesù spiega chiaramente, o piuttosto glielo fa spie­gare Giovanni per il lettore cristiano, che cosa è il suo regno: Io sono re ma « il mio regno non è di questo mondo ». Io sono re, dice Gesù, ma non come l'intendi tu, Pilato. « Se il mio regno fosse di questo mondo, le mie guardie certo avrebbero combattuto perché io non fossi consegnato ai Giudei. Ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18, 36). Evidentemente, Pilato non riesce a comprendere. Egli insiste: « Dunque tu sei re?» Gesù risponde: « Tu dici che io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla parte della verità ascolta la mia voce» (Gv 18, 37). Il Cristo giovan- "''-''L,. _ neo si rivolge a lettori cristiani, e queste parole sono al di sopra della comprensione di Pilato. Quando, secondo Giovanni, egli dice: « Che cos'è la verità? », questa do-manda dimostra chiaramente che il governatore romano non arriva all'altezza delle parole di Gesù, non capisce. Pensa ad un processo ordinario, crede di aver a che fare con un agitatore, ed ecco che l'accusato gli parla di un regno che non è di questo mondo, e gli parla di verità! Allora Pilato uscì di nuovo davanti ai Giudei e disse lo-ro: « I o non trovo nessun motivo di condanna in lui »

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(Gv 18, 38). Con questo dialogo, Giovanni spiega il fa­moso titolo di « re dei Giudei », che sarà collocato sulla croce, e di cui gli ebrei si servono per dire ai cristiani che Gesù è stato condannato per motivi politici. Ma, come Gesù ha affermato dinanzi a Pilato, si tratta di un regno che non è di questo mondo e che non può costituire una minaccia per l'impero romano.

Giovanni passa in sèguito al secondo motivo, quello cheJt1_ d,ecisivo per gli ebrei: il motivo religioso. La folla grida: « Crocifiggi! Crocifiggi! » Pilato disse loro: « Pren­detelo e crocifiggetelo voi perché io non trovo in lui nes­sun motivo di condanna» (Gv 19, 6). Gli replicarono i Giudei: « Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge egli deve morire, perché s'è fatto Figlio di Dio» (Gv 19, 7). Finalmente si scopre il vero motivo. Se l'accusa di « re dei Giudei» era un'invenzione falsa, un pretesto, la vera accusa è che Gesù pretendeva di essere il Figlio di Dio: si riconosce qui il vero pensiero dei Giudei. Giovanni analizza le linee maestre del processo: il falso motivo politico e il vero motivo religioso. L'accusa di « re dei Giudei » non ha consistenza e non può inquietare il go­vernatore romano. La vera accusa che gli ebrei fanno a Gesù è questa: « Si è fatto Figlio di Dio ». Pilato con­tinua a non comprendere, ebbe ancor più paura ... e disse a Gesù: « Di dove sei? ». Ma Gesù non gli dette nessuna risposta ... « Non sai che io ho il potere di rimetterti in libertà e ho il potere di crocifiggerti?» (Gv 19, 9-10). Gesù risponde con dignità: « Tu non avresti su di me nessun potere se non ti fosse stato dato dall'alto» (Gv 19, 11 ). Gesù fa capire a Pilato che non è altro che uno strumento, in questa vicenda. Il governatore, più che mai convinto che Gesù non ha fatto alcun male, cerca ancora di liberarlo.

Nei versetti seguenti ( 19, 12-16), Giovanni ci spiega che Pilato ha ceduto unicamente per intimidazione. Egli

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. ha compreso che la regalità di Gesù era d'un tipo che non minacciava Roma; in quanto al titolo di Figlio di Dio, egli non lo ha temuto e neppure compreso. Perché allora Pilato ha consegnato Gesù? Giovanni ci risponde: per paura, per intimidazione. I Sinottici dicevano sempli­cemente: Pilato ha voluto consentire alle richieste della folla; Giovanni rivela la minaccia degli ebrei: « Se tu liberi quest'uomo, non sei amico di Cesare. Chiunque in­fatti si fa re, si oppone a Cesare» (Gv 19, 12). È come se gli dicessero: « Tu, proteggendo Gesù, cospiri contro Cesare ». Pilato sente che l'affare diventa serio: minac­ciano di denunciarlo a Roma. Gli ebrei sono capaci di presentare a Tiberio un'accusa contro di lui. È in gioco la sua carriera. Da quel momento Pilato si decide. Sul Lithostroton - che significa un pavimento di pietra, op­pure, meglio ancora, una strada pavimentata in pietre colorate - dinanzi al Pretorio', il governatore siede nel suo tribunale. Egli fa un ultimo tentativo: « Ecco il vo­stro re» (Gv 19, 14). Ma gli ebrei non ne vogliono sen­tir parlare: « Crocifiggilo ... noi non abbiamo altro re che Cesare» (Gv 19, 15).

Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso (Gv 19, 16). Era circa l'ora sesta, osserva Giovanni, l'ora di mez­zogiorno, l'ora in cui cominciavano i preparativi della

5 Ho già espresso altrove la mia opinione sull'ubicazione del Pretorio di cui parla il Vangelo. Io credo che sia non la torre Antonia, a nord­ovest del Tempio, ma l'antico palazzo di Erode a ovest della città: dr. « Prétoire, Lithostr6ton et Gabbatha », in Exégèse et Théologie, I, pp. 316-39. Attualmente insisterei maggiormente sul significato più pro­babile del termine Lithostr6ton: una strada a pavimento colorato che saliva davanti al palazzo. Agli argomenti letterari che ho già portato in favore del palazzo d'Erode, aggiungerei anche quelli archeologici che svalutano la tesi della torre Antonia: la piscina dello Strouthion che si trova nel convento di N6tre Dame di Sion era ancora senza tetto al­l'epoca dell'assedio del 70 (dr. GIUSEPPE, Guerra, V, 467), e il pavi­mento che la ricopre (da cui si vuol far derivare il Lithostr6ton) è pro­babilmente dell'epoca di Adriano. Ai tempi di Gesù, la torre Antonia doveva limitarsi all'area dell'attuale scuola musulmana, tra la via e il piazzale del tempio.

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Pasqua, con l'eliminazione del pane fermentato. È anche l'ora in cui cominciano i preparativi della Pasqua defini­tiva, con la crocifissione dell'Agnello, Gesù.

Gli oltraggi e la flagellazione

Bisogna ritornare alla scena dell'Ecce Homo, scena centrale del processo, che abbiamo passato sotto silenzio (Gv 19, 1-5). Pilato fa flagellare Gesù. I soldati intrec­ciano una corona con delle spine e gliela pongono sul capo. Lo salutano come « re dei Giudei», schiaffeggian­dolo. Poi Pilato conduce davanti alla folla Gesù, con la corona di spine: « Ecco l'uomo! ».

Questa scena rassomiglia molto a quella che raccon­tano Marco e Matteo alla fine del processo. Secondo le loro narrazioni, dopo la condanna i soldati conducono Gesù all'interno del Pretorio, lo incoronano di spine, lo rivestono di porpora e si beffano di lui, salutandolo come « re dei Giudei ». Si tratta dunque dello stesso avveni­mento. Ma dove si colloca questa scena? Alla fine del processo, come dicono Marco e Matteo, oppure al centro come dice Giovanni?

Sembra che la soluzione stia nel distinguere tra fla­gellazione, ed oltraggi. La flagellazione era il preludio or­dinario e normale della crocifissione. Poiché la morte per crocifissione poteva essere lunghissima, il disgraziato ve­niva flagellato molto duramente, fino al sangue, per inde­bolirlo e rendere la morte più rapida. Ora, appunto perché la flagellazione era il preludio immediato della crocifissione, io penso che Marco e Matteo abbiano ragione a collocarla dopo la condanna, poco prima di partire per il Calvario. Al contrario, la scena degli oltraggi trova esattamente il suo posto al centro del processo: Pilato mostra Gesù alla folla per impietosirla: « Ecce Homo », così come se dicesse:

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« Non vi basta questo? Ora, lasciatelo andare». Questa scena degli oltraggi è sostenuta da quella che Luca riferi­sce essersi svolta presso Erode. Nel mezzo del processo, in Luca e in Giovanni, Gesù viene oltraggiato da Erode e da Pilato; a mio avviso si tratta di uno stesso avveni­mento. Oltraggiato e coperto di un ridicolo mantello quand'era da Erode, Gesù viene riaccompagnato da Pi­lato. Senza dubbio, i soldati del governatore aumentarono la dose rispetto a quanto avevano già fatto le guardie di Erode; e Pilato, vedendo l'accusato in questa buffonesca acconciatura, ne prende partito per tentare di acconten­tare la folla. lo propongo dunque di collocare gli oltraggi a Gesù Re nel centro del processo, come dicono Luca e Giovanni, e la flagellazione alla fine, come raccontano Marco e Matteo. Queste due scene corte, molto vicine, si devono essere attirate l'una l'altra; nelle due tradizioni, Giovanni e Luca da un lato, Marco e Matteo dall'altro, oltraggi e flagellazioni si sono riuniti sia nel centro sia alla fine del processo, mentre storicamente erano distinti. Spostamenti di questo genere non sono rari nella tradi­zione evangelica, e non devono sorprenderci. Rappresen­tano il prezzo necessario di ogni tradizione orale, e non compromettono in alcun modo la realtà storica so­stanziale.

I quattro Vangeli hanno progressivamente messo in luce le ,linee profonde del dramma. ~ · _ \'.

Appare nel nostro studio che gli ebrei, come afferma '· · ·. ' · la tesi cristiana evangelica, sono i responsabili della morte di Gesù ed hanno utilizzato il potere romano per ese-guire il loro piano. Ma sono responsabili nella misura in cui possono esserlo una folla anonima, che è stata eccitata, e dei capi accecati. Gli ebrei sono scusabili perché non hanno saputo quel che facevano, come dice Gesù stesso. In quanto al governatore romano, egli ha ceduto per

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viltà, essendo incapace di comprendere la grandezza in­comparabile della situazione, e di essere all'altezza degli avvenimenti, perché egli non vedeva in Gesù che un con­dannato come tanti altri 6

Ma è il Signore stesso che ci interessa soprattutto. Egli ci appare infinitamente grande, per la sua semplicità, per il suo silenzio - sul quale Matteo insiste -, che è il silenzio dell'agnello dinanzi a coloro che lo tosano, e per le parole molto misurate, molto belle, che gli attribuisce Giovanni, parole in cui egli espone teologicamente in qual senso è re e Figlio di Dio, e come il suo caso oltre­passa questo piccolo processo da villaggio. Dinanzi agli oltraggi, alla corona di spine, alla flagellazione, e infine alla condanna che accetta senza proferire una parola, il Signore assume un atteggiamento di estrema dignità.

' Cfr. P. BENOIT, Le Procès de Jésus, in Exégèse et Tbéologie, I, pp. 281-9, dove ho cercato di esaminare i « moventi e le responsabilità nella con­danna di Gesù ».

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CAPITOLO VII

La crocifissione

15. - Passione e Resurrezione .••