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I sistemi alternativi di risoluzione delle controversie. Panoramica su un mondo in divenire. avv. Andrea Barocci (Avvocato in Milano – Studio Legale Dalmartello) Sommario: 1.- Brevi cenni sull’evoluzione legislativa in materia di ADR. 2.- L’Organismo di conciliazione bancaria: un “modello” di ADR convenzionale. 3.- L’Arbitro Bancario Finanziario: la “terza via” tra arbitrato e conciliazione. 4.- La Camera di conciliazione e arbitrato istituita presso la Consob.- 5.- La delega contenuta nell’art. 6 l. 18 giugno 2009 n. 69. 1.- BREVI CENNI SULLEVOLUZIONE LEGISLATIVA IN MATERIA DI ADR. - Con l’espressione ‹‹procedure alternative di risoluzione delle controversie›› (traduzione italiana dell’acronimo inglese ADR – Alternative Dispute Resolution) si intende indicare un’articolata e multiforme serie di procedure – non giurisdizionali -, finalizzate sia alla vera e propria risoluzione delle controversie, sia alla prevenzione delle stesse. Non è ovviamente possibile in questa sede dar conto di tutti i procedimenti e di tutti gli organismi che sono stati creati nel corso degli anni in riferimento a controversie in diverse materie del diritto civile. Mi limiterò, pertanto, ad un breve cenno a quelli che possono essere considerati i passaggi chiave che hanno portato all’attuale sistema delle ADR nell’ambito delle controversie in materia bancaria e finanziaria. Sin dall’inizio degli anni ’90, in considerazione della sempre più grave crisi della giustizia civile, il legislatore italiano ha avvertito la necessità di favorire il ricorso a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. In particolare, appare significativo richiamare l’attenzione sul disposto dell’art. 2, comma 4 delle legge 29 dicembre 1993 n. 580, che prevede la facoltà per le Camere di Commercio di promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori ed utenti”. Nello stesso periodo (1993) si muoveva, con finalità in parte coincidenti, anche l’Associazione Bancaria Italiana, la quale, anche al fine di preservare il rapporto fiduciario esistente tra banche e clienti,

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I sistemi alternativi di risoluzione delle controversie.

Panoramica su un mondo in divenire.

avv. Andrea Barocci (Avvocato in Milano – Studio Legale Dalmartello)

Sommario: 1.- Brevi cenni sull’evoluzione legislativa in materia di ADR. 2.-

L’Organismo di conciliazione bancaria: un “modello” di ADR convenzionale. 3.- L’Arbitro Bancario Finanziario: la “terza via” tra arbitrato e conciliazione. 4.- La Camera di conciliazione e arbitrato istituita presso la Consob.- 5.- La delega contenuta nell’art. 6 l. 18 giugno 2009 n. 69.

1.- BREVI CENNI SULL’EVOLUZIONE LEGISLATIVA IN MATERIA DI ADR. -

Con l’espressione ‹‹procedure alternative di risoluzione delle controversie›› (traduzione italiana dell’acronimo inglese ADR – Alternative Dispute Resolution) si intende indicare un’articolata e multiforme serie di procedure – non giurisdizionali -, finalizzate sia alla vera e propria risoluzione delle controversie, sia alla prevenzione delle stesse. Non è ovviamente possibile in questa sede dar conto di tutti i procedimenti e di tutti gli organismi che sono stati creati nel corso degli anni in riferimento a controversie in diverse materie del diritto civile. Mi limiterò, pertanto, ad un breve cenno a quelli che possono essere considerati i passaggi chiave che hanno portato all’attuale sistema delle ADR nell’ambito delle controversie in materia bancaria e finanziaria.

Sin dall’inizio degli anni ’90, in considerazione della sempre più grave crisi della giustizia civile, il legislatore italiano ha avvertito la necessità di favorire il ricorso a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. In particolare, appare significativo richiamare l’attenzione sul disposto dell’art. 2, comma 4 delle legge 29 dicembre 1993 n. 580, che prevede la facoltà per le Camere di Commercio di “promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per

la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e

consumatori ed utenti”. Nello stesso periodo (1993) si muoveva, con finalità in parte

coincidenti, anche l’Associazione Bancaria Italiana, la quale, anche al fine di preservare il rapporto fiduciario esistente tra banche e clienti,

istituiva l’Ombudsman bancario1. Dopo una serie di interventi modificativi della normativa di riferimento, nel corso degli anni, si è delimitata la competenza dell’Ombudsman alle controversie insorte in materia di servizi e attività di investimento e le altre tipologie di operazioni non assoggettati al titolo VI del Testo unico bancario, ai sensi dell’art. 23, comma 4, del decreto legislativo n. 58 del 19982.

Con Raccomandazione 98/257/CE del 30 marzo 1998 la Commissione Europea evidenziava i principi3 applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, sottolineando che ‹‹l'imparzialità e l'obiettività dell'organo responsabile dell'adozione delle decisioni sono qualità necessarie per garantire la protezione dei diritti dei consumatori e per aumentare la loro fiducia nei meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie in materia di consumo››.

Va poi richiamato, proseguendo nel nostro breve excursus storico, il Libro Verde, presentato il 19.4.2002 dalla Commissione delle Comunità Europee agli stati membri per avviare con essi un'ampia consultazione di merito a proposito dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, nel quale si sottolinea, anzitutto, che i motivi dello sviluppo dell'ADR sono di ordine pratico e congiunturale, in quanto i metodi dell'ADR forniscono una risposta alle difficoltà che la giustizia incontra in molti paesi, rappresentate dal numero sempre crescente delle controversie sottoposte agli organi giurisdizionali, dalla eccessiva durata dei processi, dai costi elevati degli stessi, dalla quantità, complessità e 1 L’Ombudsman bancario è stato istituito con Circolare ABI n. 3 del 1° febbraio 1993 ed era stato inizialmente concepito per la gestione delle controversie insorte tra banche e consumatori. Dal 1º gennaio del 2006 anche le imprese, i commercianti, i professionisti, gli artigiani e le società vi possono ricorrere, essendo stata estesa in tal senso la competenza dell’Organo. L’ Ombudsman affonda le proprie radici storiche in un’istituzione creata in Svezia nel 1809 che assolveva ad un ruolo di vigilanza - per conto del cittadino - sull'operato della Pubblica Amministrazione. Il suo nome letteralmente significa "uomo che funge da tramite". Dalla Svezia la detta figura istituzionale si è poi diffusa in molti Paesi europei e in diversi settori, come organismo di tutela dei consumatori. Sebbene dal 1997 la legge Bassanini ne preveda il ruolo anche all’interno della Pubblica Amministrazione, in Italia l’ombudsman è diffuso soprattutto in ambito bancario. 2 Con lettera circolare in data 30 aprile 2007 l’ABI comunicava l’avvenuto trasferimento delle attività svolte dall’Ombudsman al Conciliatore Bancario Finanziario (ente iscritto nel Registro degli organismi di conciliazione presso il Ministero della Giustizia), il quale ha provveduto a apportare successive modifiche al Regolamento dell’Ombudsman. Di particolare importanza appare il “Regolamento per la trattazione dei reclami e dei ricorsi in materia di servizi e attività di investimento” adottato in data 14 ottobre 2009, che, all’articolo 16, dispone i rapporti tra competenze dell’Ombudsman e quelle del nuovo Arbitro Bancario Finanziario. 3 I principi dettati dalla Racc. 98/257/CE sono: principio d’indipendenza, principio di trasparenza, principio del contraddittorio, principio di efficacia, principio di legalità, principio di libertà e principio di rappresentanza.

tecnicità dei testi legislativi. La Commissione Europea, con il detto Libro Verde, poneva una primissima classificazione delle ADR tra “ADR nell’ambito di procedimenti giudiziali” e “ADR convenzionale”, nonché, nell’ambito di quest’ultima, una ulteriore distinzione tra ADR che conducono ad una decisione vincolante per una delle parti e ADR in cui il conciliatore si limita ad assistere le parti nella ricerca di un accordo4.

Il libro verde sottolinea, altresì, il ruolo complementare che i metodi ADR svolgono rispetto ai procedimenti giurisdizionali, in quanto i metodi dell'ADR spesso sono più adatti alla risoluzione di determinate specie di controversie. A riguardo va detto che, in linea teorica, le ADR ben si adattano alla tipologia di controversie che ricorrono nei mercati finanziari tra cliente e intermediario, che spesso sono esempi di lite continua ma che non interrompe il rapporto. Si tratta, in altri termini, e nella maggior parte dei casi di un “incidente di percorso” nel rapporto tra Banca e cliente, risolto il quale non vi è motivo per non proseguire nel rapporto stesso.

Il d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 55, come è noto, prevede agli articoli da 38 a 40, nelle materie di cui all’art. 1 stesso decreto, la facoltà per enti pubblici e privati di costituire organismi deputati a gestire, su istanza di parte, un tentativo di conciliazione stragiudiziale (previa iscrizione degli organismi stessi in apposito Registro tenuto presso il Ministero della giustizia). Ad oggi risultano iscritti nel Registro tenuto dal Ministero della Giustizia 57 organismi di conciliazione di cui all’art. 38 d.lgs. n. 5/2003. Tra questi, e con specifico riferimento alla materia bancaria e finanziaria, merita particolare attenzione l’organismo di conciliazione costituito dal Conciliatore Bancario Finanziario (iscritto al n. 3 del Registro), nato da una iniziativa

4 La Commissione, in particolare, precisa, al paragrafo 1.3, quanto segue: “I modi alternativi di risoluzione delle controversie di diritto civile e commerciale possono essere catalogati in diverse categorie, suscettibili di essere disciplinate da altrettanti regimi giuridici. Una prima distinzione s'impone tra le funzioni di ADR che sono esercitate da un giudice o affidate da un giudice ad un terzo ("ADR nell'ambito di procedimenti giudiziari"), e i metodi di ADR a cui ricorrono le parti in conflitto al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria ("ADR convenzionale"). Una seconda distinzione altrettanto fondamentale agli occhi della Commissione deve essere operata tra i vari metodi di ADR convenzionali. In esito ad alcuni processi di ADR, il terzo o i terzi possono essere condotti ad emettere una decisione vincolante per una delle parti6 o a fare delle raccomandazioni alle parti, che queste ultime sono libere di seguire oppure no. In altre procedure di ADR, i terzi non prendono formalmente una posizione sulla soluzione che potrebbe applicarsi alla controversia, e si limitano ad assistere le parti nella ricerca di un accordo”. 5 L’art. 54 della legge n. 69 del 18 giugno 2009 ha abrogato gli artt. da 1 a 33, 41, comma 1 e 42 del d.lgs. n. 5/2003.

promossa dalle banche e alla cui costituzione hanno partecipato i primi dieci gruppi bancari italiani (Banca Antonveneta, Banca Intesa, Banca Monte dei Paschi di Siena, Banca Nazionale del Lavoro, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Unione di Banche Italiane, Banco Popolare di Verona e Novara, Capitalia, Sanpaolo IMI, Unicredito). Su tale organismo e sulla relativa procedura di conciliazione, parleremo in seguito.

Proseguendo nell’elencazione delle tappe di avvicinamento ai nostri giorni, non ci si può esimere dall’evidenziare il ruolo fondamentale svolto dalla legge 28 dicembre 2005 n. 262 (come modificata dal d.lgs. n. 303/2006), ed in particolare della delega al Governo contenuta nell’art. 276 (in materia di “procedure di

6 Art. 27 che così statuisce: “1. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per l’istituzione, in materia di servizi di investimento, di procedure di conciliazione e di arbitrato e di un sistema di indennizzo in favore degli investitori e dei risparmiatori, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) previsione di procedure di conciliazione e di arbitrato da svolgere in contraddittorio, tenuto conto di quanto disposto dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, secondo criteri di efficienza, rapidità ed economicità, dinanzi alla CONSOB per la decisione di controversie insorte fra i risparmiatori o gli investitori, esclusi gli investitori professionali, e le banche o gli altri intermediari finanziari circa l’adempimento degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con la clientela; b) previsione dell’indennizzo in favore dei risparmiatori e degli investitori, esclusi gli investitori professionali, da parte delle banche o degli intermediari finanziari responsabili, nei casi in cui, mediante le procedure di cui alla lettera a), la CONSOB abbia accertato l’inadempimento degli obblighi ivi indicati, ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste per la violazione dei medesimi obblighi, ove ne ricorrano i presupposti; c) salvaguardia dell’esercizio del diritto di azione dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria, anche per il risarcimento del danno in misura maggiore rispetto all’indennizzo riconosciuto ai sensi della lettera b); d) salvaguardia in ogni caso del diritto ad agire dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria per le azioni di cui all’articolo 3 della legge 30 luglio 1998, n. 281, e successive modificazioni; e) attribuzione alla CONSOB, sentita la Banca d’Italia, del potere di emanare disposizioni regolamentari per l’attuazione delle disposizioni di cui al presente comma. 2. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per l’istituzione di un fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) destinazione del fondo all’indennizzo, nei limiti delle disponibilità del fondo medesimo, dei danni patrimoniali, causati dalla violazione, accertata con sentenza passata in giudicato, delle norme che disciplinano le attività di cui alla parte II del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, detratti l’ammontare dell’indennizzo di cui al comma 1 eventualmente erogato al soggetto danneggiato e gli importi dallo stesso comunque percepiti a titolo di risarcimento; b) previsione della surrogazione del fondo nei diritti dell’indennizzato, limitatamente all’ammontare dell’indennizzo erogato, e facoltà di rivalsa del fondo stesso nei riguardi della banca o dell’intermediario responsabile; c) legittimazione della CONSOB ad agire in giudizio, in rappresentanza del fondo, per la tutela dei diritti e l’esercizio della rivalsa ai sensi della lettera b), con la facoltà di farsi rappresentare in giudizio a norma dell’articolo 1, decimo comma, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, e successive modificazioni, ovvero anche da propri funzionari;

conciliazione e di arbitrato, sistemi di indennizzo e fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori”) e della introduzione nel TUB, ai sensi dell’art. 29 (disciplinante la “risoluzione delle controversie in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari”), dell’art. 128 bis7. Il detto art. 27 l. n. 262/2005 è sfociato nel D.Lgs. 8 ottobre 2007 n. 179, istitutivo presso la Consob della Camera di conciliazione e arbitrato per la gestione delle controversie in materia di violazione (da parte degli Intermediari) degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza nell’ambito di servizi di investimento tra investitori (non professionali) e intermediari. In ottemperanza al citato decreto la Consob ha emanato, con Delibera n. 16763 del 29 dicembre 2008, il regolamento attuativo disciplinante il funzionamento della Camera di conciliazione e arbitrato, nonché le procedure amministrate dalla stessa. Successivamente, con Delibera n. 16972 del 29 luglio 2009, ha provveduto a nominare i componenti della Camera di conciliazione e arbitrato8.

Sull’altro fronte - quello delineato dall’art. 128 bis TUB – con delibera del CICR n. 275 del 29 luglio 2008 è stata dettata la disciplina dell’Arbitro Bancario Finanziario, delineandone il campo di applicazione, la struttura e le regole di svolgimento della procedura.

Alla Banca d’Italia veniva rimessa, ai sensi dell’art. 7 della predetta delibera, l’emanazione della disciplina applicativa,

d) finanziamento del fondo esclusivamente con il versamento della metà degli importi delle sanzioni irrogate per la violazione delle norme di cui alla lettera a); e) attribuzione della gestione del fondo alla CONSOB; f) individuazione dei soggetti che possono fruire dell’indennizzo da parte del fondo, escludendo comunque gli investitori professionali, e determinazione della sua misura massima; g) attribuzione del potere di emanare disposizioni di attuazione alla CONSOB. 3. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la redazione dello statuto dei risparmiatori e degli investitori, che individua l’insieme dei diritti loro riconosciuti e definisce i criteri idonei a garantire un’efficace diffusione dell’informazione finanziaria tra i risparmiatori, e per la redazione del codice di comportamento degli operatori finanziari.” 7 Ai sensi dell’art. 128 bis TUB “1. I soggetti di cui all’articolo 115 aderiscono a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela. 2. Con deliberazione del CICR, su proposta della Banca d’Italia, sono determinati i criteri di svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie e di composizione dell’organo decidente, in modo che risulti assicurata l’imparzialità dello stesso e la rappresentatività dei soggetti interessati. Le procedure devono in ogni caso assicurare la rapidità, l’economicità della soluzione delle controversie e l’effettività della tutela. 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non pregiudicano per il cliente il ricorso, in qualunque momento, a ogni altro mezzo di tutela prevista dall’ordinamento.” 8 E’ stato nominato quale Presidente della Camera il dott. Mario Egidio Schinaia e, quali membri, il dott. Luciano Berzè, il prof. Francesco De Santis, il dott. Mario Finzi e il prof. Marcello Foschini.

concernente – tra l’altro - la nomina dei membri dell’organo decidente, lo svolgimento di attività di supporto tecnico ed organizzativo nonché l’emanazione delle norme procedurali riferito al procedimento davanti all’ABF. Ciò ha fatto la Banca d’Italia con le Disposizioni pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 24 giugno 2009, n. 144, cui ha fatto seguito la nomina dei componenti - effettivi e supplenti – dell’organo decidente.

La scansione temporale ci porta quindi alla legge n. 69 del 18 giugno 2009, ed in particolare alla legge-delega che si rinviene nell’art. 60 e che attiene alla materia della mediazione e della conciliazione nelle controversie civili e commerciali. Tale delega si pone come dichiarato obiettivo, attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi, quello di realizzare il “necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti”, in coerenza con la normativa comunitaria9 e in conformità ai principi e criteri direttivi di cui al comma 3 dell’art. 60 in discorso.

Posto tutto quanto sopra, che non ha certo la presunzione – come precisato - di avere carattere di completezza, mi sembra di poter affermare che a partire dal 2003 vi sia stata una proliferazione quasi schizofrenica di norme e di regolamenti attuativi nella materia delle ADR, con conseguente necessità, avvertita – prima di tutto - dal legislatore, di introdurre una speciale disciplina unitaria in materia di mediazione e conciliazione stragiudiziale che consenta un rafforzamento della funzione svolta dagli organismi di conciliazione e mediazione per orientare la scelta delle controparti di una controversia verso soluzioni diverse rispetto a quella giudiziale che è comunque sempre garantita).

Per dovere di completezza non posso esimermi dal riferire che in data 29 ottobre 2009 è stato approvato uno schema di decreto legislativo in attuazione della suddetta delega conferita al Governo dall’art. 60 del l. n. 69/2009, di cui daremo atto nel prosieguo della presente relazione pur nella consapevolezza che si tratta, per l’appunto, di uno schema di decreto legislativo in fieri.

Solo un appunto prima di procedere nella relazione: in questa fase in cui si ha una sorta di “già, ma non ancora”, il ricorso da parte dei clienti della Banca, alle soluzioni alternative di risoluzione delle

9 Ed in particolare appare evidente il richiamo al contenuto della Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008 (pubblicata in G.U.U.E. L136 del 24 maggio 2008), che dovrà essere recepita dal Paesi membri entro il 21 maggio 2011.

controversie di recente creazione potrebbe risultare svilito dall’incertezza del ruolo che ogni sistema assumerà una volta che sarà stato realizzato, ad opera del legislatore delegato, il coordinamento sopra accennato.

Nel prosieguo della presente relazione mi propongo di perseguire l’intento di fornire una breve panoramica dei principali sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, in materia bancaria e finanziaria, partendo da quello istituito con la riforma del diritto societario del 2003, e pienamente operativo, per arrivare ai recentissimi ABF e Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob, che invece devono ancora entrare in azione. Passerò quindi ad un esame sommario dell’art. 60 l. n. 69/2009 con un accenno allo schema di decreto legislativo del 29.10.2009.

2.- L’ORGANISMO DI CONCILIAZIONE BANCARIA: UNO “MODELLO” DI ADR

CONVENZIONALE – Tra gli Organismi iscritti nel Registro tenuto dal Ministero della Giustizia ai sensi dell’art. 38 D.Lgs. n. 5/2003 e dell’art. 3 d.m. 23 luglio 2004 n. 22210, merita particolare attenzione, ai fini che qui interessano e per la particolare diffusione che ha avuto nel corso degli ultimi anni, l’Organismo di conciliazione bancaria costituito da parte dell’Associazione non riconosciuta denominata “Conciliatore Bancario Finanziario”. Ai sensi dell’art. 7 del predetto decreto ministeriale, l’organismo di conciliazione in questione si è dotato di un proprio “regolamento di procedura per la conciliazione”.

Ai sensi dell’art. 1 del regolamento di procedura, l’ambito oggettivo in cui opera l’organismo di conciliazione bancaria riguarda le controversie in materia di diritto societario, di intermediazione finanziaria ed in materia bancaria e creditizia di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 5/2003.

Volendo tentare una definizione sintetica del procedimento di conciliazione, si può affermare che si tratta di una procedura finalizzata a ricercare una risoluzione di una controversia insorta tra due parti, attraverso l’operato di un terzo soggetto imparziale, il conciliatore, che assiste le parti stesse, guidando la loro negoziazione e orientandola verso la ricerca di accordi reciprocamente

10 Il d.m. 23 luglio 2004 n. 222 statuisce il “regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all’articolo 38 del D.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5.”. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 23 agosto 2004 n. 197.

soddisfacenti. Con la conciliazione le parti cercano, con l’ausilio di un soggetto super partes, competente ed esperto nella materia in esame, la risoluzione autonoma e concordata della controversia.

Da queste considerazioni introduttive, appare subito evidente, quindi, che gli esiti positivi della procedura di conciliazione sono strettamente legati alla capacità del Conciliatore di saper leggere tra le righe il linguaggio delle parti, prestare attenzione a quanto non viene detto, a quanto esprime la gestualità di una parte, la chiusura o l’apertura, la diffidenza o la fiducia, la rabbia o l’accondiscendenza. Il ruolo del conciliatore è quindi, prima di tutto, quello di metter a proprio agio le parti, ascoltarle attentamente, lasciare che si confrontino, assistendo all’inevitabile scontro iniziale e guidando le parti verso un più sereno confronto che agevoli la comprensione e che porti a valutare le strade percorribili per superare il contrasto. Il tutto finalizzato ad un confronto che consenta, attraverso il superamento di quello che abbiamo definito sopra come un “incidente di percorso”, di favorire il riavvicinamento delle parti nel loro rapporto negoziale, il più delle volte non interrotto. Il conciliatore bancario si astiene quindi dal formulare giudizi in merito al torto o alla ragione in capo alle parti, e, soprattutto, non palesa mai valutazioni giuridiche sulla controversia sottoposta alla sua attenzione. Deve essere un soggetto che comprenda pienamente le problematiche sottese alla specifica controversia che le parti intendono dirimere, anche attraverso la specifica competenza ed esperienza nella materia giuridica in esame, ma che non manifesti alcun orientamento verso le ragioni sostenute da una o dall’altra parte.

Ed allora si comprende il perchè il d.m. 23 luglio 2004 n. 222 imponga, all’art. 4 comma 4, che i conciliatori debbano essere scelti tra i soggetti in possesso, prima di tutto, di “requisiti di qualificazione professionale11”, oltre che di “requisiti di onorabilità”. Il venire meno

11 Ai sensi dell’art. 4, comma 4 del d.m. 23 luglio 2004 n. 222 “Il responsabile verifica in ogni caso: a) i requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori per i quali, ove non siano professori universitari in discipline economiche o giuridiche, o professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni, ovvero magistrati in quiescenza, deve risultare provato il possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di formazione tenuti da enti pubblici, università o enti privati accreditati presso il responsabile in base ai criteri fissati a norma dell'articolo 10, comma 5; b) il possesso, da parte dei conciliatori, dei seguenti requisiti di onorabilità: 1. non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva, anche per contravvenzione;

dell’uno o dell’altro dei detti requisiti determina, ai sensi dell’art. 4 del regolamento di procedura dell’Organismo di conciliazione bancaria, la perdita della qualifica di conciliatore dell’Associazione (Conciliatore Bancario). Sempre al fine di cui sopra, e con specifico riferimento al requisito dell’imparzialità del conciliatore, l’art. 3 del regolamento di procedura sopra richiamato statuisce, al comma 3, che ‹‹per ciascuna controversia, prima di avviare il procedimento di conciliazione, il conciliatore designato deve sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità››. Il rischio che si vuole scongiurare, evidentemente, è quello di avere un conciliatore per così dire orientato, che caldeggi quindi soluzioni conciliative non eque e, in quanto tali, potenzialmente lesive della posizione di una delle parti in conflitto, eventualmente favorendo una sorta di ‹‹compensazione sociale›› della parte debole.

Le caratteristiche principali del procedimento davanti all’organismo di conciliazione bancaria, oltre a quelle sopra descritte, possono così essere riassunte: 1. Volontarietà: le parti si rivolgono liberamente all’organismo di

conciliazione e il risultato eventualmente positivo della conciliazione (sottoscrizione del verbale di conciliazione) ha natura di accordo privatistico che, se le parti lo richiedono, potrà essere depositato presso il Tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo di conciliazione, il quale procede, a seguito di accertamento della regolarità formale del verbale, ad apporre l’omologa con decreto del Presidente del Tribunale. Il verbale omologato costituisce titolo esecutivo ai sensi dell’art. 40 d.lgs. n. 5/2003;

2. Rapidità ed economicità: il regolamento di procedura per la conciliazione prevede che il procedimento si concluda entro 60 giorni lavorativi dalla data della prima riunione (tenuto conto della sospensione dei termini prevista dall’art. 13 del Regolamento stesso). Ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 5/2003, tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto

2. non avere riportato condanne a pena detentiva, applicata su richiesta delle parti, non inferiore a sei mesi; 3. non essere incorso nell'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici; 4. non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza; 5. non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall'avvertimento.”

di qualsiasi specie e natura. Inoltre il verbale di conciliazione è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di venticinquemila euro. Vengono versati dalle parti solamente le c.d. “spese di conciliazione” quali indicate nel d.m. 23 luglio 2004 n. 223;

3. Flessibilità e mancanza di formalismi: il conciliatore conduce gli incontri senza formalità di procedura e senza verbalizzazione, sentendo le parti separatamente e in contraddittorio tra loro. Se del caso dispone, con l’accordo delle parti, l’intervento di esperti;

4. Riservatezza: il procedimento di conciliazione, per espresso disposto dell’art. 512 del Regolamento, è coperto da riservatezza in tutte le sue fasi. Mi soffermerei un attimo sulla questione della riservatezza,

poiché mi pare importante centrare l’attenzione su quanto prevede l’ultimo comma del citato art. 5 del regolamento: “fatta eccezione dei verbali di conciliazione o di fallita conciliazione di cui all’articolo 8, ciascuna parte si impegna a non produrre nel corso del giudizio che venga promosso a seguito dell’insuccesso del tentativo di conciliazione, ovvero di qualsiasi altro giudizio, gli atti e i documenti esibiti dall’altra parte nel corso della procedura e dei quali non aveva la disponibilità”. Il rischio insito nella citata disposizione riguarda l’ipotesi in cui le parti abbiano chiesto, ai sensi dell’art. 8, comma 2 del Regolamento di procedura, al conciliatore di formulare “una

12 In particolare ai sensi dell’art. 5 del Regolamento “1. Il procedimento di conciliazione è

coperto da riservatezza in tutte le sue fasi. Nell’istanza di conciliazione e nell’atto di adesione di cui all’articolo 6, ciascuna parte è tenuta a dichiarare espressamente l’impegno a rispettare gli obblighi di riservatezza previsti nel presente articolo. 2. Fatta eccezione dei casi previsti dall’articolo 8 e dall’articolo 7, comma 2, non può essere effettuata alcuna verbalizzazione o registrazione di quanto dichiarato nel corso dello stesso dalle parti, dal conciliatore, o da chiunque abbia partecipato, a qualsiasi titolo, al procedimento di conciliazione. 3. L'Organismo assicura adeguate modalità di conservazione e di riservatezza degli atti introduttivi del procedimento di cui all'articolo 6, sottoscritti dalle parti, nonché di ogni altro documento proveniente dai soggetti di cui al comma che precede o formato durante il procedimento. 4. Le parti, il conciliatore e chiunque abbia partecipato, a qualsiasi titolo, al procedimento di conciliazione si impegnano a non divulgare in giudizio ovvero a terzi i fatti e le informazioni apprese durante il procedimento. 5. Le parti si impegnano ad astenersi dal chiamare il conciliatore ovvero chiunque abbia partecipato, a qualsiasi titolo, al procedimento di conciliazione, a testimoniare in merito ai fatti e alle circostanze di cui essi sono venuti a conoscenza in occasione del procedimento, nel corso del giudizio che venga promosso a seguito dell'insuccesso del tentativo di conciliazione, ovvero di qualsiasi altro giudizio. 6. Fatta eccezione dei verbali di conciliazione o di fallita conciliazione di cui all’articolo 8, ciascuna parte si impegna a non produrre nel corso del giudizio che venga promosso a seguito dell'insuccesso del tentativo di conciliazione, ovvero di qualsiasi altro giudizio, gli atti e i documenti esibiti dall’altra parte nel corso della procedura e dei quali non aveva la disponibilità.”

propria proposta di accordo” che la Banca non abbia ritenuta accoglibile. In tal caso infatti il conciliatore ne dà atto con apposito verbale che, come sopra riportato, è producibile nell’eventuale successivo giudizio promosso dal cliente. Ai sensi dell’art. 40, comma 5 del d.lgs. n. 5/2003 il mancato accoglimento della proposta formulata dal conciliatore da parte di una delle parti (nel caso sopra ipotizzato, da parte della Banca) rientra, a mio avviso, tra le “posizioni assunte dinanzi al conciliatore” che possono essere valutate dal Giudice ai fini della decisione sulla condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè ai sensi dell’art. 96 c.p.c.. Inoltre, il giudice, con le sentenza che definisce il giudizio, può escludere, in tutto o in parte, la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato la conciliazione e può anche condannarlo, in tutto o in parte, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente.

Emerge, sin dalla riforma del processo societario del 2003, un favor conciliationis da parte del legislatore, che, come vedremo, è stato nel corso degli anni sempre più sviluppato.

Basti sottolineare che la delega di cui all’art. 60 della l. n. 69/2009 precisa che il legislatore delegato, nell’ambito degli adottandi decreti legislativi, dovrà – tra l’altro – “p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell'accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l'accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, salvo quanto previsto dagli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile, e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un'ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai sensi dell'articolo 9 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115”.

Alla luce di quanto sopra, occorre a mio avviso prestare la massima attenzione, in sede di procedimento di conciliazione, a non incorrere nell’errore di chiedere al conciliatore (ovvero di aderire alla richiesta di controparte), di formulare una proposta di accordo in tutti quei casi in cui sia emerso, in sede di riunione, che vi sia una eccessiva distanza tra le posizioni delle parti, anche a seguito

dell’operato del conciliatore, che induca a ritenere difficile il raggiungimento, per lo meno in quella sede, di un accordo conciliativo. In tale ipotesi con ogni probabilità il conciliatore sarebbe portato a formulare una proposta che si collocherebbe a metà strada tra le rispettive posizioni, ma che, proprio in ragione dell’esistenza di punti di partenza molto divergenti, non sarebbe comunque accettabile da parte della Banca perché eccessivamente penalizzante in relazione al caso di specie.

Ovviamente qualora si verificasse l’ipotesi opposta in cui, alla luce dell’andamento della discussione, dovesse emergere una particolare adesione del conciliatore alla ipotesi transattiva eventualmente formulata dalla Banca, sarebbe opportuno insistere affinchè il conciliatore formuli la propria proposta di accordo, inducendo, per quanto possibile, la controparte ad aderire alla richiesta. In tal caso i rischi di un eventuale diniego della proposta ricadrebbero sulla controparte. Certo, mi rendo conto che si tratta, in entrambi i casi, di una valutazione difficile da fare, legata molto alla sensibilità personale del soggetto che parteciperà per la Banca alla procedura di conciliazione. Ma, purtroppo, questo è, e non è peraltro solo un problema di “spese legali”. Sappiamo perfettamente quanto sia difficile oggi sostenere in giudizio la (pur se ovviamente esistente) legittimità del comportamento delle Banche, soprattutto nelle controversie in materia di investimenti in strumenti finanziari, e quante siano le insidie presenti lungo il tragitto che va dall’atto di citazione alla sentenza (a titolo di esempio: prove testimoniali sfavorevoli, consulenze tecniche di difficile contrastabilità e/o prevedibilità). Una eventuale proposta conciliativa formulata dal conciliatore, rifiutata dalla Banca e, successivamente, inserita tra le produzioni documentali del giudizio, potrebbe inasprire l’atteggiamento del giudice nei confronti della Banca, con la conseguente ulteriore difficoltà, per la Banca, di superare l’eventuale “pregiudizio” dello stesso.

3.- L’ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO: LA “TERZA VIA” TRA ARBITRATO E

CONCILIAZIONE – Di recentissima istituzione13, come sopra accennato, l’Arbitro Bancario Finanziario (per brevità ABF) è un organismo 13 Nella Gazzetta ufficiale del 24 giugno 2009, n. 144, sono state pubblicate le Disposizioni della Banca d’Italia ‹‹sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari››.

indipendente e imparziale, che si pone quale Organo decidente nell’ambito di procedure che non sono qualificabili né come conciliazioni né come arbitrati. Sulla natura giuridica della procedura davanti all’ABF e sulle conseguenti decisioni dallo stesso assunte ci intratterrà tra breve il prof. Ruperto.

Le controversie di cui è investito l’ABF sono rimesse alla cognizione di un organo collegiale, articolato in tre collegi su base territoriale: uno con sede a Milano, uno con sede a Roma e il terzo con sede a Napoli.

All’ABF possono essere sottoposte, secondo quanto definito dall’art. 1 della Delibera CICR del 29 luglio 2008, le controversie inerenti contestazioni relative a operazioni e servizi bancari e finanziari (successive al 1° gennaio 2007), con l’esclusione di quelli non assoggettati al Titolo VI del TUB ai sensi dell’art. 23, comma 4 TUF14. Evidentemente, in una visione di sistema e alla luce degli artt. 27 e 29 l. n. 262/2005, si è voluta evitare una sovrapposizione di competenze tra l’Arbitro Bancario Finanziario e la Camera di conciliazione e arbitrato istituita presso la Consob, la quale, viceversa, si occupa di controversie insorte tra gli investitori e gli intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori. Ed ancora, con riferimento all’ambito di applicazione oggettivo, l’ABF può decidere controversie inerenti l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà in capo al cliente della Banca, senza alcun limite di valore. Qualora, tuttavia, il ricorso presentato dal cliente tenda alla corresponsione di una somma di denaro a qualunque titolo, è stabilito un limite di valore di € 100.000,00.

Mi sembra doveroso a questo punto aprire una parentesi. La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha recentemente affermato che ‹‹ al creditore non è consentito agire in giudizio per chiedere l’adempimento frazionato, contestuale o sequenziale, di un credito unitario››. Tuttavia, proprio in considerazione della suddetta natura non giurisdizionale dell’ABF, non si può escludere che, al fine di accedere all’ABF (e ottenere una pronuncia in tempi rapidi), i crediti di importo superiore a € 100.000,00 siano frazionati da parte del

14 Rientrano pertanto tra le controversie di cui è competente l’ABF, a titolo di esempio, quelle relative a rapporti di conto corrente, mutui, prestiti personali etc.

ricorrente, il quale potrebbe comunque agire in giudizio (ordinario) per il residuo credito. In questa fase di avvio, peraltro, si può prescindere da questa ipotesi, apparendo ragionevole ritenere che il successo dello strumento potrà essere misurato nella sua utilizzazione nelle controversie di valore inferiore a € 100.000,00. Il problema fondamentale, invece, risiede nell’affidamento che l’ABF potrà suscitare non solo nei ‹‹clienti››, ma soprattutto nelle associazioni dei consumatori e nel ceto forense, che è il primo interlocutore e consigliere dei clienti. Tale affidamento potrebbe trovare un ostacolo nel fatto che le ‹‹Disposizioni›› della Banca d’Italia prevedono una istruttoria basata solo sulle prove precostituite e non prevedono alcuna udienza, che consenta un contatto tra le parti e tra queste e l’organo decidente. Un orientamento formalistico e legato al dato letterale, offrirebbe argomenti contro l’utilizzazione dello strumento: l’esigenza di acquisire prove costituende (nonché, sempre più spesso, di dare ingresso a consulenze tecniche), l’importanza di un confronto tra le parti, eventualmente guidato dall’organo decidente, anche al fine di ricercare un eventuale accordo transattivo.

Altro dubbio che ci si pone è quello relativo alla capacità dell’ABF di svolgere efficientemente il proprio ruolo, posto che le Disposizioni di attuazione della Banca d’Italia hanno previsto che l’organo decidente sia articolato in (soli) tre collegi per tutto il territorio nazionale. Ad esempio il collegio con sede a Milano è competente per la decisione sui ricorsi presentati da clienti aventi il proprio domicilio in una delle seguenti Regioni: Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino- Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto. Nell’ipotesi in cui si ingenerasse un affidamento nello strumento dell’ABF, con conseguente aumento progressivo dei ricorsi presentati dai clienti delle banche, è lecito prevedere un allungamento dei tempi per ottenere una decisione da parte dell’ABF (oltre il termine di 60 giorni dalla data di invio delle controdeduzioni dell’intermediario, quale stabilito dalle Disposizione della Banca d’Italia).

Altra questione che mi limiterò ad accennare è quella relativa alla sopra accennata natura giuridica del procedimento davanti all’Arbitro Bancario Finanziario, posto che, lo stesso organismo ha sottolineato espressamente15 che si tratta di un ‹‹un sistema nuovo da non

15 Si veda quanto riportato nel sito internet www.arbitratobancariofinanziario.it.

confondere con la conciliazione o con l'arbitrato››. Il tema è evidentemente importantissimo, dal momento che gli Intermediari sono tenuti ad aderire all’ABF16 e che, come vedremo, le conseguenze di una pronuncia negativa da parte dell’ABF potrebbero essere gravemente lesive dell’immagine della Banca. L’ABF, come l’Ombudsman bancario al quale il legislatore si è ispirato, in termini pratici appare nient’altro che un appello proposto dal cliente della Banca avverso il reclamo che non sia stato accolto (in tutto o in parte) dalla banca stessa. Tale considerazione deriva, innanzitutto, dalla centralità, evidenziata da parte della Banca d’Italia alla Sezione VI delle Disposizioni attuative, della preliminare gestione della fase di Reclamo da parte degli Intermediari17, che costituisce “condizione preliminare e necessaria per adire l’Arbitro Bancario Finanziario”.

In altri termini la procedura prevede che: il cliente formuli la propria contestazione, in prima istanza, all’Intermediario, il quale effettuerà (in modo più che attento e adeguato) una valutazione sulla fondatezza della contestazione stessa e deciderà per l’accoglimento o il rigetto del reclamo (il che dovrà essere fatto entro 30 giorni dalla presentazione del reclamo). Il cliente, insoddisfatto dall’esito del reclamo, potrà a questo punto decidere di ricorrere all’ABF (entro 12

16 Secondo quanto previsto nella Sezione II delle disposizione di attuazione della Banca d’Italia del 18 giugno 2009 “Gli intermediari sono tenuti ad aderire all’ABF. L’adempimento di questo obbligo costituisce una condizione per lo svolgimento dell’attività bancaria e finanziaria; la Banca d'Italia ne valuta l’eventuale violazione nell’ambito della sua azione di controllo.” 17 Così si legge nelle Disposizioni attuative della Banca d’Italia: “In questa prospettiva, è essenziale che l’intermediario riservi la massima cura alla funzione di gestione dei reclami, al fine di prevenire l’insorgere di controversie e risolvere già in questa fase preliminare le situazioni di potenziale insoddisfazione del cliente. In considerazione di ciò, il ricorso ai sistemi stragiudiziali non sostituisce, ma presuppone, un’effettiva e soddisfacente interlocuzione tra l’intermediario e il cliente volta a consentire il chiarimento delle rispettive posizioni e a favorire, ove possibile, una composizione bonaria dei possibili contrasti. L’espletamento della fase di reclamo presso l’intermediario costituisce pertanto condizione preliminare e necessaria per adire l’Arbitro Bancario Finanziario. Gli intermediari sono tenuti a dotarsi di adeguate strutture organizzative e procedure interne, istituendo un ufficio reclami o individuando un responsabile della funzione di gestione dei reclami della clientela. A tali fini gli intermediari applicano le disposizioni relative ai reclami contenute nella disciplina di trasparenza dei servizi bancari e finanziari. Le procedure interne adottate dall’intermediario assicurano, inoltre, che l’ufficio o il responsabile della gestione dei reclami: — si mantenga costantemente aggiornato in merito agli orientamenti seguiti dall’organo decidente, attraverso la consultazione dell’archivio elettronico delle decisioni dei collegi pubblicato su internet ai sensi della sezione IV, paragrafo 2; — valuti i reclami pervenuti anche alla luce dei predetti orientamenti, verificando se la questione sottoposta dal cliente rientri in fattispecie analoghe a quelle già decise dai collegi e considerando le soluzioni adottate in tali casi. L'intermediario si pronuncia sul reclamo entro 30 giorni dalla ricezione del medesimo e indica, in caso di accoglimento, i tempi previsti per l’adempimento.”

mesi dalla presentazione del reclamo) per ottenere una seconda valutazione sulla stessa contestazione già oggetto del reclamo. E, si badi, ciò che conforta ulteriormente l’idea che si tratti di una revisio prioris istantiae è il fatto che l’istruttoria è effettuata esclusivamente in base alla documentazione prodotta dalle parti (documentazione evidentemente già esaminata in sede di reclamo), con la precisazione che l’intermediario, in sede di proprie controdeduzioni è tenuto a trasmettere alla competente segreteria tecnica dell’ABF tutta la documentazione utile ai fini della valutazione del ricorso, ivi compresa quella relativa alla fase di reclamo. Non vi è nel corso del procedimento alcuna udienza davanti al Collegio giudicante, e non vi è, come detto, alcuna ulteriore attività istruttoria.

Risulta pertanto assolutamente evidente l’importanza, oggi ancora maggiore, rivestita dalla gestione della fase di reclamo da parte dell’Intermediario, in quanto sarà proprio, con ogni probabilità, l’operato della Banca in sede di reclamo a costituire l’oggetto dell’accertamento da parte dell’ABF, nella sua funzione di …giudice di appello. L’ABF, qualora accolga il ricorso del cliente, fissa un termine (in mancanza è di trenta giorni) all’Intermediario entro il quale lo stesso deve adempiere alla decisione. Fino a qui poco male, se non fosse che le Disposizioni attuative della Banca d’Italia del 18.06.2009 precisano inoltre che: 1. Gli esiti dei ricorsi sono valutati dalla Banca d'Italia per i profili di

rilievo che essi possono avere per l’attività di vigilanza; 2. La notizia dell’inadempienza dell’intermediario alla decisione

dell’ABF, o della sua mancata cooperazione (mancato invio della documentazione a seguito di richiesta di integrazione da parte della segreteria tecnica) è pubblicata sul sito internet dell’ABF, sul sito internet www.bancaditalia.it e, a spese dell’intermediario, in due quotidiani ad ampia diffusione nazionale. Nella Relazione annuale di cui alla sezione IV, paragrafo 218, sono rese note informazioni sulle inadempienze di ciascun intermediario e sul numero dei ricorsi nei quali è risultato soccombente rispetto al numero totale dei ricorsi decisi nei suoi confronti. Risulta pertanto evidente che, nella denegata ipotesi di accoglimento del

18 La Banca d’Italia predispone e pubblica annualmente una Relazione concernente l’attività svolta dall’organo decidente, la cui redazione è curata dalla struttura centrale di coordinamento (Area Vigilanza Bancaria e Finanziaria, Servizio Rapporti Esterni e Affari generali, Divisione Rapporti tra Intermediari e Clienti).

ricorso, l’Intermediario dovrà adempiere tempestivamente, al fine di evitare le conseguenze di cui sopra;

3. Non sono previsti mezzi di impugnazione della decisione, ma, ai sensi del penultimo capoverso del paragrafo 4 della sezione VI ‹‹resta ferma la facoltà per entrambe le parti di ricorrere all’autorità giudiziaria ovvero ad ogni altro mezzo previsto dall’ordinamento per la tutela dei propri diritti e interessi››;

4. La decisione dell’ABF costituisce un precedente vincolante per l’Intermediario, il quale è tenuto a valutare i reclami ‹‹anche alla luce dei predetti orientamenti, verificando se la questione sottoposta dal cliente rientri in fattispecie analoghe a quelle già decise dai collegi e considerando le soluzioni adottate in tali casi››. Risulta evidente, quindi, che più saranno i precedenti sfavorevoli, maggiore sarà la difficoltà per l’Intermediario di discostarsene in sede di successive valutazionie di reclami senza correre il rischio di successivo accoglimento – quasi automatico - del ricorso da parte dell’ABF. Le Disposizioni attuative19 disciplinano inoltre il rapporto tra

procedimento davanti all’ABF e eventuali tentativi di conciliazione avviati in corso di giudizio, statuendo la dichiarazione di interruzione (d’ufficio o su istanza di parte) dell’arbitrato. L’applicazione di tale disposizione potrebbe consentire all’intermediario di evitare i rischi sopra illustrati, ed in particolare il rischio di un precedente “scomodo”. Anche se ritengo che sia abbastanza improbabile che una controparte decida di aderire alla istanza di conciliazione eventualmente presentata dalla Banca, allorquando sia già in corso un giudizio davanti all’ABF. Sarà con ogni probabilità portata ad attendere l’esito del giudizio, per poi, successivamente, valutare altre strade, eventualmente anche conciliative.

4.- LA CAMERA DI CONCILIAZIONE E ARBITRATO ISTITUITA PRESSO LA

CONSOB – Non mi è possibile, per ragioni di tempo, che trattare solo alcune delle innumerevoli questioni riguardanti la neocostituita

19 Il collegio, d’ufficio o su istanza di parte, dichiara l’interruzione del procedimento qualora consti che in relazione alla medesima controversia è stato avviato un tentativo di conciliazione ai sensi di norme di legge. Se la conciliazione non riesce, il ricorso può essere riproposto senza necessità di un nuovo reclamo all’intermediario entro 6 mesi dal fallimento del tentativo di conciliazione. In tal caso, le parti possono fare rinvio alla documentazione già presentata in occasione della precedente procedura di ricorso.

Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob (per brevità la “Camera”).

Partiamo innanzitutto col dire che con l’emanazione da parte della Consob del regolamento di attuazione20 del d.lgs. 8 ottobre 2007 n. 179, concernente, per l’appunto, la Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob e le relative procedure, hanno fatto il loro ingresso ufficiale nel diritto dei mercati finanziari la conciliazione e l’arbitrato amministrato, quali modalità di risoluzione delle controversie, alternative ai rimedi giurisdizionali, insorte tra investitori (non professionali) e intermediari in materia di violazione da parte di questi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori. La Camera è un organo collegiale al quale l’ordinamento attribuisce i compiti di curare la tenuta dell’albo di conciliatori e arbitri (scelti tra persone di comprovata imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità) e di predisporre le misure organizzative necessarie allo svolgimento dell’attività istituzionale. La Camera di conciliazione può avvalersi di organismi di conciliazione iscritti nel registro di cui all’art. 38, comma 2 del d.lgs. n. 5/2003.

Prima di procedere ad un esame sommario delle procedure, mi sembra doveroso dare atto di quello che, agli occhi della più attenta dottrina, è apparso sin dalla lettura della legge delega di cui all’art. 27 l. n. 262/2005, come un latente (a mio avviso: patente) conflitto di interessi in capo alla Consob. La legge delega contenuta nel citato art. 27, al comma 1 lett. a), dettava il seguenti criterio indirizzato al legislatore delegato: ‹‹previsione di procedure di conciliazione e di arbitrato da svolgere in contraddittorio, tenuto conto di quanto disposto dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, secondo criteri di efficienza, rapidità ed economicità, dinanzi alla CONSOB per la decisione di controversie insorte fra i risparmiatori o gli investitori››. Quel “dinanzi alla Consob” è fin da subito apparso, per ovvie ragioni di commistione tra funzione amministrativa e funzione giurisdizionale da parte della Consob, inopportuno, ed è stato sostituito dal legislatore delegato, in sede di d.lgs. n. 179/2007, con la dicitura “presso la Consob” riferita alla costituenda Camera di conciliazione e arbitrato. In questo modo, è stato evidenziato dalla stessa Consob, il problema non sussisterebbe in quanto non è la Consob direttamente

20 Delibera n. 16763 del 29 dicembre 2008.

che decide negli eventuali giudizi arbitrali, bensì un organo indipendente (la Camera) al pari di altro organismi nazionali, quale ad esempio la ‹‹Camera arbitrale per i contratti pubblici›› che, secondo la Consob, ‹‹presenta caratteristiche per molti versi simili a quelle della istituenda Camera presso la Consob, in quanto anch’essa costituita presso una authority che provvede con proprio personale al suo funzionamento››.

Il problema, a mio avviso, invece sussiste e come: la Camera è pur sempre un organismo, non dotato di personalità giuridica, che è emanazione di un soggetto pubblico, e che, per esplicita volontà del legislatore, deve avvalersi di risorse e strutture individuate dalla Consob (art. 3, comma 4, Reg. Consob 16763/2008). A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 3, comma 5 ‹‹la Camera presenta alla Consob, entro il mese di febbraio, una relazione sull’attività svolta nell’anno precedente›› e, ai sensi del successivo comma 6 ‹‹la Consob può chiedere alla Camera informazioni sulle attività e sui compiti istituzionali svolti››. Mi sembra che tale commistione di ruoli e funzioni sia quanto meno pericolosa. E tale mio convincimento è ancor più rafforzato se penso al ‹‹fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori in attuazione dell’articolo 27, comma 1 e 2 della legge 28 dicembre 2005 n. 262›› istituito con d.lgs. 8 ottobre 2007 n. 179. Si tratta, in estrema sintesi, di un fondo di garanzia destinato all’indennizzo, nei limiti delle disponibilità del fondo medesimo, dei danni patrimoniali causati dalla violazione, accertata con sentenza passata in giudicato, o con lodo arbitrale non più impugnabile, delle norme che disciplinano le attività di cui alla parte II del decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58. La gestione di tale fondo è attribuita alla Consob, la quale è – tra l’altro - legittimata ad agire in giudizio, in rappresentanza del fondo, per la tutela dei diritti e l’esercizio dell’azione di rivalsa nei confronti dell’intermediario responsabile. Ed ancora: il Fondo è finanziato esclusivamente con il versamento della metà degli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie erogate per la violazione delle norme di cui sopra. E’ stato correttamente osservato, in dottrina21, che “da un lato la Consob, che rappresenta un’Autorità amministrativa indipendente, eroga una sanzione nelle forme del procedimento amministrativo, a seguito di

21 C. CAVALLINI: “la camera di conciliazione e di arbitrato della Consob: ‹‹prima lettura›› del d.lgs. 8 ottobre 2007 n. 179”, in Rivista delle società, 2007, pagg. 1445 e ss.

un’istruttoria ad hoc22; dall’altro, l’importo della sanzione confluisce (per metà) proprio nel fondo che garantisce l’indennizzo diretto del risparmiatore danneggiato, come tale accertato vuoi da una sentenza passata in giudicato, vuoi e soprattutto da un lodo incontrovertibile, pronunciato a seguito di un arbitrato regolamentato dalla stessa Consob››. Una sorta di circuito di poteri, amministrativi e propriamente giurisdizionali, in capo alla stessa Autorità, comunque amministrativa. Mi sembra, lo ripeto, che l’ipotesi del conflitto di interessi sia più che presente e il fatto che gli arbitri non vengano gestiti direttamente dalla Consob ma dalla la Camera presso la Consob non sposta in alcun modo, in termini sostanziali, il problema esistente.

Passando ad un esame delle procedure amministrate dalla Camera di conciliazione e arbitrato, il Regolamento attuativo della Consob prevede e disciplina una procedura di conciliazione stragiudiziale e due tipi di arbitrato (arbitrato ordinario e arbitrato semplificato).

La conciliazione stragiudiziale ricalca per molti versi quella del conciliatore societario ai sensi degli artt. 38 e ss. del d.lgs. n. 5/2003 e del d.m. n. 222/2004. Tuttavia l’istanza di conciliazione, nella procedura in discorso, è sottoposta a duplice condizione di ammissibilità23:

1) che non siano state già avviate tra le parti altre procedure di conciliazione;

2) che si sia esaurita la fase di reclamo proposto all’Ufficio competente della Banca in relazione ai medesimi fatti.

In riferimento alla predetta seconda condizione, l’art. 8, comma 5 Regolamento attuativo, dispone l’obbligo per l’intermediario che aderisca alla istanza di conciliazione di allegare – tra l’altro – la documentazione afferente al rapporto contrattuale controverso, ivi

22 Provvedimento sanzionatorio che diviene oggetto di accertamento giurisdizionale vero e proprio solo a seguito dell’eventuale impugnazione-opposizione avanti alla Corte d’Appello, secondo il disposto dell’art. 195 TUF. 23 Ai sensi dell’art. 7 del Reg. 16763/2008 “L’istanza volta all’attivazione della procedura di conciliazione può essere presentata esclusivamente dall’investitore quando per la medesima controversia: a) non siano state avviate, anche su iniziativa dell’intermediario a cui l’investitore abbia aderito, altre procedure di conciliazione; b) sia stato presentato reclamo all’intermediario cui sia stata fornita espressa risposta, sia decorso il termine di novanta giorni, o il termine più breve eventualmente stabilito dall’intermediario per la trattazione del reclamo, senza che l’investitore abbia ottenuto risposta.”

compreso il reclamo proposto dall’investitore e le eventuali determinazioni assunte al riguardo.

Ancora una volta non ci si può esimere dal sottolineare l’attenzione rivolta alla fase del reclamo, che, come nel caso dell’Arbitro Bancario Finanziario, costituisce, inevitabilmente, la base di partenza per la valutazione, anche da parte dell’organo adito, della fattispecie in esame.

Anche la procedura di conciliazione in discorso, come la conciliazione societaria, presenta una prima fase in cui il conciliatore svolge una funzione esclusivamente “facilitativa”, volta ad aiutare e assistere le parti nel raggiungimento di un accordo pienamente satisfattivo, e una seconda fase, eventuale (condizionata alla comune volontà delle parti), in cui il conciliatore assume una funzione “propositiva”24. La procedura si conclude con la sottoscrizione, in caso di accordo, di un verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti e dal conciliatore25, che, a seguito di omologazione da parte del Presidente del tribunale, costituisce titolo esecutivo, ovvero, in caso di mancato accordo, con un ‹‹ verbale di chiusura delle operazioni››.

Passando all’esame, per sommi capi, dell’arbitrato ordinario amministrato dalla Camera, mi limiterei ad evidenziare che si tratta di un vero e proprio arbitrato (a differenza della procedura davanti all’Arbitro Bancario Finanziario), che ha natura rituale e di diritto26 e che si conclude con un lodo impugnabile per errores in judicando. La scelta degli arbitri deve essere effettuata tra quelli iscritti nell’elenco tenuto dalla Camera ai sensi dell’art. 6 Regolamento Consob 16763/2008, e, in caso di inerzia delle parti, provvederà alla scelta la Camera, in base ai criteri stabiliti dall’art. 20, comma 4 Regolamento di attuazione27.

24 I rischi insiti in tale fase sono gli stessi evidenziati sopra con riferimento alla procedura davanti all’organismo di Conciliazione Bancaria. 25 Ai sensi dell’art. 14 Reg. Consob 16763/2008 “se le parti non danno spontanea esecuzione alle previsioni dell’accordo conciliativo, il verbale, previo accertamento della sua regolarità formale, è omologato con decreto del presidente del tribunale…e costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”. 26 Ai sensi dell’art. 18 Reg. Attuativo n. 16763/2008 “1. L’arbitrato amministrato dalla Camera ha natura rituale ed è regolato dalle disposizioni del presente regolamento e dagli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile. 2. Nei casi previsti dal Capo II, Titolo VIII, Libro IV del codice di procedura civile, le funzioni attribuite al presidente del tribunale sono svolte dalla Camera. 3. Gli arbitri decidono secondo le norme di diritto.” 27 Ai sensi della citata norma “La Camera nomina gli arbitri, tenendo conto: a) del numero di controversie pendenti avanti all’arbitro; b) della esperienza maturata dall’arbitro sulle specifiche questioni oggetto della

In estrema sintesi diciamo che: 1. La Camera amministra lo svolgimento di arbitrati sulla base di una

convenzione di arbitrato che richiami espressamente le norme del decreto legislativo e le disposizioni di attuazione della Consob, ovvero quando di tale arbitrato le parti facciano concorde richiesta scritta. Quando non esiste tra le parti una convenzione di arbitrato che rinvia al giudizio disciplinato dal presente regolamento, ciascuna parte può farne richiesta con gli atti indicati all’articolo 810, primo comma, del codice di procedura civile.

2. Le controversie sono decise da un arbitro unico, nominato congiuntamente dalle parti, salvo che le parti decidano di deferire la controversia ad un collegio di tre arbitri (di cui il terzo, con funzione di presidente, viene nominato con atto congiunto dalle parti, ovvero, in mancanza di accordo, dalla Camera);

3. Al fine di garantire l’indipendenza e l’imparzialità degli arbitri, l’art. 22 del regolamento di attuazione prevede che “Con la dichiarazione di accettazione gli arbitri attestano la permanenza dei requisiti per l’iscrizione nell’elenco e l’inesistenza di: a) rapporti con le parti e con i loro difensori tali da incidere sulla propria imparzialità e indipendenza; b) ogni personale interesse, diretto o indiretto, relativo all’oggetto della controversia.”

4. Il lodo arbitrale viene pronunciato entro il termine di 120 giorni dalla data di accettazione della nomina da parte degli arbitri, salve le ipotesi di proroga del termine statuite dall’art. 2528 del regolamento di attuazione.

controversia; c) della tendenziale parità di trattamento tra uomini e donne; d) della equa distribuzione degli incarichi; e) della vicinanza del luogo di domicilio dell’arbitro alla sede dell’arbitrato, quando l’arbitrato non ha sede presso la Camera.” 28 Ai sensi dell’art. 25 reg. Consob 16763: “1. Gli arbitri pronunciano il lodo nel termine di

centoventi giorni dall’accettazione della nomina. 2. Il termine può essere prorogato prima della sua scadenza per un periodo non superiore a centoventi giorni: a) da tutte le parti mediante dichiarazioni scritte indirizzate agli arbitri; b) dalla Camera su istanza motivata di una delle parti o degli arbitri, sentite le altre parti. 3. Il termine è prorogato di centoventi giorni nei casi seguenti e per non più di una volta nell’ambito di ciascuno di essi: a) se devono essere assunti mezzi di prova; b) se è disposta consulenza tecnica d’ufficio; c) se è pronunciato lodo non definitivo o lodo parziale; d) se è modificata la composizione del collegio arbitrale o è sostituito l’arbitro unico. 4. In ogni caso, dopo la ripresa del procedimento sospeso, il termine residuo per la pronuncia del lodo, se inferiore, è esteso a quarantacinque giorni.”

Una novità assoluta in materia di arbitrato è l’arbitrato semplificato disciplinato dagli articoli da 28 a 34 del Regolamento di attuazione Consob. Ma più che una novità si tratta forse di una stranezza, posto che non si comprende in cosa consista la semplificazione: ai sensi dell’art. 28, comma 1, regolamento Consob “il procedimento arbitrale semplificato è finalizzato al ristoro del solo danno patrimoniale sofferto dall’investitore in conseguenza dell'inadempimento da parte dell'intermediario degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori mediante la determinazione di un indennizzo, ai sensi dell’articolo 33, comma 2”. Conseguentemente l’inadempimento da parte dell’intermediario deve essere comunque accertato.

Leggendo le norme di riferimento, ci si avvede che, in sostanza, si tratta di un arbitrato a cognizione sommaria, in cui la decisione arbitrale, assunta da un arbitro unico, si fonda solo sulle prove precostituite (oltre che sulle deduzioni contenute nell’atto introduttivo dell’attore e dell’atto di risposta del convenuto). Solo in via eventuale (ed in particolare quando lo riterrà “necessario”) l’arbitro può chiedere alle parti, in sede di udienza, i chiarimenti sui fatti dedotti in giudizio, indicando inoltre le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.

Da quanto sopra emerge con tutta evidenza la pericolosità del

procedimento in questione, dal momento che una eventuale carenza documentale potrebbe condurre, in tempi brevissimi29, ad un lodo eventualmente sfavorevole per la Banca, anche se solo riferito al danno patrimoniale che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento e solo nei limite della raggiunta prova.

29 Ai sensi dell’art. 33 Regolamento di attuazione: “1.Nei venti giorni successivi alla data di precisazione delle conclusioni, l’arbitro pronuncia il lodo sulla base dei documenti prodotti e tenendo conto degli elementi emersi nel corso dell’udienza. 2. L’arbitro accoglie la domanda quando, tenuto conto delle deduzioni formulate dall’intermediario e dei soli documenti introdotti in giudizio, ne ritiene sussistenti i fatti costitutivi, condannando l’intermediario al pagamento in favore dell’investitore di una somma di danaro a titolo di indennizzo, idonea a ristorare il solo danno patrimoniale da questi ritratto, quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento dell’intermediario, nei limiti della quantità per cui ritiene raggiunta la prova. 3. Il lodo è depositato dall’arbitro presso la Camera che lo sottopone alla Consob per il visto di regolarità formale ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo.”.

Una volta ottenuto il lodo che abbia accertato l’eventuale inadempimento da parte dell’intermediario, l’investitore potrebbe inoltre agire in giudizio per il maggior danno sulla base dell’accertamento già svolto in sede arbitrale.

Sempre con riferimento al giudizio arbitrale in discorso va segnalato che, come nel caso dell’Arbitro Bancario Finanziario, viene dato rilievo alla fase del reclamo proposto dall’investitore direttamente all’intermediario antecedentemente alla proposizione della domanda di arbitrato. In particolare l’art. 29 del regolamento di attuazione Consob statuisce che il preventivo esperimento ed esaurimento della fase di reclamo costituisce una delle condizione di ammissibilità della domanda di arbitrato semplificato30.

Dal punto di vista della difesa della Banca nel giudizio arbitrale de quo, appare significativo il fatto che all’art. 30 Regolamento di attuazione si preveda l’obbligo per l’intermediario di depositare ‹‹tutta la documentazione afferente al rapporto contrattuale controverso››. Ciò significa, a mio avviso, che la decisione da parte dell’Arbitro (in questo caso unico) in merito all’accoglimento della domanda verrà assunta non tanto sulla base della documentazione prodotta dall’attore (che potrebbe anche non produrre alcun documento contrattuale), bensì sulla mancata prova documentale da parte dell’intermediario del proprio adempimento. Risulta allora certo che la fase di reclamo, e la raccolta della documentazione contrattuale riferita alla fattispecie in esame, diventi fondamentale al fine di scongiurare il rischio di cui sopra.

Un altro aspetto di sicuro interesse riguarda la natura giuridica del lodo emesso a seguito dell’accertamento ‹‹sommario›› svolto dall’Arbitro Unico. L’art. 531 del d.lgs. n. 179/2007 statuita la

30 Ai sensi dell’art. 29 Regolamento Consob 16763/2008: “1. La possibilità di ricorrere all’arbitrato semplificato deve risultare espressamente dal testo della convenzione di arbitrato. 2. Il giudizio può essere attivato solo dall’investitore. 3. La domanda non può essere esperita quando sulla medesima controversia non sia stato presentato reclamo all’intermediario cui sia stata fornita espressa risposta ovvero non sia decorso il termine di novanta giorni o il termine più breve eventualmente stabilito dall’intermediario per la trattazione del reclamo senza che l’investitore abbia ottenuto risposta.”

31 Ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 179/2007 “il regolamento prevede una procedura semplificata per il riconoscimento dell'indennizzo di cui all'articolo 3, comma 1, anche con lodo non definitivo, ferma restando l'applicazione dei commi 4 e 5 del medesimo articolo 3.”. Ai sensi dell’art. 3, commi 4 e 5 stesso decreto “3. E' fatto salvo il diritto dell'investitore di adire l'autorità giudiziaria ordinaria, anche per il riconoscimento del risarcimento del maggior danno subito in conseguenza dell'inadempimento, oltre all'indennizzo già stabilito. 4. Il lodo arbitrale con il quale viene disposto l'indennizzo di cui al comma 1 acquista efficacia a

possibilità di riconoscere un indennizzo a favore dell’investitore, attraverso una procedura semplificata, ‹‹ anche con lodo non definitivo››. In realtà la predetta norma contiene una contraddizione in termini: non ha alcun senso l’emissione di un lodo non definitivo a seguito dell’eventuale accertamento dell’inadempimento da parte dell’Intermediario, in quanto, una volta effettuato il detto accertamento, la materia del contendere potrebbe definirsi cessata. Il regolamento di attuazione Consob ha evitato, alla luce di ciò, ogni richiamo alla non definitività del lodo.

Come detto il lodo è pronunciato secondo diritto e deve essere sottoposto, ai sensi dell’art. 3, comma 4 d.lgs. n. 179/2007 al visto di regolarità formale della Consob. Le parti sono facoltizzate, ai sensi dell’art. 3432 Regolamento di attuazione Consob, a impugnare per nullità il lodo, con la precisazione che la Corte d’Appello, in ipotesi di accoglimento dell’impugnazione, ‹‹non può mai decidere la controversia nel merito››. Come si legge nel documento di consultazione della Consob del 8 agosto 2008, accompagnatorio del Regolamento che sarebbe poi stato varato nel successivo dicembre 2008 (il Regolamento di cui stiamo trattando), ‹‹il legislatore non ha concesso invece all’intermediario la possibilità di adire il giudice ordinario per ottenere una piena istruzione sui fatti di causa che possa ribaltare la decisione presa in favore del risparmiatore al termine dell’arbitrato semplificato››.

Mi sembra davvero che si tratti di una previsione, quella sopra riferita, che si pone in evidente contrasto con il disposto, innanzitutto, dell’art. 829, comma 3 c.p.c. a mente del quale ‹‹l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. È ammessa in ogni caso l'impugnazione delle decisioni per contrarietà all'ordine pubblico››. Il regolamento attuativo della Consob non può derogare, in punto di lodo rituale di diritto, alla predetta previsione ex lege di irrinunciabilità dell’impugnazione per i casi previsti dall’art. 829 c.p.c. e, prim’ancora, ad assicurare un controllo in iure ogni qual seguito del visto di regolarità formale della Consob, ferma l'applicabilità dell'articolo 825 del codice di procedura civile.”

32 Ai sensi dell’art. 34 Regolamento n. 16763/2008 “1. La corte di appello, quando accoglie l’impugnazione per nullità del lodo semplificato, non può mai decidere la controversia nel merito.”

volta vengano violate norme di ordine pubblico (economico). Ciò vale a maggior ragione se si considera che, nel caso di arbitrato semplificato, il lodo viene emesso a seguito di un accertamento sommario. Le parti devono poter confidare sulla possibilità di una cognizione piena almeno nell’ambito del giudizio di impugnazione del lodo, e ciò anche al fine di evitare che lo strumento dell’arbitrato semplificato (sul quale ho comunque forti perplessità) resti solo sulla carta, senza alcuna applicazione pratica. Vorrei capire quale intermediario sarebbe tanto incosciente tra introdurre nei contratti con gli investitori una convenzione di arbitrato che richiami l’arbitrato semplificato, pur nella consapevolezza dei limiti di cui sopra.

5.- LA DELEGA CONTENUTA NELL’ART. 60 L. 18 GIUGNO 2009 N. 69 –

L’art. 6033 l. 18 giugno 2009 n. 69 delega il Governo ad adottare,

33 In particolare l’art. 60 l. n. 69/2009 prevede quanto segue: “1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale. 2. La riforma adottata ai sensi del comma 1, nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai princìpi e criteri direttivi di cui al comma 3, realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e successivamente trasmessi alle Camere, ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma 1 o successivamente, la scadenza di quest'ultimo è prorogata di sessanta giorni. 3. Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia; b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio di conciliazione; c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l'istituzione, presso il Ministero della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro degli organismi di conciliazione, di seguito denominato «Registro», vigilati dal medesimo Ministero, fermo restando il diritto delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura che hanno costituito organismi di conciliazione ai sensi dell'articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, ad ottenere l'iscrizione di tali organismi nel medesimo Registro; d) prevedere che i requisiti per l'iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia; e) prevedere la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli; f) prevedere che gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro; g) prevedere, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali; h) prevedere che gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro;

entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore delle predetta legge (la delega scadrà dunque il 4 gennaio 2010), uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale. Si tratta di una delega che è fortemente ispirata, nei principi e criteri direttivi elencati nel citato art. 60, al contenuto della Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008, nonostante quest’ultima si riferisca in particolare alle controversie transfrontaliere.

Dalla lettura del 1° comma dell’art. 60 emerge l’obiettivo del legislatore delegante: introdurre una speciale disciplina unitaria in materia di mediazione e di conciliazione stragiudiziale con riferimento alle controversie civili e commerciali. Si tratta, a mio avviso, di un obiettivo il cui raggiungimento è davvero arduo, se si considera l’enorme proliferazioni di organi, di procedure e di regolamenti di attuazione che negli ultimi anni si è vista nella materia in questione, e di cui quanto sopra riportato costituisce solo un minimo esempio. Abbiamo visto che esistono e sono funzionanti organismi di

i) prevedere che gli organismi di conciliazione iscritti nel Registro possano svolgere il servizio di mediazione anche attraverso procedure telematiche; l) per le controversie in particolari materie, prevedere la facoltà del conciliatore di avvalersi di esperti, iscritti nell'albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali, i cui compensi sono previsti dai decreti legislativi attuativi della delega di cui al comma 1 anche con riferimento a quelli stabiliti per le consulenze e per le perizie giudiziali; m) prevedere che le indennità spettanti ai conciliatori, da porre a carico delle parti, siano stabilite, anche con atto regolamentare, in misura maggiore per il caso in cui sia stata raggiunta la conciliazione tra le parti; n) prevedere il dovere dell'avvocato di informare il cliente, prima dell'instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell'istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione; o) prevedere, a favore delle parti, forme di agevolazione di carattere fiscale, assicurando, al contempo, l'invarianza del gettito attraverso gli introiti derivanti al Ministero della giustizia, a decorrere dall'anno precedente l'introduzione della norma e successivamente con cadenza annuale, dal Fondo unico giustizia di cui all'articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181; p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell'accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l'accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, salvo quanto previsto dagli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile, e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un'ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai sensi dell'articolo 9 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115; q) prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi; r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l'indipendenza e l'imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni; s) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

conciliazione indipendenti, in numero superiore a 50, il nuovo Arbitro Bancario Finanziario, la Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob. La legge-delega in esame lascia spazio alla costituzione, da parte del legislatore delegato, di ulteriori organismi che si occupino stabilmente della mediazione finalizzata alla conciliazione (art. 60, comma 3 lett. b).

Procedendo nell’esame del contenuto della delega legislativa, una prima considerazione da fare riguarda l’utilizzo, da parte del legislatore delegante, dei termini ‹‹mediazione›› e ‹‹conciliazione››.

Nel linguaggio comune i due termini sono sovente usati come sinonimi. Si pensi ad esempio all’utilizzo del termine mediazione nell’ambito dei rapporti giuridici di natura familiare34. Nel testo della delega in esame emerge, invece, l’intenzione del legislatore di utilizzare diversamente i due termini: in particolare con il termine ‹‹mediazione›› il legislatore delegante, con un chiaro riferimento al contenuto dell’art. 235 direttiva 2008/52/CE, si intende l’intero procedimento di gestione stragiudiziale della controversia da parte di un terzo, mentre la ‹‹conciliazione›› costituisce l’eventuale risultato finale del procedimento.

Ciò posto, ci si potrebbe porre una domanda: al di là del chiaro intento deflattivo nei confronti del contenzioso ordinario, perché disciplinare legislativamente un procedimento conciliativo? Come osservato recentemente dalla dottrina36 il motivo va ricercato, principalmente, nella necessità di eliminare alcuni ‹‹inconvenienti›› legati ad una gestione esclusivamente privatistica dei tentativi di conciliazione. Fra i detti inconvenienti che si è voluto superare con la legge delega in questione vi è senz’altro quello legato al problema della interruzione/sospensione della prescrizione e dell’effetto impeditivo della decadenza che sono conseguenza della domanda (sia giudiziale che arbitrale). Sul punto va segnalato che nulla

34 Ad esempio ai sensi dell’art. 155 sexies, comma 2, c.c. “Qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli”. 35 L’art. 2 della direttiva 2008/52/CE parla della ‹‹mediazione›› come di un ‹‹procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore››. 36 F. P. LUISO, La delega in materia di mediazione e conciliazione, testo della relazione al convegno ‹‹La riforma del processo civile››, Perugia, 10/11 luglio 2009 (consultabile sul sito internet www.judicium.it)

espressamente dice il legislatore delegante, a differenza di quanto dispone l’art. 8 della direttiva comunitaria37. Tuttavia il richiamo, contenuto alla lettera c) del terzo comma dell’art. 60, alla normativa comunitaria e alla conciliazione societaria, consente di ritenere che il legislatore delegato non potrà non prevedere disposizioni che si occupino degli effetti dell’istanza di conciliazione sulla prescrizione e sulla decadenza.

Sempre ai sensi della legge–delega in discorso, il legislativo delegato dovrà prevedere l’istituzione di un ‹‹registro›› presso il Ministero della Giustizia dove verranno iscritti gli Organismi di conciliazione, quelli esistenti e quelli di nuova costituzione. Come è noto esiste già un Registro degli organismi di conciliazione istituito ai sensi dell’art. 38 d.lgs. n. 5/2003. Tuttavia, mentre il detto art. 38 si limita a stabilire che ‹‹sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire un tentativo di conciliazione›› gli ‹‹enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza››, al fine dell’iscrizione nel Registro di cui alla legge-delega gli organismi di conciliazione dovranno essere professionali, indipendenti e stabilmente dediti all’erogazione di servizi di natura conciliativa.

Riguarda invece gli avvocati la previsione di cui alla lettera n) del comma 3 dell’art. 60, concernente ‹‹il dovere dell'avvocato di informare il cliente, prima dell'instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell'istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione››. Non posso che rilevare l’assoluta superfluità di tale norma. Da una parte si tratta di un dovere che rientra tra i doveri informativi imposti, agli avvocati, dal vigente codice deontologico, e dall’altra la norma non prevede comunque alcuna apposita sanzione in caso di violazione.

Al fine poi di incentivare il ricorso agli strumenti conciliativi è prevista l’introduzione di agevolazioni fiscali, che tuttavia dovranno essere contemperate con la necessità di assicurare ‹‹l’invarianza del gettito attraverso gli introiti derivanti al Ministero della giustizia…››.

37 Ai sensi dell’art. 8 direttiva 2008/52/CE “Gli Stati membri provvedono affinché alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza.”

Ai sensi delle lettere e) ed f) del comma 3 dell’art. 60, il Governo dovrà inoltre prevedere la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i Tribunali, organismi di conciliazione che dovranno essere iscritti di diritto nel Registro di cui sopra.

Di particolare interesse è anche la previsione di cui alla lettera l) del comma 3 dell’art. 60, in riferimento alla facoltà del conciliatore di avvalersi di esperti, iscritti nell’albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali. Mi domando come tale previsione possa conciliarsi con la norma che impone una durata massima della procedura di conciliazione (quattro mesi).

Andando oltre: abbiamo già accennato sopra al contenuto della lettera p) del comma 3 della legge n. 60/2009 in merito alla possibilità per il Giudice successivamente adito di escludere la ripetizione delle spese ‹‹sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo successivamente alla proposta dello stesso›› nonché ‹‹ condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente››, oltre alla ulteriore eventuale condanna al ‹‹pagamento di un'ulteriore somma a titolo di contributo unificato››. In altre parole il legislatore caldeggia molto la risoluzione stragiudiziale della vertenza.

Vediamo allora come il legislatore delegato ha, per il momento, tradotto i principi e i criteri direttivi elencati nell’art. 60 l. n. 69/2009 nello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 29 ottobre 2009. Mi soffermerei, in particolare, sul contenuto dell’art. 538 che prevede, in particolari controversie tra cui

38 Ai sensi dell’art. 5 dello schema di decreto legislativo: “1 . Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilita' medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita', contratti assicurativi, bancari e finanziari deve esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo l° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale . L'improcedibilita' deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo tempestivamente depositato e puo' essere rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza . Il giudice ove rilevi che la mediazione e' gia' iniziata, ma non si e' conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6, comma 1 . Allo stesso modo provvede quando la mediazione non e' stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione . Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 2 settembre 2005, n . 206, e successive modificazioni, e dal titolo X del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n . 209. 2 . Fermo

quelle riferite ai contratti bancari e assicurativi, il preventivo esperimento obbligatorio (quale condizione di procedibilità dell’azione) del ‹‹procedimento di mediazione…ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007 n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128 –bis del testo unico in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993 n. 385››.

Il legislatore delegato sembra essersi avveduto del fatto che l’unico modo per far ordine in una materia in cui vi è stata una eccessiva proliferazione delle ADR e, nello stesso tempo, di rendere veramente funzionante lo strumento della mediazione, è quello di rendere obbligatorio il tentativo di conciliazione. Ed allora mi domando: era necessario per arrivare a tale risultato introdurre, attraverso l’emanazione di leggi deleghe, decreti legislativi, provvedimenti CICR, delibere Consob e altri regolamenti vari, una moltitudine di organi e procedure quali ad esempio l’ABF e la Camera

quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto stabilito dai commi 3 e 4, il giudice, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, puo' in qualunque momento invitare le parti con ordinanza a procedere alla mediazione . L'invito deve essere rivolto alle parti prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non e' prevista, prima della discussione della causa . Se le parti aderiscono all'invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6, comma 1 e, quando la mediazione non e' stata esperita, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. 3 . Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari. 4. I commi 1 e 2 non si applicano; a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile; c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; e) nei procedimenti in camera di consiglio; f) nell'azione civile esercitata nel processo penale. 5 . Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto stabilito dai commi 3 e 4, se il contratto ovvero lo statuto della societa' prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, il giudice assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6, comma 1 . La domanda e' presentata davanti all'organismo indicato dal contratto o dallo statuto, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti a un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all'articolo 4, comma 1 . In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto, l'individuazione di un diverso organismo iscritto. 6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione i medesimi effetti della domanda giudiziale . Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresi' la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo. 7. Le disposizioni che precedono si applicano anche ai procedimenti davanti agli arbitri, in quanto compatibili .

di conciliazione presso la Consob? A mio modesto avviso la risposta è negativa, dal momento che sarebbe stato sufficiente utilizzare, al fine del tentativo obbligatorio di ‹‹mediazione››, lo strumento della conciliazione societaria già esistente (ed in particolare attraverso il ruolo svolto dall’organismo di conciliazione bancaria).

Certo, vien da pensare, ormai l’ABF e la Camera di conciliazione Consob esistono e tanto vale renderli operativi. Peraltro il richiamo effettuato dall’art. 5 in discorso al procedimento dell’ABF appare davvero fuori luogo. Come sopra riferito, il procedimento davanti all’ABF non rientra nell’ambito delle procedure di conciliazione. Non vi è alcun confronto tra le parti o tra le parti e il collegio giudicante. Non vi è alcuna proposta e non si discutono ipotesi conciliative. La procedura si conclude con una decisione e non con un verbale di conciliazione o di mancata conciliazione.

Ciò premesso, e tornando al tema del tentativo obbligatorio di conciliazione, nella relazione illustrativa predisposta dal Ministro della Giustizia viene chiarito, per quanto evidente, che ‹‹lo schema seguito è quello già sperimentato nelle controversie del lavoro, agli articoli 410 ss. del codice di procedura civile››. Benissimo: la scelta appare per alcuni versi condivisibile, ma il legislatore ha avuto davanti ai propri occhi tale possibilità sin dal 1990! Dopo quasi vent’anni e innumerevoli provvedimenti legislativi si è capito che, tutto sommato, il richiamo del tentativo obbligatorio di conciliazione del rito del lavoro (con qualche aggiustamento) è quello più idoneo ad assolvere agli scopi (di deflazione del contenzioso, di velocizzare i giudizi etc.) che il legislatore, anche comunitario, si è prefissato. Poco male, meglio tardi che mai.

Permettetemi di avere qualche dubbio sul fatto che abbia senso parlare di ‹‹lotta alla lentezza della giustizia italiana››, secondo le parole del Ministro Alfano, con riferimento all’introduzione della mediazione obbligatoria ante causam.

Il tentativo obbligatorio di conciliazione è sicuramente un sistema per risolvere rapidamente una vertenza, ma, ovviamente, solo nei casi in cui si raggiunge un accordo. Viceversa si assiste inevitabilmente ad un allungamento dei tempi per ottenere il soddisfacimento dei propri diritti (posto peraltro che il termine di quattro mesi previsto quale durata massima del procedimento di mediazione è un termine evidentemente ordinatorio). Del pari nutro

perplessità in merito alla disposizione di cui all’art. 5, comma 2 dello schema di decreto, che prevede la possibilità per il giudice, in qualunque momento del giudizio (purchè prima della precisazione delle conclusioni) di invitare le parti con ordinanza a ‹‹procedere alla mediazione››.

E’ pur vero che si tratta solo di un invito, ma nella prassi si è potuto verificare che a volte l’invito a cercare una soluzione transattiva è piuttosto forte ed è quindi lecito pensare che le parti, anche solo per mostrarsi accondiscendenti nei confronti del giudice, il più delle volte accoglieranno positivamente l’invito (pur nella consapevolezza della materiale impossibilità di raggiungere un accordo). Il che potrebbe provocare, in ipotesi di fallimento del tentativo di conciliazione, rallentamenti del giudizio e possibile lesione, quindi, al diritto delle parti ad una tutela celere ed effettiva. Appare davvero fuori luogo, inoltre, la previsione di cui all’art. 5, comma 7, laddove menziona il tentativo di conciliazione obbligatoria nei procedimenti davanti agli arbitri; a tacer d’altro, tale disposizione è incompatibile con la natura e la funzione del giudizio arbitrale come forma di giurisdizione privata scelta dalle parti per la risoluzione delle loro controversie. Chiudo con un accenno al contenuto dell’art. 1139 dello schema di decreto legislativo, che prevede – tra l’altro – che quando l’accordo non è raggiunto direttamente tra le parti, il mediatore formula comunque, per iscritto, una proposta di conciliazione dopo aver informato le parti delle possibili conseguenze di cui all’articolo 13 (concernente la condanna alle spese legali). Interessante perché la proposta, diversamente da quanto previsto nei regolamenti sia del Conciliatore societario, sia della Camera di 39 Ai sensi dell’art. 11 dello schema di decreto leg.: “1. se è raggiunto un accordo

amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo, sottoscritto dalle parti. Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore formula una proposta di conciliazione dopo averle informate delle possibili conseguenze di cui all’articolo 13. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento. 2. La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. 3. Se tutte le parti aderiscono alla proposta, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. 4. Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l’indicazione della proposta e delle ragioni del mancato accordo; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione”

conciliazione Consob, viene a questo punto sempre formulata dal mediatore, e non solo nei casi di istanza congiunta delle parti. Tale sistema, come osservato dal Consiglio Nazionale Forense che ha esaminato il testo dello schema di decreto legislativo, rischia di mettere in crisi il concetto stesso di mediazione e preclude possibili esiti positivi della stessa, per cui la proposta dovrebbe, a mio avviso, essere ancorata rigorosamente ad una richiesta concorde di tutte le parti interessate. Ciò posto, il pericolo, già sopra evidenziato, di ritenere non accettabile una proposta (sempre) formulata dal mediatore, con le conseguenze negative sopra illustrate, risulterebbe inevitabilmente maggiore qualora lo schema di decreto legislativo dovesse essere approvato nell’attuale formulazione.

Mi si consenta una nota di chiusura. Affinchè i sistemi di risoluzione alternativa delle controversie (che siano essi organismi di conciliazione, ABF o Camera di conciliazione e arbitrato Consob), siano davvero efficaci, si deve ingenerare il convincimento tra i clienti delle Banche e le associazioni dei consumatori che si tratti realmente di strumenti alternativi alla giustizia ordinaria, anche attraverso l’eventuale diffusione e pubblicizzazione dei risultati positivi delle procedure stesse.

Peraltro, nel rito del lavoro (a cui il legislatore si è ispirato nel predisporre lo schema di decreto legislativo) la prassi ha insegnato che, spesso, il tentativo obbligatorio di conciliazione è visto come una inevitabile, quanto inutile, tappa di avvicinamento al giudizio ordinario, nell’ambito del quale verranno, eventualmente e questa volta seriamente, prese in considerazione ipotesi transattive.

La speranza è che tale disfunzione non si verifichi anche nell’ambito dei giudizi in materia bancaria e finanziaria. Anche se ritengo che la previsione della condanna alle spese di giudizio, di cui si è parlato in precedenza, non costituisca una convincente spinta per le parti a ricercare, prima dell’instaurazione del giudizio, una soluzione bonaria della vertenza che non abbiano già raggiunto durante la fase del reclamo. La prassi ha insegnato che eventuali approcci conciliativi sono assai più frequenti in pendenza del giudizio e alla luce delle risultanze – anche istruttorie – dello stesso.

avv. Andrea Barocci