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I R P E T Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana I servizi energetici in Toscana: situazione attuale e possibili scenari futuri Gabriele Mazzantini 4/08 e-Book

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I servizi energetici in Toscana:situazione attuale epossibili scenari futuriGabriele Mazzantini

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I servizi energetici in Toscana:situazione attuale e possibili scenari futuriGabriele Mazzantini

Firenze, 2008 4/0

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rICONOSCIMeNtI

Il presente studio è stato realizzato nell’ambito del Programma di Attività dell’IRPET che dedica ogni anno particolare attenzione al tema dei servizi di pubblica utilità.Il lavoro, curato da Gabriele Mazzantini, è stato coordinato da Renata Caselli.Si ringrazia il prof. Alessandro Petretto per il supporto e gli utili consigli offerti durante la stesura.L’allestimento editoriale del testo è stato curato da Elena Zangheri.

Lo studio presentato fa parte di una collana a diffusione digitale. Esso è stato stampato in un numero limitato di copie e può essere scaricato dal sito Internet

http://www.irpet.it

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Indice

INTRODUZIONE 5

1. LA FILIERA PRODUTTIvA. LE POSSIBILITà DI INGRESSO PER I NUOvI OPERATORI 71.1 Introduzione 71.2 Lefiliere 71.� La separazione delle fasi 121.4 Gli scenari futuri 151.5 Le possibilità di entrata per gli operatori toscani 19

2. I SETTORI ENERGETICI IN ITALIA: UN QUADRO NORMATIvO DI RIFERIMENTO 2�2.1 Introduzione 2�2.2 La Comunità Europea e le nuove regole del gioco 2�2.� La disciplina legislativa nazionale: oltre le direttive comunitarie 262.4 Gli sviluppi normativi più recenti �12.5 I nuovi attori: le Regioni �52.6 Le opportunità per la Toscana �9Appendice 41

�. I SERvIZI ENERGETICI IN TOSCANA: EvOLUZIONE E POSSIBILI SCENARI NEL MERCATO DEL GAS 4��.1 Introduzione 4��.2 Il settore del gas in Toscana: alcuni dati di sintesi 4��.� Le dinamiche evolutive nel mercato della distribuzione e della vendita del gas 45�.4 Le variabili di rottura 57�.5 Le tariffe 61�.6 Considerazioni conclusive 64Appendice 66

4. I SERvIZI ENERGETICI IN TOSCANA: EvOLUZIONE E POSSIBILI SCENARI NEL MERCATO DELL’ELETTRICITà 674.1 Introduzione 674.2 La situazione energetica in Toscana 67 4.� Il contesto regolatorio e normativo regionale 694.4 Il costo dell’energia elettrica 724.5 Il mercato elettrico toscano e le possibili evoluzioni future: la generazione distribuita 794.6 Considerazioni conclusive 82Appendice 84

5. CONCLUSIONI 85

BIBLIOGRAFIA 89

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INTRODUZIONE

Lo scopo principale del presente studio è quello di ricostruire un quadro conoscitivo generale sulle caratteristiche istituzionali, economiche e tecnologiche dei servizi energetici al fine di delineare, in particolare per la Toscana, possibili traiettorie di sviluppo. Tali traiettorie, come dimostrato anche a livello nazionale�, necessitano di azioni di regolazione e di policy che siano in grado di correggere le inefficienze dei mercati e di promuovere un più elevato grado di concorrenza�. Se le prime sono oggetto esclusivo dell’Authority di settore, l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, nel caso delle seconde l’attività normativa nazionale si intreccia profondamente (e non sempre con successo) con quella regionale e locale, facendo assumere un ruolo da protagonista ai governatori regionali e locali: per questi ultimi il ruolo principale sembra oggi essere quello di incentivare le imprese energetiche regionali alla crescita e di consentire una reale competizione fra gli operatori, allo scopo di ridurre le rendite di posizione che decenni di monopoli locali hanno garantito. Erogare servizi pubblici in generale ed energetici in particolare, a costi contenuti e in modo efficiente, è infatti necessario per aumentare la competitività di tutto il sistema produttivo regionale.

Quello dei settori energetici è un tema assai complesso a causa delle molteplici prospettive da cui può essere osservato. Questo contributo si focalizza prevalentemente su due di esse, quella giuridica e quella economica, senza peraltro avere la pretesa di esaurirle. Il lavoro si struttura come segue.

Nel primo capitolo si analizza l’organizzazione delle filiere del gas e dell’energia elettrica, mettendo in evidenza le singole fasi che la compongono, dalla produzione/importazione alla vendita, e le loro interconnessioni. La lettura che sarà data dei settori avrà in questo caso una chiave prevalentemente economica.

Nel secondo capitolo l’attenzione si sposta all’esame del complesso quadro normativo che disciplina le filiere: la complessità della cornice normativa dipende soprattutto dalla sua configurazione multilevel, con competenze che si distribuiscono fra la Commissione europea e le Regioni, passando dal legislatore nazionale, e dalla sua continua mutevolezza. A questo proposito, basti pensare che mentre scriviamo sono in discussione in parlamento diverse normative che contengono disposizioni destinate proprio ai settori energetici. Fra queste, le più importanti sono senza dubbio quelle contenute del disegno di legge Lanzillotta, che mira a regolamentare i servizi pubblici locali in genere, mentre altre norme rivolte al settore del gas sono contenute nel terzo disegno di legge Bersani sulle liberalizzazioni e perfino nel decreto legge collegato alla legge Finanziaria per il �008: in particolare, il ddl Bersani all’art. �5 del testo approvato dalla Camera il �3 giugno �007 prevede che “il Governo, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, emana (…) un regolamento per il riordino della disciplina degli incentivi non fiscali in favore delle imprese operanti nel settore del gas naturale, al fine si favorire la crescita dimensionale delle imprese di distribuzione e la loro aggregazione”3.

Tale disposizione conferma l’orientamento già contenuto nel ddl 69�, il cosiddetto disegno di legge Bersani sui settori energetici, che all’art. � intende “promuovere le operazioni di aggregazione territoriale delle attività di distribuzione, a vantaggio della riduzione dei costi di distribuzione, attraverso l’identificazione, in base a criteri di efficienza di bacini minimi di utenza”.

Negli ultimi anni il legislatore nazionale si è sempre più orientato ad incentivare una crescita dimensionale delle imprese attive nella distribuzione del gas; questo potrebbe portare importanti ricadute anche per gli operatori locali di minore dimensione della Toscana.

Il decreto legge collegato alla Finanziaria �008 contiene invece disposizioni che allungano ulteriormente il periodo transitorio previsto dal decreto Letta del 2000 per l’affidamento della gestione delle reti di distribuzione e allontanano ancora di un paio di anni il momento in cui si dovrà ricorrere obbligatoriamente alle gare. Tale ulteriore proroga viene concessa per permettere

� Si veda, ad esempio, Bozzetto F. (�007), “I veri limiti alla concorrenza nel mercato del gas in Italia”, in Energia, n° �/�007, pag. 68 e segg.� Sul punto, Ranci P. (2007), “La promozione della concorrenza nel campo dell’energia: profili economici”, in Il nuovo diritto dell’energia tra regolazione e concorrenza, a cura di Bruti Liberati E., Donati F., Giappichelli Editore, pagg. 93-�04. 3 Disegno di legge Bersani, come approvato dalla Camera dei deputati in data �3 giugno �007 (v. Stampato Camera n° 2272-bis-bis).

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alle autorità di settore di individuare i cosiddetti ambiti territoriali ottimali che costituiranno l’area territoriale minima per la quale fare le gare per l’affidamento delle reti di distribuzione.

Nel terzo e nel quarto capitolo l’attenzione è posta sulla situazione dei servizi in Toscana. In particolare, nel terzo capitolo si descrive più nel dettaglio le vicende che, negli ultimi anni, hanno contraddistinto il mercato regionale del gas. I principali operatori presenti nella regione hanno infatti dato vita ad una serie di aggregazioni che hanno profondamente mutato il panorama e che hanno delineato sostanzialmente due linee strategiche di sviluppo: la prima è quella intrapresa dalle imprese a capitale misto, e sembra orientata alla ricerca della crescita dimensionale e allo sfruttamento delle economie di scala; la seconda è invece orientata alla focalizzazione sul territorio locale tradizionalmente servito e contraddistingue soprattutto le imprese a capitale totalmente pubblico, gestite dagli enti pubblici come strumenti di governance locale. In questo lavoro si analizzano inoltre i cambiamenti di contesto riconducibili all’ingresso dei nuovi operatori connessi alla realizzazione del gasdotto internazionale GALSI, da un lato, e del rigassificatore di Livorno, dall’altro.

Nel quarto capitolo si prende in esame il mercato regionale dell’energia elettrica. Tale mercato si è dimostrato, finora, decisamente meno dinamico rispetto a quello del gas, ma non per questo presenta meno spunti di riflessione. Il diffondersi della cosiddetta generazione distribuita o la nascita dei distretti agro-energetici potrebbero favorire l’ingresso di nuovi operatori in grado di aumentare, nel medio periodo, il livello di competitività del settore e ridurre i prezzi dell’energia. Fra i soggetti più accreditati a fare il loro ingresso nella fase della vendita sembrano esserci le catene della grande distribuzione, se è vero che a livello nazionale si sono già registrati i primi esperimenti di vendita di contratti di fornitura di elettricità all’interno di supermercati4.

Il quinto ed ultimo capitolo è dedicato ad alcune brevi riflessioni conclusive.

4 Da novembre, ad esempio, sarà possibile acquistare energia elettrica presso i supermercati della catena Iper grazie ad una accordo fra la stessa catena e la società Mpe, attiva nella vendita di energia elettrica.

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1. LA FILIERA PRODUTTIvA. LE POSSIBILITà DI INGRESSO PER I NUOvI OPERATORI

1.1Introduzione

I servizi energetici stanno attraversando un periodo caratterizzato da importanti cambiamenti istituzionali. Attraverso un processo combinato di liberalizzazione/privatizzazione, attività prima gestite in monopolio legale da aziende pubbliche vengono oggi svolte da più imprese, sia pubbliche che private, in concorrenza fra loro. Questi settori hanno perciò avuto bisogno della creazione di nuove regole, sia per disciplinare le singole fasi della filiera, che per disciplinare il passaggio dei servizi da una fase all’altra della stessa.

I settori in esame sono senza dubbio di enorme rilievo, non solo per il fatturato che producono, e per l’importanza delle imprese coinvolte (ENI, ad esempio, è ormai diventata la più grande impresa italiana per capitalizzazione in Borsa, superando la FIAT), ma anche e soprattutto perché i servizi in questione sono strumentali e funzionali per tutti gli altri settori produttivi. I servizi energetici risultano oggi di fondamentale importanza per il sistema produttivo nazionale e, più in generale, per l’economia di un Paese, poiché risultano ormai imprescindibili per la quasi totalità delle attività produttive di beni e servizi e per la totalità delle utenze domestiche. Per questo motivo l’ottica con cui vengono amministrati e regolati non è più solo quella storica e tradizionale, mirante a favorire una loro più vasta diffusione possibile sul territorio nazionale, ma anche quella di una maggiore efficienza ed economicità possibile nella loro fornitura.

Una gestione efficiente, volta alla minimizzazione degli sprechi, alla riduzione dei costi di gestione e all’ottenimento di servizi di qualità elevata, infatti, ha ricadute dirette su tutto il sistema produttivo, che di questi servizi si serve, aumentandone la competitività.

Le nuove norme che regolamentano le filiere devono perciò tener conto del raggiungimento degli obiettivi vecchi e nuovi, senza pregiudicarne il funzionamento; le forniture di gas e di energia elettrica, infatti, sono processi assai complessi, benché i servizi forniti siano estremamente omogenei. Le fasi che portano il gas e l’elettricità dal punto di produzione a quello di consumo sono diverse, e il passaggio dall’una all’altra richiede un elevato coordinamento per limitare al massimo le perdite. Anche se ogni fase risulta strettamente connessa alle altre e costituisce una parte di un processo unico e complesso, è utile analizzarle singolarmente, al fine di comprenderne le potenzialità e le caratteristiche.

Uno degli scopi del processo di liberalizzazione dei settori energetici è stato proprio quello di suddividere le filiere in tante fasi distinte, così da poter sostituire, ove possibile, il monopolio legale verticalmente integrato di ENI ed ENEL con un mercato concorrenziale. In alcune fasi, come nel caso della distribuzione, la presenza di reti non permette di introdurre la concorrenza nel mercato ma, al limite, quella per il mercato; in altre, invece, come la produzione o la vendita, la possibile e contemporanea presenza di più imprese rende i settori almeno potenzialmente concorrenziali. Da ciò consegue anche che la legge disciplina in modo profondamente diverso ogni singola fase, rafforzando l’idea che sia meglio trattare ogni mercato separatamente.

Inoltre, sarà anche interessante analizzare i vari modelli di separazione delle fasi: la legge, infatti, non impone lo stesso modello di separazione per ciascuna fase, ma distingue varie tipologie in base al livello di indipendenza che si vuole dare a ciascuna delle attività della filiera (vendita, distribuzione, produzione, ecc.).

1.2Le filiere

I settori energetici del gas e dell’energia elettrica sono suddivisi in numerose attività che servono a collegare la produzione, l’importazione o l’estrazione del gas e dell’energia elettrica con i luoghi in cui tali servizi vengono consumati: tali fasi, nel loro complesso, costituiscono la “filiera” produttiva e possono essere coordinate o attraverso rapporti di mercato o attraverso rapporti di

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gerarchia. Per ciò che riguarda il gas, le fasi principali della filiera sono costituite da esplorazione e sviluppo, produzione, trasporto, dispacciamento, stoccaggio, distribuzione e vendita, mentre la filiera elettrica è composta da produzione, trasmissione, dispacciamento, distribuzione e vendita5 (Tab. �.�).

Le fasi di queste due filiere sono spesso caratterizzate dalla presenza di economie di scala, di scopo, di estensione, di densità e/o di coordinamento spaziale e temporale.

Tabella 1.2CARATTERISTICHE DELLE FILIERE DELL’ENERGIA ELETTRICA E DEL GAS

SETTORE ELETTRICO CARATTERISTICHE SETTORE DEL GAS CARATTERISTICHE

Elettricità

- Non stoccabile- Domanda poco crescente nel breve- Offerta difficilmente incrementabile nel

breve- Innovazioni nella fornitura (servizi post-

contatore)

Gas

- Stoccabile- Domanda fortemente crescente nel breve

(usato come input per la produzione di energia elettrica)

- Innovazioni nella produzioneEsplorazione e sviluppo

Produzione - Economie di estensione- Economie di scala (*) Produzione

- Economie di estensione- Economie di scala- Esternalità negative (inquinamento

ambientale)

Trasmissione- Economie di estensione- Economie di scala- Economie di rete- Economie delle grandi scorte

Trasporto- Economie di estensione- Economie di scala- Economie di rete- Economie delle grandi scorte

Stoccaggio - Economie di scala Stoccaggio - Economie di scala

Distribuzione- Economie di estensione- Economie di densità- Economie di scala- Rischio di congestione

Distribuzione- Economie di estensione- Economie di densità- Economie di scala- Rischio di congestione

vendita- Economie di coordinamento- Economie di scala- Economie di scopo

vendita- Economie di coordinamento- Economie di scala- Economie di scopo

(*) Nella fase della produzione di energia elettrica, le economie di scala sono destinate, in un futuro più o meno prossimo, a diminuire con la progressiva introduzione delle centrali di generazione che utilizzano la tecnica della cogenerazione (si veda in proposito il paragrafo 1.4.2.)

Fonte: elaborazione nostra

Le economie di scala sono presenti, ad esempio, nella fase di produzione, sia del gas che dell’energia elettrica, che necessitano entrambi di consistenti investimenti in impianti, ma che presentano costi unitari decrescenti per grandi quantità prodotte. Anche la fase della gestione delle reti presenta forti economie di scala, poiché i costi legati alle infrastrutture di trasporto crescono in maniera meno che proporzionale rispetto al crescere dei consumi di un determinato nodo.

Per quanto riguarda le economie di scopo, queste “sono rappresentate da una riduzione dei costi unitari di produzione per effetto di una produzione congiunta di più beni all’interno dello stesso processo produttivo”6. Nei settori energetici, fra le più importanti economie di scopo che un’impresa verticalmente integrata ha la possibilità di sfruttare “vengono in genere richiamati i vantaggi informativi di cui essa non potrebbe più avvalersi in seguito alla sua dis-integrazione

5 Per trasmissione di energia elettrica si intende, in base al decreto legislativo n° 79/99 (Decreto Bersani) art. �, comma �4, “l’attività di trasporto e trasformazione dell’energia elettrica sulla rete ad alta tensione ai fini della consegna ai clienti, ai distributori e ai destinatari dell’energia autoprodotta ai sensi del comma � (dello stesso decreto)”; per dispacciamento si intende “l’attività diretta ad impartire disposizioni per l’utilizzazione e l’esercizio coordinati degli impianti di produzione, della rete di trasmissione e dei servizi ausiliari” (art. �, comma ��); per distribuzione si intende “il trasporto e la trasformazione di energia elettrica su reti di distribuzione a media e bassa tensione per le consegne ai clienti finali” (art. 2 comma 14); per trasporto di gas, in base all’art. � punto ii) del decreto legislativo n°�64/00 (Decreto Letta), si intende “il trasporto di gas naturale attraverso la rete di gasdotti, esclusi i gasdotti di coltivazione e le reti di distribuzione”; per distribuzione si intende “il trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai clienti” (art. �, punto n)). Tuttavia, la possibilità di distinguere in modo netto ed oggettivo le infrastrutture appartenenti alla rete di trasporto da quelle facenti parte della rete di distribuzione non è sempre agevole, poiché “ad oggi, non risulta individuato in maniera univoca alcun parametro tecnico, morfologico, qualitativo o autorizzativi che distingua la rete di distribuzione del gas natuale dalla rete di trasporto regionale”. Cioffo V. (�006), “La fuga dalla distribuzione del gas”, in Mercato Concorrenza Regole, n° �/�006, pag. 397.6 Volpato G. (�995), “Concorrenza impresa strategia”, pag. �35, ed. Il Mulino, Bologna.

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verticale (societaria o proprietaria)”7. Inoltre, economie di scopo si possono sfruttare con gli impianti di cogenerazione, esempio di una sempre più decisa convergenza dei settori del gas e dell’energia elettrica che, come vedremo in seguito8, permettono di produrre congiuntamente elettricità e calore. Queste sono in particolare economie di scopo tratte da “investimenti in impianti specifici, nella misura in cui il progresso tecnologico consenta o imponga il loro utilizzo congiunto, con effetti su mercati fra loro collegati”9.

Per economie di estensione si intendono quelle “economie legate allo svolgimento contemporaneo di più attività della filiera”�0 ed anche queste sono molto diffuse sia all’interno del settore elettrico che in quello del gas. Le varie fasi della filiera, essendo strettamente dipendenti l’una dall’altra, devono essere attentamente coordinate fra loro e lo sviluppo delle reti di distribuzione locale non può non tener conto della localizzazione degli impianti e delle reti di trasporto, così come questi ultimi sono vincolati dalla collocazione degli impianti di produzione (soprattutto per ciò che riguarda il gas). Lo sviluppo e l’ampliamento della fase di produzione in seguito all’aumento della domanda potrebbe a sua volta necessitare dell’espansione e dell’incremento della rete di distribuzione per evitare fenomeni di congestionamento. La gestione di più fasi della filiera da parte dello stesso soggetto economico permette così di abbassare, ad esempio, i costi di transazione legati alla pianificazione dello sviluppo e della realizzazione delle infrastrutture necessarie alle fasi stesse.

Per economie di densità si intendono quelle economie strettamente legate alla collocazione geografica delle utenze di un certo servizio: queste economie sono tipiche della fase della distribuzione poiché una maggiore concentrazione dei clienti permette di abbassare i costi di fornitura del servizio principale o dei servizi accessori��. L’esistenza di questo tipo di economie può essere, secondo alcuni, fonte di discriminazione fra coloro che si trovano in zone densamente abitate e coloro che, al contrario, vivono in piccoli paesi difficilmente raggiungibili, per i quali l’offerta di certi servizi non sarebbe conveniente. D’altro canto, nel caso che la rete non riesca a supportare un consumo congiunto e contemporaneo da parte di molti utenti, l’eccessiva concentrazione di consumatori in una stessa zona può dar luogo a fenomeni di congestione.

Per economie di coordinamento si intendono “le economie derivanti dall’acquisto congiunto e/o dalla fornitura congiunta dei servizi tramite un rapporto stabile nel tempo come, ad esempio, in entrambi i settori, la fornitura congiunta dell’assicurazione della continuità del servizio”��. È proprio per sfruttare questo tipo di economie che prima della liberalizzazione dei settori energetici l’autorità pubblica ha imposto un modello che prevedeva un unico distributore-venditore per centro di consumo.

Per come è configurata la rete di trasporto del gas, è possibile ottenere in questa fase delle esternalità positive grazie alla possibilità di immettere il gas da più punti di ingresso. In particolare, in Italia il gas entra sia da sud, attraverso due gasdotti internazionali che raggiungono il suolo nazionale in prossimità di Mazara del Vallo e in prossimità di Gela, che da nord, attraverso altri due gasdotti principali, uno presso il Passo Gries ed un altro presso Tarvisio; il consumo si concentra soprattutto al nord e si può quindi individuare un flusso principale che convoglia il gas da sud a nord, ed un controflusso che invece porta il gas da nord a sud (si veda Fig. 1.2).

7 Cazzola C. (�000), “«La volpe e il coniglio»: monopolio e concorrenza nel mercato del gas naturale in Italia”, in Mercato Concorrenza Regole n° �/�000, pag. 34�.8 Cfr. il paragrafo �.4.�.9 Cazzola C. (�000), op. cit., pag. 34�.�0 De Paoli L. (�00�), “La riforma dei settori dell’elettricità e del gas in Italia e in Europa”, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n° �/�00�, pag. �3�.�� Si pensi, ad esempio, ai maggiori costi che deve sostenere un fornitore di gas per raggiungere un unico cliente di uno sperduto paese di montagna che ha richiesto il controllo della caldaia rispetto ad un fornitore che, in poche ore, può visitare più clienti concentrati in pochi chilometri quadrati. In questo senso anche Gullì F. (2000), “Economie di scala versus economie di densità nella distribuzione elettrica: un’analisi quantitativa”, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n° �/�000. Precisa l’Autore che per economie di densità “vanno intese le riduzioni nel costo unitario (per cliente servito) che si ottengono all’aumentare della concentrazione territoriale dell’utenza. Tali riduzioni sono riconducibili ad un minore impiego unitario di capitale e anche ad un minore impiego di lavoro” (pag. 57).�� De Paoli L. (�00�), ibidem, pag. �3�.

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Figura 1.2LA RETE DI TRASPORTO DEL GAS IN ITALIA

Fonte: www.snamretegas.it

Grazie a questo doppio canale di ingresso, il volume del gas contrattato e venduto (transazioni virtuali) non è mai equivalente a quello realmente spostato (transazioni reali), perché alcune volte intervengono delle compensazioni fra flussi e controflussi che, di fatto, permettono di soddisfare le richieste senza trasportare realmente il gas. E così, se un’azienda nel sud Italia compra gas da un venditore che lo importa dalla Russia (e che lo fa quindi entrare in Italia attraverso il gasdotto che passa in prossimità del Tarvisio) potrebbe ricevere in realtà dei metri cubi di gas proveniente dall’Algeria e che arrivano attraverso il gasdotto di Mazara del Vallo: in questo caso i costi di trasporto reali sono assai ridotti rispetto a quelli virtuali che si avrebbero se il gas arrivasse effettivamente dal Nord Italia�3.

Oltre al fatto che nella rete sono presenti flussi e controflussi, ci sono poi altri due carattersitiche estremamente rilevanti: in primo luogo, il gas è un bene omogeneo e, in secondo luogo, la società che gestisce la rete nazionale (la SNAM) è anche integrata a valle della filiera e vende gas ai clienti finali. In queste particolari condizioni l’azienda che gestisce la rete può ottenere delle esternalità positive dai metri cubi di gas che altre imprese vendono e devono far passare sulla rete stessa: come è stato notato, “il trasporto del gas può infatti avvenire in alcuni casi in maniera virtuale, sia per l’impossibilità (o l’estrema costosità) di far viaggiare il gas lungo la rete di trasporto nel senso contrario al resto del gas trasportato ovvero per la minimizzazione dei flussi trasportati. In ambedue i casi, può accadere che, a partire da una data struttura del trasporto per nodi di immissione e di prelievo e relative quantità, il trasporto (virtuale) di un ulteriore ammontare di gas fra due particolari nodi della rete generi una riduzione del costo medio per unità di gas trasportato o, in casi estremi, anche una riduzione del costo di trasporto.

È quindi evidente come una nuova richiesta di trasporto da parte di un’impresa diversa dal TSO�4 generi un qualche effetto positivo sui costi del TSO stesso, in quanto consente ad esso di

�3 Per questo motivo l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ha precisato con una delibera (la n° �37/00 del �8 dicembre �000) che la tariffazione dei tratti in controflusso sia pari all’8% di quella utilizzata per le tratte nella direzione del flusso.�4 TSO = transport service operator, vale a dire il “gestore della rete”.

Rete Nazionale dei gasdotti

Metanodotti in costruzione

Rete regionale di gasdotti

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ampliare le proprie possibilità di ottimizzazione dei flussi di gas nella rete di trasporto. In questo senso, si può dire che l’impresa che richiede il nuovo servizio di trasporto generi un’esternalità positiva sul TSO”�5.

Nella fase del trasporto e della distribuzione del prodotto non sembra invece possibile ottenere delle esternalità di rete: si hanno esternalità di rete quando in un certo mercato “il valore che i consumatori assegnano al bene prodotto dalle imprese cresce quanto più numerosi sono gli individui che acquistano il bene”�6.

Se questo tipo di esternalità caratterizza, ad esempio, alcune fasi del settore delle telecomunicazioni, non sembra invece possibile, allo stato attuale, ottenerle nei settori energetici, soprattutto a causa dell’elevata omogeneità dei servizi offerti, che restano uguali a prescindere dal numero di utenti connessi alla rete.

Nei settori energetici sarà invece possibile ottenere delle economie di rete: in generale, infatti, si avrà che “una grande rete (…) offre un beneficio maggiore agli n utenti di quello offerto da m (≥ 2) reti separate più piccole (…). Vi sono cioè economie di rete, che sono anche economie di scala se il servizio offerto agli utenti è relativamente omogeneo”�7. Nel settore del gas e dell’energia elettrica, inoltre, l’economia di rete è rafforzata da manifestazioni delle economie delle “grandi scorte”, che si hanno soprattutto nella fase di trasmissione/trasporto, quando la disponibilità di una risorsa può essere trasferita da una parte all’altra della rete per sopperire alle esigenze di determinati picchi della domanda.

Se, da un lato, le due filiere del gas e dell’energia elettrica presentano molte similitudini, dall’altro esse mostrano necessariamente anche caratteri peculiari.

In primo luogo, per ciò che riguarda la fase della produzione nel settore elettrico risulta più facile, da un punto di vista tecnico, avvicinare i centri di produzione a quelli di consumo, anche se questo vale soprattutto per i centri di produzione termoelettrici, che utilizzano il gas come materia prima, o per quelli ad energia solare: i centri di produzione di energia idroelettrica e geotermoelettrica e, in parte, i centri che sfruttano l’energia eolica, sono infatti vincolati dalla presenza della materia prima (un corso d’acqua con una certa portata ed una diga, nel primo caso, i soffioni boraciferi, nel secondo), esattamente come avviene per i centri di produzione del gas (che sono vincolati all’esistenza di giacimenti di gas naturale da estrarre).

In secondo luogo, nel caso dell’energia elettrica le fonti di produzione sono diverse, mentre il gas può essere ricavato solo dall’estrazione di gas naturale dai giacimenti e, per quanto riguarda l’Italia, si fa largo ricorso all’importazione dall’estero.

In terzo luogo, per ciò che riguarda i sistemi che regolano l’offerta, benché in entrambi i settori debba sussistere una stretta corrispondenza fra offerta e domanda, nel caso del gas i margini temporali per l’adeguamento sono meno stringenti rispetto a quelli che caratterizzano il settore elettrico. Se a questo si aggiunge il fatto che l’energia elettrica, al contrario del gas, non può essere stoccata se non in piccole quantità, è facile capire perché nel mercato elettrico si sia fatto ricorso a meccanismi di salvaguardia, come l’individuazione dei cosiddetti “clienti interrompibili”, per garantire la continuità della fornitura del servizio, qualora l’offerta non riesca a coprire la domanda in un certo periodo della giornata�8.

�5 Cambini C., Iozzi A., Valbonesi P. (�004), “Quali tariffe di trasporto nel settore del gas naturale?”, in Mercato Concorrenza Regole n° 1/2004, pag. 176. Continuano gli Autori: “Fra l’altro, questa esternalità può divenire più significativa in presenza di congestione nel network di trasporto e nel caso in cui il nuovo contratto di trasporto consenta una nuova ottimizzazione dei flussi di trasporto che consenta l’eliminazione o la riduzione della congestione”.�6 Manenti F.M. (�00�), “Strategie di costo con esternalità di rete”, in Economia Politica n° �/�00�, pag. �3�, ed. Il Mulino, Bologna.�7 Bellandi M. (�00�), “Mercati, industrie e luoghi di piccola e grande impresa”, pag. �73, ed. Il Mulino, Bologna.�8 Per “cliente interrompibile” si intende un cliente che, avendo la possibilità di produrre energia elettrica in proprio, può subire per qualche ora l’interruzione della fornitura di elettricità. La maggior parte di questi clienti è costituita da imprese che operano in settori in cui si fa largo ricorso all’uso di energia elettrica, i c.d. settori energy intensive (come acciaierie ed industrie pesanti in genere, dove il costo dell’energia può incidere anche per il 30% sui costi di produzione) e che, in cambio della possibilità di subire interruzioni senza preavviso, ottengono una fornitura di elettricità a prezzi ridotti.

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1.3La separazione delle fasi

�.3.� Le varie tipologie di separazione: vantaggi e svantaggiUno dei problemi principali che attiene alla regolazione della filiera dei settori energetici riguarda la separazione delle fasi: la difficoltà nello scegliere al giusta tipologia è data dal fatto che ogni tipo di separazione presenta vantaggi e svantaggi che devono essere attentamente valutati dal regolatore. Inoltre, separare le fasi di una filiera, qualunque sia la modalità scelta, è già di per sé una scelta che esclude di avere una filiera verticalmente integrata. Infatti, prima di stabilire quale sia il tipo di separazione migliore, si deve stabilire se la separazione delle fasi è conveniente: in una filiera che dà la possibilità di sfruttare molte economie di coordinamento, anche l’ipotesi dell’integrazione verticale di tutte le fasi potrebbe rivelarsi (la più) efficiente.

Fra i principali tipi di separazione si possono individuare quella contabile, quella gestionale, quella societaria e quella proprietaria.

La separazione contabile si ha quando “l’operazione di organizzazione delle scritture contabili di un’impresa in elementi analitici di informazione che identifichino separatamente costi e ricavi relativi a ciascun ramo di attività è eseguita come se fossero gestiti da aziende separate”�9: questa è la forma meno incisiva di separazione, poiché non si richiede la creazione di soggetti giuridici separati, ma solo un particolare criterio di imputazione dei dati in bilancio, in modo che sia possibile identificare i costi relativi all’infrastruttura con maggiore precisione e cura.

La separazione gestionale è una forma di separazione appena più marcata, e prevede che “la gestione delle diverse attività debba essere fatta da strutture separate”�0, che hanno però il soggetto proprietario in comune. Questo tipo di separazione, detta anche separazione amministrativa o funzionale��, dovrebbe incentivare le diverse strutture amministrative ad agire come se fossero imprese separate, con “l’intento simulatorio del funzionamento dei meccanismi di mercato”��. In questo caso, gli effetti della separazione possono essere rafforzati dalla imposizione di misure che vanno ad incidere sul comportamento dell’azienda, quali la definizione di codici di condotta, ad esempio con riferimento alla condivisione delle informazioni (cosiddetti Chinese walls).

La separazione societaria si ha, invece, quando si creano differenti soggetti giuridici per lo svolgimento di attività diverse: questo tipo di separazione, più netto dei precedenti, non preclude la possibilità che i soggetti giuridici creati dalla separazione abbiano la stessa proprietà. Nel caso in cui un’azienda operi in un settore in monopolio e un’altra, dello stesso gruppo, agisca, ad esempio, in un settore a valle aperto alla concorrenza, questo tipo di separazione non garantisce che venga eliminata la possibilità di discriminare i concorrenti nella fornitura del servizio e, conseguentemente, disincentiva le nuove aziende ad entrare in quel mercato. Il caso più classico è quello di un gruppo di imprese all’interno del quale un’azienda gestisce una rete di distribuzione di un certo servizio energetico (fase in monopolio) ed un’altra è attiva nella fornitura di quel servizio (fase in concorrenza)

La separazione proprietaria è la forma più incisiva e prevede che i soggetti giuridici distinti abbiano anche una diversa proprietà. In termini di promozione e tutela della concorrenza, questa soluzione appare senz’altro la preferibile: ciononostante, essa “presenta due svantaggi potenziali: il primo è la perdita delle economie di integrazione verticale e di scopo; inoltre, essa può essere costosa, richiedere tempo, ed essere in qualche modo arbitraria”�3.

Infine, una possibile alternativa resta quella di non effettuare alcun tipo di separazione, regolamentando l’accesso ad una o più fasi: in questo caso assume importanza fondamentale il ruolo ricoperto dall’Autorità di regolamentazione, che deve decidere le tariffe e, eventualmente, altre condizioni di accesso all’infrastruttura (di solito una rete) posseduta da un’impresa che opera anche nelle fasi a monte e/o a valle, aperte alla concorrenza. Questa soluzione rischia di essere inefficace qualora l’Autorità debba stabilire tariffe ed altri parametri in presenza di numerose

�9 Caroli Casavola H. (�00�), “Il principio di separazione contabile, societaria e proprietaria nei servizi pubblici”, in Mercato concorrenza regole n° 3/�00�, pag. 470 (corsivo nostro).�0 De Paoli L. (�00�), “La riforma …”, pag. �37.�� Cfr. AGCM (2002), che definisce la separazione funzionale come quella “che assegna la gestione delle attività in concorrenza a divisioni distinte della medesima società”, in Segnalazione AS��6, in Bollettino n° �/�00�.�� Caroli Casavola H. (�00�), op. cit., pag. 478�3 Prosperetti L. (2003), “Benefici e costi di una separazione strutturale tra rete e servizio”, in L’industria, n° �/�003, pag. ��7.

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asimmetrie informative, anche se permette di conservare le eventuali economie di scala, di scopo e di coordinamento che caratterizzano la produzione e la fornitura del servizio.

I vari tipi di separazione, da quella contabile a quella proprietaria, hanno infatti fra i vari vantaggi quello di ridurre l’asimmetria informativa che esiste fra l’incumbent e l’Autorità di regolazione del settore, così che risulti più facile eliminare quelle forme di cross subsidiation�4 che distorcono la competizione e che possono sussistere quando un’impresa è presente in più fasi della filiera.

Oltre alla possibilità di prevenire comportamenti opportunistici attuati dall’incumbent, i vari tipi di separazione danno la possibilità di circoscrivere l’intervento regolamentare a quelle fasi cui si riscontra un «fallimento del mercato», vale a dire quelle in cui si riscontrano gli elementi tipici di un monopolio naturale, limitando tutti gli effetti negativi che possono sorgere qualora la regolamentazione di un’attività diventi troppo pervasiva.

Se, da un lato, questi sono i rischi principali che si corrono lasciando un’impresa verticalmente integrata e presente in diverse fasi della filiera, dall’altro non si può non tener conto dei vantaggi che l’integrazione verticale permette di ottenere, laddove sono presenti quelle economie di scala, di scopo o di estensione prima richiamate. Nel settore elettrico, ad esempio, dove è necessario bilanciare in tempo reale la domanda e l’offerta di energia, l’integrazione verticale è particolarmente vantaggiosa per la presenza di elevate economie di estensione.

Nel caso della separazione verticale, inoltre, si va incontro al fenomeno della doppia marginalizzazione che caratterizza quelle filiere in cui il prodotto viene acquistato e rivenduto dalle diverse imprese che operano all’interno delle varie fasi, piuttosto che realizzato da una sola azienda, cosicché l’ultima lo rivende al consumatore finale con un prezzo gravato dai margini di tutte le imprese delle fasi a monte. Ovviamente, questo fenomeno è tanto più trascurabile quanto più concorrenziali risultano le fasi intermedie della filiera, e diventa estremamente rilevante se le fasi della filiera sono monopoli naturali.

Un altro effetto causato dalla separazione proprietaria di un’impresa è “l’aumento dei costi di transazione, conseguenti alla minore capacità contrattuale dell’impresa che deve negoziare l’acquisto di prodotti con un fornitore in posizione dominante o monopolista. Una situazione tipica dei Paesi (e delle imprese) che controllano i giacimenti di gas naturale”�5. Nel caso dei settori energetici il bene scambiato (da una fase all’altra) risulta decisamente standardizzato, per cui un fornitore dovrebbe essere facilmente sostituibile con una altro; il problema maggiore riguarda, semmai, il potere contrattuale che un’impresa verticalmente integrata può opporre ad un produttore monopolista (come avviene di frequente nel mercato del gas, dove esiste un ristretto gruppo di imprese produttrici che sono quasi sempre pubbliche e monopoliste all’interno del proprio Paese). Un’azienda verticalmente integrata può infatti garantire sbocchi sicuri sul mercato finale della vendita, per cui per il fornitore rappresenta un cliente maggiormente solvibile: nel mercato del gas, dove l’importazione di gas è caratterizzata da contratti di lungo periodo e da ingenti quantità, questo aspetto assume un’importanza ancor più rilevante�6. In questo caso l’integrazione necessaria è quella fra la fase dell’import e la fase della vendita ai clienti finali, e le aziende che fanno questo sono chiamate “shipper”.

Per ridurre gli elevati costi di transazione che caratterizzano le fasi upstream della filiera del gas si ricorre ai contratti di cessione del gas con clausola take or pay, che vincolano le parti per un periodo lunghissimo e costituiscono una forma di “quasi-integrazione”�7. Questa esigenza di vincolare i clienti, soprattutto se hanno sbocchi sul mercato finale, deriva dagli ingenti investimenti

�4 “Per sussidi incrociati s’intende -nelle politiche di regolazione pubbliche- l’operazione contabile di fissazione del prezzo di un prodotto in misura tale da generare entrate aggiuntive utili a finanziare la vendita di un secondo prodotto offerto dall’impresa regolata. In senso lato, essa indica la non corretta imputazione di tutti o parte dei costi alle attività svolte da un’impresa multiprodotto (in ipotesi di integrazione verticale) o multimercato (in quelle di integrazione orizzontale) che, con costi comuni a più prodotti, operi in regime generale di libera concorrenza su alcuni segmenti di mercato (per i casi di integrazione verticale) o su alcuni mercati (per quelli di integrazione verticale), e in posizione particolare di notevole forza di mercato o, addirittura, di monopolio, sugli altri”. Caroli Casavola H. (�00�), op. cit., pag. 490.�5 Cazzola C. (�000), “«La volpe e il coniglio»: monopolio e concorrenza nel mercato del gas naturale in Italia”, in Mercato Concorrenza Regole n° �/�000, pag. 34�.�6 Sul punto cfr. anche Polo M. e Scarpa C. (�00�), che sottolineano come uno dei vantaggi dell’integrazione verticale “in the gas industry, is the burden of long-term investment in the upstream phase (gas contracts; infrastructures), which are supposed to require the need to minimise the uncertainty to sell the gas purchased in international markets”. Cfr. “The liberalization of energy markets in Europe and Italy”, pag. 3, consultabile sul sito www.igier.unibocconi/index.php�7 Sul punto, cfr. Clô A. (�00�), “Liberalizzazione del mercato del gas metano: le ragioni di criticità”, in Energia n° 4/�00�, pag. 33.

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che le società estrattrici devono sostenere nelle operazioni di esplorazione di nuovi giacimenti ed estrazione e costituisce, oltre che un modo per ridurre i costi di transazione, anche un espediente per ripartire questi rischi�8. D’altro canto, questi stessi contratti tendono ad ingessare i rapporti fra fornitori e grossisti per molti anni e rendono difficoltosa l’entrata di nuovi concorrenti nelle fasi a monte della filiera, rischiando di annullare, o comunque limitare di molto, gli effetti del processo di liberalizzazione delle fasi a valle: in questa situazione, “il trade-off tra concorrenza e sicurezza degli approvvigionamenti appare bene evidente”�9, ed il rischio che in un prossimo futuro gli investimenti nello sfruttamento di nuovi giacimenti di gas diminuiscano, tutt’altro che remoto.

Per comprendere se sia meglio, in termini di efficienza produttiva e di prezzo finale del servizio offerto, ricorrere all’integrazione verticale o alla separazione proprietaria si dovrà perciò tenere conto dei vari costi e benefici che ciascuna scelta comporta.

�.3.� La separazione delle fasi nella filiera produttiva dei settori energetici in ItaliaPer ciò che riguarda gli obblighi di separazione, un principio generale lo delinea la legge che ha istituito l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale, all’art. 8, comma � e �-bis, prevede che le “imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato (…) qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui agiscono (…), operano mediante società separate”30. La presente disposizione introduce una separazione societaria per tutte quelle imprese che, ad esempio, accanto alla gestione di una rete di distribuzione affiancano anche l’attività di vendita del servizio distribuito attraverso la rete stessa. Ciò è stato previsto soprattutto allo scopo di evitare che un’impresa, monopolista in una certa fase della filiera, potesse estendere facilmente il proprio potere dominante anche sulle fasi a valle o monte, ostruendo il processo si apertura alla concorrenza.

Oltre a questa disposizione, altri precisi dettami sono rintracciabili nelle varie leggi settoriali, in particolare nel decreto legislativo 79/99, meglio conosciuto come “decreto Bersani”, e nel decreto legislativo n° �64/00, il cosiddetto “decreto Letta”, i quali disciplinano rispettivamente il settore dell’energia elettrica e quello del gas e possono essere considerati i veri capisaldi del processo di liberalizzazione di tali settori in Italia.

Più in particolare, nel settore elettrico si è deciso di ricorrere alla separazione societaria dell’ENEL che ha formato una holding societaria con numerose società che seguono le diverse attività della filiera produttiva. Anche la proprietà della rete di trasmissione è rimasta, inizialmente, in mano ad una società di proprietà di ENEL (Terna), che però ne ha perso la gestione, passata al GRTN solo nel �005.

Successivamente, la legge n° �90/�003 ha previsto che “ciascuna società operante nel settore della produzione, importazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica e del gas naturale, (…), e comunque ciascuna società a controllo pubblico, non possa detenere, direttamente o indirettamente, a decorrere dal 1° luglio 2007, quote superiori al 20% del capitale delle società che sono proprietarie e che gestiscono reti nazionali di trasporto di energia elettrica e gas naturale”3�.

In seguito, il DPCM dell’�� maggio �004 è intervenuto abbassando la quota di capitale e disponendo che “nessun operatore del settore della produzione, importazione, distribuzione, vendita e trasmissione dell’energia elettrica -anche attraverso le società controllate, controllanti, o controllate dalla medesima controllante- possa esercitare i propri diritti di voto per la nomina degli amministratori di Terna S.p.a. per una quota eccedente il limite del 5 per cento del capitale sociale di Terna S.p.a.”3� e possa comunque detenere azioni del capitale sociale per una quota superiore al 5%, ad eccezione di ENEL, che può arrivare fino al 20%. Quest’ultima disposizione, che prevede appunto un’eccezione per ciò che riguarda la partecipazione di ENEL, è finalizzata

�8 Come vedremo successivamente, le clausole take or pay, per come sono strutturate, permettono di assegnare ai produttori il rischio di prezzo ed ai consumatori il rischio di quantità.�9 Clô A. (�00�), op. cit., pag. 34.30 Legge n° 287/90, istitutiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, art. 8, comma 2 e 2-bis, così come modificati dalla legge dall’art. ��, comma 3, della legge 5 marzo �00� n° 57, recante “Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati”.3� Legge 27 ottobre 2003, n° 290, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, recante disposizioni urgenti per la sicurezza del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza energetica”, art. �-ter, 4° comma.3� DPCM 11 maggio 2004, “Criteri, modalità e condizioni per l’unificazione della proprietà e della gestione della rete elettrica nazionale di trasmissione”.

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“alla costituzione di un nucleo stabile formato da uno o più azionisti nel capitale di tale soggetto, tale da garantire la tutela delle caratteristiche di servizio di pubblica utilità delle attività svolte dallo stesso”. In questo modo si mira a prevenire l’ingresso di grandi gruppi straneri che potrebbero, attraverso una partecipazione di maggioranza del capitale di Terna, ottenere il controllo di una risorsa considerata fondamentale e strategica per tutta la nazione.

Nel corso del 2005 la partecipazione di ENEL in Terna si è effettivamente ridotta dal 35% al 5% grazie al trasferimento di parte delle azioni (29,9%) a Cassa Depositi e Prestiti, che diventa così il principale azionista33. Attualmente, quindi, il capitale di Terna risulta così suddiviso: il 29,99% è detenuto da Cassa Depositi e Prestiti, il 5% da ENEL, l’11,6% da altri investitori rilevanti (quali Pictet, Assicurazioni Generali e Barclays USA), mentre il restante 53,4% da altri investitori istituzionali34.

Una decisione analoga è attesa anche per la rete di trasporto del gas ed il suo attuale proprietario/gestore, la società Snam Rete Gas, controllata da ENI, ma per il momento in questo settore resta valido per tutti gli azionisti il limite del 20% introdotto dalla legge n° 290/2003.

Per ciò che riguarda la distribuzione, nel settore elettrico si è deciso di richiedere la separazione contabile dalle altre fasi, salvo nei casi in cui la rete locale serva oltre 300.000 utenti, per i quali è richiesta la separazione societaria. In questa fase si è rinunciato ad imporre una separazione proprietaria in quanto si ritiene che ci siano effetti procompetitivi nell’esercizio congiunto delle due attività: inoltre, si ritiene che sia più difficile attuare condotte anticoncorrenziali da parte delle imprese che operano in entrambi le fasi, poiché la vendita di energia elettrica non risulta limitata da vincoli strutturali di rete, come invece avviene per il gas, e quindi, nel medio periodo dovrebbe essere possibile l’ingresso sulla rete di nuovi offerenti.

Nel settore del gas, invece, il tipo di separazione previsto dal decreto Letta per la fase di distribuzione è più stringente: a differenza di quanto previsto per il settore elettrico, infatti, si è optato per la separazione societaria da tutte le altre attività della filiera. In questo caso, si è preferito rendere le fasi della distribuzione e quella della vendita maggiormente indipendenti fra loro, allo scopo di liberalizzare il più possibile quest’ultima. Il controllo delle reti, in un settore come quello del gas, in cui sono possibili fenomeni di congestione dell’infrastruttura e in cui sono gli stessi gestori delle reti che attribuiscono la priorità per il passaggio del gas all’interno del gasdotto, è stata considerata un’attività strategicamente fondamentale e come tale meritevole di essere separata meglio possibile dalle altre. In questo modo si mira a ridurre le asimmetrie informative e i rischi di sussidi incrociati prima richiamati.

1.4Gli scenari futuri

�.4.� Il settore del gasNel settore del gas, la novità più rilevante per il prossimo futuro è costituita dalla probabile diffusione dei rigassificatori per l’importazione di gas naturale liquido (GNL).

Il GNL rappresenta una valida alternativa al gas trasportato tramite pipelines e optare per una forma anziché per un’altra dipende da alcune variabili di carattere economico e strategico. In primo luogo, poiché il gas viene spesso consumato in zone differenti da quelle di estrazione, i costi di trasporto vanno ad incidere in modo sensibile sul prezzo di acquisto pagato dagli importatori. Le alternative per trasportare il gas sono sostanzialmente due: farlo giungere in forma gassosa utilizzando le condotte e le tubature dei gasdotti internazionali, oppure trasportarlo in forma liquida per mezzo di apposite navi che lo mantengono a 160 C° sotto zero fino al momento della rigassificazione, che avviene nel luogo di attracco della nave stessa. Nel caso di lunghe distanze, il trasporto in forma liquefatta può risultare economicamente conveniente soprattutto laddove non esistono ancora dei metanodotti, più costosi da realizzare, specialmente se la morfologia dei territori da attraversare presenta ostacoli naturali difficili da superare, come le montagne o il mare. In base ad alcuni studi, “la liquefazione del gas rappresenta un’alternativa economicamente

33 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (�005), provvedimento C7065, “Cassa depositi e prestiti/Trasmissione elettricità rete nazionale - Gestore della rete di trasmissione nazionale”, in Bollettino n° �9/�005.34 Dati aggiornati a ottobre �007, consultabili sul sito www.terna.it

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strategica al trasporto via metanodotto nel momento in cui la distanza tra regione produttrice e regione di utilizzo del gas è considerevole: in questi casi, infatti, il costo di realizzazione del metanodotto aumenta sensibilmente, con un break even posizionato generalmente intorno ai 4.000 km”35.

Il trasporto di GNL presenta anche un altro vantaggio: poiché la fornitura non è vincolata all’infrastruttura fisica rappresentata dal gasdotto, è possibile ottenere forniture più flessibili che permettono al produttore di avere differenti mercati di sbocco, ed al cliente di ottenere forniture diversificate. Quest’ultimo aspetto risulta di fondamentale importanza soprattutto per un mercato come quello italiano, le cui importazioni sono sostanzialmente vincolate a due soli Paesi, la Russia e l’Algeria, e che vede le proprie infrastrutture alla frontiera avvicinarsi pericolosamente ad una situazione di congestione: la realizzazione di terminali per il GNL apparirebbe dunque particolarmente adatta ad incrementare le quantità di gas importate e a diversificarne i Paesi di provenienza36.

Accanto a questi vantaggi, però, il commercio di GNL presenta ancora notevoli ostacoli da superare. Il più rilevante è costituito dagli enormi capitali richiesti per la costruzione di un impianto di rigassificazione, ognuno dei quali è da considerarsi unico per design e tecnologie utilizzate37.

Un altro ostacolo è rappresentato dai lunghi tempi di recupero dell’investimento effettuato, che vanno dai dieci anni di qualche tempo fa, ai 6-8 anni attuali: questi tempi così lunghi richiedono la costituzione di legami molto forti fra produttore e consumatore, che si esplicitano quasi sempre nella stipula di contratti take or pay, in grado di garantire la vendita di una certa quantità di gas per molti anni.

Infine, sono ancora relativamente pochi i terminali dove possono attraccare le navi per procedere alla rigassificazione del GNL, cosicché i mercati di sbocco restano, allo stato attuale, limitati. In Francia, per esempio, ne esistono due, mentre in Spagna attualmente ne sono attivi tre. In Italia invece ne esiste solo uno, a Panigaglia, in provincia di La Spezia, anche se esistono molti studi di fattibilità in fasi più o meno avanzate per realizzarne altri, due dei quali in Toscana.

Il mercato del GNL è in forte espansione e, negli ultimi anni, si sta prendendo in considerazione la possibilità di stipulare contratti di durata inferiore agli attuali (5 anni contro i �5-�0 del momento) o, addirittura, di realizzare alcuni impianti senza alcun contratto di lungo periodo: la flessibilità contrattuale diventerà infatti, nel prossimo futuro, un’opzione strategica sempre più importante per i potenziali clienti, soprattutto se i produttori hanno intenzione di sostituire una quota sempre maggiore di gas trasportato con i gasdotti con il GNL.

�.4.� Il settore dell’elettricitàNel settore dell’energia elettrica la maggiore novità può essere considerata la tendenza sempre più diffusa a sviluppare un numero sempre maggiore di impianti di cogenerazione, che permettono cioè la produzione combinata di energia e calore.

In base a quanto stabilito dal Consiglio Energia svoltosi a Bruxelles il �4 maggio �003, si distingue fra cogenerazione industriale, per riscaldamento e in agricoltura, a seconda che il calore venga utilizzato nei processi industriali, per riscaldamento centrale e in agricoltura, e si parla di micro-generazione quando si ha cogenerazione di energia inferiore a 50 kW e di micro-generazione

35 Malpensa M. (�00�), “Il mercato LNG: la nuova frontiera”, in Energia n° 4/�00�, pag. 60. In base ad altri studi, in seguito alle innovazioni tecnologiche che hanno riguardato soprattutto la modalità di trasporto per mezzo di GNL, la soglia di convenienza per questa modalità, rispetto ai tradizionali gasdotti, si è abbassata negli ultimi anni da 6.000 a 3.000 km: si veda Dorigoni S., Chernyavs’ka L. (�00�), “Modalità di trasporto del gas naturale e liberalizzazione dei mercati in Europa: pipelines o GNL?”, in Economie delle fonti di energia e dell’ambiente, n° �/�00�, pagg. 83-84.36 “Il potenziamento delle infrastrutture, oltre che necessario alla copertura della domanda incrementale, pare essere fondamentale anche per favorire la transizione dell’industria del gas verso un assetto di mercato (…). La realizzazione di corridoi di importazione provenienti da zone geografiche diverse dagli attuali luoghi di approvvigionamento consentirebbe, infatti, di diversificare i soggetti di offerta, garantendo, su questo fronte, quella pluralità di operatori che si conviene ad un mercato concorrenziale (…) e potrebbe consentire l’importazione da paesi per il momento estranei al portafoglio di approvvigionamento italiano. Il riferimento è a Egitto, Nigeria, Oman, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Trinidad”. Dorigoni S., Chernyavs’ka L. (�00�), “Modalità di trasporto del gas naturale e liberalizzazione dei mercati in Europa: pipelines o GNL?”, in Economie delle fonti di energia e dell’ambiente, n° �/�00�, pagg. 75-76.37 Ogni impianto di GNL ha una sua particolare <<fisionomia>>, e si compone di: un metanodotto per il trasporto del gas dal giacimento all’impianto di liquefazione; un impianto di trattamento del gas, per separarlo dal petrolio o da altri gas; un impianto di liquefazione vero e proprio; alcuni serbatoi criogenici, per stoccare il GNL; un pontile, per l’attracco delle navi; una o più navi metaniere; un terminale di scarico, che si trova sulla costa del Paese importatore; altri serbatoi criogenici per lo stoccaggio del GNL in attesa della rigassificazione; un impianto di rigassificazione, nel quale il GNL ritorna allo stato gassoso. Cfr. Malpensa M. (2002), op. cit., pag. 6�.

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efficiente, nel caso di rendimento complessivo certificato pari almeno all’80%38.Allo stato attuale, in Italia circa due terzi dell’energia elettrica consumata durante l’anno viene

prodotta da centrali termoelettriche, il 72% delle quali produce solo energia elettrica, mentre il restante 28% produce energia e calore (impianti di cogenerazione): dal punto di vista della tecnologia applicata, nelle prime si fa ricorso soprattutto al ciclo a vapore (87%) e si utilizzano in particolare prodotti petroliferi (46%) e gas naturale (37%), mentre nelle seconde si fa ricorso in maggioranza al ciclo combinato (62%) ed il combustibile preferito resta il gas (66%)39. A causa della loro elevata efficienza, la percentuale che rappresenta il parco degli impianti di cogenerazione sembra però destinata a salire: “la cogenerazione è infatti una tecnologia che consente di incrementare l’efficienza energetica complessiva: unendo in un unico impianto la produzione di energia elettrica e la produzione di calore, la cogenerazione sfrutta in modo ottimale l’energia primaria dei combustibili in quanto parte dell’energia trasformata che normalmente sarebbe dissipata nell’ambiente come calore di scarto, viene resa disponibile come calore riutilizzabile”40. In particolare, i vantaggi che si possono ottenere da una produzione combinata di energia e calore rispetto ad una produzione separata delle stesse quantità di energia sono legate a:- un risparmio economico legato al minor costo di combustibile;- una riduzione dell’impatto ambientale, dovuta sia alla riduzione delle emissioni che al

minor rilascio di calore di scarto nell’ambiente (minor inquinamento atmosferico e minor inquinamento termico).Inoltre, nel caso di cogenerazione diffusa vicina ai bacini di utenza si hanno:

- minori perdite di trasmissione e distribuzione per il sistema elettrico nazionale;- a parità di energia termica utile generata, sostituzione di alte modalità di fornitura del calore

più inquinanti come le caldaie ad uso civile o industriale.Il fatto che la cogenerazione utilizzi prevalentemente il gas come combustibile, la rende

particolarmente appetibile in tutti quei Paesi dotati di infrastrutture per il trasporto del gas naturale, come l’Italia, che vanta non a caso la maggiore potenzialità di cicli combinati installati in cogenerazione fra tutte le nazioni industrializzate, esclusi gli Stati Uniti4�. L’utilizzo del gas come principale materia prima costituisce, allo stesso tempo, il limite maggiore, poiché mette l’energia prodotta con impianti di cogenerazione in balia del prezzo del gas naturale che, in caso di elevati aumenti, renderebbe più conveniente la produzione con le centrali a carbone (che costituisce il combustibile fossile più diffuso in natura e con prezzi previsti in diminuzione).

Nel nostro Paese la sempre maggiore diffusione della cogenerazione è agevolata anche dalla normativa di settore: attraverso la delibera n° 42 del 2002, l’AEEG ha infatti fissato le condizioni per il riconoscimento della produzione combinata di energia e calore come cogenerazione (come previsto dal decreto Bersani). Questa delibera assume importanza perché specifica quelle che sono le condizioni che permettono di accedere ai benefici previsti dal decreto Bersani, fra i quali il diritto di priorità di accesso alla rete di trasmissione (simile a ciò che succede nel gas per chi detiene i contratti take or pay) e la precedenza nel dispacciamento per l’energia prodotta tramite fonti rinnovabili e per quella mediante cogenerazione.

A questi privilegi si aggiungeva poi la previsione del decreto Letta, che considera clienti idonei tutte le imprese che acquistano gas per la cogenerazione di elettricità e calore indipendentemente dalle quantità consumate, anche se ormai questo aspetto ha perso di importanza in seguito all’apertura totale del mercato. Questo speciale trattamento, che mira ad aumentarne la diffusione della cogenerazione, deriva dai benefici che si possono ottenere in termini di tutela ambientale e di risparmio energetico, richiamati in precedenza, e fa da contraltare alla carbon tax, che penalizza invece l’impiego del carbone nella generazione di energia.

Un’importante novità che riguarda il settore elettrico è collegata anche al recente annuncio

38 “La promozione della cogenerazione, in particolare, si inquadra in una strategia di diminuzione della dipendenza energetica dell’Unione Europea dall’esterno e di limitazione delle emissioni di gas nocivi a effetto serra. Gli impianti di cogenerazione permetterebbero, infatti, di risparmiare fino al 10% del combustibile che viene utilizzato per la produzione separata di elettricità e calore”: per questo motivo si è introdotto l’obbligo, per i Paesi membri della Comunità, di raggiungere la quota di cogenerazione del 18% sul totale entro il 2012. Cfr. Ref. (2003), “Il Consiglio Energia di Bruxelles: novità nella normativa per la promozione della cogenerazione”, in Newsletter Osservatorio Energia n° 56 del �6 maggio �003, pag. 3.39 Si veda Macchi E. et al. (�00�), “Presente e futuro del parco termoelettrico italiano: possibili scenari”, in Energia, n° 3/�00�, pag. �7.40 Ref. (�00�), Newsletter Osservatorio Energia, “L’Autorità fissa i nuovi criteri per il riconoscimento della produzione congiunta di energia elettrica e calore come cogenerazione”, n° 44 del �4 aprile �00�, pag. �3.4� Macchi E. et al. (�00�), op. cit., pag. �5.

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dell’accordo fra ENEL e IBM per la distribuzione agli utenti dei “contatori intelligenti”, che permetteranno di effettuare una lettura istantanea a distanza e, soprattutto, di offrire per la prima volta contratti con tariffe differenziate per fasce orarie, poiché diventa possibile rilevare non solo il consumo totale, ma anche in che periodo della giornata questo è stato fatto. L’introduzione di questa innovazione dovrebbe preparare il terreno per una maggiore competizione fra i vari operatori, che avranno la possibilità di proporre contratti “personalizzati” in base alle modalità di consumo dei clienti4�.

�.4.3 La convergenza fra gas ed elettricitàIn seguito ai processi di liberalizzazione, in Italia ed in Europa si sta assistendo ad una progressiva convergenza fra il settore del gas naturale e quello elettrico: è infatti sempre più frequente che imprese attive in uno dei due settori entrino nell’altro, ed il fenomeno appare piuttosto diffuso ed in costante aumento.

I motivi che possono spiegare questo fenomeno vanno probabilmente oltre quelli di tipo tecnologico, dovuti al progressivo diffondersi degli impianti di produzione di elettricità a ciclo combinato descritti nel paragrafo precedente, anche se certamente essi costituiscono un incentivo rilevante.. La contestuale apertura dei due mercati e le procedure di unbundling che hanno portato spesso alla dis-integrazione verticale, hanno avuto l’effetto di incoraggiare le imprese ad entrare in altri settori per perseguire “strategie d’integrazione orizzontale rese necessarie dalla variazione del contesto normativo-istituzionale di riferimento”, cosicché “all’unbundling verticale, che costituisce uno dei principi cardine delle riforme istituzionali, potrebbe seguire un processo di rebundling orizzontale, paradossalmente innescato proprio dalla liberalizzazione dei mercati del gas e dell’energia elettrica”43. In altre parole, a motivi meramente tecnici si aggiungono motivi strategico-economici.

Il fatto che il gas costituisca una delle principali materie prime utilizzate nella produzione di energia elettrica incentiva le aziende di questo settore ad acquistare grossi quantitativi di gas a prezzi contenuti: questo, però, permette anche di rivendere l’eventuale gas eccedente ai distributori locali a prezzi competitivi. L’azienda elettrica sarà allora in grado di effettuare operazioni di arbitraggio e cavallo dei due mercati, decidendo se è più conveniente utilizzare il gas per la produzione di energia o rivenderlo direttamente sul mercato del gas.

La convergenza fra i due settori trova però spiegazione anche per le economie di diversificazione e di rete: queste ultime derivano dalla riduzione dei costi fissi legati all’unicità della gestione del servizio, abbattuti grazie alla diminuzione dei costi legati alla fatturazione, alla lettura del contatore ed alla pubblicità44.

Accanto a questi potenziali vantaggi per l’utenza, legati soprattutto alla riduzione dei costi di produzione dell’elettricità e dei servizi accessori, il processo di convergenza nasconde anche il rischio di legare troppo i due settori, cosicché uno shock su un mercato potrebbe ripercuotersi direttamente sull’altro. In particolare, un forte aumento del prezzo del gas (che è attualmente legato in maniera abbastanza stretta a quello del petrolio) potrebbe avere ripercussioni sul prezzo finale dell’energia elettrica, provocandone un aumento.

A questo rischio se ne aggiungono altri di maggiore portata. In primo luogo, l’ingresso in altri mercati da parte di imprese dominanti nei propri settori di origine permette di attuare una di quelle forme di sussidiazione incrociata prima richiamate. La possibilità di operare in posizione dominante in un certo mercato permette, prima di tutto, di avere maggiori risorse finanziarie per praticare prezzi predatori in altri mercati e di mantenerli più a lungo.

In secondo luogo, la dominanza in un mercato permette all’azienda di crearsi una reputazione che abbassa i costi di attuazione della stessa strategia di prezzi predatori negli altri mercati.

4� “Enel ha concepito il contatore intelligente e, ancor più importante, il suo sistema di “governo” totalmente remotizzato, che consente (con collegamenti telematici realizzati attraverso la stessa rete elettrica) non solo la lettura istantanea ma anche le operazioni più disparate: maggiore o minore potenza, sospensioni, riattivazioni e appunto il più volte annunciato contratto “multiorario”, che verrà sperimentato in estate con un primo lotto di utenti (…) per essere offerto a tutti dopo il 2005. Si comincerà con la soluzione più semplice: una tariffa differenziata in due fasce. Poi arriveranno soluzioni più articolate, sulla falsariga delle offerte dei gestori cellulari. Compreso il “prepagato”, utilissimo ad esempio per le seconde case o gli affitti stagionali”. Rendina F. (2004), “Enel-Ibm, business nei contatori”, su Il Sole-24 ore del �9 marzo �004, pag. �8.43 Dorigoni S. (�00�), “Interazione fra convergenza e liberalizzazione dei mercati dell’elettricità e del gas naturale: lezioni per l’Europa dagli Stati Uniti”, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n° �/�00�, pag. 58.44 Cfr. Dorigoni S. (�00�), op. cit., pag. 64.

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In terzo luogo e più genericamente, la strategia della convergenza sembra rispondere all’esigenza di alcune imprese (spesso incumbent in determinati settori) di estendere il loro potere di mercato in settori differenziati, sfruttando le economie di scala, di scopo e di rete. Questo accade sia perché i settori energetici sono generalmente considerati settori maturi, nei quali le imprese maggiori hanno accumulato degli assets che devono essere impiegati altrove, sia perché gli ex-monopolisti si sono visti progressivamente ridurre dal processo di liberalizzazione il loro potere di mercato, e tentano ora di ricostituirlo in altri settori. A questo si aggiunge il rapporto di verticalità che intercorre fra la fase di produzione del gas naturale e quella della generazione di energia elettrica, che indirizza in maniera quasi forzata l’espansione delle imprese del settore elettrico.

Infine, in certi casi la diversificazione potrebbe addirittura consentire di rafforzare la propria posizione nel mercato di origine. A questo proposito è esemplare il caso di ENI: all’incumbent italiana nel mercato del gas sono stati imposti, dall’art. �9 del decreto Letta, dei tetti antitrust sulle quote di gas prodotto, importato e venduto nel mercato nazionale. Dal calcolo di queste quote sono però escluse quelle quantità di gas che ENI produce o importa per autoconsumo. In seguito all’ingresso nel settore elettrico, quindi, il gas importato in Italia da ENI potrebbe superare i tetti antitrust previsti dalla legge e togliere quote ai concorrenti nella fase di importazione (situazione resa ancora più grave dal fatto che l’ampliamento dei gasdotti internazionali è un’operazione che richiede tempi lunghi)45.

Per evitare che questa diversificazione intersettoriale sia motivata da finalità anticompetitive ed avvenga invece allo scopo di migliorare l’efficienza produttiva, sarebbe forse opportuno regolarla maggiormente, almeno fino a quando il processo di liberalizzazione nei settori energetici non sia stato ultimato: in caso contrario, si rischia che le posizioni dominanti di certi mercati abbiano effetto anche su altri o, addirittura, che la diversificazione rafforzi le posizioni dominanti nei mercati di origine.

1.5Le possibilità di entrata per gli operatori toscani

La questione che più interessa ai fini di questo lavoro è esaminare se sul mercato regionale e nazionale esistono spazi di crescita per le imprese toscane già esistenti o se ci sono margini per l’ingresso di nuovi attori. Come abbiamo già detto nell’introduzione, i settori energetici negli ultimi anni hanno ricoperto un’importanza sempre crescente, sia per i loro tassi di crescita e di espansione, sia per il loro ruolo funzionale rispetto agli altri settori produttivi. In molte Regioni italiane, il panorama delle cosiddette ex-municipalizzate operanti nei settori energetici appare in fermento, con numerose operazioni di fusione ed acquisizione che testimoniano quanto siano cruciali e delicati questi anni nel riassetto dell’intero comparto. Anche per le imprese toscane il momento appare decisivo.

Stante lo scenario attuale, le possibilità di ingresso per i nuovi operatori si differenziano in base al settore, ma in entrambi i casi sono vincolate dal modo in cui sono organizzate e disciplinate le filiere produttive. In particolare, per ciò che riguarda la filiera elettrica, le possibilità di ingresso riguardano prevalentemente la fase della produzione e quella della vendita; la fase della trasmissione, essendo un attività in monopolio caratterizzata da un’infrastruttura gestita (per ovvi motivi di coordinamento) a livello nazionale, resta preclusa ai nuovi entranti, mentre per la distribuzione bisogna spendere qualche parola in più. La distribuzione locale di energia elettrica su reti a basso voltaggio è una fase della filiera gestita prevalentemente da ENEL, ma nei comuni dove erano operanti più distributori è stata loro concessa la possibilità di aggregarsi, con proposta da sottoporre ad approvazione del MICA, in alternativa alla possibilità di richiedere all’ENEL la cessione dei rami d’azienda dedicati all’esercizio delle attività di distribuzione (art. 9, comma 3 e 4 del decreto Bersani); qualora, quindi, gli operatori diversi da ENEL o gli enti locali fossero interessati a gestire direttamente il servizio, dovrebbero organizzarsi per acquistare la rete, poiché in questo caso non è prevista una gestione separata dalla proprietà. Le fasi dove nei prossimi anni

45 Questo problema è già stato rilevato anche dall’AGCM: si veda il provvedimento A3�9 Blugas – Snam, punto �4, pubblicato sul Bollettino n° 47/�00�.

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si apriranno i maggiori spazi di ingresso restano comunque la fase della vendita e quella della generazione.

Per ciò che riguarda la fase della generazione, la posizione dominante di ENEL è stata ridotta grazie all’applicazione del decreto Bersani, che, per facilitare il processo di liberalizzazione, ha imposto che a decorrere dal �° gennaio �003 nessun soggetto possa produrre o importare, in modo diretto o indiretto, oltre il 50% del totale dell’energia elettrica prodotta e importata in Italia; a tale scopo, entro tale data è stato imposto ad ENEL di vendere circa �5.000 MW della propria capacità produttiva (art. 8, comma �). Di seguito riportiamo la tabella che descrive le tre operazioni di cessione con cui ENEL ha ottemperato alle richieste del decreto.

Tabella 1.4LE DISMISSIONI DI ENEL Ex DECRETO BERSANI

variabiliElettrogen

(Endesa Italia)Eurogen Tirrenopower Totale GenCo

Prezzodivendita(mlddi€) 2,6� 2,98 0,55 6,16Indebitamento(mlddi€) 0,97 0,80 0,�2 2,09Prezzocomplessivo(mlddi€) �,60 �,78 0,87 8,25Potenza installata (MW) 5.4�8 7.008 2.611 15.057

Di cui: Termoelettrica 4.424 6.211 2.548 13.183 Idroelettrica 1.014 797 63 1.874Quota % sul totale (mercato italiano) 7,1 9,2 �,4 19,7PrezzoperMW(inmigliaiadi€) 660 540 ��5 546Consorzio acquirente Endesa (51%), Banco

Santander Center Hispano (�4%), ASM Brescia (14%)

Consorzio Edipower: Edison (40%), AEM Milano (1�,45%), AEM Torino (1�,�%), Atel (1�,�%), Unicredito Italiano (10%), Interbanca (5%) e Royal Bank of Scotland (5%)

Acea-Electrabel (50%), Energia Italiana (50%), di cui: Energia CIR (62%), Hera (11%), Amga (11%), BNL (8%), Mps (8%).

Fonte: dati tratti dal Ref. Newsletter Osservatorio Energia n° 50 del 26 novembre 2002

In Toscana continua a persistere una condizione di monopolio con ENEL che gioca un ruolo da protagonista e controlla tutte le principali centrali attualmente esistenti (Livorno, Piombino, S. Barbara), comprese quella che produce elettricità sfruttando l’energia geotermica, a Larderello, che da sola contribuisce a soddisfare oltre un quarto della domanda elettrica regionale. Questa forte concentrazione, in futuro, può essere ridotta grazie all’ingresso di nuovi operatori che possono sfruttare almeno due elementi.

Il primo riguarda la crescente diffusione di centrali che, spinte da una crescente attenzione per le tematiche ambientali, utilizzano fonti rinnovabili per la produzione di elettricità: in particolare, la creazione di distretti agro-energetici per la produzione di biomassa da utilizzare come carburante nelle centrali può essere un progetto che presenta enormi potenzialità di sviluppo.

Il secondo riguarda invece lo sviluppo e la diffusione della generazione diffusa, che dà la possibilità di sostituire grandi centrali elettriche con piccole centrali che soddisfano il fabbisogno di un’utenza numericamente limitata e territorialmente concentrata (come quella di una provincia o di un distretto), attraverso sistemi di distribuzione locale che si servono di reti ad hoc.

Anche nel caso della vendita, gli ostacoli maggiori all’ingresso di nuovi operatori sono legati alla presenza di ENEL, che risulta essere di gran lunga il maggiore operatore del settore: a ciò contribuisce anche il fatto che, per legge, è l’unico soggetto autorizzato a vendere elettricità alle utenze del mercato vincolato. Per essere competitivi in questa fase, quindi, i nuovi entranti dovranno essere in grado di procurarsi l’energia a prezzi ridotti. Ciò può avvenire almeno in due modi: il primo è quello di ricorrere all’integrazione verticale con le fasi della filiera che stanno a monte, cosicché l’azienda che vende possa importare elettricità dai Paesi stranieri dove viene prodotta con costi inferiori. Il secondo è quello di produrre l’elettricità in Toscana a prezzi competitivi e questo a sua volta può essere realizzato in almeno due modi: utilizzando materie prime a basso costo, come il gas che sarà disponibile in seguito alla realizzazione del terminale GNL di Livorno e del gasdotto internazionale GALSI, che collegherà l’Algeria alla Toscana, passando per la

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Sardegna e l’Isola d’Elba, oppure accorciando la filiera produttiva e saltando alcune fasi, come nel caso della generazione diffusa, che permetterebbe di distribuire l’energia attraverso reti locali di distribuzione e di non sostenere i costi legati alla rete nazionale di trasmissione.

Per ciò che riguarda il gas, non potendo intervenire nelle fasi di produzione e trasporto, che, almeno nei prossimi anni, resteranno saldamente in mano ad ENI, i nuovi entranti possono trovare spazi di ingresso nella fase dell’importazione, in quella della distribuzione e in quella della vendita.

Per ciò che riguarda l’importazione, stante il fatto che gli operatori toscani sono attualmente tagliati fuori dal capitale dell’impresa che realizzerà il gasdotto internazionale GALSI46, resta la possibilità di introdurre gas in Toscana a prezzi competitivi grazie alle opportunità che saranno offerte dalla realizzazione del terminale di gas GNL di Livorno.

Per quanto riguarda, invece, la fase della distribuzione, la direzione da seguire sarebbe forse quella che porta alla creazione di un’unica rete regionale di distribuzione ed un solo gestore: in questo modo sarebbe infatti possibile sfruttare le economie di scala presenti in questa fase della filiera e ridurre la complessità dello scenario attuale, che vede diversi gestori e, conseguentemente, tariffe di distribuzione differenziate da zona a zona, e che non permette perciò un ingresso agevole agli operatori che vogliono vendere gas in più aree della regione. La gestione delle reti attuali come un’unica grande rete, però, sarà possibile solo riunendo tutti i gasdotti sotto un unico proprietario: l’operazione è resa poco agevole dal fatto che, attualmente, in Toscana convivono gasdotti privati e gasdotti pubblici47, mentre (relativamente) più semplice sembrerebbe accorpare sotto un’unica società la proprietà delle reti gestite dagli enti pubblici locali.

Infine, la fase della vendita presenta elementi di somiglianza con quella della filiera elettrica, poiché anche in questo caso il problema principale resta quello di dover aggirare la posizione dominante di ENI, riuscendo ad ottenere gas a prezzi competitivi. In questo settore, però, il problema risulta assai più complesso. In primo luogo, mancando i giacimenti, il gas non può essere prodotto in loco, come l’elettricità, ma solo importato dall’estero. In secondo luogo, i gasdotti che permettono di introdurre il gas in Italia sono attualmente tutti gestiti da ENI e sono quasi tutti vicini alla congestione, per cui riuscire ad ottenere lotti di gas all’estero e portarli in Toscana risulta un’operazione non agevole e, soprattutto, economicamente sconveniente; ciò dipende anche dal fatto che i costi di approvvigionamento del gas (e, conseguentemente, i prezzi di vendita) si riducono se si acquistano grandi lotti e per periodi prolungati (dai quindici ai venticinque anni), e quindi la domanda da soddisfare deve essere rilevante.

La strategia migliore da perseguire non sembra quindi quella di costo, che porterebbe a vendere il gas al prezzo minore, poiché in questo caso ENI sembra altamente più competitiva di qualsiasi altro operatore che potrebbe nascere in Toscana; bensì quella di competere cercando di allargare la gamma di servizi offerti e cercando di soddisfare nel modo migliore possibile le esigenze della domanda locale, innalzando il più possibile la qualità.

46 Fra i principali azionisti del progetto ci sono Sonatrach (36% del capitale), Edison (18%), ENEL produzione (13,5%), Wintershall (13,5%) e Hera Trading (9%).47 I gasdotti privati servivano, ancora nel 2001, il 43,4% degli utenti toscani. Dati riportati in Bernardini O., Di Marzio T. (2001), “La distribuzione del gas a mezzo reti urbane in Italia: analisi del settore alla vigilia della liberalizzazione”, Autorità per l’energia elettrica ed il gas, pag. 80.

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2.I SETTORI ENERGETICI IN ITALIA: UN QUADRO NORMATIvO DI RIFERIMENTO

2.1Introduzione

Alla fine del secolo scorso abbiamo assistito ad una progressiva quanto inesorabile rinuncia da parte dello Stato ad intervenire nell’economia del Paese, al fine di promuovere nei vari settori industriali la ricerca di un’efficienza che solo le leggi del libero mercato sembrano garantire48. Per ciò che concerne i servizi pubblici, in generale, e i servizi energetici, in particolare, ciò ha avuto principalmente due conseguenze: da un lato, il potere pubblico ha iniziato a dismettere i panni di attore diretto all’interno del mercato per vestire quelli del regolatore; dall’altro, accanto al legislatore statale si sono affiancati nuovi soggetti, quali la Comunità e europea e le Regioni che, per motivi diversi, hanno contribuito a regolare e disciplinare i servizi energetici, contribuendo a rendere il quadro normativo assai complesso e dinamico e, in certi casi, non troppo chiaro.

Negli ultimi venticinque anni, infatti, il diritto positivo è stato prevalentemente dominato dalla presenza dello Stato e quest’ultimo ha prevalso sull’economia; oggi, invece, lo scenario sembra decisamente mutato ed i ruoli appaiono invertiti, con l’economia che appare prevalere nettamente sullo Stato. I prodromi di questi cambiamenti si intravedono già a partire dalla metà degli anni ‘90, con la legge n° 474 del 30 luglio �994 recante “Norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni”, che ancora oggi disciplina per grandi tratti le privatizzazioni: è durante questi anni, infatti, che “con la trasformazione delle imprese pubbliche in società per azioni si assiste, dal punto di vista dell’intervento dello Stato nell’economia, ad una de-statizzazione comportante la sostituzione dello Stato imprenditore con lo Stato regolatore”49.

Oltre che per il nuovo ruolo riconosciuto al potere pubblico, gli ultimi anni si sono caratterizzati anche per una nuova distribuzione di poteri normativi e competenze fra Stato e Regioni, con queste ultime chiamate a prendere decisioni sempre più rilevanti nella disciplina dei settori energetici, che sembrano assumere, negli ultimi anni, un ruolo strategico crescente e per lo sviluppo dell’economia nazionale e locale.

Le future politiche energetiche della Toscana devono quindi necessariamente tenere conto di come sta evolvendo il quadro normativo nazionale, i cui indirizzi risultano sempre più modellati da politiche comunitarie e limitati da competenze cedute alle Regioni50. Di seguito tratteggeremo una descrizione di questi due nuovi elementi, che risultano fondamentali per comprendere come potrà evolvere lo scenario normativo nei prossimi anni e quali potranno essere le possibilità di intervento della Regione Toscana in materia di servizi energetici.

2.2La Comunità Europea e le nuove regole del gioco

�.�.� Il quadro normativo di riferimento: un cambiamento di paradigmaAnche nei servizi energetici, così come per tutti gli altri servizi pubblici, si è fatta di recente più forte l’esigenza di garantire che le discipline da osservare siano il più possibile espressione di presupposte oggettive regole del mercato.

Una simile visione si è tradotta, in termini istituzionali, nella creazione di organismi fortemente autonomi dalle Autorità politiche di governo, le cosiddette Autorità amministrative indipendenti,

48 Per una breve panoramica sulle principali dottrine che negli ultimi trenta anni hanno privilegiato ora la gestione pubblica dei servizi, ora il libero dispiegarsi delle forze di mercato, si veda Massarutto A. (�00�), “La regolamentazione dei servizi pubblici locali: dalla pianificazione alla responsabilizzazione”, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n° 3/�00�, in particolare le pagg. 90-96. 49 Freni E. (�000), “Le privatizzazioni”, in Trattato di diritto amministrativo, Tomo terzo, a cura di Cassese S., pag. 30�6, Giuffrè Editore.50 Cassese ha parlato, descrivendo la situazione in cui si trova attualmente l’Italia, di un «federalismo interno» e di un «federalismo esterno», poiché “va preso atto che (…) nei paesi europei, gli Stati saranno le future regioni di un’Unione Europea”. Cassese S. (�00�), “Conclusioni alla giornata di studio su «La riforma del Titolo V della Costituzione»”, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, n° 3/�00�, pag. 549.

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la cui legittimazione è essenzialmente di tipo tecnico: per regolare i settori energetici, nel �995 è stata istituita l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (AEEG), la quale ha il compito di disciplinare il passaggio dal tradizionale (almeno per il panorama europeo) modello command & control di regolamentazione al modello ad incentivo o della nuova regolamentazione5�. Il primo prevede:- la gestione del servizio affidata ad un impresa pubblica monopolista legale, quasi sempre

integrata sia orizzontalmente che verticalmente;- la definizione di politiche industriali per ciascun settore, ipotizzando la coincidenza fra gli

obiettivi delle imprese pubbliche e degli organismi pubblici preposti al loro controllo (ad es. un ministero);

- una struttura tariffaria stabilita a livello di politica economica nazionale o locale;- il servizio pubblico considerato sostanzialmente come servizio universale e garantito attraverso

la produzione pubblica.- Il secondo modello, in estrema sintesi, prevede invece:- la netta distinzione fra governo ed imprese pubbliche, con l’istituzione di enti amministrativi

ed agenzie che ricoprono il ruolo di regolatori;- un processo di disintegrazione verticale delle filiere produttive allo scopo di liberalizzare

l’ingresso di operatori (pubblici e privati) in quelle fasi che non sono caratterizzate dalla presenza di monopoli naturali;

- l’affidamento del servizio tramite gara (multidimensionale) in quelle fasi in cui esiste un monopolio naturale;

- la progressiva privatizzazione degli ex-incumbent attraverso l’immissione sul mercato della maggioranza delle quote azionarie;la regolamentazione delle tariffe di vendita e dei profitti degli operatori attraverso l’applicazione

di principi di tariffazione, quali il price-cap, insieme ad adeguati correttivi per la qualità del servizio e per garantire l’accesso universale al servizio.

Queste trasformazioni, che attraversano la sfera politica ed istituzionale del nostro Paese, sono state in parte promosse ed introdotte da alcune direttive dalla Comunità Europea che, alla stregua delle altre organizzazioni sopranazionali, se da un lato è stata creata con lo scopo di dilatare il campo di attività dei governi nazionali, dall’altro tende inevitabilmente a condizionare in maniera non indifferente le politiche dei governi stessi5�. Per comprendere le dinamiche che caratterizzano l’attuale fase di liberalizzazione del settore elettrico e del gas all’interno del nostro Stato è perciò necessario compiere una breve disamina dei principali punti delle due direttive comunitarie, la 96/9�/CE, relativa al mercato elettrico, e la 98/30/CE, relativa al mercato del gas, che hanno mirato alla creazione di un mercato unico europeo dei servizi energetici.

Prima dell’intervento delle due direttive comunitarie, il gas e l’energia elettrica erano considerati due servizi necessari e strettamente associati ad una gestione in monopolio (o in regime speciale), poiché questo regime era considerato il giusto contrappeso agli obblighi di servizio pubblico imposti all’unico operatore e permetteva, così come per le altre public utilities, di sovvenzionare le attività della filiera meno redditizie con quelle più redditizie. Inoltre, poiché, in passato, la teoria economica “ha legittimato la suddivisione tra attività svolte in regime concorrenziale e segmenti protetti, sottolineando che in questo secondo settore si presentavano dei fallimenti del mercato originati dalla presenza di situazioni di monopolio naturale, di esternalità e informazione imperfetta dovute alla miopia degli agenti individuali”53, il ricorso al monopolio pubblico o a regimi regolamentati per la gestione di certe attività (come i servizi pubblici) è sembrata l’unica soluzione per evitare la dispersione di benessere sociale e per ottenere un’efficiente allocazione delle risorse.

Col tempo però, questo ruolo dello Stato “garante dell’interesse generale” è stato messo in discussione, soprattutto dalla teoria detta della public choice, che ha avanzato l’ipotesi che nella realtà sussistano delle possibili distorsioni nel comportamento degli apparati burocratici, rispetto

5� Sul punto si veda Perra L., Petretto A. (�003), “Organizzazione industriale e gestione dei servizi pubblici locali: quale legge adottare ?”, in La nuova regolamentazione dei servizi pubblici, a cura di CISPEL Toscana, Supplemento al n° 30/�003 di NET, pag. �6.5� Cfr. Cassese S. (�00�), “Stato e industria nell’ultimo quarto di secolo”, in L’Industria, n° 4/�00�, pag. 70� e ss. Ed. Il Mulino, Bologna.53 Solimene L. (�00�), “Servizio universale, liberalizzazione dei mercati e regolamentazione dei servizi di pubblica utilità”, in Economia Pubblica n° �/�00�, pag. 7.

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al perseguimento dell’interesse dei cittadini, che si riflettono direttamente sui processi decisionali all’interno dell’impresa pubblica; in altre parole, lo Stato mira a massimizzare una funzione di utilità che talvolta può non coincidere con quella della collettività che rappresenta e “i frequenti fallimenti, addebitati prevalentemente da teorici e politici ad errori di valutazione dei responsabili dell’applicazione, vanno interpretati come risultati volontariamente perseguiti, emersi dal processo di contrattazione fra diversi gruppi di interesse”54.

La presa di coscienza che i fallimenti del mercato possono essere sostituiti dai fallimenti dello Stato ha accelerato quel processo di ridefinizione dei confini Stato-mercato che, alla fine degli anni ’90, ha iniziato a produrre i suoi effetti anche nei settori del gas e dell’energia elettrica, andando a mettere in discussione il precedente modello di gestione pubblica dei servizi con prezzi amministrati, largamente diffuso in Europa.

�.�.� Le direttive comunitariePer promuovere questo nuovo paradigma, nella seconda metà degli anni novanta sono intervenute due direttive comunitarie che hanno profondamente cambiato il mercato interno del gas (98/30/CE) e dell’energia elettrica (96/9�/CE) e che assumono una rilevanza fondamentale in quanto costituiscono gli strumenti principali di “una politica di liberalizzazione” che ha come obiettivo fondamentale, sotto il profilo della concorrenza, quello “di offrire ai consumatori una più ampia scelta di fornitori, che a loro volta siano in concorrenza reciproca a livello di prezzi e di servizi”55.

Queste due direttive sono state il principale strumento con il quale, da un lato, si è introdotto la separazione verticale delle imprese attive nella filiera energetica (il cosiddetto unbundling) e, dall’altro, si è realizzato un triplice piano di liberalizzazione: un piano di liberalizzazione della produzione, uno della disponibilità di accesso alle reti ed uno della domanda56.

La scelta di separare verticalmente le imprese è stata dettata dall’esigenza di rendere più semplice e trasparente l’accesso alle essential facilities da parte di tutte le imprese interessate. Per le aziende che gestiscono le reti e che sono, allo stesso tempo, impegnate direttamente nelle fasi a monte o a valle, sarebbe stato infatti piuttosto facile battere o eliminare la concorrenza nelle fasi liberalizzate (produzione e vendita) imponendo prezzi di accesso alle infrastrutture di distribuzione eccessivamente elevati. Solo mantenendo distinti i soggetti che operano nelle varie fasi della filiera si è reso possibile regolamentare l’accesso alle essential facilities o, quantomeno, controllare che questo avvenisse in modo non discriminatorio.

La triplice liberalizzazione della produzione, delle reti e della domanda è stata la naturale e conseguente tappa successiva nel processo di apertura dei mercati.

Per ciò che riguarda la prima, si è introdotta la concorrenza nell’offerta attraverso l’abbattimento dei diritti esclusivi, anche se l’ingresso in alcune fasi delle filiere resta comunque subordinato all’ottenimento di una concessione o alla partecipazione ad una gara. L’importanza di questa decisione sta nel fatto che al contrario di ciò che avveniva in precedenza, la produzione e l’importazione di energia e gas non è più un’attività riservata alle grandi imprese pubbliche, ma può essere svolta anche da privati, piuttosto che da consorzi o da imprese espressione di enti locali.

Per ciò che riguarda l’accesso alle reti, si è introdotto ufficialmente il principio del TPA, che garantisce l’utilizzo delle reti a tutti i clienti idonei che ne facciano richiesta: le forme possibili sono tre: accesso regolato, negoziato o tramite acquirente unico (quest’ultimo solo nel settore elettrico). Per garantire la trasparenza ed il controllo sui prezzi di accesso si è richiesto il livello minimo di separazione fra le varie fasi della filiera, vale a dire quello contabile.

La possibilità di accedere alle reti di trasporto/trasmissione e di distribuzione da parte di terzi non proprietari (TPA, third party access) è stato un passo decisivo per lo sviluppo della concorrenza fra i produttori. Da un punto di vista tecnologico, infatti, la produzione era una fase liberalizzabile e potenzialmente concorrenziale, ma l’impossibilità di replicare le reti di trasporto metteva gli incumbent, quasi sempre verticalmente integrati e presenti in tutte le fasi della filiera, in condizioni di dominanza tali da disincentivare eventuali nuovi entranti.

54 Gobbo F. (�997), “Il mercato e la tutela della concorrenza”, pag. 50, ed. Il Mulino.55 Commissione europea (�00�), “XXXI Relazione sulla politica di concorrenza, �00�”, pubblicata in connessione con la Relazione generale sull’attività dell’Unione europea – 2001, punto 87.56 Sul punto si veda anche Bollino C. A. (�003), “Disponibilità, distribuzione di energia elettrica e crescita economica”, in Economia italiana, n° 3/�003, pag. 638.

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È stata poi prevista un’apertura progressiva dei mercati che non può essere inferiore a delle quote minime previste dalle direttive stesse, ma che può essere maggiore e prevedere due tipologie di clienti, quelli vincolati (che usufruiscono del servizio alle condizioni precedenti alla liberalizzazione o comunque a condizioni che non nascono come risultato della libera contrattazione fra domanda ed offerta) e quelli liberi. Il processo di apertura della domanda dovrebbe condurre, nelle intenzioni del legislatore, ad uno scenario in cui tutti i clienti potranno liberamente scegliere il proprio fornitore di energia elettrica e gas, aumentando così la propria soddisfazione e potendo, con le loro scelte, incentivare gli operatori ad aumentare la qualità dei servizi erogati57.

L’introduzione di questi nuovi principi non ha impedito agli Stati membri di conservare il principio del servizio pubblico, anche se questo resta comunque subordinato a quello della liberalizzazione: ciò comporta, ad esempio, che le autorità pubbliche possano imporre l’obbligo di fornitura ai distributori e che possano continuare a regolare le tariffe, ma non è loro permesso di liberalizzare il mercato al di sotto della soglia minima prevista dalla legge. Continuare a concepire, almeno in certi casi e sotto certe condizioni, la fornitura di luce e gas come un servizio pubblico significa impegnarsi a garantire a certe tipologie58 di clienti l’accesso al servizio, ispirandosi di fatto a quei principi che hanno regolato l’organizzazione dei servizi pubblici per quasi tutto il secolo scorso.

2.3La disciplina legislativa nazionale: oltre le direttive comunitarie

In Italia, al fine di garantire la maggiore diffusione possibile dei due servizi energetici, si era optato per un monopolio pubblico integrato verticalmente nel settore dell’energia elettrica, e per una serie di monopoli locali di distribuzione-vendita nel settore del gas. Nel primo caso si è preferito sfruttare le economie di coordinamento e di scala presenti soprattutto nelle fasi a monte della filiera elettrica, mentre nel secondo caso si è demandato alle amministrazioni locali il compito di coprire tutto il territorio con la distribuzione e la vendita di gas, agevolando l’integrazione fra queste due fasi. In entrambi i casi si è optato per una nazionalizzazione dei settori (con la nascita dell’ENEL da una parte, e quella dell’ENI e della SNAM dall’altra) per avere la possibilità di esercitare un maggior controllo sui prezzi. Con l’applicazione delle direttive comunitarie, recepite, nel caso dell’energia elettrica, con il d.lgs. n° 79 del �6 marzo �999 (il cosiddetto Decreto Bersani) e, nel caso del gas, con il d.lgs n° �64 del �3 maggio �000 (il cosiddetto Decreto Letta) lo scenario è iniziato a cambiare profondamente.

�.3.� Il decreto LettaIn base al decreto Letta, le attività di importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita del gas naturale sono libere (art. �, comma �).

L’attività di trasporto e di dispacciamento di gas naturale è definita attività di interesse pubblico (art. 8, comma �) e le imprese che svolgono tale attività sono tenute ad allacciare alla propria rete gli utenti che ne facciano richiesta, se i sistemi di cui dispongono sono dotati di idonea capacità e se le opere necessarie all’allacciamento dell’utente siano tecnicamente ed economicamente realizzabili, in base a criteri stabiliti con una delibera dell’AEEG59, che deve anche vigilare affinché l’attività di trasporto e dispacciamento sia svolta in modo da non ostacolare la parità di condizioni di accesso al sistema (art. 8, comma � e 4).

Anche l’attività di distribuzione di gas naturale viene definita attività di servizio pubblico e il servizio è affidato esclusivamente mediante gara per periodi non superiori a dodici anni; alla fine

57 “It’s a natural presumption that consumer choice is in general preferable to state planning. Only in special circumstances, where there are significant market failures, is this general presumption overruled. These special circumstances can arise on the demand side – people are ill-informed or irrational, or their choices adversely affect others -or on the supply side- costs are such that monopoly supply is more efficient or the firm’s activities are damaging to others. And even in these cases, the costs of intervention may exceed those of the failures themselves, and, in any event, market-based instruments can help to alleviate problems such as pollution”. Helm D. (�004), “Energy, the State and the Market”, pag. �59, Oxford University Press.58 Queste tipologie possono essere riassunte in due categorie: quella dei clienti con basso reddito, e quella dei clienti con alti costi di accesso (perché, ad esempio, risiedono in zone isolate o difficilmente raggiungibili).59 Il �° luglio �003 con la delibera n° 75/03 l’AEEG ha approvato il codice di rete predisposto dalla società Snam Rete Gas ai sensi dell’art. �4, comma 5, del decreto Letta.

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del periodo di affidamento, le reti e gli impianti rientrano nella piena disponibilità dell’ente locale. Sono escluse dalle gare per l’affidamento società che gestiscono servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica. Il ruolo degli enti locali è quello di svolgere un’attività di indirizzo, programmazione e controllo del servizio erogato ed i rapporti con il gestore sono regolati esclusivamente in base ad un contratto tipo, il cosiddetto contratto di servizio (art. �4).

Entro il �° gennaio �003 il decreto ha previsto che gli enti locali debbano, a scelta, o indire una gara per l’affidamento del servizio, oppure trasformare le gestioni in società di capitali o in società cooperativa a responsabilità limitata (art. �5, comma �).

Per ciò che riguarda gli affidamenti e le concessioni già in essere alla data di entrata in vigore del decreto, e quelli alle società derivate dalla trasformazioni delle precedenti gestioni (in base al già citato art. 15, comma 1), esse proseguono fino alla scadenza stabilita, se questa non supera i termini previsti dalla disciplina del periodo transitorio (art. 15, comma 5), oppure proseguono fino al completamento del periodo transitorio stesso: quest’ultimo è fissato in cinque anni a decorrere dal 3� dicembre �000, estendibile a dieci se ricorrono particolari condizioni (art. �5, comma 7 e 8)60, mentre è stato fissato in dodici anni se la concessione è stata affidata mediante gara.

Durante il periodo transitorio, inoltre, a differenza di quanto previsto a regime dall’art. �4, è stata concessa la possibilità di partecipare alle gare anche ai soggetti titolari di affidamento o di concessione, previa la trasformazione in società di capitali o in società cooperative a responsabilità limitata.

Per le imprese di distribuzione di gas è stato previsto l’obbligo di allacciare tutti i clienti (grossisti e finali) che ne facciano richiesta e, per garantire il principio del TPA voluto a livello comunitario, la gestione delle infrastrutture avverrà in maniera regolata da parte dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas. Per garantire una maggiore trasparenza del sistema, è stato inoltre deciso per tutte le imprese di trasporto e distribuzione, a partire dal �° gennaio �003, l’obbligo di separazione societaria da tutte le altre attività del settore del gas (salvo l’attività di stoccaggio nel caso del trasporto, per la quale è sufficiente la separazione contabile e gestionale) (art. 21, comma 1 e 2).

La fase della vendita è stata liberalizzata a partire dal �° gennaio �003, salvo rilascio di un’autorizzazione da richiedere al MICA (art. 17), trasformando così una situazione di monopolio in un regime di concorrenza nel mercato: l’attività è inoltre permessa solo a quelle società che non svolgono nessun’altra attività nel settore del gas naturale, salvo l’importazione, l’esportazione, la coltivazione e l’attività di cliente grossista (art. ��, comma 3).

I cambiamenti introdotti dal decreto Letta sono dunque notevoli e ridisegnano il settore imponendo, da un lato, una profonda e completa riorganizzazione delle varie attività della filiera e, dall’altro, un ridefinizione dei ruoli, dei compiti e della missione delle varie aziende, tanto che qualcuno ha parlato di vera e propria “rivoluzione culturale”6�. L’importanza assunta dal decreto Letta sta anche nel fatto che per la prima volta si è posta una certa attenzione alla qualità dei servizi, che “deve sempre più confermarsi come l’elemento centrale e selettivo dei due passaggi decisivi del riassetto del settore: la gara e la tariffa”6�. Per aggiudicarsi una gara o per valutare l’equità di una tariffa, infatti, non ci si dovrà limitare a considerare solo parametri economici, ma anche altri aspetti considerati parimenti importanti, quali l’impatto ambientale, la sicurezza, il grado di innovazione e, appunto, la qualità del servizio offerto63. Per un confronto fra la direttiva comunitaria e la legge di recepimento italiana si veda la tabella �.�.

60 In particolare, l’art. 15 (comma 7 e 8) recita che il periodo transitorio può essere incrementato fino a “a) un anno nel caso in cui, almeno un anno prima dello scadere dei cinque anni, si realizzi una fusione societaria che consenta di servire un’utenza complessivamente non inferiore a due volte quella originariamente servita dalla maggiore delle due società oggetto di fusione; b) due anni nel caso in cui, entro il termine di cui alla lettera a), l’utenza servita risulti superiore a centomila clienti finali, o il gas naturale distribuito superi i cento milioni di metri cubi all’anno, ovvero l’impresa operi in un ambito corrispondente almeno all’intero territorio provinciale; c) due anni nel caso in cui, entro il termine di cui alla lettera a), il capitale privato costituisca almeno il 40% del capitale sociale” e “ove ricorra più di una delle condizioni indicate al comma 7 i relativi incrementi possono essere sommati”.6� Cfr. Lolli A. (�00�), “Le prospettive del settore della distribuzione e della vendita del gas”, in Economia delle fonti e dell’ambiente, n° �/�00�.6� Lolli A. (�00�), ibidem, pag. �48.63 Il 6° comma dell’art. �4 recita infatti: “Nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza, la gara è aggiudicata sulla base delle migliori condizioni economiche e di prestazione del servizio, del livello di qualità e sicurezza, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale presentati dalle imprese concorrenti”.

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Tabella 2.1CARATTERISTICHE FRA DIRETTIvA 98/�0/CE E DECRETO LETTA

FILIERA DEL GAS DIRETTIvA 98/�0/CE DECRETO LETTA

ProduzioneDisciplinata dalla direttiva 94/22/CEE che stabilisce l’obbligo di garantire a tutti in modo non discriminatorio l’accesso alla prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi

Disciplinata dal d.lgs. n° 625/1996.Sistema di concessioni ventennali

Apertura del mercatofinale

Progressiva, innalzando la quota minima di mercato aperto secondo le seguenti quote:- maggiore del 20% dal 1998- maggiore del ��% dal 200�- maggiore del �8% dal 2008Ulteriore apertura possibile dal 2008

Dal 2000 i clienti liberi: > 65% del mercato

Dal 200� i clienti liberi: 100% del mercato

Clienti idonei

Dal 2000:- consumatorifinalicheconsumanopiùdi200.000mc/a- consorzi con consumo totale > 200.000 mc/a e consumo individuale

> 50.000 mc/a- grossisti- distributori (nei limiti del consumo dei clienti idonei connessi alla

propria rete)Dal 2003:- tutti i consumatori

Accesso alle retiDue procedure possibili:- accesso negoziato (condizioni fissate dal

trasportatore)- accessoregolato(condizionifissatedalleautorità)

Regolato dall’AEEG.

Separazioni delle attivitàdellafiliera

Separazione contabile (si precisa: stato patrimoniale e conto economico) per:- trasporto- distribuzione- stoccaggio

Obbligo di separazione societaria per:- trasporto- distribuzionedatuttelealtreattivitàdellafiliera.Eccezione: obbligo di separazione contabile per il trasporto dall’attività di stoccaggio.

Distribuzione Attività libera, ma di servizio pubblico, affidata dagli enti locali,esclusivamente mediante gara, per 12 anni al massimo.

Servizio pubblico Ammesso con esplicito richiamo alla sua subordinazione all’art. 90 del Trattato

Obbligo di allacciare alle reti i clienti in base a criteri stabiliti dall’AEEG “nel rispetto degli obblighi di universalità del servizio pubblico”. Obbligo per i distributori di promuovere il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Fonte: De Paoli64

�.3.� Il decreto BersaniCon il decreto Bersani vengono liberalizzate in Italia le fasi di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica, mentre le attività di trasmissione e dispacciamento restano riservate allo Stato (art. �, comma �). Come avvenuto per il gas, anche in questo caso la liberalizzazione è stata limitata ad alcune fasi, escludendone altre, considerate monopolio naturale, poiché si è ritenuto impossibile conciliare le funzioni della rete di trasmissione e distribuzione con un laissez-faire indiscriminato: infatti, è sembrato altamente improbabile che la legge del libero mercato riuscisse da sola a far rispettare il doppio vincolo, di tipo tecnico per la rete di trasmissione e di tipo economico per quella di distribuzione65, che permette il funzionamento dell’intero settore, in base a regole di tipo esclusivamente economico.

Per facilitare il processo di liberalizzazione della produzione, la legge prevede che a decorrere dal �° gennaio �003 nessun soggetto possa produrre o importare, in modo diretto o indiretto, oltre il 50% del totale dell’energia elettrica prodotta e importata in Italia; a tale scopo, entro tale data è stato imposto ad ENEL di vendere non meno di �5.000 MW della propria capacità produttiva (art. 8, comma �). Per garantire maggiore trasparenza all’interno del mercato, l’ENEL ha dovuto inoltre costituire società separate per lo svolgimento delle attività di (a) produzione, (b) distribuzione e vendita ai clienti vincolati, (c) vendita ai clienti idonei, (d) l’esercizio dei diritti di proprietà della rete

64 De Paoli L. (�00�), “La riforma dei settori dell’elettricità e del gas in Italia e in Europa”, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n° �/�00�65 “Per la rete di distribuzione il vincolo è economico a seguito degli elevati costi di investimento connessi allo sviluppo, sullo stesso territorio, di una rete di un diverso operatore”. Gallanti M. et al. (�00�), “I mercati dell’energia elettrica: una proposta di classificazione”, in Economia delle fonti e dell’ambiente, n° �/�00�, pag. �38.

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di trasmissione e (e) lo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse (art. �3, comma �).Per quanto riguarda le imprese di distribuzione, la legge prevede l’obbligo di connessione alle

loro reti per tutti i soggetti che ne fanno richiesta, senza, ovviamente, compromettere la continuità del servizio. Inoltre, le imprese distributrici possono continuare a svolgere il servizio di distribuzione sulla base di concessioni rilasciate dal Ministero dell’industria, commercio e artigianato (MICA), aventi scadenza 3� dicembre �030 (art. 9, comma �). Allo scopo di razionalizzare la distribuzione dell’energia, il decreto prevede il rilascio di un’unica concessione di distribuzione in ambito comunale. Nei comuni dove erano operanti più distributori è stata loro concessa o la possibilità di aggregarsi, con proposta da sottoporre ad approvazione del MICA, oppure la possibilità di richiedere all’ENEL la cessione dei rami d’azienda dedicati all’esercizio delle attività di distribuzione (art. 9, comma 3 e 4). Infine, le imprese di distribuzione che alimentavano oltre 300.000 clienti finali hanno dovuto costituire una o più società per azioni alle quali trasferire i beni relativi alla distribuzione di energia elettrica e alla vendita ai clienti vincolati (art. 9, comma 7).

Che la liberalizzazione del settore elettrico sia stata considerata molto delicata e attuata con accortezza lo si capisce dal fatto che sono stati creati diversi enti con specifici compiti di coordinamento del mercato e di tutela dei consumatori. Questa particolare attenzione è dovuta sia alle caratteristiche del bene, che non può essere stoccato, sia a quelle della filiera produttiva, dato che l’allocazione ottima delle risorse deve soddisfare i due vincoli del bilanciamento istantaneo fra domanda ed offerta e del trasporto massimo di rete, per evitare congestioni della rete di trasmissione.

Fra i nuovi enti creati, il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN) esercita, in concessione, le attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica, compresa la gestione unificata della rete, ed ha l’obbligo di connettere alla rete d trasmissione nazionale tutti i soggetti richiedenti senza compromettere la continuità del servizio (art. 3). Il suo ruolo è quello di gestire i flussi di energia che attraversano la rete di trasmissione, compresi i servizi accessori, e garantirne l’accesso senza discriminazione di utenti in base alle norme stabilite dall’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas. Unico Paese in Europa, l’Italia ha scelto di mantenere separata la proprietà della rete di trasmissione, affidata alla società Terna, di proprietà di ENEL, e la gestione della stessa, affidata al GRTN66.

Il Gestore è costituito sotto forma di società per azioni a totale partecipazione pubblica e controlla altre due società per azioni denominate Gestore del Mercato ed Acquirente Unico.

L’Acquirente Unico (AU) ha lo scopo di stipulare e gestire contratti di fornitura per garantire ai clienti vincolati67 la disponibilità della capacità produttiva di energia elettrica loro necessaria e la fornitura della stessa in condizioni di continuità, sicurezza, efficienza del servizio e parità di trattamento, anche dal punto di vista tariffario (art. 4, comma �). La sua funzione è quella di tutelare i clienti vincolati e quei clienti idonei che non vorranno, nella fase transitoria, acquistare energia sul mercato liberalizzato, stipulando contratti di vendita con i distributori elettrici a condizioni non discriminatorie e garantendo loro l’applicazione di una tariffa unica. L’AU ha suscitato più di una perplessità, poiché la sua costituzione sembra il tentativo di fronteggiare una situazione di quasi monopolio dal lato della generazione, importazione e vendita, con un altro quasi monopolio dal lato degli acquirenti, il che mal si concilia con quel processo di liberalizzazione del settore che dovrebbe essere in atto e che, anzi, costituisce lo scopo principe delle riforme.

Infine, il Gestore del Mercato (GM) è una società per azioni che ha lo scopo di organizzare il mercato secondo criteri di neutralità, trasparenza e di concorrenza tra i produttori, di curare il bilanciamento fra domanda ed offerta di energia (art. 5) e organizzare la Borsa elettrica.

La possibilità di acquistare elettricità in Borsa si affianca a quella classica basata sulla stipula di contratti bilaterali fra fornitore e cliente. Presso la Borsa elettrica sono raccolte ora per ora tutte le offerte simultanee da parte di quei produttori interessati a vendere certe quantità di energia. Il GRTN dispone l’attivazione degli impianti a partire da quello che ha presentato l’offerta inferiore, fino a soddisfare tutta la domanda. Il prezzo dell’ultimo impianto attivato in una data fascia oraria contribuisce a stabilire il prezzo dell’energia in tale ora. Con il suo avvio dovrebbe diventare più facile accrescere la trasparenza dei meccanismi di formazione del prezzo e scoprire eventuali comportamenti collusivi fra gli operatori di mercato.

66 Per gli sviluppi più recenti sul rapporto fra Terna e GRTN si rimanda al paragrafo 1.3.2. del capitolo precedente.67 Per “cliente vincolato” si intende “il cliente finale che, non rientrando nella categoria dei clienti idonei, è legittimato a stipulare contratti di fornitura esclusivamente con il distributore che esercita il servizio nell’area territoriale dove è localizzata l’utenza” (art. �, comma 7).

�0 �1

Il funzionamento della Borsa ha però suscitato anche alcune perplessità, soprattutto in merito al funzionamento del metodo utilizzato, il system marginal price, che indurrebbe gli offerenti a formulare offerte di prezzo superiore al costo marginale degli impianti oppure a ridurre per un certo periodo di tempo la loro capacità produttiva, allo scopo di far salire il prezzo di vendita dell’energia. Inoltre, il GRTN ha messo in evidenza che la Borsa potrà svolgere pienamente il proprio ruolo solo quando sul mercato, in seguito ad un aumento della capacità di generazione, non si avrà più una perfetta corrispondenza fra quantità prodotta (e quindi offerta) e quantità domandata68. In tabella �.� viene riportato un confronto fra la direttiva europea sull’energia elettrica e il decreto Bersani, con il quale è stata recepita.

Tabella 2.2CONFRONTO TRA DIRETTIvA 96/92/CE E DECRETO BERSANI

FILIERA DELLA ELETTRICITà DIRETTIvA 96/92/CE DECRETO BERSANI

Produzione

In concorrenza, ma gli stati membri possono scegliere tra il sistema delle autorizzazioni o delle gare in base a criteri trasparenti e non discriminatori

Liberalizzata, salvo richiesta autorizzazione

Apertura del mercato finale

Progressiva, innalzando la quota minima di mercato aperto secondo le seguenti quote:maggiore del 26% dal 1997maggiore del �0% dal 2000maggiore del ��% dal 200�Ulteriore apertura possibile dal 2006

Dal 1999 i clienti liberi: > �0% del mercato

Dal 2000 i clienti liberi: > �5% del mercato

Dal 2002 i clienti liberi: > 40% del mercato

Clienti idonei

Dal 2002:consumatorifinaliconconsumosuperiorea9GWhperpuntodiconsegnaconsorzi con limiti di consumo totale di 9 GWh e individuale di 1 GWhgrossistidistributori (nei limiti del consumo dei clienti idonei connessi alla propria rete)clientifinaliconconsumiglobali>40GWheconsumiperpuntodiprelievo > 1 GWhDal 29/4/2003:clientifinaliconconsumiannuisuperioria100.000MWh

Accesso alle reti

Tre procedure possibili:accesso negoziato accessoregolato(condizionifissatedalleautorità)acquirente unico (accesso virtuale tramite cessione dei contratti e riacquisto dall’acquirente unico)

Regolato dall’AEEG

Separazioni delle attivitàdellafiliera

Separazione contabile per:generazionetrasmissionedistribuzione

Separazione almeno gestionale dell’ISO (Indipendent System Operator)

Obbligo di separazione societaria per:proprietari di parti della rete di trasmissioneObbligo di separazione contabile per:distribuzione(separazionesocietariasesiservonooltre300.000clientifinali).

Per l’ENEL: separazione societaria per produzione, distribuzione, vendita ai clienti vincolati, vendita ai clienti idonei e rete di trasmissione

Distribuzione Attività svolta in regime di concessione rilasciata dal MICA con scadenza �1.12.20�0 (rinnovo mediante gare).

Servizio pubblicoAmmesso con esplicito richiamo alla sua subordinazione all’art. 90 del Trattato

Obbligo di connettere alle reti chi ne faccia richiesta. Obbligo per i distributoridiincrementarel’efficienzaenergeticadegliusifinali.IstituzionediunAcquirenteUnicoagaranziadeiclientifinali.

Fonte: De Paoli69

68 Sul punto, cfr. X Commissione (�00�), “Indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del settore dell’energia”, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n° �/�00�, pagg. �7�-�7�.69 De Paoli L. (�00�), op. cit.

�0 �1

2.4Gli sviluppi normativi più recenti

In questo paragrafo daremo brevemente conto delle principali novità occorse negli ultimi anni all’interno del quadro normativo comunitario e nazionale. Vale la pena precisare che entrambe le cornici normative risultano essere in continua evoluzione e che per fare un resoconto completo di tutti i cambiamenti occorsi, soprattutto a livello nazionale, occorrerebbe probabilmente dedicare uno spazio ben maggiore di quello previsto all’interno di questo libro, che, tuttavia, ha un’altra finalità70. In questo paragrafo, pertanto, ci soffermeremo solo sulle principali norme comunitarie e nazionali che hanno coinvolto le filiere energetiche nella loro totalità; altri provvedimenti, che riguardano singole fasi e ritenuti di una certa importanza, vengono descritte nei capitoli successivi; per ciò che riguarda, infine, alcune disposizioni in fase di approvazione, e non entrati perciò ancora in vigore, si possono trovare dei brevi riferimenti nell’introduzione generale al lavoro.

�.4.� Le nuove direttive europeeLa revisione delle due direttive 96/9�/CE e 98/30/CE era già prevista nel testo delle stesse entro, rispettivamente, il �006 ed il �008, ma la Commissione ha ritenuto opportuno accelerare i tempi, sia per assecondare quelle forze che mirano ad una maggiore integrazione del mercato energetico europeo, sia per re-indirizzare e dare un nuovo impulso ad un processo di liberalizzazione che già nei primi anni della sua attuazione ha incontrato non poche difficoltà dovute soprattutto ad un diverso grado di recepimento delle direttive che ha comportato la nascita di un mercato comunitario suddiviso in sotto-mercati nazionali alquanto differenti fra loro.

Il processo di revisione è stato lungo e non privo di ostacoli, soprattutto per l’ostruzione opposta da certi Paesi, quali la Francia, tradizionalmente più avversi ad una eccessiva liberalizzazione dei settori storicamente di competenza statale, quali quelli dei servizi pubblici7�.

Alla fine, il 16 giungo 2003 il Consiglio Affari Generali e relazioni estere dell’Unione Europea ha approvato in modo definitivo il “pacchetto energia”, approvando le due direttive che dal 1° luglio �004 sostituiscono quelle precedenti, portando di fatto a conclusione un lungo processo di revisione delle direttive 96/9�/CE e 98/39/CE, iniziato nel marzo �00�.

La nuova normativa presenta diverse novità rispetto alla precedente: fra queste, un certo rilievo assume la tutela dei clienti finali, elevato a principio irrinunciabile, che non può essere messo in discussione dal processo di liberalizzazione. Per salvaguardare la fornitura di energia ai clienti più deboli ed alle fasce più svantaggiate della popolazione, gli Stati membri possono imporre alle imprese del settore energetico obblighi di servizio pubblico in termini di sicurezza (che comprende la sicurezza dell’approvvigionamento, la sua regolarità, una qualità minima garantita e un prezzo accessibile). Nel settore elettrico ci si è spinti oltre, prevedendo la garanzia ai clienti civili ed, eventualmente, alle piccole imprese, del servizio universale.

Il secondo pacchetto di normative introduce anche la necessità di un’autorizzazione rilasciata dagli Stati membri per la costruzione di nuovi impianti di generazione di elettricità; inoltre, i compiti di gestione, manutenzione e sviluppo della rete di trasmissione e distribuzione vengono affidati al gestore della rete stessa.

Sempre in tema di reti, è imposta la separazione societaria dei gestori della rete di trasmissione (elettricità) e trasporto (gas), con la definizione di determinati requisiti minimi per l’indipendenza gestionale; la separazione societaria è prevista poi anche per la distribuzione, sia nell’elettricità che nel gas, con la sola eventuale eccezione (tramite richiesta di una deroga) per i gestori di sistemi di distribuzione che servono fino a 100.000 utenti.

Inoltre, sempre in tema di reti, è prevista l’introduzione obbligatoria dell’accesso regolato alla rete, con esclusione di quello negoziato (applicato per esempio in Germania). Tra l’altro, è stata introdotta la possibilità di deroga alle norme che disciplinano l’accesso dei terzi alle reti per quei gasdotti, linee di interconnessione e impianti di stoccaggio che saranno costruite con lo scopo di rafforzare la concorrenza nella fornitura di gas e la sicurezza degli approvvigionamenti. (Si veda

70 Per una descrizione sintetica, ma esaustiva, dei cambiamenti normativi che negli ultimi anni hanno coinvolto i settori energetici si rimanda a Salini M. P. (�007), “Servizi pubblici locali: una riforma impossibile”, in Energia, n° �/�007, pagg. 50 - 66.7� Sul punto, si veda De Paoli L. (�00�), “La revisione delle direttive europee per il settore elettrico e del gas”, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n° �/�00�.

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l’appendice per richiami più puntuali agli articoli delle direttive).Infine, i mercati nazionali dovranno essere completamente liberalizzati a partire dal 1° luglio

�004 per tutti i clienti non civili, ed entro il �° luglio �007 per tutti i clienti (comprese quindi le utenze domestiche). Ciascuno Stato ha inoltre l’obbligo di istituire un’autorità nazionale di regolamentazione, con lo scopo di assicurare la non discriminazione (delle imprese e dei clienti), l’effettiva concorrenza e l’efficace funzionamento del mercato. All’indomani delle prime direttive energetiche, infatti, non tutti i Paesi avevano ancora provveduto a istituire un’autorità nazionale di settore, mentre in Italia l’autorità per l’energia elettrica ed il gas opera fin dal 1995.

Il documento accelera il processo di liberalizzazione dei servizi energetici e, tuttavia, non risulta essere particolarmente coraggioso, risultando al contrario caratterizzato da numerosi compromessi figli della lunga trattativa fra le parti (gli Stati membri) che ha preceduto la sua nascita, tanto che le nuove disposizioni non costituiscono una novità per il panorama italiano. L’Italia, infatti, aveva già introdotto le disposizioni delle nuove direttive con il recepimento di quelle precedenti, se si eccettua la previsione di aprire completamente il mercato dell’energia elettrica a partire dal �007 e gli obblighi di servizio universale previsti per l’energia elettrica.�.4.� La legge n° 239 del 23 agosto 2004 (Legge Marzano)Più recentemente, il settore energetico è stato oggetto di una legge che, fra le altre cose, ha recepito le nuove direttive comunitarie, relativamente alle (poche) disposizioni non ancora previste nel nostro Paese. La legge in questione è la n° �39 del �3 agosto �004 per il riordino del settore energetico, meglio nota come legge Marzano, che ha finalmente visto la luce dopo non pochi momenti di impasse: è composta di un unico articolo suddiviso in vari commi, e contiene, fra le altre cose, obiettivi generali di politica energetica, disposizioni relative al rapporto fra AEEG e governo centrale, incentivi per coloro che investiranno in nuove infrastrutture per il trasporto e l’importazione di risorse energetiche, norme che disciplinano i rapporti fra le nostre imprese e quelle straniere che operano in Italia, divieti di svolgere determinate attività in concorrenza per le imprese che gestiscono reti di distribuzione e l’apertura completa del mercato elettrico a partire dal primo luglio �007.

Per ciò che riguarda la fissazione di obiettivi generali di politica energetica, la legge stabilisce che questi debbano essere conseguiti da Stato, AEEG, Regioni ed enti locali “sulla base di principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione” (comma 3). Sul tema della ripartizione delle competenze, il ddl Marzano sembra quindi tener conto delle competenze attribuite alle Regioni ed agli enti locali dalla riforma del titolo V Cost., anche se il suo limite maggiore sta nel fatto che “la distinzione tra ciò che è principio fondamentale e ciò che attiene all’esercizio del potere esclusivo non viene mai esplicitata nei successivi articoli. Il testo si muove quindi su due binari con una certa ambiguità che potrebbe (…) dare luogo a contenziosi”7�.

Per ciò che riguarda l’AEEG, la legge Marzano conferma i poteri ad essa riconosciuti ma, nel caso “in cui l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas non adotti atti o provvedimenti di sua competenza ai sensi delle leggi vigenti, il Governo può esercitare il potere sostitutivo”, intervenendo con decreti (comma 8 e �4). Da questo punto di vista, quindi, la legge appare piuttosto accentratrice e sembra compiere un passo indietro nei confronti delle norme che, negli anni precedenti, sono andate nel senso esattamente opposto, trasferendo certe competenze del governo centrale alle Regioni e alle Authority73. All’AEEG viene inoltre attribuito l’obbligo di individuare, mediante procedure ad evidenza pubblica, una o più imprese di vendita del gas che si impegnino ad assicurare la fornitura ai clienti finali allacciati alla rete con domanda inferiore ai �00.000 m3 annui, in caso di assenza di un fornitore o nel caso in cui nell’area geografica di localizzazione non si sia sviluppato un mercato concorrenziale (comma 46).

Per ciò che concerne, invece, la realizzazione di nuove infrastrutture, la legge introduce

7� Cfr. Ref. (�003), Newsletter Osservatorio Energia, n° 55 del 4 aprile �003, pag. 4.73 Tale sensazione è stata in parte attenuata dall’intervento della Corte Costituzionale, che con la sentenza n° 383 del �005 ha dichiarato costituzionalmente illegittime alcune disposizioni della legge Marzano che attribuivano dei poteri decisionali allo Stato senza coinvolgere la Conferenza Unificata (vale a dire la Conferenza Stato - citta’ ed autonomie locali unificata con la Conferenza Stato - regioni, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. �8 agosto �997, n° �8�). In particolare, secondo la Corte lo Stato deve raggiungere un’intesa con la Conferenza Unificata per ciò che riguarda, ad esempio, l’emanazione di indirizzi per lo sviluppo economico delle reti nazionali di trasporto di energia elettrica e di gas naturale, l’identificazione dell’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale e la loro programmazione, nonché l’approvazione degli indirizzi di sviluppo della rete di trasmissione nazionale.

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incentivi per tutti quei soggetti che investiranno nella realizzazione di nuove infrastrutture di interconnessione tra le reti nazionali di trasporto di gas degli Stati membri dell’Unione europea e la rete di trasporto italiana, o che realizzeranno nuovi terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto, o che realizzano nuovi impianti di stoccaggio, o che potenzieranno gli impianti del tipo sopracitato già esistenti: essi avranno diritto all’allocazione dell’80% della nuova capacità per un periodo di almeno venti anni, mentre il restante 20% sarà allocato in base a criteri di efficienza, economicità e sicurezza del sistema stabiliti con decreto del Ministero delle attività produttive (comma �7, �8 e �0)74.

Sempre in tema di infrastrutture, la legge introduce una semplificazione delle procedure di autorizzazione delle reti di trasporto di energia e degli impianti di energia elettrica superiori a 300 MW, in base al quale l’autorizzazione viene concessa dalle Regioni mediante un procedimento unico della durata massima di �80 giorni (o ��0, per i procedimenti per i quali non sono prescritte le procedure di valutazione di impatto ambientale) (comma �6). L’articolo è una sorta di disposizione “sblocca reti” e la sua opportunità è data dal fatto che sbloccare la costruzione delle centrali sarebbe inutile se la maggiore produzione non fosse accompagnata da un potenziamento delle reti di trasporto. Il provvedimento risulta poi anche coerente con la riforma del titolo V della Costituzione, poiché attribuisce la potestà autorizzativa alle Regioni e riconosce allo Stato un ruolo di sostituto in caso di inerzia o disaccordo fra le prime75.

Infine, incentivi sono previsti anche per quei territori che accetteranno la costruzione di nuove centrali (di potenza termica non inferiore a 300 MW) per un periodo di sette anni dall’inizio dell’esercizio degli impianti (comma 36);

Per quanto riguarda, invece, disposizioni di politica economica che mirano a riequilibrare, almeno in parte, l’asimmetria fra il mercato italiano e quello di altri Stati, molto meno liberalizzati e difesi da barriere all’ingresso, si prevedono limiti strutturali alle imprese di Stati che non garantiscono reciprocità: “Fino alla completa realizzazione del mercato unico dell’energia elettrica e del gas naturale, nel caso di operazioni di concentrazione di imprese operanti nei mercati dell’energia elettrica e del gas cui partecipino imprese o enti di Stati membri dell’Unione europea ove non sussistano adeguate garanzie di reciprocità, il Presidente del Consiglio dei ministri (…) può (…) definire condizioni e vincoli cui devono conformarsi le imprese o gli enti degli Stati membri interessati allo scopo di tutelare le esigenze di sicurezza degli approvvigionamenti nazionali di energia ovvero la concorrenza nei mercati” (comma �9).

L’apertura dei mercati energetici è stata poi portata a compimento, grazie alla possibilità (suggerita dalle nuove direttive comunitarie) di acquistare liberamente energia elettrica per tutti i clienti a partire dal �007; in particolare, sarà cliente idoneo chi, alla data di entrata in vigore della disposizione, potrà dimostrare di aver avuto, nell’anno precedente, un consumo di almeno di 0,05 GWh. A partire dal �° luglio �004 sono poi considerati idonei tutti i clienti non domestici e, dal �° luglio �007, tutti i consumatori saranno considerati clienti idonei (comma 30).

Infine, la legge Marzano prevede l’impossibilità, per chi gestisce servizi pubblici locali o reti (in concessione o in affidamento) di esercitare “alcuna attività in regime di concorrenza, ad eccezione delle attività di vendita di energia elettrica e gas, nel settore dei servizi post-contatore, nei confronti degli stessi utenti del servizio pubblico” (comma 34). Questa disposizione mira evidentemente ad impedire che forme di monopolio vengano estese a fasi in cui è invece possibile un certo livello di concorrenza, come appunto quella dei servizi post-contatore.

Da questa rassegna sulle principali norme che riguardano la liberalizzazione dei settori energetici, dovrebbe dunque risultare evidente come il processo presenti, da un lato, un eccesso di disciplina, con disposizioni che, a vari livelli, si rincorrono e si accavallano l’una sull’altra e, dall’altro, distorsioni (in parte dovute al mercato, in parte causate dallo stesso intervento del legislatore) ed imperfezioni che devono essere corrette per raggiungere un livello accettabile di concorrenza. Il quadro diventa indubbiamente più complesso nel momento in cui si va a considerare che lo scenario dei settori energetici sta assumendo proporzioni extra-nazionali e ciò che accadrà nei prossimi anni nel nostro Paese sarà influenzato da variabili che non possono

74 Questa disposizione risulta in linea a quanto già previsto dalle delibere n° 91/02 e n° 137/02 dell’AEEG, che hanno definito le regole che disciplinano l’accesso prioritario, rispettivamente, ai nuovi terminali di rigassificazione del GNL ed ai gasdotti che trasportano gas in entrata dall’estero per i soggetti che investono nella loro realizzazione e che prevedono, appunto, il conferimento dell’80% della capacità degli impianti ai loro finanziatori.75 Cfr Ref. (�00�), Newsletter Osservatorio Energia, n° 47 del �5 luglio �00�, pag. 4.

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essere controllate da nessuna istituzione nazionale (come, ad esempio, l’implementazione delle politiche energetiche degli altri Paesi membri e la diversa modalità di recepimento delle direttive europee).

�.4.3 Il futuro prossimo: il terzo pacchetto di direttive europee sui mercati energeticiDopo circa tre anni dall’entrata in vigore del secondo pacchetto di direttive sull’energia, il quadro normativo europeo intravede all’orizzonte ulteriori cambiamenti.

Il �9 settembre �007, infatti, la Commissione ha presentato al Consiglio ed al Parlamento Europeo le proprie proposte per una profonda revisione dell’attuale contesto regolamentare dei mercati del gas e dell’elettricità. Le ragioni che hanno richiesto tale deciso intervento sono state evidenziate dalla Commissione nella comunicazione pubblicata il �0 gennaio �007 nell’ambito del piano strategico per una nuova politica energetica76 mirante a sviluppare un mercato integrato a livello europeo. In estrema sintesi, la Commissione ha esaminato molto criticamente lo stato di attuazione delle direttive del gas e dell’elettricità, individuando le aree nelle quali sviluppo della competitività ha registrato un palese insuccesso77.

Il Consiglio Europeo nella primavera �007 ha invitato la Commissione a proporre ulteriori misure normative, con una particolare attenzione ad alcune problematiche ritenute di fondamentale importanza per aumentare il livello di competizione all’interno dei mercati energetici. Fra queste, si possono citare l’esigenza di raggiungere una effettiva separazione delle attività di produzione e vendita da quelle di gestione delle reti; il bisogno di armonizzare i poteri dei regolatori nazionali e di rafforzare la loro indipendenza; la necessità di istituire un organismo di cooperazione tra i regolatori nazionali, che sia anche in grado di promuovere un maggior coordinamento in materia di gestione delle reti e commercio transfrontaliero; la ricerca di una maggiore trasparenza nel mercato dell’energia.

Le novità principali del pacchetto sono soprattutto quelle relative alla separazione fra le fasi della filiera energetica (e in particolare, delle reti di trasporto e trasmissione) e alla istituzione di un’Agenzia per la cooperazione dei regolatori di energia.

La legislazione attuale richiede che le attività dei gestori delle reti (TSO) siano separate legalmente e dal punto di vista funzionale dalle attività di generazione o produzione e di vendita. Gli Stati membri hanno applicato questa disposizione attraverso strutture organizzative differenti. Parecchi Stati membri hanno costituito società completamente separate per la gestione della rete, ma altri si sono limitati ad istituire un’entità legale in seno ad una società verticalmente integrata. In questi ultimi Paesi, il livello di liberalizzazione dei mercati è stato inferiore alle attese e la concorrenza piuttosto limitata: per questo motivo si è cercato di incentivare forme di separazione più accentuate.

La soluzione preferita dalla Commissione in materia di unbundling della rete di trasmissione resta la separazione proprietaria, in grado di assicurare che uno stesso soggetto non eserciti il controllo di un’impresa attiva nella fase di vendita e, contemporaneamente, abbia interessi economici o eserciti diritti all’interno di una società di trasporto78.

Anche se la Commissione ritiene che la separazione proprietaria sia l’opzione da preferire, è prevista la possibilità che gli Stati Membri adottino una seconda soluzione che fornisca le stesse garanzie per ciò che riguarda l’indipendenza dell’azione del gestore della rete di trasmissione e il livello di incentivi a realizzare gli investimenti richiesti dal mercato in nuove infrastrutture. Questa opzione -conosciuta anche come “Indipendent System Operator” (ISO)- permette alle società verticalmente integrate di mantenere la proprietà delle reti ma richiede che la rete di trasmissione sia gestita da un operatore indipendente, completamente separato dall’impresa

76 Comunicazione della Commissione al Consiglio Europeo e al Parlamento Europeo - An Energy Policy for Europe {Sec(�007) ��}.77 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo - Prospects for the internal gas and electricity market {Sec(�006) �709} {Sec(�007) ��}. Tale Comunicazione si basa sui rapporti annuali che i singoli Stati membri hanno presentato alla Commissione sullo stato di attuazione e sui risultati concreti raggiunti dalle direttive comunitarie elettricità (�003/54) e gas (�003/55).78 Questa opzione fa salva la possibilità che uno stesso soggetto possa detenere contemporaneamente partecipazioni minoritarie e non di controllo all’interno di due imprese attive l’una, nella vendita e, l’altra, nella trasmissione. Chi detiene queste partecipazioni di minoranza non può comunque avere diritti di veto in entrambe le aziende, né nominare membri nei loro consigli di amministrazione, né essere lui stesso membro dei consigli di entrambe le aziende. Questa opzione, che permette di ottenere una chiara separazione fra operatori che gestiscono sistemi di trasmissione e aziende di vendita, è senza dubbio il modo più stabile e sicuro di raggiungere un efficace unbundling delle reti di trasmissione e di risolvere il relativo conflitto di interesse.

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verticalmente integrata, che adempia a tutte le funzioni di un gestore della rete. Inoltre, allo scopo di assicurare che l’operatore agisca in modo realmente indipendente dall’impresa verticalmente integrata, deve essere previsto un più stringente quadro regolamentare.

Benché la Commissione riconosca che, in generale, i progressi compiuti verso una separazione proprietaria siano maggiori nel mercato dell’energia elettrica, non ha comunque ravvisato motivazioni sufficienti a giustificare un trattamento differenziato dei due settori e pertanto le due opzioni prospettate si applicano allo stesso modo ai settori dell’energia elettrica e a quello del gas; tali disposizioni non si applicano invece alle reti di distribuzione.

La seconda rilevante novità prevista dal terzo pacchetto di direttive riguarda la costituzione di un’Agenzia per la cooperazione dei regolatori di energia.

La maggior parte degli attori del mercato, così come i regolatori stessi, considerano che le principali questioni di natura transfrontaliera richiedano l’istituzione di un’occasione ufficiale in cui i regolatori nazionali cooperino e prendano decisioni. A tal proposito, la Commissione ritiene che la costituzione di un’Agenzia di regolazione, che rispetti i principi definiti dalla Commissione nella bozza di accordo interistituzionale sulla struttura operativa per le agenzie di regolazione europee, possa costituire un occasione di coordinamento fra i vari regolatori, in particolare per quanto riguarda la possibilità di adottare decisioni legalmente vincolanti per i terzi.

Lo scopo non è quello di istituire un regolatore europeo che sostituisca le competenze nazionali, ma quello di fornire alle Autorità di regolazione nazionali uno strumento per cooperare e, ove necessario, prendere decisioni collettive.

In generale, l’Agenzia per la cooperazione dei regolatori di energia avrebbe il compito di completare a livello europeo le funzioni regolamentari svolte a livello nazionale dalle Autorità di regolazione. Più in particolare, all’Agenzia spetterebbe il compito di promuovere la collaborazione fra i regolatori e di supervisionare la cooperazione fra gli operatori delle reti di trasmissione; inoltre, disporrebbe di poteri decisionali individuali per specifiche problematiche79, e svolgerebbe un ruolo consultivo per la Commissione, avendo la possibilità di emanare linee guida non vincolanti per diffondere le migliori pratiche tra i regolatori nazionali.

2.5I nuovi attori: le Regioni

�.5.� Il processo di decentramento delle competenzeCon la riforma della Costituzione introdotta nel �00�, le Regioni sono diventate attori importanti nella definizione delle politiche energetiche locali, grazie alle competenze attribuite loro dal nuovo articolo ��7.

La riforma del Titolo V della Costituzione, intervenuta nel �00� per mezzo della Legge costituzionale del �8 ottobre �00�, n° 3, riforma riordina e ridistribuisce fra lo Stato e gli altri Enti Territoriali la competenza su alcune materie di fondamentale importanza, dopo aver rimarcato all’art. 1 (il nuovo articolo 114 Cost.) la fine della supremazia dello Stato e l’equiordinazione di Stato, Regioni, Province e Comuni, in linea con le recenti tendenze a disegnare un ordinamento politico sempre più fondato sui principi della sussidiarietà.

Ai fini di questo contributo, rileva sottolineare soprattutto quanto disposto dal nuovo articolo ��7 Cost., che, fra le altre materie, ha ridistribuito le competenze anche per ciò che attiene ai servizi energetici. Per una trattazione più approfondita della complessa tematica relativa ai rapporti fra regolazione statale e regolazione regionale e locale -che esula dai compiti di questo lavoro- si rimanda ai contributi di Vigneri80 e di Donati8�.

La fase di decentramento amministrativo che sta attraversando il settore energetico non è in realtà iniziata in tempi recenti, dato che possiamo individuare i suoi albori già nella legge 308/8�, che ha

79 In base all’attuale proposta, essa dovrebbe decidere sulle richieste di esenzione relative alle infrastrutture di interesse europeo e sulle dispute fra i regolatori nazionali riguardo questioni trans-frontaliere. Avrebbe inoltre il potere di rivedere le decisioni prese da un’Autorità di regolazione nazionale che hanno un effetto diretto sul mercato interno.80 Vigneri A. (�006), “Coesione sociale e tutela della concorrenza in un sistema multilivello”, in Le virtù della concorrenza, a cura di De Vincenti C., Vigneri A., ed. Il Mulino, pagg. 73 – �30.8� Donati F. (�007), “Il riparto delle competenze tra Stato e regioni in materia di energia”, in Il nuovo diritto dell’energia tra regolazione e concorrenza, a cura di Bruti Liberati E., Donati F., Giappichelli Editore, pagg. 35 – 57.

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decentrato alcune funzioni decisionali in materia di attribuzione di incentivi al risparmio energetico ed alle fonti rinnovabili: con questa legge le Regioni e gli Enti locali venivano per la prima volta responsabilizzati alla gestione di contributi da utilizzare per contenere i consumi energetici e per incentivare l’uso di delle fonti rinnovabili. Questo processo di decentramento delle competenze riguardo a certe materie, con particolare riferimento a quella energetica, “trova la sua giustificazione nell’idea che il livello locale sia in grado di finalizzare e rendere più appropriate le indicazioni di politica energetica nazionale. Infatti, i livelli locali di governo sembrano maggiormente efficaci nell’indirizzare interventi strutturali in campo energetico data la loro maggiore conoscenza delle realtà sulle quali le decisioni vanno ad incidere”8�.

Il coinvolgimento dei centri di governo periferici nella gestione delle risorse energetiche divenne ancora maggiore con le leggi 9/9� e �0/9� (Norme per l’attuazione del piano energetico nazionale), con le quali le Regioni vengono inserite stabilmente nel sistema del Piano Energetico Nazionale (PEN) ed assumono un ruolo rilevante nel governo regionale dell’energia. Per la prima volta, infatti, alle regioni vengono attribuiti compiti di programmazione dell’offerta regionale di energia (attraverso i Piani Energetici Regionali) e di gestione della domanda, riconoscendo implicitamente l’importanza assunta dal fattore energetico per lo sviluppo delle comunità locali. Alle Regioni viene inoltre attribuito una competenza legislativa poiché spetta a loro emanare norme per implementare a livello locale la normativa relativa al PEN.

Con la legge Bassanini del �997 (Legge 59/97 sul decentramento amministrativo), e con il successivo decreto legislativo ���/98, il processo di riforma dell’ordinamento dello Stato si arricchisce di un altro tassello: l’attività delle Regioni non viene più considerata come meramente strumentale a quella dello Stato, ma assume una propria rilevanza ed autonomia, in base al principio di sussidiarietà e cooperazione fra gli Enti locali. Quest’ultimo prevede infatti che si debbano accentrare solo quei compiti e quelle funzioni che non possono essere efficacemente esercitati a livello locale. Poiché la legge non menziona espressamente i settori energetici fra le materie escluse dalla sua applicazione, si ritiene che essi debbano essere compresi fra quelli la cui competenza era stata trasferita dallo Stato agli Enti Locali83.

La riforma del Titolo V della Costituzione arriva dunque a dare una valenza di rango costituzionale ad un processo che, sostanzialmente, sembrava aver già raggiunto un importante grado di maturità.

�.5.� Le nuove disposizioniIl nuovo articolo ��7 Cost. presenta una nuova ripartizione delle materie, distinguendo quelle in cui lo Stato ha competenza esclusiva da quelle a legislazione concorrente, per le quali “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (art. 3 Legge Cost. n° 3/�00�). Vale poi il principio residuale per cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” (art. 3), che ribalta la competenza residuale del precedente articolo ��7 che la affidava invece allo Stato. Come è stato osservato, nel nuovo Titolo V il ruolo preminente è svolto dalle autonomie locali, in pieno accordo con un nuovo modello di Stato federalista, e la sua maggiore novità “non sta solo nella ripartizione delle materie ma anche nella nuova impostazione che, secondo il principio di sussidiarietà, considera come livello primario quello delle autonomie. Ciò comporta che l’attuazione della riforma sia di carattere ascendente, parta cioè dalle Regioni e dalle autonomie”84.

In particolare, il nuovo art. ��7 pone la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia tra le materie a legislazione concorrente (mentre le stesse materie non erano nominate dal vecchio art. ��7), per cui allo Stato spetta il compito di delinearne i principi fondamentali, mentre alle Regioni è consentito legiferare in materia nel rispetto delle linee guida tracciate a livello nazionale. Vale subito la pena precisare che, fin dall’inizio, il concetto di energia sembrava comprendere, a rigor di logica, sia l’elettricità che il gas e non solamente, quindi, l’energia elettrica: in ogni caso, il gas (nelle varie attività che compongono la sua filiera, quali esplorazione, importazione, produzione,

8� Galbiati R., Vaciago G. (2002), “Il governo dell’energia dal decentramento alla riforma costituzionale: profili economici”, in Mercato Concorrenza Regole, n° �/�00�, pag. 36�.83 Furono comunque esplicitamente esclusi, all’art. �9, la ricerca, la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia, nonché i compiti di progettazione e manutenzione delle grandi infrastrutture (reti) e le attribuzioni di regolazione e controllo proprie dell’AEEG.84 Galbiati R. e Vaciago G. (�00�), op.cit., pag. 366.

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stoccaggio, trasporto e distribuzione) non compariva fra le materie che sono di esclusiva competenza dello Stato e quindi la competenza era necessariamente o concorrente (come sembra più logico) o esclusivamente regionale85.

La sentenza n° 383/�005 della Corte Costituzionale ha chiarito che “l’espressione utilizzata nel terzo comma dell’art. ��7 deve ritenersi corrispondere alla nozione di «settore energetico» di cui alla legge n° 239 del 2004, così come alla nozione di politica energetica nazionale utilizzata dal legislatore statale nell’art. �9 del d.lgs. 3� marzo �998, n. ���”. La stessa sentenza ha poi chiarito i dubbi relativi alla poco felice espressione “distribuzione nazionale di energia”, che aveva suscitato più di un dubbio fra gli studiosi della materia86, che ipotizzavano la possibilità di individuare una distribuzione locale di energia: la Corte ha invece sottolineato come “la «distribuzione locale dell’energia» è nozione utilizzata dalla normativa comunitaria e nazionale, ma solo come possibile articolazione a fini gestionali della rete di distribuzione nazionale (…); per di più essa è determinata nella sua consistenza dagli organi e attraverso le procedure operanti a livello nazionale e comunque sottoposta alla legislazione nazionale e ad una normativa tecnica unitaria. Si tratta quindi di una nozione rilevante a livello amministrativo e gestionale, ma che non può legittimare l’individuazione di una autonoma materia legislativa sul piano del riparto costituzionale delle competenze fra Stato e Regioni”87.

In base a quanto disposto dalla riforma, i margini che le Regioni hanno di disciplinare i servizi energetici trovano sostanzialmente tre limiti: il primo è dato dalle disposizioni indicate in altri articoli della Costituzione, il secondo è dato dalla normativa statale che detta i principi della materia, mentre il terzo attiene ai “titoli di legittimazione trasversali”88.

Per quanto riguarda i primi, a titolo di esempio può essere citato l’art. ��0, comma �, Cost., che impedisce alle Regioni di “adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione… delle cose tra le Regioni”. Tale principio è stato probabilmente già violato nel �00�, quando la Sicilia ha introdotto, con la legge regionale n° �/�00�, una tassa sul gas introdotto in Italia attraverso il gasdotto internazionale che collega l’Italia all’Algeria, che avrebbe avuto ripercussioni su tutto il sistema energetico nazionale. La tassa è stata rimossa pochi mesi dopo in seguito al ricorso promosso dalla società SNAM, di concerto con l’AEEG, presso il Tar del Lazio89.

Per ciò che riguarda, invece, i titoli di legittimazione trasversali, la Costituzione su certe materie attribuisce allo Stato una “competenza legislativa trasversale”90, vale a dire un “compito” da eseguire per la cui realizzazione la normativa statale può attraversare potenzialmente anche tutte le materie con potestà legislativa ripartita o esclusiva delle Regioni. Fra i “compiti” affidati allo Stato dall’art. ��7 Cost. c’è, ad esempio, la tutela della concorrenza, che comprende la possibilità di gestire il processo di liberalizzazione dei settori energetici determinando, fra le altre cose, il livello di separazione fra le varie attività della filiera produttiva. Infatti, la tutela della concorrenza più che come materia deve essere intesa come “compito” affidato allo Stato dalla Costituzione e per questo consente alle leggi statali di travalicare i confini delle materie elencate all’art. 117 comma 29�.

85 In questo senso Bognetti G., Fazioli R. (�996), “Lo sviluppo di una regolazione europea nei grandi servizi pubblici a rete”, in Economia Pubblica, n° 3/�996, pag. 38, e anche Colavecchio, che afferma che “L’instaurazione di mercati dell’elettricità e del gas effettivamente concorrenziali costituisce (…) un passaggio di basilare importanza per il completamento del più generale mercato interno dell’energia”, dove per mercato interno si intende quello comunitario. Colavecchio A. (�00�), “I mercati interni dell’energia elettrica e del gas naturale: profili comunitari”, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, n° 3-4/�00�, pag. 50�. 86 Fra gli altri, si veda Cassese, che aveva avanzato “una riserva, derivante dall’uso dell’aggettivo «nazionale», che va inteso come riferito alla distribuzione. Infatti, il d.lgs. n° 79 del 1999 ha individuato aree di distribuzione locale, affidate ad enti di distribuzione, per cui le regioni potrebbero forse rivendicare una potestà legislativa piena sulla distribuzione non nazionale”. Cassese S. (�00�), “L’energia elettrica nella legge costituzionale n° 3 del �00�”, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, n° 3/�00�, pag. 499.87 Corte Costituzionale, sentenza n. 383 del �7 luglio �004.88 Sui limiti imposti alle normative regionali relative ai settori energetici, per un taglio più giuridico si veda anche Spagnolo M. (2005), “La riforma del regionalismo italiano e l’impatto sul «governo dell’energia»”, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n° �/�005, pagg. �33- �48.89 Sulla vicenda si veda Ciarlo P. (�00�), “La tassa sul tubo: ovvero del federalismo impazzito”, in Quaderni costituzionali, n° 4/�00�, pag. 80890 Zito A. (�003), “I riparti di competenze in materia di servizi pubblici locali dopo la riforma del titolo V della Costituzione”, Diritto Amministrativo, n° �/�003, pag. 395.9� “Si è, in proposito, parlato di “titoli di legittimazione sostanzialmente trasversali”, che si traducono in occasioni per lo Stato di condizionare la legislazione regionale nelle materie non espressamente enumerate. In questo modo la concorrenza (…) si viene a configurare come una valvola che consente forme di mobilità del riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni, in un sistema in cui è vero che il potere centrale ha perso la competenze generale, ma in cui è altrettanto vero che il medesimo è, comunque, preposto alla cura degli interessi nazionali ed unitari, di cui la concorrenza e le altre materie di competenza statale costituiscono significative, anche se tassative, esemplificazioni”. Buffoni L. (2003), “La «tutela della concorrenza» dopo la riforma del Titolo V: il fondamento costituzionale ed il riparto di competenze legislative”, in Le istituzioni del federalismo, n° �/�003, pag. 378.

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Inoltre, sembra che l’espressione “tutela della concorrenza” debba intendersi in senso dinamico, oltre che statico: ciò significa che gli interventi legislativi dello Stato sono costituzionalmente legittimi anche in quei mercati in cui la concorrenza deve essere introdotta, e non solo quelli che mirano a mantenerla dove già c’è. Questa lettura della norma trova i suoi fondamenti nell’uso del termine “tutela” della concorrenza anziché “difesa”, che lascia intravedere la possibilità che “allo Stato continui legittimamente a spettare non solo la competenza per interventi a difesa del mantenimento delle condizioni di concorrenzialità in mercati già liberalizzati (…), ma anche interventi di promozione della concorrenza laddove questa fatica ad affermarsi per la presenza di monopoli naturali (così nel caso della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, del trasporto locale e dell’ordinamento della comunicazione)”9�.

Fra le altre materie di competenza statale che vanno alimentare la libertà legislativa delle Regioni ci sono i compiti in tema di tutela dell’ambiente, che vanno ad influire su quasi tutte le fasi delle filiere produttive del gas e dell’elettricità e che influenzano direttamente anche le politiche relative all’incentivazione dell’uso delle fonti di produzione rinnovabili; c’è, infine, la cura dei rapporti fra Stato ed Unione europea, anche se in questo caso la competenza esclusiva dello Stato sembra limitata alle materie elencate al secondo comma dell’art. ��7 Cost. Questo punto è estremamente delicato in quanto, se così fosse, le direttive europee in tema di “produzione, di trasporto e di distribuzione nazionale dell’energia” coinvolgerebbero in modo diretto anche il legislatore regionale, che sarebbe legittimato ad intervenire dalla stessa Costituzione93.

Altro problema di non poco conto è quello di stabilire quali sono e dove finiscono i “principi fondamentali” nelle materie a legislazione concorrente, la cui definizione spetta allo Stato: questi hanno infatti il compito di tracciare la strada cui dovranno attenersi i regolamenti e le leggi regionali, pena la loro illegittimità costituzionale. Per certe fattispecie sussistono infatti delle leggi che disciplinano la materia a livello nazionale e, più in generale, si possono considerare norme di principio tutte quelle contenute nelle leggi analizzate nei paragrafi precedenti di questo capitolo; altri ambiti sono invece caratterizzati dall’assenza di una chiara e precisa normativa di riferimento, e ciò contribuisce ad aumentare il caos legislativo. Inoltre, anche in quei casi in cui la normativa nazionale esiste, possono sorgere controversie riguardo al grado di estensione della potestà legislativa che viene riconosciuta alle Regioni, controversie che spesso vengono risolte davanti alla Corte Costituzionale.

E proprio alcune sentenze della consulta hanno contribuito, negli ultimi anni, ad individuare il limite fra norme di principio e disposizioni di dettaglio in materia di servizi energetici. Di seguito si darà conto delle principali.

Fra le sentenze più importanti degli ultimi anni, la n° 272 del 2004 ha riguardato genericamente i servizi pubblici locali a rilevanza economica, fra i quali rientrano senza dubbio i servizi energetici, come il gas e l’energia elettrica, ai quali possono essere estese le seguenti considerazioni.

Secondo la Corte, per “tutela della concorrenza” si deve intendere anche la “promozione” di essa, e qualunque azione volta a instaurare un mercato concorrenziale laddove si è avuto fino ad ora un monopolio: “in altri termini, la tutela della concorrenza riguarda nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude perciò anche interventi promozionali dello Stato”94. Si è così optato per interpretare il concetto di tutela in senso dinamico e non statico95.

Fra gli interventi legislativi a tutela della concorrenza, che non possono essere derogate da disposizioni regionali, rientrano tutte quelle norme atte a garantire la più ampia libertà di concorrenza nell’ambito di quei rapporti che incidono direttamente sul mercato, quali quelli che si riferiscono al regime delle gare o alla modalità di gestione e conferimento dei servizi.

9� Buffoni L. (�003), op.cit., pag. 378.93 Secondo Pizzetti, “…anche rispetto all’attuazione delle norme comunitarie occorre in ogni caso fare i conti con gli effetti della costituzionalizzazione di un sistema di separazione di competenze fra il legislatore statale e quello regionale che assume, nel nuovo quadro, un valore di carattere generale. Anche in questo settore, infatti, la competenza esclusiva dello Stato resta limitata alla legislazione attuativa rientrante nelle materie elencate nel secondo comma dell’art. ��7 mentre per tutte le materie restanti deve comunque intervenire il legislatore regionale”. Conclude l’Autore: “E’ certo comunque che, sulla base del nuovo sistema costituzionale, l’intervento del legislatore regionale è costituzionalmente necessario ogniqualvolta si tratti di dare attuazione ad atti normativi comunitari che richiedono l’adozione con legge e che non rientrino nel limitato numero di materie riservate alla competenza dello Stato”. Pizzetti F. (�00�), “Le nuove esigenze di governance in un sistema policentrico «esploso»”, in Le Regioni, n° 6/�00�, pag. ��58.94 Corte Costituzionale, sentenza n. �7� del �7 luglio �004, punto 3.95 Nella stessa Sentenza, la corte precisa: “Secondo l’interpretazione di questa Corte, la tutela della concorrenza «non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre gli squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» (sentenza 14/2004)”.

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Poiché la tutela della concorrenza è da considerarsi una materia-funzione, trasversalmente intrecciata con altri interessi e assai difficilmente circoscrivibile, essa deve trovare una limitazione nel criterio di proporzionalità-adeguatezza in base al quale gli interventi dello Stato devono essere ragionevolmente proporzionati agli obiettivi perseguiti. In base a ciò, lo Stato non può ad esempio individuare in modo dettagliato i vari criteri con cui si individua il vincitore di una gara per la gestione di un SPL.

Per ciò che riguarda i problemi e le questioni connesse all’inquinamento da elettromagnetismo o alla costruzione degli elettrodotti, si deve prendere a riferimento la legge statale �� febbraio �00�, n° 36 (“Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”), ma è stata necessaria una pronuncia della Corte Costituzionale (la già citata sentenza n° 307 del �00396) per precisare che i valori soglia dei campi elettromagnetici previsti dalla legge non potevano essere oggetto di normativa regionale, neppure per essere abbassati. La sentenza riconosce, infatti, accanto ad interessi di tutela della salute delle persone, che avrebbero indotto alcune Regioni (in particolare Marche, Campania, Umbria e Puglia) ad abbassare il valore del campo magnetico prodotto dagli elettrodotti, anche altri interessi nazionali legati allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione ed alla distribuzione di energia, che necessitano di criteri unitari e normative omogenee su tutto il territorio nazionale97.

La stessa sentenza nega, inoltre, la possibilità che una legge regionale preveda che, in sede di rilascio delle autorizzazioni per la costruzione di nuovi impianti di generazione, i gestori ed i concessionari debbano “dimostrare le ragioni obiettive della indispensabilità degli impianti stessi ai fini dell’operatività del servizio” (come invece era previsto all’art. � della già ricordata legge dell’Umbria �4 giugno �00�, n° 9, recante “Tutela sanitaria ed ambientale dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”). Tra l’altro, la Corte ha motivato la pronuncia non richiamando i principi di tutela della concorrenza, di competenza esclusiva dello Stato, ma precisando che il dover ottemperare ad una tale richiesta finirebbe per “attribuire all’amministrazione autorizzante un largo ed indeterminato potere discrezionale che può finire per configurarsi come arbitrio”.

A questo proposito, è interessante segnalare la recente sentenza della Corte Costituzionale in merito al ricorso dello Stato contro la legge regionale dell’Umbria del �4 giugno �00�, n° 9, recante “Tutela sanitaria ed ambientale dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, che invocava, tra le altre cose, la competenza legislativa esclusiva in tema di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, come indicato dal nuovo art. ��7 Cost. al secondo comma, lettera s. La Corte ha invece respinto, sul punto, il ricorso, precisando che “la «tutela dell’ambiente», più che una materia in senso stretto, rappresenta un compito nell’esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le regioni e non derogabili da queste; e ciò non esclude affatto la possibilità che leggi regionali, emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. ��7, terzo comma, della Costituzione, o di quella «residuale» di cui all’art. ��7, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela dell’ambiente”. Cfr. Sentenza Corte Cost. n° 307 del 2003, al punto 5 dei “considerato in diritto”. Della sentenza n° 383 del �005 abbiamo già parlato all’inizio di questo paragrafo e alla nota 7�.

2.6Le opportunità per la Toscana

Come già detto, il settore energetico negli ultimi anni ha assunto una valenza strategica via via crescente ed anche per questo è stato al centro di numerosi provvedimenti di legge che hanno in qualche modo tentato di dare un indirizzo al suo sviluppo.

È ragionevole pensare che nei prossimi anni continueranno i due fenomeni già osservati in questi primi anni del duemila, vale a dire un costante intervento regolatorio da parte della Comunità europea,

96 Si veda la nota 63.97 “In sostanza, la fissazione a livello nazionale dei valori-soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell’energia e di ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”. Sentenza Corte Cost. n° 307 del �003.

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che sta faticosamente portando avanti il progetto di liberalizzazione dei settori in questione, ed un estenuante confronto fra lo Stato e le Regioni, nel tentativo di fissare in modo più definito possibile un equo confine fra le competenze del governo centrale e quelle delle istituzioni periferiche.

Le tendenze evolutive del primo fenomeno fanno presumere che obiettivo della Comunità europea sia quello di introdurre un sempre maggiore livello di liberalizzazione all’interno dei singoli Stati e, contemporaneamente, quello di uniformare le regole nei mercati nazionali, al fine di creare, o forse sarebbe meglio dire “istituzionalizzare”, un mercato europeo dell’energia che di fatto sta già prendendo forma. Il terzo pacchetto di direttive riguardanti i settori energetici, di cui abbiamo dato brevemente conto, sembra confermare questi orientamenti.

Per ciò che concerne questo lavoro, però, assume probabilmente maggior rilievo ciò che succederà nei prossimi anni relativamente al rapporto Stato/Regioni. Il progetto federalista, recentemente, sembra aver compiuto qualche passo indietro, a vantaggio del governo centrale, che sembra voler riprendere il controllo di tutte le fasi della filiera energetica, e in particolare di quelle a rete, che caratterizzano fortemente l’intero settore.

Proprio la caratteristica di industria a rete, che accomuna il comparto elettrico a quello del gas, non rende facile il trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni poiché l’industria a rete, “per sua natura, legata essenzialmente a ragioni tecniche, richiede assetti regolatori unitari e coerenti e mal sopporta una regolamentazione frammentaria e diversificata. Inoltre, tali settori, a cui si riconosce universalmente una valenza strategica in termini di competitività del sistema economico e di benessere collettivo, sono, appunto, ormai disciplinati in modo unitario e coerente a livello comunitario, almeno per quanto concerne gli obiettivi generali imposti dall’Unione Europea ai legislatori nazionali”98.

I margini di libertà lasciati alle Regioni sembrano quindi assottigliarsi. La stessa Toscana ha visto la legge regionale n° 39/�005 (Disposizioni in materia di energia) in parte censurata dalla Corte Costituzionale, che non ha permesso (come era lecito attendersi) l’anticipazione della completa apertura del mercato elettrico a partire dal �° gennaio �006, invece del �° luglio �007, in quanto si sarebbe violata la normativa comunitaria in materia, e che non ha permesso alle amministrazioni locali di disciplinare in forma esclusiva il servizio di distribuzione energetica mediante il contratto di servizio, che di fatto andava a sostituire la concessione, contravvenendo a quanto previsto sia dalla legge n° �39/�004 che dal precedente decreto Bersani99.

Da quanto fin qui detto, quindi, emerge che nei prossimi anni l’attività che la Regione potrà eventualmente svolgere a sostegno delle iniziative energetiche locali sarà piuttosto limitata e si potrà concentrare sulla fase della vendita, per ciò che riguarda il gas, e sulle fasi di produzione e vendita, per quanto riguarda l’energia elettrica, fermo restando il limite imposto dal principio della tutela della concorrenza.

Le possibilità di intervento più ampie sono probabilmente quelle relative alla produzione di energia elettrica e all’incentivazione dell’utilizzo di alcune forme di risorse rinnovabili, anche se alcuni cambiamenti futuri del contesto normativo nazionale potrebbero aprire nuove possibilità. Il riferimento, in questo caso, è alla possibilità che una legge nazionale incentivi la nascita di imprese di distribuzione del gas di dimensioni maggiori, individuando dei bacini territoriali ottimali serviti da un unico gestore, dato che è opinione diffusa che le aziende attuali siano caratterizzate da una dimensione media troppo ridotta. In questo caso, come già accaduto per il settore dei rifiuti e per quello idrico, le Regioni potrebbero essere chiamate ad individuare i propri ambiti territoriali ottimali all’interno dei quali organizzare la distribuzione del gas in maniera più efficiente�00.

98 Caiazzo R. (�006), “La disciplina dell’energia e delle telecomunicazioni”, in Federalismo e concorrenza, ricerca presentata dal Formez, a cura di D’Alberti M., in corso di pubblicazione.99 Sentenza Corte Cost. n° �48 del �006.�00 Si veda il già citato disegno di legge Bersani, come approvato dalla Camera dei deputati in data �3 giugno �007 (v. Stampato Camera n° 2272-bis-bis).

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Appendice

Nella direttiva �003/55/CE del �6 giugno �003 relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale, che abroga la direttiva 98/30/CE, si stabilisce che:- gli Stati membri possono imporre alle imprese che operano nel settore del gas obblighi di

servizio pubblico, compresa la tutela dei consumatori e dell’ambiente (art. �);- ogni Stato deve individuare un gestore del sistema fra le imprese che possiedono impianti di

trasporto, stoccaggio o GNL, e che tale gestore debba astenersi da discriminazioni tra gli utenti (art. 8);

- il gestore del sistema di trasporto, se fa parte di un’impresa verticalmente integrata, deve essere indipendente almeno sotto il profilo della forma giuridica dalle altre attività non connesse al trasporto (art. 9);

- la stessa previsione vale per l’impresa che ricopre il ruolo di gestore del sistema di distribuzione (art. �3);

- gli Stati membri garantiscono l’attuazione di un sistema di accesso dei terzi ai sistemi di trasporto e di distribuzione nonché agli impianti di GNL basato su tariffe pubblicate praticabili a tutti i clienti idonei, applicato obiettivamente e senza discriminazioni (art. �8). Con questa norma si abolisce di fatto il sistema di accesso basato sulle tariffe negoziata fra i terzi ed il gestore;

- le imprese di gas naturale possono rifiutare l’accesso al sistema qualora non dispongano della capacità necessaria o nel caso in cui l’accesso impedirebbe loro di adempiere ad obblighi di servizio pubblico o sulla base di gravi difficoltà economiche e finanziarie in relazione ai contratti take or pay. Gli Stati membri possono adottare misure necessarie per garantire che le imprese che rifiutano l’accesso al sistema per mancanza di capacità provvedano ad apportare i miglioramenti del caso ove economicamente giustificabile o qualora un cliente potenziale sia disposto a sostenerne il costo (art. ��);

- è previsto che tutti i clienti non civili siano “clienti idonei” a partire, al più tardi, dal 1° luglio �004. dal �° luglio �007 tutti i clienti saranno idonei (art. �3);

- ogni Stato membro deve istituire obbligatoriamente un’Autorità di regolamentazione che assicuri la non discriminazione, l’effettiva concorrenza e l’efficace funzionamento del mercato. se necessario, le autorità di regolamentazione hanno il potere di imporre ai gestori dei sistemi di trasporto, distribuzione e GNL di modificare le condizioni di accesso, comprese le tariffe (art. �5);Nella direttiva �003/54/CE del �6 giugno �003 relativa a norme comuni per il mercato

dell’energia elettrica, che abroga la Direttiva 96/9�/CE, si stabilisce che:- gli Stati membri devono provvedere affinché tutti i clienti civili e (facoltativamente) le piccole

imprese possano usufruire nel proprio territorio del servizio universale, cioè del diritto alla fornitura di energia elettrica di una qualità specifica a prezzi ragionevoli. Per assicurare ciò può essere designato un fornitore di ultima istanza (art. 3);

- si devono designare uno o più gestori della rete di trasmissione (art. 9). Al gestore può essere imposto che mentre si effettuano le operazioni di dispacciamento degli impianti di generazione si dia la precedenza agli impianti di generazione che impiegano fonti energetiche rinnovabili o rifiuti, o che assicurano la produzione mista di calore e di energia elettrica (art. 11);

- se il gestore della rete di trasmissione appartiene ad un’impresa verticalmente integrata si deve operare una separazione societaria dalle altre attività non connesse alla trasmissione (art. �0);

- si devono designare uno o più gestori del sistema di distribuzione (art. 13): questo non deve discriminare gli utenti del sistema e può essere obbligato a dare la precedenza agli impianti di generazione che impongono fonti energetiche rinnovabili o rifiuti o che assicurano la produzione mista di calore e di energia elettrica (art. �4);

- anche per il gestore della rete di distribuzione è prevista la separazione societaria nel caso si verticalmente integrato con altre fasi della filiera (art. 15);

- l’accesso al sistema è regolamentato e avviene mediante tariffe pubbliche (art. �0);- ogni Stato membro deve individuare uno o più organismi competenti con la funzione di

Autorità di regolamentazione, cui è attribuito il compito di assicurare la non discriminazione, l’effettiva concorrenza e l’efficace funzionamento del mercato.

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�. I SERvIZI ENERGETICI IN TOSCANA: EvOLUZIONE E POSSIBILI SCENARI NEL MERCATO DEL GAS

3.1Introduzione

In questo capitolo e nel successivo verranno presentate alcune possibili traiettorie evolutive lungo le quali potrebbero muoversi, nei prossimi anni, le imprese di servizi energetici toscane. Il compito risulta tutt’altro che agevole a causa dei profondi cambiamenti che tali servizi, così come i servizi pubblici locali in genere, stanno attraversando in questi ultimi anni. Oltre alle molte variabili in gioco, la previsione è resa ancora più difficile dalla mancanza di linearità con cui i cambiamenti si susseguono, circostanza che rende assai avventuroso riuscire a tracciare un ipotetico sentiero di evoluzione: il quadro normativo nazionale, infatti (come descritto nel capitolo precedente), appare a oggi piuttosto confuso, e i suoi continui cambiamenti di rotta contribuiscono ad aumentare l’incertezza.

A ciò si aggiunge il fatto che nei prossimi anni si inaugurerà il periodo delle gare per la gestione delle reti di distribuzione che, a giudizio di chi scrive, rappresenterà il vero momento chiave nel processo di riassetto del settore, poiché sarà l’occasione per il mercato di operare una prima selezione degli operatori, e, di conseguenza, una delle fasi più importanti del processo di liberalizzazione del settore.

Come si presenterà il settore della distribuzione del gas in Toscana dopo questo periodo, resta ad oggi difficilmente ipotizzabile: come se non bastasse, l’attuale disciplina delle gare presenta ulteriori elementi di incertezza e veri e propri “buchi normativi” che dovranno presumibilmente essere colmati dall’Autorità di settore, ma che contribuiscono a rendere ancora più confuso e indeterminato lo scenario futuro che andremo qui a descrivere�0�.

Il fatto di doversi concentrare sulle dinamiche del contesto regionale se, da un lato, limita geograficamente lo scenario e quindi semplifica il compito di questo capitolo, dall’altro risente necessariamente della mancanza di una legge regionale sui SPL e, di conseguenza, non può tener conto di una variabile assai importante per la futura evoluzione del comparto.

3.2Il settore del gas in Toscana: alcuni dati di sintesi

Il settore del gas in Toscana vede la presenza di imprese pubbliche, private e di gestioni in economia. Fra le prime ci sono quelle di maggiore importanza in termini di metri cubi di gas erogato e popolazione servita e, grazie alla loro appartenenza al circuito Cispel Confservizi Toscana, sono anche quelle che presentano un numero maggiore di dati disponibili.

In particolare, nel �003 le società pubbliche o miste di distribuzione di gas in Toscana erano 12 e coprivano il 78% della popolazione (poco meno di 2.800.000 persone), suddivisa in 174 comuni�0�, producendo, insieme alle rispettive società di vendita, 737 milioni di euro di fatturato e impegnando 1.067 addetti (di cui appena il 10% impiegato nelle aziende di vendita); il gas distribuito è stato pari a �,� miliardi di mc�03.

Per ciò che riguarda la sola distribuzione di gas, la Toscana è la regione che presenta, dopo l’Emilia Romagna, il più alto tasso di copertura regionale dei comuni: il 91,3% (contro il 98,8% dell’Emilia Romagna) risulta infatti allacciato alla rete nazionale di distribuzione del gas, con

�0� Le incertezze principali sono relative alla determinazione di un’equa misura del canone che gli enti locali possono esigere dai gestori delle reti locali di distribuzione, in percentuale del VRD (vincolo ricavi distribuzione, come definito dall’AEEG), e al destino dei dipendenti del gestore uscente (nel caso che non riesca avincere la gara per l’assegnazione della gestione della rete). Sul punto si veda Pinto A. (�006), “Il pubblico servizio di distribuzione del gas tra riordino e disordine”, in Mercato Concorrenza Regole, n° �/�006, in particolare pagg. �89 e ss.�0� Dati tratti da CISPEL Consfervizi Toscana(2004), “Acqua, rifiuti, gas, trasporti: la Toscana dei servizi pubblici”, in I quaderni.net, supplemento al numero 32/2004 di Net, pag. �3.�03 CISPEL Consfervizi Toscana (�006), “Rapporto sui servizi pubblici in Toscana”, XIa edizione, pag. 40.

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le province di Prato e Firenze che toccano addirittura la quota del 100%�04. In termini di metri cubi erogati, invece, la Toscana si attesta al quinto posto a livello nazionale, dietro alla Lombardia, all’Emilia Romagna, al Piemonte ed al Veneto�05.

Anche in Toscana, così come nella maggioranza delle altre Regioni d’Italia, il decreto Letta ha innescato una serie di operazioni societarie fra le ex-municipalizzate specializzate nella vendita e nella distribuzione del gas che ha cambiato lo scenario regionale. Nel �998, in base ad un’indagine compiuta dall’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, in Toscana erano presenti 4� imprese di distribuzione, di cui 8 gestioni in economia, �� imprese private e �3 imprese pubbliche (facenti riferimento al circuito CISPEL Toscana)�06. In termini geografici, la ripartizione era quella illustrata nel grafico 3.3.

Oggi la situazione è parzialmente cambiata. Da un lato, il decreto Letta ha imposto la separazione societaria tra le attività di distribuzione e quelle di vendita, così che già alla fine del 2003 le principali ex-municipalizzate hanno creato aziende di distribuzione distinte da quelle di vendita; dall’altro, alcune di queste ex-municipalizzate hanno avviato una serie di operazioni di concentrazione che ha ridotto il numero delle società e, contemporaneamente, ne ha aumentato le dimensioni. La situazione attuale è raffigurata nella tabella 3.1, per ciò che riguarda le società di distribuzione, e in tabella 3.2, per quanto riguarda quelle di vendita. Nella tabella � dell’appendice sono riportati alcuni dati sintetici relativi alle 23 principali imprese, la cui attività copre l’86,4% del totale dei comuni toscani (248 su 287).

Tabella �.1PRINCIPALI SOCIETà DI DISTRIBUZIONE DI GAS TOSCANE

Società pubblicheCoingas spa Arezzo 100% ComuniConsiag Reti srl Prato 100% Consiag spaIntesa spa Siena 100% ComuniCis spa Montale (PT) 100% ComuniSermas spa Massarosa (LU) 100% Comuni

Società pubblico / privateASA spa Livorno Privato al 40 %Gestioni valdichiana spa Arezzo Privato al 5 %Toscana Gas spa Pisa / Pistoia Privato al 46 %SEA spa viareggio (LU) Privato al 40 %Gesam spa Lucca Privato al 40 %Fiorentina Gas spa Firenze Privato al 51 %Gea spa Grosseto Privato al 49 %

Fonte: Cispel Toscana

Tabella �.2PRINCIPALI SOCIETà DI vENDITA DI GAS TOSCANE

Società pubblicheCoingas Più srl Arezzo 100% Coingas spaConsiagas spa Prato 100% Consiag spaIntesa.com srl Siena 100% Intesa spaAmag srl Montale (PT) 100% Comuni

Società pubblico / privateASA trade Livorno 100% ASA spa (Privato al 40%)vea Energia Ambiente srl Pietrasanta (LU) Privato al �7%Eta � spa Arezzo Privato al ��%Ages vendite Pisa 100% Toscana Gas (Privato al 46 %)Publitrade spa Pistoia 100% Toscana Gas (Privato al 46 %)Seacom srl viareggio srl 100% SEA spa (Privato al 40 %)Gesam Gas spa Lucca 100% Gesam spa (Privato al 40 %)Fiorentina Gas Clienti Firenze Privato al 100%Gea spa Grosseto Privato al 70%

Fonte: Cispel Toscana

�04 Dati di fonte Snam (�998), citati in Noferini A. (�003), “La riforma dei servizi pubblici locali nell’esperienza toscana”, IRPET, pag. 98.�05 Più in particolare: Lombardia 7.973 milioni di metri cubi erogati, Emilia Romagna 4.223, Piemonte 3.744, Veneto 3.663 e Toscana �.�44. Dati di fonte Snam risalenti al �998 e citati in Bernardini O., Di Marzio T. (�00�), “La distribuzione del gas a mezzo reti urbane in Italia: analisi del settore alla vigilia della liberalizzazione”, pag. 88.�06 Bernardini O., Di Marzio T. (�00�), op. cit., pag. 33.

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Il quadro regionale delle imprese di distribuzione e vendita di gas appare perciò molto dinamico, ma per meglio comprendere quale possono essere le direzioni di sviluppo verso le quali si indirizzeranno le aziende del comparto nei prossimi anni, conviene descrivere in modo più dettagliato ciò che è accaduto dal 2000, anno in cui è intervenuto il decreto Letta, fino ai giorni nostri.

Figura �.�DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DELLE SOCIETà DI DISTRIBUZIONE DI GAS

Fonte: Cispel Toscana

3.3Le dinamiche evolutive nel mercato della distribuzione e della vendita del gas

3.3.� Prima fase: il recente passatoL’introduzione del decreto Letta, che ha ri-disciplinato tutta la filiera del gas, ha introdotto diverse novità all’interno del settore, che possono essere riassunte nei punti seguenti:- liberalizzazione completa dell’attività di vendita;- libertà di accesso alle reti di distribuzione;- possibilità, per tutti i consumatori, di scegliere il proprio fornitore di gas a partire dal �° gennaio

�003.Inoltre, è stata introdotta una forma di concorrenza per il mercato anche per il servizio di

distribuzione del gas e, nei prossimi, anni i gestori delle reti locali potranno essere scelti esclusivamente mediante gara: in base al decreto Letta, però, il momento della gara può essere ritardato attraverso il prolungamento del periodo transitorio, durante il quale è possibile mantenere temporaneamente in essere le concessioni esistenti al momento in cui è entrato in vigore lo stesso decreto.

Questi cambiamenti hanno aperto nuovi scenari ed hanno improvvisamente posto le imprese ex-municipalizzate di fronte a problematiche del tutto nuove. La prima, e più rilevante, è stata

SERvIZIO GASCispelEconomiaAltra

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senza dubbio quella relativa alla clientela, che non può più essere considerata dalle aziende alla stregua di un insieme di utenti vincolati al monopolista locale, ma un gruppo di singoli consumatori da fidelizzare e, eventualmente, da ampliare. La seconda, diretto corollario della prima, è rappresentata dalla necessità di elaborare quanto prima nuove strategie competitive per non soccombere di fronte ai concorrenti.

In sintesi, aziende che fino al 2000 erano state gestite in modo da perseguire prevalentemente o esclusivamente finalità economico-sociali di tipo non lucrativo�07, hanno dovuto introdurre sistemi contabili, di controllo e di gestione del tutto in linea con le altre società di diritto privato, dato che, esattamente come queste ultime, anche loro saranno adesso mosse da interessi lucrativi economico-finanziari (di remunerazione del capitale investito) e lucrativi tecnico-economici (miranti allo sfruttamento di sinergie fra varie attività, in base ad una logica di gruppo)�08. Per queste ragioni, le imprese del comparto hanno attraversato un periodo di riconversione e riorganizzazione che probabilmente non può ancora dirsi concluso.

Inizialmente, si parlò di “tre vie verso la liberalizzazione”�09, ad indicare che le strade percorribili per restare competitivi anche nel nuovo contesto concorrenziale erano principalmente tre.

Una prima strategia per affrontare il processo di liberalizzazione del settore, e la conseguente apertura del mercato alla concorrenza, è stata quella di mantenere il capitale completamente pubblico e focalizzare le proprie risorse sul territorio di origine. Questa è la strategia che, almeno in apparenza, permette alle imprese ex-municipalizzate di cambiare il meno possibile rispetto allo scenario ante-liberalizzazione, poiché la loro caratterizzazione principale resta quella di strumenti utilizzati dagli enti locali per raggiungere obiettivi di governance locale.

Va comunque precisato che le crescenti dinamiche competitive impongono a queste società di non restare isolate, ma di cercare partner esterni in grado di apportare nuove risorse e know how: in mancanza di uno o più soci privati all’interno del capitale delle società, l’alternativa può essere quella di cercare alleanze e collaborazioni con altre imprese, soprattutto per aumentare il proprio potere contrattuale di fronte ai fornitori/importatori di gas (in particolare, ENI). Esempio di questa strategia è stata la società Consiag (operante nel territorio pratese) che, nel �00�, insieme ad altre ex-municipalizzate, ha costituito una società, la Compagnia Toscana del Gas��0 (CTG), “orientata in primo luogo, ma non limitatamente, alla ricerca e quindi alla scelta degli interlocutori, sia in ambito nazionale che in ambito internazionale, per l’approvvigionamento della materia prima”���.

Lo scopo di questa operazione è stato quello di unire insieme le capacità di acquisto delle singole realtà locali (nel complesso, pari a circa 800.000.000 mc3) per aumentare il potere contrattuale nei confronti dei fornitori, senza che gli enti locali perdessero il controllo totale della società. Questo tipo di strategia aveva però il limite di allungare ulteriormente la catena dei già numerosi passaggi che caratterizzano il percorso del gas da quando viene estratto a quando viene consumato: di fatto, il trade off fra un maggior potere contrattuale delle aziende municipalizzate e l’innalzamento dei costi di intermediazione non permetteva di bilanciare a sufficienza il rapporto di forza, che restava sempre decisamente a vantaggio del fornitore.

Per ovviare a questo problema, nell’aprile del �003 alcune delle imprese che facevano parte della CTG fanno il loro ingresso in Blugas���, una società import trader che opera direttamente

�07 Come osserva Paci, “L’insieme degli interessi a carattere non lucrativo, di natura economico-sociale, costituisce il nucleo essenziale di finalità cui il sistema dei servizi pubblici locali, storicamente, si è dedicato con maggiore attenzione e continuità. La rilevanza sociale ed economica dei servizi erogati, la valutazione politica della loro essenzialità, l’importanza di garantire l’accesso anche alle fasce sociali più svantaggiate e la necessità di infrastrutturazione delle aree più periferiche hanno rappresentato i fattori che hanno reso prioritario il perseguimento di tali interessi”. L’Autore continua precisando che, anche per le imprese che hanno aperto al capitale privato, “l’attuale fase evolutiva non deve necessariamente tradursi in un radicale abbandono di queste priorità ma deve altresì essere orientata al perseguimento di un sufficiente grado di integrazione e di coesione tra scopi sociali e scopi di natura imprenditoriale volti alla creazione di valore economico” (corsivo nostro). Paci A. (�003), “Le public utilities di fronte all’evoluzione del contesto competitivo: verso una riconfigurazione degli assetti e dell’architettura strategica dell’impresa”, Università degli studi di Firenze, Dipartimento di Scienze Aziendali, pag. 5�.�08 Cfr. Vallini C. (�990), “Fondamenti di governo e di direzione d’impresa”, Giappichelli Editore, pag. 55 e ss.�09 Così Daniele Fortini, presidente di Publiservizi, in un suo articolo apparso su NET Economia dei servizi pubblici locali n° �7, novembre-dicembre �00�, pag. 9.��0 Le aziende che hanno fatto parte della società consortile Compagnia Tosca del Gas sono: Amag (Agliana), Amiata Gas (Castel del Piano), ASA (Livorno), Sea (Viareggio), Coingas (Arezzo), Consiag (Prato), Gestioni Valdichiana (Montepulciano), Intesa (Siena) e Salerno Energia (Salerno).��� Si veda www.consiag.it.��� Blugas è stata costituita nell’ottobre �000 da Tea spa Mantova, da Aem spa Cremona, Asm Pavia spa e Astem spa Lodi: in seguito all’accordo sono entrate a farne parte anche Consiag, Intesa, Amag e Salerno Energia.

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nelle fasi dell’acquisto, del trasporto e dello stoccaggio, allo scopo di competere direttamente con ENI e non giocare lo scomodo doppio ruolo di clienti/concorrenti: Blugas ha infatti rilevato i diritti per l’importazione di gas in Italia detenuti dalla società americana Enron Europa in seguito al suo fallimento e, allo stato attuale, è uno dei (ancora non numerosi) attori nazionali che possono importare gas in Italia acquistandolo direttamente all’estero e senza dover contrattare alcun tipo di servizio con ENI. In questo modo la competizione può avvenire lungo tutte le fasi della filiera e non è limitata a quelle finali.

Questa strategia, se da un lato permette alle aziende locali di mantenere una certa autonomia decisionale e garantisce l’indipendenza dall’incumbent, dall’altro non permette di sfruttare la possibilità di allungare il periodo transitorio (prevista dal decreto Letta per tutte quelle imprese che privatizzano almeno il 40% del capitale o che si fondono con altre aziende) e costringe a prepararsi in anticipo ad affrontare la gara per la gestione della rete di distribuzione, prevista inizialmente a partire dal �° gennaio �006.

Una seconda strada per affrontare la liberalizzazione è quella intrapresa dal Comune di Firenze, che ha scelto di privatizzare completamente l’attività di vendita, ceduta ad Italgas, e di restare attivo solo nella gestione della rete. Questa scelta è stata in parte dettata dal fatto che, già prima della liberalizzazione, Italgas possedeva il 54% di Fiorentinagas, ed in parte dettata dalla ricerca di una maggiore efficienza nella distribuzione e nella vendita del servizio, che un’impresa leader nel settore come Italgas dovrebbe poter garantire. Questa strada è stata percorsa da quegli enti che hanno deciso di uscire definitivamente dal settore della vendita, particolarmente esposto alla concorrenza e dove, perciò, maggiore è l’esigenza di disporre di competenze e know how di elevata qualità; questa scelta, tra l’altro, consente agli enti locali di poter concentrare le proprie risorse nella gestione delle infrastrutture.

Con l’ingresso di un socio privato che opera a livello nazionale e che mira ad ottenere economie di scala, i rischi maggiori sono quelli di un allontanamento dei centri decisionali dalle utenze locali: questo può avvenire sia in senso letterale, attraverso una strategia di riduzione dei costi potrebbe portare a diminuire gli uffici e gli addetti, sia in senso metaforico, in quanto le scelte di investimento, la gestione delle risorse l’elaborazione di una politica di sviluppo potrebbero essere decise a livello centrale piuttosto che locale.

Una terza via seguita dalle ex-municipalizzate toscane è stata quella di far entrare un partner privato sia nella vendita che nella gestione della rete, mantenendo però la maggioranza pubblica. Questa era forse la strategia preferibile in base al decreto Letta, visto che permette di allungare il periodo transitorio prima di dover indire la gara per la gestione della rete di distribuzione e, di fatto, è allo stato attuale la strada percorsa dalla maggioranza delle imprese toscane (Publienergia ed AGES, per restare al gruppo di aziende citate all’inizio), che hanno scelto quasi tutte ACEA ed Italgas (e quindi ENI) come partner industriale, tanto per la vendita del gas quanto per la gestione della rete. Il binomio maggioranza pubblica/minoranza privata permette, da un lato, di salvaguardare il marchio locale e, soprattutto, di far esercitare all’ente pubblico un più agevole controllo sulla qualità della fornitura e sulla tutela delle utenze; dall’altro, dovrebbe consentire una gestione del servizio con criteri più vicini a quelli di una azienda privata e maggiormente improntati alla ricerca dell’efficienza ed alla riduzione dei costi e degli sprechi.

Gli enti che hanno percorso questa strada sono però consapevoli che la difficoltà maggiore, in questi casi, è quella di conciliare l’ottica pubblica e l’ottica privata o, in altre parole, gli interessi di chi pone l’attenzione alle utenze più disagiate e agli investimenti sulle infrastrutture, e quelli di chi vuole principalmente remunerare il capitale investito e aumentare gli utili. Il problema si acuisce particolarmente laddove, ad esempio, il socio privato nomina l’amministratore delegato della società mista e il socio pubblico ha la maggioranza dei membri che siedono nel consiglio d’amministrazione.

3.3.� Seconda fase: il presenteIl panorama toscano delle imprese ex-municipalizzate di distribuzione e vendita di gas ha conosciuto, fra il �00� ed il �006, una stagione di ulteriori cambiamenti. Dopo un primo periodo in cui le singole imprese si sono differenziate in base all’assetto proprietario scelto (società pubblica, a maggioranza pubblica o a maggioranza privata), è iniziata una seconda fase caratterizzata dalla ricerca della dimensione efficiente. Alcune aziende toscane, infatti, hanno inaugurato la stagione delle aggregazioni, con l’obiettivo di raggiungere una massa critica e una dimensione

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che permettesse loro di sfruttare le economie di scala presenti nelle fasi a valle della filiera. Così, a partire dal 2002 alcuni gestori toscani operanti a livello locale e provinciale hanno

deciso di riunirsi: il progetto, guidato da Italgas��3 ed Acea��4, che in Toscana sono partner in diverse società del settore, mirava a costituire un operatore di livello regionale, Toscana Gas, che avrebbe dovuto essere uno dei principali attori a livello nazionale in termini di utenze servite.

Nel �00� Italgas ed Acea hanno creato una joint venture, la Partecipazioni Industriali in cui Italgas detiene l’85% ed Acea il 15%, per rilevare il 46% di Ages, la municipalizzata del gas attiva nella provincia di Pisa��5. In seguito all’operazione, il capitale di Ages è stato ripartito come indicato in tabella 3.4.

Tabella �.4RIPARTIZIONE DEL CAPITALE DI AGES PISA

Azionisti AGES Quote

Partecipazioni Industriali (Italgas/Acea) 46,182Monte dei Paschi di Siena 0,779Banca Toscana 0,779Totale soci privati 47,739Comune di pisa 12,674Provincia di Pisa 0,501Altri 29 comuni �9,086Totale soci pubblici 52,261

Fonte: AGCM (200�), Bollettino n° 49/200�

Agli inizi del �004 la società Ages si è fusa per incorporazione con Publienergia��6 (del gruppo Publiservizi), che raccoglie le municipalizzate di Empoli e della provincia di Pistoia, e ha dato vita a Toscana Gas��7. In seguito, per riportare il peso di Italgas ed Acea all’originario 46%, Publienergia ha ceduto loro un pacchetto di azioni di Toscana Gas in cambio di �6,6 milioni di euro��8 (Tab. 3.5).

Fra il 2004 ed il 2005, inoltre, Toscana Gas ha acquistato il 100% del capitale di Energia Valdarno (attiva sia nella vendita del gas che nella gestione della rete in alcuni Comuni del Valdarno) e partecipazioni pari al 40% di SEA Viareggio.

��3 Italgas, la principale società nazionale di distribuzione del metano che a fine 2002 risultava affidataria del servizio di distribuzione di gas naturale in 1.502 comuni italiani (su 5.320 metanizzati, vale a dire circa il 30% del totale ed il 37% delle utenze allacciate), è controllata da ENI che, tramite la sua controllata Sofid Spa, deteneva agli inizi del 2003 una partecipazione pari al 43,96% circa del suo capitale. Dei �5 membri del consiglio di amministrazione, 8 (tra cui il presidente ed i due vice presidenti) erano dipendenti (e nominati da) ENI. Cfr Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (�003), provvedimento C5640, “Italgas/Fiorentinagas Clienti et al.”, in Bollettino n° �-�/�003. Nel corso dei primi mesi del �003 ENI ha poi acquisito la totalità del capitale di Italgas attraverso un’opa da �.539 milioni di euro. Italgas è attiva anche nel mercato della vendita di gas naturale attraverso la sua controllata Italgas Più.��4 La società Acea Spa opera sul territorio del comune di Roma, e in alcuni comuni limitrofi, nelle attività di produzione, trasporto, trasformazione e distribuzione di energia elettrica e calore, nella gestione integrata delle risorse idriche e nella progettazione, realizzazione e gestione dei sistemi di illuminazione pubblica e impianti semaforici. Il 51% del capitale sociale di ACEA è detenuto dal Comune di Roma, mentre la restante parte del capitale sociale è quotata in borsa. Cfr. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (�00�), provvedimento C5060, “Italgas-Acea/Ages”, in Bollettino n° �4/�00�.��5 Ages è una società attiva nella distribuzione di gas naturale in 3� comuni ubicati nelle province di Pisa, Lucca e Firenze, e, attraverso la sua controllata Ages Vendite, anche nella vendita del gas naturale. Cfr. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (�003), provvedimento C6�69, “Ages-Publienergia/Toscana Gas”, in Bollettino n° 49/2003. Prima della privatizzazione, il 98,44% del capitale di AGES era detenuto da 30 comuni toscani e dalla Provincia di Pisa, mentre due soci privati (Monte Paschi di Siena e Banca Toscana) detenevano il restante 1,56%. Il principale azionista di Ages era il comune di Pisa con una quota del 23,91%.��6 Publienergia è una società attiva nella distribuzione di gas naturale in �4 comuni ubicati nelle province di Pistoia e Firenze, nonché, attraverso la sua controllata (al 100%) Publitrade, nella vendita di gas naturale. Publienergia è controllata in maniera esclusiva da Publiservizi, il cui capitale sociale è a sua volta detenuto al 99,63% da soci pubblici (36 comuni toscani) mentre il restante 0,37% appartiene a un socio istituto bancario (Cassa di Risparmio di San Miniato) e alla Publiservizi stessa. Cfr. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (�003), provvedimento C6�69, “Ages-Publienergia/Toscana Gas”, in Bollettino n° 49/�003. ��7 Toscana Gas spa dovrebbe distribuire circa 430 milioni di mc3 di gas e servire �30.000 utenti in Toscana.��8 Per i dettagli dell’operazione si veda anche Pianetti A. (�003), “In arrivo il quinto player del gas”, articolo apparso su MF il 9-��-�003 a pag. ��. Dal punto di vista della governance, i patti parasociali stipulati fra le parti prevedono che il Consiglio di Amministrazione della società sarà composto da nove membri, di cui cinque (fra i quali il presidente, eletti su designazione dei soci pubblici e quattro, fra cui l’amministratore delegato, su designazione di Partecipazioni Industriali. Per una breve descrizione dei principali punti dei patti si veda Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (�003), provvedimento C6�69, op. cit.

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Tabella �.5RIPARTIZIONE DEL CAPITALE DI TOSCANA GAS

Azionisti TOSCANA GAS Quote

Partecipazioni Industriali (Italgas/Acea) 46,101%Soci bancari 1,1�2%Totale soci privati 47,233%Totale soci pubblici 52,767%

Fonte: AGCM (200�), Bollettino n° 49/200�

Sul versante fiorentino, invece, c’è da rilevare l’aumento della partecipazione di Italgas in Fiorentina Gas Clienti (la società del gruppo Fiorentina Gas che si occupa della vendita del gas) che, nel 2003, è passata da 51,03% al 100%, confermando la vocazione di Italgas ad espandersi nelle fasi a valle della filiera, con una particolare predilezione per la distribuzione, in cui è la società leader a livello nazionale.

Successivamente, nel gennaio �006, i soci pubblici di Fiorentina Gas e di Toscana Gas e Italgas hanno dato vita a Toscana Energia, società specializzata nella distribuzione del gas, che mira a ricoprire un ruolo di rilievo anche a livello nazionale, in forza dei �.�00 milioni di metri cubi di gas distribuito con oltre 7.900 Km di condotte alle 600.000 utenze allacciate, distribuite in 97 Comuni della Toscana��9. In particolare, il controllo su Toscana Energia è realizzato congiuntamente da Fiorentina Gas e Toscana Gas, mentre il capitale di Toscana Gas è a sua volta controllato in modo congiunto da ENI, attraverso Italgas, e da alcuni Comuni della provincia di Firenze, Pisa e Pistoia, già azionisti, in precedenza, di Toscana Gas e Fiorentina Gas��0.

Infine, l’ultimo step del processo di fusione si è avuto nella prima metà del 2006, con la nascita di una società specializzata nella vendita del gas e che riunisce gli asset e le attività di vendita in precedenza svolte da Fiorentina Gas Clienti e Toscana Gas Clienti; il suo capitale è detenuto per il 79,2% da ENI, attraverso la controllata Italgas, e per il 20,8% da Toscana Energia.

Il risultato finale di queste operazioni è riassunto in figura 3.6.Allo stato attuale, quindi, il mercato toscano della distribuzione e della vendita del gas presenta

questi caratteri: da un lato, troviamo Toscana Energia, un gruppo d’imprese che ha perfezionato una strategia di aggregazione e di parziale apertura al capitale privato; dall’altro, sopravvivono alcune realtà locali di media dimensione, a capitale completamente pubblico e con una forte vocazione a soddisfare al domanda locale: fra queste, le realtà principali sono Consiag di Prato, Intesa di Siena e Coingas di Arezzo.

3.3.3 Terza fase: il possibile futuroDopo aver tacciato le linee evolutive che hanno segnato il panorama toscano della distribuzione e vendita del gas nei primi anni post-liberalizzazione, in questo paragrafo ipotizzeremo quali strategie potrebbero caratterizzare lo sviluppo futuro del comparto. Il tentativo, come già precisato all’inizio, è reso arduo dalla continua mutevolezza del quadro normativo e dalle dirette ricadute che lo stesso ha, inevitabilmente, sulle strategie delle imprese; tuttavia, si deve tenere in considerazione anche il fatto che il processo di liberalizzazione è iniziato nel �000 e, a sei anni di distanza, è possibile tracciare un primo bilancio di quanto è stato fatto in Toscana e individuare alcune possibili tendenze per il futuro.

La descrizione di ciò che è avvenuto fra il �000 ed il �006, quindi, non è stata solo didascalica; piuttosto, è ragionevole ritenere che le aziende in questo lasso di tempo abbiano gettato le basi per aumentare la propria competitività ed essere pronti ad affrontare le sfide che si presentano nel prossimo futuro, non ultima quella delle gare per la gestione delle reti locali di distribuzione, attraverso un’ulteriore definizione e completamento delle traiettorie percorse fino ad oggi.

In altre parole, nel prossimo futuro le tre vie ipotizzate alla fine degli anni ’90 si ridurranno molto probabilmente a due: la prima, caratterizzata dalla ricerca di una gestione economicamente efficace

��9 Stime tratte da NET Economia dei servizi pubblici locali (�003), n° 3�, pag. �4.��0 Cfr. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (�003), provvedimento C7836, “ENI-Toscana Energia/Toscana Gas Clienti-Fiorentina Gas Clienti”, in Bollettino n° 49/�003.

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Figura �.6RIPARTIZIONE DEL CAPITALE DI TOSCANA ENERGIA E SOCIETà CONTROLLATE *

ENI

Italgas

Toscana Energia

Toscana Energia Clienti

Toscana Gas Clienti

Fiorentina Gas Clienti

Publitrade Ages vendite SEA viareggio

Fiorentina Gas Toscana Gas

Comuni toscani**

SEA viareggio distribuzione

100%

79,2%

20,8%

100% 100%

49% 46%

5�%

51%

Banca Toscana Monte dei Paschi

1%

40% 40% 100% 100%

Energia valdarno

100%

Comune di Firenze***

Gesam Lucca

40%

* In azzurro le società di distribuzione**Altopascio,Bientina,Buti,Calci,Calcinaia,Capannoni,CapraiaeLimite,CascianaTerme,Cascina,Castelfiorentino,CastelfrancodiSotto,CerretoGuidi, Certaldo, Chianni, Crespina, Empoli, Fauglia, Fucecchio, Gambassi Terme , Lajatico, Lari, Lorenzana, Montaione, Montecarlo, Montelupo Fiorentino, Montespertoli, Orciano Pisano, Palaia, Peccioli, Pietrasanta, Pisa, Pistoia, Piteglio, Ponsacco, Pontedera, Quarrata, San Giminiano, San Giuliano Terme, San Marcello Pistoiese, San Miniato, Santa Croce sull’Arno, Staffoli, Santa Luce, Seravezza, Serravalle Pistoiese, Stazzema, Terricciola, vicopisano, vinci.***Bagno a Ripoli, Barberino di Mugello, Barberino val d’Elsa, Barga, Borgo San Lorenzo, Buggiano, Campi Bisenzio, Capannori, Castelfranco di Sopra, Castelnuovo Garfagnana, Certaldo, Chiesina Uzzanese, Dicomano, Fiesole, Firenze, Gaiole, Greve in Chianti, Impruneta, Incisa val d’Arno, Lamporecchio, Larciano, Laterina, Londa, Loro Ciuffenna, Massa e Cozzile, Monsummano Terme, Montecatini Terme, Pelago, Pergine, Pescia, Pian diScò,PieveaNievole,PieveFosciana,Pontassieve,PonteBuggianese,Porcari,Radda,Reggello,Rignanosull’Arno,Rufina,SanCasciano,SanGodenzo, San Piero a Sieve, Scarperia, Sesto Fiorentino, Tavarnelle, Terranuova Bracciolini, Uzzano, vaglia, vecchiano, vicchio.

delle risorse, da un’apertura più o meno significativa ai soci privati, da una strategia di crescita per via esterna tramite concentrazioni sia orizzontali che verticali (o, perfino, trasversali���) e da una “proiezione” su mercati almeno nazionali; la seconda, caratterizzata da un’apertura minima o nulla ai soci privati, dallo sfruttamento delle economie di densità, dalla preferenza per le concentrazioni verticali, e dalla focalizzazione sul mercato locale.

In estrema sintesi, il primo modello individua quelle ex-municipalizzate che ambiscono a diventare player attivi sul mercato nazionale, il secondo quelle che si mantengono più vicine al loro tradizionale e storico ruolo di strumenti di governance locale.

Prima di passare in rassegna i due modelli, vale la pena precisare che difficilmente avremo modelli “puri”, poiché, se da un lato la crescita dimensionale delle aziende di distribuzione e vendita di gas è auspicabile e auspicata nel nostro Paese���, vista l’estrema frammentarietà dei soggetti attivi dal

��� Una concentrazione è di tipo trasversale se coinvolge imprese di due settori diversi, per es. un’impresa di distribuzione del gas ed una di produzione di energia elettrica.��� Lo stesso decreto Letta incentiva l’aggregazione delle imprese di distribuzione, introducendo la possibilità di posticipare le gare per l’affidamento della gestione della rete a quelle imprese che, entro un certo termine, hanno realizzato una fusione societaria che consenta di servire un’utenza complessivamente non inferiore a due volte quella originariamente servita dalla maggiore delle due società oggetto di fusione (art. �5). Fra il �000 ed il �004 il numero delle imprese di distribuzione è passato da oltre 700 a circa 550 unità, mentre quelle di vendita si sono ridotte da 700 a circa 400. Cfr. Autorità garante della Concorrenza e del Mercato e Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (2005), “Indagine conoscitiva sullo stato della liberalizzazione dei settori dell’energia elettrica e del gas naturale”, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, pag. ��0.

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lato dell’offerta, dall’altro la presenza di enti pubblici nel capitale sociale della maggior parte di esse garantirà (o, almeno, dovrebbe garantire) il perseguimento di finalità sociali, accanto a quelle meramente economico-lucrative.

• Il primo modello: il player di rilevanza nazionaleCome abbiamo già rilevato, il periodo compreso fra il �000 ed il �005 è stato caratterizzato da numerose operazioni di concentrazioni che hanno ridotto il numero degli operatori sia a livello regionale che a livello nazionale; tuttavia, il processo non sembra ancora concluso, se è vero che:

“La ricerca delle economie di scala per questo segmento (la distribuzione) sembra aver spinto solo in minima parte verso la concentrazione, lasciando quindi ancora significativi spazi per recuperi di efficienza e maggiore competitività delle imprese, particolarmente per quelle di minori dimensioni. Tale processo di concentrazione è avvenuto sostanzialmente per effetto delle logiche di aggregazione parallelamente in atto nella fase della vendita di gas, anche se, significativamente, non sempre ad una aggregazione delle attività di vendita si è accompagnata l’aggregazione delle attività di distribuzione”��3.

A tal proposito, vale la pena sottolineare che, mentre nella fase della distribuzione il processo di riduzione del numero degli operatori appare univoco e progressivo, nella fase della vendita il fenomeno può essere rallentato o addirittura annullato dal numero di nuovi entranti��4.

Nelle fasi più a valle della filiera lo scenario italiano si presenta quindi ancora eccessivamente frammentato, con l’unica eccezione rappresentata da Italgas, che possiede circa il 30% della rete di distribuzione nazionale e vende gas a circa il 22% della clientela nazionale allacciata alle reti di distribuzione (attraverso Italgas Più). Restano quindi ulteriori margini per migliorare l’efficienza del comparto attraverso l’ottenimento di economie di scala, anche se, a partire dal �005, diverse imprese, soprattutto nel nord Italia, hanno iniziato a dare vita ad una serie di accordi volti alla creazione di soggetti di caratura quanto meno nazionale. È il caso dell’ormai prossimo accordo fra AEM Milano e ASM Brescia, entrambe quotate in Borsa, che dovrebbe portare alla creazione di una società con un giro d’affari di circa 5 miliardi di euro; dell’unione fra AMGA Genova e AEM Torino, che realizzano congiuntamente un giro d’affari di circa �,8 miliardi di euro; del possibile accordo fra Hera (società che raggruppa alcune delle principali ex-municipalizzate dell’Emilia Romagna, compresa quella di Bologna) e Enia (che nasce, a sua volta, dall’unione delle multiutility di Parma, Piacenza e Reggio Emilia), che porterebbe alla nascita di un polo emiliano-romaganolo del gas.

Di seguito tratteremo separatamente i vantaggi ottenibili dalle aggregazioni nella fase della distribuzione e in quella della vendita.

- La distribuzionePer ciò che concerne la distribuzione del gas, l’aumento dimensionale delle società permette di sfruttare alcune economie di scala grazie all’aumento meno che proporzionale dei costi di gestione della rete: infatti, riunendo molte reti locali in un’unica società di dimensioni maggiori, è possibile ridurre il numero di uffici e di addetti normalmente adibiti alla manutenzione e gestione della rete, e coordinare in modo più appropriato gli investimenti per lo sviluppo della stessa. Questo tipo di economie rappresenta un tipico esempio di economie di scala amministrative.

Un altro vantaggio che consegue dalla crescita dimensionale della società di distribuzione è quello che si ottiene grazie ad un maggior potere contrattuale nei confronti degli stakerholders. Una maggiore capitalizzazione attribuisce una maggiore forza contrattuale all’impresa: nel caso si intrattengano rapporti con istituti di credito, ad esempio, la maggiore dimensione aziendale potrebbe permettere di spuntare finanziamenti a condizioni migliori. Lo stesso discorso vale nel caso che la società di distribuzione decida di esternalizzare alcuni servizi presso aziende esterne, poiché anche in questo caso la grande dimensione permetterà di spuntare condizioni

��3 Autorità garante della Concorrenza e del Mercato e Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (�005), op. cit., pag. ��0.��4 “Nonostante la tendenza di fondo alla riduzione del numero di venditori, l’analisi dettagliata, nel periodo �003 – �005, mostra delle oscillazioni nel numero di imprese. In particolare, rispetto alle 4�5 autorizzazioni del mese di novembre �003 vi è stata una contrazione fino alle 393 del mese di gennaio 2005, per poi risalire alle 400 risultanti a giugno 2005. a fronte del processo di concentrazione, soprattutto per i piccoli operatori tradizionali, sembrerebbe pertanto prevalere l’entrata di nuovi soggetti nel mercato”. Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (2006), “Situazione del mercato della vendita di gas naturale ai clienti finali in Italia”, pag. 12, consultabile sul sito www.autorita.energia.it.

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contrattuali migliori, nonché di poter scegliere l’impresa cui esternalizzare detti servizi fra un numero maggiore di aziende.

Le operazioni di fusione e di accorpamento possono avere anche lo scopo di veder aumentare il valore delle società che si uniscono: il raggiungimento di una certa soglia dimensionale è infatti un requisito necessario per tutte le imprese che desiderano quotarsi in Borsa o per quelle che vogliono attrarre capitali privati dall’esterno. Specialmente i grandi player internazionali, infatti, sono interessati soprattutto all’acquisto di quote di imprese di distribuzione del gas di una certa dimensione, poiché il controllo della rete locale è spesso soltanto la mossa che precede l’ingresso nel mercato della vendita. La maggiore dimensione, inoltre, rende anche più difficoltosa l’eventuale scalata della società

Infine, oltre allo sfruttamento delle economie di scala, le fusioni possono portare anche vantaggi di altro tipo. Infatti, la crescita dimensionale, oltre a ridurre direttamente i costi gestionali e indirettamente quelli di finanziamento, permette in primo luogo di diminuire l’incertezza ed i costi relativi alle ricerca di risorse non presenti all’interno dell’azienda. Spesso, infatti, gli accordi e le fusioni con altre società hanno lo scopo di sfruttare alcune sinergie e complementarietà fra risorse strategiche presenti all’interno di più aziende e non replicabili, o difficilmente acquisibili sul mercato��5. In secondo luogo, le aggregazioni consentono anche di eliminare le sovrapposizioni organizzative, facendo leva sull’utilizzo trasversale delle best practice accumulate nelle diverse aziende (come nel caso, per esempio, dei processi amministrativi)��6.

Per tutti questi motivi, è prevedibile che il processo di aggregazione fra le ex-municipalizzate attive nella distribuzione del gas prosegua anche nei prossimi anni. La crescita dimensionale presenta però dei vantaggi anche per le imprese che vendono gas, come sarà illustrato di seguito.

- La vendita La vendita è la fase più a valle della filiera del gas: ciò implica che il prezzo di vendita finale debba coprire tutti i costi sostenuti nelle fasi precedenti delle filiera. Come si possono ridurre, allora, tali costi attraverso un strategia di crescita dimensionale?

Le prime economie di scala che si possono ottenere sono quelle relative ai costi della fase di approvvigionamento: un’azienda di vendita di maggiori dimensioni può ridurre i costi di approvvigionamento della materia prima grazie al proprio maggiore potere contrattuale nei confronti dei fornitori, che le deriva dai maggiori quantitativi di gas acquistato. Il prezzo della materia prima, infatti, decresce all’aumentare dei quantitativi acquistati��7.

La seconda fase della filiera, quella del trasporto, è un classico esempio di monopolio naturale e per questo motivo resta regolamentata dall’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (AEEG). Qualunque impresa che debba trasportare del gas da un punto di approvvigionamento ad uno di consumo deve utilizzare la rete nazionale di gasdotti gestita dalla società Snam e deve perciò sostenere il pagamento di una tariffa di trasporto. Tale tariffa, disciplinata dalla delibera n° ��0/0� dell’AEEG��8, è composta da una parte fissa e da una parte variabile.

In particolare, la parte fissa della tariffa dipende dalla quota di gasdotto prenotata(sul punto torneremo meglio nel paragrafo successivo) e quindi non viene calcolata sul gas effettivamente trasportato da Snam, ma sul massimo annuale di capacità prenotata sulla rete da parte da parte di ogni azienda venditrice. Ogni impresa che vende gas e che deve usufruire della rete di trasporto nazionale dovrà perciò prenotare una certa capacità su un determinato tratto di rete e pagare questa capacità anche se ne utilizza di meno: sarà quindi suo interesse occupare la maggior parte della capacità prenotata per tutto l’anno. Poter trasportare un maggior numero di metri cubi di gas

��5 Sul punto si veda Zerbini F. (�003), “Liberalizzazione dei mercati e strategie di sviluppo tramite accordi”, in Public utilities locali: alleanze e aggregazioni, a cura di Gilardoni A., Lorenzoni G., ed. EGEA, pag. 60 e ss.��6 Prioreschi R. (�004), “Consolidamento delle utility locali italiane: opportunità da cogliere”, in Management delle Utilities, n° �/�004, pag. 59.��7 Lo sa bene ENI, il quale, in base ad alcune stime, “risulta il soggetto in grado di sfruttare un notevole vantaggio di costo, con prezzi medi di vendita (periodo 2000-04) ai grandi clienti industriali spesso inferiori al 9% rispetto ai concorrenti. In taluni casi i concorrenti hanno praticato prezzi superiori ai clienti, rispetto all’ex-monopolista, con picchi di oltre il 20-23%”. Creatini R. (2006), “Il settore dell’energia: come liberalizzare in modo energetico?”, in Politiche di liberalizzazione e concorrenza in Italia, a cura di Pammolli F., Cambini C., Giannaccari A., pag. 79.��8 Autorità per l’energia elettrica ed il gas (�00�), “Criteri per la determinazione delle tariffe per il trasporto ed il dispacciamento del gas naturale e per l’utilizzo dei terminali di GNL”, Delibera n° 120/01 come modificata dalla delibera 2 luglio n° 127/02.

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permette quindi di ridurre l’incidenza media dei costi fissi di trasporto��9.Per meglio comprendere come l’aumento della quota di mercato di una società di vendita

possa permettere d sfruttare le bonomie di scala nella fase di trasporto, si darà di seguito una breve descrizione del funzionamento della rete di trasporto.

All’interno della rete nazionale gestita da Snam, il gas può spostarsi in due sensi, esattamente come fosse una strada a doppio senso di marcia: da ciò deriva la necessità di individuare un “senso prevalente” di marcia, che è quello che porta il gas dal sud al nord dell’Italia, dove il gas viene in prevalenza consumato, ed un senso contrario (dal nord al sud). Per il gas che si muove da sud a nord si parla di flusso, mentre per quello che si sposta in direzione contraria si parla di controflusso. In realtà, alcuni degli spostamenti del gas sono soltanto virtuali in quanto il gestore della rete bilancia e compensa flussi e controflussi in modo che nella rete ci sia il minore movimento di gas possibile, sia per ridurre al minimo i rischi di congestione, che per motivi legati alla minore usura dell’infrastruttura.

Questa organizzazione della rete porta due tipi di conseguenze: da un lato, sarà conveniente avere un portafoglio di clienti più ampio possibile, così da poter gestire e combinare un numero maggiore di flussi e controflussi sulla rete, con i quali più facilmente si riesce ad impiegare la maggior quantità di capacità prenotata�30; dall’altro, per lo stesso motivo è anche utile avere un portafoglio clienti il più diversificato possibile, così da avere più possibilità di ottenere un flusso medio costante tutto l’anno. Infatti, i consumi industriali tendono ad essere costanti per tutto l’anno, se si eccettua il caso di produzioni fortemente stagionali o un calo generalizzato nel mese di agosto. I consumi delle utenze civili tendono invece a concentrarsi nei mesi invernali, mentre subiscono un forte calo in quelli estivi�3�. Avere un portafoglio formato esclusivamente da utenze domestiche comporta il dover prenotare una capacità di trasporto che viene sfruttata per intero solo pochi mesi all’anno, ma che è necessaria per riuscire a servire tutti i clienti nel momento di massima richiesta.

Nella fase del trasporto, quindi, avere la possibilità di servire un maggior numero di clienti rende più facile utilizzare effettivamente la maggior parte della capacità prenotata e spalmare così la tariffa su un maggior numero di metri cubi di gas movimentati, riducendo l’incidenza del costo di trasporto su ogni unità trasportata.

Infine, altre economie di scala sono ottenibili nella fase della distribuzione. Anche in questo caso, infatti, la tariffa è articolata in una parte variabile e in una parte fissa e, esattamente come avviene nel caso della tariffa di trasporto, l’aumento dei metri cubi di gas venduti permette di abbassare l’incidenza media della quota fissa della tariffa�3�.

In realtà come spiegheremo meglio in seguito, sia nella tariffa di trasporto che nella tariffa di distribuzione gli effetti delle economie di scala si confondono in parte con quelli dovuti alle economie di densità, ed una stima distinta dei singoli effetti non risulta agevole.

• Il secondo modello: l’impresa quale strumento di governance localeUn modello alternativo a quello appena illustrato potrà sopravvivere e svilupparsi in quegli ambiti territoriali governati da enti locali che continuano a concepire le ex-municipalizzate come i principali attori in grado di realizzare un’efficace politica industriale locale. In questi contesti, le imprese di SPL dovranno affiancare alla ricerca dell’efficienza l’impegno “ad adottare una certa «filosofia», ad assicurare preventivamente la propria «lealtà» al territorio servito e alle esigenze delle sue politiche di sviluppo”, tenendo conto che “a rendere credibile questo impegno non sarà

��9 Per un’analisi più approfondita delle tariffa di trasporto, si rimanda a Mazzantini G. (2006), “La distribuzione e la vendita del gas fra economie di scala ed economie di densità”, in Management delle Utilities, n° �/�006, pagg. 44-56.�30 Questo è uno dei vantaggi dovuti all’esistenza di “economie delle grandi scorte” presenti nella fase di trasporto. Si parla di “economie delle grandi scorte” quando la disponibilità di una risorsa può essere trasferita da una parte all’altra della rete per sopperire alle esigenze di determinati picchi della domanda.�3� Si è stimato che, mediamente, per gli utenti che hanno un consumo costante per tutto l’anno il costo del trasporto si aggira intorno al 10% del prezzo finale del gas, mentre per gli utenti con un consumo modulato (che subisce un picco in un certo periodo dell’anno) la percentuale sale al 20-25%. Sul punto si veda Cambini C., Iozzi A. e Valbonesi P. Cambini C., Iozzi A. e Valbonesi P. (2004), “Quali tariffe di trasporto nel settore del gas naturale ?”, in Mercato Concorrenza Regole, n° �/�004.�3� Si veda la Delibera n° 237/00, “Definizione di criteri per la determinazione delle tariffe per le attività di distribuzione del gas e di fornitura del gas e di fornitura ai clienti del mercato vincolato”, pubblicata in G.U. n° 4 del 5 gennaio �00�, e la Delibera n° 122/02, “Modificazione e integrazione della deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas 28 dicembre 2000, n° 237/00 e determinazione del costo medio annuo di distribuzione”, pubblicata in G.U. n° �67 del �8 luglio �00�. Si veda inoltre anche la, “Definizione di criteri per la determinazione delle tariffe per l’attività di distribuzione di gas naturale”, come modificata dalle Delibere n° �9�/04, n° 6�/05 e n° ���/05.

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più il rapporto proprietario diretto, ma piuttosto il desiderio delle imprese di mantenere una buona reputazione”�33. In altre parole, in una economia aperta alla concorrenza, le imprese con capitale completamente pubblico e suddiviso fra i vari enti locali non potranno più contare sui privilegi di un tempo, derivanti dall’essere monopolisti locali, ma dovranno essere in grado di competere ad armi pari con gli altri concorrenti, sfruttando tra le altre cose la reputazione derivante dall’aver operato per decenni nello stesso territorio.

Questa tipologia di impresa sembra oggi passare in secondo piano rispetto al primo modello, che si sta sempre più diffondendo e che sembra destinato, nel prossimo futuro, a prevalere (anche per i privilegi riconosciuti dal contesto normativo). Ciononostante, in alcuni contesti caratterizzati da enti locali tradizionalmente e particolarmente attenti alla gestione efficiente dei servizi, e da una domanda sufficientemente concentrata e rilevante, anche questo secondo modello potrebbe non essere destinato necessariamente a soccombere. Analizzeremo di seguito alcuni elementi che potrebbero renderlo preferibile al primo.

- Le economie di densitàCome già anticipato, il mercato di riferimento di questo tipo di imprese è prevalentemente, se non esclusivamente, di dimensione locale e coincide di solito con il territorio amministrato dagli enti che si dividono il capitale delle aziende stesse. L’esistenza delle economie di scala prima richiamate suggerisce comunque di rivolgersi ad un mercato di dimensione almeno provinciale, preferibilmente caratterizzato dalla presenza di attività produttive ad alto consumo di risorse energetiche e densamente abitato.

Oltre alla dimensione del mercato, nel caso del gas risulta importante anche il livello di concentrazione territoriale della domanda per la presenza di economie di densità�34. Infatti, la stessa tariffa di trasporto che, come abbiamo visto, costituisce un costo per chi vende gas (shipper), può essere contenuta limitando l’area di vendita del gas (a parità di volumi venduti). Questo è possibile perché la rete di trasporto si congiunge alle reti di distribuzione locali in determinati punti, chiamati punti di riconsegna. Le imprese che vendono gas devono prenotare una certa capacità presso i singoli punti di riconsegna presso i quali il gas deve essere trasportato, per poi essere introdotto nelle reti di distribuzione. Il costo fisso della tariffa di trasporto viene calcolato tenendo conto delle caratteristiche del servizio reso, sulla base della tipologia degli apparati di misura del punto di riconsegna e del flusso di gas ivi trasportato, con la conseguenza che esso “inciderà in misura inversamente proporzionale al totale dei volumi serviti in corrispondenza del punto di riconsegna. In particolare, a parità di quota di mercato, l’incidenza di tale corrispettivo aumenta all’aumentare del numero di punti fisici di riconsegna che costituiscono gli ambiti su cui opera il medesimo shipper”�35.

- L’investimento degli utiliAltro aspetto da considerare è quello relativo al reinvestimento degli utili derivati dall’attività di vendita del gas. In questo caso, infatti, i profitti vengono suddivisi fra gli enti locali che partecipano al capitale della società e utilizzati da questi per implementare politiche locali a vantaggio di quelle stesse comunità che hanno sostenuto i costi per la fornitura del servizio. Nel caso, invece, che il gas sia fornito da un’impresa che opera su un mercato nazionale o internazionale, il flusso dei profitti viene ridistribuito in base alle esigenze individuate dal management, senza che ciò avvenga necessariamente in modo omogeneo su tutto il territorio in cui opera l’impresa.

Le imprese che appartengono al secondo modello, quindi, se gestite in modo efficiente e se riescono a rimanere competitive sul mercato, possono costituire rilevanti fonti di finanziamento per gli enti locali, e ciò acquista maggiore importanza alla luce della progressiva riduzione dei finanziamenti concessi negli ultimi anni dal governo centrale alle amministrazioni periferiche.

�33 Massarutto A. (2002), “La regolazione dei servizi pubblici locali: dalla pianificazione alla responsabilizzazione”, in Economia delle fonti energetiche e dell’ambiente, n° 3/�00�, pag. �04.�34 Per economie di densità “vanno intese le riduzioni nel costo unitario (per cliente servito) che si ottengono all’aumentare della concentrazione territoriale dell’utenza. si intendono tutte quelle economie strettamente legate alla collocazione geografica delle utenze di un certo servizio”. Gullì F. (2000), “Economie di scala versus economie di densità nella distribuzione elettrica: un’analisi quantitativa”, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n° �/�000, pag. 57.�35 Autorità garante della Concorrenza e del Mercato e Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (�005), op. cit., pag. �9�.

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- La reputazioneAltro punto di forza per le imprese che decidono di seguire questo modello di sviluppo è costituito dalla reputazione che queste possono aver maturato in decenni di attività presso una comunità locale. La fornitura di gas non è un’attività che di per sé richiede un rapporto di fiducia fra il fornitore ed il cliente, data la semplicità e la peculiarità del bene offerto, che non può essere differenziato. Tuttavia, da un po’ di anni alcune imprese hanno iniziato ad affiancare alla fornitura di gas una serie di servizi collaterali o addirittura completamente estranei all’attività di vendita del gas, ma che richiedono una conoscenza delle esigenze della comunità locale e un certo grado di reputazione e fiducia maturati sul territorio.

Questo modo di fidelizzare la clientela è stato introdotto per prima dalla società inglese Centrica e adottato in Toscana da Consiag, che opera sul territorio pratese che ai propri clienti offre alcuni servizi suddivisi in “Servizi alla persona”, “Servizi alla casa” e “Servizi Sos casa”�36. In questo caso non si può parlare di vera e propria differenziazione dell’attività di vendita, poiché nel modello presente in Toscana i servizi non sono resi direttamente da Consiag (se si eccettuano i servizi “Sos casa”), ma sono fornititi da ditte locali specializzate che hanno aderito al progetto e stipulato una convenzione con Consiag stessa, che si impegna a mettere in contatto domanda ed offerta entro �4 ore.

- Il fattore chiave: la gara per la gestione della rete137

La sopravvivenza di questo modello, che, già da quanto si può osservare nel periodo �000-�005, sia in Toscana che nel resto d’Italia, sembra diffondersi in modo più limitato rispetto al primo, dipenderà in modo particolare dall’esito delle gare che nei prossimi anni saranno indette per l’affidamento della gestione delle reti di distribuzione.

In Italia si sono già svolte alcune gare per l’affidamento del servizio di distribuzione, anche se nella maggior parte dei casi si è trattato di comuni di piccole dimensioni�38. La maggior parte delle gare si concentrerà nei prossimi anni: il decreto Letta aveva infatti previsto le gare come unica modalità di affidamento e aveva individuato come limite ultimo per il loro svolgimento la data del �° gennaio �006; tale termine è stato successivamente prorogato al �° gennaio �008 (o, addirittura, al �° gennaio �0�� in alcuni particolari casi)�39, dopo un periodo caratterizzato da una serie di interventi ravvicinati da parte del legislatore, che avevano contribuito ad aumentare l’incertezza e le difficoltà interpretative del quadro normativo�40. Infine, il decreto legge collegato alla legge Finanziaria �008 allunga ulteriormente tali termini di altri due anni, allo scopo di rendere possibile l’individuazione, da parte dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, degli ambiti territoriali ottimali per lo svolgimento delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas.

Da qui al �0��, quindi, le ex-municipalizzate rischieranno di perdere il controllo della rete di distribuzione, tradizionalmente gestita in monopolio legale, a vantaggio di concorrenti esterni. Per quelle imprese che hanno scelto di focalizzare il proprio business sul territorio storicamente servito, mantenere la gestione della rete sarà un elemento fondamentale per rimanere competitivi

�36 Fra i “Servizi alla persona” troviamo l’assistenza domiciliare, alcune prestazioni legate alla cura e all’igiene della persona, l’assistenza domiciliare educativa, servizi di baby sitteraggio, ecc. Fra i “Servizi alla casa” ci sono i traslochi di piccole dimensioni, la manutenzione del verde e potature, le operazioni di giardinaggio, la pulizia dei condomini, la pulizia di pavimenti in cotto, la pulizia di vetri esterni, il lavaggio di moquettes, ecc. Infine, fra i “Servizi Sos casa” sono compresi gli interventi per guasti alle tubazioni fisse e agli apparecchi che utilizzano il gas, per guasti ad impianti elettrici, per perdite di acqua con rischio di allagamenti e per fughe di gas in casa. Inoltre, “in caso di emergenza il servizio provvederà ad inviare il tecnico sostenendo il costo dell’uscita, della manodopera e dei materiali fino ad un massimo di € 150 per evento (uno all’anno). In caso di furto, incendio, allagamento o scoppio dei locali che rendano inagibile l’abitazione, invece, il servizio provvederà ad organizzare il pernottamento in albergo sostenendo il costo complessivo di € 200 per evento (due all’anno) fino ad un massimo di due notti”. Dal sito www.consiag.it.�37 Mentre stiamo scrivendo questo testo è stato presentato dal ministro Lanzillotta un disegno di legge (ddl 77�) che ridisciplina le procedure per l’individuazione dei gestori dei servizi pubblici locali: tale schema, secondo un’interpretazione, sembrerebbe prevedere la possibilità di ricorrere all’affidamento diretto a società interamente pubbliche (in house) o miste (con gara per la selezione del socio privato) anche per il settore del gas, contrariamente a quanto previsto fino ad oggi dal decreto Letta. Va da sé che se tale schema diventasse legge, le considerazioni di questo paragrafo sarebbero, almeno in parte, superflue. Per un commento in questo senso si veda Perra L. (�006), “La riforma delle utilities tra realismo e ideologia”, in Utility, n° 7/�006, pagg. �0 – ��.�38 In base ad alcuni primi studi svolti su un campione di gare già effettuate, risulta che “la dimensionemedia dei territori interessati dalle gare è di poco inferore agli �� mila abitanti”. Si veda Bardelli L. (�007), “I risultati delle gare per la distribuzione del gas svolte in Italia”, in Management delle Utilities, n° 3/�007, pag. 38.�39 Il termine è stato così prorogato dall’art. 23, comma 1, della legge 23 febbraio 2006, n° 51.�40 Sul punto si veda, tra glia altri, Vedaschi A. (�005), “Il regime transitorio delle gestioni del servizio pubblico di distribuzione del gas, riletto alla luce della legge Marzano”, in Economia delle fonti di energia e dall’ambiente, n° �/�005, pagg. 39-57; Gazzola D. (�006), La durata del periodo transitorio delle gestioni del servizio di distribuzione del gas”, in Economia delle fonti di energia e dall’ambiente, n° �/�006, pagg. ��-33.

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nei confronti dei grandi gruppi di imprese che si stanno formando in questi anni nella vendita del gas.

Uno dei vantaggi che le imprese del secondo modello potranno avere nei confronti di quelle che seguono il primo, infatti, sarà la possibilità di vendere il gas aggirando il problema della doppia marginalizzazione.

La doppia marginalizzazione si ha ogni volta in cui c’è la duplicazione delle rendite di due monopoli che operano su fasi contigue all’interno della stessa filiera.

Nel nostro caso, il problema non si pone tanto per la vendita, che è stata completamente aperta alla concorrenza, quanto alla distribuzione, aperta alla concorrenza per il mercato, in cui è possibile avere due soggetti distinti (il proprietario e il gestore), oppure uno solo (il proprietario è anche gestore).

Se la gara per la gestione della rete viene vinta dalla società controllata dall’ente locale (o dagli enti) che indice la gara, ci si ritrova nella situazione in cui il proprietario dell’infrastruttura è anche, indirettamente, il suo gestore. A ciò si aggiunge il fatto che, in questo secondo modello, l’ente locale è anche il proprietario dell’ex-municipalizzata che ha vende il gas. Si può quindi intuire come la possibilità di avere un solo soggetto che gestisce, direttamente o indirettamente, tutte le fasi a valle della filiera permetta di ridurre, se non di eliminare, il fenomeno della doppia marginalizzazione, che caratterizza le filiere verticalmente disintegrate, dove il gestore deve pagare un canone al proprietario della rete e scaricare successivamente questo costo sulla tariffa di accesso alla rete�4�.

A tal proposito, è stato messo in evidenza che, se da un lato, la teoria economica afferma che la sostituzione del pubblico con il privato aumenta l’efficienza nell’erogazione del servizi, dall’altro l’imposizione di un canone troppo elevato rischia di annullare gli effetti di x-efficienza attribuibili al passaggio da una gestione pubblica di un SPL ad una più economico-industriale, realizzata da una società mista o privata�4�. Addirittura, per livelli di canone troppo elevati, le gare risulteranno economicamente poco appetibili, con il rischi concreto che vadano deserte o che vi partecipi solamente l’ex-incumbent�43.

Fatte queste considerazioni, risulta evidente che uno dei punti di forza su cui faranno affidamento le imprese che seguiranno il secondo modello sarà probabilmente la possibilità di abbassare le tariffe finali riducendo o annullando del tutto la doppia marginalizzazione, ma ciò sarà possibile solo se riusciranno a non perdere il controllo delle reti di distribuzione.

- L’osservabilità della qualità del servizio erogatoLa possibilità di mantenere integrate le fasi finali della filiera ha fra le sue conseguenze anche quella di poter ridurre le asimmetrie informative fra l’ente locale che affida il servizio di gestione della rete, e il gestore.

Diversi lavori hanno mostrato come il rapporto fra ente locale e gestore del servizio possa essere ricondotto ad un problema di tipo principale/agente (in particolare, ad un modello di “selezione avversa”�44), e come in un contratto di servizio assuma rilievo “non solo l’osservabilità della qualità, ma anche la verificabilità della stessa, cioè la possibilità di descrivere ex-ante e riportare in contratto il relativo livello in modo che possa essere ex-post verificato da un

�4� “L’integrazione verticale (…) è efficiente se essa permette alle imprese interessate di coordinarsi sul risultato ottimale o di <<internalizzare>> (controllare) l’esternalità che ciascuna impresa impone sull’altra. La conseguenza di questa correzione è che i consumatori trarranno beneficio dalla fusione verticale”. Motta M., Polo M. (2005), “Antitrust. Economia e politica della concorrenza”, ed. Il Mulino, pag. �07.�4� Sulla modalità per determinare il valore equo del canone che il gestore dovrebbe pagare al proprietario dell’infrastruttura, si veda Petretto A. (2005), “Forme di affidamento e double marginalization in un monopolio naturale regolato di un servizio pubblico locale”, in Politica Economica n° 3/�005, pag. 358.�43 Quello della fissazione di una misura equa del canone dovuto dall’impresa di distribuzione del gas all’ente locale che mette a gara il servizio rischia di essere uno dei principali problemi dei prossimi anni, se non il più importante. Una sentenza del TAR lombardo (Sentenza TAR Lombardia, Sezione Brescia n° 165 del 2004), che forse non è eccessivo definire storica, precisa che il Comune che mette il servizio di distribuzione a gara non dovrebbe chiedere più del 35-40% del VRD (vincolo sui ricavi della distribuzione), almeno come base d’offerta (lasciando quindi libere le imprese di offrire, eventualmente, un canone superiore). Si veda Pastorino D, Repetto G. P. (�005), “Messa a gara delle concessioni di distribuzione del gas: una scelta oculata?”, in Energia, n° �/�005, pagg. 30-35. Sul punto si possono vedere anche i risultati di un’analisi empirica sulle prime gare svolte in Italia: Doni N., Fontini F. (�006), “Analisi delle gare di concessione per l’aggiudicazione del servizio di distribuzione del gas naturale”, in I Quaderni di .net, n° 37/�006, Cispel Confservizi Toscana, pag. 45.�44 Si veda, tra gli altri, Petretto A. (�99�) “Economia dell’informazione e teoria dell’intervento pubblico”, in Economia dell’informazione ed economia pubblica, a cura di Muraro G., pagg. �7 e ss.

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tribunale o da un apposito organismo di controllo”�45. In particolare, data una certa qualità del servizio Q, ritenuta indispensabile dagli amministratori dell’ente locale per raggiungere un livello minimo di soddisfazione della comunità amministrata, tale da poter essere riconfermati alle elezioni successive, le risorse investite dall’ente stesso saranno appena sufficienti a permettere di monitorare quel livello di qualità Q. Il gestore, per minimizzare i costi, tenderà allora a fornire un servizio di qualità Q, pari al minimo monitorabile�46.

Se la gestione delle infrastrutture e la vendita del gas restano al proprietario dell’infrastruttura, è ragionevole pensare che sia possibile ridurre le asimmetrie informative e, conseguentemente, sia possibile, con le stesse risorse, monitorare in modo migliore e più approfondito la qualità del servizio erogato, con conseguente aumento dell’utilità per i cittadini. È chiaro che per realizzare questo modello di filiera verticalmente integrata, essendo state introdotte forme di concorrenza per e nel mercato, l’ex-municipalizzata debba vincere la gara che assegna la gestione della rete e debba risultare competitiva nella vendita del gas; l’ingresso di un partner industriale privato non appare, d’altro canto, necessario�47.

In altre parole, questo secondo modello di sviluppo appare sostenibile solo a determinate condizioni, la principale delle quali è quella di riuscire a mantenere le fasi a valle della filiera più integrate possibili. Potremmo dire, in sintesi, che chi sceglie di focalizzare la propria attività di vendita e distribuzione del gas su un certo limitato territorio, riuscirà ad opporsi a chi opta per una strategia di integrazione orizzontale solo con un’altrettanto ben architettata strategia di integrazione verticale.

3.4Le variabili di rottura

3.4.� Il terminale di rigassificazione di LivornoLa filiera del gas si caratterizza per essere tecnologicamente abbastanza matura, tanto che non si prevedono nei prossimi anni rivoluzioni tecnologiche tali da poter sovvertire la struttura di mercato e far comparire nuovi protagonisti che possano ridisegnare gli attuali rapporti di forza.

Tuttavia, delle importanti novità potrebbero riguardare la fase dell’importazione. Attualmente, il gas arriva in Italia grazie a tre gasdotti, che introducono in rete gas allo stato gassoso, e ad un rigassificatore, che riceve gas in forma liquida per riportarlo poi in forma gassosa e immetterlo nella rete di trasporto nazionale (situato a Panigaglia, in provincia di La Spezia). Si veda in proposito la tabella 3.7.

Come si può vedere dalla tabella 3.7, fra i proprietari delle infrastrutture che introducono gas in Italia è sempre presente ENI, che è attualmente anche il principale importatore di gas, con una quota del 65,2% nel 2005�48, cui si deve aggiungere il controllo su oltre l’85% della produzione nazionale�49. La scarsa concorrenza nelle fasi a monte della filiera (così come descritta nel primo capitolo), gestite in una situazione di quasi monopolio, riduce gli effetti della concorrenza introdotta nelle fasi più a valle, dove quasi tutti i venditori hanno lo stesso fornitore, ENI: se si considera che la fase del trasporto e della distribuzione sono regolate, si comprende come le possibilità che i venditori hanno di farsi concorrenza sono assai ridotte.

Nei prossimi anni, però, importanti novità potrebbero aversi proprio per ciò che riguarda l’importazione del gas. Già da qualche anno, infatti, si è iniziato a pensare a forma alternativa di introduzione del gas in Italia, a causa degli elevati ritmi di crescita della domanda, spinta in modo particolare dalla riconversione di diverse centrali di produzione di energia elettrica, che

�45 Petretto A. (�998), “La regolazione dei prezzi e della qualità nei monopoli naturali”, in La regolazione delle Public Utilities, a cura di Cambini C. e Bulckaen F., ed. ETS, pag. 37.�46 Fiorillo F., Polidori P. (2003), “Le autorità per i servizi pubblici fra obiettivi locali, efficienza e soddisfazione dei cittadini”, Rivista di politica economica, luglio-agosto �003, pagg. �35-�56�47 Come è stato osservato, “la fornitura pubblica è preferibile quando le riduzioni di qualità dell’offerta sono difficilmente osservabili da parte di un regolatore esterno, le possibilità di innovazione sono modeste e i vantaggi associati ad essere riconosciuti come operatori efficienti sono scarsi”. Heimler A. (2006), “La riforma dei servizi pubblici locali: quale spazio per la concorrenza?”, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n°�/�006, pagg. �33-�4�. �48 Cfr. http://www.autorita.energia.it/dati/gm��.htm. �49 Cfr. http://www.autorita.energia.it/dati/gm5.htm, oppure Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (�006b), “Relazione annuale”. La produzione nazionale nel 2005 ammonta al 13,7% del gas consumato in Italia.

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utilizzavano in precedenza carbone e oli combustibili, ad una tecnologia a ciclo combinato o a gas. Inoltre, a partire dal �005 e in seguito ai fatti relativi ai rapporti politici fra Russia ed Ucraina, che hanno messo in evidenza tutti i limiti del nostro sistema di import e la grande dipendenza del nostro sistema energetico dai Paesi estrattori di gas, anche considerazioni relative alla sicurezza degli approvvigionamenti hanno fatto propendere la classe politica per un deciso incentivo alla costruzione di rigassificatori. Come già detto (si veda par. 1.4.1), i rigassificatori permettono di ampliare il numero di Paesi dai quali far giungere il gas, con evidenti benefici sia in termini di sicurezza del sistema energetico, sia in termini concorrenziali, data la possibilità di indebolire in modo realmente efficace l’attuale monopolio.

Tabella �.7PRINCIPALI vIE D’INGRESSO DEL GAS IN ITALIA

GaSDOTTINome Paesi attraversati Proprietà Punto d’ingresso Provenienza gas % sul totale importato

Transitgas SvizzeraSwissgas (51%)ENI (46%) Ruhrgas (�%)

Passo Gries Paesi Bassi, Norvegia 24,0%

TAG Rep. Ceca,Austria

ENI (89%) Austrian OMv (11%) Tarvisio Russia �5,9%

TMPC (Trans Mediterranean Pipeline Company)

Algeria ENI (50%) Sonatrach (50%) Mazzara del vallo Algeria �4,5%

RIGaSSIfICaTORIGNL Italia - ENI (100%) Panigaglia (SP) Algeria 5,6%

Fonte: MAP. Le percentuali sono relative al 200�

L’Italia, data l’estensione delle sue coste, presenta condizioni ottimali per la costruzione di rigassificatori e la Toscana ha svolto, in questo senso, un ruolo da protagonista, essendo ormai da qualche anno una delle Regioni candidate ad ospitare uno dei primi nuovi impianti previsti nel nostro Paese. Ha infatti ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie il terminale di rigassificazione off-shore di Livorno che, attualmente, è uno dei tre rigassificatori italiani, insieme a quello di Brindisi e a quello di Rovigo, che ha completato il lungo iter burocratico che precede l’inizio dei lavori di costruzione (che, nel caso specifico, erano previsti per l’inizio del 2007).

Il rigassificatore sarà realizzato dalla società OLT Offshore LNG Toscana s.r.l., il cui capitale inizialmente era detenuto per il 79% da OLT Energy Toscana, per il 15,7% da AMGA (Genova), per il 2,8% da ASA (Livorno) e per circa il 2,5% da OLT Investments; a sua volta, il capitale sociale di OLT Energy Toscana era ripartito fra Crossnet (55,79%), in cui è presente il gruppo Endesa Europa, Falck (10,53%) e OLT Investments (33,68%)�50, come descritto nello schema 3.8.

Nel corso del biennio �006-�007, però, le quote in cui è suddiviso il capitale sociale di OLT hanno subito delle modifiche. La società AMGA di Genova si è fusa con AEM di Torino, dando vita a Iride, ed ha assunto il controllo del 40% di ASA Livorno: dopo che OLT Offshore ha deliberato un aumento di capitale, Iride è arrivata a controllare il 30,5% del capitale di OLT. La stessa quota è attualmente detenuta da Endesa Italia, ma l’acquisto di Endesa da parte di ENEL ha reso necessario, per motivi antitrust, la vendita alla tedesca E.On di tutte la attività che Endesa deteneva in Italia attraverso, appunto, la controllata Endesa Italia. Ciò porterà alla sostituzione di Endesa con E.On nel capitale di OLT. Nel corso del �008, quindi, il capitale della società che gestisce il rigassificatore di Livorno dovrebbe essere ripartito nel modo indicato nello schema 3.9.

�50 Dati tratti da Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (�005), provvedimento C6849, “Azienda Mediterranea Gas e Acqua/OLT Offshore LNG Toscana”, in Bollettino n° 8/�005.

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Schema �.8PRIMA RIPARTIZIONE DEL CAPITALE DI OLT OFFSHORE LNG TOSCANA

Crossnet OLT Investments Falck

OLT Investments

AMGA OLT Energy Tocana

ASA

OLT Offshore LNG Toscana

55,79% 10,5�% ��,68%

79,00%

2,8% 2,5%

15,7%

Schema �.9RIPARTIZIONE ATTUALE DEL CAPITALE DI OLT OFFSHORE LNG TOSCANA

OLT Energy Toscana

Endesa (E.On) Iride + ASA

Golar

OLT Offshore LNG Toscana

�0,5%

16% 2�%

�0,5%

Crossnet

55%

L’impianto sarà situato a circa �� miglia dalla costa toscana, fra Livorno e Pisa, e sarà collegato con la rete di trasporto nazionale di proprietà SNAM tramite una condotta di circa 35 Km, di cui �8 Km in mare e 7,5 Km a terra, realizzata da Saipem (gruppo ENI); sarà possibile importare circa 3,75 miliardi di m3 di gas all’anno (estendibili a 6 miliardi), con una capacità di stoccaggio di circa �37.500 m3 di GNL. Il costo del progetto dovrebbe alla fine aggirarsi intorno ai 600 - 700 milioni di euro.

Oltre a questo terminale, la Toscana potrebbe ospitare un altro impianto di rigassificazione a Rosignano, capace di importare altri 3 miliardi di m3 di gas all’anno, ma allo stato attuale la procedura di autorizzazione rimane sospesa e il destino dell’impianto risulta quanto mai incerto�5�. In ogni caso, il gas importato dal solo rigassificatore di Livorno sarebbe in grado di coprire, anche senza estensioni di capacità, quasi la metà delle domanda regionale prevista per il �0�0 (Tab. 3.�0).

�5� Vale qui la pena ricordare che la Toscana non aveva disciplinato la realizzazione e l’uso di terminali di rigassificazione all’interno del proprio PER, ma ha presentato uno specifico atto di indirizzo della Giunta regionale a carattere generale (si veda la Decsione G. R. n° �8, del �0 luglio �004) a fronte delle due iniziative in corso nel proprio territorio. Franci T. (�006), “Politiche regionali e terminali di rigassificazione”, in Newsletter Osservatorio Energia n° 90 (�3 giugno �006), a cura del Ref., pag. 3.

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Tabella �.10DOMANDA ED OFFERTA DI GAS NATURALE STIMATE PER IL 2010 IN TOSCANA

Domanda Milioni di m� all’anno

Domanda lorda 4.474 - 4.71�Riconversione di centrali 2.249,�Nuove centrali 559,�TOTALE 7.282,6 - 7.521,6

Offerta Milioni di m� all’annoPrelievo da gasdotti esistenti 4.080Rosignano �.000Livorno �.750 - 6.000TOTALE 10.8�0 - 1�.080

Fonte: Regione Toscana, citata in Il Sole 24Ore Centro Nord del 22 settembre 2004

La costruzione di un rigassificatore costituisce un’importante novità all’interno del panorama, sia nazionale che regionale, poiché rappresenta una concreta occasione di introdurre gas a prezzi alternativi a quelli proposti da ENI, permettendo così di innescare, almeno potenzialmente, un vero processo concorrenziale che dovrebbe portare a ridurre i prezzi finali, almeno nel lungo periodo; permette, inoltre, di diversificare le fonti di approvvigionamento e di aumentare la sicurezza delle forniture energetiche per l’intera nazione�5�.

Almeno due sono i fattori che fanno presagire una reale competizione fra l’incumbent e il nuovo entrante. In primo luogo, l’iniziativa che ha portato alla costituzione della società OLT Energy Toscana poteva essere ricondotta, fra gli altri, alla società Endesa, impresa di primo piano attiva nel comparto energetico, il cui business è localizzato prevalentemente in Spagna. Da questo punto di vista, il subentro di E.On al posto di Endesa Italia non dovrebbe modificare la situazione in modo sostanziale.

In secondo luogo, l’attuale legislazione incentiva e tutela per un periodo abbastanza prolungato coloro che investono nella realizzazione di nuove infrastrutture atte ad aumentare l’offerta di gas all’interno del mercato nazionale, attribuendo loro il diritto di utilizzare l’80% della nuova capacità per almeno �0 anni�53. In altre parole, le società che realizzeranno il rigassificatore hanno diritto ad utilizzare una capacità pari a �,8 miliardi di m3 all’anno, capacità che potrà essere sfruttata per rigassificare gas di proprietà delle stesse E.On o Iride, alternativo a quello commercializzato e importato in Italia da ENI.

Nel breve periodo, invece, gli effetti rischiano di essere più limitati. Questo dipende da una serie di cause: in primo luogo, nei prossimi anni il mercato rischia di trovarsi in una situazione di asimmetria fra il numero dei rigassificatori, il cui numero di progetti è in costante aumento negli ultimi anni -specialmente in alcuni Paesi- e quello dei liquefattori, altrettanto necessari per ridurre il gas allo stato liquido. Ciò potrebbe causare una temporanea sotto utilizzazione dei rigassificatori che saranno ultimati nei prossimi anni, in attesa che la domanda di GNL incentivi la costruzione di nuovi liquefattori. In secondo luogo, l’incidente avvenuto nel �004 in Algeria, a Skikda, presso l’impianto dal quale partivano quantità rilevanti di GNL destinate in Italia, ha ulteriormente ridotto le quantità di GNL disponibili nel breve periodo. Infine, durante i primi anni dalla loro entrata in funzione peseranno sul prezzo del GNL i costi legati all’ammortamento dei capitali investiti per la realizzazione dei terminali e delle navi gasiere necessarie per il trasporto via mare.

La situazione dovrebbe però migliorare nel medio/lungo periodo, quando entreranno in funzione nuovi liquefattori che aumenteranno l’offerta di GNL e, soprattutto, quando a fronte del costante

�5� Da questo punto di vista, il compito delle amministrazioni regionali va di pari passo con quello dell’amministrazione centrale, per la quale si è osservato: “L’azione pubblica deve essere orientata a rafforzare la infrastrutture che possono allargare la gamma dei possibili approvvigionamenti: ciò implica in primo luogo togliere gli ostacoli alle imprese che mostrano di voler fare propri gli investimenti che sono essenziali per la sicurezza del sistema, in primo luogo i terminali per la rigassificazione del gas liquefatto”. Ranci P. (2006), “La sicurezza delle forniture di energia”, in Le virtù della concorrenza, a cura di De Vincenti C., Vigneri A., ed. Il Mulino, pag. �80.�53 Così dispongono sia la legge 239/2004 (la cosiddetta legge Marzano per il riordino del settore energetico), sia la direttiva comunitaria �003/55/CE, anche se la prima disposizione in questo senso può essere rintracciata nella delibera n° 9�/0� dell’AEEG, risalente al 2002. Il restante 20% della capacità è reso disponibile sul mercato. Questa disposizione rappresenta una evidente deroga ai principi del libero mercato: d’altro canto, per ottenere i diritti di sfruttamento dell’80% della capacità dell’infrastruttura realizzata occorre dimostrare che l’investimento rafforzi la concorrenza nella fornitura di gas e la sicurezza degli approvvigionamenti.

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aumento della domanda di gas, le imprese importatrici si troveranno di fronte all’alternativa fra costruire un nuovo gasdotto, operazione assai dispendiosa, o costruire un terminale di GNL, relativamente molto più conveniente. La competizione fra gas liquido e gassoso si giocherà infatti soprattutto nel confronto fra i costi delle diverse modalità di trasporto, poiché i costi di acquisto sui mercati internazionali sono in entrambi i casi legati a quelli del petrolio e, almeno nel breve periodo, tale prassi non sembra destinata a cessare�54.

3.4.� Il gasdotto internazionale GALSIIl gas che in futuro arriverà dall’estero direttamente in Toscana non avrà probabilmente solo forma liquida, ma sarà anche gassoso. Sembra infatti irreversibilmente avviato il progetto che porterà alla realizzazione del gasdotto internazionale GALSI, che porterà il gas dall’Algeria all’Italia, passando per la Sardegna e approdando sulle coste italiane proprio in Toscana, nei pressi di Piombino.

Il progetto iniziale aveva visto la luce addirittura nel �00�, anno in cui furono compiuti i primi studi di fattibilità, e dopo che negli anni successivi il timore di un’offerta eccessiva di gas in Italia aveva di fatto raffreddato gli entusiasmi iniziali, a metà novembre 2006 è stato firmato un accordo fra Italia e Algeria che rimette in moto la macchina organizzativa per la realizzazione dell’infrastruttura.

Attualmente il capitale della società GALSI è suddiviso fra Sonatrach�55, che detiene la quota maggiore (36%), Edison (18%), ENEL (13,5%), Wintershall�56 (13,5%), Hera Trading (9%) e la Regione Sardegna�57 (10%). Entro la fine del 2006 la società doveva essere trasformata da società di studio a società di progetto, con una contemporanea ricapitalizzazione da circa 30 milioni di euro; i lavori di realizzazione del gasdotto dovrebbero essere terminati entro i primi mesi del �0��.

Il gasdotto, a regime, sarà in grado di importare in Italia circa 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno. In base ad un accordo già firmato e che sarà valido 15 anni dall’entrata in funzione del gasdotto, la capacità sarà suddivisa fra ENEL (� miliardi), Edison (� miliardi), Hera (� miliardo), Ascopiave (500 milioni), World Energy (500 milioni) e Sonatrach (� miliardi), che destinerà la propria quota alla metanizzazione della Sardegna (� miliardo) e alla vendita diretta (il restante miliardo di metri cubi).

Anche se i prezzi di acquisto alla frontiera dovrebbero essere più bassi di quelli previsti per il rigassificatori di Livorno, il fatto che attualmente nessun soggetto (pubblico o privato) toscano partecipi al capitale di GALSI, lascia prevedere che per il sistema regionale la costruzione del gasdotto non avrà ricadute dirette particolarmente vantaggiose; recentemente, però, il presidente della Regione Toscana Claudio Martini ha dichiarato che “la Toscana entrerà nel consorzio GALSI”�58, sottolineando un ripensamento nelle strategie della Regione. Se così non sarà, il gas sarà acquistato dai “soliti” importatori già presenti in Italia, quali ENEL, Edison ed Hera e l’unico vantaggio in termini di costo potrebbe essere dato dalla presenza diretta di Sonatrach, che potrà vendere i suoi metri cubi ad un prezzo inferiore grazie all’integrazione verticale della delle fasi più a monte della filiera (estrazione e trasporto).

Discorso diverso per le ricadute indirette, dato che il gas potrebbe essere utilizzato per produrre energia elettrica ad un prezzo inferiore attraverso la costruzione di centrali termoelettriche a ciclo combinato, senza considerare la possibilità di riconvertire a gas quella di Piombino, di proprietà ENEL.

3.5Le tariffe

In questo paragrafo tenteremo di delineare le ricadute in termini tariffari di quanto descritto nei paragrafi precedenti. Anche in questo caso vale però la pena di fare una serie di considerazioni.

In primo luogo, il mercato del gas vede attualmente, da un lato, la presenza di una tariffa di vendita regolamentata dall’AEEG, che le imprese devono applicare a tutti quei clienti che hanno deciso di non diventare idonei, rimanendo quindi vincolati ad un sistema di tariffe regolamentato,

�54 Si veda Sørli A. M. (�006), “The development of LNG in a competitive gas market”, in European Energy Law Report III, a cura di Hammer U., Roggenkamp M. M., ed. Intersentia, pag. �59.�55 Sonatrach è la compagnia petrolifera di Stato algerina.�56 Wintershall è una società tedesca attiva nel settore energetico, facente capo a Basf.�57 La Regione Sardegna possiede quote in GALSI attraverso la finanziaria Sfirs (5%) e attraverso la società geologica Progemisa (5%).�58 Si veda a tal proposito l’intervista rilasciata da Martini alla rivista Utility n° 5/�007, pag. 6.

62 6�

del tutto simile a quello in vigore prima della liberalizzazione (in prevalenza, famiglie e piccolissimi consumatori), e, dall’altro, la possibilità di stabilire liberamente i prezzi finali, quando invece il gas viene venduto ai clienti idonei.

In secondo luogo, non esiste un prezzo medio del gas al metro cubo, ma questo varia, anche sensibilmente, in base alla quantità consumata dal cliente: tenendo conto che le fasce di consumo possono variare dai 500 m3 annui di una famiglia di due persone, agli oltre �00 milioni di m3 di una grande impresa attiva in un settore particolarmente energivoro, è facile comprendere come parlare di “prezzo finale del gas” in termini generici può risultare quanto mai astratto.

In terzo luogo, perfino la stessa impresa di vendita applica raramente lo stesso prezzo a due o più imprese che appartengono alla stessa fascia di consumo, affidando solitamente la determinazione del prezzo finale alla contrattazione one to one, che ricorda, per certi aspetti, quanto avviene per i servizi bancari. Questa prassi, resa possibile dall’asimmetria informativa fra il venditore e i clienti, rende ovviamente ancora più variegato l’insieme dei prezzi finali di vendita.

Di seguito faremo riferimento alla tariffa regolata proposta dall’AEEG, sia perché è quella che presenta le maggiori certezze riguardo al modo con cui sono ripartiti i costi delle varie fasi che compongono l’intera filiera del gas, sia perché per fasce di consumo ridotte, rappresenta comunque una buona approssimazione delle tariffe praticate nel libero mercato.

Nel primo trimestre del �006 la tariffa del gas per i clienti vincolati prevista dall’AEEG è stata di 65,12 c€/m3: il 30,4% della tariffa è andata a coprire il costo della materia prima, il 3,7% il costo della commercializzazione al dettaglio, il 5,5% quello della commercializzazione all’ingrosso, il 17,7% i costi delle infrastrutture (per lo stoccaggio, 1,5%, per il trasporto, 4,7% e per la distribuzione, 11,6%); il 42,7% è da attribuire, infine, alle imposte (Graf. 3.11). Al netto delle imposte, quindi, il prezzo del gas è di circa 40 c€/m3.

Analizzando le singole parti di cui si compone la tariffa, risulta subito evidente come i margini per una riduzione del prezzo di un metro cubo di gas siano estremamente limitati e dipendenti solo in minima parte dalle strategie adottate dalle imprese toscane di vendita e distribuzione.

Grafico3.11RIPARTIZIONE DEI COSTI DELLA FASI DELLA FILIERA DEL GAS SUL PREZZO FINALE DI UN METRO CUBO NEL MERCATO vINCOLATO

Stoccaggio1,5%

Trasporto4,7%

Distribuzione

Commercializzazioneall'ingrosso

5,5%Commercializzazioneal dettaglio

3,7%

Costiinfrastrutture

17,7%

Imposte42,7%

Costo materia prima30,4%

11,6%

Fonte: www.autorita.energia.it

Le imposte costituiscono infatti la voce principale della tariffa e negli ultimi anni il loro peso è variato fra il 42% ed il 45% della tariffa (Graf. 3.12). La seconda componente più rilevante è rappresentata dalla materia prima: in questo caso giova ricordare che il prezzo del gas sui mercati internazionali è strettamente dipendente da quello del petrolio e, come mostra il grafico, negli ultimi anni ha subito un incremento consistente (di oltre il 76%) (dai 13,21 c€/m3 del primo trimestre del 2003 ai 23,30 c€/m3 del quarto trimestre del 2006), costituendo così la

62 6�

causa principale dell’aumento della tariffa. Anche in questo caso, comunque, le dinamiche sono completamente esterne al raggio d’azione degli attori regionali. Riduzioni del costo della materia prima si potranno forse ottenere con l’entrata in funzione del terminale di rigassificazione di Livorno, ma l’impatto di queste riduzioni è ad oggi difficilmente quantificabile e, come scritto nel paragrafo 3.4, gli effetti non dovrebbero comunque farsi sentire nel breve periodo.

Grafico3.12ANDAMENTO DEL PREZZO DEL GAS NEL MERCATO vINCOLATO NEL PERIODO 200�-2006

18,85 18,85 18,85 18,85 18,09 18,08 18,08 17,63 17,63 17,64 17,64 17,64 17,48 17,51 17,51 17,72

13,21 14,02 14,02 14,02 12,83 12,83 12,83 13,68 15,44 15,44 17,3 19,26 19,82 20,98 23,3 23,3

25,92 26,08 26,08 26,08 25,70 25,70 25,70 25,77 26,99 26,99 27,36 27,74 27,82 28,05 28,51 28,54

0

20

40

60

80

I trim.2003

II trim. III trim. IV trim. I trim.2004

II trim. III trim. IV trim. I trim.2005 (A)

II trim. III trim. IV trim. I trim.2006

II trim. (B)

III trim. IV trim

Costi fissi Materia prima Imposte

Fonte: www.autorita.energia.it

I costi delle infrastrutture, il trasporto e lo stoccaggio sono attività regolate direttamente dall’AEEG, mentre i costi di distribuzione possono subire riduzioni grazie allo sfruttamento delle economie di scala prima ricordate.

Per ciò che concerne i primi, l’AEEG rivede periodicamente le tariffe al ribasso, ma dato il peso relativamente contenuto che queste fasi hanno sul costo finale del gas (almeno per piccoli quantitativi), l’effetto nel medio termine dovrebbe risultare comunque assai contenuto e trascurabile�59.

Per quanto riguarda, invece, i costi legati alla tariffa di distribuzione (anch’essi regolati dall’AEEG, che definisce quali voci di costo includere nella tariffa, ma lasciati alle singole imprese per ciò che attiene la rilevazione dei singoli costi interni ad ogni azienda), alcune stime individuano in una percentuale che varia dal 3% al 5%�60 la riduzione dei costi complessivi della distribuzione ottenibili in seguito ad operazioni di concentrazione. Anche ipotizzando un panorama toscano caratterizzato da ampi margini di recuperi di efficienza, sembra arduo ipotizzare riduzioni di costo superiori al 10%, che si tradurrebbero comunque in una riduzione dell’1%-1,5% della tariffa finale. Restano i margini spettanti alle imprese di vendita (all’ingrosso e al dettaglio), che corrispondono a circa il 9,2% della tariffa.

In sintesi, anche in un mercato caratterizzato da grandi imprese di distribuzione e da un accesa concorrenza (diciamo pure “perfetta”) fra le imprese di vendita, a parità del costo della materia prima, la riduzione della tariffa finale di vendita non potrebbe andare oltre un limite (del tutto teorico) del 10%, che equivarrebbe a circa 6,5 c€/m3 netti, che potrebbero diventare poco più di 9 c€/m3 considerando la corrispondente riduzione della quota imputabile alle imposte (2,7 c€/m3).

Quella che abbiamo descritto in precedenza è la situazione relativa alla tariffa di vendita del gas per consumi quantitativamente limitati, come nel caso di famiglie o piccole e piccolissime imprese. Per questi consumatori la liberalizzazione avrà quasi sicuramente effetti limitati anche nel medio/

�59 In particolare, nel 1999 il costo del trasporto e dello stoccaggio è stato ridotto del 12% dall’AEEG, sulla base di costi standard determinati in relazione alla migliore combinazione dei fattori produttivi. Nel corso dell’anno �003, poi, la stessa Autorità ha ridotto del 16% la parte di tariffa applicata alla capacità di trasporto sui gasdotti nazionali, del 5% sui gasdotti regionali e del 3,5% della componente variabile correlata ai volumi trasportati. Si veda Ferri M, Baldazzi P. (�005), “La regolazione e le tariffe nei servizi pubblici locali”, ed. Sistemi Editoriali, pagg. 93-94.�60 Prioreschi R. (�004), op. cit., pag. 59.

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lungo periodo, almeno per ciò che riguarda i prezzi finali di vendita (mentre miglioramenti si potranno avere in termini di sicurezza degli approvvigionamenti e in termini di servizi aggiuntivi che potranno di volta in volta essere offerti dai venditori per fidelizzare la clientela.

Lo scenario, invece, cambia sensibilmente se si prendono a riferimento le tariffe praticate sul libero mercato per grandi quantitativi di gas consumato.

Come ha rilevato una ricerca effettuata dall’AEEG�6� sui prezzi finali praticati da alcune grandi imprese di vendita nazionali�6�, il prezzo medio al metro cubo si riduce sensibilmente all’aumentare dei quantitativi venduti: in particolare, il prezzo medio praticato ai clienti allacciati alle reti di distribuzione�63 passa dagli 0,428 c€/m3 per i consumatori della fascia compresa fra 0 e 500 metri cubi all’anno, agli 0,180 c€/m3 per coloro che si posizionano all’interno della fascia compresa fra �0 milioni e �00 milioni di metri cubi all’anno (prezzi riferiti al �004, al netto delle imposte). Da qui, è facile comprendere che anche le aggregazioni dal lato della domanda, così come quelle dal lato dell’offerta, permettono di ridurre i prezzi finali di vendita; anzi, sono proprio queste a produrre gli effetti maggiori, specialmente in una regione come la Toscana, caratterizzata da un tessuto produttivo fortemente frammentato.

Nei prossimi anni, quindi, la strategia migliore per riuscire ad abbassare i prezzi di fornitura del gas è quella della formazione di centrali di acquisto: queste centrali, che ricoprono lo stesso ruolo che svolge l’Acquirente Unico nel mercato elettrico, essendo incaricate di acquistare il gas per un numero elevato di consumatori, acquistano potere contrattuale nei confronti dei fornitori e riescono ad ottenere il gas a prezzi sensibilmente minori. Inoltre, poiché il loro potere contrattuale cresce al crescere dei quantitativi contrattati, queste centrali di acquisto dovrebbero coinvolgere il maggior numero di imprese e famiglie possibile, in modo da raggiungere almeno la soglia minima dei 20 milioni di metri cubi annui contrattati (circa l’1% di tutti i quantitativi consumati annualmente all’interno del mercato regionale toscano). Oltre questa soglia, infatti, si ottengono le riduzioni maggiori, che possono arrivare anche al 60% del prezzo, al netto delle imposte.

3.6Considerazioni conclusive

Il mercato toscano del gas ha visto, negli ultimi anni, la nascita di nuovi soggetti che assumono un rilievo di primo piano all’interno del panorama nazionale, e il consolidarsi di realtà locali radicate ed efficienti, dimostrandosi piuttosto dinamico. Nel futuro, questa dinamicità dovrà tradursi in competitività, necessaria a fronteggiare il sempre maggiore numero di concorrenti che la liberalizzazione del settore metterà inevitabilmente in competizione con le aziende della regione, a cominciare dalla partecipazione alle gare per la gestione delle reti di distribuzione.

Le possibili traiettorie di sviluppo sembrano sostanzialmente due: una prima linea di sviluppo porta alla costituzione di imprese di dimensioni almeno medio/grandi, capaci di sfruttare le economie di scala presenti nelle varie fasi della filiera e in grado di rivaleggiare con i grandi player nazionali che stanno nascendo dall’aggregazione di numerose ex-municipalizzate, almeno nel nord Italia�64. Il rischio maggiore è che anche questa volta le imprese toscane si contraddistinguano per essere “le più piccole fra le grandi”, stante la difficoltà di creare un polo del gas di dimensione veramente regionale, al contrario di ciò che sta invece avvenendo in altre

�6� Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (�006), op. cit., in particolare pag. 35.�6� Le imprese prese a riferimento realizzano vendite per quantitativi superiori ai 300 milioni di m3 annui.�63 La precisazione è doverosa. Infatti, non tutti i clienti sono allacciati alle reti di distribuzione, ma alcuni sono allacciati direttamente alla rete di trasporto nazionale della Snam. E’ il caso, principalmente, di grandi consumatori industriali, che in questo modo riescono a superare i costi legati alla fase della distribuzione locale, riducendo ulteriormente i loro costi di fornitura del gas.�64 “A partire dall’anno �000 la fase della vendita è stata liberalizzata e si è avviato un progressivo fenomeno di concentrazione industriale, con eliminazione delle imprese marginali di minori dimensioni. (…) questo processo di concentrazione è stato anche affiancato da una serie di accordi tra utilities locali e nazionali: diverse imprese ex municipalizzate hanno dato vita ad aggregazioni con quote rilevanti e una presenza articolata sull’intero territorio nazionale. La riorganizzazione efficiente di queste aggregazioni, anche con l’offerta di più servizi su mercati contigui, potrebbe dare vita ad un vivace confronto competitivo. Si tratta di gruppi nati da ex municipalizzate (quali Hera, ASM Brescia) o comunque guidati dai più importanti operatori nella altre fasi della filiera (quali Italgas Più, ENEL Gas e Edison), i quali potrebbero diventare simmetricamente comparabili così da essere positivamente incentivati a competere tra aree locali”. Creatini R. (�006), “Il settore dell’energia: come liberalizzare in modo energetico?”, in Politiche di liberalizzazione e concorrenza in Italia, a cura di Pammolli F., Cambini C., Giannaccari A., pag. 76.

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realtà (come in Lombardia, in Emilia Romagna o fra il Piemonte e la Liguria).Una seconda linea di sviluppo è invece quella più tradizionalista, che vede le nuove società

di vendita e distribuzione fare il verso alle vecchie ex-municipalizzate, profondamente radicate sul territorio e a capitale totalmente o in grossa prevalenza pubblico. I rischi, per chi seguirà questo modello, sono diversi: in primo luogo, quello di perdere il controllo delle reti locali di distribuzione, un asset il cui controllo risulta di fondamentale importanza per realizzare gestioni efficienti e rimanere competitivi sul mercato; in secondo luogo, c’è il rischio di non riuscire ad investire a sufficienza nelle nuove capacità di marketing, sempre più necessarie per fidelizzare gli utenti (ormai “clienti” a tutti gli effetti); infine, ma non ultimo per importanza, le imprese che perseguiranno questo modello dovranno evitare di restare “isolate”, cercando in ogni modo di stringere accordi con altre realtà simili, soprattutto per raggiungere una massa critica sufficiente a poter contrattare l’acquisto di gas anche fuori dall’Italia, con fornitori alternativi ad ENI. Solo così, infatti, sarà possibile ridurre i costi di acquisizione della materia prima e, di conseguenza, il prezzo finale di vendita, elemento di primaria importanza per restare competitivi�65.

Per usare una terminologia sempre più diffusa, i due modelli possono essere almeno parzialmente identificati con, rispettivamente, il concetto di “National utility” e quello di “Local utility”�66. Quale di queste risulterà alla fine il più efficiente non può essere stabilito in modo oggettivo e astratto, ma dipenderà soprattutto dalle imprese che la attuano e dai contesti territoriali in cui le aziende opereranno, se è vero che, come ha rilevato l’AEEG:

“All’interno delle società di vendita si delineano diversi atteggiamenti, che le distinguono tra:- operatori poco vivaci dal punto vista commerciale, perlopiù imprese radicate al proprio

territorio di origine e di minori dimensioni, che mantengono politiche di prezzo allineate a quelle stabilite dall’Autorità per le condizioni economiche ai sensi della deliberazione n.�38/03 e per i clienti di maggiore dimensione mantengono preesistenti modalità di pricing o al limite reagiscono con sconti a fronte di offerte competitive di terzi;

- imprese, in particolar modo quelle di maggiori dimensioni diverse da ENI, che perseguono obiettivi di crescita e di fidelizzazione della clientela tramite strategie talvolta aggressive (operatori a livello nazionale, ex-municipalizzate dei grandi centri urbani, ecc.); non mancano però anche esempi di piccole imprese che hanno fatto del proprio radicamento sul territorio e affidabilità un punto di forza per consolidare il proprio mercato e tentare strategie offensive, sia pure limitatamente ai territori confinanti”�67.

In ogni caso, oltre agli scenari che andranno delineandosi dal lato dell’offerta, appare assai rilevante anche ciò che succederà dal lato della domanda. Le imprese e, più in generale, i consumatori toscani sono infatti chiamati ancora una volta (così come già avvenuto per i distretti) a fare massa, creando centrali di acquisto in grado di ottenere migliori prezzi di fornitura del gas e sfruttando così gli effetti già in atto della liberalizzazione del settore.

Nel lungo periodo, inoltre, lo sviluppo del mercato del GNL potrà probabilmente abbassare ulteriormente i prezzi finali, andando a ridurre in particolare il costo della materia prima che, come abbiamo avuto modo di constatare, costituisce la principale voce di costo del gas al netto delle imposte. Ad oggi però non è possibile, su questo punto, formulare previsioni sui tempi e sulla consistenza di questi effetti, a causa principalmente delle troppe incertezze sul futuro dei rigassificatori e dello stato di sviluppo ancora embrionale del settore.

�65 “In Italia (…) si è registrato negli ultimi anni l’ingresso di nuovi player, che hanno deciso di integrarsi verticalmente. Enel Trade è stata la società che più ha approfittato di questa opportunità; sono nati però, anche altri nuovi soggetti che sono risaliti nell’upstream al fine di approvvigionarsi in maniera autonoma. Numerosi sono stati i consorzi di acquisto nati da accordi tra ex-municipalizzate che si occupavano in precedenza esclusivamente delle fasi a valle come Plurigas (AEM Mi, ASM Bs e AMGA Ge), Eos Energia (Her e altre emiliano-romagnole) e Blugas (Consiag Prato, Salerno Energia, Intesa Siena e altre)”. REF Osservatorio Energia (�004), “La riorganizzazione del settore del gas al �004”, ANIGAS, pag. �05.�66Si veda, tra gli altri, REF Osservatorio Energia (�004), “La riorganizzazione del settore del gas al �004”, ANIGAS, pag. 6�.�67 Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (�006), op. cit., 33.

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Appendice

Tabella 1I PRINCIPALI OPERATORI TOSCANI NEL 2004

Gestore N. Comuni serviti Popolazione Popolazione cumulata (%)

FIORENTINA GAS Spa 47 874.690 24,84CONSIAG Reti Spa 14 421.092 11,96AGES Spa Azienda Gas Energia Servizi Pisa �1 �57.712 10,16COINGAS Spa �0 285.129 8,10PUBLIENERGIA Spa 15 280.597 7,97ENEL Rete Gas 26 260.527 7,40INTESA Spa Intervomunale Telecomunicazioni Energia Servizi Acqua �2 225.719 6,41ITALGAS Spa 16 202.�7� 5,75ASA Spa Azienda Servizi ambientali Livorno 4 186.911 5,�1GESAM Spa 7 109.888 �,12GEA Spa Grosseto Energia Ambiente 2 7�.686 2,09SEA Gas Spa 1 61.10� 1,74GESTIONI vALDICHIANA Spa 8 47.9�8 1,�6AMIATA Gas Spa 4 41.721 1,18CES Spa 2 24.771 0,70SER. MAS. Servizi Massarosa Azienda speciale 1 20.548 0,58ENERGIA vALDARNO Scrl 1 16.99� 0,48CENTRO PLURISERvIZI Spa 1 11.181 0,�2HERA Spa 2 6.11� 0,17ACAM Spa 1 4.�79 0,12ITALCOGIM Reti Srl 1 �.617 0,10COMUNE di Pieve Santo Stefano 1 �.�16 0,09PICCINI PAOLO Spa 1 1.626 0,05tOtALe COMpLeSSIVO 248 3.521.630 100,00MeDIA 10,8 153.114MeDIANA 4 61.103

Fonte: REF Osservatorio Energia (2004), “La riorganizzazione del settore del gas al 2004”, pag. 49

Tabella 2PREZZI MEDI DI FORNITURA SU RETI DI DISTRIBUZIONE NEL 2004, AL NETTO DELLE IMPOSTE. DATI IN EURO/MC. SOCIETà CON vENDITE PER OLTRE

�00 MILIONI DI METRI CUBI ANNUI

venditore* 10,500 mc

2501-

5.000 mc

�5.001-

200.000 mc

4200.001-

2.000.000 mc

52.000.001-

20.000.000 mc

620.000.001-

200.000.000 mc

7oltre i

200.000.000 mc

Media complessiva

Operatore A 0,515 0,4�7 0,�46 0,2�4 0,209 0,407Operatore B 0,462 0,�69 0,�40 0,290 0,2�1 0,�59Operatore C 0,4�8 0,�26 0,261 0,215 0,�48Operatore D 0,501 0,�7� 0,�15 0,228 0,202 0,19� 0,��6Operatore E 0,�77 0,�56 0,�26 0,256 0,211 0,��4Operatore F 0,494 0,�48 0,287 0,218 0,196 0,�22Operatore G 0,468 0,�48 0,�09 0,215 0,192 0,�19Operatore H 0,444 0,��0 0,�06 0,224 0,194 0,�04Operatore I 0,456 0,�20 0,277 0,220 0,195 0,299Operatore L 0,515 0,�29 0,289 0,2�7 0,204 0,189 0,298Operatore M 0,�77 0,�10 0,289 0,2�� 0,205 0,295Operatore N 0,460 0,�49 0,291 0,219 0,192 0,179 0,295Operatore O 0,�14 0,�10 0,281 0,245 0,198 0,292Operatore P 0,405 0,�10 0,27� 0,207 0,187 0,285Operatore Q 0,�56 0,�09 0,272 0,211 0,192 0,172 0,281Operatore R 0,�46 0,�15 0,265 0,205 0,201 0,280Operatore S 0,�80 0,�00 0,288 0,225 0,195 0,175 0,279Operatore T 0,415 0,294 0,271 0,215 0,192 0,274Altri esercenti 0,�79 0,�18 0,282 0,226 0,200 0,179 0,29�TOTALE ESERCENTI 0,428 0,��6 0,295 0,227 0,199 0,180 0,�09MAX 0,515 0,437 0,346 0,290 0,231 0,193Min 0,314 0,294 0,261 0,205 0,187 0,172Differenza MAX, min 0,201 0,143 0,085 0,085 0,044 0,021Deviazione Standard (1) 0,079 0,095 0,024 0,020 0,011 0,008Deviazione Standard su media (2) 18,4% 10,4% 8,1% 8,7% 5,3% 4,5%

N.B. I dati riportati sono le medie dei singoli prezzi di vendita per ciascun venditore e per ciascuna classe di consumo e derivano dal rapporto tra il fatturato e le quantità vendute* Sono riportate le società con vendite superiori a �00 milioni di mc/anno(1) Deviazione standard ponderata, tenendo conto dei volumi (totale dei venditori)(2) Deviazione standard ponderata rapportata al prezzo medio della classe (totale dei venditori)Fonte: Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (2006), Situazione del mercato della vendita di gas naturale ai clienti finali in Italia, pag. �5

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4.I SERvIZI ENERGETICI IN TOSCANA: EvOLUZIONE E POSSIBILI SCENARI NEL MERCATO DELL’ELETTRICITà

4.1Introduzione

L’analisi del mercato regionale dell’energia elettrica appare, per certi aspetti, più semplice di quello del gas, mentre, per altri, presenta delle difficoltà senza dubbio maggiori. Se da un lato, infatti, il settore è stato tradizionalmente in mano ad un unico operatore, l’ENEL, e non è stato perciò contraddistinto da quella dinamicità e da quella “varietà strategica” che ha invece caratterizzato, almeno negli ultimi anni, il settore del gas, dall’altro presenta aspetti di novità e variabili di rottura che potrebbero permettere l’ingresso e lo sviluppo di nuovi attori accanto allo storico monopolista, soprattutto nella fase della generazione.

Al contrario di ciò che è accaduto altrove, infatti, in Toscana ENEL ha mantenuto il monopolio sia nella fase della generazione, che in quella della distribuzione; in altre regioni, invece, benché ENEL mantenga una posizione di predominanza nella fase di generazione�68, alcune reti di distribuzione, localizzate soprattutto nei comuni maggiormente abitati, sono diventate di proprietà di importanti ex-municipalizzate, che ne hanno in carico la gestione, e che producono anche direttamente energia elettrica. È il caso, fra le altre, di Roma (ACEA), Milano (AEM), Torino (AEM), Brescia (ASM) e Bologna (HERA).

Inoltre, il settore elettrico si differenzia in Toscana da quello del gas anche per la presenza di una specifica legge di disciplina del comparto, al contrario di ciò che avviene per il gas, la cui disciplina specifica dovrebbe essere contenuta nella prossima legge regionale sui SPL. Nel 2005, infatti, la Toscana ha varato una legge contenente disposizioni in materia di energia che ha introdotto alcune norme relative alla produzione, trasporto, distribuzione, alla fornitura e all’uso dell’energia�69, talvolta eccessivamente “innovative” e perciò cadute sotto la scure della Corte Costituzionale�70.

In questo capitolo daremo una breve descrizione del mercato elettrico regionale e stimeremo quali sono i costi intermedi che compongono il costo finale dell’energia; successivamente, tenteremo di individuare alcune possibili traiettorie di sviluppo che, nel prossimo futuro, potrebbero rendere il comparto elettrico regionale più competitivo e, soprattutto, autosufficiente.

4.2La situazione energetica in Toscana

Da qualche anno il bilancio energetico toscano risulta in deficit, dato che l’energia elettrica prodotta a livello regionale non è in grado di soddisfare la domanda interna, come è invece avvenuto fra il 1997 ed il 2000. Fra il 2000 ed il 2004 si è progressivamente ampliato il deficit di produzione rispetto ai consumi, soprattutto a causa del minor utilizzo delle principali centrali ENEL ad olio combustibile, divenute obsolete sia dal punto di vista economico che ambientale; in particolare, nel 2004 la domanda regionale ha superato l’offerta di 1.289 GWh, creando così un deficit pari al 6,7% dell’energia elettrica complessivamente prodotta (si veda il prospetto in Tab. 4.1), nonostante il costante incremento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili (arrivata intorno al 30% di quella consumata all’interno della regione).

�68 “La ripartizione della produzione nazionale, in termini di operatori, dimostra le carenze di un processo di liberalizzazione che ha aperto il mercato lasciando però una struttura fortemente asimmetrica e poco equilibrata per tipologia di impianti, fonti e ubicazione. Infatti, considerando la potenza efficiente netta operativa nel periodo 2004-2005 (al netto degli impianti non disponibili e al netto della energia CIP 6 ceduta al Gestore della rete) ENEL risulta indubbiamente il principale operatore (con una quota di circa il 55%), seguita da Edipower (con circa il 9-10%, stessa quota detiene il Gestore della rete per l’energia CIP 6), Endesa (con il 7%), Enipower ed Edison (con poco più del 3%). L’analisi condotta sulla produzione nazionale evidenzia sempre ENEL come operatore leader, con il 49,4% della produzione nazionale netta, il secondo produttore è Edison, con il 12,3% dell’energia netta, seguono Edipower, 7,6%, Endesa Italia, 6,4%, Tirreno power, 2,3%, ed Enipower, 2%”. Creatini R. (2006), “Il settore dell’energia: come liberalizzare in modo energetico?”, in Politiche di liberalizzazione e concorrenza in Italia, a cura di Pammolli F., Cambini C., Giannaccari A., pag. 89.�69 Legge regionale n° 39 del �4 febbraio �005, “Disposizioni in materia di energia”, pubblicata nel B.U.R. Toscana n° �9 del 7/03/�005.�70 Corte Costituzionale, sentenza n° �48 del �006.

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Tabella 4.1BILANCIO DELL’ENERGIA ELETTRICA IN TOSCANA NEL 2004

GWh %

Produzione- termoelettrica 12.915 66,9- geotermica 5.4�7 28,2- idroelettrica 710 �,7- biomasse/eolico 2�2 1,2Produzione lorda totale 19.294 100,0- di cui da autoproduttori 2.581 1�,4- perdite e servizi alla produzione 2.051 10,6Consumi- industriali 10.414 50,6- terziari 5.642 27,4- domestici 4.286 20,8- agricoli 241 1,8Consumo totale 20.58� 100,0DEFICIT 1.289 6,7*

* Percentuale calcolata rispetto al totale della produzione

La produzione in Toscana, come già precisato nell’introduzione, è affidata quasi esclusivamente (salvo gli autoproduttori) ad ENEL; in base ai dati del �003 del GRTN, all’interno della regione si trovano 86 impianti di produzione idroelettrica, 79 impianti termoelettrici, 33 centrali geotermiche, � impianto eolico, che nel complesso hanno prodotto �8.756 MWh. Le centrali di maggiore importanza sono quelle di Piombino, Santa Barbara, Livorno e Larderello (Tab. 4.�), dove lavorano circa �.700 dipendenti.

La domanda di energia elettrica in Toscana è in costante crescita e fra il �990 ed il �003 è aumentata del 37%, con un incremento medio annuo del 2,4%; nel 2004 si sono raggiunti i 20 TWh (cui vanno aggiunti altri 1,2 TWh di perdite di rete), pari al 6,8% del consumo nazionale (a fronte di una popolazione che rappresenta il 6,1% di quella nazionale). La componente che più ha contribuito ad alimentare la domanda di energia è stato il comparto industriale (50,5%), seguito dal terziario (27,2%), dalla domanda domestica (20,9%) e dall’agricoltura (1,5%)�7�.

Tabella 4.2PRINCIPALI CENTRALI TOSCANE DI PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

Santa Barbara Piombino Livorno Larderello varie centrali idroelettriche

Tecnologia CCGT Olio combustibile Olio combustibile GeotermicoCapacità installata �90 Mw 4 x �20 Mw �10 Mw �70 Mw ca. 180 Mw

Oltre alla produzione, ENEL gestisce in Toscana anche tutte le reti di distribuzione locale: al contrario di ciò che è avvenuto in altre Regioni, dove alcuni Comuni hanno acquistato dall’ex-monopolista le reti di distribuzione dell’elettricità, per gestirle indirettamente attraverso alcune società ex-municipalizzate attive nei settori energetici, in Toscana tutta le rete è rimasta di proprietà dell’ENEL (in proposito, si veda la tabella � in appendice).

�7� Dati tratti da Regione Toscana (�004), “Piano di indirizzo energetico regionale”, proposta della Giunta Regionale.

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4.3Il contesto regolatorio e normativo regionale

4.3.� Il Piano Energetico Regionale del 2000La Toscana può essere inserita di diritto nel novero delle Regioni più attive in tema di energia, poiché è stata la prima regione d’Italia a dotarsi di un Piano Energetico Regionale (PER), già nel gennaio del �000.

Il PER è un documento che, oltre a promuovere l’uso delle fonti rinnovabili, mira al raggiungimento di alcuni obiettivi quali “la riduzione dei consumi energetici nonché l’innalzamento dei livelli di razionalizzazione di efficienza energetica della domanda come priorità strategica”�7�. Le spiccate caratteristiche di tutela dell’ambiente del documento sono ribadite anche dal riferimento esplicito alle risoluzioni della conferenza di Kyoto del dicembre �997, che mirano appunto alla riduzione delle emissioni inquinanti e dei gas “effetto serra”. Fra le finalità espressamente enunciate dal documento si trovano:- lo sviluppo e la diffusione delle fonti rinnovabili;- la cogenerazione con gas metano;- la produzione energetica derivante da rifiuti;- iniziative di razionalizzazione del sistema energetico e di riduzione dei consumi;- la realizzazione di politiche di sviluppo socio-economico delle aree interessate dagli

interventi.Per ciò che riguarda la produzione di energia elettrica, la Toscana godeva di una situazione di

autosufficienza che, come già detto, è stata raggiunta nel 1997 e mantenuta fino al 2000: questo è stato l’ultimo anno in cui si è riusciti a coprire il fabbisogno regionale con una produzione che avveniva completamente all’interno del territorio regionale. Ciò era possibile anche grazie alla produzione di energia geotermoelettrica localizzata nella zona di Larderello e che da sola permette di far fronte al 25% del fabbisogno della regione.

La condizione di autosufficienza ha permesso alla Regione, nel periodo 2000-2003, di concentrare le attenzioni sul miglioramento degli impianti di generazione già esistenti�73 e sullo sviluppo di alcuni impianti di cogenerazione a basso impatto ambientale: il progetto prevedeva infatti la realizzazione di una potenza installata aggiuntiva di circa 750-�000 MW, ripartita fra pochi impianti di media dimensione e su molti di piccola dimensione. Inoltre, nel PER del �000 si evidenziava che “la realizzazione di interventi di cogenerazione consente di ottenere una riduzione sui costi dell’energia che si riflette su un miglioramento della competitività aziendale complessiva”.

Gli avvenimenti contestuali all’approvazione del PER e quelli che l’hanno immediatamente seguita (in particolare, ci riferiamo qui al decreto Bersani, al decreto Letta e alla riforma del Titolo V della Costituzione, nonché alla perdita della condizione di autosufficienza per ciò che riguarda il consumo di elettricità�74) hanno fatto rapidamente invecchiare il piano energetico e fatto nascere l’esigenza di prepararne uno nuovo.

4.3.� Il Piano di Indirizzo Energetico Regionale del 2004Attualmente esiste un Piano di Indirizzo Energetico Regionale (P.I.E.R.), proposto dalla Giunta Regionale, che detta le linee guida della politica energetica che la Regione dovrà attuare entro il �0��. Il piano elenca alcuni obiettivi principali che elenchiamo di seguito:- autosufficienza energetica;- aumento dell’efficienza energetica e stabilizzazione del consumo di energia;- sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili;- aumento dell’efficienza energetica e ambientale nell’uso dei combustibili fossili, aumento

�7� Il Piano Energetico Regionale è stato approvato con una delibera del consiglio regionale del �8 gennaio �000 ed è pubblicato nel Supplemento Straordinario al Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n° 9 del 1.3.2000.�73 Come si legge nel PER, “Non si prevede di realizzare in Toscana nel periodo di vigenza del presente Piano nuove centrali termoelettriche di elevata potenza, stante il rapporto fra produzione e consumi interni già attualmente maggiore dell’unità, puntando invece sul mantenimento e sul miglioramento ambientale di quelle esistenti”.�74 Già nel �00� ad una domanda di �0,5 miliardi di chilowatt faceva fronte una produzione di �8,5 miliardi nel �00�, con un disavanzo di circa il 7,5%. Sul punto, si veda Pieraccini S. (2004), “La Regione schiaccia il pedale del gas”, in Il Sole 24Ore Centro Nord di mercoledì 11 febbraio 2004, pag. 5.

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dell’offerta e differenziazione negli approvvigionamenti;- sostenibilità ambientale del sistema energetico regionale;

Fra gli obiettivi principali del Piano c’è quindi il raggiungimento dell’autosufficienza del sistema energetico toscano, sia attraverso l’uso delle risorse energetiche locali rinnovabili (e la conseguente riduzione delle importazioni di energia prodotta da fonti energetiche non rinnovabili), che grazie alla stabilizzazione dei livelli di consumo. Per ciò che riguarda il primo aspetto, il Piano prevede tre livelli di intervento regionale -contenuto, medio e forte- che si differenziano fra loro anche in base alla percentuale di energia elettrica che nel �0�� dovrebbe essere prodotta ricorrendo alle fonti rinnovabili. Con un intervento regionale modesto, in linea con il trend di sviluppo attuale, la percentuale si attesta al 31,9%; con un intervento di medie proporzioni, la percentuale può arrivare al 39%; infine, con una politica energetica maggiormente incisiva, le fonti rinnovabili potrebbero arrivare a garantire fino al 50,8% dell’elettricità complessivamente prodotta. Va comunque sottolineato che, come si legge nel piano stesso, l’esigenza di nuova capacità rimane in tutti gli scenari considerati, anche se nel terzo scenario (forte intervento regionale, con incisiva riduzione dei consumi ed elevato sfruttamento delle fonti rinnovabili) si avrebbe la necessità di costruire una sola nuova centrale termolettrica, mentre nel primo (intervento contenuto) per raggiungere l’autosufficienza ci sarebbe bisogno di nuove centrali termoelettriche per una potenza pari ad oltre �.950 MW (Tab. 4.3).

Tabella 4.�ESIGENZE DI NUOvA CAPACITà TERMOELETTRICA AL 2012 (SCENARI DI RIFERIMENTO)

Intervento regionale contenuto

Intervento regionale medio

Intervento regionale forte

MW MW MW

Termoelettrico esistente 2.115,6 2.115,6 2.115,6Idroelettrico �41,6 �65,6 �95,6Altre rinnovabili 1.245,4 1.50�,4 1.670,4Totale installato �.612,6 �.894,6 4.181,6Totale disponibile alla punta 2.657,9 2.819,6 2.9�5,1Domanda alla punta 4.452 4.452 4.452Risparmio 177 �71 984Domanda netta alla punta 4.275 4.081 �.468Margine riserva �42 �26,5 277,4Esigenze di nuova capacità termica (esclusa riserva) 1.617,1 1.261,4 5��Esigenze di nuova capacità termica (inclusa riserva) 1.959,1 1.587,9 810,4Quota di EE prodotta da fonti rinnovabili sul totale richiesto �1,9% �9% 50,8%

Fonte: P.I.E.R.

Le strade per realizzare l’incremento della capacità di energia termoelettrica individuate nel Piano vertono su:a) la conversione e l’ammodernamento delle centrali esistenti con l’incremento della capacità

installata;b) la costruzione di nuove centrali;c) l’ampia diffusione della generazione distribuita.

Per quanto riguarda la conversione e il potenziamento delle centrali esistenti, in primo luogo la Regione ha in programma di stipulare un accordo con ENEL per la riconversione della centrale di Livorno a ciclo combinato, per una potenza complessiva di 660 MW. In secondo luogo, il Piano prevede l’ambientalizzazione della centrale di Piombino per adeguarne le emissioni alle nuove normative in materia.

Per ciò che riguarda, invece, l’incentivo alla cogenerazione, le attenzioni della Regione si sono concentrate sulla produzione combinata di elettricità e calore abbinata all’uso del calore per usi produttivi e al teleriscaldamento. Come si legge nel Piano, con questa soluzione si uniscono “i vantaggi della cogenerazione in sé (risparmio di energia primaria) i vantaggi ambientali connessi alla sostituzione del teleriscaldamento diffuso (piccole caldaie nei centri urbani ad alta densità di popolazione) con un’unica fonte situata al margine dei centri urbani e

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con dimensioni tali da rendere tecnicamente ed economicamente fattibile l’adozione di tecniche per l’abbattimento degli inquinanti”�75.

Infine, per quanto riguarda la generazione distribuita (vale a dire la realizzazione di impianti di generazione, alimentati a gas naturale o biomasse, di piccole e piccolissime dimensioni situati in prossimità dell’utenza�76), in futuro è ragionevole aspettarsi una sua progressiva diffusione soprattutto nelle zone rurali e remote, dove maggiori sono i vantaggi ottenibili da sistemi di distribuzione dell’elettricità basati sulla realizzazione di piccole reti locali.

Più in generale, la generazione distribuita permetterebbe di produrre elettricità a prezzi più contenuti, grazie alla possibilità di evitare i costi di trasmissione e, almeno parzialmente, di distribuzione. Su questo tema torneremo più diffusamente nel paragrafo 4.5.1.

4.3.3 La legge regionale n° 39 del 24 febbraio del 2005Dall’inizio del 2005, al Piano energetico si affianca anche la legge regionale n° 39 contenente “Disposizioni in materia di energia”, che costituisce il nuovo quadro normativo regionale in tema di energia, abrogando espressamente le precedenti leggi in materia (salvo alcune eccezioni). Il commento dell’intero testo di legge esula dagli scopi di questo lavoro, e pertanto si focalizzerà solo sull’esame di alcuni aspetti specifici in essa contenuti.

La legge, coerentemente con quanto espresso anche all’interno del PIER, incentiva la costruzione e la messa in esercizio di nuovi impianti di produzione di energia elettrica prevedendo agli artt. 11 e 12 un’unica autorizzazione, ottenibile con una procedura unificata che tiene conto anche della VIA, laddove richiesta. Questa semplificazione procedurale riguarda però espressamente la produzione di elettricità da fonte convenzionale; per le fonti rinnovabili, disciplinate dall’art. �3, non si fa invece menzione della procedura di VIA, che non sembra quindi essere compresa all’interno del procedimento unificato. Ciò sembrerebbe valere anche per la produzione di energia idroelettrica e geotermoelettrica, disciplinata all’art. �4, per la quale è quindi necessario attivare due distinti procedimenti facenti capo a due distinti uffici.

Relativamente alla concessione delle autorizzazioni, quindi, emerge un contesto normativo che, paradossalmente, sembra incentivare maggiormente il ricorso a fonti convenzionali per la produzione di elettricità, piuttosto che a quelle rinnovabili�77.

Le autorizzazioni (salvo quelle paesaggisitiche eventualmente richieste ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio) richieste agli artt. ��, �� e �3 non sono invece necessarie per svolgere alcune attività libere individuate dall’art. �7, vale a dire per installare piccoli pannelli solari termici (inferiori o uguali a �0 m�) o fotovoltaici (di potenza nominale uguale o inferiore ai 3 chilowatt), pannelli solari termici per applicazione nel settore florovivaistico, piccoli impianti eolici (con potenza non superiore a 5 chilowatt), impianti di microgenerazione a gas naturale (fino a 3 megawatt termici) e impianti di produzione energetica alimentati a biomasse (fino ad un massimo di 0,5 megawatt termici).

In linea con l’obiettivo previsto dal PIER di ridurre i consumi di energia, l’art. �3 prevede che le nuove edificazioni e le ristrutturazioni delle unità immobiliari esistenti devono essere realizzate in modo da contenere i consumi di energia: a tale scopo, il secondo comma dello stesso articolo introduce l’obbligo di installazione di impianti solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria pari almeno al 50% del fabbisogno annuale.

Per ciò che concerne disposizioni di tipo più prettamente regolatorio, la legge precisa all’art. �7 che i servizi energetici devono essere considerati servizi universali e la Regione e gli enti locali operano per garantire la loro accessibilità e disponibilità per tutti “coloro che dimorano o operano in qualsiasi parte del territorio della Toscana”, facendo proprio l’orientamento comunitario�78.

La novità più rilevante è costituita però da quanto previsto all’art. 30, comma 1, vale a dire l’apertura

�75 Regione Toscana (�004), “Piano di indirizzo energetico regionale”, pag. 69.�76 Regione Toscana (�004), “Piano di indirizzo energetico regionale”, pag. 70.�77 Sul punto si veda Guarnirei S. (�005), “La legge Regione Toscana �4 febbraio �005, n° 39 e la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile geotermica”, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, n° 3/�005, pagg 65� – 66�. Evidenzia l’Autore che “Questo comporta che per tali impianti (di produzione di energia da fonti rinnovabili), sicuramente più tutelativi dell’ambiente di quelli di produzione di energia da fonti convenzionali, è necessario attivare due procedimenti di competenza di due uffici regionali diversi nella regione Toscana: uno per ottenere l’autorizzazione unica ed uno per il rilascio della pronuncia di compatibilità ambientale a seguito del procedimento di VIA e non è stata introdotta procedura unificata. Non sono chiare le motivazioni di tale inasprimento introdotto proprio per le fonti rinnovabili” (pag. 659).�78 Cfr. la direttiva comunitaria �003/54/CE del �6 giugno �003 relativa a norme comuni per il mercato dell’energia elettrica.

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completa del mercato elettrico a decorrere dal 1° gennaio 2006, con la possibilità per ogni cliente finale domestico di acquisire la qualifica di cliente idoneo e, di conseguenza, di poter scegliere liberamente il proprio fornitore di energia elettrica. Inoltre, il comma 3 dello stesso articolo prevede che “Nel caso di persistenza di situazioni dominanti nel mercato dell’energia elettrica e gas in ambito regionale, la Regione promuove per quanto di sua competenza misure a favore dello sviluppo della concorrenza”: questo comma sembra rivolto soprattutto al settore elettrico, dove, come già sottolineato, la posizione dominante di ENEL non è stata mai messa in discussione da altri soggetti concorrenti, che risultano ad oggi quasi del tutto assenti�79. A questo proposito, un incentivo all’ingresso di nuovi entranti nella produzione di energia elettrica sembra contenuto anche nel quarto comma dello stesso art. 30, che introduce la possibilità di stipulare contratti diretti fra produttore di energia elettrica e cliente idoneo, auspicando la diffusione di tali contratti, soprattutto a vantaggio dei “clienti idonei collocati in aree limitrofe ai produttori e in particolare connessi a questi con un collegamento fisico diretto”.

Quest’ultima disposizione, in particolare, appare volta ad incentivare la diffusione della generazione distribuita, così come previsto anche dal PIER, che, da un lato, costituisce probabilmente la via migliore per facilitare l’ingresso di nuovi competitori nella fase della generazione elettrica e, dall’altro, permette di aumentare la capacità produttiva e ridurre il deficit energetico regionale.

La sentenza n° �48 del �006 della Corte Costituzionale ha in parte ridotto le novità introdotte dalla legge, dichiarando l’incostituzionalità di alcuni suoi articoli. Fra questi, spicca sicuramente l’abrogazione dell’art. 30, comma�, che aveva anticipato la liberalizzazione completa del mercato elettrico al �° gennaio �006, rispetto alla data del �° luglio �007 indicato dalla direttiva comunitaria �003/54/CE e confermato dalla legge nazionale �39 del �004 (all’art.�, comma 30). Secondo la Corte, la data in questione non può essere modificata perché l’individuazione del momento in cui liberalizzare completamente il mercato elettrico è un principio fondamentale e come tale spetta allo Stato�80.

La stessa sentenza ha poi abrogato l’art. �8, commi �, 3, 4 e 5, che di fatto permettevano alle amministrazioni locali di sostituire le concessioni di distribuzione di energia con contratti di servizio stipulati con gli stessi concessionari del servizio, o di procedere direttamente all’erogazione del servizio: in realtà, la legge n° �39 del �004 ha ribadito all’art. �, comma �, lettera c) quanto già disposto dal d.lgs. 79/�999 (Decreto Bersani), e cioè che l’attività distributiva dell’energia è attribuita esclusivamente «in concessione»�8�.

Dopo un’analisi giuridica del mercato elettrico regionale, si presentano di seguito alcune considerazioni di taglio più economico, relative al costo dell’energia elettrica, al modo in cui questo si forma e ai possibili ambiti di intervento per una sua riduzione.

4.4Il costo dell’energia elettrica

Uno degli effetti principali del processo di liberalizzazione del settore elettrico è quello di rendere i clienti liberi di scegliersi il fornitore sulla base delle offerte ricevute. La scelta di un bene o di un servizio avviene di solito sulla base della sua qualità e del suo prezzo: poiché la fornitura di energia elettrica risulta essere un servizio assai poco differenziabile, salvo accompagnare la fornitura stessa con altri servizi accessori, l’elemento principale su cui si basa la scelta del fornitore diventa necessariamente il prezzo di vendita. In questo paragrafo si analizzerà perciò la modalità con cui si determina il prezzo finale dell’energia.

�79 L’unica eccezione sembra attualmente rappresentata dalla nascente alleanza fra ACEA e Consiag, di cui parliamo nel paragrafo 4.5.�.�80 “La determinazione uniforme della data dalla quale tutti i clienti finali possono «stipulare contratti di fornitura con qualsiasi produttore, distributore o grossista, sia in Italia che all’estero» assume le caratteristiche di un principio fondamentale (per quanto transitorio) della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», principio con il quale la norma regionale in questione si pone in evidente contrasto, con conseguente violazione dell’art. ��7, terzo comma, della Costituzione”. Corte Costituzionale, sentenza n° �48/�006, punto 8.� dei considerato in diritto.�8� La stessa sentenza ha abrogato anche gli artt. �9 e 3� della legge regionale n° 39/�005. L’art. �9 affermava prevedeva che “i titolari di concessioni di distribuzione di energia elettrica e gas già rilasciate al momento dell’entrata in vigore della presente legge sono tenuti a fornire il servizio secondo i criteri e per le finalità di cui all’art. 27”, vale a dire considerando i servizi energetici come servizi universali e per questo garantiti a chiunque sul territorio regionale e forniti alle migliori condizioni economiche permesse dal mercato. In realtà, in linea con quanto avvenuto per le normative di livello nazionale, anche alla Regione è precluso incidere sul regime delle concessioni statali di distribuzione già rilasciate, allo scopo di garantire la certezza dei rapporti giuridici già instaurati dai concessionari dell’attività di distribuzione dell’energia, così come previsto dal principio fondamentale accolto dalla legislazione dello Stato circa la salvezza dei titoli concessori «in essere». L’art. 3�, invece, è stato dichiarato incostituzionale in quanto poggiava esclusivamente su disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime dalla stessa sentenza della Corte.

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Innanzitutto, è utile chiarire che le variabili che determinano il prezzo dell’energia elettrica sono molteplici.

La prima distinzione da fare riguarda la clientela: si possono infatti individuare due tipologie principali di clienti, in base alla possibilità loro riconosciuta di poter operare o meno sul libero mercato, quelli idonei�8� e quelli vincolati�83. La seconda distinzione riguarda i clienti vincolati, che si dividono a loro volta in domestici e non domestici. I clienti domestici�84 sono rappresentati dalle famiglie e, comunque, da tutti i consumatori non titolari di partita IVA: a loro la possibilità di scegliersi liberamente il fornitore di energia elettrica sarà data solo a partire dal �° luglio �007. I clienti non domestici hanno invece la possibilità di svincolarsi dal proprio fornitore, ma non l’obbligo: si avranno allora clienti non domestici che appartengono ancora al mercato vincolato e che, come prima della liberalizzazione, possono acquistare l’energia elettrica esclusivamente dal distributore locale e a questi devono versare il relativo corrispettivo di vendita; e clienti non domestici che operano sul mercato libero, che si riforniscono quindi mediante la libera contrattazione bilaterale con venditori e grossisti o, tramite contratti di scambio, attraverso la Borsa elettrica.

4.4.� I clienti domesticiAttualmente l’AEEG prevede per i clienti domestici una tariffa obbligatoria e alcune tariffe opzionali. La tariffa obbligatoria è disciplinata direttamente dalla stessa Authority ed è definita obbligatoria perché tutte le imprese di distribuzione devono offrire ai propri clienti la possibilità di usufruire di tale tariffa. Attualmente sono previste tre tipologie di tariffe obbligatorie: la tariffa D�, o tariffa di riferimento, che esprime il costo riconosciuto alle imprese di distribuzione per la fornitura dei clienti domestici e dovrebbe costituire la tariffa agevolata da applicare a tutti i clienti domestici in stato di disagio economico (la cosiddetta “tariffa sociale”)�85; la tariffa D�, prevista per tutti i clienti domestici residenti con potenza impegnata fino a 3 kW; la tariffa D3, per i clienti domestici residenti con potenza impegnata superiore a 3 kW o non residenti. La tariffa D� non viene al momento applicata, mentre per le tariffe D� e D3 è prevista una graduale convergenza verso la tariffa di riferimento D�.

Le tariffe in questione sono idonee a coprire i costi di generazione�86, i costi di trasporto�87, i costi commerciali e di misura�88, i costi per obiettivi di carattere sociale�89 e i costi sostenuti per garantire l’equilibrio del sistema tariffario. Ogni tariffa si compone di tre tipi di corrispettivi: un corrispettivo fisso, indipendente dalla quantità di energia effettivamente consumata e dalla potenza impegnata dal singolo cliente; un corrispettivo di potenza, che copre una parte dei costi di distribuzione dell’energia e che varia in base alla potenza impegnata da ogni cliente, ma è indipendente dai consumi di energia; i corrispettivi di energia, che, tra gli altri, servono a pagare la restante parte dei costi di distribuzione, i costi di trasmissione, i costi di produzione e di dispacciamento, gli oneri derivanti dai certificati verdi, commisurati all’energia effettivamente consumata da ogni cliente. I valori assunti dalle componenti delle tariffe D2 e D3 vengono ridefiniti annualmente dall’AEEG.

�8� “Clienti idonei: secondo la Direttiva europea 96/9�/CE sul mercato interno dell’energia elettrica e la Direttiva 98/30/CE sul mercato interno del gas naturale, sono i clienti ammessi a operare sul mercato libero, scegliendo il proprio fornitore. Essi hanno la facoltà di acquistare energia elettrica o gas da qualsivoglia operatore abilitato presente sul mercato e di ottenere il trasporto di tale energia sulle reti di trasmissione e distribuzione. Secondo il decreto legislativo n. 79/99, art. � c. 6, “è la persona fisica o giuridica che ha la capacità, per effetto del presente decreto, di stipulare contratti di fornitura con qualsiasi produttore, distributore o grossista, sia in Italia che all’estero”. Autorità per l’energia elettrica e il gas (�000), “Relazione annuale”, pag. 3�7.�83 “Clienti vincolati: secondo la terminologia della Direttiva europea 96/9�/CE sul mercato interno dell’energia elettrica e la Direttiva 98/30/CE sul mercato interno del gas naturale, si tratta dei clienti non ammessi a operare sul mercato libero, ma soggetti a tariffe regolamentate. Secondo il decreto legislativo n. 79/99, art. � c. 7, “è il cliente finale che, non rientrando nella categoria dei clienti idonei, è legittimato a stipulare contratti di fornitura esclusivamente con il distributore che esercita il servizio nell’area territoriale dove è localizzata l’utenza”. Autorità per l’energia elettrica e il gas (�000), “Relazione annuale”, pagg. 3�7-3�8.�84 In base alla definizione data dall’Acquirente Unico, sono “clienti domestici” tutti “i clienti con forniture in bassa tensione per usi domestici”.�85 Per individuare i clienti disagiati si farà riferimento all’ISEE (indicatore di situazione economica equivalente) e non più al livello dei consumi, come avveniva in passato.�86 Per costi di generazione si intendono i costi di produzione e dispacciamento dell’energia elettrica, compresi gli oneri derivanti dall’applicazione della normativa sui certificati verdi; all’interno di questa voce di costo sono inoltre remunerati il servizio di interrompibilità e la disponibilità di capacità produttiva.�87 Nei costi di trasporto sono compresi i costi relativi al trasporto dell’energia, sulle reti di trasmissione nazionale e di distribuzione, dal sito di produzione sino all’abitazione del cliente.�88 Fra questi ci sono i costi derivanti dalle attività commerciali connesse alla vendita quali la fatturazione; installazione, manutenzione, lettura del contatore, etc..).�89 Sono i costi sostenuti per gli interventi effettuati sul sistema elettrico nel suo complesso per realizzare finalità di interesse dell’intera collettività nazionale quali obiettivi di carattere sociale, ambientale e uso efficiente delle risorse (a titolo di esempio le attività di ricerca e sviluppo, la promozione delle energie rinnovabili,…).

74 75

Nel grafico 4.5 viene riportata la tariffa media per i clienti domestici calcolata dall’AEEG per il quarto trimestre del 2006, cui devono essere aggiunti circa 20,6 euro annui di costi fissi: come è possibile notare dal grafico, la voce più rilevante è costituita dai costi di produzione, che ammontano a ben il 63,3% del totale, mentre i costi per le infrastrutture si attestano al 15,6%; gli oneri di sistema costituiscono il 10,8% dei costi totali, mentre gli oneri di commercializzazione della vendita rappresentano la voce meno rilevante, con lo 0,2% del totale; il 10,0% della tariffa, infine, è rappresentato dalle imposte.

Tabella 4.4TIPOLOGIA DI TARIFFE PER I CLIENTI DOMESTICI

D1 D2 D� Ulteriori opzioni

(…)

Corrispettivo di energia €/kWh

I trimestre gennaio-

marzo 2006

II trimestre aprile-giugno

2006

III trimestre luglio-

settembre 2006

Iv trimestre ottobre-

dicembre 2006

I trimestre gennaio-

marzo 2006

II trimestre aprile-giugno

2006

III trimestre luglio-

settembre 2006

Iv trimestre ottobre-

dicembre 2006

(…)

finoa900kWh/anno 0,0795 0,0855 0,0924 0,0944Corrispettivo di energia€/kWh 0,1426 0,1516 0,1607 0,16��

da 901 a 1.800 kWh/anno 0,0988 0,1049 0,1118 0,11�8da 1.801 a 2.640 kWh/anno 0,1426 0,1516 0,1607 0,16��da 2.641 a �.540 kWh/anno 0,2290 0,2401 0,2510 0,25�9da �.541 a 4.440 kWh/anno 0,210� 0,2214 0,2�2� 0,2�52oltre 4.440 kWh/anno 0,1426 0,1516 0,1607 0,16��Corrispettivo di potenza€/kW/anno 6,24Corrispettivofisso €/anno 1,92

Fonte: elaborazione nostra su dati AEEG

Grafico4.5TARIFFA LORDA PER CLIENTI DOMESTICI RELATIvA AL 4° TRIMESTRE DEL 2006

Iv Trimestre2006.Tariffalorda=14,89c€/kWh(+19,2%suIVtrimestre2005)

Trasmissione2,3%

Distribuzione(incluse UC e UC6)

11,6%

Misura 1,7%

Costi di commercializzazione della vendita

0,2%

Costi di produzione63,3%

Oneri di sistema10,8%

Imposte10,0%

Costi infrastrutture15,6%

Fonte: www.autorita.energia.it

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4.4.� I clienti non domesticiPer clienti non domestici si intendono tutti i consumatori diversi dalle famiglie, per i quali si è già realizzata l’apertura completa del mercato. Ciononostante, alcuni consumatori hanno deciso di rimanere vincolati al distributore locale, esattamente come avveniva prima della liberalizzazione: per questo, le tariffe per i clienti non domestici si distinguono fra tariffe per i clienti del mercato libero e tariffe per i clienti del mercato vincolato.

Anche in questo caso, la tariffa copre tutti i costi della filiera, vale a dire i costi per il servizio di trasmissione, il corrispettivo per il servizio di distribuzione, la tariffa per il servizio di misura, nonché gli oneri sostenuti nell’interesse generale del sistema elettrico (a ciò provvedono, in particolare, le componenti tariffarie A, UC e MCT). I clienti del mercato vincolato pagano anche un corrispettivo per il servizio di vendita�90 che non è invece previsto per i clienti del mercato libero, che si riforniscono mediante la libera contrattazione bilaterale con venditori e grossisti o, tramite contratti di scambio, attraverso la Borsa elettrica. Nel grafico 4.6 si presenta uno schema riassuntivo�9�.

Schema 4.6SCHEMA DELLE PARTI CHE COMPONGONO IL PREZZO FINALE DELL’ENERGIA ELETTRICA

DETERMINAZIONE DEL PREZZO DELL’ENERGIA ELETTRICA

Corrispettivo totale dovuto dai clienti del mercato libero al distributore: (al netto delle imposte e altri oneri fiscali)

Tariffa per il servizio di trasmissione +

Corrispettivoperilserviziodidistribuzione(opzionetariffaria/regimesemplificato) +

Tariffa per il servizio di misura +

Componenti tariffarie A +

Componente tariffaria MCT +

Componenti tariffarie UC�, UC4, UC6

(*) Il costo di produzione dell’energia elettrica non è parte del corrispettivo poiché i clienti del mercato libero si approvvigionano direttamente tramite venditori e/o grossisti ai quali versano direttamente il prezzo con essi liberamente pattuito, o tramite contratti di scambio.

Corrispettivo totale dovuto dai clienti del mercato vincolato al distributore: (al netto delle imposte e altri oneri fiscali)

Tariffa per il servizio di trasmissione +

Corrispettivoperilserviziodidistribuzione(opzionetariffaria/regimesemplificato) +

Tariffa per il servizio di misura +

Tariffa per il servizio di vendita +

Componenti tariffarie A +

Componente tariffaria MCT +

Componenti tariffarie UC1, UC�, UC4 , UC5 , UC6

Fonte: www.autorita.energia.it

�90 La tariffa per il servizio di vendita copre i costi di acquisto e vendita dell’energia elettrica, i costi di dispacciamento e gli oneri derivanti dalla normativa sui certificati verdi. All’interno di questa voce sono inoltre remunerati il servizio di interrompibilità e la disponibilità di capacità produttiva.�9� Schema tratto dal sito www.autorita.energia.it, così come disposto dal “Testo integrato delle disposizioni dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas per l’erogazione dei servizi di trasmissione, distribuzione, misura e vendita dell’energia elettrica”, valido per il periodo di regolazione �004-�007.

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Il calcolo delle tariffe per i clienti non domestici, oltre a tener conto delle diverse tipologie di clientela (vincolata e libera), deve anche tener conto delle diverse tipologie contrattuali. Sono infatti previsti cinque contratti di consumo diversi, in base alla tensione richiesta e all’uso che viene fatto dell’energia:- utenze in bassa tensione di illuminazione pubblica;- altre utenze in bassa tensione;- utenze in media tensione di illuminazione pubblica;- altre utenze in media tensione;- utenze in alta e altissima tensione. A ciò si aggiunge il fatto che alcune componenti tariffarie

sono diversificate fra i clienti non dotati di misuratori capaci di rilevare i consumi per fasce orarie, e quelli che invece hanno tale misuratore (è il caso, per esempio, della tariffa per il servizio di trasmissione).Infine, alcune corrispettivi della tariffa cambiano con frequenza trimestrale (come nel caso

delle componenti tariffarie A e UC).Dopo queste precisazioni, è facile comprendere come sia estremamente difficile individuare

il costo “medio” dell’energia elettrica per i clienti non domestici. Tuttavia, in base ad alcuni dati pubblicati dall’AEEG e dal Gestore del Mercato Elettrico (GME), è possibile effettuare una stima almeno dei costi variabili (dato che i costi fissi sono inversamente proporzionali al consumo e dipendono quindi da questo).

Il prezzo d’acquisto medio annuo dell’energia elettrica fatto registrare in Borsa nel �005 è stato di 6,4 c€/kWh, con un aumento del 13,1% rispetto al prezzo medio del 2004�9�. Questo dato sarà utilizzato come approssimazione del costo di vendita che hanno sostenuto tutti i clienti non domestici che si servono del mercato libero, per i quali non è prevista una tariffa per il servizio di vendita (si veda il Graf. 4.7).

I clienti non domestici che appartengono ancora al mercato vincolato hanno invece pagato 9,495 c€/kWh, 9,285 c€/kWh e 8,1225 c€/kWh per, rispettivamente, le utenze a bassa tensione, le utenze a media tensione e quelle ad alta tensione�93.

A queste tariffe vanno aggiunti i costi medi per il servizio di trasporto e distribuzione, che nel 2005 sono ammontati a 3,15 c€/kWh per i consumi a bassa tensione, a 1,31 c€/kWh per quelli a media tensione e a 0,41 c€/kWh per quelli ad alta tensione. Infine, per ciò che riguarda i valori delle componenti tariffarie A, UC e MCT, si devono aggiungere altri 1,74 c€/kWh per le utenze in bassa tensione (stima effettuata facendo una media della tariffa per le utenze con potenza impegnata non superiore a �,5 kW e per le utenze con potenza impegnata superiore a tela soglia), che scendono a 1,7 c€/kWh per le utenze in media tensione e a 1,59 c€/kWh nel caso di utenze in alta e altissima tensione. Questi costi sono uguali sia per i clienti non domestici liberi, che per quelli non domestici vincolati�94.

In sintesi, i risultati delle stime relative ai costi variabili per utenze non domestiche sono presentati in tabella 5. Nella stessa tabella si riporta anche la quota percentuale di ogni singola tipologia di costo sul totale dei costi variabili. Vale la pena precisare che i numeri ottenuti, essendo frutto di stime e, talvolta, anche di medie fra più tariffe relative a semestri differenti, non hanno la pretesa di essere esatti, ma solo di dare un ordine di grandezza corretto ai fenomeni indagati.

I dati suggeriscono alcune considerazioni. In primo luogo, emerge come i clienti liberi riescano a spuntare un prezzo mediamente inferiore a quelli vincolati: da questo punto di vista, dunque, la liberalizzazione del settore sembra portare i propri frutti. In secondo luogo, i consumatori più penalizzati sono, come era lecito aspettarsi, quelli a bassa tensione, mentre quelli che godono dei costi variabili più bassi sono invece quelli ad alta tensione. In terzo luogo, si può notare come i costi di produzione costituiscano sempre la componente di costo principale, la quale oscilla da un minimo del 59,6% nel caso dei clienti liberi a bassa tensione ad un massimo dell’84,2% per i clienti vincolati ad alta tensione; i costi di trasmissione e distribuzione, invece, riducono

�9� Gestore del Mercato Elettrico (�006), “Rapporto annuale �005”, pag. 35. Nel �005 la Borsa elettrica ha rappresentato la principale forma di transazione per contratti di acquisto di energia elettrica, costituendo quasi il 50% degli acquisti complessivi. AEEG (2006), “Relazione annuale”, pag. 34.�93 Abbiamo omesso di considerare i costi di trasmissione e distribuzione relativi ai consumi per illuminazione pubblica, volendo qui focalizzare la nostra attenzione sulle tariffe che ricadono sulle famiglie e sulle attività produttive.�94 Una leggera differenza si registra solo per le componenti UC. Tale differenza non inficia comunque le considerazioni che seguono.

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notevolmente il proprio peso in relazione all’aumentare della tensione dell’energia: questo dato risulta però viziato dall’assenza, in queste stime, dell’impatto dei costi fissi, che assumono invece un ruolo determinante nel caso dei consumatori ad alta tensione.

Tabella 4.7STIME RELATIvE AI COSTI vARIABILI PER UTENZE NON DOMESTICHE

CLIENTI NON DOMESTICI Ammontare delle varie tipologie di costo sul totale dei costi variabili (%)

Tipologia di cliente Tot. Costi variabili (c€/kWh)

Trasmissione e distribuzione Produzione A, MCT e UC

Bassa tensione 10,74 29,� 59,6 11,1Clienti liberi Media tensione 8,88 14,7 72,1 1�,2

Alta tensione 7,92 5,2 80,8 14,0 Bassa tensione 13,84 22,8 68,6 8,6Clienti vincolati Media tensione 11,77 11,2 78,9 9,9

Alta tensione 9,64 4,� 84,2 11,5

4.4.3 Il costo dell’energia come fattore competitivoL’energia elettrica assume un’importanza notevole all’interno di un sistema economico poiché i suoi costi si ripercuoto sui clienti finali sia in modo diretto, quando questa viene consumata per ottenere alcuni servizi (quali l’illuminazione, il calore, ecc.), e sia in modo indiretto, in quanto incrementa il prezzo finale dei beni che la usano all’interno del proprio ciclo produttivo.

Ridurre il costo dell’energia, quindi, ha come effetto quello di aumentare la competitività di un sistema produttivo, e ciò vale ancora di più se tale sistema è orientato all’export. L’Italia, infatti, è fra gli Stati europei in cui l’energia elettrica risulta più cara (Tab. 4.8).

In base ai dati rilevati da Eurostat per il 2006, che stimano anche i costi fissi, l’Italia risulta ben al di sopra della media europea sia per ciò che riguarda il prezzo pagato dalle famiglie, sia per quanto riguarda quello pagato dalle utenze industriali. In particolare, il gap con alcuni Paesi, come la Francia e la Gran Bretagna, risulta così elevato che i prezzi praticati in Italia sono quasi pari al doppio.

Tabella 4.8COSTO DELL’ENERGIA ELETTRICA IN ITALIA E IN ALTRI PAESI U.E.

Paese Costo dell’energia elettricaConsumatori domestici(*) Consumatori industriali (**)

Italia 21.08 12,08Francia 12,05 5,78Germania 18,�2 9,94Spagna 11,47 7,57Gran Bretagna 10.20 8,22Olanda 20.87 9,57Media UE 25 14.16 8,65(*) Prezzo per 100 kWh, tasse incluse, per consumatori domestici con un consumo pari a �.500 kWh all’anno(**) Prezzo per 100 kWh, tasse escluse, per consumatori industriali con un consumo pari a 2.000 MWh all’annoFonte: Dati tratti da Eurostat (2006), “News Relase” n° 9�/2006 del 14 luglio 2006

Differenze così marcate sono dovute, principalmente, al diverso mix produttivo di risorse impiegate per la produzione dell’elettricità all’interno dei vari sistemi nazionali. Come già sottolineato, infatti, la componente di costo più rilevante è costituita dai costi di produzione e l’Italia si contraddistingue per un’alta percentuale di centrali a olio combustibile e gas, mentre nel resto d’Europa sono molto diffuse le centrali a carbone e, soprattutto, quelle nucleari, che permettono di produrre energia elettrica a costi molto più contenuti (Graf. 4.9).

La Toscana risente chiaramente dello scenario nazionale e, allo stato attuale, le possibilità di poter intervenire direttamente sui prezzi dell’energia elettrica o sul processo di formazione di

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questi, che, come abbiamo visto, dipendono dai costi di tutte le fasi della filiera, appaiono quanto mai ridotti. Il problema diventa di estrema importanza se si considera che la regione è caratterizzata dalla presenza di tante piccole e piccolissime imprese (che risultano essere quelle meno beneficiate dalla liberalizzazione), e per di più vocate all’esportazione (e quindi in diretta competizione con le imprese straniere che pagano, mediamente, costi minori).

Negli ultimi tempi alcune ex-municipalizzate si stanno organizzando per entrare nel settore della vendita e rompere il monopolio dell’ENEL: si pensi in particolare, all’accordo stretto fra Consiag di Prato e ACEA di Roma. Le due società, attraverso le loro controllate ConsiaGas e Acea Electrabel Elettricità, hanno infatti creato una joint venture, Elettria, allo scopo di vendere energia elettrica in Toscana, prima alle piccole e medie aziende, e poi, dal luglio �007, anche alle utenze domestiche. Il capitale è detenuto per il 51% da Consiag e per il restante 49% da ACEA.

Grafico4.9MIx DI COMBUSTIBILI E COSTI DI PRODUZIONE

Mix di produzione per fonte (%)

14%

31%

31%

20%4%

* Ipotes i:• B rent 45 US D/ bbl• C arbone C IF a 70 US D/ ton• 1 € = 1,2 US D, non c ons iderando i c os t i di K y o t o

ItaliaE uropa 25

Full cos t per fonte (€/MWh)*

Olio e G as S T /OC GTG as C C GT

Nuc leare

C arbone R innovabili

2004 2004Solare

Eolico

Olio

Gas (CCGT)

Carbone

Nucleare

Idro

~25

20

~40

70-80

55-60

19%

13%

29%

39%

550

~80

Fonte: ENEL s.p.a.195

L’alleanza potrà avvalersi dello know how e delle risorse di cui dispone ACEA, tradizionalmente impegnata in questo settore, e della rete di clienti che già oggi acquistano il gas da Consiag, che in futuro potrà così offrire congiuntamente i due servizi energetici. Si potranno inoltre accrescere le economie di scala nella produzione e vendita di energia elettrica attraverso l’integrazione delle risorse e delle strutture già sviluppate dai partner. In base al piano di sviluppo previsto, la penetrazione del mercato regionale, incentrata soprattutto sui clienti industriali, ma anche sulle grandi utenze commerciali e sulle imprese attive nel terziario, dovrebbe permettere di raggiungere un volume di 1,2 Twh entro il 2011, vale a dire il 6,7% dell’intero mercato business toscano�96.

Più in generale, questa alleanza conferma il processo di progressiva integrazione fra settore elettrico e settore del gas che porterà, in un prossimo futuro, alla proliferazione di imprese che possono offrire entrambi i servizi in modo competitivo, grazie alla possibilità di sfruttare le economie di scopo presenti nel comparto energetico.

�95 Per quanto riguarda le centrali nucleari, altre stime parlano di circa 47 euro per MWh in uno scenario a tassi di mercato, mentre si scende a circa �5 euro per MWh in uno scenario a tasso agevolato (vale a dire nel caso in cui l’impresa che realizza la centrale utilizzi capitale proprio al 100%, non soggetto a tassazione e applicando un costo opportunità del 5%). Il costo dell’energia prodotta da una centrale nucleare risente infatti fortemente dei costi dell’investimento iniziale per realizzare la centrale e, d conseguenza, varia in funzione del modo con cui il progetto viene finanziato e dei tassi di interesse sul capitale investito. Sul punto si veda Gallanti M., Parozzi F. (�006), “Valutazione dei costi di produzione dell’energia elettrica da nucleare”, in Energia n° 3/�006, pagg. 60-70.�96 Si veda Mosetti C. (�006), “Un nuovo player toscano farà concorrenza all’Enel”, in Utility n° 7/�006, pag. �0.

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4.5Il mercato elettrico toscano e le possibili evoluzioni future: la generazione distribuita

4.5.� La generazione distribuita: gli elementi caratterizzantiNel breve periodo alleanze quali quella fra ACEA e Consiag rappresentano la strada migliore e più breve per introdurre concorrenza (e, conseguentemente, per ottenere una riduzione dei prezzi) nel comparto elettrico toscano; nel medio e lungo periodo, però, potrebbero intervenire alcune variabili di rottura di maggiore impatto che potrebbero avere conseguenze rilevanti sul mercato regionale.

Se nel gas i terminali di rigassificazione rappresentano l’innovazione tecnologica di maggior rilievo -almeno dal punto di vista dell’organizzazione della filiera produttiva- nel settore elettrico la possibilità di aprire realmente il mercato regionale sembra affidata soprattutto alla diffusione della generazione distribuita (GD).

Per generazione distribuita si intende, genericamente, “an electric power generation source that is connected directly to the distribution network or on the customer side of the meter”�97. Questa definizione è fra le più generiche perché tiene conto solo del modo in cui l’energia prodotta arriva al consumatore, vale a dire con una connessione diretta alla rete locale di distribuzione, senza connessione con quella di trasmissione; in altre definizioni si individua anche la dimensione dell’impianto e la fonte primaria di produzione dell’energia.

Per ciò che riguarda il primo elemento, c’è un comune accordo nel far coincidere il concetto di sistema di generazione distribuita con quello di “piccoli impianti di generazione diffusi sul territorio”, anche se non c’è univocità quando si tratta di individuare una soglia massima di produzione; comunque, le definizioni più diffuse in ambito internazionale definiscono microgenerazione quella per potenze elettriche inferiori a �00 kW, minigenerazione per potenze comprese fra �00 e �.000 kW e piccola generazione per potenze comprese tra �.000 e ��.000 kW�98.

Per ciò che riguarda, invece, il secondo elemento, esiste attualmente una spaccatura all’interno della comunità scientifica sulla possibilità di definire in modo specifico anche il tipo di fonte da cui viene prodotta l’elettricità.

Secondo alcuni, infatti, la generazione distribuita “is typically smaller generation such renewable generation, including small hydro, wind and solar power and smaller combined heat and power”�99, ma secondo altri “poiché uno dei vantaggi della generazione distribuita è spesso la contiguità con utenze con significativa domanda termica, ove possibile gli impianti sono cogenerativi. Da questa opzione è oggettivamente esclusa gran parte della generazione elettrica da fonti rinnovabili”�00. La diatriba si spiega considerando che, almeno fino ad oggi, la maggior parte degli impianti appartenenti a sistemi di generazione distribuita ricorre effettivamente ad impianti termoelettrici in cogenerazione, essendo questa le tecnologia che permette di toccare i livelli di efficienza energetica maggiori (fino a 80/90%); d’altro canto, per ciò che concerne il futuro, la tecnologia che in prospettiva sembra prevalere è quella che fa ricorso alle fonti rinnovabili, per cui è lecito aspettarsi che nei prossimi anni un numero sempre maggiore di impianti di generazione produca energia pulita. Vale comunque la pena ricordare che attualmente, anche gli impianti in cogenerazione sono esentati dall’obbligo di concorrere pro quota alla produzione di elettricità da fonti rinnovabili o, alternativamente, di acquistare i Certificati Verdi.

La generazione distribuita presenta diversi vantaggi. Il primo riguarda l’alleggerimento dei carichi sulla rete di trasmissione nazionale, che verrebbe “saltata” e non sarebbe perciò più

�97 Pepermans G. et al. (2005), “Distributed generation: definition, benefits and issue”, in Energy policy n° 33, pag. 797.�98 Zorzoli G. B. (�006), “La cogenerazione distribuita tra attese e realtà”, in Energia n° 3/�006, pag. 73.�99 Brunekreeft G., Ehlers E. (�006), “Ownership unbundling of electricity distribution networks and distributed generation”, in Competition and regulation in network industries, n° �/�006, pag. 64.�00 Zorzoli G. B. (�006), op. cit., pag. 73. Di questa opinione anche Pepermans: “Sometimes, it is claimed that distributed generation technologies should be renewable. However, it should be clear that many small-scale generation technologies exist that do not use renewable as a primary source. On the other hand, not all plants using “green” technologies are supplying distributed generation. This would, for example, depend on the plant size or on the grid to which the installation is connected (transmission or distribution). Should a large offshore wind farm of �00 MW be considered as a distributed generation? And what about a large hydro power plant located in the mountains?” Pepermans G. et al. (�005), op. cit., pag. 797. Fra coloro che sono invece fautori di un modello di generazione distribuita che si basi prevalentemente sulle energie rinnovabili c’è invece Luigi Paganetto, commissario straordinario dell’ENEA, così come lui stesso ha dichiarato in un intervista apparsa su Il Sole 24Ore del �8 novembre �006 (Cfr, Rendina F., “Tanti impianti, ma più piccoli”, pag. 12).

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necessaria per collegare i produttori di energia con i consumatori�0�. Ciò aumenta la qualità dell’energia fornita e mette anche al riparo da eventuali cali di tensioni o interruzioni dell’erogazione di elettricità (come, ad esempio, nei recenti casi di black out), rappresentando una soluzione al problema della continuità di esercizio�0�. La diffusione della generazione distribuita si pone così in alternativa agli investimenti per sviluppare la rete di trasmissione e distribuzione.

Il secondo attiene alle dimensioni ridotte degli impianti, che consentono così di superare molti dei problemi relativi alla loro localizzazione (paesaggistici, ambientali, ecc.) e di avere tempi di realizzazione e installazione assai contenuti. Da ciò discende anche la possibilità di adeguarsi in tempi molto rapidi alla crescita della domanda di energia.

Il terzo vantaggio è dato dal fatto che, accorciando il percorso compiuto dall’energia elettrica, si riduco le perdite e si aumenta l’efficienza del sistema nel suo complesso.

Come ogni innovazione, anche la diffusione di un sistema di generazione distribuita presenta i suoi costi.

Il primo è di tipo meramente economico, dato che impianti di minori dimensioni non permetterebbero di sfruttare le economie di scala nella costruzione, nell’installazione e nella manutenzione che si possono ottenere realizzando impianti più grandi. Il ricorso alla cogenerazione permetterebbe comunque di “limitare i danni” grazie al doppio ricavo ottenuto dalla vendita di elettricità e di calore, ma anche in questo caso si deve fare i conti col fatto che la domanda di calore è tendenzialmente costante per tutto l’anno solo se proviene dalle attività produttive,mentre risente di una forte stagionalità nel caso delle utenze domestiche.

Il secondo tipo di svantaggio riguarda invece l’impossibilità si sfruttare le economie di coordinamento�03: la rete di distribuzione attualmente presente è stata infatti realizzata per servire carichi passivi, vale a dire un flusso di energia monodirezionale che dalla rete di trasmissione viene indirizzato verso gli utenti finali. La presenza di diversi impianti di generazione collegati alla stessa rete di distribuzione rende, almeno in parte, il flusso bidirezionale difficilmente programmabile: questa maggiore imprevedibilità dei flussi in entrata e in uscita dalla rete potrebbero mettere in crisi gli attuali sistemi di regolazione e controllo e ridurre la qualità dell’energia trasportata.

Il terzo svantaggio, in parte legato al precedente, è dato dall’impossibilità di esportare l’energia prodotta con la GD, poiché le “reti attuali non permettono ampi margini a causa della limitata possibilità delle reti radiali di ridistribuire flussi di potenza”�04.

Infine, impianti di minori dimensioni richiedono minor quantità di combustibile e quindi non permettono di sfruttare le economie di scala nella fase di acquisto della materia prima. Tale problema, particolarmente evidente nel caso di mini centrali a gas, viene in parte attenuato se la realizzazione e la manutenzione degli impianti viene affiata ad una energy service company (ESCO) che ha la possibilità di gestire più impianti. A questo proposto, secondo recenti studi il modello migliore, dal punto di vista degli incentivi, è quello che prevede che la società di gestione degli impianti gestisca anche la rete di distribuzione per recuperare almeno parte di quelle economie di coordinamento di cui si è parlato in precedenza: in particolare, il gestore della rete è il soggetto più adatto ad individuare i luoghi in cui realizzare i nuovi impianti, riducendo le inefficienze della rete e garantendo la migliore qualità possibile nell’erogazione dell’elettricità�05.

Come si può intuire, quindi, una maggiore diffusione del modello di generazione distribuita non risolverebbe certo tutti i problemi di costi elevati e di scarsa efficienza del nostro sistema elettrico; in ogni caso, il processo di liberalizzazione passa anche dalla possibilità di aprire maggiormente le fasi a monte della filiera e la diffusione della DG sembra, almeno nel medio

�0� La rete di trasmissione nazionale risulta oggi sottodimensionata: nata per soddisfare un mercato caratterizzato dalla presenza di un monopolista verticalmente integrato, presenta un assetto che risponde soprattutto ad esigenze di ottimizzazione tecnica (quali la localizzazione degli impianti e i criteri di dispacciamento) che puntavano a minimizzare la percorrenza dell’energia. Oggi, con un mercato elettrico liberalizzato e verticalmente meno integrato, la rete appare inadeguata a favorire scambi massicci tra sistemi con costi marginali diversi. Zorzoli G. B. (�006), op. cit., pag. 74.�0� Brenna M. et. al (�004), “Funzionamento delle reti elettriche con generazione distribuita”, in Energia n° �/�004, pag. 63.�03 Sull’argomento si veda il primo capitolo.�04 Brenna M. et. al (�004), “Funzionamento delle reti elettriche con generazione distribuita”, in Energia n° �/�004, pag. 66.�05 “Lines companies seem well placed to identify generation opportunities that could substitute for investment in distribution or transmission networks. This may well be the most important argument why ownership unbundling can impede the development of DG”. Brunekreeft G., Ehlers E. (�006), op. cit, pag. 84. L’integrazione verticale tra la fase della generazione distribuita e la fase della gestione della rete di distribuzione potrebbe però rappresentare una barriera all’entrata nel caso di nuovi entranti nella fase della generazione e potrebbe di fatto rallentare la liberalizzazione della fase della produzione. Si veda Pepermans G. et al. (�005), op. cit., pag. 79�.

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termine, la strada più breve per coinvolgere nuovi attori nella generazione e per rendere il sistema elettrico nazionale maggiormente adattato alle esigenze dei vari sistemi produttivi locali.

4.5.� La generazione distribuita: le opportunità per la ToscanaCome abbiamo descritto nei paragrafi precedenti, attualmente lo scenario toscano nel settore elettrico appare, piuttosto statico e, di fatto, caratterizzato da una forte presenza di ENEL. La diffusione della GD potrebbe costituire un’importante occasione per aprire il mercato ad altre imprese.

La possibilità di far entrare dei nuovi operatori, da un lato, potrebbe risolvere la carenza di produzione che da qualche anno a questa parte vede la Regione costretta a ricorrere all’importazione di energia per azzerare il deficit fra domanda ed offerta e, dall’altro, permetterebbe forse di ridurre i costi energetici, a tutto vantaggio del sistema produttivo e delle utenze domestiche.

Dal punto di vista dei combustibili da utilizzare nelle centrali, nel caso della Toscana le soluzioni sembrano sostanzialmente due (che non si escludono tra loro): la prima, volta alla ricerca di una maggiore efficienza, suggerisce l’adozione di piccole centrali a gas per la produzione a ciclo combinato di energia e calore; la seconda, meno efficiente ma caratterizzata da una maggiore sostenibilità ambientale, prevede invece la costruzione di minicentrali che utilizzano la biomassa.

La prima soluzione appare particolarmente adatta ad uno scenario in cui non mancano i rifornimenti di gas, quale potrebbe diventare la Toscana qualora vadano a buon fine i progetti relativi al rigassificatore di Livorno e al gasdotto internazionale GALSI, di cui abbiamo parlato nel terzo capitolo. I vantaggi di questa soluzione sono dati dalla possibilità di produrre energia elettrica e calore a costi relativamente contenuti grazie alla grande disponibilità di materia prima che si potrebbe avere all’interno della regione; resta il fatto che in questo modo aumenterebbe la dipendenza dal gas, vale a dire in primo luogo dai Paesi esportatori (soprattutto Algeria e Russia) e, in secondo luogo, dal prezzo con cui viene scambiato il petrolio nei mercati internazionali.

La seconda soluzione si integrerebbe invece alla perfezione con l’economia di alcune zone della Toscana, in cui l’agricoltura ha ancora un peso non indifferente.

Un importante contributo che il settore agricolo può dare al comparto energetico è infatti quello della raccolta di materiale vegetale, che può essere destinato alla produzione di energia elettrica e riscaldamento (le cosiddette biomasse). Da questo punto di vista, la Toscana risulta privilegiata per il tipo di coltivazioni diffuse un po’ in tutto il territorio: i rami ricavati dalle potature delle vigne e degli oliveti, fino a pochi anni fa considerati rifiuti speciali da smaltire, rappresentano una potenziale risorsa che in futuro potrà essere destinata come combustibile per le minicentrali della DG.

L’elemento della disponibilità di combustibile non deve essere sottovalutato. Una delle principali critiche mosse alle centrali DG a biomassa è proprio legata al fatto che “l’esigenza di contenere i costi di trasporto della materia prima pone dei limiti all’estensione dell’area da cui trarre la biomassa per alimentare l’impianto”�06.

Il potenziale di sviluppo della generazione distribuita appare alto sia per le micro e le minicentrali, che per le piccole centrali. In entrambi i casi il ruolo del potere pubblico può diventare determinante per incentivare i soggetti pubblici e privati ad utilizzare le biomasse la combustione.

Per ciò che concerne le micro e le mini centrali, si potrebbe puntare sulla loro diffusione attraverso degli incentivi ceduti agli agriturismi affinché utilizzino fonti naturali per alimentare gli impianti di riscaldamento delle strutture, proponendo in cambio forme di certificazione ambientale; si potrebbe proporre l’utilizzo di biomasse per riscaldare scuole e ospedali pubblici.

Per ciò che concerne, invece, le piccole centrali, si può pensare di creare in alcune zone della Toscana dei distretti agroenergetici. Una componente fondamentale dei distretti è quella della tradizione e la Toscana, lungo la propria fascia costiera, è connotata dalla presenza di un’esperienza esclusiva in tema di energie pulite e rinnovabili (Larderello). Alcuni esperti del settore ritengono

�06 Zorzoli G. B. (�006), op. cit., pag. 75. continua l’Autore: “di fatto, salvo casi particolarmente favorevoli, risultano convenienti solo installazioni con potenza elettrica inferiore ai �0 MW. Oltre tutto la competitività di un impianto a biomasse, che a differenza di quelli alimentati da altre fonti rinnovabili anche dopo aver ammortizzato il costo di investimento rimane gravato da quello del combustibile, è maggiormente garantita dal duplice ricavo per la vendita di elettricità e di calore, per cui la cogenerazione è spesso la scelta obbligata”.

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che, nell’area della Val di Cecina interna, potrebbe essere incentivata la produzione di legname da biomassa, grazie alla bassa densità abitativa dell’area, dove sono presenti peraltro grandi appezzamenti di terra di proprietà ENEL e Solvay, società che potrebbero essere interessate al progetto.

Quello appena descritto è soltanto uno dei possibili scenari futuri. La crescente importanza delle risorse energetiche e la sempre maggiore attenzione rivolta all’impatto ambientale dei metodi di produzione tradizionali, legati al petrolio, al gas e al carbone, rendono necessario sviluppare metodi alternativi che potrebbero, in futuro, soddisfare non solo una domanda interna, ma rivolgersi anche ai mercati esterni. In definitiva, la creazione di distretti agroenergetici potrebbe rappresentare, nei prossimi anni, un’opportunità da estendere anche ad altre aree della regione, non ultima quella di Firenze, dove il comparto pubblico potrebbe svolgere un ruolo di stimolo trainante sulla domanda di energia pulita.

4.6Considerazioni conclusive

Il mercato elettrico toscano appare ad oggi bisognoso di interventi che, da un lato, permettano di raggiungere di nuovo la parità fra elettricità domandata ed offerta e, dall’altro, consentano di liberalizzare un settore che appare quanto mai statico e scarsamente competitivo. Lo spazio per attrarre nuovi competitor appare perciò evidente.

Entrambi gli aspetti possono infatti essere risolti permettendo l’ingresso di nuovi operatori nella fase della produzione, che appare essere la più importante della filiera. Un aumento dell’offerta permetterebbe infatti, da un lato, di soddisfare la crescente domanda interna di energia e, dall’altro, di sperimentare alcune soluzioni volte a minimizzare i costi di produzione e, conseguentemente, i prezzi finali dell’energia.

Riguardo a questo secondo punto, le possibilità appaiono sostanzialmente due: produrre energia ricorrendo alle fonti più economiche, o accorciare la filiera produttiva.

I costi di generazione sono quelli che, in base alle stime effettuate, rappresentano la parte più consistente del costo dell’energia elettrica che, come abbiamo visto, ammonta a circa il 63% per i clienti domestici, ed oscilla fra il 60% e l’85% per quelli non domestici. Le centrali idroelettriche e quelle nucleari appaiono oggi le più convenienti, ma se il numero delle prime in Toscana non può essere ulteriormente aumentato per ragioni strutturali, per le seconde è necessaria una legge a livello nazionale che permetta di costruirne di nuove. Le alternative perseguibili sembrano allora essere le centrali a gas e quelle biomassa.

Per ciò che concerne il gas, nei prossimi anni la Toscana dovrebbe diventare crocevia di elevati quantitativi di gas, sia liquido che gassoso, e ciò dovrebbe rendere più agevole la costruzione di centrali termoelettriche a ciclo combinato e la riconversione di quelle attuali ad olio combustibile.

Anche per quanto riguarda la biomassa, la Toscana appare particolarmente ricca di risorse e ciò potrebbe rendere possibile una rapida diffusione di centrali che utilizzano questa tecnologia.

Entrambe le tecnologie devono poi essere valutate alla luce del mercato dei certificati verdi�07.

In base all’art. �� del d.lgs. n° 79/�999 (decreto Bersani), tutti coloro che in Italia importano o producono energia elettrica hanno l’obbligo di immettere in rete entro il 3� marzo di ogni anno un quantitativo di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili pari al 2% (che diventa il 2,35% nel periodo 2004-2006) dell’energia elettrica ottenuta da impianti che, nell’anno precedente, sono stati alimentati da fonti non rinnovabili, eccedente il �00 GWh. Le imprese che da sole non riescono a soddisfare tale obbligo, possono acquistare i cosiddetti certificati verdi dalle imprese che, invece, producono energia da fonti rinnovabili in misura eccedente il limite imposto

�07 Sul punto si veda, tra gli altri, Rinaldi L. (2005), “I certificati verdi nel bilancio delle imprese di produzione di energia”, in Le aziende dei servizi pubblici locali, a cura di Mulazzani M. e Bozzoli S., Maggioli Editore, pag. 57 e ss. e Di Domenico M. (�00�), “Le strategie di risposta delle IPL operanti nelle filiere energetiche”, in Problemi e prospettive dei servizi locali di pubblica utilità in Italia, a cura di Vaccà S., in particolare pag. 7�.

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dalla legge, e che per questo dispongono di certificati verdi in eccesso�08. Dal lato dell’offerta, infatti, coloro che producono energia utilizzando fonti rinnovabili, prodotti con impianti entrati in funzione dopo il primo aprile 1999, hanno diritto per i primi 8 anni di attività ad un certificato verde ogni 50 MWh di elettricità messa in rete.

Nel �005 il Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) ha comunicato che il prezzo di riferimento individuato per quell’anno per i certificati verdi è pari a 108,92 €/MWh, pari a 10,892 c€/kWh. Per coloro che vendono energia prodotta da fonti rinnovabili, tale cifra si aggiunge ai 6,4 c€/kWh pagati mediamente dalla Borsa elettrica nel �005 e costituisce un buon incentivo all’ingresso nella fase della generazione.

Oltre ad intervenire sul parco delle centrali elettriche, nel prossimo futuro appare possibile intervenire anche sull’organizzazione della filiera produttiva, “eliminando” la fase della trasmissione.

Il modello che attualmente sembra presentare i vantaggi maggiori è quello della generazione distribuita. Questo genere di centrali permette infatti di ricorrere esclusivamente alla rete di distribuzione per collegare i produttori con i consumatori, eliminando così i costi di trasmissione che attualmente gravano sul costo dell’energia. Il risparmio così ottenibile, in base alle nostre stime, per alcune tipologie di utenze può arrivare fino a circa il 30% del prezzo finale (si veda tabella 4)�09. Inoltre, la generazione distribuita permette anche di adeguare in modo più puntuale (sia geograficamente che temporalmente) l’offerta alla domanda, con investimenti di portata limitata��0.

Fra i soggetti che in Toscana potrebbero essere interessati ad entrare nel settore della generazione ci sono le cooperative di distribuzione commerciale, essendo loro stesse grandi consumatori di energia; le tante imprese locali di distribuzione e vendita di gas, che potrebbero offrire ai propri clienti un pacchetto integrato di servizi energetici e che potrebbero sfruttare le economie di scala nell’acquisto di grandi quantitativi di gas (in parte da vendere e in parte da utilizzare come combustibile nelle centrali); le imprese dei distretti industriali, che hanno il vantaggio di costituire, nel loro insieme, una domanda quantitativamente rilevante e geograficamente localizzata in uno spazio molto concentrato (cioè servita da una rete di distribuzione non molto estesa), e per questo particolarmente adatte a far ricorso a centrali di piccole dimensioni installate nelle loro vicinanze; la stessa Regione Toscana, che potrebbe finanziare e incentivare la nascita di distretti agroenergetici in grado di soddisfare la domanda locale o di mettere sul mercato la propria energia pulita, sfruttando così la possibilità di vendere certificati verdi.

In ogni caso, il modello della generazione distribuita appare più efficiente quando si ricorre ad una società verticalmente integrata che si occupa della realizzazione e gestione degli impianti e, allo stesso tempo, della gestione della rete di distribuzione. Questo permetterebbe anche di controllare una fase della filiera che è attualmente in mano a ENEL -la distribuzione locale- per mezzo di soggetti (pubblici o privati) regionali, più vicini all’utenza finale, così come già avvenuto in altre realtà locali italiane.

�08 Le fonti considerate rinnovabili sono il sole, il vento, le risorse idriche, le maree, il moto ondoso, le risorse geotermiche e la trasformazione in energia elettrica dei prodotti vegetali o dei rifiuti organici e inorganici, così come definite dall’art. 2, comma 15, dello stesso decreto Bersani. A queste si sono poi aggiunte le centrali che producono energia elettrica ricorrendo all’idrogeno gli impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento, per la sola quota di energia effettivamente utilizzata per il teleriscaldamento, in base a quanto disposto dall’art. �, comma 7�, del decreto Marzano del �004 (legge �39/�004 per il riordino del settore energetico).�09 In linea con queste stime, anche Pepermans G. et al. (�005), op. cit., pag. 789.��0 Per ciò che riguarda minicentrali a biomassa, alcune esperienze maturate in Germania parlano di un costo che si aggira fra i �,5 e i 3 milioni di euro per centrali da un 1 MWh che, installate da aziende agricole con almeno 300 ettari di terreno, riescono a produrre fino a 7,7 milioni di KW nell’arco di un anno. Romeo G. (�006), “E la bolletta vien dalla campagna”, articolo tratto da Nòva 24, inserto de Il Sole 24Ore del �5 giungo �006.

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Appendice

Tabella 1CESSIONI DI RETE DI DISTRIBUZIONE DA ENEL A IMPRESE Ex-MUNICIPALIZZATE

Impresa Acquirente Città N. Comuni oggetto di cessione N.Clientifinali Stipula del contratto Efficaciadelcontratto

AC.E.GA.S. (oggi Agecas-Aps) Trieste 1 812 29/0�/200 �1/0�/2000Amias (oggi Amias Servizi) Selvino (BG) 1 10 29/0�/200 12/12/2000Amps Parma 1 40.669 27/12/2000 01/01/2001Amsp (oggi Aeb Distribuzione) Seregno (MI) 1 111 29/0�/2001 �1/0�/2001Aem Tirano Tirano (SO) 1 20 24/05/2001 01/06/2001Acea (oggi Acea Distribuzione) Roma 2 710.000 27/062001 01/07/2001Aern Torino Torino 1 29�.000 21/12/2001 �1/12/2001Assm Tolentino (MC) 1 25 21/12/2001 01/01/2002Aspm di Soresina Soresina (CR) 1 26 28/02/2002 01/0�/2002Azienda San Severino Marche San Severino Marche (MC) 1 1.224 01/0�/2002 01/0�/2002Aem Cremona Cremona 1 2.286 21/0�/2002 01/04/2002Asm Sondrio Sondrio 1 40 28/0�/2002 01/04/2002SEM Morbegno Morbegno (SO) 4 6.464 2�/04/2002 01/05/2002Ami Imola (incorporata in Hera) Imola (BO) 4 104 28/06/2002 01/07/2002SIEC Chiavenna Chiavenna (SO) 2 198 28/06/2002 01/07/2002Aem Milano Milano 2 �87.625 29/10/2002 01/11/2002Agsm verona verona 2 91.40� 29/11/2002 01/12/2002Asp Polverigi (oggi Astea) Polverigi (AN) 1 186 19/12/2002 01/01/200�Idroelettrica valcanale Tarvisio (UD) 1 754 19/12/2002 01/01/200�A.T.EN.A. vercelli 1 2.1�7 20/12/2002 01/01/200�Amet Trani (BA) 1 2.182 �1/01/200� 01/02/200�Amg (oggi IRIS) Gorizia 1 1.617 28/02/200� 01/0�/200�Aim vicenza 1 7.929 �0/05/200� 01/06/200�A.M.E.A. Paliano (FR) 1 244 29/08/200� 01/09/200�Asm Terni Terni 1 6.�00 29/12/200� �1/12/200�Asm Brescia (oggi Asmea) Brescia 46 100.205 �0/12/200� �1/12/200�Asm voghera voghera (Pv) 1 1.671 26/02/2004 01/0�/2004Camuna Energia Cedegolo (BS) 2 457 27/04/2004 01/05/2004Astea Recanati (MC) 2 4.084 21/12/2004 �1/12/2004Odoardo Zecca Ortona (CH) 2 9.000 2�/12/2004 01/01/2005SET Distribuzione Rovereto (TN) 207 2�0.700 27/06/2005 01/07/2005TOTALE 295 1.901.484

Fonte: AEEG (2006), “Relazione annuale”, pag. 46

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5. CONCLUSIONI

Il settore energetico sta sperimentando cambiamenti di portata epocale, grazie alla doppia azione dei processi di privatizzazione e, soprattutto, di liberalizzazione. Ciò comporta una strutturale instabilità, la quale, pur rendendo assai complessa l’analisi di tali comparti, offre un’opportunità di ingresso ad eventuali nuovi entranti e la possibilità di aumentare la propria efficienza agli incumbent.

La sfida appare cruciale, soprattutto in relazione all’importanza, più volte sottolineata, che questi settori assumono nei confronti tanto dei clienti industriali, quanto delle utenze domestiche. La Toscana, così come le altre Regioni, ha la possibilità di intervenire su queste variabili per migliorare la competitività del proprio sistema economico, anche se i margini di intervento sono piuttosto circostanziati e devono tenere conto delle dinamiche nazionali e comunitarie. In che misura ciò deve poi avvenire viene indicato di volta in volta dalle sentenze della Corte Costituzionale, cui sembra demandato il compito di indicare quale margine di libertà è riconosciuto agli enti territoriali. E questo non rappresenta certo un elemento incoraggiante, né per le amministrazioni regionali, né, tanto meno, per le imprese che devono essere amministrate.

L’incertezza normativa va infatti ad aggiungersi a quella che caratterizza le previsioni economiche, quando queste hanno come orizzonte un lasso di tempo medio-lungo.

Tuttavia, il periodo di tempo trascorso dal momento in cui è stato innestato il processo di liberalizzazione (il 1999 per l’energia elettrica, il 2000 per il gas) sembra sufficiente ad individuare un possibile trend di sviluppo delle filiere energetiche per gli anni futuri. In particolare, le fasi più dinamiche, nonché quelle in cui la Regione sembra avere i maggiori spazi di intervento, sembrano essere la distribuzione e la vendita, per ciò che riguarda il gas, e la generazione e la distribuzione, per ciò che riguarda l’energia elettrica.

Il mercato toscano del gas è stato particolarmente dinamico nelle fasi a valle della filiera, la distribuzione e la vendita, e negli ultimi anni ha visto nascere da un lato nuovi soggetti che assumono un rilievo di primo piano all’interno del panorama nazionale e il consolidarsi dall’altro di imprese minori che operano su mercati prevalentemente locali, radicate ed efficienti. Nel futuro, questa dinamicità dovrà tradursi in competitività, necessaria a fronteggiare i concorrenti che la liberalizzazione del settore metterà in concorrenza con le aziende della regione, a cominciare dalla partecipazione alle gare per la gestione delle reti di distribuzione (anche se il progetto di riforma dei SPL non dà più certezze neppure su questo elemento).

Per ciò che riguarda la struttura del settore, il cui tasso di concentrazione è destinato inevitabilmente a crescere, le possibili traiettorie di sviluppo sembrano sostanzialmente due: una prima linea di sviluppo porta alla costituzione di imprese di dimensioni almeno medio/grandi, capaci di sfruttare le economie di scala presenti nelle varie fasi della filiera e in grado di rivaleggiare con i grandi player nazionali, risultato dell’aggregazione di numerose ex-municipalizzate, localizzate prevalentemente nel nord Italia. La nascita di un’unica impresa di gestione della rete di distribuzione, che permetta di ottimizzarne la gestione, appare senza dubbio un risultato auspicabile.

Una seconda linea di sviluppo è invece quella che vede le nuove società di vendita e distribuzione proseguire la tradizione delle aziende ex-municipalizzate, profondamente radicate sul territorio e a capitale totalmente o in grossa prevalenza pubblico. In questo caso, i punti di forza dovranno necessariamente essere fondati sulla capacità di adattarsi velocemente e in modo efficace alle richieste della domanda locale, magari accompagnando la fornitura del servizio principale con altri servizi secondari e ancillari.

I due modelli continueranno a convivere, anche se nel lungo periodo appare più probabile una prevalenza del primo, anche in considerazione degli incentivi che in tal senso potrebbero arrivare tanto dal governo centrale, che da quello regionale.

Questo per ciò che riguarda il lato dell’offerta. Dal lato della domanda, vista anche la frammentazione che contraddistingue il tessuto produttivo toscano, i clienti (industriali, ma anche domestici) devono puntare necessariamente a creare centrali di acquisto, allo scopo di ottenere migliori prezzi di fornitura del gas, sfruttando così gli effetti già in atto della liberalizzazione del settore.

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Nel lungo periodo, inoltre, la domanda potrà beneficiare anche dello sviluppo del mercato del GNL, che permetterà con tutta probabilità di abbassare ulteriormente i prezzi finali del gas, soprattutto se verrà ridotto il potere di mercato di ENI. I costi di approvvigionamento della materia prima costituiscono infatti, ad oggi, la principale voce di costo del gas al netto delle imposte.

Per ciò che riguarda il mercato elettrico, le sfide appaiono sostanzialmente due: oltre a perseguire una riduzione dei costi dell’energia, infatti, un importante obiettivo della regione è anche quello di ridurre, e possibilmente azzerare, il deficit energetico, incrementando la produzione fino a soddisfare interamente la domanda interna o incentivando il contenimento dei consumi.

Nei prossimi anni appare quanto mai auspicabile l’ingresso nel mercato regionale di nuovi concorrenti, che siano in grado di affiancarsi all’attuale incumbent (ENEL) e di rendere lo scenario maggiormente dinamico e competitivo. In particolare, la fase cruciale appare in questo caso la generazione. Un aumento del numero dei produttori di energia, infatti, potrebbe permettere alla regione, da un lato, di tornare ad essere autosufficiente e, dall’altro, di veder ridurre il prezzo dell’energia. Per raggiungere questo secondo obiettivo, nel medio-lungo periodo le possibilità appaiono sostanzialmente due: ridurre i costi di produzione, facendo ricorso a fonti più economiche, o azzerare i costi di trasmissione, accorciando la filiera produttiva. Le due soluzioni, tra l’altro, non sono fra loro incompatibili.

Per ciò che riguarda i costi di produzione, che influiscono per una percentuale che oscilla fra il 60% e l’80% sul prezzo finale dell’energia, le fonti da incentivare sembrano essere, per ragioni diverse, il gas e la biomassa.

Per ciò che concerne il gas, nei prossimi anni, la Toscana dovrebbe diventare crocevia di elevati quantitativi di gas, che potrebbero rendere particolarmente conveniente il ricorso a centrali termoelettriche a ciclo combinato e la riconversione di quelle attuali ad olio combustibile.

Anche per quanto riguarda la biomassa, la Toscana appare particolarmente ricca di queste risorse e ciò potrebbe rendere possibile la diffusione di centrali che utilizzano questa specifica tecnologia. Oltre ad intervenire sul parco delle centrali elettriche, nel prossimo futuro appare possibile intervenire sull’organizzazione della filiera produttiva. Il ricorso alla generazione distribuita permetterebbe infatti di connettere le (piccole) centrali elettriche alla rete a media e bassa tensione e di non sostenere i costi legati alla trasmissione. Con la generazione distribuita, inoltre, è possibile adeguare in modo più preciso e tempestivo l’offerta alla domanda, con investimenti economici facilmente sostenibili. La modalità più efficiente per realizzare tale modello appare quella in cui il sistema generazione/distribuzione è gestito da una sola impresa verticalmente integrata.

Fatte queste considerazioni, resta ancora una domanda: quali soggetti potranno realizzare i cambiamenti suggeriti?

Nel gas la situazione appare, da questo punto di vista, più statica. Se, infatti, sono attesi ulteriori cambiamenti nella struttura del settore, destinata a ridurre ulteriormente il numero degli operatori -almeno per ciò che riguarda la distribuzione- è probabile che non ci siano molti margini per l’ingresso di operatori regionali del tutto nuovi, ma solo la possibilità di ridistribuire in modo diverso le quote di mercato di quelli già presenti. L’unica eccezione a questa logica sembra riconducibile ai due progetti per l’import di gas dall’estero attraverso il terminale GNL di Livorno e il gasdotto internazionale GALSI; i soggetti coinvolti in queste operazioni potrebbero tentare una integrazione verticale nelle fasi a valle della filiera per avere una presenza diretta nei mercati regionali della vendita e della distribuzione, sfruttando la propria disponibilità di grandi quantitativi di gas a prezzi ridotti.

Per ciò che concerne l’energia elettrica, fra i soggetti che in Toscana potrebbero essere interessati ad entrare nel settore della generazione ci sono le cooperative di distribuzione commerciale, essendo loro stesse grandi consumatori di energia; le tante imprese locali di distribuzione e vendita di gas, che potrebbero offrire ai propri clienti un pacchetto integrato di servizi energetici e che potrebbero sfruttare le economie di scala nell’acquisto di grandi quantitativi di gas (in parte da vendere e in parte da utilizzare come combustibile nelle centrali); le imprese che appartengono ai distretti industriali, che hanno il vantaggio di costituire, nel loro insieme, una domanda quantitativamente rilevante e geograficamente localizzata in uno spazio molto concentrato e per questo particolarmente adatte a far ricorso a centrali di piccole dimensioni installate nelle loro vicinanze.

In questo contesto, la Regione Toscana può assumere un ruolo cardine nel futuro sviluppo dei settori energetici, sia attraverso un intervento diretto che indiretto. Nel primo caso, può operare

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attraverso la costituzione di una holding che detenga le partecipazioni in imprese attive nella vendita e distribuzione del gas o nella generazione e distribuzione dell’energia elettrica; nel secondo caso, la stessa Regione potrebbe promuovere e porre le condizioni per una razionale pianificazione di distretti agroenergetici, di coltivazioni, di recupero di risorse da destinare al rifornimento di centrali a biomassa.

Nel caso di intervento diretto, resta auspicabile la nascita di un Osservatorio dei servizi energetici (o, più in generale, dei servizi pubblici) indipendente che tuteli i consumatori, attraverso il monitoraggio delle tariffe e dei prezzi di vendita e, soprattutto, del rispetto degli impegni sottoscritti nelle carte dei servizi. Uno dei rischi che si corre in settori come quelli studiati è che un comparto dominato fino ad oggi da monopolisti nazionali, venga sostituito da vari monopoli regionali, poco aperti alla concorrenza e scarsamente attraenti per i nuovi entranti, con scarsi benefici per gli utenti finali; ma, forse, il rischio maggiore è che si replichi a livello regionale quanto già avvenuto a livello centrale, ovvero aver fatto ricorso ad un modello di liberalizzazione dei mercati che è in realtà un ibrido tra apertura alla concorrenza e tutela dei campioni nazionali���.

��� Checchi C., Saraceno P. (�006), “Mercati dell’energia e competitività”, in Le condizioni per crescere, a cura di Gallo R., Silva F.., ed. Il Sole 24Ore, pag. �75.

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ANNO 20071. UNA NAMEA REGIONALE PER LA TOSCANA Simone Bertini, angelica Tudini e Giusy Vetrella

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