I segni del vino dall’Italia al mondo

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Sapienza Università di Roma CF 80209930587 PI 02133771002 Capo Ufficio Stampa: Alessandra Bomben Addetti Stampa: Christian Benenati - Marino Midena - Barbara Sabatini - Stefania Sepulcri Addetto Comunicazione: Danny Cinalli Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma T (+39) 06 4991 0035 - 0034 F (+39) 06 4991 0399 [email protected] [email protected] www.uniroma1.it Roma 23/04/2015 COMUNICATO STAMPA I segni del vino dall’Italia al mondo Uno studio traccia la diffusione dei vitigni italiani attraverso le migrazioni dall’800 ai giorni nostri martedì 28 aprile 2015 – ore 17.00 Museo dell’Emigrazione italiana Complesso Monumentale del Vittoriano piazza dell'Ara Coeli 1, Roma Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio: questa l’immagine che ci restituisce la ricerca coordinata da Sapienza Università di Roma, Fondazione Migrantes e Società Geografica Italiana, che si propone di tracciare la strada e l’influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca che si sposta in 19 paesi, dall’America all’Africa, dall’Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio è ora diventato un libro (“Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo, a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata; ed. Bruno Mondadori, 2015) in uscita in questi giorni e presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma domani, 28 aprile, un appuntamento per il quale è previsto un allestimento temporaneo di fotografie d’epoca. Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia – dove forte era la resistenza francese ad avere concorrenza in materia enologica; alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato portare con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro. La ricerca nasce da un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e Consigliere della Società Geografica Italiana, e si avvale della competenza di geografi, sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro obiettivo è quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza

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Page 1: I segni del vino dall’Italia al mondo

Sapienza Università di Roma

CF 80209930587 PI 02133771002 Capo Ufficio Stampa: Alessandra Bomben Addetti Stampa: Christian Benenati - Marino Midena - Barbara Sabatini - Stefania Sepulcri Addetto Comunicazione: Danny Cinalli Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma T (+39) 06 4991 0035 - 0034 F (+39) 06 4991 0399 [email protected] [email protected] www.uniroma1.it

Roma 23/04/2015

COMUNICATO STAMPA

I segni del vino dall’Italia al mondo Uno studio traccia la diffusione dei vitigni italiani attraverso le migrazioni

dall’800 ai giorni nostri martedì 28 aprile 2015 – ore 17.00

Museo dell’Emigrazione italiana

Complesso Monumentale del Vittoriano

piazza dell'Ara Coeli 1, Roma

Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio: questa

l’immagine che ci restituisce la ricerca coordinata da Sapienza Università di Roma,

Fondazione Migrantes e Società Geografica Italiana, che si propone di tracciare la strada e

l’influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una

ricerca che si sposta in 19 paesi, dall’America all’Africa, dall’Australia alla più vicina Europa,

raccogliendo storie, testimonianze e immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato.

Lo studio è ora diventato un libro (“Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista

del mondo, a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata; ed. Bruno Mondadori, 2015) in uscita in

questi giorni e presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma

domani, 28 aprile, un appuntamento per il quale è previsto un allestimento temporaneo di

fotografie d’epoca.

Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i

tralci nelle gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia – dove forte era la resistenza

francese ad avere concorrenza in materia enologica; alle pergole fatte dai nostri connazionali

coi tubi del gas dismessi nella città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come

divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità di celebrare Messa e confezionare vino

in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato portare con sé la propria

cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro.

La ricerca nasce da un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e

Consigliere della Società Geografica Italiana, e si avvale della competenza di geografi,

sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro obiettivo è

quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza

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vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di

cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e

toponomastico, trasformandolo anche profondamente - spiega Flavia Cristaldi - Ad esempio

nel mio soggiorno in Brasile mi sono imbattuta in una cittadina dove la toponomastica

stradale ‘racconta’ la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i

migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e

dove un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale”.

"Rileggere l'emigrazione italiana è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma bisogna farlo

attraverso lenti nuove e prospettive diverse”, spiega Delfina Licata: “Attraverso la riflessione

su specifici contesti e sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare

l'emigrazione di ieri e di oggi, i successi e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei

migranti italiani. E lo abbiamo fatto creando un gruppo di lavoro multidisciplinare che ha

messo insieme le proprie specificità lavorando armoniosamente alla pubblicazione di un

volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e di uomini, della storia e

delle storie personali e delle famiglie italiane , che mossi dalle motivazioni più varie sono

partiti alla volta dell'estero portando con loro ciò che di più prezioso avevano, la loro identità

e la loro cultura, rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si

costruisce un territorio e di come si produce un ottimo vino".

Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei

nuovi migranti del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno

contribuendo a diffondere un tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di

consumatori impensati è la scommessa del futuro, che come evidenziato nella ricerca,

giocheranno un ruolo non banale nell’apertura di nuovi mercati.

L’appuntamento sarà aperto dai saluti di Mons. Gian Carlo Perego, Direttore generale della

Fondazione Migrantes, di Sergio Conti, Presidente della Società geografica italiana e di Paolo

Di Giovine, Direttore del dipartimento di Scienze documentarie linguistico, filologiche e

geografiche dell’Università “La Sapienza” di Roma.

A commentare il volume saranno Roberto Cipresso, winemaker di fama mondiale, Luigi

Sbarra della Fondazione Fai-Cisl e l’On. Fabio Porta, Presidente del Comitato permanente

Italiani nel mondo e Promozione del sistema paese della Camera dei Deputati. Coordina Paolo

Valentini, editorialista del Corriere della Sera. Interverranno le curatrici Flavia Cristaldi e

Delfina Licata.

Le conclusioni saranno affidate all’Ambasciatrice Cristina Ravaglia della Direzione generale

per gli italiani all’estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della

Cooperazione Internazionale.

Info Flavia Cristaldi - docente di Geografia delle migrazioni

[email protected]

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Valigia di cartone e tralcio di vite, storia di emigranti in viaggio con i vitigni

Articolo pubblicato il: 29/04/2015

Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio: questa l’immagine che ci restituisce la ricerca coordinata da 'Sapienza' Università di Roma, Fondazione Migrantes e Società geografica italiana, che si propone di tracciare la strada e l’influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca che si sposta in 19 paesi, dall’America all’Africa, dall’Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio è ora diventato un libro, 'Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo', a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata (ed. Bruno Mondadori), in uscita in questi giorni e presentato presso il Museo dell'Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma. E in occasione dell'appuntamento è stato organizzato anche un allestimento temporaneo di fotografie d’epoca. Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia - dove forte era la resistenza francese ad avere concorrenza in materia enologica - alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato portare con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro. La ricerca nasce da un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni, e si avvale della competenza di geografi, sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro obiettivo - spiega Flavia Cristaldi - è quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e toponomastico, trasformandolo anche profondamente". "Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile - continua - mi sono imbattuta in una cittadina dove la toponomastica stradale ‘racconta’ la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e dove un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale”. "Rileggere l'emigrazione italiana - spiega Delfina Licata - è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma bisogna farlo attraverso lenti nuove e prospettive diverse: attraverso la riflessione su specifici contesti e sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare l'emigrazione di ieri e di oggi, i successi e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei migranti italiani". "E lo abbiamo fatto - sottolinea - creando un gruppo di lavoro multidisciplinare che ha messo insieme le proprie specificità lavorando armoniosamente alla pubblicazione di un volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e di uomini, della storia e delle storie personali e delle famiglie italiane, che, mossi dalle motivazioni più varie, sono approdati all’estero portando con sé ciò che di più prezioso possedevano, la loro identità e la loro cultura, rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si costruisce un territorio e di come si produce un ottimo vino". Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei nuovi migranti del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno contribuendo a diffondere un tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di consumatori impensati è la scommessa del futuro, che, come evidenziato nella ricerca, giocheranno un ruolo non marginale verso i nuovi mercati.

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(AGI) - Roma, 22 apr. - Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio:

questa l'immagine che ci restituisce la ricerca coordinata dalla Sapienza, che si propone di tracciare la

strada e l'influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca

che si sposta in 19 paesi, dall'America all'Africa, dall'Australia alla piu' vicina Europa, raccogliendo storie,

testimonianze e immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio e' ora diventato un

libro che verra' presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma il 28 aprile. Le

storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i piu' vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle

gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia, dove forte era la resistenza francese ad avere

concorrenza in materia enologica; alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella

citta' di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla

necessita' di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove.

La ricerca, condotta in sinergia con la Fondazione Migrantes e con la Societa' Geografica Italiana, nasce da

un'idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e si avvale della competenza di geografi,

sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. "Il nostro obiettivo e' quello di rin-

tracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle

diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a

livello paesaggistico che architettonico e toponomastico, trasformandolo anche profondamente", ha

spiegato Cristaldi.

(AGI) Red/Pgi

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EMIGRAZIONE, DOMANI PRESENTAZIONE STUDIO SU VITIGNI ITALIANI NEL MONDO (1)

(9Colonne) Roma, 27 apr - Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio:

questa l'immagine che ci restituisce la ricerca coordinata da Sapienza Università di Roma, Fondazione

Migrantes e Società Geografica Italiana, che si propone di tracciare la strada e l'influenza sul paesaggio dei

vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca che si sposta in 19 paesi,

dall'America all'Africa, dall'Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e immagini di

un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio è ora diventato un libro ("Nel solco degli emigranti. I

vitigni italiani alla conquista del mondo, a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata; ed. Bruno Mondadori,

2015) in uscita in questi giorni e presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma

domani, 28 aprile, un appuntamento per il quale è previsto un allestimento temporaneo di fotografie

d'epoca. Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci

nelle gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia - dove forte era la resistenza francese ad avere

concorrenza in materia enologica - alle pergole fatte dai connazionali coi tubi del gas dismessi nella città di

Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità di

celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall'Italia ha significato portare

con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro. (SEGUE)

271635 APR 15

(9Colonne) Roma, 27 apr - La ricerca nasce da un'idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle

Migrazioni e si avvale della competenza di geografi, sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti

e giornalisti. "Il nostro obiettivo è quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti

che la sapienza vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di

cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e toponomastico,

trasformandolo anche profondamente - spiega Flavia Cristaldi - Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile mi

sono imbattuta in una cittadina dove la toponomastica stradale 'racconta' la colonizzazione italiana

attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i migranti già sul finire dell'Ottocento, Rue Uva Italia o Rue

Moscato, o ancora Rue Barbera e dove un'improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza

principale". "Rileggere l'emigrazione italiana è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma bisogna farlo

attraverso lenti nuove e prospettive diverse - spiega Delfina Licata - Attraverso la riflessione su specifici

contesti e sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare l'emigrazione di ieri e di oggi,

i successi e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei migranti italiani. E lo abbiamo fatto creando

un gruppo di lavoro multidisciplinare che ha messo insieme le proprie specificità lavorando

armoniosamente alla pubblicazione di un volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e

di uomini, della storia e delle storie personali e delle famiglie italiane , che mossi dalle motivazioni più varie

sono partiti alla volta dell'estero portando con loro ciò che di più prezioso avevano, la loro identità e la loro

cultura, rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si costruisce un territorio e di

come si produce un ottimo vino". (PO / SEGUE) 271638 APR 15

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LZ) MIGRANTI. VITIGNI ITALIANI, GIOVEDÌ A MUSEO EMIGRAZIONE

(DIRE) Roma, 26 apr. - "Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del

mondo". Questo il titolo del volume - curato da Flavia Cristaldi e Delfina Licata ed edito da

Bruno Mondadori - che sara' presentato martedi' 28 aprile 2015 alle ore 17.00 presso il

Museo dell'Emigrazione. Il volume, promosso dalla Fondazione Migrantes, dalla Societa'

geografica italiana e dalla sezione di Geografia del dipartimento di Scienze documentarie

linguistico, filologiche e geografiche dell'Universita' La Sapienza, racconta il legame tra gli

italiani all'estero e il vino. Un legame che ha radici profonde. Le conclusioni saranno

affidate all'Ambasciatrice Cristina Ravaglia della Direzione generale per gli italiani

all'estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione

Internazionale. Per l'occasione sara' allestita la mostra fotografica "L'emigrazione italiana

in un bicchier di vino. Tra viti, vini e culture", che sara' illustrata ai presenti dalla curatrice

della Sapienza, Sandra Leonardi. (Com/Lum/ Dire) 11:25 26-04-15 NNNN

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Data

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Foglio

03-05-201534

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Sapienza - carta stampata

059844

Settimanale

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29-04-20154

Codic

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Sapienza - carta stampata

059844

Quotidiano

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For generations of migrants, vines have been both mementos of the past and passports for a better future

by Chiara Beghelli

1. Italian settlers in Linha Leopoldina, Brasil, 1941. Among them, the Brothers Valduga, from Rovereto (Verona province). Today Valduga is one of the biggest Brasilian wine companies. Photo from the Pedro Carraro Archives 1/2

2. Italian near the «Quicechianti» store, San Francisco, US 2/2

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In the Holy Land, in a dangerous zone between Jerusalem and Bethlehem, Salesian missionaries

from Italy have been living since the late 1800s in a monastery that dates back to the seventh

century.

And since 1896, they have been producing a very good wine, the “Cremisan.”

Meanwhile on the other side of the world, in Argentina, many of the most ancient wineries of

Mendoza area were founded by Italian emigrant farmers since late 1800s. In 1974 Giorgio Dalla Cia

landed in South Africa from Liguria and created one of the most famous wine in the country, the

“Rubicon.”

These are only a sample of the many stories of Italian migrants that carried with them “their”

grapes, to plant in their new countries, described in the book “In the Furrow of Emigrants. Italian

grapes in the world” (Bruno Mondadori) edited by Flavia Cristaldi, a Geography of Migrations

professor at Rome University and Delfina Licata of Fondazione Migrantes, an organization focused

on migration issues created by the Italian Episcopal Conference.

From South America to the US, from Australia to emerging markets like China and India, the

human stories are merging with local economies and cultures, and the result is both impressive and

unexpected: one of the reasons why the Italian migrants left their country was the invasion by

phylloxera, an insect that ate the roots of many vine trees across whole Europe and destroyed

entire economies.

To carry a little piece of a vine, also hidden in their luggage, was a sort a symbolic link with the

motherland, and to drink wine was a way of remembering daily life in Italy.

These little histories, often of small families, helped foster the economy in some of the most

important regions for wine productions today: for example, in Argentina, Cesare Cipolletti, who

arrived there from Rome in 1888, built several dams to irrigate the area of Mendoza; in Brazil

Abramo Eberle from Vicenza and Antonio Pieruccini from Lucca opened new commercial routes

for wines in Sao Paulo state, while Antonio Tomba’s winery gave electricity to the local community

of former Belgrano city.

In US, in 1881, in Sonoma valley Andrea Sbarboro from Genoa founded the “Italian-Swiss Colony”

to give work to many Italian migrants wine farmers, especially fromPiedmont.

Twenty years later, Secondo Guasti, from Asti, founded in Cucamonga, south of Los Angeles, the

Italian Vineyard Company.

The renowned E. & J. Gallo winery was founded by Ernest and Giulio, sons of Italian migrants, in

1933: today it has $1.5 billion in revenues, 4,600 workers and 1,600 hectares of vineyards.

In New Zealand, one of the most cutting-edge agricultural research centers was founded by Romeo

Bragato, that was appointed the Government Viticulturist in 1889.

Today, the total area planted with grapevine is about 7.5 million hectares worldwide, and the top

countries by area are Spain, France, Italy, China, Turkey and the US. The most common Italian

grapes in the world are the Sangiovese, Trebbiano toscano (imported in France by Maria de Medici

in the sixteenth century), Catarratto and Montepulciano.

© ALL RIGHTS RESERVED

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Vitigni italiani e migrazioni dall’800 a oggi: incontro alla Sapienza

Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – I segni del vino dall’Italia al mondo. Uno studio traccia la diffusione dei vitigni italiani attraverso le migrazioni dall’800 ai giorni nostri Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio: questa l’immagine che ci restituisce la ricerca coordinata da Sapienza Università di Roma, Fondazione Migrantes e Società Geografica Italiana, che si propone di tracciare la strada e l’influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca sui vitigni italiani che si sposta in 19 paesi, dall’America all’Africa, dall’Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio sui vitigni italiani è ora diventato un libro (“Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo, a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata; ed. Bruno Mondadori, 2015) in uscita in questi giorni e presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma domani, 28 aprile, un appuntamento per il quale è previsto un allestimento temporaneo di fotografie d’epoca. Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia – dove forte era la resistenza francese ad avere concorrenza in materia enologica; alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato portare con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro. La ricerca sui vitigni italiani nasce da un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e si avvale della competenza di geografi, sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro obiettivo è quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e toponomastico, trasformandolo anche profondamente – spiega Flavia Cristaldi – Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile mi sono imbattuta in una cittadina dove la toponomastica stradale ‘racconta’ la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e dove un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale”. “Rileggere l’emigrazione italiana è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma bisogna farlo attraverso lenti nuove e prospettive diverse”, spiega Delfina Licata: “Attraverso la riflessione su specifici contesti e sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare l’emigrazione di ieri e di oggi, i successi e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei migranti italiani. E lo abbiamo fatto creando un gruppo di lavoro multidisciplinare che ha messo insieme le proprie specificità lavorando armoniosamente alla pubblicazione di un volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e di uomini, della storia e delle storie personali e delle famiglie italiane , che mossi dalle motivazioni più varie sono partiti alla volta dell’estero portando con loro ciò che di più prezioso avevano, la loro identità e la loro cultura, rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si costruisce un territorio e di come si produce un ottimo vino”. Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei nuovi migranti del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno contribuendo a diffondere un tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di consumatori impensati è la scommessa del futuro, che come evidenziato nella ricerca, giocheranno un ruolo non banale nell’apertura di nuovi mercati. L’appuntamento sulla storia dei vitigni italiani sarà aperto dai saluti di Mons. Gian Carlo Perego, Direttore generale della Fondazione Migrantes, di Sergio Conti, Presidente della Società geografica italiana e di Paolo Di Giovine, Direttore del dipartimento di Scienze documentarie linguistico, filologiche e geografiche dell’Università “La Sapienza” di Roma. A commentare il volume saranno Roberto Cipresso, winemaker di fama mondiale, Luigi Sbarra della Fondazione Fai-Cisl e l’On. Fabio Porta, Presidente del Comitato permanente Italiani nel mondo e Promozione del sistema paese della Camera dei Deputati. Coordina Paolo Valentini, editorialista del Corriere della Sera. Interverranno le curatrici Flavia Cristaldi e Delfina Licata. Le conclusioni saranno affidate all’Ambasciatrice Cristina Ravaglia della Direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Page 13: I segni del vino dall’Italia al mondo

Quando i migranti esportavano le viti italiane nel mondo

di redazione | Published on 23 Aprile 2015

Quando i nostri nonni emigravano in tutto il mondo, insieme all’iconica valigia di cartone, o forse proprio al

suo interno, portavano con se anche tralci e talee della loro pianta preferita: la vite. È questa l’immagine

che ci restituisce la ricerca coordinata dalla Sapienza, che si propone di tracciare la strada e l’influenza sul

paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca che si sposta in 19

paesi, dall’America all’Africa, dall’Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e

immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio è ora diventato un libro, intitolato “Nel

solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo” (a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata;

ed. Bruno Mondadori, 2015) in uscita in questi giorni, che sarà presentato presso il Museo della

Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma il 28 aprile, un appuntamento per il quale è previsto un

allestimento temporaneo di fotografie d’epoca. Il volume che raccoglie i risultati della ricerca ha

conquistato inoltre un passaggio all’Expo 2015, previsto a giugno.

Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle

gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia – dove forte era la resistenza francese ad avere

concorrenza in materia enologica; alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella

città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità

di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato

portare con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro.

La ricerca, condotta in sinergia con la Fondazione Migrantes e con la Società Geografica Italiana, nasce da

un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e si avvale della competenza di geografi,

sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro obiettivo è quello di rin-

tracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle

diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a

livello paesaggistico che architettonico e toponomastico, trasformandolo anche profondamente”, spiega

Cristaldi. “Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile mi sono imbattuta in una cittadina dove la

toponomastica stradale “racconta” la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i

migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e dove

un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale.”

Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei nuovi migranti

del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno contribuendo a diffondere un

tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di consumatori impensati è la scommessa del

futuro, che come evidenziato nella ricerca, giocheranno un ruolo non banale nell’apertura di nuovi mercati.

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Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo ROMA. – “Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo”. Questo il titolo del volume,

curato da Flavia Cristaldi e Delfina Licata ed edito da Bruno Mondadori, che sarà presentato martedì 28

aprile alle 17 presso il Museo dell’Emigrazione.

Il volume, promosso dalla Fondazione Migrantes, dalla Società geografica italiana e dalla sezione di

Geografia del dipartimento di Scienze documentarie linguistico, filologiche e geografiche dell’Università “La

Sapienza”, racconta il legame tra gli italiani all’estero e il vino. Un legame che ha radici profonde.

Molte volte le storie dei nostri connazionali si intrecciano con quelle di terre lontane, spesso poco

conosciute, dove piantare una vite significa seminare una parte del luogo natio e ricostruire il senso di casa,

protezione, appartenenza.

Negli anni gli italiani hanno raggiunto ogni angolo del pianeta riempiendo le valigie di barbatelle e talee con

cui iniziare una nuova vita e, combattendo contro l’aridità del suoli e la durezza del clima, hanno

addomesticato paesaggi e prodotto vini di eccellente qualità, oggi famosi in tutto il mondo.

“Nel solco degli emigranti: I vitigni italiani alla conquista del mondo” evidenzia le vicende di uomini e donne

che hanno contribuito non solo allo sviluppo dei Paesi di arrivo, dando vita a paesaggi nuovi, coltivabili e

produttivi, ma anche al mantenimento dei sapori e delle tradizioni del paese e della regione d’origine.

Ventisei autori di diverse discipline, inseguendo i migranti italiani e i loro discendenti in 19 Paesi, hanno

raccolto storie e testimonianze di famiglie e territori segnati dal vino, per restituire loro il ruolo di

eccellenza che meritano nella storia di un Paese che troppo spesso li relega alle pagine sbiadite della

memoria.

L’appuntamento sarà aperto dai saluti di Mons. Gian Carlo Perego, Direttore generale della Fondazione

Migrantes, di Sergio Conti, Presidente della Società geografica italiana e di Paolo Di Giovine, Direttore del

dipartimento di Scienze documentarie linguistico, filologiche e geografiche dell’Università “La Sapienza” di

Roma.

A commentare il volume saranno Roberto Cipresso, winemaker di fama mondiale, Luigi Sbarra della

Fondazione Fai-Cisl e l’On. Fabio Porta, Presidente del Comitato permanente Italiani nel mondo e

Promozione del sistema paese della Camera dei Deputati. Coordina Paolo Valentini, editorialista del

Corriere della Sera. Interverranno le curatrici Flavia Cristaldi e Delfina Licata.

Le conclusioni saranno affidate all’Ambasciatrice Cristina Ravaglia della Direzione generale per gli italiani

all’estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Per l’occasione sarà allestita la mostra fotografica “L’emigrazione italiana in un bicchier di vino. Tra viti, vini

e culture”, che sarà illustrata ai presenti dalla curatrice della Sapienza, Sandra Leonardi.

(aise)

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I SEGNI DEL VINO DALL’ITALIA AL MONDO

Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio: questa l’immagine che ci

restituisce la ricerca coordinata da Sapienza Università di Roma, Fondazione Migrantes e Società

Geografica Italiana, che si propone di tracciare la strada e l’influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani

portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca che si sposta in 19 paesi, dall’America all’Africa,

dall’Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e immagini di un percorso eno-

culturale ampio e variegato. Lo studio è ora diventato un libro “Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani

alla conquista del mondo”, a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata, ed. Bruno Mondadori, 2015, in uscita in

questi giorni e presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma il 28 aprile, un

appuntamento per il quale è previsto un allestimento temporaneo di fotografie d’epoca.

Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle

gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia – dove forte era la resistenza francese ad avere

concorrenza in materia enologica – alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella

città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità

di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato

portare con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro.

La ricerca nasce da un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e si avvale della

competenza di geografi, sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro

obiettivo – spiega Flavia Cristaldi – è quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli

effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di

cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e toponomastico,

trasformandolo anche profondamente. Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile mi sono imbattuta in una

cittadina dove la toponomastica stradale racconta la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni

arrivati con i migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e

dove un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale”.

“Rileggere l’emigrazione italiana – spiega Delfina Licata – è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma

bisogna farlo attraverso lenti nuove e prospettive diverse: attraverso la riflessione su specifici contesti e

sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare l’emigrazione di ieri e di oggi, i successi

e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei migranti italiani. E lo abbiamo fatto creando un

gruppo di lavoro multidisciplinare che ha messo insieme le proprie specificità lavorando armoniosamente

alla pubblicazione di un volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e di uomini, della

storia e delle storie personali e delle famiglie italiane, che mossi dalle motivazioni più varie sono approdati

all’estero portando con sé ciò che di più prezioso possedevano, la loro identità e la loro cultura,

rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si costruisce un territorio e di come si

produce un ottimo vino”.

Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei nuovi migranti

del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno contribuendo a diffondere un

tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di consumatori impensati è la scommessa del

futuro, che come evidenziato nella ricerca, giocheranno un ruolo non marginale verso i nuovi mercati.

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