i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto...

16
i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 relazione della commissione italo-slovena relazione della commissione italo-slovena A cura dellʼANPI di Gorizia i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956

Transcript of i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto...

Page 1: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

i rapporti italo-sloveni

fra il 1880 e il 1956

relazione della commissione italo-slovenarelazione della commissione italo-slovena

A cura dellʼANPI di Gorizia

i rapporti italo-sloveni

fra il 1880 e il 1956

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 1

Page 2: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

N el 1993 i Ministri degli esteri dell’Italia e della Slovenia istituirono una Commissione storico-culturale italo-slovena con lo scopo di fare il punto sui risultati della ricerca storica realizzata neidue Paesi sul tema dei reciproci rapporti.

La Commissione era formata da parte italiana da Giorgio Conetti, docente di dirittointernazionale e preside della facoltà di giurisprudenza di Como che la presiedeva, e dagli storiciAngelo Ara (Università di Pavia), Marina Cattaruzza (Università di Berna), Fulvio Salimbeni(Università di Udine), Raoul Pupo (Università di Trieste), Maria Paola Pagnini, ordinario digeografia dell’Università di Trieste e dal sen. Lucio Toth, dell’Associazione Nazionale Venezia Giuliae Dalmazia. La parte slovena, presieduta dalla dott.ssa Milica Kacin Wohinz era composta daglistorici France Dolinar, Branko Marusic, Boris Mlakar, Nevenka Troha, Andrej Vovko e AleksanderVuga. Inizialmente fecero parte della Commissione anche il costituzionalista Sergio Bartole, loscrittore Fulvio Tomizza, lo storico Elio Apih e Boris Gombac che, per vari motivi, non poteronoproseguire nell’incarico.

Dopo 7 anni di lavoro e ripetuti incontri la relazione conclusiva della Commissione fuapprovata all’unanimità dai suoi 14 componenti il 25 luglio 2000 e consegnata ai rispettiviMinisteri degli esteri, ma inspiegabilmente per 8 mesi non fu resa pubblica.

Benché la pubblicazione fosse stata sollecitata da più parti, tra le quali l’ANPI, e da un votounanime della Camera dei Deputati, la relazione fu resa pubblica nel testo integrale soltanto il 4aprile 2001 dal quotidiano “Il Piccolo” e – lo stesso giorno – anche dal Ministero degli esteri.

Tuttavia questo documento, salvo rare eccezioni, non fu ripreso ed adeguatamente diffusobenché costituisca una base certa per una riflessione sulle tormentate vicende del confineorientale e dei popoli che in quest’area convivono.

L’A.N.P.I. lo ripropone a chi vorrà approfondire la materia ed in particolare a quantisvolgono la delicata ed essenziale funzione di sollecitarne la conoscenza alle giovani generazioninelle scuole, ritenendo con ciò di recare un contributo per lo sviluppo di un dibattito finalmentesottratto a visioni unilaterali e di parte.

Associazione Nazionale Partigiani d’ItaliaComitato Provinciale di Gorizia

Avvertenza: il documento approvato dalla Commissione è privo di titolazioni ad eccezione diquelle che si riferiscono ai quattro periodi presi in esame.I titoli che appaiono nel testo sono quindi dovuti a noi al solo scopo di facilitarne lalettura.

II l SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 2

Page 3: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

Periodo 1880-1918Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-

ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva alcrollo dell’impero romano, quando da una partesul tronco della romanità si sviluppa l’italianità edall’altra si verifica l’insediamento della popola-zione slovena. Di questo secolare rapporto di vici-nanza e di convivenza s’intende qui trattare il pe-riodo, che si apre intorno al 1880, segnato dalsorgere di un rapporto conflittuale e di contrastonazionale italo-sloveno. Questo conflitto si svilup-pa all’interno di una realtà politico-statale, la mo-narchia asburgica, della quale le diverse zone co-stituenti il Litorale austriaco erano entrate a farparte attraverso un secolare processo, iniziato nel-la seconda metà del XIV secolo e conclusosi, conl’Istria veneziana, nel 1797. La plurinazionale mo-narchia asburgica nella seconda metà del XIX se-colo appare incapace di dare vita a un sistemapolitico che rispecchiasse compiutamente nellestrutture statali la multinazionalità della società,ed è scossa pertanto da una questione delle na-zionalità che essa non sarà in grado di risolvere.All’interno di questa Nationalitätenfrage asburgicasi colloca il contrasto italo-sloveno, sul quale si ri-flettono anche i processi di modernizzazione e ditrasformazione economica, che toccano tutta l’Eu-ropa centrale e la stessa area adriatica. Il rapportoitalo-sloveno appare così caratterizzato, secondoun modello che si ritrova anche in altri casi dellasocietà asburgica del tempo, da un contrasto tracoloro, gli italiani, che cercano di difendere unostato di possesso (Besitzstand) politico-nazionaleed economico-sociale e coloro, gli sloveni, chetentano invece di modificare o di ribaltare la si-tuazione esistente. Il problema è reso ancora piùcomplesso dall’indubbio richiamo culturale edemotivo, anche se non sempre politico, che l’av-venuta proclamazione del Regno d’Italia e forsepiù ancora il passaggio a questo stato dei viciniterritori del Veneto e del Friuli esercitano sulle po-polazioni italiane d’Austria. Allo sguardo che gliitaliani rivolgono oltre le frontiere della monarchiasi contrappone la volontà slovena di rompere iconfini politico-amministrativi, che in Austria li di-vidono tra diversi Kronländer (oltre ai tre del Lito-rale, la Carniola, la Carinzia e la Stiria), limitando-ne i rapporti reciproci e la collaborazione politico-nazionale. L’unione del Veneto al Regno d’Italiaaveva determinato anche la nascita di una que-stione che tocca direttamente le relazioni italo-slovene: con il 1866 la Valle del Natisone, la Sla-via veneta, entra a far parte dello stato italiano, lacui politica verso la popolazione slovena esprimeimmediatamente la differenza tra un vecchio sta-

to regionale, la Repubblica di Venezia, e il nuovostato nazionale. Il Regno d’Italia segue una lineadi cancellazione del particolarismo linguistico, cheha le sue radici in una volontà uniformizzatriceche non tiene in alcun conto neppure l’atteggia-mento lealistico della popolazione che è oggettodi queste misure.

L’insorgere delle questioni nazionali nell’impero Austro-ungarico

Intorno all’anno 1880 gli sloveni si erano or-mai dotati di basi sufficientemente solide perun’autonoma vita politica ed economica in tuttele unità politico-amministrative austriache nellequali essi vivevano.

Anche nel Litorale austriaco il movimento po-litico degli sloveni del Goriziano, del Triestino edell’Istria costituì parte integrante del movimentopolitico degli sloveni nel loro complesso.

Viene così a diminuire, per poi cessare quasicompletamente nei decenni successivi, l’assimila-zione della popolazione slovena (e anche croata)trasferitasi nei centri cittadini e in particolare aTrieste. La più viva coscienza politica e nazionale ela maggiore solidità economica sono alla base diquesto fenomeno che allarma le élites italiane, dàvita a una politica spesso angusta di difesa nazio-nale, che contrassegnerà la storia della regione si-no al 1915, e contribuisce a rendere più teso ilrapporto tra i due gruppi nazionali, anche a causadelle contrastanti aspirazioni slovene e italiane auna diversa delimitazione dei rispettivi territorinazionali.

In tutte le tre componenti territoriali del Lito-rale austriaco (Trieste, Contea di Gorizia e di Gra-disca, Istria) sloveni e italiani convivevano gli uniaccanto agli altri. Nel Goriziano la delimitazionenazionale appariva più netta, con una separazio-ne longitudinale Occidente-Oriente, etnicamentemista era solo la città di Gorizia, dove il numerodegli sloveni era però crescente, tanto da far rite-nere ad autori politici sloveni alla vigilia del 1915che il raggiungimento di una maggioranza slove-na nella città isontina fosse ormai imminente.Trieste era a maggioranza italiana, ma il suo cir-condario era sloveno. Anche in questo caso la po-polazione slovena appariva in ascesa. In Istria glisloveni erano presenti nelle zone settentrionali,per la precisione nel circondario delle cittadinecostiere a prevalenza italiana. In tutta l’Istria il mo-vimento politico- nazionale degli sloveni si saldavacon quello croato, rendendo talora difficile unatrattazione distinta delle due componenti dellarealtà slavo-meridionale della penisola. Il caratte-re peculiare degli insediamenti italiano e sloveno

SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008 l III

I RAPPORTI ITALO-SLOVENI

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 3

Page 4: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

nel Litorale è rappresentato dalla fisionomia pre-valentemente urbana di quello italiano e eminen-temente rurale di quello sloveno. Questa distin-zione non va però assolutizzata, non devono es-sere dimenticati gli insediamenti rurali italiani inIstria e in quella parte del Goriziano detta alloraFriuli Orientale e quelli urbani sloveni – oltre atutto in espansione, come si è già detto – a Trie-ste e a Gorizia.

Ma anche se una separazione troppo mar catatra realtà urbana e rurale va evitata, il rapporto cit-tà-campagna rappresenta effettivamente un mo-mento fondamentale della lotta politica nel Lito-rale, determinando anche un intersecarsi di moti-vi nazionali e sociali nel contrasto italo-sloveno,che ne renderà più difficile una composizione. Ilnodo del rapporto tra città e campagna sta anchealla base di un dibattito politico e storiograficotuttora in corso sull’autentica fisionomia naziona-le della regione Giulia. Da parte slovena si affer-ma l’appartenenza delle città alla campagna, siaperché nelle aree rurali si sarebbe conservata in-tatta, non alterata dal sovrapporsi di processi cul-turali e sociali, l’identità originale di un territorio,sia perché il volto nazionale delle città sarebbe laconseguenza di processi di assimilazione chehanno impoverito la nazione slovena. La perditadell’identità nazionale attraverso l’assimilazione èquindi vissuta dagli sloveni, ancora decenni dopo,come un’esperienza dolorosa e drammatica, chenon deve ripetersi. Da parte italiana si replica conil richiamo al principio di appartenenza nazionalecome frutto di una scelta culturale e morale libe-ramente compiuta e non di un’origine etnico-lin-guistica.

Tornando al nesso città-campagna, secondol’interpretazione italiana è invece la tradizione cul-turale e civile delle città che dà la propria impron-ta alla fisionomia e al volto di un territorio. Da que-sta differenza di impostazione deriveranno anche isuccessivi contrasti sul concetto di confine etnico esul significato degli stessi dati statistici sulla nazio-nalità delle popolazioni in aree di frontiera, altera-ti – a parere degli sloveni – dall’esistenza di pol-moni urbani prevalentemente italiani.

Nascita, crescita e scontro tra patriottismi

Benché la questione nazionale all’interno del-la monarchia asburgica presenti alcuni denomina-tori comuni, le condizioni conflittuali nelle singolezone e quindi anche nel Litorale presentano pe-culiarità specifiche. La rapida crescita del movi-mento politico ed economico sloveno e l’espan-sione demografica degli sloveni nelle città sono ri-condotte da parte italiana anche all’azione del-l’autorità governativa che avrebbe attuato una po-litica di sostegno all’elemento sloveno (ritenutoindubbiamente più leale di quello italiano, comerisulta da dichiarazioni esplicite di autorità austria-

che), per contrastare l’autonomismo e il naziona-lismo italiano. L’attribuzione di una fisionomiaesclusivamente artificiale all’espansione slovenanon tiene però conto di quella che è la naturaleforza di attrazione esercitata da centri urbani ver-so le aree rurali e nel caso specifico a quella eser-citata da una grande città in crescita dinamica co-me Trieste verso il suo circondario. Questo rap-porto risponde a leggi economiche, come hannosottolineato Angelo Vigante e Scipio Slataper, enon solo a un disegno politico.

Anche alla Chiesa cattolica, come all’autoritàgovernativa, gli ambienti nazionali e liberali italia-ni rimproverano frequentemente di svolgere unafunzione filo-slovena, affermazione questa suffra-gata dall’attiva partecipazione di sacerdoti al mo-vimento politico sloveno.

Su un piano politico-amministrativo l’asprezzadella questione nazionale impedisce o rende in-completo l’adeguamento delle istituzioni e deirapporti linguistici ai princìpi costituzionali e alleidee liberali. Le modifiche alle leggi elettorali lo-cali si mantengono nell’ambito del sistema censi-tario: in tal modo la composizione dei consiglidietali e comunali non rispecchia le reali propor-zioni numeriche esistenti tra i gruppi nazionali (adesempio nella Dieta provinciale di Gorizia esistevauna maggioranza italiana, anche se gli sloveni co-stituivano i 2/3 della popolazione di quel territo-rio). L’evoluzione delle disposizioni in materia lin-guistica e lo sviluppo delle strutture scolasticheslovene e croate sono frenati dagli organi politicia maggioranza italiana, che impediscono una pie-na parificazione tra le lingue parlate nel Litorale,due nella Contea di Gorizia e a Trieste e tre inIstria.

Nei decenni che precedettero la prima guerramondiale gli sloveni e gli italiani non strinsero le-gami politici. Costituisce un’eccezione la Dieta go-riziana, nella quale si verificarono inconsuete al-leanze tra i cattolici sloveni e i liberali italiani. Talilegami indussero in quella stessa Dieta provincia-le i liberali sloveni e i cattolici italiani a stringereintese contingenti. I cattolici italiani del Gorizianoavevano il proprio punto di forza specie nellacampagna friulana, dove agiva il partito popolarefriulano, i cui dirigenti furono più tardi tacciati diaustriacantismo. Il tentativo di dare vita ad asso-ciazioni cattoliche sloveno-italiane, fallì, né suscitòpiù tardi legami tra i due popoli il movimento cri-stiano-sociale.

Appare dunque evidente come le ragioni del-l’appartenenza nazionale facessero premio suquelle ideologiche. Questa tendenza è ancora piùchiara in Istria, dove il partito popolare italiano èpiù vicino a posizioni nazionali e dove la vita poli-tica è imperniata su una contrapposizione tra unblocco italiano, che tenta di mantenere in vita laprevalenza italiana nelle istituzioni politiche e nel

IV l SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 4

Page 5: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

sistema scolastico, e un blocco croato-sloveno,che cerca invece di modificare l’equilibrio esisten-te. In campo liberale e popolare-cattolico i duegruppi nazionali sono rappresentati in tutto il Li-torale da partiti “nazionali” distinti e contrapposti.Si instaurano invece legami più solidi nell’ambitodel movimento socialista improntato all’interna-zionalismo benché nel Litorale austriaco esso sifosse dato un’organizzazione articolata in base acriteri nazionali. Fu proprio l'affermazione di que-sto principio a contenere l’assimilazione dei lavo-ratori sloveni, ma vi furono palesi attriti fra i socia-listi delle due nazionalità e divergenze di vedutespesso aspre si manifestarono anche successiva-mente, verso la fine della prima guerra mondiale,nel corso delle discussioni sull’appartenenza sta-tale di Trieste e sulla sua identità nazionale.

Un progetto croato, che contemplava una co-mune resistenza a una asserita germanizzazionedella monarchia asburgica, avrebbe potuto darevita a un “patto adriatico” tra le nazioni gravitantisul Litorale, ma esso avrebbe, secondo gli sloveni,attribuito agli italiani aree di influenza così esteseda danneggiare gli interessi sloveni.

Reciproca intransigenza, scarse iniziative per la convivenza

Il mancato sviluppo di un dialogo e di una co-operazione italo-sloveni incide profondamentesull’atmosfera di Trieste e, sia pure in misura mi-nore, anche di Gorizia e dell’Istria alla vigilia del1915. Italiani e sloveni guardano prevalentementealla loro identità nazionale e si rivelano scarsa-mente capaci di sviluppare un senso di apparte-nenza comune alla terra nella quale entrambi igruppi nazionali sono radicati. Gli sloveni perse-guono l’idea di una Trieste capace di alimentarel’attuazione dei loro programmi economici e sot-tolineano il ruolo centrale per il loro sviluppo diquesta città, la cui popolazione slovena sebbeneminoritaria era superiore a quella della stessa Lu-biana, in ragione della diversa consistenza demo-grafica delle due città.

La loro espansione demografica li portava a ri-tenere imminente il momento della conquistadella maggioranza della popolazione a Gorizia einevitabilmente, sia pure in tempi più lunghi, unrisultato analogo a Trieste.

La maggioranza della popolazione italiana siraccoglie così intorno a una politica di intransigen-te difesa nazionale, tesa a salvaguardare un’immu-tabile fisionomia italiana della città. Se gli sloveniguardano a un retroterra vicino, gli italiani si rivol-gono al più lontano retroterra dei territori internidella monarchia e anche al Regno d’Italia.

In campo italiano Ruggero Timeus sviluppaanche un nazionalismo radicale ed esasperatoper quanto minoritario che è fondato sull’idea diuna missione civilizzatrice in senso culturale e na-

zionale della città e sull’imperativo di un’espan-sione economica dell’italianità nell’Adriatico.

La forza politica più rappresentativa degli ita-liani di Trieste è però il partito liberale-nazionale,nel quale sopravvive una minoranza legata all’a-spirazione mazziniana mentre la maggioranza ve-de il compito immediato dell’irredentismo nelladifesa dell’identità italiana della città e delle sueistituzioni.

In questo clima teso e infuocato vennero allaluce anche idee di personalità del mondo dellacultura che si innestarono sul solco segnato dagliautori della rivista “La Favilla” nella fervida atmo-sfera del 1848.

Si trattò del gruppo che si raccolse intorno al-la rivista fiorentina “La Voce”, resasi promotrice diiniziative rivolte alla convivenza tra i popoli non-ché alla conoscenza e al riconoscimento dellarealtà plurietnica di Trieste e del suo circondario.A questa rivista collaborarono alcuni giovani trie-stini, tra i quali Slataper e i fratelli Carlo e GianniStuparich. In opposizione all’irredentismo politicoessi definiscono la loro posizione con termine diirredentismo culturale e intendono sviluppare lacultura italiana nel confronto e nel dialogo conquelle slavo-meridionali e tedesca. Trieste assumequindi per loro la funzione di luogo di incontro trapopoli e civiltà diversi; la loro concezione politicasino al 1914 è quindi molto simile a quella del so-cialismo triestino. Del resto proprio nelle edizionide “La voce” viene pubblicato il più maturo risul-tato del pensiero socialista, e cioè il volume di Vi-vante sull’irredentismo adriatico. Dal versante slo-veno non si ebbero riscontri incoraggianti né si re-gistrarono reazioni a questo libro. Gli sloveni ap-parivano ancora impegnati nella ricerca di unapropria identità e incapaci di incamminarsi allascoperta di altre identità. Rari furono coloro i qua-li riuscirono ad ergersi al di sopra delle barrierenazionalistiche, si vedano ad esempio alcuni giu-dizi sulla questione della fondazione dell’universi-tà a Trieste. Le tensioni erano troppo acute e aglisloveni pareva preferibile e più a portata di manouna soluzione slavo-meridionale della crisi che at-tanagliava la monarchia austriaca alla vigilia delloscoppio del primo conflitto mondiale.

L’irredentismo parte integrante della politica italiana

Con la prima guerra mondiale il programmadell’irredentismo diventa parte integrante dellapolitica italiana, sia pure nella convinzione – chedurerà almeno sino alla primavera del 1918 – chel’Austria-Ungheria, anche se profondamente ridi-mensionata sotto il profilo territoriale, sarebbe so-pravvissuta al conflitto. Prima ancora dell’entratain guerra dell’Italia, il diplomatico italiano CarloGalli nel corso di una missione a Trieste incontrò,per incarico del suo governo, esponenti sloveni.

SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008 l V

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 5

Page 6: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

Per la dirigenza slovena si trattò dei primi contattiufficiali con uno stato straniero. Già con il patto diLondra però il governo italiano adottò un pro-gramma di espansione, nel quale accanto allemotivazioni nazionali erano presenti ragioni geo-grafiche e strategiche. Il più diffuso lealismo slo-veno nei confronti dello stato austriaco trasse ul-teriore alimento dalle prime voci sugli aspetti im-perialistici del patto di Londra e sulle soluzioni inesso adottate in merito al confine orientale delRegno d’Italia nonché dall’atteggiamento delleautorità militari italiane nelle prime zone occupa-te. Un parziale revirement italiano si determinòdopo la sconfitta di Caporetto, dando luogo a unapolitica di dialogo con le nazionalità soggetted’Austria-Ungheria, che culminò nel congresso diRoma dell’aprile 1918 e in un’intesa con il comi-tato jugoslavo. Mentre il persistere del lealismoasburgico sembra ormai contraddittorio di fronteai processi di disgregazione interna che scuotonolo stato austro-ungarico, tra gli sloveni si diffondo-no l’idea del diritto all’autodeterminazione e quel-la della solidarietà jugoslava. Nella fase finale del-la guerra e all’inizio del dopoguerra si palesa contutta evidenza il contrasto tra una tesi slovena ejugoslava, tendente a un confine “etnico”, che af-fonda le sue radici nella concezione dell’apparte-nenza della città alla campagna e che sostanzial-mente coincide con il confine italo-austriaco del1866, e una tesi italiana, mirante a un confinegeografico e strategico, determinata dal prevalerenella penisola delle correnti più radicali e dallanecessità politico-psicologica di garantire unafrontiera sicura alle città e alla costa istriane, pre-valentemente italiane, e di offrire all’opinionepubblica segni tangibili di ingrandimenti territoria-li, che compensassero gli enormi sacrifici richiestial paese durante la guerra.

Periodo 1918-1941

La vittoria italiana e l’oppressione fascista

L’Italia, vittoriosa nella prima guerra mondiale,concluse così il proprio processo di unificazionenazionale, inglobando nel contempo, oltre aglisloveni residenti nelle città e nei centri minori amaggioranza italiana, anche distretti interamentesloveni, situati anche al di fuori del vecchio Litora-le austriaco ed estranei allo stesso concetto di Ve-nezia Giulia italiana, come era stato elaborato ne-gli ultimi decenni. Ciò suscitò reazioni opposte frale diverse componenti nazionali residenti nei ter-ritori dapprima occupati e poi annessi: gli italiani,infatti, accolsero con entusiasmo la nuova situa-zione, mentre per gli sloveni, che si erano impe-gnati per l’unità nazionale e si erano già alla finedella guerra dichiarati a favore del nascente statojugoslavo, l’inglobamento nello stato italiano

comportò un grave trauma. Il nuovo assetto delconfine, il cui tracciato era stato fissato sin dalpatto di Londra del 1915 e che seguiva la lineadispluviale tra il mar Nero e l’Adriatico, strappò dalceppo nazionale un quarto del popolo sloveno(327.230 unità secondo il censimento austriacodel 1910, 271.305 secondo il censimento italianodel 1921, 290.000 secondo le stime di CarloSchiffrer), ma la crescita del numero degli slovenipresenti in Italia non influì sulla situazione diquelli della Slavia veneta (circa 34 mila unità se-condo il censimento del 1921) già presenti nelterritorio del Regno, ritenuti ormai assimilati e aiquali non venne pertanto riconosciuto alcun dirit-to nazionale.

L’amministrazione italiana, dapprima militaree poi civile, mostrò una notevole impreparazionead affrontare i delicati problemi nazionali e politi-ci dei territori occupati, dove si riscontravano con-sistenti insediamenti – in ampie zone maggiorita-ri – di popolazioni non italiane che aspiravano al-l’unione con la propria “madrepatria” (nel casodegli sloveni e dei croati della Venezia Giulia, ilRegno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni) e cheavevano compiuto per lo più la loro acculturazio-ne politica nell’ambito dello stato plurinazionaleasburgico. Tale impreparazione, unita al retaggiodella guerra appena conclusa – in cui gli slavi era-no stati considerati come nemici, strumenti privi-legiati dell’oppressione austriaca – provocò daparte delle autorità italiane comportamenti forte-mente contraddittori. Da un lato, nel periodo1918-20, quando il confine italo-jugoslavo nonera ancora definito, le autorità di occupazione, in-fluenzate pure dagli elementi nazionalisti locali,usarono volentieri la mano pesante nei confrontidegli sloveni che intendevano manifestare la pro-pria volontà di annessione alla Jugoslavia. Furonocosì assunti numerosi provvedimenti restrittivi –sospensione di amministrazioni locali, sciogli-mento di consigli nazionali, limitazioni della liber-tà di associazione, condanne dei tribunali militari,detenzione di militari ex austriaci, internamentoed espulsione, specie di intellettuali – che pena-lizzarono la ripresa della vita culturale e politicadella componente slovena. Al tempo stesso le au-torità di occupazione favorirono le manifestazionidi italianità anche per fornire alle trattative per ladefinizione del nuovo confine un quadro politica-mente italiano delle regioni. D’altra parte, i gover-ni liberali italiani, pur all’interno di un disegno ge-nerale di nazionalizzazione dei territori annessi,furono generosi di promesse nei confronti dellaminoranza slovena e consentirono il rinnovo del-le sue rappresentanze nazionali, il riavvio dell’i-struzione scolastica in lingua slovena e la ripresadi attività delle organizzazioni indispensabili perlo sviluppo del gruppo nazionale sloveno. Ancheil progetto – sostenuto da esponenti politici giu-

VI l SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 6

Page 7: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

liani e trentini, e che i governi prefascisti preseroin seria considerazione – di conservare ai territoriannessi forme di autonomia non lontane da quel-le già godute in epoca asburgica, avrebbe favoritoun migliore rapporto fra le componenti minorita-rie e lo stato. Inoltre, il Parlamento italiano formu-lò voti in favore di una politica di tutela della mi-noranza slava.

L’irremovibilità delle delegazioni italiana e ju-goslava alla conferenza di Parigi sul problema del-la definizione del nuovo confine ritardò la stabiliz-zazione politica dei territori sottoposti al regime dioccupazione, acuendo i contrasti nazionali. Il for-marsi del mito della “vittoria mutilata” e l’impresadannunziana di Fiume, pur non riguardando diret-tamente l’area abitata da sloveni, accesero ulte-riormente gli animi e costituirono il terreno idealeper l’affermarsi precoce del “fascismo di frontie-ra”, che si erse a tutore degli interessi italiani sulconfine orientale e coagulò gran parte delle loca-li forze nazionaliste italiane attorno all’asse del-l’antislavismo combinato con l’antibolscevismo. Ilmovimento socialista vedeva infatti una larga ade-sione degli sloveni – fiduciosi nei suoi princìpi digiustizia sociale e di eguaglianza nazionale – checontribuirono a far prevalere al suo interno lecomponenti rivoluzionarie: anche da ciò in segui-to derivò la coniazione da parte fascista del neo-logismo “slavocomunista” che alimentò ulterior-mente l’estremismo nazionalista. Nel luglio del1920, l’incendio del Narodni Dom, la sede delleorganizzazioni slovene di Trieste – che trasse pre-testo dagli incidenti verificatisi a Spalato e cheprovocarono vittime sia italiane sia jugoslave –non fu così che il primo, clamoroso atto di unalunga sequela di violenze: nella Venezia Giulia co-me altrove in Italia la crisi dello stato liberale offrìinfatti campo libero all’aggressività fascista, che sigiovò di aperte collusioni con l’apparato dello sta-to, qui ancor più forti che altrove, come conse-guenza della diffusa ostilità antislava. Le “nuoveprovince” d’Italia nascevano così con pesanti con-traddizioni tra principio di nazionalità, ragion distato e politica di potenza, che minavano alla ba-se la possibilità della civile convivenza tra gruppinazionali diversi.

Un quarto del popolo sloveno entro i confini italiani

Il trattato di Rapallo, sottoscritto nel novembredel 1920 tra il Regno d’Italia e quello dei Serbi,Croati e Sloveni, accolse in pieno le esigenze ita-liane e amputò un quarto abbondante dell’areaconsiderata dagli sloveni come proprio “territorioetnico”. Tale esito era dovuto alla favorevole posi-zione negoziale dell’Italia che usciva dalla grandeGuerra come vincitrice e riconfermata nel suo sta-tus di “grande potenza”. Il trattato, che non vinco-lò l’Italia al rispetto delle minoranze slovena e

croata, garantiva invece la tutela della minoranzaitaliana in Dalmazia: ciò nonostante si verificò untrasferimento di alcune migliaia di italiani da que-sta regione al Regno d’Italia. Clausole riguardantila tutela delle minoranze nella Venezia Giulia nonvennero incluse nemmeno nei successivi trattatidel 1924 e del 1937 stipulati per avviare da partejugoslava buoni rapporti con la potente vicina.Nelle intenzioni dei suoi negoziatori, italiani e ju-goslavi, il trattato di Rapallo avrebbe dovuto porrele premesse per una reciproca amicizia e collabo-razione fra i due stati. Così invece non fu e benpresto la politica estera del fascismo si incammi-nò lungo la via dell’egemonia adriatica e del revi-sionismo, assumendo crescenti connotati anti-ju-goslavi; tale orientamento fu sostenuto anche dagruppi capitalistici, non solo triestini, interessati aespandersi nei Balcani e nel bacino danubiano etrovò non pochi consensi nella popolazione italia-na della Venezia Giulia. Presero corpo anche pro-getti di distruzione della compagine jugoslava, so-lo momentaneamente accantonati con gli accordiCiano-Stojadinovic del 1937, che sembrarono perbreve tempo preludere all’ingresso della Jugosla-via nell’orbita italiana. Lo scoppio della guerramondiale avrebbe trasformato tali progetti in unpreciso disegno di aggressione.

Nonostante la difficile situazione esistente nel-la Venezia Giulia, la politica degli esponenti slove-ni e croati – tra cui i loro rappresentanti al parla-mento – fu improntata al lealismo nei confrontidello stato italiano, anche dopo l’avvento del fa-scismo; tra l’altro, essi non aderirono all’opposi-zione legale quando nel 1924 essa si ritirò sull’A-ventino in segno di protesta contro il delitto Mat-teotti. Malgrado ciò, la loro battaglia parlamentareper la tutela dei diritti nazionali degli sloveni e deicroati, condotta in comune con i deputati dellaminoranza tedesca dell’Alto Adige, non diede al-cun risultato, anzi, il regime fascista si impegnò afondo, anche per via legislativa, nella snazionaliz-zazione di tutte le minoranze nazionali. Così nellaVenezia Giulia vennero progressivamente elimina-te tutte le istituzioni nazionali slovene e croaterinnovate dopo la prima guerra mondiale. Lescuole furono tutte italianizzate, gli insegnanti ingran parte pensionati, trasferiti all’interno del re-gno, licenziati o costretti a emigrare, posti limitiall’accesso degli sloveni al pubblico impiego, sop-presse centinaia di associazioni culturali, sportive,giovanili, sociali, professionali, decine di coopera-tive economiche e istituzioni finanziarie, case po-polari, biblioteche ecc. Partiti politici e stampa pe-riodica vennero posti fuori legge, eliminata fu lapossibilità di qualsiasi rappresentanza delle mino-ranze nazionali, proibito l’uso pubblico della lin-gua. Le minoranze slovena e croata cessarono co-sì di esistere come forza politica e i loro rappre-sentanti fuoriusciti continuarono ad operare tra-

SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008 l VII

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 7

Page 8: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

mite il Congresso delle nazionalità europee, sottola presidenza di Josip Vilfan, cooperando così al-l’impostazione di una politica generale per la so-luzione delle problematiche minoritarie.

La politica di snazionalizzazione del fascismo

L’impeto snazionalizzatore del fascismo andòperò anche oltre la persecuzione politica, nell’in-tento di arrivare alla “bonifica etnica” della Vene-zia Giulia. Così, l’italianizzazione dei toponimi slo-veni o l’uso esclusivo della loro forma italiana, deicognomi e dei nomi personali si accompagnò allapromozione dell’emigrazione, all’impiego di ele-menti sloveni all’interno del paese e nelle colonie,all’avvio di progetti di colonizzazione agricola in-terna da parte di elementi italiani, ai provvedi-menti economici mirati a semplificare drastica-mente la struttura della società slovena, eliminan-done gli strati superiori in modo da renderla con-forme allo stereotipo dello slavo incolto e campa-gnolo, ritenuto facilmente assimilabile dalla “su-periore” civiltà italiana. A tali disegni di più ampiorespiro si accompagnò una politica repressiva as-sai brutale. Vero è che nella medesima epoca lamaggior parte degli stati europei mostrava scarsorispetto per i diritti delle minoranze etniche pre-senti sul loro territorio, quando addirittura noncercava in vari modi di conculcarli, ma ciò non to-glie che la politica di “bonifica etnica” avviata dalfascismo sia risultata particolarmente pesante, an-che perché l’intolleranza nazionale, talora venatadi vero e proprio razzismo, si accompagnava allemisure totalitarie del regime.

L’azione snazionalizzatrice fascista si diresseanche contro la Chiesa cattolica, dal momentoche fra gli sloveni – dispersi e in esilio quadri diri-genti e intellettuali – fu il clero ad assumere ilruolo di punto di riferimento per la coscienza na-zionale, in continuità con la funzione già svolta inepoca asburgica. I provvedimenti repressivi colpi-rono direttamente il basso clero, oggetto di ag-gressioni e provvedimenti di polizia, ma forti pres-sioni vennero condotte anche verso la gerarchiaecclesiastica di Trieste e Gorizia, in cui l’alto clerosi era nei decenni precedenti guadagnato da par-te dei nazionalisti italiani una solida fama di au-striacantismo e filo-slavismo. Tappe fondamentalidell’addomesticamento della Chiesa di confine –il cui esito va inserito nell’ambito dei nuovi rap-porti fra Stato e Chiesa avviati dal fascismo – fu-rono la rimozione dell’arcivescovo di Gorizia Fran-cesco Borgia Sedej e del vescovo di Trieste LuigiFogar. I loro successori applicarono le direttive“romanizzatrici” del Vaticano, in conformità aquanto avveniva anche nelle altre regioni italianeove esistevano comunità “alloglotte”, come purenelle realtà europee caratterizzate dalla presenzadi fenomeni simili: tali direttive infatti miravanoad offrire il minimo di occasioni di ingerenza in

materia ecclesiastica ai governi, totalitari e non, ea compattare i fedeli attorno a Roma, in difesa deiprincìpi cattolici che la Santa Sede riteneva mi-nacciati dalla civiltà moderna. Questi provvedi-menti comportavano in via di principio l’abolizio-ne dell’uso della lingua slovena nella liturgia enella catechesi; essa tuttavia fu mantenuta in for-ma clandestina soprattutto in ambito rurale, aopera dei sacerdoti organizzati nella corrente cri-stiano sociale. Tale situazione provocò gravi ten-sioni tra i fedeli e i sacerdoti slavi da un lato, e inuovi vescovi dall’altro, e le difficoltà furono acui-te dal diverso modo d’intendere il ruolo del clero,cui gli sloveni attribuivano una funzione prioritarianella difesa dell’identità nazionale, che apparivainvece agli ordinari diocesani italiani frutto di unadeformazione nazionalista. Gli sloveni e i croati siformarono così la convinzione che la gerarchia ec-clesiastica stesse di fatto collaborando con il regi-me a un’opera di italianizzazione che investivaogni campo della vita sociale.

Gli anni Venti e Trenta furono per i territori an-nessi un periodo di crisi economica, solo tardiva-mente interrotta dalla politica autarchica: alle dif-ficoltà generali segnate dalle economie europeefra le due guerre si sommarono infatti gli effettinegativi della ristrutturazione e frantumazionedell’area danubiano-balcanica, vitale per le fortu-ne economiche delle terre giuliane. I provvedi-menti compensativi assunti dallo stato italianonon riuscirono a invertire la tendenza negativa delperiodo, dal momento che le sue cause profonde– vale a dire la rottura dei legami con i retroterra– sfuggivano alla capacità di intervento sia delleforze locali sia della stessa Italia. Ciò dimostròl’assurdità delle teorie imperialiste, predilette dainazionalisti italiani, che speravano di fare di Trie-ste e della Venezia Giulia la base per la penetra-zione italiana nell’Europa centro-orientale e bal-canica, ma procurò anche blocco delle prospetti-va di sviluppo e, spesso, riduzione del tenore divita specie negli strati inferiori della società, neiquali più numerosi erano gli sloveni. Difficoltàeconomiche e pesantezza del clima politico favo-rirono fra le due guerre un robusto flusso migra-torio della Venezia Giulia: le fonti non ci consen-tono di quantificare con precisione l’apporto slo-veno a tale fenomeno, che coinvolse anche ele-menti italiani, ma certo esso fu cospicuo, nell’or-dine presumibile delle decine di migliaia di unità.Secondo stime jugoslave emigrarono complessi-vamente 105.000 sloveni e croati; e se nei casi diemigrazione transoceanica è più difficile tracciareun confine fra motivazioni economiche e politi-che, nel caso degli espatri in Jugoslavia, che coin-volsero soprattutto giovani e intellettuali, il colle-gamento diretto con le persecuzioni politiche delfascismo è ben evidente.

VIII l SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 8

Page 9: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

Un programma di distruzione dell’identità nazionale slovena e croata

Ciò che infatti il fascismo cercò di realizzarenella Venezia Giulia fu un vero e proprio pro-gramma di distruzione integrale dell’identità na-zionale slovena e croata. I risultati ottenuti furonoperò alquanto modesti, non per mancanza di vo-lontà, ma per quella carenza di risorse che, inquesto come in altri campi rendeva velleitarie leaspirazioni totalitarie del regime. La politica sna-zionalizzatrice riuscì infatti a decimare la popola-zione slovena a Trieste e Gorizia, a disperdere lar-gamente gli intellettuali e i ceti borghesi e a pro-letarizzare la popolazione rurale, che però, no -nostante tutto, rimase compattamente insediatasulla propria terra. Il risultato più duraturo rag-giunto dalla politica fascista fu però quello di con-solidare, agli occhi degli sloveni, l’equivalenza fraItalia e fascismo e di condurre la maggior partedegli sloveni (vi furono infatti alcune frange cheaderirono al fascismo) al rifiuto di quasi tutto ciòche appariva italiano. Analogo atteggiamento diostilità fu assunto anche dagli sloveni in Jugosla-via anche se, alla metà degli anni Trenta, l’ideolo-gia corporativa del fascismo attirò alcuni ambien-ti politici cattolici. Un certo interesse per la lette-ratura italiana venne manifestato da parte slovenaspecialmente sul piano della traduzione e dellapromozione di opere di autori italiani, mentre as-sai limitata fu l’attenzione degli italiani verso laletteratura slovena, anche se vi furono alcune ini-ziative, specie nel campo delle traduzioni. Natu-ralmente, a livello di rapporti personali e di vici-nato, come pure in campo culturale e artistico,continuarono a sussistere ambiti in cui la convi-venza e la collaborazione erano normali, e ciòavrebbe mantenuto preziosi germi che l’antifasci-smo e l’aspirazione alla democrazia avrebberosviluppato, ma in linea generale il solco fra i duegruppi nazionali si approfondì e nei territori giu-liani si svilupparono varie forme di resistenza con-tro l’oppressione fascista. In particolare la gioven-tù slovena di orientamento nazionalista, raccoltanell’organizzazione Tigr, collegata anche ai servizijugoslavi e dalla vigilia della guerra anche a quel-li britannici, decise di reagire alla violenza con laviolenza sviluppando azioni dimostrative e atti diterrorismo che provocarono repressioni durissi-me. Di fronte alla durezza della repressione fasci-sta, le organizzazioni clandestine slovene assiemea quelle dei fuoriusciti in Jugoslavia decisero, ver-so la metà degli anni Trenta, di abbandonare le ri-vendicazioni di autonomia culturale nell’ambitodello stato italiano per porsi invece come obietti-vo il distacco dall’Italia dei territori considerati et-nicamente sloveni e croati. Come risposta a taleattività di resistenza, il Tribunale speciale per la di-fesa dello stato comminò molte condanne a penedetentive e 14 condanne capitali, 10 delle qualieseguite.

Il PCI e il movimento degli sloveni e dei croati

Da parte sua, il partito comunista d’Italia ma-turò lentamente il riconoscimento come alleatodel movimento irredentista sloveno, a lungo con-siderato un fenomeno borghese: la svolta si ebbesolo negli anni Trenta, sotto l’influenza dell’Inter-nazionale, che per dare impulso alla lotta contronazismo e fascismo prevedeva il collegamentocon le forze nazional-rivoluzionarie per la costitu-zione dei fronti popolari. Fin dal 1926 il PCd’I ri-conobbe agli sloveni e ai croati residenti entro iconfini d’Italia il diritto all’autodeterminazione ealla separazione dallo stato italiano, fermo restan-do che il criterio dell’autodecisione doveva valereanche per gli italiani. Nel 1934 poi il PCd’I sotto-scrisse assieme ai partiti comunisti della Jugosla-via e dell’Austria un’apposita dichiarazione sullasoluzione della questione nazionale slovena, im-pegnandosi altresì in favore dell’unificazione delpopolo sloveno entro uno stato proprio.

L’interpretazione da dare a tali risoluzioni sa-rebbe risultata particolarmente controversa du-rante la seconda guerra mondiale, quando il mo-vimento di liberazione sloveno si trovò nella con-dizione di attuare nella prassi il proprio program-ma irredentista. A ogni modo, il patto d’azione sti-pulato nel 1936 tra il PCd’I e il movimento rivolu-zionario nazionale degli sloveni e dei croati avviòla formazione di un ampio fronte antifascista,mentre nella Venezia Giulia debole rimase la con-sistenza dell’antifascismo italiano d’impronta libe-rale e risorgimentale. Va comunque ricordata lacollaborazione che si sviluppò alla fine degli anniVenti fra il movimento nazionale sloveno clande-stino e le forze antifasciste democratiche italianein esilio (e specialmente con il movimento Giusti-zia e Libertà), nel cui ambito la parte slovena siimpegnò ad alimentare l’attività antifascista in tut-ta l’Italia, mentre da parte italiana agli sloveni e aicroati venne riconosciuto il diritto all’autonomia e,in alcuni casi, alla revisione dei confini. Tale colla-borazione si interruppe quando tra gli sloveni pre-valse la linea secessionistica.

Periodo 1941-1945Slovenia invasa e smembrata: la provincia “italiana” di Lubiana

Dopo l’attacco tedesco contro l’URSS la guerrain Europa, specie in quella orientale, divenne to-tale e diretta alla completa eliminazione degli av-versari. Il diritto internazionale ed anche le piùelementari norme etiche vennero in quegli anniviolate dai contendenti con impressionante fre-quenza ed anche le terre a nord dell’Adriaticovennero coinvolte in questa spirale di violenza.

La seconda guerra mondiale scatenata dalleforze dell’Asse introdusse nei rapporti sloveno-ita-

SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008 l IX

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 9

Page 10: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

liani dimensioni nuove che condizionarono il fu-turo di tali rapporti. Se infatti per un verso l’attac-co contro la Jugoslavia del 1941 e la successivaoccupazione del territorio sloveno acuirono almassimo la tensione fra i due popoli, nel suo in-sieme il tempo di guerra vide una serie di svoltedrammatiche nelle relazioni fra italiani e sloveni.L’occupazione del 1941 rappresentò così per loStato italiano il culmine della sua politica di po-tenza, mentre gli sloveni toccarono con l’occupa-zione e lo smembramento il fondo di un precipi-zio; la fine della guerra rappresentò, per converso,per il popolo sloveno una fase trionfale, mentre lamaggior parte della popolazione della VeneziaGiulia fu invece assalita nel 1945 dal timore delnaufragio nazionale.

La distruzione del regno jugoslavo si accom-pagnò allo smembramento non solo della com-pagine statale jugoslava, ma anche della Sloveniain quanto realtà unitaria: la divisione del paese traItalia, Germania ed Ungheria pose gli sloveni difronte alla prospettiva dell’annientamento dellaloro esistenza come nazione di un milione e mez-zo di abitanti e ciò li motivò alla resistenza controgli invasori.

L’aggressione dell’Italia contro la Jugoslaviasegnò il culmine della politica ventennale impe-rialista del fascismo, rivolta anche verso i Balcanied il bacino danubiano. In contrasto con il dirittodi guerra che non ammette l’annessione di terri-tori occupati nel corso di azioni belliche primadella stipula di un trattato di pace, la Provincia diLubiana fu annessa al Regno d’Italia. Alla popola-zione della Provincia di Lubiana, di circa 350.000abitanti, era stato garantito uno statuto di autono-mia etnica e culturale; tuttavia le autorità di occu-pazione italiane manifestarono il fermo propositodi integrare quanto prima la regione nel sistemafascista italiano, subordinandone le istituzioni e leorganizzazioni a quelle omologhe italiane. L’attra-zione politica, culturale ed economica dell’Italiaavrebbe dovuto condurre gradualmente alla fasci-stizzazione ed all’italianizzazione della popolazio-ne locale. Sulle prime l’aggressione fascista avevaprevisto di poter soggiogare gli sloveni grazie adun’asserita superiorità della civiltà italiana, perciòil regime d’occupazione inizialmente instauratodalle autorità italiane fu piuttosto moderato.

Resistenza – Repressione – Deportazioni

A fronte di quello nazista, esso appare perciòagli occhi degli sloveni un male minore, ed otten-ne per questo alcune forme di collaborazione, an-che se le stesse forze politiche che vi accondisce-sero non lo fecero necessariamente in virtù diorientamenti filofascisti; gran parte degli sloveniconfidava infatti, dopo un periodo di iniziale in-certezza, nella vittoria delle armi alleate e vedevail futuro del popolo sloveno a fianco della coali-

zione delle forze antifasciste. Fra i gruppi politicisloveni si manifestarono però due diverse vedutedi fondo sulla strategia da seguire. La prima, pro-pugnata dal Fronte di Liberazione (OF), sostenevala necessità di avviare immediatamente la resi-stenza contro l’occupatore: vennero perciò forma-te le prime unità partigiane che condussero azio-ni militari contro le forze occupatrici, mentre aipiani italiani di avvicinamento culturale il movi-mento di liberazione rispose con il “silenzio cultu-rale”. Aderirono al Fronte di Liberazione apparte-nenti a tutti i ceti della popolazione senza distin-zione di credo politico ed ideale. L’altra opzione,maturata in seno agli esponenti delle forze libe-ral-conservatrici, suggeriva invece agli sloveni diprepararsi clandestinamente e gradualmente allaliberazione ed alla resa dei conti con l’occupatorealla fine della guerra. Certamente, tanto il Frontedi Liberazione che lo schieramento opposto, fa-cente capo al governo monarchico jugoslavo inesilio a Londra, convergevano sull’obiettivo dellaSlovenia unita, comprendente tutti i territori con-siderati sloveni nel quadro di una Jugoslavia fede-rativa.

Al crescente successo delle azioni partigianeed al radicalizzarsi della contrapposizione fra lapopolazione e gli occupatori, Mussolini risposetrasferendo i poteri dalle autorità civili a quellemilitari, che adottarono drastiche misure repressi-ve. Il regime d’occupazione fece leva sulla violen-za che si manifestò con ogni genere di proibizio-ni, con le misure di confino, con le deportazioni el’internamento nei numerosi campi istituiti in Ita-lia (fra i quali vanno ricordati quelli di Arbe, Go-nars e Renicci), con i processi dinanzi alle cortimilitari, con il sequestro e la distruzione dei beni,con l’incendio di case e villaggi. Migliaia furono imorti, fra caduti in combattimento, condannati amorte, ostaggi fucilati e civili uccisi. I deportati fu-rono approssimativamente 30 mila, per lo più ci-vili, donne e bambini, e molti morirono di stenti.Furono concepiti pure disegni di deportazione dimassa degli sloveni residenti nella provincia. Laviolenza raggiunse il suo apice nel corso dell’of-fensiva italiana del 1942, durata quattro mesi, chesi era prefissa di ristabilire il controllo italiano sututta la Provincia di Lubiana.

Improntando la propria politica al motto “divi-de et impera”, le autorità italiane sostennero leforze politiche slovene anticomuniste, specie d’i-spirazione cattolica, le quali, paventando la rivolu-zione comunista, avevano in quel modo indivi-duato nel movimento partigiano il pericolo mag-giore, e si erano rese perciò disponibili alla colla-borazione. Esse avevano così creato delle forma-zioni di autodifesa che i comandi italiani, pur dif-fidandone, organizzarono nella Milizia volontariaanticomunista, impiegandole con successo nellalotta antipartigiana.

X l SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 10

Page 11: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

La lotta partigiana si estende al Litorale

La lotta di liberazione si estese ben presto dal-la Provincia di Lubiana alla popolazione slovenadel Litorale che aveva vissuto per un quarto di se-colo entro il nesso statale italiano. Ciò riaprì laquestione dell’appartenenza statale di buona par-te di questo territorio e rese manifesti non solol’assoluta inefficacia della politica del regime fa-scista nei confronti degli sloveni, bensì pure il fal-limento generale della politica italiana sul confineorientale. Contro la popolazione slovena eranostati adottati provvedimenti di carattere preventi-vo sin dall’inizio della guerra: l’internamento ed ilconfino dei personaggi di punta, l’assegnazionedei coscritti ai battaglioni speciali, l’evacuazionedella popolazione lungo il confine, le condannealla pena capitale nel quadro del secondo proces-so del Tribunale speciale svoltosi a Trieste. Fra glisloveni della Venezia Giulia la lotta di liberazionecapeggiata dal partito comunista trovò un terrenoparticolarmente fertile, perché aveva fatte propriele loro tradizionali istanze nazionali tese all’annes-sione alla Jugoslavia di tutti i territori abitati dasloveni, anche di quelli in cui si riscontrava unamaggioranza italiana. Il PCS si era così assicuratol’assoluta egemonia sul movimento di massa egrazie alla lotta armata anche l’opportunità di at-tuare sia la liberazione nazionale che la rivoluzio-ne sociale. Nell’opera di repressione del movi-mento di liberazione le autorità italiane ricorseroai metodi repressivi già sperimentati nella Provin-cia di Lubiana, ivi compresi gli incendi di villaggi ela fucilazione di civili. A tal fine furono apposita-mente creati l’Ispettorato speciale per la pubblicasicurezza e due nuovi corpi d’armata dell’esercitoitaliano. Le operazioni militari si estesero pertantoanche sul territorio dello stato italiano.

L’armistizio del settembre 1943 e l’occupazione tedesca

Nei giorni successivi all’8 settembre 1943 leforze armate ed elementi dell’amministrazione ci-vile italiana poterono lasciare i territori slovenisenza contrasto e giovandosi anche dell’aiuto del-la popolazione locale. Le conseguenze dell’armi-stizio comunque rappresentarono una svolta chia-ve nei rapporti sloveno-italiani. La configurazioneprevalente da essi assunta sino ad allora, che ve-deva gli italiani-occupatori ovvero nazione domi-nante e gli sloveni-occupati ovvero popolo op-presso, si fece più complessa. Sotto il profilo psi-cologico ed anche in termini reali la bilancia s’in-clinò a favore degli sloveni. L’adesione della po-polazione slovena della Venezia Giulia al movi-mento partigiano, le azioni delle formazioni mili-tari e degli organismi di potere resero testimo-nianza della volontà di tale popolazione che que-sto territorio appartenesse alla Slovenia unita. Ta-le determinazione fu sancita nell’autunno del

1943 dai vertici del movimento sloveno e fu suc-cessivamente fatta propria anche a livello jugosla-vo. Anche nella Venezia Giulia gli sloveni interven-nero così in veste di attore politico; ne tenneroconto entro un certo limite anche le autorità te-desche che, prendendo atto dell’assetto etnico ereale del territorio, cercarono di interporsi stru-mentalmente come mediatrici fra italiani e slavi.

I tedeschi comunque, per mantenere il con-trollo del territorio, fecero ricorso all’esercizioestremo della violenza, per la quale si servironopure della collaborazione subordinata di forma-zioni militari e di polizia italiane, ma anche slove-ne. Essi inoltre utilizzarono gli apparati ammini-strativi italiani ancora esistenti nei centri maggioridella regione, nonché strutture di collaborazioneistituite appositamente e, nella logica del “divideet impera”, sempre strumentalmente accolsero al-cune richieste slovene nel campo dell’istruzione edell’uso della lingua, concedendo pure ad ele-menti sloveni limitate responsabilità amministrati-ve. La condivisione degli obiettivi anticomunistied antipartigiani tra le diverse forze collaborazio-niste non poté però superare le reciproche diffi-denze d’ordine nazionale, e ciò portò anche ascontri armati. Più ampi furono i movimenti di op-posizione all’occupazione germanica tanto che inazisti sentirono il bisogno di adibire all’elimina-zione su larga scala degli antifascisti, in primo luo-go sloveni e croati, ma anche italiani, una struttu-ra specifica, la risiera di San Sabba, utilizzata an-che come centro di raccolta per gli ebrei da de-portare nei campi di sterminio. Particolarmentevasta fu la partecipazione al movimento di libera-zione da parte della popolazione slovena, mentrequella italiana fu frenata dal timore che il movi-mento partigiano venisse egemonizzato dagli slo-veni, le rivendicazioni nazionali dei quali non era-no accettate dalla maggioranza della popolazioneitaliana. Influì anche negativamente l’eco degli ec-cidi di italiani dell’autunno del 1943 (le cosiddet-te “foibe istriane”) nei territori istriani ove era atti-vo il movimento di liberazione croato, eccidi per-petrati non solo per motivi etnici e sociali, ma an-che per colpire in primo luogo la locale classe di-rigente, e che spinsero gran parte degli italianidella regione a temere per la loro sopravvivenzanazionale e per la loro stessa incolumità.

Collaborazione antifascista – Distinzioni e divergenze

Nel corso della seconda guerra mondiale irapporti sloveno-italiani giunsero al culmine dellaloro conflittualità; tuttavia vennero contestual-mente sviluppandosi anche forme di collaborazio-ne su basi antifasciste, in prosecuzione di unapluridecennale unità maturata nel movimentooperaio. Tale collaborazione assurse al massimorilievo nei rapporti fra i due partiti comunisti, tra le

SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008 l XI

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 11

Page 12: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

formazioni partigiane slovene ed italiane, nei co-mitati di unità operaia e, fin ad un certo momen-to, anche fra l’OF e il CLN. Sotto il profilo genera-le, la collaborazione fra i movimenti di liberazionesloveno ed italiano fu stretta ed ebbe notevoli svi-luppi.

Nonostante le nuove forme di collaborazionefra i due popoli, i due movimenti di liberazione sidistinguevano sensibilmente per genesi, struttura-zione, consistenza ed influenza e non superaronole diversità di obiettivi e di tradizioni politiche.Emersero divergenze fra le dirigenze dei due par-titi comunisti come pure fra il CLN giuliano ed ivertici dell’OF, nonostante avessero stipulato alcu-ni importanti accordi. Nella Venezia Giulia la resi-stenza si rivelò un fenomeno plurinazionale piut-tosto che internazionale, dal momento che en-trambi i movimenti di liberazione, pur rifacendosiai valori dell’internazionalismo, risultarono forte-mente condizionati dell’esigenza di difendere i ri-spettivi interessi nazionali. Il movimento di libera-zione sloveno reputò di importanza centrale l’an-nessione alla Jugoslavia di tutti i territori in cui vifossero insediamenti storici sloveni, ma ciò nonebbe esclusivamente implicazioni di ordine nazio-nale, bensì – dato il carattere del movimento –anche implicazioni inerenti agli obiettivi rivoluzio-nari che si era preposto. Il possesso di Trieste in-fatti era considerato di grande importanza, nonsolo per la sua posizione geo-economica rispettoalla Slovenia, ma anche per la presenza di unaforte classe operaia, nonché come base sia per ladifesa del mondo comunista dall’influenza occi-dentale, sia per un’ulteriore espansione del co-munismo verso ovest, ed in particolare verso l’Ita-lia del nord.

Il PCI, a livello sia locale che nazionale, fino al-l’estate del 1944 non accettò l’idea dell’annessio-ne alla Jugoslavia delle aree mistilingui ovvero aprevalenza italiana, proponendo di rinviare la de-finizione del problema al dopoguerra. Più tardi in-vece, in una mutata situazione strategica e dopoche il PCS ebbe assunto il controllo sia delle for-mazioni garibaldine che della federazione triesti-na del PCI, i comunisti giuliani aderirono all’impo-stazione dell’OF, mentre in campo nazionale la li-nea del PCI si fece più oscillante: le rivendicazionijugoslave non vennero mai ufficialmente accoltema nemmeno respinte, e Togliatti propose una di-stinzione tattica fra annessione di Trieste alla Ju-goslavia – di cui non bisogna parlare – ed occu-pazione del territorio giuliano da parte jugoslava,che andava invece favorita dai comunisti italiani.Sulla linea del PCI, oltre al sostegno sovietico allerivendicazioni jugoslave ed al dibattito interno su-gli sbocchi da dare alla lotta di liberazione in Ita-lia, influì anche l’atteggiamento assunto da buonaparte del proletariato italiano di Trieste e Monfal-cone, che aveva accolto la soluzione jugoslava in

chiave internazionalista come integrazione entrouno stato socialista alle spalle del quale si ergeval’Unione Sovietica. Tale scelta provocò pesanticonseguenze all’interno della resistenza italiana,portando tra l’altro all’eccidio delle malghe di Por-zûs, perpetrato da una formazione partigiana co-munista nei confronti di partigiani osovani.

Diversa era la posizione del CLN giuliano (dalquale alla fine del 1944 uscirono i comunisti, adifferenza di quanto accadde a Gorizia); esso rap-presentava i sentimenti della popolazione italianadi orientamento antifascista che desiderava ilmantenimento della sovranità italiana sulla regio-ne. Il CLN tendeva inoltre a presentarsi agli anglo-americani come rappresentante della maggioran-za della popolazione italiana, anche al fine di ot-tenere l’appoggio per la definizione dei confini. IlCLN e l’OF esprimevano orientamenti in materiadi confini opposti e incompatibili, perciò quandoil problema della futura frontiera venne posto inprimo piano, una loro collaborazione strategicadivenne impossibile. Sul piano tattico le ultimepossibilità di accordo in vista dell’insurrezione fi-nale svanirono di fronte all’impossibilità di rag-giungere un’intesa su chi avrebbe avuto il control-lo politico di Trieste dopo la cacciata dei tedeschi.Fu così che al termine della guerra ciascuna com-ponente della Venezia Giulia attese i propri libera-tori, la Quarta armata jugoslava e il suo nono cor-po operante in Slovenia o l’Ottava armata britan-nica, e scorse in quelli dell’altra l’invasore.

Liberazione, occupazione jugoslava, “foibe” e deportazioni

Alla fine di aprile CLN e Unità operaia organiz-zarono a Trieste due insurrezioni parallele e con-correnziali, ma ad ogni modo la cacciata dei tede-schi dalla Venezia Giulia avvenne principalmenteper opera delle grandi unità militari jugoslave e inparte di quelle alleate che finirono per sovrappor-re le loro aree operative in maniera non concor-data: il problema della transizione fra guerra e do-poguerra divenne così una questione che travali-cava i rapporti fra italiani e sloveni della VeneziaGiulia, come pure le relazioni fra l’Italia e la Ju-goslavia, per diventare un nodo, seppur minore,della politica europea del tempo.

L’estensione del controllo jugoslavo alle areegià precedentemente liberate dal movimento par-tigiano fino a tutto il territorio della Venezia Giuliafu salutata con grande entusiasmo dalla maggio-ranza degli sloveni e dagli italiani favorevoli allaJugoslavia. Per gli sloveni si trattò di una dupliceliberazione, dagli occupatori tedeschi e dallo Sta-to italiano. Al contrario, i giuliani favorevoli all’Ita-lia considerarono l’occupazione jugoslava come ilmomento più buio della loro storia, anche perchéessa si accompagnò ad un’ondata di violenza chetrovò espressione nell’arresto di molte migliaia di

XII l SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 12

Page 13: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

persone, parte delle quali venne in più riprese ri-lasciata – in larga maggioranza italiani, ma anchesloveni contrari al progetto politico comunista ju-goslavo –, in centinaia di esecuzioni sommarieimmediate – le cui vittime vennero in genere get-tate nelle “foibe” – e nella deportazione di ungran numero di militari e civili, parte dei quali pe-rì di stenti o venne liquidata nel corso dei trasferi-menti, nelle carceri e nei campi di prigionia (fra iquali va ricordato quello di Borovnica) creati in di-verse zone della Jugoslavia.

Tali avvenimenti si verificarono in un clima diresa dei conti per la violenza fascista e di guerra eappaiono in larga misura il frutto di un progettopolitico preordinato, in cui confluivano diversespinte: l’impegno ad eliminare soggetti e strutturericollegabili (anche al di là delle responsabilitàpersonali) al fascismo, alla dominazione nazista,al collaborazionismo ed allo Stato italiano, assie-me ad un disegno di epurazione preventiva di op-positori reali, potenziali o presunti tali, in funzionedell’avvento del regime comunista, e dell’annes-sione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugosla-vo. L’impulso primo della repressione partì da unmovimento rivoluzionario che si stava trasforman-do in regime, convertendo quindi in violenza diStato l’animosità nazionale ed ideologica diffusanei quadri partigiani.

Periodo 1945-1956La divisione della Venezia Giulia nella logica della guerra fredda

L’area della Venezia Giulia e delle Valli del Na-tisone (Slavia Veneta) che vede l’incontrarsi deipopoli italiano e sloveno, era stata in passato giàframmentata, mai però nella misura in cui lo funel primo decennio del dopoguerra. Dal maggio1945 al settembre 1947 vi operarono infatti dueamministrazioni militari anglo-americane (con se-de a Trieste e Udine) e il governo militare jugosla-vo. La Venezia Giulia venne divisa in due zone dioccupazione: la Zona A amministrata da un go-verno militare alleato (Gma) e la Zona B ammini-strata da un governo militare jugoslavo (Vuja),mentre le Valli del Natisone ricadevano sotto lagiurisdizione del Gma con sede a Udine.

Dopo il 1945 la situazione internazionale pro-cedette rapidamente verso la contrapposizioneglobale fra Est e Ovest e, anche se nei rapporti di-plomatici fra le grandi potenze la nuova logica siaffermò solo gradualmente, il clima di scontro fraciviltà informò assai presto gli atteggiamenti poli-tici delle popolazioni viventi al confine tra Italia eJugoslavia. Inoltre, mentre nel primo dopoguerra irapporti di forza a livello europeo avevano fatto sìche la controversia di frontiera italo-jugoslava siconcentrasse sul margine orientale dei territori indiscussione, nel secondo dopoguerra il rovescia-

mento degli equilibri di potenza fra i due Statispostò il dibattito sui bordi occidentali della re-gione: il nuovo confine premiò così il contributodella Jugoslavia, aggredita dall’Italia, alla vittoriaalleata e realizzò buona parte delle aspettativeche avevano animato la lotta degli sloveni e deicroati della Venezia Giulia contro il fascismo e perl’emancipazione nazionale. Il tentativo di far coin-cidere limiti etnici e confini di stato si rivelò tutta-via impossibile, non solo per il prevalere delle po-litiche di potenza, ma per le caratteristiche stessedel popolamento nella regione Giulia e per il di-verso modo d’intendere l’appartenenza nazionaledei residenti nell’area: ancora una volta quindi,com’era già avvenuto dopo il 1918 e com’è del re-sto tipico dell’età dei nazionalismi, il coronamen-to (seppur nel caso degli sloveni non integrale)delle aspirazioni nazionali di un popolo, si risolsedi fatto nella penalizzazione di quelle dell'altro.

Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Pace –che istituiva quale soluzione di compromesso ilTerritorio Libero di Trieste (TLT) – le relazioni italo-jugoslave vennero assorbite nella logica dellaguerra fredda. Il momento culminante di tale fasesi ebbe nel 1948, quando l’imminenza delle ele-zioni politiche italiane indusse i governi occiden-tali ad emanare la Nota Tripartita del 20 marzo infavore della restituzione all’Italia dell’intero TLT.

Dissidio URSS-Jugoslavia – Superamento del TLT

A seguito del dissidio con l’URSS del 1948 laJugoslavia non aderì più a blocchi politico-militarie le potenze occidentali si mostrarono disposte aripagarne la neutralità con concessioni economi-che e politiche, pur rimanendo essa retta da unregime totalitario. Sempre su sollecitazione dellepotenze atlantiche, vista l’inconcludenza dei ne-goziati bilaterali sulla sorte del TLT, superata la cri-si originata dalla Nota Bipartita dell’8 ottobre1953, si pervenne il 5 ottobre 1954 alla stipuladel Memorandum di Londra.

L’assetto imposto dal Trattato di Pace e suc-cessivamente completato dal Memorandum riuscìcomplessivamente vantaggioso per la Jugoslavia,che ottenne la maggior parte dei territori rivendi-cati ad eccezione del Goriziano, del Monfalconesee della Zona A del mai realizzato Territorio Liberodi Trieste, che pur vedevano la presenza di slove-ni. Le Valli del Natisone, la Val Canale e la Val diResia, sebbene rivendicate dalla Jugoslavia, noncostituirono oggetto di trattative.

Diversa fu la percezione di tale esito da partedelle popolazioni interessate. Mentre la maggiorparte dell’opinione pubblica italiana salutò conentusiasmo il ritorno all’Italia di Trieste, che era di-venuta il simbolo della lunga contesa diplomaticaper il nuovo confine italo-jugoslavo, gli italianidella Venezia Giulia vissero la perdita dell’Istria

SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008 l XIII

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 13

Page 14: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

come un evento traumatico, che sedimentò nellamemoria collettiva. Da parte slovena, la soddisfa-zione per il recupero delle vaste aree rurali delCarso e dell’alto Isonzo, si accompagnò alla delu-sione per il mancato accoglimento delle storicherivendicazioni sui centri urbani di Gorizia e Trieste,in parte compensato dall’annessione della fasciacostiera del Capodistriano – che vedeva una con-sistente presenza italiana – che fornì alla Slovenialo sbocco al mare.

A conclusione della vertenza, mentre tutta lapopolazione croata della Venezia Giulia si ritrovònella repubblica di Croazia facente parte della Fe-derazione jugoslava, rimasero comunità slovenein Italia, nelle province di Trieste, Gorizia ed Udi-ne, e comunità italiane in Jugoslavia, anche se al-l’atto della stipula del Memorandum d’Intesa que-ste ultime erano già state falcidiate dall’esodo daiterritori assegnati alla Croazia in forza del Trattatodi Pace.

Nelle zone in cui dopo il 1947 venne ripristi-nata l’amministrazione italiana, il ritorno alla nor-malità fu ostacolato dal permanere di atteggia-menti nazionalistici, anche come conseguenza deirancori suscitati dall’occupazione jugoslava del1945. Il reinserimento del Goriziano nella compa-gine statuale italiana fu accompagnato da nume-rosi episodi di violenza contro gli sloveni e controle persone favorevoli alla Jugoslavia. Le autoritàitaliane mostrarono in genere diffidenza verso glisloveni e, pur nel rispetto dei loro diritti individua-li, non favorirono lo sviluppo nazionale della co-munità slovena, e in alcuni casi promossero, anzi,tentativi di assimilazione strisciante. La divisionedella vecchia provincia colpì gravemente il Gori-ziano, perché l’entroterra montano del bacinodell’Isonzo restò privo del suo sbocco nella pianu-ra, e in particolare la popolazione slovena, che ri-mase separata dai propri connazionali. Ciò resenecessaria la costruzione da parte slovena di No-va Gorica, che nel nuovo clima instauratosi neidecenni seguenti venne allacciando, anche se conmolte difficoltà, rapporti con il centro urbano ri-masto in Italia, la cui ripresa, lenta e faticosa, sidelineò appena sul finire degli anni Cinquanta.

Più precaria si rivelò la posizione degli sloveniabitanti nelle Valli del Natisone e del Resiano enella Val Canale, che non furono mai riconosciuticome minoranza nazionale e rimasero quindi pri-vi dell’insegnamento nella madre lingua e del di-ritto di usarla nei rapporti con le autorità. In talizone si registrò il rifiorire, a partire dagli ultimi an-ni di guerra, di forme di coscienza nazionale slo-vena, ma la comparsa di orientamenti politici filo-jugoslavi presso popolazioni che avevano sempremanifestato lealismo verso lo Stato italiano, ven-ne prevalentemente giudicata da parte italiana,complice anche il clima della guerra fredda, fruttonon di un’evoluzione autonoma ma di agitazione

politica proveniente da oltre confine. I loro asser-tori furono fatti oggetto di intimidazioni e arresti,e in alcuni casi di atti di violenza, da parte di grup-pi estremisti e formazioni paramilitari. Anche ilclero sloveno incontrò difficoltà sia con le autoritàcivili sia con quelle religiose diocesane nell’affer-mare il proprio ruolo di riferimento per l’identitàdegli sloveni della Slavia Veneta a partire dall’e-sercizio dei suoi compiti pastorali in lingua slove-na. Vi è certo stato in tali zone un persistente ri-tardo da parte italiana nell’attuazione di una poli-tica di tutela corrispondente allo spirito della Co-stituzione democratica. Su tale ritardo vennero apesare l’inasprirsi della situazione internazionalee le corrispondenti contrapposizioni politiche. Daciò derivarono pure ritardi nell’istituzione della re-gione Friuli-Venezia Giulia, la cui autonomiaavrebbe comunque consentito, secondo il dise-gno della Costituente, una maggiore attenzionealle regioni minoritarie.

Il difficile approdo alla normalità democratica

Nelle Zone A e B della Venezia Giulia e dal1947 del TLT, entrambi i governi militari operaronocome amministrazioni provvisorie, tuttavia differi-vano fra loro per alcuni aspetti sostanziali. Mentreinfatti il Gma costituiva soltanto un’autorità di oc-cupazione, la Vuja rappresentava al tempo stessoanche lo Stato che rivendicava a sé l’area in que-stione, e ciò ne condizionò l’opera. Gli angloame-ricani introdussero nella Zona A ordinamenti ispi-rati ai princìpi liberal-democratici, e, pur mante-nendo sempre il completo controllo militare e po-litico nella Zona A, cercarono sulle prime di coin-volgere nell’amministrazione civile tutte le corren-ti politiche. Poi però, per il diniego della compo-nente filo-jugoslava e anche in virtù del peso cre-scente della guerra fredda – che fino al 1948 tro-vò nell’area giuliana uno dei suoi luoghi di frizio-ne – si servirono soltanto della collaborazionedelle forze filoitaliane e anticomuniste. Il Gmaadottò comunque provvedimenti volti ad assicu-rare alla popolazione slovena i suoi diritti nell’usopubblico della lingua nazionale ed in campo sco-lastico, cercando però nel contempo di ostacolarei rapporti della comunità slovena con la Slovenia.Inoltre, l’attivazione – sia pure tardiva – degli isti-tuti di autogoverno locale, permise agli slovenicon le libere elezioni del 1949 e 1952, di elegge-re i propri rappresentanti dopo più di due decen-ni di esclusione dalla vita pubblica. In quegli annifece ritorno a Trieste e a Gorizia una parte deglisloveni fuoriusciti nel periodo fra le due guerre, inparticolare gli appartenenti ai ceti intellettuali, iquali assunsero importanti funzioni in campo cul-turale e politico.

Fino al 1954 la priorità attribuita alla questio-ne dell’appartenenza statuale della zona, som-mandosi alle tensioni della guerra fredda, deter-

XIV l SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 14

Page 15: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

minò una polarizzazione della lotta politica cherese più difficile l’avvio della nuova vita democra-tica. Lo spartiacque fra il blocco filo-italiano equello filo-jugoslavo non era né esclusivamentenazionale né solo di classe o ideologico, bensì ilrisultato di un intreccio di tali elementi. Fino al1947 all’interno dei due blocchi le distinzioni po-litiche si attenuarono e trovarono ampio spazio lepulsioni nazionalistiche. Più tardi le articolazionidivennero più marcate e, anche se il peso delloscontro nazionale rimase assai forte, le compo-nenti democratiche filo-italiane, che assunsero laguida politica della zona, badarono in genere a di-stinguere la loro azione da quella delle forze diestrema destra. In modo analogo si manifestaro-no pubblicamente anche le distinzioni ideologi-che, prima offuscate, fra gli sloveni, i quali forma-rono gruppi e partiti ostili alle nuove autorità ju-goslave. Presero corpo anche tendenze indipen-dentiste, che videro una certa convergenza di ele-menti italiani e sloveni attorno all’idea dell’entra-ta in vigore dello statuto definitivo del TLT.

Oltre ai rapporti quotidiani fra la gente che vi-veva sullo stesso territorio e che non furono maiinterrotti, si ebbe fino alla risoluzione del Comin-form una stretta collaborazione fra gli sloveni enumerosi italiani della regione, legata soprattuttoall’appartenenza di classe e cementata dalla co-mune esperienza della lotta partigiana, che in de-terminati ambienti era valsa a infrangere alcunimiti, come quello della naturale avversione fra ledue etnie. La scelta in favore dell’annessione allaJugoslavia, come stato nel quale si veniva edifi-cando il comunismo, compiuta allora dalla mag-gioranza del proletariato locale di lingua italiana,soprattutto nella Zona A, fece sì che fino alla frat-tura tra la Jugoslavia e il Cominform (1948) a lun-go si mantenesse la solidarietà fra comunisti ita-liani e sloveni, nonostante le crescenti divergenzesul modo d’intendere l’internazionalismo e sullaconcezione del partito, oltre che su questionichiave come quella dell’appartenenza statale del-la Venezia Giulia. Stretta fu pure la collaborazionefra il PCI e il PCJ (PCS), consolidata dalla lotta co-mune contro l’invasore e il fascismo, nonostantela diversità di posizioni su alcune questioni. Letensioni esplosero all’atto della risoluzione delCominform, sostenuta dalla maggioranza dei co-munisti italiani, sicché si ebbe per parecchio tem-po non solo l’interruzione di ogni contatto ma an-che una vera e propria ostilità tra “cominformisti”e “titini”. A seguito di ciò in Jugoslavia numerosicomunisti italiani, sia fra quelli residenti in Istriache fra quelli accorsi in Jugoslavia ad “edificare ilsocialismo”, subirono il carcere, la deportazione el’esilio. Si creò pure una frattura tra gli sloveni, es-sendosi schierata a favore dell’Unione Sovietica econtro la Jugoslavia anche la maggioranza deglisloveni della Zona A orientati a sinistra. Da allora

per lungo tempo gli sloveni furono divisi in tregruppi contrapposti e spesso ostili: i democratici,i “cominformisti” ed i “titini”.

L’esodo dall’Istria

Nonostante la Zona B della Venezia Giulia siestendesse su una vasta area compresa fra il con-fine di Rapallo e la linea Morgan, l’area ammini-strata dalle autorità slovene registrava una vastapresenza italiana solo nella fascia costiera, mentrela popolazione dell’entroterra era in larga preva-lenza slovena. Nel 1947 tale area costiera concor-se, assieme al Buiese amministrato dalle autoritàcroate, alla formazione della Zona B del TLT. Qui laVuja, che aveva trasferito parte delle proprie com-petenze agli organi civili del potere popolare, cer-cò di consolidare le strutture tipiche di un regimecomunista, irrispettoso del diritto delle persone.Le autorità jugoslave, in contrasto con il mandatoa provvedere alla sola amministrazione provviso-ria della zona occupata, senza pregiudizio dellasua destinazione statuale, cercarono di forzarel’annessione con una politica di fatti compiuti. Così, oltre a provvedere al riconoscimento dei di-ritti nazionali degli sloveni, fino ad allora negati,tentarono di costringere gli italiani ad aderire allasoluzione jugoslava, facendo anche uso dell’inti-midazione e della violenza.

Nel contempo, le basi economiche del grupponazionale italiano, fino ad allora egemone, venne-ro compromesse sia dalla nuova legislazione chedall’interruzione dei rapporti fra le due zone, men-tre le tradizionali gerarchie sociali vennero rivolu-zionate, anche a seguito della progressiva scom-parsa della classe dirigente italiana. Si mirò inoltread eliminare i naturali punti di riferimento cultura-le delle comunità italiane: così, a ben poco valsel’attivazione di nuove istituzioni culturali – comel’emittente radiofonica in lingua italiana – stretta-mente controllate dal regime, di fronte alla pro-gressiva espulsione degli insegnanti e – dopo il1948 – al ridimensionamento del sistema scolasti-co in lingua italiana, nonché all’orientamentocomplessivo dell’insegnamento verso l’attenuazio-ne dei legami del gruppo nazionale italiano con l’I-talia e verso la denigrazione dell’Italia. Allo stessomodo, la persecuzione religiosa del regime assun-se nei confronti del clero italiano, che costituiva unelemento chiave per la difesa dell’identità nazio-nale, un’oggettiva valenza snazionalizzatrice.

Se nei comportamenti anti-italiani di parte de-gli attivisti locali, che ribaltavano sull’elemento ita-liano l’animosità per i trascorsi del fascismo istria-no, è palese sin dall’immediato dopoguerra l’in-tento di liberarsi degli italiani in quanto ritenuti ir-riducibili alle istanze del nuovo potere, allo statoattuale delle conoscenze mancano riscontri certialle testimonianze – anche autorevoli di parte ju-goslava – sull’esistenza di un piano preordinato di

SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008 l XV

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 15

Page 16: i rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956 - anpi.it · Periodo 1880-1918 Il rapporto italo-sloveno nella regione adriati-ca ha la sua origine nella fase di crisi successiva al

espulsione da parte del governo jugoslavo, chepare essersi delineato compiutamente solo dopola crisi nei rapporti con il Cominform del 1948;questo spinse i comunisti italiani, che vivevanonella zona e che pur avevano inizialmente colla-borato anche se con crescenti riserve con le auto-rità jugoslave, a schierarsi nella loro stragrandemaggioranza contro il partito di Tito. Ciò condus-se le autorità popolari ad abbandonare la lineadella “fratellanza italo-slava”, che consentiva ilmantenimento nello Stato socialista jugoslavo diuna componente italiana politicamente e social-mente epurata al fine di renderla conformista ri-spetto agli orientamenti ideologici e alla politicanazionale del regime. Da parte jugoslava, pertan-to, si vide con crescente favore l’abbandono daparte degli italiani della loro terra d’origine, men-tre il trattamento riservato al gruppo nazionaleitaliano subì più marcatamente le oscillazioni deinegoziati sulla sorte del TLT. Alla violenza, che simanifestò nuovamente al tempo delle elezionidel 1950 e della crisi triestina del 1953, e agli al-lontanamenti forzati, si intrecciarono così provve-dimenti miranti a consolidare le barriere fra ZonaA e Zona B. La composizione etnica della Zona Bsubì inoltre rimaneggiamenti anche a causa del-l’immissione di jugoslavi in città che erano statequasi esclusivamente italiane.

In conseguenza di tutto ciò, dal distretto di Ca-podistria si registrò un flusso costante anche senumericamente limitato, di partenze e di fughe,che divenne particolarmente considerevole agliinizi degli anni Cinquanta, fino a coinvolgere l’in-tero gruppo nazionale italiano dopo la stipula delMemorandum di Londra, quando per gli italianivenne meno la speranza che la loro situazionepotesse mutare. Infatti, nonostante gli impegniassunti con il Memorandum, l’atteggiamento del-le autorità nella Zona B non cambiò, mentre ilmedesimo atto concedeva alla popolazione lapossibilità di optare per la cittadinanza italianaentro un tempo limitato. Complessivamente nelcorso del dopoguerra l’esodo dai territori istrianisoggetti oggi alla sovranità slovena coinvolse piùdi 27.000 persone – vale a dire la quasi totalitàdella popolazione italiana ivi residente – oltre adalcune migliaia di sloveni, che vennero ad aggiun-gersi alla grande massa di esuli, in larghissimamaggioranza italiani (le cui stime più recenti van-no dalle 200 mila alle 300 mila unità), provenien-ti dalle aree dell’Istria e della Dalmazia oggi ap-partenenti alla Croazia. Gli italiani rimasti (l’8%della popolazione complessiva) furono in mag-gioranza operai e contadini, specie quelli più an-ziani, cui si aggiunsero alcuni immigrati politicidel dopoguerra ed alcuni intellettuali di sinistra.

Fra le ragioni dell’esodo vanno tenute soprat-tutto presenti l’oppressione esercitata da un regi-

me la cui natura totalitaria impediva anche la li-bera espressione dell’identità nazionale, il rigettodei mutamenti nell’egemonia nazionale e socialenell’area, nonché la ripulsa nei confronti delle ra-dicali trasformazioni introdotte nell’economia. L’e-sistenza di uno Stato nazionale italiano democra-tico ed attiguo ai confini, più che l’azione propa-gandistica di agenzie locali filo-italiane, esplicatasianche in assenza di sollecitazioni del governo ita-liano, costituì un fattore oggettivo di attrazioneper popolazioni perseguitate ed impaurite, no -nostante il governo italiano si fosse a più ripreseadoperato per fermare, o quantomeno contenere,l’esodo. A ciò si aggiunse il deteriorarsi delle con-dizioni di vita, tipico dei sistemi socialisti, ma le-gato pure all’interruzione coatta dei rapporti conTrieste, che innescarono il timore per gli italianidell’Istria di rimanere definitivamente dalla partesbagliata della “cortina di ferro”. In definitiva, lecomunità italiane furono condotte a riconoscerel’impossibilità di mantenere la loro identità nazio-nale – intesa come complesso di modi di vivere edi sentire, ben oltre la sola dimensione politico-ideologica – nelle condizioni concretamente of-ferte dallo Stato jugoslavo e la loro decisione ven-ne vissuta come una scelta di libertà.

In una prospettiva più ampia, l’esodo degli ita-liani dall’Istria si configura come aspetto particola-re del processo di formazione degli Stati naziona-li in territori etnicamente compositi, che condussealla dissoluzione della realtà plurilinguistica emulticulturale esistente nell’Europa centro-orien-tale e sud-orientale. Il fatto che gli italiani dovet-tero abbandonare uno Stato federale fondato sudi un’ideologia internazionalista, mostra comenell’ambito stesso di sistemi comunisti le spinte edistanze nazionali continuassero a condizionaremassicciamente le dinamiche politiche.

La stipula del Memorandum di Londra non ri-solse tutti i problemi bilaterali, a cominciare daquelli relativi al trattamento delle minoranze, masegnò nel complesso la fine di uno dei periodi piùtesi nei rapporti italo-sloveni e l’inizio di un’epocanuova, caratterizzata dal graduale avvio della co-operazione di confine sulla base degli accordi diRoma del 1955 e di Udine nel 1962 e dallo svi-luppo progressivo dei rapporti culturali ed econo-mici. Nonostante i loro contrasti, già a partire dal-la stipula del Trattato di Pace, i due paesi, l’Italia ela Jugoslavia, avevano avviato rapporti sempre piùstretti, tali da rendere a partire dalla fine degli an-ni Sessanta il loro confine il più aperto fra duePaesi europei a diverso ordinamento sociale. L’ap-porto delle due minoranze fu a tale proposito delmassimo rilievo. Tutto ciò concorse, dopo decen-ni di accesi contrasti, ad avviare sia pure fra tem-poranee ricadute, i due popoli verso una più fe-conda collaborazione.

XVI l SPECIALE FOIBE l patria indipendente l 27 gennaio 2008

00_SPECIALE_FOIBE:00_LE_FOTOSTORIE_21 1-02-2008 14:46 Pagina 16