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Torino, 21 gennaio 2003
Testo e materiale didattito a cura del dr. Ettore Altea
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INDICE 1. PREMESSA 2. DIFFERENZE TRA SPORT PROFESSIONISTICO E SPORT DILETTANTISTICO 3. CENNI SUL RAPPORTO DI LAVORO NELLO SPORT PROFESSIONISTICO 3.1. Il datore di lavoro
3.2. Le norme previste dalla Legge n. 91/1981
3.3. Il contratto di lavoro subordinato
3.4. Il rapporto di lavoro autonomo
4. LO SPORT DILETTANTISTICO: LE PRESTAZIONI GRATUITE 5. I RAPPORTI DI LAVORO NELLO SPORT DILETTANTISTICO 5.1. I soggetti dello sport dilettantistico
5.2. Il datore di lavoro
5.3. Le possibili forme di rapporto di lavoro
5.4. Lavoro subordinato e lavoro autonomo: definizioni e differenze
5.5. Lavoro subodinato e lavoro autonomo: casistica
6. IL RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO: TIPOLOGIE E MODALITÀ DI SVOLGIMENTO 6.1. Le tipologie di rapporti di lavoro subordinati
6.2. La classificazione dei lavoratori subordinati
6.3. L’età lavorativa minima e massima
6.4. L’assunzione del lavoratore subordinato
7. IL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO 7.1. Tipologie di rapporti possibili
7.2. La prestazione di lavoro autonomo abituale
7.3. La prestazione coordinata e continuativa
7.4. La prestazione occasionale
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8. I CONTRATTI 8.1. Il contratto collettivo di lavoro
8.2. Il contratto colletivo di lavoro per il personale dipendente di impianti sportivi
8.3. Il costo contrattuale
8.4. Il contratto individuale di lavoro (lettera di assunzione)
8.5. Il contratto per le prestazioni coordinate e continuative
8.6. I contratti per le prestazioni occasionali e per quelle gratuite
9. I COMPENSI AGLI SPORTIVI DILETTANTI EROGATI DALLE ASSOCIAZIONI SPORTIVE 9.1. Premessa
9.2. La storia della 342
9.3. Le disposizioni contenute nella legge finanziaria per l’anno 2003
10. LA TUTELA PREVIDENZIALE ED ASSICUARATIVA 10.1. Premessa
10.2. L’ENPALS
10.3. L’INAIL
11. I CAMBIAMENTI IN CORSO 11.1. Premessa
10.2. La riforma Maroni del mercato del lavoro
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1 PREMESSA
Parlare dei possibili rapporti di lavoro nello sport non può prescindere da alcune
valutazioni generali di premessa, muovendo in primo luogo da una domanda che solo
apparentemente può apparire banale: che cos’è lo sport?
(dalla Carta Sportiva Europea del Consiglio d’Europa)
Da questa schematica definizione emergono molte questioni e problematiche che esulano
dall’obiettivo del nostro lavoro. Infatti, se nella pratica sportiva rientrano tutte le attività
che mirano al miglioramento della condizione fisica e mentale di ognuno di noi, è
evidente che l’orizzonte entro cui circoscrivere l’attività sportiva si amplia, molto aldilà di
quello che è lo sport di tutti i giorni che ben conosciamo: il calcio, il ciclismo, lo sci, ecc.
In particolare nella nostra società
l’offerta di servizi si è diversificata e contaminata con quella fornita da altri settori
per il tempo libero, nuove discipline si sono proposte sul mercato, nuovi soggetti
(in un mix di pubblico, privato e no profit) hanno trovato spazio, gli impianti sono
diventati da polivalenti a polifunzionali, le figure professionali si sono
specializzate, il mercato degli articoli sportivi si è globalizzato. A tutto questo
bisogna aggiungere, the last but not the least, che il sistema sportivo italiano ha
subito forti cambiamenti istituzionali e che lo sport spettacolo ha trovato nuovi
mercati nelle TV a pagamento e nella rete internet.
(da: “Le fonti di dati e le indagini statistiche sullo sport in italia, anno 2000” a cura dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e del Comitato Olimpico Nazionale Italiano) La conferma della complessità e articolazione del mondo dello sport oggi in Italia ci viene
data dalla stessa contrattazione collettiva che regola il rapporto di lavoro per i
dipendenti dalle imprese ed enti di gestione di impianti sportivi.
Per sport si intende qualsiasi forma di attività fisica
che, attraverso una partecipazione organizzata o meno,
abbia per obiettivo l’espressione e il miglioramento
della condizione fisica e mentale, con la promozione
della socializzazione e/o con il conseguimento di risultati in competizioni a tutti i livelli.
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La tabella che segue (Tabella 1) permette di comprendere l’evoluzione che ha
accompagnato lo sviluppo delle attività sportive negli ultimi dieci anni. Nella colonna di
sinistra sono riportati gli impianti e le relative pratiche sportive rientranti nella sfera di
applicazione del contratto, così come fissato nel gennaio del 2002 e quindi oggi in vigore.
Nella colonna di destra invece, le attività così come erano state identificate nell’estate del
1992.
Non è difficile rilevare in primo luogo la vastita delle attività che rientrano nel concetto
di pratica sportiva e per talune di esse l’incerta collocazione al confine con attività aventi
caratteristiche spiccate di natura socio-assistenziale, terapeutica o medica: si veda ad
esempio, la ippoterapia inserita già con il contratto collettivo del 1992 nella categoria
dei maneggi e centri ippici. Oppure, il vasto universo, non sempre chiaro per la verità,
delle attività che vengono svolte nei centri fitness: le contestazioni anche recenti di
svolgimento di prestazioni medico-sanitarie ne sono la prova evidente.
La pratica dell'ippoterapia ad esempio, viene da molti utilizzata come terapia possibile
nella cura dei disabili e non manca chi ne richiede il riconoscimento ufficiale, dal
momento che l'ippoterapia è un complesso di tecniche rieducative che permettono di
superare danni sensoriali, cognitivi e comportamentali attraverso un'attività ludico-
sportiva che si svolge a cavallo.
Se sia prevalente in questo caso l’attività sportiva rispetto a quella medico-sanitaria,
non è di facile precisazione. Di certo, per questa come per altre molteplici attività dei
centri fitness e delle palestre è arduo stabilire se gli addetti operano per il
raggiungimento di finalità sportive.
L’evoluzione avvenuta negli anni più recenti nella pratica sportiva si può rilevare dalla
comparazione tra le attività inserite nelle piscine. L’ acquafitness, l’acquagym,
l’idrospinning erano concetti ignorati dal primo contratto del 1992.
L’idrospinning ad esempio, è l’andare in bicicletta in acqua. Tenuto conto che lo spinning
più generalmente conosciuto è un'attività cardiovascolare ad alto consumo energetico
che si avvale dell'utilizzo di una speciale bici stazionaria, non esiste ragione per dubitare
che il suddetto esercizio possa rientrare nella pratica sportiva. Ma sotto quale assistenza
professionale?
È significativo rilevare che il contratto collettivo per gli addetti degli impianti sportivi non
elenca alcuna figura tecnica avente requisiti professionali adeguati. Permane cioè, la
considerazione che nel mondo dello sport operino soltanto istruttori od allenatori, oltre
che manutentori, contabili, operai.
Le sole figure identificate con precisione sono quelle del massofisiokinesiterapista con
provata esperienza, del dietista e del personale paramedico (articolo 2, classificazione).
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Peraltro, queste figure sono inquadrate ad un livello inferiore rispetto ad esempio a quello
del contabile di concetto.
Un po’poco a nostro avviso, tenuto conto del’evoluzione in corso già da anni e delle
responsabilità che queste figure professionali assumono rispetto alla tutela della salute e
dell’integrità fisica di chi fa pratica sportiva.
Si rileva cioè, che la normativa vigente è per molti aspetti carente o del tutto assente
rispetto a questo specifico e fondamentale aspetto: la contrattazione collettiva del settore
non ne è esente.
Più in generale e aldilà delle diversità emerse nel tempo, dall’analisi delle strutture prese
in considereazione dalla contrattazione collettiva risulta inequivocabile un dato di fondo:
Il rapporto di lavoro nel mondo dello sport coinvolge figure professionali tra loro
molto diverse che possono andare dal manutentore di motori dei centri nautici, allo
stalliere del centro ippico, dall’addetto alle pulizie della piscina, al biologo esperto in
itticultura dei laghetti per pesca sportiva. Tutte figure professionali queste che
difficilmente a prima vista considereremmo facenti parte del mondo dello sport.
Occorre accantonare quindi, l’immagine che dello sport facciano parte soltanto, atleti,
allenatori e istruttori. Perché una manifestazione sportiva abbia un buon esito, o un
centro fitness fornisca prestazioni adeguate sono necessarie molte altre professionalità,
certamente prevalenti in termini quantitativi rispetto alle tradizionali figure dello sport.
Analizzare i possibili rapporti di lavoro non può prescindere da questa premessa.
Altra introduzione necessaria: i possibili rapporti di lavoro nel mondo dello sport non
sono trattati dal legislatore italiano in maniera diversa rispetto alle norme che regolano
gli stessi rapporti in ogni altro campo di attività economica, ricreativa, associativa,
sociale od altro ancora.
Ne consegue che
Più in generale, occorre osservare il principio che:
al rapporto di lavoro nel mondo dello sport si applicano
tutte le norme civilistiche, contrattuali, previdenziali e
fiscali atte a regolarne il corretto funzionamento in ogni altro settore della vita sociale ed economica
il rapporto di lavoro assume la medesima
configurazione giuridica indipendentemente
dall’ambito imprenditoriale o meno in cui il lavoratore si trova ad operare.
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Quindi, se sussiste una prestazione lavorativa in ambito sportivo, questa deve essere
inquadrata, regolamentata e gestita sulla base delle norme che regolano il rapporto di
lavoro più in generale.
Nel mondo dello sport convivono però non soltanto prestazioni di lavoro (autonomo o
subordinato) retribuite, ma altresì molti rapporti svolti a titolo gratuito da associati,
dirigenti, atleti o semplici simpatizzanti.
Spesso nelle società sportive di più modeste dimensione la prestazione volontaria e
gratuita assume rilevanza prevalente rispetto alle prestazioni a titolo oneroso, convivendo
accanto ad esse e rendendo a volte difficile la distinzione tra i due rapporti. Può accadere
così che per la medesima prestazione possano ritrovarsi all’interno della società sportiva
dirigenti o atleti, alcuni dei quali fruiscono di compensi più o meno consistenti, ed altri
invece che forniscono la loro opera a titolo assolutamente gratuito.
Ne consegue che una attenta considerazione dei rapporti di lavoro nel mondo dello sport
non può prescindere dalla duplicità dei possibili rapporti:
Questa differenziazione ha senso di essere approfondita però, soltanto nel mondo dello
sport dilettantistico: per quanto riguarda lo sport professionistico, pur non potendosi
escludere teoricamente lo svolgimento di prestazioni a titolo gratuito, senza dubbio esse
non hanno rilevanza al fine di un’analisi dei rapporti di lavoro possibili.
Ciò ci porta quindi a definire la prima grande articolazione e divisione nel mondo dello
sport tra:
Esula da queste pagine il compito di entrare nel merito della disputa che da sempre
attraversa il mondo dello sport per cercare di determinare confini e contenuti di due
mondi così diversificati e su cui incidono fortissimi interessi economici, politici e sociali.
Per il nostro fine, cioè quello di esaminare i possibili rapporti di lavoro, faremo
unicamente riferimento alla legislazione vigente, cioè alla Legge 23 marzo 1981, n. 91
così come modificata dalla successiva Legge n. 586/1996.
SPORT DILETTANTISTICO
e
SPORT PROFESSIONISTICO
prestazioni volontarie a titolo gratuito
prestazioni retribuite
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TABELLA 1
CCNL anno 2002
• Centri sportivi polivalenti: strutture complesse che comprendono più impianti di varia tipologia e natura tra quelli di seguito elencati
• Palestre: con svolgimento di attività motorie, competitive o non, come ad esempio body building, ginnastica a corpo libero, aerobica, danze, insegnamento arti marziali, boxe di ogni genere, ecc.
• Centri fitness: strutture dedicate allo svolgimento di attività finalizzate prevalentemente alla prevenzione ed al mantenimento del benessere psico-fisico della persona
• Centri natatori/piscine: strutture per lo svolgimento di attività motorie in acqua, ludiche o sportive, quali ad esempio: nuoto, nuoto pinnato e sincronizzato, attività subacquee, pallanuoto, tuffi, addestramento al salvataggio, acquafitness, acquagym, idrospinning, ecc.
• Campi da tennis • Campi da squash • Campi da golf e minigolf • Campi da calcio, calcetto, rugby e
baseball • Campi da pallavolo, basket e pallamano • Maneggi e centri ippici, dove, oltre alle
tradizionali attività si svolgano ponytrekking, attività turistica e ippoterapia
• Piste da pattinaggio, sia a rotelle che su ghiaccio, anche per svolgimento di attività di hockey
• Campi da bowling e bocce • Sferisteri • Campi per il gioco del pallone elastico e
della palla a volo • Laghetti per pesca sportiva
• Strutture per tiro a volo, tiro con l'arco, tiro a segno
• Centri finalizzati all'attività di orienteering, trekking, arrampicata e mountainbyke
• Centri per canottaggio, canoa, kayak: svolti su fiumi, torrenti, corsi d'acqua, bacini artificiali, navigli e piscine
• Centri per biliardo e tennis da tavolo • Centri per le attività di volo • Centri nautici
CCNL anno 1992
• Palestre: con svolgimento di attività di body-building, ginnastica a corpo libero, aerobica, danze, insegnamento arti marziali, boxe di ogni genere.
• Piscine: con attività di nuoto, nuoto pinnato e sincronizzato, pallanuoto, tuffi, addestramento al salvataggio, nuoto subacqueo.
• Campi da tennis. • Campi da squash. • Campi da golf e minigolf. • Campi da calcio, calcetto, rugby e
baseball. • Campi da pallavolo, basket e
pallamano. • Maneggi e centri ippici, dove, oltre alle
tradizionali attività si svolgano ponytrekking, attività turistica e ippoterapia.
• Piste da pattinaggio, sia a rotelle che su ghiaccio, anche per svolgimento di attività di hockey.
• Campi da bowling e bocce. • Sferisteri. • Campi per il gioco del pallone elastico e
della palla a volo. • Laghetto per pesca sportiva. • Strutture per tiro a volo, tiro con l'arco e
tiro a segno. • Centri finalizzati all'attività di
orienteering, trekking, arrampicata e mountainbyke.
• Centri per canottaggio, canoa, kayak, svolti su fiumi, torrenti, corsi d'acqua, bacini artificiali, navigli e piscine.
• Centri per biliardo e tennis da tavolo. • Centri per le attività di volo. • Centri nautici.
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2 DIFFERENZE TRA SPORT PROFESSIONISTICO
E SPORT DILETTANTISTICO
Per stabilire la differenza tra sport dilettantistico e professionistico, partiamo dalla
definizione contenuta nell’articolo 2 della Legge n. 91/81:
Alcune osservazioni in merito alla norma citata:
• per il legislatore italiano lo sport professionistico è tale soltanto quando si svolge
all’interno del CONI , delle sue federazioni e delle norme da queste emanate
• la distinzione tra attività dilettantistica e professionistica è demandata alle direttive
emanate dal CONI
• le figure rientranti nella definizione di sportivo professionista sono quelle
direttamente funzionali allo svolgimento di una manifestazione sportiva: atleti,
preparatori, allenatori, direttori tecnico-sportivi
Il legislatore ha dunque riconosciuto la qualifica di sportivo professionista soltanto a
quattro figure professionali tra le tante che operano nel mondo dello sport. Vediamo
come possono essere meglio determinate con l’aiuto delle definizioni che ha dato
recentemente l’ENPALS con la Circolare n. 20 del 4 giugno 2002.
sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i
direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che
esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con
carattere di continuità nell'ambito delle discipline
regolamentate dal CONI e che conseguono la
qualificazione dalle federazioni sportive nazionali,
secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con
l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la
distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica.
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Le nozioni sono desunte dalle disposizioni statutarie e regolamentari delle singole
Federazioni sportive.
Atleta
Si intende lo sportivo che scambia prestazioni agonistiche con retribuzione, cioè
colui, che, nell'ambito di una pratica sportiva agonistica, abbia l'interesse preminente di
trarre il proprio sostentamento dall'attività sportiva (la Federazione Italiana Gioco Calcio
definisce professionista solo il giocatore che pratica l'attività sportiva come lavoro
primario).
Allenatore e preparatore atletico
Colui al quale sono affidati compiti e funzioni di tipo tecnico-sportivo.
In particolare l'allenatore deve provvedere alla istruzione ed allenamento degli
atleti, mentre il preparatore atletico è abilitato alla preparazione fisico-atletica
degli atleti.
Direttore tenico-sportivo
È forse tra le altre la figura professionale più complessa e difficile da definire.
Per il regolamento del settore tecnico della Federazione Italiana Gioco Calcio (articolo 17)
i direttori tecnici sono abilitati alla conduzione tecnica di squadre di ogni tipo e categoria
e compete loro collaborare agli indirizzi tecnici di tutte le squadre della società per la quale
sono tesserati e di partecipare alla loro attuazione, d'intesa con i tecnici responsabili di
ciascuna squadra.
Il regolamento dell'elenco speciale dei direttori sportivi all’articolo 1, definisce il direttore
sportivo come colui che indipendentemente dalla denominazione, svolge, per conto delle
Società Sportive professionistiche, attività concernenti l'assetto organizzativo della Società,
ivi compresa espressamente la gestione dei rapporti anche contrattuali fra società e
calciatori o tecnici e la conduzione di trattative con altre società sportive, aventi ad oggetto
il trasferimento di calciatori e/o la stipulazione delle cessioni dei contratti, secondo le
norme dettate dall'ordinamento della F.I.G.C.
Si rileva subito che tra queste diverse figure professionali la normativa contrattuale che
regola lo sport dilettantistico nulla dice relativamente agli atleti.
Quando verrà esaminato il contratto collettivo di lavoro applicabile ai dipendenti di
società sportive dilettantistiche, si potrà constatare infatti che le figure professionali
previste dai diversi livelli di inquadramento non includono mai l’atleta.
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È questa la prima fondamentale differenza tra sport dilettantistico e professionistico:
Potrà essere inquadrato soltanto come un lavoratore autonomo: in questo caso non
differendo dal collega atleta professionista, la cui prestazione autonoma è prevista dalla
Legge n. 91/81 all’articolo 3 con precisi limiti che esamineremo successivamente.
Per ovvia che possa apparire questa osservazione, è bene richiamarla anche perché la
stessa considerazione non si può fare a proposito di allenatori, preparatori e dirigenti
tecnici. Per tutte queste figure professionali infatti, anche lo sport dilettantistico ne
prevede il possibile inquadramento come lavoratori subordinati.
Ma v’è di più: l’articolo 10 della Legge n. 91/81 sancisce che
È questa dunque, un’altra distinzione importante tra sport dilettantistico e
professionistico.
Si tenga peraltro presente che la Legge Finanziaria per il 2003, su cui torneremo
diffusamente, all’articolo 90 ha sancito lo svolgimento di attività sportiva dilettantistica
anche da parte di soggetti costituiti in forma di società di capitale, ma senza finalità di
lucro.
Sotto questo aspetto la diversità tra sport dilettantistico e professionistico appare
fortemente marcata: basti pensare alle maggiori società di calcio quotate in borsa. È del
tutto evidente che la mancanza di finalità di lucro per le società dilettantistiche, le rende
soggetti profondamente diversi rispetto alle societò sportive professionistiche.
La risposta ad un’ultimo quesito porta invece a non mettere in evidenza differenze tra lo
sport dilettantistico e quello professionistico sul piano mormativo.
l’atleta, cioè il soggetto principale della manifestazione
o gara sportiva, non è mai considerato come possibile lavoratore subordinato nello sport dilettantistico.
possono stipulare contratti con atleti professionisti
solo società sportive costituite nella forma di società
per azioni o di società a responsabilità limitata. Lo
sport dilettantistico si fonda prevalentemente
sull’attività di enti ed associazioni non aventi natura giuridica di società di capitale
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Come devono essere inquadrati i rapporti di lavoro di tutti gli altri operatori dello
sport, non compresi nelle quattro categorie già definite?
Anche per questa questione ci fornisce un valido supporto l’ENPALS, che con Circolare n.
30 del 22 novembre 1999 precisava a proposito dei massaggiatori che la relativa qualifica
non risultava elencate nella Legge n. 91/81. Tale categoria pertanto trovava collocazione
tra gli addetti agli impianti sportivi intesi come tali quei lavoratori per i quali sussiste un
diretto collegamento tra le prestazioni di lavoro e gli impianti stessi, ovvero la prestazione
stessa sarebbe impossibile se gli impianti venissero meno.
Ne consegue che sia per lo sport dilettantistico che per quello professionistico si applica
la stessa norma contrattuale relativamente alle prestazioni di altre figure professionali,
quali a titolo di esempio:
massofisiokinesiterapisti
magazzineri
addetti alla manutenzione dei campi sportivi e degli impianti
addetti agli spogliatoi
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3 CENNI SUL RAPPORTO DI LAVORO NELLO SPORT PROFESSIONISTICO
1. Il datore di lavoro
Prima di esporre un sintetico esame del rapporto di lavoro nello sport professionistico,
riteniamo opportuno precisare chi è il datore di lavoro dello sportivo professionsita.
La Legge n. 91/81 sancisce all’articolo 2 che il rapporto di lavoro degli sportivi
professionisti avviene esclusivamente:
nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle
federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con
l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica
da quella professionistica.
Quindi, aldifuori del CONI e delle Federazioni sportive non vi può essere attività
sportiva professionistica, né conseguente rapporto di lavoro che a tali norme si
rifaccia.
Ma occorre ricordare almeno un altro aspetto. Precisato che il datore di lavoro è il CONI o
una delle Federazioni Sportive, che natura giuridica rivestono questi datori di lavoro?
La risposta non è irrilevante: vedremo perché.
Col Decreto Legislativo n. 242 del 23 luglio 1999 il legislatore aveva ravvisato l'esigenza
di operare il riordino del Comitato olimpico nazionale italiano (dal preambolo del D. Lgs.
citato).
È stato così legiferato all’articolo 1 che il CONI ha personalità giuridica di diritto
pubblico, e all’articolo 15 che le Federazioni Sportive nazionali hanno natura di
associazione con personalità giuridica di diritto privato.
La distinzione ha prodotto effetti non di poco conto.
Dal punto di vista previdenziale i lavoratori dipendenti dalle Federazioni, essendo
queste classificate quali organismi privati, e non più pubblici come avvenuto fino a quel
momento, sono stati assorbiti dalla normativa relativa con conseguente inquadramento
ai fini pensionisti con l’ENPALS. (Circolare INPS n. 41 del 16 febbraio 2001)
I dipendenti del CONI sono rimasti invece, inquadrati nell’ambito delle norme che si
applicano ai lavoratori subordinati di diritto pubblico, con altro inquadramento
previdenziale.
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Dal punto di vista del diritto del lavoro invece, la questione risulta non poco
complessa, dal momento che avendo le Federazioni Sportive natura giuridica di tipo
privatistico, le eventuali vertenze dovrebbero essere esaminate dal giudice ordinario in
veste di giudice del lavoro.
Ma la Corte di Cassazione si è più volte pronunciata in seno diverso, sancendo ad
esempio che la controversia concernente il rapportodi lavoro di uno sportivo dipendente
da una Federazione Sportiva rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
Il rapporto di lavoro del dipendente che, ancorché assunto direttamente da una federazione sportiva (nella specie: Federazione italiana tennis da tavolo) con contratto di diritto privato, esibisca la congiunta evenienza dello svolgimento di mansioni di carattere (non tecnico, ma) amministrativo e del disimpegno delle stesse presso la struttura centrale dell'organizzazione, ha natura pubblicistica, essendo i caratteri di detta attività esattamente identici a quelli propri dei lavoratori legati al CONI da rapporto di pubblico impiego e comandati o distaccati presso le federazioni sportive (che del CONI costituiscono organi) ai sensi dell'art. 14, terzo comma, della legge 23 marzo 1981, n. 91, non assumendo rilievo - giusta la regola di cui all'art. 5 cod. proc. civ., che impone il riferimento, ai fini della determinazione della giurisdizione, alla situazione di diritto esistente al momento della domanda (Cassazione Civile, sez. Unite, 04/07/2002, n. 9690 - Orati contro. FITET - Federazione italiana tennis da tavolo) In buona sostanza, la Suprema Corte fa valere il principio che per i lavoratori dipendenti
da Federazioni Sportive che svolgono mansioni amministrative tipiche che la legge riserva
a dipendenti assunti dal CONI., e del quale le Federazioni costituiscono organi, le
eventuali controversie concernenti il rapporto di lavoro rientrano nella giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo.
Quanto sopra almeno per tutte le vertenze attinenti fatti antecedenti al Decreto
Legislativo del luglio 1999. Ne consegue che le singole Federazioni Sportive mantengono
in determinate circostanze una duplice natura: privatistica e pubblicistica.
Le conseguenze pratiche possono essere quindi, di non poco conto.
2. Le norme previste dalla Legge n. 91/1981
Lo sport professionistico in Italia è regolamentato come già precisato in precedenza, dalla
Legge n. 91 del 23 marzo 1981, successivamente modificata nel 1196 dalla Legge n. 586.
Premesso all’articolo 1 che l'esercizio dell'attività sportiva, sia essa svolta in forma
individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libero, il successivo
articolo 2 determina in che cosa consista il professionismo sportivo, così come già visto
nelle pagine precedenti.
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Il professionista dello sport viene inquadrato di norma come lavoratore subordinato
(articolo 3), sia pure con molte eccezioni rispetto alla generalità dei lavoratori
subordinati.
Allo sportivo professionista infatti, non si applicano (articolo 4, ultimo comma):
le norme contenute negli articoli 4, 5, 13, 18, 33, 34 della legge 20 maggio 1970, n.
300, e negli articoli 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604. Ai contratti
di lavoro a termine non si applicano le norme della legge 18 aprile 1962, n. 230.
L'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, non si applica alle sanzioni
disciplinari irrogate dalle federazioni sportive nazionali.
Le norme dello Statuto dei lavoratori richiamate sono:
Il riferimento alla Legge n. 230 del 1962 è oggi superato dall’avvenuta abrogazione della
legge medesima, sancita dall’articolo 11, comma primo del D. Lgs. n. 368 del 6 settembre
2001.
La non applicabilità delle norme richiamate dello Statuto dei lavoratori è diretta
conseguenza della specificità dell’attività svolta dallo sportivo professionista: si immagini
il divieto di riprese televisive nell’ambito di una partita di calcio!
Ciò non significa però, mancanza di tutele: ad esempio, per quanto concerne gli
accertamenti sanitari la Legge n. 91/81 all’articolo 7 sancisce che l'attività sportiva
professionistica è svolta sotto controlli medici, secondo norme stabilite dalle federazioni.
• l’articolo 4 relativo al divieto di fare uso sul luogo d
lavoro di impianti audiovisivi
• l’articolo 5 relativo agli accertamenti sanitari, cioè a
divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro
sulla idoneità e sulla infermità per malattia o
infortunio del lavoratore dipendente al di fuori d
quanto sancito dalla legge
• l’articolo 7 relativo alle possibili sanzioni disciplinari
• l’articolo 13 relativo alle mansioni del lavoratore, cioè
ai limiti posti per il suo trasferimento e cambio d
mansioni
• l’articolo 18 relativo alla reintagrazione nel posto d
lavoro del lavoratore licenziato
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Per quanto concerne le norme di comportamento e disciplinari, tutti gli sportivi
professionisti ricadono nell’obbligo di osservanza dei regolamenti delle diverse Federazioni
sportive e del CONI più in generale.
Si può riassumere la normativa vigente precisando che
se il rapporto di lavoro è di tipo subordinato, lo sportivo ha gli stessi diritti e
obblighi previsti dalla legge per ogni altro lavoratore subordinato.
Ma occorre ricordare che le norme sopra richiamate, che non vengono applicate al
lavoratore sportivo professionista, differenziano anche sensibilmente il rapporto di lavoro
dello sportivo rispetto alla genrlaità degli altri lavoratori subordinati.
3. Il contratto di lavoro subordinato
Alla base del rapporto sta il contratto di assunzione che deve essere stipulato, a pena di
nullità, in forma scritta, secondo un contratto tipo predisposto in conformità
all'accordo stipulato, ogni tre anni, dalla federazione sportiva nazionale e dai
rappresentati delle categorie interessate.
Ad esempio, tra la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), la Lega Nazionale
Professionisti, la Lega Professionisti di Serie C e l’Associazione Italiana Calciatori (A.I.C.)
viene sottoscritto periodicamente l’accordo collettivo che disciplina i rapporti tra le
Società facenti parte degli Enti federali organizzativi dell’attività professionale ed i
calciatori professionisti.
L’accordo collettivo regola il trattamento economico e normativo dei calciatori
professionisti, così come avviene in tutti gli altri settori del lavoro subordinato con
la stipula e l’osservanza dei contratti collettivi di settore.
Occorre rilevare che, diversamente da quanto avviene nella generalità dei rapporti di
lavoro subordinato, l’autonomia del lavoratore è fortemente limitata: infatti, non è
possibile discostarsi, nemmeno in senso favorevole allo sportivo rispetto a quanto
sancito dal contratto federale.
Un caso avvenuto negli anni scorsi tra il Pescara Calcio ed un suo giocatore può chiarire
questa atipicità del rapporto di lavoro dell’atleta professionista.
Il calciatore rivendicava il riconoscimento di un compenso aggiuntivo che gli era stato
garantito dalla società con una scrittura integrativa, non inserita però nel contratto
federale depositato presso la Lega. In senso contrario, la società sportiva sosteneva che la
scrittura integrativa doveva ritenersi nulla e che, dunque, il compenso aggiuntivo non
dovesse essere corrisposto al calciatore.
La Cassazione ha dato ragione al Pescara Calcio.
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La sentenza conferma il principio che la Legge n.91/81 prevede la nullità delle
pattuizioni non incluse nel contratto tipo, e ciò al fine di rendere possibili i controlli della
Federazione sulle esposizioni finanziarie delle società sportive. Ne consegue che la norma
deve essere fatta valere in ogni senso: sarebbe riduttivo infatti, ritenere che il vincolo di
conformità sia esclusivamente finalizzato ad evitare clausole peggiorative in danno degli
sportivi. Cioè, l’obbligo si applica anche alle condizioni miglioritive garantite allo sportivo.
La Cassazione così si era espressa:
Nella disciplina di settore posta dagli artt. 4 e 12 della legge 23-3-1981, n. 91, per la regolamentazione dei rapporti nell' ordinamento sportivo sono affetti da nullità i contratti - aventi ad oggetto non solo l' assunzione di un giocatore, ma anche eventuali patti aggiunti - ove stipulati in modo non conforme al contratto tipo, atteso che - pur in mancanza di un' espressa previsione in tal senso da parte degli accordi collettivi (e segnatamente dall' art. 5 dell' accordo collettivo F.I.G.C. e A.I.C.) - la mancata osservanza della forma è sanzionata con l' invalidità del rapporto direttamente dall' art. 4 citato. Tale sanzione di nullità - che persegue la finalità di assicurare un immediato ed effettivo controllo del contratto da parte della Federazione italiana gioco calcio (F.I.G.C.) - può anche essere rilevata d' ufficio dal giudice. (Cassazione 04-03-1999, n. 1855 (sentenza) - Monelli c. Pescara Calcio spa) inGiustizia Civile, 1999, n. 6, parte I, pag. 1611 (massima, sentenza, nota di Guido Vidiri
4. Il rapporto di lavoro autonomo
La legge prevede anche lo svolgimento di attività sportiva professionistica nella veste di
prestazione di lavoro autonomo, limitatamente agli atleti. Da ciò ne consegue che sono
escluse da possibili rapporti di lavoro autonomo le altre figure dello sport professionistico:
allenatori e direttori tecnico-sportivi.
Anche la prestazione di lavoro autonomo dell’atleta ha però delle limitazioni.
È sufficiente sussista una sola delle citate condizioni perché il rapporto possa essere
definito come autonomo.
• L'attività si deve svolgere nell'ambito di una singola
manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro
collegate in un breve periodo di tempo.
• L'atleta non deve essere contrattualmente vincolato per
ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione
od allenamento;
• La prestazione che è oggetto del contratto, pur
avendo carattere continuativo, non deve superare
otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.
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4 LO SPORT DILETTANTISTICO: LE PRESTAZIONI GRATUITE
Come detto in premessa, le prestazioni volontarie a titolo gratuito costituiscono non poca
parte dei rapporti di lavoro esistenti nello sport dilettantistico.
Dal 1991 è vigente la legge quadro che regola le attività di volontariato (Legge 11 agosto
1991, n. 266), insieme di norme certamente non pensate in via prioritaria per il mondo
dello sport, ma rivolte in primo luogo a disciplinare e ad evitare abusi nel mondo
dell’assistenza, della solidarietà sociale e della lotta ad ogni forma di emarginazione.
Pur tuttavia, lo sport dilettantistico rientra a pieno titolo nella normativa sul volontariato
se si pensa soltanto a che cos’è lo sport secondo la definizione ricordata nella premessa,
cioè attività rivolta a migliorare la condizione fisica e mentale di ciascuno di noi.
Il riferimento alla legge quadro sul volontariato non deve però, far perdere di vista le
peculiari esigenze di un’associazione o società sportiva: nel mondo del volontariato la
prestazione lavorativa retribuita deve essere un’eccezione.
Infatti, l’articolo 3, comma 4 della Legge precisa che le organizzazioni di volontariato
possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo
esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a
qualificare o specializzare l'attività da esse svolta.
Nel mondo del volontariato quindi, il rapporto di lavoro, in qualunque forma e modalità
esso si esplichi, deve costituire l’eccezione.
Nel mondo dello sport invece, è molto arduo pensare che la gestione di impianti anche
particolarmente complessi possa essere affidata a prestazioni di carattere volontario.
Ma come possono essere definite le prestazioni gratuite?
L’articolo 2 della Legge n. 266/91 così le identifica:
quelle prestate in modo personale, spontaneo e
gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa
parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.
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La normativa vigente sul volontariato è la sola a dare una risposta legislativa alle
prestazioni gratuite ed essa si applica pienamente soltanto alle organizzazioni
riconosciute, cioè iscritte negli esistenti registri regionali.
La giurisprudenza del lavoro peraltro, non ha mai escluso tassativamente la possibilità
che concretamente si attuino forme di prestazioni lavorative a titolo gratuito anche in altri
campi. Perciò, ferma restando la concreta impossibilità di dimostrare la gratuità di una
prestazione svolta per conto di un imprenditore, diversamente può sostenersi invece in
tutte le diverse forme associative, e in particolare nelle società ed enti sportivi.
Non sarebbe difficile infatti, per un prestatore d’opera che ha lavorato a titolo gratuito per
un imprenditore dimostrare che la sua attività ha permesso a questi di ottenere un
concreto aumento patrimoniale, cioè di acquisire un arricchimento altrimenti non
realizzabile senza l’apporto lavorativo del coadiutore.
Diversamente accade nel vasto mondo del no-profit, di cui fanno parte le società sportive.
Tuttavia, perché anche nel mondo associazionistico si possa parlare di prestazioni
gratuite, occorre la effettiva esistenza di alcuni punti ben precisi. Infatti:
in un ordinamento giuridico informato ai principi costituzionali del lavoro quale fondamento dello Stato e di eguaglianza dei cittadini nei rapporti giuridici, l'ipotesi di un'attività obiettivamente lavorativa, svolta prescindendo da un titolo giuridico fondato su una causa che conferisca al prestatore il diritto alla controprestazione, può ammettersi solo in presenza di una comprovata causa di gratuita dedizione nell'interesse altrui. (Corte di Cassazione, Sentenza n. 5006 del 22-11-1989)
Cioè, come la Corte aveva già precedentenmente stabilito (con sentenza n. 3290 del 28
marzo 1998) la gratuità della prestazione deve essere suffragata da una prova rigorosa.
Esclusa quindi, la possibilità di una dedizione così radicata da parte del prestatore
d’opera, tale da giustificare un’attività gratuita nei confronti di un imprenditore, come fare
a dimostrare la stessa presunzione di gratuità della prestazione svolta a favore di una
società sportiva?
Ci soccorre in primo luogo la mancanza di scopo di lucro della società medesima: è
questa la prima condizione. È certamente difficoltoso parlare di gratuità nell’ambito di
una società a responsabilità limitata che gestisce campi da tennis.
Ma occorre anche prestare attenzione all’attività effettivamente svolta: non è raro il caso
di società sportive costituite in forma associazionistica che però svolgono attività
d’impresa diretta al perseguimento di un lucro sia oggettivo che soggettivo.
Come sostenere infatti, la gratuità della prestazione del personale paramedico operante
all’interno di una associazione avente per oggetto esclusivo il fitness e che applica a tutti i
partecipanti (siano pure essi soci) precise e periodiche tariffe per l’utilizzo dei servizi
organizzati dal centro?
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Oppure dell’istruttore che opera all’interno del medesimo centro per tutta la settimana
lavorativa, osservando orari e magari dovendo anche fornire giustificazione nel caso di
assenza?
La seconda condizione necessaria è che lo Statuto e le norme interne della società
sportiva (regolamenti, ordini di servizio, lettere di incarico) precisino a chiare lettere la
gratuità delle prestazioni svolte a favore dell’ente.
La terza condizione è che sussista sempre una esplicita dichiarazione sottoscritta dalle
parti e attestante la gratuità della prestazione e le modalità di svolgimento. La volontà
delle parti costituisce infatti, elemento di non trascurabile importanza, oggi sempre più
attentamente preso in considerazione dalla giurisprudenza del lavoro.
Per concludere le riflessioni su questo aspetto e per sottolinearne la non facile gestione
pratica ci affidiamo alle parole degli enti più competenti in materia: l’ENPALS e l’INPS.
L’ENPALS afferma che poiché il contratto di lavoro è:
• oneroso (deve esserci una retribuzione che è la naturale controprestazione dell'attività lavorativa - art. 36 Costituzione-)
• sinallagmatico (le prestazioni sono corrispettive, da un lato esiste la prestazione lavorativa, dall'altro la retribuzione)
il lavoro gratuito costituisce una deroga ai caratteri propri del contratto di lavoro. Il lavoro gratuito è ammissibile solo nel caso in cui sia concretamente rinvenibile uno specifico interesse del lavoratore, quale potrebbe essere uno stage aziendale, oppure ragioni di ordine affettivo o spirituale (ad esempio il lavoro dei religiosi a favore dell'ordine di appartenenza) o ancora l'attività di volontariato di cui alla legge n. 266/1991, e cioè l'attività prestata in modo personale, spontanea e gratuita tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà. (art. 2, comma 1) Sul punto la giurisprudenza tende a presumere l'esistenza del lavoro subordinato tipico, ovvero a titolo oneroso, con l'applicabilità della relativa disciplina, stabilendo inoltre che la prova della gratuità è a carico di chi afferma la circostanza. Pertanto, in assenza di documentazione probatoria, la prestazione va assoggettata a contribuzione, applicando il minimale di legge o, se più favorevole, il minimo previsto dal contratto collettivo di lavoro. (ENPALS, Circolare n. 20 del 4 giugno 2002)
L’INPS per parte sua aveva già negli anni precedenti affrontato il problema delle gratuità
delle prestazioni in ambito sportivo, dando peraltro un’interpretazione, apparentemente
almeno, più propensa di quanto manifesti l’ENPALS ad accettare il principio della
gratuità.
Nel corso di vari accertamenti ispettivi predisposti per verificare l'osservanza delle norme previdenziali da parte degli aero-club, si sono riscontrati una serie di casi in cui l'attività di scuola di pilotaggio viene svolta con prestazioni rese da personale qualificato in forma del tutto gratuita o dietro il solo rimborso delle spese sostenute per vitto, alloggio e trasporto connesse con il disimpegno dell'attività svolta……. Il contratto di lavoro è un contratto sinallagmatico a prestazioni corrispettive in cui alla prestazione lavorativa deve corrispondere la retribuzione che ne è quindi elemento essenziale e non può mancare senza far venir meno lo stesso rapporto di lavoro subordinato.
21
In forza dell' art. 2099 del Codice Civile il contratto di lavoro subordinato si presume oneroso, donde il principio che ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume resa a titolo oneroso. Il principio incontra però un limite nella prova contraria, che si ha quando tale attività sia svolta effettivamente a titolo gratuito, per benevolenza ovvero in vista di vantaggi indiretti che il prestatore d'opera intende trarre. In tali vantaggi rientrano anche quelli connessi alla effettuazione di un certo numero di ore di volo necessarie in un anno per il rinnovo di un brevetto. Conseguentemente, mentre è opportuno presumere sempre l'onerosità di ogni prestazione lavorativa, l'accertamento della gratuità - che non è assenza di retribuzione, ma consegue all'accertamento della causale che la esclude - ne toglie il carattere di lavoro subordinato e, quindi, la sussistenza dell'obbligo contributivo. (INPS, Circolare n. 203 del 30 giugno 1994, Istruttori di volo e obbligo contributivo)
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5 I RAPPORTI DI LAVORO
NELLO SPORT DILETTANTISTICO
Alla luce delle premesse e delle considerazioni fin qui svolte, dovrebbe essere
sufficientemente manifesto che
Tale principio è già stato richiamato, ma giova ricordarlo ancora prima di analizzare le
diverse forme in cui esso si può esplicare.
1. I soggetti dello sport dilettantistico
Abbiamo visto che nello sport professionistico le parti che definiscono il rapporto di lavoro
sono giuridicamente ben identificate e riconosciute: da una parte il CONI con le
Federezioni Sportive ad esso aderenti e da questi quindi riconosciute, dall’altra gli atleti,
allenatori e direttori tecnico-sportivi con le rispettive organizzazioni di rappresentanza
(vedi, l’Associazione Italiana Calciatori che aderisce a sua volta alla CIDS, Confederazione
Italiana dello Sport).
Si riconosce cioè il fatto che lo sport professionistico possa avere pieno e legale
svolgimento soltanto se promosso e realizzato da determinati soggetti definiti sul piano
giuridico-legale.
Nello sport dilettantistico invece, i soggetti promotori possono essere molti e con
fondamenti giuridici tra loro molto diversi.
Basti pensare alle occasionali manifestazioni sportive non competitive organizzate un po’
dovunque in Italia da Amministrazioni Comunali, Pro-loco, Comitati; oppure, allla intensa
attività svolta dagli Enti di promozione sportiva, cui aderiscono a livello locale associazioni
e società sportive con statuti e regolamenti tra loro spesso diversissimi.
il rapporto di lavoro nello sport dilettantistico presenta
le medesime caratteristiche normative di ogni altro
possibile rapporto di lavoro svolgentesi in qualsiasi altro ambito.
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Tralasciamo il ruolo svolto dagli enti pubblici locali: è consuetudine che essi si avvalgano
proprio degli Enti di promozione sportiva che operano a livello provinciale o comunale per
organizzare e gestire le diverse manifestazioni. Per alcune manifestazioni di particolare
rilevanza i soggetti promotori ed organizzatori possono essere anche grandi aziende,
organi di stampa, ecc. Basti l’esempio della Stratorino, promossa dal quotidiano La
Stampa, ma coinvolgente tutte le amministrazioni locali, dal Comune di Torino, alla
Provincia, alla Regione.
Restringendo l’obbiettivo della nostra analisi, potremmo identificare almeno i seguenti
soggetti:
• enti di promozione sportiva nelle loro articolazioni locali (regionali, provinciali,
comunali)
• associazioni o società sportive con personalità giuridica
• associazioni o società sportive senza personalità giuridica
• società di capitale senza finalità di lucro (le cooperative)
Gli enti di promozione sportiva riconosciuti oggi in Italia sono quattordici e più
precisamente:
A.S.I -C.S.E.N. -A.C.S.I. -C.S.I. -E.N.D.A.S. -C.U.S.I -A.I.C.S. -M.S.P.I. -C.S.A.IN. -P.G.S. -
C.N.S. LIBERTAS U.I.S.P. -C.N.S. FIAMMA -U.S. ACLI
Si tratta di organizzazioni che hanno nella storia dello sport in Italia origini, storia e
sviluppo nel territorio molto differenti tra loro. Alcune di esse si richiamano nei loro
principi a norme ed idee spesso di natura politica o religiosa. Ad esempio, l’ASI (Alleanza
Sportiva Italiana)
è l'ultima, in ordine di tempo, organizzazione sportiva riconosciuta dal CONI, quale Ente di Promozione Sportiva. Si è costituito ufficialmente nel 1994 affinché potesse raccogliere in modo organico e funzionale le consistenti forze sportive ideologicamente legate all'area culturale e politica della destra italiana. L'ASI ha per scopi istituzionali lo sviluppo della pratica sportiva attraverso le società sportive affiliate, stimolate e coordinate dagli organi periferici che sono affiancati dai vari settori tecnici. (dalla presentazione dell’Associazione sul sito Internet: www.alleanzasportiva.it)
Chiarire la natura giuridica di chi organizza attività
sportive dilettantistiche (ricordando l’ampia
definizione di sport che è stata esplicitata in premessa)
è assolutamente necessario al fine di stabilire poi chi
instaura il rapporto di lavoro anche gratuito, secondo
quali norme e con quali responsabilità anche personali.
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Il riconoscimento è dunque quello rilasciato dal CONI, cui gli enti aderiscono. Lo Statuto
del CONI sancisce all’articolo 26 che sono enti di promozione sportiva le associazioni a
livello nazionale che hanno per fine istituzionale la promozione e la organizzazione di
attività fisico-sportive con finalità ricreative e formative, e che svolgono le loro funzioni nel
rispetto dei principi, delle regole e delle competenze del CONI, delle Federazioni Sportive
Nazionali e delle Discipline sportive associate.
Per essere riconosciuti gli Enti di promozione sportiva devono rispondere ai seguenti
principi:
a) essere associazione non riconosciuta o riconosciuta ai sensi dell’articolo 12 e seguenti
del Codice Civile;
b) essere dotati di uno statuto conforme a quanto indicato dallo Statuto del CONI;
c) avere una presenza organizzata in almeno quindici Regioni e settanta Province;
d) avere un numero di società o associazioni sportive affiliate non inferiore a mille, con un
numero di iscritti non inferiore a centomila;
e) aver svolto attività nel campo della promozione sportiva da almeno tre anni.
Al fine del nostro lavoro interessa sottolineare che gli Enti di promozione sportiva possono
essere dunque associazioni con o senza personalità giuridica.
Che cosa significa possedere o meno la personalità giuridica?
La risposta a questa domanda riveste particolare importanza perché riguarda la maggior
parte degli enti che oggi operano in Italia nel mondo dello sport dilettantistico, e in
particolare i loro dirigenti ed amministratori.
Il Codice Civile tratta e norma la questione negli articoli che vanno dal 14 al 42. Ciò che
importa richiamare in questa sede è la differenza di responsabilità che investe chi gestisce
un’associazione riconosciuta rispetto ad una invece non riconosciuta, dal momento che
anche per i diversi rapporti di lavoro instaurati, sono diverse le responsabilità anche
personali.
Il principio di fondo da cui muovere è quello della responsabilità solidale che investe ai
sensi dell’articolo 38 C.C. i dirigenti delle società sportive non riconosciute.
Precisa infatti, il suddetto articolo che per le obbligazioni assunte dalle persone che
rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle
obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno
agito in nome e per conto dell'associazione
Aggiunge ancora il correlato articolo 19 del Codice di Procedura civile che ai fini della
competenza, le società non aventi personalità giuridica, le associazioni non riconosciute e i
comitati di cui agli articoli 36 e seguenti del Codice Civile hanno sede dove svolgono attività
in modo continuativo.
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La responsabilità solidale scatta quando i beni propri (nel nostro caso dell’associazione
sportiva) non sono sufficienti a soddisfare i creditori sociali, così come avviene di norma
in una società di persone quale la società in nome collattivo (SNC).
Immaginiamo che nella nostra società sportiva non avente riconoscimento legale un
collaboratore avvii una procedura legale per il recupero di somme dovutegli per
l’intercorso rapporto di lavoro e che il giudice ne riconosca la fondatezza. Chi paga?
Il creditore si rivarrà in primo luogo sui beni e sulle disponibilità liquide
dell’associazione: ma se questa non potrà in tutto o in parte risarcire il lavoratore, questi
potrà rivalersi sul patrimonio personale degli amministratori e dirigenti con i quali ha
operato, e in primo luogo nei confronti del presidente dell’associazione e di chi aveva a
suo tempo sottoscritto in nome e per conto dell’associazione il contratto individuale di
lavoro.
Giova ricordare a questo punto che se l’associazione avesse avuto il riconoscimento
giuridico, delle obbligazioni assunte ne avrebbe risposto solo ed esclusivamente l’ente
medesimo.
A questo grave problema il legislatore ha dato però negli anni a noi più vicini una
concreta possibilità di soluzione anche senza obbligare l’associazione ad assumere la
personalità giuridica.
Infatti, con la Legge n. 383 del 7 dicembre 2000 è stato stabilito che per le obbligazioni
assunte dalle persone che rappresentano l'associazione di promozione sociale i terzi
creditori devono far valere i loro diritti sul patrimonio dell'associazione medesima e, solo in
via sussidiaria, possono rivalersi nei confronti delle persone che hanno agito in nome e per
conto dell'associazione.
(Rappresentanza, Art. 6, comma 2)
La condizione inderogabile è che la nostra associazione sportiva abbia ottemperato a
tutte le disposizioni che la legge prevede.
È evidente che per gli altri soggetti dello sport prima identificati (associazioni riconosciute
e società di capitale senza finalità di lucro) il problema della responsabilità solidale non si
pone.
26
2. Il datore di lavoro
Ma chi è il datore di lavoro nella società sportiva?
È della massima importanza dare una risposta chiara a questo interrogativo. Infatti, si è
appena esaminata le responsabilità solidale in cui può incorrere in una associazione non
riconosciuta chi stipula un contratto di lavoro.
Ma lo è anche per altri aspetti, di seguito richiamati sia pure superficialmente per
l’esiguità del tempo a disposizione.
Il rapporto di lavoro subordinato trova in primo luogo definizione giuridica all'interno
delle norme fissate dal Codice Civile, e più precisamente nel Titolo Secondo del Libro
Quinto, articoli 2082 e seguenti. In questi articoli non v'è traccia del concetto di datore di
lavoro.
Se il concetto di datore di lavoro non appare mai espressamente citato nel Codice Civile,
la legislazione successiva non brilla per chiarezza e uniformità di linguaggio.
Il concetto di datore di lavoro è stato ed è di uso frequente nelle norme aventi rilevanza
penale, mentre il legislatore ha spesso utilizzato altre dizioni, quali titolare dei redditi
d'impresa, o più generiche ancora usando anche il termine chiunque.
Vi è stata dunque una scarsa uniformità di linguaggio e conseguente incertezza, alla
quale ha supplito come sempre la giurisprudenza, almeno fino agli anni più recenti,
quando con l'introduzione delle nuove norme relative alla sicurezza e salute dei lavoratori
(D. Lgs. n. 626/94) si è pervenuti ad una definizione legislativa del concetto di datore di
lavoro ampia ed esaustiva.
Prima di esaminare la portata della norma richiamata, occorre però riflettere ancora su
un'altra questione: l'individuazione cioè, della persona fisica alla quale addossare lo
status di datore di lavoro.
Nel caso dell'imprenditore individuale, del lavoratore autonomo, o di altra singola
persona che a qualsiasi titolo assuma alle proprie dipendenze un prestatore d'opera, non
v'è dubbio che in lui si identifichi la figura del datore di lavoro. Ma che cosa accade nelle
società ed enti sportivi?
Non v'è dubbio che il primo titolare di tale rapporto è il legale rappresentante, e quindi
il presidente pro-tempore dell’associazione. È però possibile che nell’ambito
dell’organizzazione operativa di tutti i giorni l’associazione deleghi in tutto o in parte le
funzioni relative ai rapporti di lavoro e di collaborazione ad un membro del Consiglio
Direttivo diverso dal presidente. Chi è in questo caso il datore di lavoro?
Proprio il richiamato Decreto Legislativo n.626/94 ci offre una concreta soluzione.
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Il datore di lavoro è
L’importanza di conoscere chi sia effettivamente il datore di lavoro nell’associazione
sportiva, così come in qualunque altra attività lavorativa organizzata può essere meglio
compreso attraverso due esempi.
Il primo riguarda la tutela della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro; il secondo
l’adozione di provvedimenti disciplinari nei confronti dei lavoratori subordinati.
Tutta la normativa sulla sicurezza prevede un insieme di sanzioni penali molto rilevanti
che fanno capo proprio al datore di lavoro: soltanto documentando un’effettiva delega di
poteri, peraltro molto complessa da dimostrare in una struttura forzatamente modesta
qual’è quella di una società sportiva dilettantistica, il presidente potrebbe sottrarsi alle
responsabilità dirette e personali.
Viceversa, nel caso in cui l’associazione avesse adottato nei confronti di un proprio
lavoratore subordinato un provvedimento disciplinare, corretto nella forma e nel rispetto
delle complesse procedure, ma non sottoscritto dall’effettivo datore di lavoro, cioè da chi
detiene legittimamente i poteri di assumere e licenziare nel’ambito dell’organizzazione, il
provvedimento medesimo sarebbe nullo e privo di ogni efficacia.
Nella generalità dei casi il provvedimento sarà stato sottoscritto dal presidente, cioè dal
legale rappresentante pro-tempore. Ma se, anche solo per l’assenza temporanea del
presidente, l’atto disciplinare, magari anche di licenziamento, fosse stato sottoscritto da
altro amministratore della società privo di delega effettiva, scritta e conosciuta già
antecedentemente dal destinatario del provvedimento, si ribadisce che tutto l’atto
sarebbe nullo.
Ve n’è da preoccuparsi non poco…..
il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il
lavoratore o, comunque, il soggetto che secondo il tipo
e l'organizzazione dell'impresa, ha la responsabilità
dell'impresa stessa ovvero dell'unità produttiva, intesa
come stabilimento o struttura finalizzata alla
produzione di beni o servizi, dotata di autonomia
finanziaria e tecnico-funzionale, in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa.
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3. Le possibili forme di rapporto di lavoro
Tutti i possibili rapporti di lavoro sono riconducibili nell’ambito di due grandi tipologie:
lavoro subordinato, ai sensi degli articoli 2094 e 2095 C.C.
lavoro autonomo, ai sensi degli articoli 2222 e seguenti C.C.
Nel rapporto di lavoro subordinato rientrano, a titolo esemplificativo non esaustivo:
• il lavoro a tempo indeterminato
• il lavoro a tempo determinato
• il lavoro a tempo parziale
• l'apprendistato
• il contratto di formazione e lavoro
• il lavoro a domicilio
• il telelavoro
• il lavoro ripartito
• gli stages
• i lavori socialmente utili
• il lavoro interinale
Nel rapporto di lavoro autonomo rientrano a titolo esemplificativo non esaustivo:
• il contratto d’opera e servizi
• il contratto d'opera intellettuale
• le prestazioni coordinate e continuative, di cui all’art. 409, punto 3 del Codice di
Procedura Civile).
La prima grande distinzione da fare e quindi da comprendere è quella tra lavoro
subordinato e autonomo.
Va premesso che il diritto del lavoro ha subito e subisce un’evoluzione nel tempo
continua, non sempre conseguente a cambiamenti normativi; spesso invece,
condizionata dall’evolversi della giurisprudenza in materia. Da ciò ne consegue che i
confini tra le due sfere spesso sono incerti da definire e soprattuto da applicare.
Tanto più questo è riscontrabile nel mondo dello sport dilettantistico, dove l’attività
imprenditoriale che caratterizza e tipicizza a seconda delle mansion i possibili rapporti
di lavoro è del tutto assente, o comunque secondaria, mentre risulta prevalente
un’attività spesso di natura solidaristica e volontaria che solo in parte fa emergere
effettivi rapporti di lavoro.
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Ciò non toglie che i principi che distinguono nella generalità dei casi il rapporto di lavoro
subordinato in tutte le sue possibili articolazioni dal rapporto di lavoro autonomo, siano
applicabili in linea di massima anche nelle società ed associazioni sportive
dilettantistiche.
Un particolare discorso deve invece essere fatto per quanto concerne il rapporto di
lavoro in cooperativa: l’evoluzione legislativa ancora molto recente in materia e in fase
tutt’oggi di aggiustamenti legislativi e interpretazioni operative, richiede una particolare
analisi.
4. Lavoro subordinato e lavoro autonomo: definizioni e differenze
In base all'articolo 2094 del Codice Civile,
L'articolo 2222 invece, afferma che
Come detto in precedenza, la concreta applicazione delle definizioni civilistiche è stata
determinata negli anni dalla giurisprudenza, cioè dalla magistratura di legittimità, che ha
espresso nel tempo un orientamento prevalente nel ritenere la sussistenza di lavoro
subordinato laddove ci si trovi in presenza dei seguenti elementi:
• i risultati lavorativi sono il frutto della mera messa a disposizione da parte del
lavoratore delle proprie energie lavorative;
• la prestazione è avvenuta sotto le direttive e la vigilanza di terzi (dirigente, datore di
lavoro, ecc.)
• l’attività è stata svolta nel contesto di un'organizzazione in cui il rischio era assunto
totalmente da chi affidava il lavoro, cioè il lavoratore ha percepito comunque la
retribuzione pattuita indipendentemente dai rusultati che il lavoro svolto ha potuto
dare.
è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga
mediante retribuzione a collaborare nell' impresa,
prestando lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell' imprenditore.
sussiste un lavoro autonomo laddove il lavoratore si
obbliga a compiere un' opera o un servizio con un
lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti di un committente.
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È evidente da queste definizioni che il confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo
appare del tutto nebuloso in molti tipi di prestazioni lavorative, soprattutto quando le
prestazioni stesse vengono fornite da soggetti dotati di specifici livelli professionali, e
comportano necessariamente ampi margini di autonomia.
Nel mondo dello sport questo limite appare del tutto evidente in numerosi casi e
circostanze.
5. Lavoro subodinato e lavoro autonomo: casistica
Nulla meglio di quanto pronunciato dalla magistratura può esserci utile per
comprendere i labili confini esistenti tra lavoro subordinato e autonomo nello sport e
l’evoluzione che negli anni è avvenuta.
(Le massime citate sono tratte dal cd-rom Lavoro ONE edito da IPSOA)
Pretura di Palermo 23-05-1986
Istruttori di atletica - Lavoro prestato in un centro di educazione fisica con caratteri di
subordinazione - Assoggettabilità a contribuzione dei compensi corrisposti - Sussistenza
Deve intendersi subordinato il lavoro prestato da istruttori di educazione fisica qualora il
loro rapporto contempli l' inserimento nell' organizzazione di un centro sportivo, con
osservanza di orari, soggezione gerarchica e compensi corrisposti in misura fissa e
predeterminata. Ne consegue l' assoggettamento a contribuzione previdenziale degli
emolumenti corrisposti
Pretura di Milano 09-12-1988
Giocatori di "Pelota basca" - Rapporto di lavoro sportivo - Esclusione - Applicazione della
normativa comune - Necessità - Fattispecie di lavoratori non subordinati
La disciplina di cui alla legge 23-3-1981, n. 91, in materia di rapporti tra società e
sportivi professionisti, presuppone la riconducibilità dell' attività sportiva considerata
nell' ambito delle discipline regolamentate dal CONI. Di conseguenza la predetta legge
non è applicabile al gioco della "pelota basca" (come da precisazione del CONI), per cui i
rapporti intercorrenti tra i giocatori e le società del settore vanno qualificati sulla base dei
canoni comuni (nella specie è stata esclusa la sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato in considerazione degli ampi margini di autonomia e di discrezionalità
goduti dai giocatori, non tenuti all' osservanza di orari, né alla partecipazione agli
allenamenti).
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Pretura di Catania 20-04-1989
Lavoro autonomo e subordinato - Pilota istruttore - Assenza dell' elemento della
subordinazione - Lavoro subordinato - Esclusione
Premesso che l' attività del pilota istruttore può essere oggetto sia di un rapporto di
lavoro subordinato, sia di un rapporto di lavoro autonomo, non è riscontrabile, nella
fattispecie de qua, l' elemento della subordinazione, difettando quella conformazione
della prestazione alle mutevoli esigenze dell' impresa in cui si esprime il potere direttivo
del creditore della prestazione stessa, con la conseguenza che il rapporto in esame è da
considerarsi "attratto" tra le attività prestate in regime di "autonomia".
Tribunale di Venezia 20-06-1991
Istruttori di nuoto - Attività prestata nel contesto organizzativo di un centro di attività
sportive - Natura subordinata dell' attività lavorativa - Sussistenza - Assoggettabilità a
contribuzione sociale delle retribuzioni corrisposte - Necessità
L' attività di istruttore di nuoto prestata all' interno di un centro sportivo va considerata
alla stregua di lavoro dipendente, tanto più ove sia provata l' assenza di rischio di
impresa in capo al lavoratore, al quale è invece richiesto l' inserimento in un contesto
organizzativo dal quale sia desumibile l' assoggettamento alle direttive impartite dall'
imprenditore, compreso il rispetto di un preciso orario di lavoro. Ne consegue l'
assoggettamento a contribuzione previdenziale degli emolumenti corrisposti.
Pretura di Roma 24-02-1993
Istruttori di un circolo sportivo - Lavoro subordinato - Insussistenza di una volontà di
assoggettarsi al vincolo della subordinazione - Non configurabilità
Non è configurabile un rapporto di lavoro subordinato nell' attività, prestata a favore di
un circolo sportivo, da alcuni istruttori che operavano con la libertà di farsi sostituire in
caso di eventuali assenze, e soprattutto senza la volontà di legarsi agli obblighi ed ai
doveri propri del rapporto subordinato, e ciò proprio nella prospettiva di attribuire all'
attività svolta come istruttori un valore meramente secondario rispetto ai loro impegni di
vita.
Pretura di Torino 07-02-1995
Lavoro autonomo e subordinato - Accertamento - Criteri - Fattispecie di lavoro autonomo
Ai fini della qualificazione come autonomo o subordinato di un rapporto di lavoro, deve
attribuirsi importanza determinante all' elemento della subordinazione, per il cui
accertamento non si può comunque prescindere dalla preventiva ricerca della volontà
delle parti e (specie nella materia previdenziale) dal concreto atteggiarsi dei rapporti
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stessi nel corso della loro esecuzione (nella specie è stata esclusa, in considerazione sia
della mancanza di eterodirezione, che della manifestazione di volontà e delle modalità di
espletamento della prestazione, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nell'
attività svolta da istruttori di nuoto che, all' atto della instaurazione del rapporto,
avevano concordato il numero di ore di lavoro e la fascia oraria a seconda della propria
disponibilità e dei propri impegni; che avevano la possibilità di farsi sostituire; che
operavano in totale libertà (con assoluta assenza di poteri disciplinari e gerarchici da
parte della società), stabilendo il programma ed il contenuto dei corsi, decidendo quali
tecniche e metodi impiegare ed effettuando in piena autonomia la valutazione degli
allievi).
Pretura di Milano 19-04-1997
Istruttore sportivo - Reiterata manifestazione della volontà delle parti di instaurare un
rapporto di lavoro autonomo - Mancanza di eterodirezione della prestazione - Lavoro
subordinato - Non configurabilità - Presenza di indici presuntivi della subordinazione -
Irrilevanza
Non è configurabile un rapporto di lavoro subordinato nell' attività di responsabile del
settore nuoto di un' associazione sportiva, che abbia svolto la sua attività in assoluta
autonomia, senza alcuna ingerenza del Consiglio direttivo o del Direttore dell'
associazione (nella specie è stato altresì precisato che, in mancanza di prova sulla
eterodirezione della prestazione, la ricorrenza di alcuni indici presuntivi della
subordinazione, quali la continuità della prestazione, l' osservanza in fatto di un orario
quotidiano, il pagamento del compenso con periodicità mensile, doveva ritenersi
irrilevante, anche in considerazione della reiterata manifestazione della intenzione delle
parti di voler instaurare un contratto di lavoro autonomo).
Dalle massime citate possiamo cercare di trarre alcune conseguenze operative
analizzando la tipologira di prestazione più volte richiamata dalle sentenze: quella di
istruttore di nuoto.
Il Tribunale di Venzia nel 1991 riteneva la prestazione di natura subordinata perché era
stato accertato che l’istruttore di nuoto
• non aveva rischio d’impresa alcuno
• era assoggettato alle direttive dell’imprenditore
• doveva rispettare un preciso orario di lavoro
A nostro avviso, questi elementi potrebbero anche non essere sufficienti per configurare
in assoluto un rapporto di lavoro subordinato.
33
Pur tuttavia, se l’istruttore veniva retribuito indipendentemente dalle ore di effettiva
prestazione svolta, cioè con il cosidetto fisso periodico, la mancanza anche solo di un
minimo rischio d’impresa è del tutto manifesta. Ci convince di meno il richiamo al dover
rispettare un preciso orario di lavoro: quale attività potrebbe essere svolta in una società
sportiva, se gli addetti impegnati non osservassero un’orario? Per quanto attiene infine,
l’osservanza delle direttive, occorre tenere conto che proprio le collaborazioni coordinate e
continuative, oggi così diffuse e di cui parleremo più avanti, non prescindono dal
coordinamento appunto con le direttive da altri impartite.
Peraltro, con le successive sentenze assistiamo ad un notevole cambiamento di
interpretazione, forse motivato da diverse circostanze oggettive, ma non esente certo da
un’evoluzione progressiva della interpretazione giurisprudenziale del concetto di lavoro
subordinato.
Il Tribunale di Torino nel 1995 afferma infatti la natura autonoma della prestazione
dell’istruttore di nuoto, fondando la propria sentenza sulle seguenti argomentazioni:
• le ore di lavoro erano state concordate in base alle diponibilità e gli impegni
dell’istruttore;
• gli istruttori avevano la possibilità di farsi sostituire;
• non sussistevano poteri disciplinari e gerarchici;
• gli istruttori decidevano quali tecniche e metodi impiegare.
Forse, anche il Tribunale di Venezia sarebbe potuto giungere alla medesima valutazione,
se avesse approfondito i contenuti effettivi delle prestazioni svolte dagli istruttori di
nuoto. Cautela vuole tuttavia, che si tenga presente che ogni caso può presentare
specificità non riscontrabili in situazioni solo nominalmente analoghe, ma concretamente
gestite in altre forme.
Resta fuor di dubbio che se i dirigenti della società sportiva richiedono ai propri istruttori
• di giustificare le assenze, magari documentando anche eventuali stati di malattia;
• di osservare particolari norme disciplinari che vanno aldilà del corretto
comportamento sportivo e formativo;
• li retribuiscono sulla base di ore predeterminate senza alcun riferimento all’attività
concretamente svolta, facendo svolgere anche altre mansioni nelle cosiddette ore
buche;
• impartiscono loro dettagliate istruzioni sui metodi didattici da insegnare;
Ebbene, in tutti questi casi non è certo possibile sostenere la legittimità di un rapporto di
lavoro autonomo.
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6 I RAPPORTI DI LAVORO SUBORDINATO:
TIPOLOGIE E MODALITA’ DI SVOLGIMENTO
1. Le tipologie di rapporti di lavoro subordinato
Tutte le tipologie di seguito sintetizzate possono essere applicate in via astratta nella
realtà organizzativa di una società sportiva. Concretamente, solo l’esame delle singole
realtà operative ed organizzative può permettere di stabilire quali contratti di lavoro
possano essere stipulati correttamente.
Il lavoro a tempo indeterminato costituisce la forma più diffusa di rapporto di lavoro
subordinato, avente la principale caratteristica nella durata indefinita del rapporto
medesimo, che può essre interrotto soltanto in determinate circostanze e condizioni,
variabili a seconda della dimensnione aziendale e del tipo di attività svolta.
Il contratto a termine è un contratto di lavoro subordinato al quale viene apposto un
termine di durata.
Il contratto di lavoro a tempo parziale ha per oggetto lo svolgimento di attività
lavorativa ad orario inferiore rispetto a quello ordinario previsto dai contratti collettivi di
lavoro o per periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno.
Quando l’orario di lavoro giornaliero è inferiore a quello previsto per il tempo pieno, si
parla di part-time orizzontale.
Quando l’orario di lavoro giornaliero è fissato per determinati periodi nel corso della
settimana, del mese, dell’anno si parla di part-time verticale.
É prevista anche la possibilità del cosidetto part-time misto tra le due tipologie anzidette.
L’apprendistato è un rapporto di lavoro subordinato nel quale un giovane tra i 15 ed i
24 anni, presta la propria opera lavorativa e riceve nello stesso tempo dall’azienda
l’insegnamento necessario per qualificarsi.
Il contratto di formazione e lavoro è un contratto a tempo determinato, la cui durata
non può superare i 24 mesi (contratto di formazione tipo A) e i 12 mesi (contratto di
formazione tipo B). Trascorsa la durata del contratto, il datore può confermare il
rapporto di lavoro e trasformarlo in tempo indeterminato, oppure risolverlo, cessando
così il rapporto di lavoro.
E' previsto un periodo di formazione da effettuarsi in orario di lavoro variabile per tipo A
e B.
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Possono essere stipulati contratti di formazione e lavoro soltanto nella fascia di età
compresa tra i 16 e i 32 anni di età.
Il lavoro a domicilio è uno speciale rapporto di lavoro subordinato caratterizzato da una
subordinazione attenuata (cosiddetta subordinazione tecnica).
E' lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l'aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi (Articolo 1 della Legge n. 883 del 18/12/1973)
Il telelavoro è il lavoro svolto a distanza, in un luogo diverso dalla sede in cui dovrebbe
svolgersi e comunicato ad essa in tempo reale tramite sistemi telematici.
Il lavoro ripartito, più noto con il termine anglosassone di job sharing (job sharing
significa letteralmente condivisione del lavoro), è una particolare forma di lavoro part
time nella quale lo stesso posto di lavoro viene condiviso da due o più persone. Il posto di
lavoro, generalmente previsto a tempo pieno, viene suddiviso tra due o più persone che
prestano la loro opera in diverse fasce temporali nel corso della giornata lavorativa.
La divisione del lavoro può essere fatta in vari modi:
• una persona lavora la mattina e l’altra il pomeriggio
• si lavora due giorni e mezzo a testa
• si lavora una settimana ciascuno
Lo stage o tirocinio è un periodo di formazione o perfezionamento professionale
trascorso presso una azienda, per acquisire la preparazione professionale necessaria a
svolgere una certa attività.
I lavori socialmente utili (LSU) sono forme di lavoro attuate da pubbliche
amministrazioni sulla base di progetti relativi ad attività che hanno per oggetto la
realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva. Questa forma di
impiego ha due scopi principali: dare un sostegno economico a persone prive di
occupazione, in particolare giovani, che possono così realizzare un’esperienza di lavoro e
offrire un’occupazione temporanea a lavoratori espulsi dal mercato del lavoro a seguito
di crisi aziendale (in mobilità o in cassa integrazione)
Il lavoro interinale è un contratto di lavoro in cui il lavoratore viene assunto da una
società di Servizi (Agenzia Interinale) per essere utilizzato temporaneamente da altri
datori di lavoro che ne facciano richiesta.
Il lavoro interinale assume nella quotidianità diversi nomi: lavoro temporaneo, lavoro
intermittente, lavoro in affitto, leasing di manodopera, o, con terminologia francese od
anglosassone, travail interimaire o temporaire, temporary work.
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2. La classificazione dei lavoratori subordinati
A seconda delle mansioni svolte il lavoratore subordinato deve essere inquadrato in una
delle seguenti categorie:
• dirigente
• quadro
• impiegato
• operaio La legge, cioè l’artitolo 2095 del Codice Civile, non delinea le caratteristiche precise della
figura del dirigente. La sola definizione possibile è quella ricavabile dagli orientamenti
giurisprudenziali, sulla base dei quali si pùò riassumere che
Si può riassumere, citando una sentenza:
L' elemento caratterizzante della figura del dirigente è rappresentato dall' esercizio di un potere ampiamente discrezionale, di supremazia gerarchica e decisionale che incide sull' andamento del processo produttivo e sull' organizzazione di tutta l' azienda. (Pretura di Torino 01-03-1994)
Per quanto riguarda i quadri, si tratta di una categoria introdotta nella nostra normativa
nel 1985 (Legge n.190 del 13 maggio 1985, Riconoscimento giuridico dei quadri
intermedi) che si pone a cavallo tra l’impiegato e il dirigente. Il quadro infatti, pur non
avendo riconosciuto l’inquadramento come dirigente, svolge con continuità funzioni di
rilevante importanza che lo avvicinano di molto al dirigente. Il suo inquadramento è però
assimilato del tutto con quello dell’impiegato.
Il comma secondo dell’articolo 2 della Legge precisa che i requisiti di appartenenza alla
categoria dei quadri sono stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale in
relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura organizzativa
La distinzione tra impiegato ed operaio è ravvisabile nel grado di collaborazione che il
lavoratore subordinato fornisce all’impresa. Mentre:
il dirigente è un lavoratore subordinato al quale sono
attribuite funzioni complesse di un’intera azienda o
ramo aziendale, a cui sono attribuiti dal datore di lavoro
ampi poteri di iniziativa e di discrezionalità, tali da
potere imprimere un indirizzo ed un orientamento a
tutta l’attività aziendale.
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Schematicamente, l’operaio produce, l’impiegato organizza. Ma, attenzione! Lo
svolgimento di attività manuale non è di per se stesso elemento assolutamente
determinante. Anche in questo caso occorre tenere presente il grado di collaborazione
abitualmente prestato dal lavoratore subordinato nei confronti del proprio datore di
lavoro.
Ai fini della distinzione tra la categoria operaia e quella impiegatizia non è decisivo il carattere intellettuale o manuale dell' attività lavorativa, ma il grado di collaborazione del lavoratore con l' imprenditore; pertanto rientra nella categoria operaia la prestazione che inserisce al processo produttivo e che si mantenga nell' ambito della semplice esecuzione senza esercizio di discrezionalità o di poteri decisionali, ancorché si tratti di attività non manuale, che coinvolga compiti di vigilanza o di controllo su altri operai in ordine ad aspetti meramente esecutivi del lavoro. (Tribunale di Milano 10-11-1993)
3. L’età lavorativa minima e massima
Il rapporto di lavoro dei fanciulli e degli adolescenti è stato normato fino a pochi anni fa
dalla Legge n. 977/1967. Oggi è quasi integralmente sostituito dal D. Lgs. n. 345 del 4
agosto 1999.
Il nuovo dettato legislativo distingue tra bambini, cioè i minori ancora in età scolastica al
di sotto dei 15 anni di età, e gli adolescenti fino al compimento dei 18 anni di età.
La capacità di prestare lavoro e quindi di essere titolare di un rapporto di lavoro
subordinato si acquista dunque al compimento dei 15 anni di età.
Il contratto di lavoro subordinato giunge invece, al suo termine fisiologico quando il
lavoratore sia in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia (attualmente, 60
anni per le donne e 65 per gli uomini), fatto salvo il diritto per le donne di esercitare
opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro fino al raggiungimento del limite
massimo di 65 anni di età.
• l’operaio fornisce prestazioni essenzialmente
manuali, che attengono al ciclo produttivo ed alle
fasi ad esso comunque connesse;
• all’impiegato sono affidate mansioni di tipo tecnico
od amministrativo che si riferiscono al processo
organizzativo dell’azienda.
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4. L’assunzione del lavoratore subordinato
Sia pure a fatica e con lentezza esasperante l’Italia sta adeguando la propria legislatura
con quella che la Comunità Europea già da molti anni ci richiede.
Infatti, l'interesse pubblico al controllo della domanda e dell'offerta di lavoro assume
ormai da lungo tempo un interesse storico, non più certamente sociale. Il collocamento
pubblico ha dato vita infatti ad un sistema di interventi nella fase costitutiva del
contratto di lavoro che hanno fortemente limitato alcuni aspetti fondamentali
dell'autonomia privata.
Basti ricordare che nel mese di dicembre 1997 la Corte di Giustizia Europea esprimeva
un duro giudizio sul sistema italiano di collocamento.
Le successive norme che il legislatore ha introdotto e sta ancora introducendo, stanno
portando al definitivo superamento del collocamento pubblico ed alla sua sostituzione
con agenzie per l’impiego pubbliche e private più snelle e meno burocratizzate, aventi
la finalità principale di avvicinare e fare incontrare domanda ed offerta di lavoro.
Al fine di conoscere le minime procedure operative utili per la nostra finalità, si può
sintetizzare ricordando che oggi le società sportive possono assumere senza ostacolo
alcuno qualunque figura professionale inquadrabile in una delle categorie tipiche del
rapporto di lavoro. Fatti salvi alcuni obblighi burocratici che si stenta a superare.
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7
IL RAPPORTI DI LAVORO AUTONOMO
1. Tipologie di rapporti possibili
Fissati i principi ed i limiti che differenziano un rapporto di lavoro subordinato da uno
autonomo, vediamo quali tipologie di prestazioni autonome possono rientrare nell’attività
delle società sportive e come devono essere gestite, ricordando che, come già
ripetutamente sottolineato nelle pagine precedenti, molte attività svolte nelle società
sportive possono ricadere sia nel rapporto di lavoro subordinato, sia avere viceversa
caratteristiche di autonomia.
2. La prestazione di lavoro autonomo abituale
Quando la prestazione di lavoro autonomo è svolta in maniera abituale, il lavoratore
dispone di propri mezzi organizzati e di pluralità di clienti. Nello svolgimento della sua
attività mantiene una effettiva autonomia gestionale ed operativa, che si traduce nella
realizzazione di un’opera o di un servizio, che dovrà sì tenere conto delle indicazioni
ricevute dal committente, ma sarà stata compiuta utilizzando unicamente le risorse della
propria organizzazione, da quelle tecniche a quelle fornite anche da possibili
collaboratori. Dallo svolgimento dell’attività in maniera abituale ne consegue che il
lavoratore autonomo trae dal suo lavoro la fonte principale di sostentamento.
Il lavoro autonomo può essere essenzialmente svolto intre forme:
• come professione abituale, nell’esercizio di arti eprofessioni
• come prestazione coordinata e continuativa (icosiddetti cococo)
• come prestazione occasionale
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3. La prestazione coordinata e continuativa
Viceversa, nella prestazione coordinata e continuativa l’autonomia del prestatore
d’opera si sfuma, dal momento che uno degli elementi che ne caratterizzano la specificità
è proprio dato dall’inserimento funzionale del lavoratore parasubordinato
nell’organizzazione con la quale ha stipulato il contratto. La connessione funzionale
presuppone però, che il datore di lavoro committente disponga a sua volta di una
effettiva organizzazione. Ciò esclude perciò la possibilità di instaurare rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa in assenza di una struttura operativa
organizzata.
Operativamente, una società sportiva non può affidare ad un collaboratore coordinato e
continuativo l’esclusivo svolgimento dell’attività sociale: è necessario che prima di lui
siano stati inquadrati dirigenti ed eventualmente altri lavoratori subordinati.
Su questa certamente radicale posizione interpretativa si è attestata di recente la
Direzione Regionale del Piemonte dell’INPS, la quale a proposito delle società cooperative
che instaurano anche rapporti di collaborazione coordinata e continuativa con i propri
soci ha precisato che
le Sedi provvederanno a respingere la domanda di iscrizione dei soci lavoratori con rapporto di lavoro coordinato e continuativo nei casi di assenza di altri rapporti di lavoro subordinato, in quanto viene meno in radice la possibilità di una connessione funzionale della collaborazione coordinata e continuativa, essendo in tal caso insistente una attività da riferire direttamente alla cooperativa ed alla quale correlare la collaborazione autonoma. (INPS, Direzione Regionale del Piemonte, Messaggio del 4/10/2002)
D’altro canto, la difficile collocazione delle prestazioni coordinate e continuative, oggi così
diffuse, nasce da una oggettivo ingorgo legislativo, entro il quale si rinvengono norme
civilistiche che definiscono le prestazioni in oggetto rientranti nel lavoro autonomo, e
norme fiscali che le hanno attratte da alcuni anni nell’universo dei redditi di lavoro
dipendente, sia pure attraverso la dizione equivoca di lavoro parasubordinato.
Dopo un iniziale periodo di attesa, gli enti previdenziali (l’INPS soprattutto) stanno
incominciando ad intervenire alla luce degli evidenti abusi che molti datori di lavoro
hanno posto in essere, soprattutto nei confronti di giovani che si affacciano per la prima
volta al mercato del lavoro.
Il mondo dello sport non è esente da questa critica.
Molte delle attività rientranti nella pratica sportiva soprattutto quelle di istruttore,
preparatore, allenatore possono essere correttamente inquadrate quali prestazioni
coordinate e continuative.
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Non si dimentichi che mentre per un lavoratore autonomo la prestazione svolta
costituisce professione abituale da cui egli trae i mezzi principali per vivere, per un
collaboratore la prestazione può integrare altre forme di reddito o comunque
accompagnarsi ad altri impegni diversi di studio, di intervento nel sociale od altro
ancora.
È il caso tipico degli animatori e degli istruttori che frequentano ancora corsi scolastici
superiori.
In tutti questi casi, non vi è dubbio che una collaborazione coordinata e continuativa può
assumere piena legalità e legittimità. Sempre però, tenendo conto che al nostro istruttore
di palestra o di piscina non potremo mai chiedere di giustificare le assenze, di rispettare
norme disciplinari tipiche del rapporto di lavoro subordinato, ecc.
Né potrà essere inquadrato come cococo il gestore della piscina o di qualunque altro
impianto sportivo, chiamato ad aprire e chiudere l’impianto, ad osservare cioè orari
precisi e predeterminati; a gestire le iscrizioni dei soci ai corsi; a provvedere a tutte le
attività necessarie per il pieno svolgimento delle attività, occupandosi anche dei rapporti
con i fornitori. Non sarà agevole in questi casi sottrarsi agli obblighi che competono ad
ogni altro datore di lavoro nei confronti dei propri lavoratori subordinati.
Giova richiamare le caratteristiche peculiari che permettono di identificare come
autonoma una collaborazione coordinata e continuativa, utilizzando le definizioni
proposte dall’INAIL al momento del passaggio nella sfera del lavoro parasubordinato delle
prestazioni medesime (inizio anno 2000).
I requisiti necessari sono:
Il prestatore, quindi, è svincolato dall'inserimento strutturale nell'organizzazione gerarchica dell'impresa, la quale è destinataria di un'opera o di un servizio predeterminato, per la cui realizzazione il prestatore medesimo gode di autonomia circa le modalità, il tempo ed il luogo dell'adempimento. Il lavoratore in questione è, di norma, un collaboratore estraneo all'impresa, che agisce in via autonoma, ma in funzione delle finalità e delle necessità organizzative dell'imprenditore.
La collaborazione fondata sul mancato vincolo della subordinazione neiconfronti del soggetto destinatario della prestazionelavorativa.
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Detto aspetto, strettamente connesso con quello della continuità, consiste nel collegamento funzionale dell'attività del lavoratore parasubordinato con la struttura del committente, in quanto concorre alla realizzazione dell'attività economica di quest'ultimo. E' il requisito del coordinamento con la struttura organizzativa del destinatario della prestazione ad assumere rilevanza determinante ai fini della connotazione del rapporto. Pertanto, la differenza tra prestazione di lavoro parasubordinato e quella di lavoro subordinato sta anche nella modalità dell'esecuzione: la prima deve conformarsi soltanto alle direttive dell'imprenditore, mentre la seconda anche alle modalità di esecuzione preventivamente stabilite.
Conseguentemente, l'accordo fra le parti deve comportare lo svolgimento di una serie imprecisata di adempimenti a contenuto professionale per un arco di tempo determinato cosicchè l'attività da prestarsi sia programmata dal prestatore in funzione dell'esigenza a carattere non transitorio del richiedente.
Il coordinamento che per il lavoro parasubordinato sostituisce il vincolodella subordinazione, si identifica nel rapportoconsensuale di costante coordinamento con la strutturaorganizzativa del destinatario della prestazione.
La continuità per cui la prestazione dedotta in rapporto non deveessere meramente occasionale, bensì continuativa e resain misura apprezzabile nel tempo.
La natura prevalentemente personale dell'opera che consiste nella necessaria prevalenza del caratterepersonale dell'apporto lavorativo del prestatore rispettoall'impiego di mezzi e/o altri soggetti, dei quali pure ilcollaboratore può avvalersi, semprechè non si perda lapreminenza della sua personale partecipazione nél'unicità della responsabilità gravante sullo stesso.
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L’ INAIL conclude riassumendo che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa:
• intercorrono con un determinato soggetto senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti dello stesso;
• hanno carattere unitario di durata, cioè protratto nel tempo; • sono svolti in modo continuativo, cioè non saltuario; • non necessitano di mezzi organizzati;
• sono retribuiti con periodicità e con ammontare determinato, o determinabile, ancorché corrisposto in un'unica soluzione, con riferimento all'intera durata della prestazione;
• non hanno carattere gratuito; • la fonte giuridica del rapporto è solitamente un contratto concluso fra le parti in
forma scritta o comunque un incarico formale conferito dal committente ed accettato dal lavoratore;
• hanno un intrinseco contenuto artistico o professionale; • si riferiscono ad attività che non rientrano nell'esercizio di arte e professione nel
senso indicato dal comma 1 dell' articolo 49 del D P R n. 917/1986 (che definisce il reddito di lavoro autonomo).
(INAIL, Circolare n. 32 dell’11 aprile 2002)
4. La prestazione occasionale
La terza ed ultima tipologia di lavoro autonomo è quella del cosidetto lavoro
occasionale.
Va subito precisato che non esiste a tutt’oggi nessuna definizione legislativa che possa
soccorrerci nel cercare di definire in che cosa consista una prestazione occasionale.
D’altro canto la diffusa prassi nel mondo associazionistico sportivo di parlare di
prestazioni occasionali, rende necessario un sia pur parziale approfondimento della
questione.
In mancanza di una norma di legge specifica i soli punti normativi di riferimento sono
quelli rinvenibili in altre disposizioni assunte dal legislatore nel corso degli anni.
I primi riferimenti al lavoro occasionale si hanno con una legge del 1949, in cui si parla
di lavori di breve durata o a carattere stagionale (Legge n. 264/1949, articolo 10 ultimo
comma). In riferimento ad essa il Ministero del Lavoro osservava che
anche se la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro occasionale è tuttora oggetto di contrastanti decisioni giurisprudenziali, è comunque da ritenersi che dette prestazioni debbano ricondursi alla fattispecie del lavoro subordinato di cui all'art. 2094, cod. civ., con la conseguenza dell'obbligatorietà del loro assoggettamento, tra l'altro, a tutte le vigenti norme previdenziali ed assistenziali, nonchè alla disciplina del collocamento. (Circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 17-06-1983, n. 79)
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Nel frattempo la Corte di Cassazione aveva precisato che
non costituisce lavoro occasionale quello svolto sistematicamente per otto/dieci giorni al mese per diversi anni, ne consegue la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. (Cassazione 15-12-1983, n. 7389)
Il legislatore parla esplicitamente e per la prima volta di lavoro occasionale con il Decreto
Legislativo n. 468/1997, relativo alla revisione della disciplina dei lavori socialmente
utili: l'assegno per i lavori socialmente utili è cumulabile con i redditi relativi ad attività di
lavoro autonomo di carattere occasionale e di collaborazione continuata e coordinata…..
Ministero del Lavoro del lavoro ed INPS, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro,
precisano due anni dopo la portata ed i limiti del disposto legislativo.
Si intendono per attività di lavoro occasionale quelle che vengono svolte:
• per un periodo massimo di quattro mesi;
• con un reddito lordo non superiore a lire 7.200.000 nell’arco di un periodo di
dodici mesi.
(INPS, Circolare del 12-04-1999, n. 86 e Ministero Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Circolare del 26-04-1999, n. 33) Infine, il Ministero delle Finanze ha più volte richiamato le prestazioni occasionali, ma
senza fornire alcun chiarimento sulla loro natura. Ad ogni istituzione bisogna riconoscere
le proprie competenze: che cos’altro poteve precisare il Ministero delle finanze, se non
ricordare che i rediti relativi devono essere dichiarati?
Devono essere esibiti, anche in copia fotostatica: documentazione attestante le ritenute indicate nella dichiarazione (Cud, certificati dei sostituti d'imposta per le ritenute relative a redditi assimilati al lavoro dipendente, di lavoro autonom, ooccasionale, ecc.); (Circolare Ministero delle Finanze del 31-01-2002, n. 10/E)
Non va infine, dimenticato che l’attuale normativa relativa al rapporto di lavoro
subordinato a termine definisce come prestazione puramente occasionale quella di durata
non superiore a dodici giorni (Articolo 1, comma quarto del Decreto Legislativo 06-09-
2001, n. 368). Non traggano comunque, in inganno gli ampi limiti temporali e di reddito
sopra esposti: si riferiscono solo ai lavoratori socialmente utili.
Alla luce di quanto esposto, è opportuno consigliare che la prestazione occasionale si
svolga in un ambito di tempo molto limitato e abbia tutte le caratteristiche di prestazione
d’opera.
Non cosidereremo occasionali le prestazioni degli istruttori che si svolgono per tutta la
durata dell’anno di attività , generalmente da settembre a giugno. Potremo viceversa,
considerare tali quelle svolte per limitate attività di supplenza nel tempo (qualche giorno
o settimana al massimo), oppure quelle direttamente ed esclusivamente rivolte alla
realizzazione di una manifestazione sportiva o comunque di un evento singolo,
ricordando di non considerare tale l’intero campionato di calcio a cinque!
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8 I CONTRATTI
1. Il contratto collettivo di lavoro
Che cos’è un contratto collettivo di lavoro, quali obblighi pone e a chi?
Una risposta a questi interrogativi ci aiuta a meglio comprendere gli obblighi che
incombono sul datore di lavoro di una società sportiva.
Il contratto collettivo di lavoro è disciplinato dagli articoli 2067-2081 del Codice Civile e
dall'art- 39 della Costituzione. Tuttavia, la mancata attuazione dell'articolo suddetto, ha
determinato sotto il profilo giuridico la conseguenza che i contratti collettivi di lavoro non
hanno efficacia obbligatoria.
Essi pertanto, vincolano in linea teorica esclusivamente i soggetti che sono iscritti alle
associazioni che li hanno stipulati.
La giurisprudenza tuttavia, ha ampliato via a via la sfera di applicazione dei contratti
collettivi, ritenendo ad esempio che i minimi retributivi previsti dai contratti vengano
applicati anche ai lavoratori dipendenti da datori non iscritti alle organizzazioni
stipulanti il contratto collettivo.
Ma che cos'è un contratto collettivo di lavoro?
Il contratto collettivo viene stipulato fra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei
datori di lavoro ed impegna le parti contraenti a rispettarne e ad applicarne le clausole
sia individuali, sia collettive. Quindi, il contratto collettivo ha una originaria funzione di
fornire regole comuni ai successivi e singoli contratti di lavoro individuali.
Impone inoltre, obblighi alle associazioni contraenti e svolge infine un compito di
mediazione rispetto ai conflitti individuali o collettivi possibili. Il contratto collettivo non
ha l'efficacia di norma di legge, ed è quindi ad essa subordinato.
Ne consegue che nessun contratto può prevedere ad esempio, il peggioramento di un
qualunque aspetto del rapporto di lavoro, così come fissato dalle leggi.
Il contratto collettivo è il negozio con il quale dueparti determinano le condizioni in base alle quali gliassociati di una parte forniranno agli associatidell'altra prestazioni di lavoro subordinato
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La generalità dei contratti collettivi oggi vigenti hanno una durata di quattro anni per la
parte normativa, e di due anni per quella economica.
La parte economica viene ridefinita sulla base della comparazione tra inflazione
programmata e effettivamente intervenuta.
2. Il contratto colletivo di lavoro per il personale dipendente di impianti sportivi
A tutto il personale dipendente delle società ed associazioni sportive si applica il
contratto collettivo di lavoro per i dipendenti dalle imprese ed enti di gestione di impianti
sportivi, sottoscritto dalla Confcommercio e dalle tre maggiori centrali sindacali, CGIL,
CISL e UIL.
Nessun ente di promozione sportiva od altro organismo rappresentativo del mondo dello
sport ha sottoscritto questo contratto, e ciò non può non suscitare fondate perplessità.
Quanta parte dell’attività sportiva in Italia è oggi rappresentata da una organizzazione
che tutela gli interessi di molte categorie, ma nessuna esplicitamente operante nel mondo
dello sport?
La Confcommercio rappresenta le tradizionali imprese del commercio, le imprese
alberghiere e più in generale tutte le attività connesse al turismo. Nel campo dei servizi
sono rappresentate le imprese di servizi sia alle aziende che alle persone, quali
l'informatica, le telecomunicazioni, le emittenti radiotelevisive, la comunicazione e la
pubblicità, e attività con una consolidata tradizione, quale l'istruzione, l'intermediazione
immobiliare, l'assistenza sanitaria privata, etc.
Dello sport nulla!
Forse, proprio per questo motivo in occasione dell’ultimo rinnovo del contratto (luglio
2000) le parti stipulanti hanno sentito l’esigenza di precisare che si danno
reciprocamente atto di essere i legittimi rappresentanti del settore, e confermano,
nell'ambito di proficui e corretti rapporti di relazioni sindacali, la comune volontà di operare
nell'ottica dello sviluppo delle specificità del c.c.n.l. per i dipendenti dagli impianti sportivi e
di attivarsi congiuntamente per la sua diffusione in un quadro dinamico ed evolutivo
relativo alla sfera di applicazione.
Ogni commento ci pare superfluo! Ma non è inopportuno rilevare che da questo evidente
divario tra chi opera nello sport e chi pretende di rappresentarlo, non possono che
derivare problemi pratici per applicare le norme alle realtà sportive associative di piccole
o medie dimensioni che tutto sono, tranne che imprese organizzate, così come quelle
tutelate legittimanente dalla Confcommercio.
47
Analizziamo comunque, in sintesi le principali disposizioni del contratto collettivo
vigente.
Periodo di prova: va da un minimo di 26 giorni per i livelli più bassi fino ad un massimo
di 6 mesi per i livelli apicali.
Mensilità contrattuali: sono quattordici
Indennità varie: Il c.c.n.l. prevede l'erogazione, ricorrendone i presupposti, delle
seguenti indennità: indennità di funzione (quadri), indennità maneggio denaro, vitto e
alloggio, indennità di trasferta, indennità di trasferimento.
Orario di lavoro: normalmente l’orario di lavoro è di 40 ore settimanali
Lavoro straordinario, notturno e festivo: sono previste, come in tutti i contratti
collettivi di lavoro, maggiorazioni diverse a seconda della prestazione svolta.
Ferie: spettano 26 giorni lavorativi, oltre a 72 ore di riduzione orario annua per permessi
e 32 ore di permessi retribuiti per le exfestività abolite.
Malattia: in caso di malattia il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per180
giorni nell'anno solare, più un eventuale periodo di aspettativa non retribuita di altri 120
giorni.
Per quanto concerne l’inquadramento dei lavoratori, la tabella che segue (Tabella 2)
richiama le principali mansioni citate dal contratto collettivo e la loro classificazione:le
principali mansioni sono così classificate:
48
TABELLA 2
Primo livello lavoratori con funzioni
ad alto contenuto professionale anche con
responsabilità di direzione esecutiva,
responsabile sportivo tecnico-specialistico di settore con funzioni di direzione esecutiva, con discrezionalità di poteri e autonomia di decisioni, nei limiti delle sole direttive generali impartiti dall'imprenditore; responsabile di: servizio/ufficio tecnico, amministrativo, commerciale; responsabile di: marketing, pubbliche relazioni, sviluppo organizzativo;
Secondo livello
lavoratori di concetto che svolgono compiti
operativamente autonomi e/o con
funzioni di coordinamento e
controllo, nonchè il personale che esplica la
propria attività con carattere di creatività
nell'ambito di una specifica professionalità tecnica e/o scientifica
istruttore/allenatore in possesso dei requisiti tecnico-professionali di cui al terzo livello, che svolge compiti operativamente autonomi anche con funzioni di coordinamento e controllo; green keeper; capo officina; capo di reparto o settore; contabile con mansioni di concetto; segretario di direzione con mansioni di concetto con conoscenza di lingue estere;
Terzo livello
lavoratori che svolgono mansioni di concetto o prevalentemente tali
che comportino particolari conoscenze tecniche ed adeguata
esperienza, e i lavoratori specializzati
provetti
istruttore/allenatore in possesso di diploma o di titolo equipollente conseguito presso enti, istituti, federazioni o associazioni riconosciuti (ad es: Istituti Parauniversitari, Isef, ecc.), con approfondita competenza tecnico-professionale e notevole esperienza, che opera in condizioni di autonomia operativa nell'ambito delle discipline sportive di competenza; massofisiokinesiterapista con provata esperienza; capo scuderia; dietista, personale paramedico; steno dattilografo in lingue estere; operaio specializzato provetto, quale ad esempio l'addetto al rifacimento di campi sportivi; contabile/impiegato amministrativo
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Segue TABELLA 2
Quarto livello lavoratori che eseguono compiti operativi anche
di vendita e relative operazioni
complementari, nonchè i lavoratori adibiti ai lavori che richiedono specifiche conoscenze tecniche e particolari
capacità tecnico-pratiche comunque
acquisite
assistente istruttore/allenatore in possesso di particolari capacità e conoscenze tecnico-pratiche, in grado di impartire nozioni di base nella disciplina sportiva di competenza con specifica esperienza precedentemente acquisita; magazziniere; bagnino; massofisiokinesiterapista, infermiere; artiere di elevata professionalità; hostess; contabile d'ordine, cassiere, stenodattilografo, addetto a mansioni d'ordine di segreteria estetista; conducente di automezzi;
Quinto livello
lavoratori che eseguono lavori qualificati per la cui esecuzione sono
richieste normali conoscenze ed adeguate
capacità tecnico-pratiche, comunque
conseguite
artiere; magazziniere addetto alle squadre giovanili; addetto al desk; caddie master; addetto alla manutenzione dei giardini e/o dei campi sportivi; addetto ai galleggianti; addetto alla manutenzione delle piscine; receptionist; fatturista; dattilografo, archivista, protocollista, schedarista; codificatore; addetto al controllo e alla verifica delle merci; addetto al centralino telefonico; conducente di autovetture; operaio qualificato;
Sesto livello lavoratori che compiono lavori che richiedono il possesso di semplici conoscenze pratiche
addetto alle caldaie; guardarobiere, assistente e/o addetto di spogliatoio; caddie; addetto ai campi; addetto al carico e allo scarico; addetto agli ingressi; addetto ai servizi per bagnanti; portiere, usciere; conducente di motobarca; conducente di motofurgone; fattorino, portapacchi con o senza facoltà di esazione; custode anche di magazzino; operaio comune; addetto alle pulizie con uso e conduzione di mezzi meccanici semoventi;
Settimo livello lavoratori che svolgono mansioni di pulizia o
equivalenti
addetto alle pulizie anche con mezzi meccanici.
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3. Il costo contrattuale
Non potendo in questa sede analizzare approfonditamente tutti idiversi aspetti del
problema, si forniscono almeno i dati di sintesi più significativi:
Le retribuzioni lorde sono quelle in vigore al 1 gennaio 2003.
Livello Retribuzione
lorda mensile
Costo annuo Costo orario
1 1375,61 26853,93 15,54
2 1262,14 24638,08 14,26
3 1149,16 22433,28 12,98
4 1062,74 20746,28 12,01
5 1007,94 19676,58 11,39
6 957,21 18686,30 10,81
7 891,40 17401,55 10,07
Il costo annuo è comprensivo dell’incidenza di tutti gli oneri diretti ed indiretti retribuitivi
(dalla tredicesima e quattordicesima mensilità, al trattamento di fine rapporto), degli
oneri previdenziali ENPALS ed INAIL e dell’incidenza dell’IRAP (4,25%).
Il costo orario è rapportato ad una media annua teorica di 1728 ore lavorate.
4. Il contratto individuale di lavoro (lettera di assunzione)
Occorre tenere ben presente che al momento dell’assunzione di un lavoratore
subordinato la legge impone un obbligo preciso: quello di informare il lavoratore delle
condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro che si va ad instaurare.
L'obbligo è assolutamente generalizzato e grava su qualunque datore di lavoro sia
pubblico che privato. Quindi, non ne sono esenti i datori di lavoro di società
sportive.
Il datore di lavoro deve informare il lavoratore sulle condizioni che regolano il rapporto di
lavoro, e cioè:
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• l'identità delle parti;
• il luogo di lavoro (precisando nel caso di mancanza di lavoro fisso o predominante, la
necessità dell'indicazione che il lavoratore è occupato in luoghi diversi), nonché la
sede o il domicilio del datore di lavoro;
• la data di inizio del rapporto di lavoro;
• la durata del rapporto di lavoro, precisando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo
determinato o indeterminato;
• la durata del periodo di prova, se previsto;
• l'inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore, oppure le
caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro;
• l'importo iniziale della retribuzione e i relativi elementi costitutivi, con l'indicazione del
periodo di pagamento;
• la durata delle ferie retribuite cui ha diritto il lavoratore o le modalità di
determinazione e di fruizione delle ferie;
• l'orario di lavoro;
• l) i termini del preavviso in caso di recesso
In buona sostanza, si tratta della lettera di assunzione che è prassi costante consegnare
al lavoratore subordinato.
La legge impone che l’obbligo venga assolto entro trenta giorni dall’inizio del rapporto
di lavoro, consegnando altresì al lavoratore una dichiarazione sottoscritta contenente i
dati della registrazione effettuata nel libro matricola in uso (in parole povere, il numero
progressivo che sul libro in oggetto viene attribuito ad ogni lavoratore). Nulla osta a che
la dichiarazione venga inserita nella lettera di assunzione insieme con tutti gli altri dati,
così come sopra specificati.
Si ricordi che
All'origine degli obblighi concernenti la stipulazione del contratto individuale vi sono
alcuni articoli del Codice Civile, e in particolare l'art. 96 delle norme di attuazione. Questi
prevede che l'imprenditore deve far conoscere al prestatore di lavoro al momento
dell'assunzione la categoria, la qualifica e le mansioni che gli verranno assegnate.
la lettera di assunzione costituisce il contrattoindividuale di lavoro e rappresenta l'atto formale dimaggiore rilievo con cui le parti contraenti sancisconoi reciproci obblighi ed impegni.
52
Quindi, secondo il Codice Civile il contratto individuale di lavoro non necessita di forma
scritta in maniera assoluta: il rapporto di lavoro cioè, una volta iniziatosi, assume
comunque piena efficacia per entrambe le parti anche senza pattuizione scritta e
dovrà essere regolamentato dal contratto collettivo di riferimento. È bene ricordare
questo principio perché da esso ne conseguono aspetti assolutamente non trascurabili.
Infatti, la mancanza della forma scritta del contratto rende nulle le clausole del contratto
di lavoro individuale relative a:
• patto di prova, (art. 2096 C.C.)
• assunzione a tempo determinato, (D.Lgs. n. 368 del 6 settembre 2001)
• patto di non concorrenza, (art. 2125 C.C.)
• contratto di formazione e lavoro (L. n. 407/90, art. 8)
Si è detto che la lettera di assunzione o contratto individuale deve essere consegnata al
lavoratore subordinato entro trenta giorni dall’inizio del rapporto di lavoro. È tuttavia
consigliabile che la consegna avvenga nel momento stesso in cui il rapporto di lavoro ha
inizio, se non possibilmente almeno qualche giorno prima. Questo perché, la
giurisprudenza non riconosce ad esempio, efficacia al periodo di prova portato a
conoscenza del lavoratore subordinato soltanto a rapporto di lavoro inziato.
La stipulazione scritta del patto di prova deve essere anteriore o, quanto meno, contestuale all' inizio del rapporto di lavoro, derivando dalla mancanza di detta anteriorità o contestualità la nullità dell' assunzione in prova, con conseguente automatica ed immediata assunzione definitiva del lavoratore, non più licenziabile, se non per giusta causa e/o per giustificato motivo, ricorrendone i presupposti di fatto (Cassazione 03-01-1995, n. 25)
5. Il contratto per le prestazioni coordinate e continuative
La stipula del contratto in forma scritta è richiesto esplicitamente dagli enti cui compete
l’inquadramento dei collaboratori coordinati e continuativi per gli aspetti previdenziali:
INPS ed ENPALS.
Ma aldilà di quest’obbligo, pur non trovandoci difronte a nessuna norma imperativa di
natura civilistica, è sempre buona norma predisporre un contratto scritto per ogni
tipo di prestazione lavorativa,anche per quelle volontarie e gratuite.
Nel contratto di collaborazione coordinata e continuativa si porrà particolare attenzione
alla formulazione precisa di articoli relativi ai seguenti aspetti:
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• natura della prestazione e sue modalità di pratiche di attuazione;
• durata nel tempo;
• esclusione esplicita di entrambe le parti di voler instaurare un rapporto di lavoro
subordinato.
La natura della prestazione e le sue modalità pratiche di attuazione fissano o meno la
natura autonoma o subordinata del rapporto. Esse vanno dettagliatamente e
attentamente specificate, prestando attenzione a tutte le definizioni di mansioni tipiche
invece del rapporto di lavoro subordinato.
La durata prestabilita nel tempo è una caratteristica peculiare del contratto d’opera in cui
si concretizza la prestazione coordinata e continuativa. Stipulare un contratto di cococo a
tempo indeterminato induce a pensare prevalente la sussistenza di un facere da parte del
collaboratore piuttosto che di un opus, determinando la conseguente assimilazione del
rapporto con quelli di natura subordinata.
Infine, l’esplicita esclusione dichiarata di voler instaurare un rapporto di lavoro
subordinato rappresenta una tutela non secondaria per il datore di lavoro, dal momento
che la giurisprudenza è oggi prevalentemente orientata ad assegnare alla volontà
espressa dalle parti un importanza sempre maggiore nel determinare la tipologia di
rapporto in essere tra le parti.
6. I contratti per le prestazioni occasionali e per quelle gratuite
Si è più volte ripetuto che è opportuno stipulare sempre con atto scritto qualunque forma
di collaborazione e prestazione che venga svolta in nome e per conto dell’associazione o
società sportiva.
Nel caso di prestazioni gratuite e volontarie è sempre necessario che il prestatore d’opera
sia un socio, al fine di coordinare con maggiore efficacia la prestazione alle finalità
dell’associazione, che avrà inserito nel proprio Statuto sociale adeguati riferimenti alla
gratuità delle prestazioni di dirigenti e soci.
È di particolare importanza, inoltre fare almeno un riferimento circonstanziato alle
possibili responsabilità civili, anche tenuto conto che la vigente normativa sul volontariato
impone l’obbligo alle organizzazioni di assicurare i propri aderenti, che prestano attività di
volontariato, contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività stessa,
nonchè per la responsabilità civile verso i terzi (Articolo 4, comma primo Legge n. . 266dell’
11-08-1991).
Le bozze che seguono riassumono le questioni qui richiamate.
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DICHIARAZIONE DI ATTIVITÀ GRATUITA
Al Consiglio Direttivo dell’associazione __________________________
Il sottoscritto __________________________ socio dell’associazione
Dichiara
Di avere preso visione dello Statuto dell’Associazione e in particolare dell’articolo
xx che sancisce il principio della gratuità delle prestazioni svolte dai soci;
Di avere preso atto che l’Associazione ha in corso di vigenza adeguata polizza di
assicurazione atta alla copertura dei rischi dei soci contro gli infortuni e le
malattie connessi allo svolgimento dell'attività stessa, nonchè per la
responsabilità civile verso terzi;
Di essere disponibile a svolgere attività in seno all’Associazione in modo del tutto
volontaria e gratuita e in particolare, senza alcun vincolo di subordinazione nei
riguardi dell’Associazione.
Riconosce
Che al sottoscritto saranno rimborsate unicamente le spese sostenute e
autorizzate (viaggio, soggiorno, vitto) soltanto a seguito di presentazione di
idonea documentazione.
Per quanto sopra, il sottoscritto esonera da ogni responsabilità l’Associazione
nello svolgimento delle attività associative cui parteciperà direttamente.
In fede
Firma e data
55
CONTRATTO PER ATTIVITA’ OCCASIONALE
Tra l’Associazione ____________________ con sede in ________________________
nella persona del legale rappresentante protempore signor
_______________________
e il signor ______________________________, nato a _________________________
il __________________, residente in ________________________________________
codice fiscale ___________________
si concorda quanto segue
Premesso che l’Associazione _____________ svolge attività di promozione e
pratica sportiva nel campo di ___________________________ e che in relazione
alla <manifestazione, evento, corso> che si svolgerà il _____________ <oppure>
dal _________ al ______________ deve fare ricorso alla prestazione occasionale
per tutta la durata dell’evento di personale avente le caratteristiche tecniche e
professionali che il signor _________________ dichiara di possedere;
L’Associazione affida al signor __________________ l’incarico di
______________________________________________________________________
A fronte della prestazione svolta il signor ____________________ riceverà un
compenso forfettario (al lordo di ogni eventuale ritenuta fiscale e previdenziale)
di euro ___________________ comprensivo di tutto quanto dovuto per la
prestazione svolta.
Il signor ____________ dichiara di non voler far parte in alcun modo
dell’organico dell’Associazione e pertanto, esclude in particolare che la sua
prestazione possa avere natura di lavoro subordinato.
Il signor ______________ prende atto che l’Associazione ha in corso di vigenza
adeguata polizza di assicurazione atta alla copertura dei rischi contro gli
infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività, nonchè per la
responsabilità civile verso terzi , estesa ai collaboratori occasionali retribuiti.
Firma e data
56
9 I COMPENSI AGLI SPORTIVI DILETTANTI
1. Premessa
Abbiamo parlato fino a questo punto delle diverse forme di rapporto di lavoro che è
possibile mettere in atto nel mondo dello sport, sottolineando che tutte rientrano nella
più generale tipologia dei rapporti di lavoro autonomo o subordinato che la normativa
vigente prevede.
Nell’ambito dell’attività promossa dalle associazioni e società sportive dilettantistiche le
tipologie dei compensi erogati si possono così esemplificare:
Stipendi ai lavoratori dipendenti
Compensi ai collaboratori coordinati e continuativi
Emolumenti agli amministratori (equivalenti ai compensi per i collaboratori)
Compensi per prestazioni occasionali
Corrispettivi per prestazione di servizi
Rimborsi spese ad amministratori e collaboratori
Gettoni di presenza per le riunioni (equivalenti ai compensi per i collaboratori)
Rimborsi spese ai soci e ai volontari
Compensi e rimborsi erogati in occasione di manifestazioni o gare sportive
dilettantistiche (ad atleti, dirigenti, accompagnatori, allenatori, ecc.)
Ad ognuna di queste forme di compenso si devono applicare le rispettive regole fiscali e
previdenziali, data la natura molto diversa delle prestazioni che le giustificano.
Da tempo però, gli operatori del settore sono adusi applicare, spesso senza distinzione di
sorta, quella che è a tutti nota come la 342, norma in base alla quale i compensi
erogati agli sportivi non soggiaciono a ritenute né di natura fiscale, né di natura
previdenziale, sia pure entro determinati limiti.
Tutto ciò però è avvenuto fino ad oggi, a nostro avviso, in maniera più o meno
appropriata per non dire con evidenti forzature sul’ambito di applicazione della 342
appunto. La norma per parte sua presenta, come tante altre in materia, non pochi lati
oscuri che si prestano ad interpretazioni diverse ed anche talvolta a forzature.
Al fine di fornire indicazioni operative le più precise e corrette possibili è utile rifare un
po’ la storia della norma e di come si sia articolata nel tempo.
57
2. La storia della 342
L’origine dell’attuale normativa risale alla Legge n. 80 del 25 marzo 1986, che per
prima aveva concesso esenzioni fiscali in relazione alle somme versate a titolo di
indennità di trasferta e di rimborso forfetario di spese a soggetti che svolgono attività
sportiva dilettantistica in manifestazioni organizzate e svolte sotto il controllo del Coni,
delle federazioni sportive nazionali, degli organismi internazionali, nonché degli enti ed
associazioni di promozione sportiva (Articolo1, comma 1).
Sull’interpretazione da dare al concetto di soggetti che svolgono attività sportiva
dilettantistica si erano poi succeduti nel tempo diversi interventi ministeriali che ne
avevano circoscritto l’ambito.
In buona sostanza, la norma veniva interpretata nel senso che ne potessero beneficiare
soltanto i diretti partecipanti ad attività sportive agonistiche: atleti, allenatori, giudici di
gara, ecc. Era stato anche posto un limite temporale al compenso erogabile agli atleti che
si allenavano in vista della gara: cioè, il compenso poteva essere corrisposto beneficiando
dell’esenzione fiscale solo per un numero massimo prefissato di giorni settimanali. Si
precisa che l’esenzione era infatti, stabilita su base giornaliera.
Di questa iniziale norma di legge giova ricordare però, che essa era applicabile soltanto
alle realtà associative e società aderenti al CONI, alle sue Federazioni, o agli Enti di
promozione sportiva. Qualunque attività autonoma e slegata da organismi
rappresentativi non ne poteva beneficiare.
Tale principio è ribadito anche dalla normativa oggi vigente.
Con la Legge n. 133 del 13 maggio 1999 la normativa precedente viene del tutto
abrogata e sostituita. Ma non dura molto: nuove e sensibili modifiche vengono introdotte
di lì a poco con la Legge n. 342 del 21 novembre 2000 (cosiddetta legge finanziaria).
La Legge n. 133/99 aveva stabilito che l’esenzione fiscale spettava sui compensi
comunque denominati corrsiposti per le prestazioni inerenti alla propria attività.
Co il Regolamento di attuazione della Legge n. 133/99 (D.M. n. 473 del 26/11/1999) il competente Ministero delle Finanze aveva precisato che: Ai fini dell'applicazione del presente articolo, si considerano: a) società sportive dilettantistiche, il Coni, le Federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva e qualunque altro organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che sia da essi riconosciuto;b) compensi per le prestazioni inerenti la propria attività, quelli corrisposti per promuovere l'attività sportiva dilettantistica. Sono esclusi, invece, quelli erogati dall'organismo ai propri lavoratori dipendenti assunti per lo svolgimento delle attività amministrative o, in generale, di gestione dell'organismo stesso, nonché quelli corrisposti ad artisti o professionisti di cui all' articolo 49, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, o ad esercenti attività d'impresa di cui all' articolo 51, comma 1, dello stesso testo unico (Decreto Ministeriale n. 473 del 26 novembre 1999)
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Ocorreva comprendere a questo punto quali soggetti potessero a buon diritto essere
compresi tra i promotori dell’attività sportiva dilettantistica. Rispetto alla vecchia
disciplina della Legge n. 80/86 il cambiamento non era però di poco conto: oltre agli
atleti e ai diversi operatori diretti della manifestazione sportiva, diventava possibile
comprendervi ad esempio anche i dirigenti della società sportiva, quali indubbi e primi
promotori dell’attività sportiva.
Sugli stessi argomenti il Ministero delle Finanze si pronunciava ancora nel corso
dell’anno 2000, ribadendo l’ambito soggettivo di applicazione della norma, riservata
cioè a tutti i
soggetti comunque denominati che in via istituzionale perseguono finalità sportive dilettantistiche, qualunque sia la loro veste giuridica (società, associazioni, enti o circoli ecc.), purché riconosciuti (affiliati) da uno degli organismi citati. (Circolare Ministero delle Finanze n. 43/E/2000/27583 del 8 marzo 2000)
In forza della limitatezza dell’ambito sportivo professionistico in Italia, vi rientrano quindi
a buon diritto la maggior parte delle attività sportive oggi praticate nel nostro paese. Non
si dimentichi infatti, che lo sport professionistico è oggi ufficialmente riconosciuto
soltanto nell’ambito delle seguenti discipline: calcio, pallacanestro, ciclismo, golf e
pugilato.
In relazione all’ambito oggettivo, che più interessa in questa sede, il Ministero andava
ancora più in là rispetto al recente Regolamento di fine 1999.
Precisava infatti, la circolare che
per quanto riguarda l'ambito oggettivo di applicazione della disciplina in esame, l'art. 2 del più volte citato regolamento traduce il contenuto del comma 4 dell'art. 25, riconducendo tra i compensi corrisposti a fronte di "prestazioni inerenti alla propria attività", quelli finalizzati alla promozione dell'attività sportiva dilettantistica. La norma si propone di incentivare esclusivamente lo sport dilettantistico e le prestazioni che ne promuovono l'attività, dettando una disciplina di favore per i compensi corrisposti da tutti i soggetti sopra elencati a fronte di prestazioni sportive dilettantistiche ovvero di attività anche amministrative o di gestione, dirette alla promozione della pratica sportiva dilettantistica. La disciplina fiscale in esame non si applica, pertanto, ai compensi erogati dagli anzidetti soggetti per remunerare attività diverse da quelle finalizzate alla promozione dello sport dilettantistico. Dalla lettura dell’interpretazione ministeriale non era difficile trarre la conclusione che le
maglie dell’applicabilità della norma si fossero allargate, fino a comprendere in buona
sostanza la maggior parte delle prestazioni abitualmente svolte dai collaboratori di
società ed associazioni sportive. Come intendere diversamente infatti, le parole: attività
anche amministrative o di gestione?
Ma questa interpretazione non è durata molto tempo.
59
La Legge n. 342 del 21 novembre 2000 di lì a poco ha modificato nuovamente il quadro
normativo e soprattutto l’ambito oggettivo di applicabilità, restringendolo nuovamente in
maniera netta.
La nuova formulazione infatti ha limitato l’agevolazione soltanto alle somme erogate
nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche.
A precisazione del concetto di esercizio diretto di attività sportive interviene ancora una
volta il ministero competente:
Con la locuzione "esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche", il legislatore ha voluto delimitare l'ambito di applicazione della disciplina in esame, escludendo, in sostanza, dal trattamento fiscale agevolato i compensi corrisposti per lo svolgimento di attività contabili ed amministrative in quanto non direttamente finalizzate alle realizzazione delle manifestazioni sportive dilettantistiche. Pertanto, con l'espressione esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche si è voluto ricondurre nel regime agevolativo i compensi corrisposti ai soggetti che partecipano direttamente alla realizzazione della manifestazione sportiva a carattere dilettantistico. La disposizione è riferita, cioè, a tutti quei soggetti le cui prestazioni sono funzionali alla manifestazione sportiva dilettantistica, determinandone, in sostanza, la concreta realizzazione, ivi compresi coloro che nell'ambito e per effetto delle funzioni di rappresentanza dell'associazione di norma presenziano all'evento sportivo. Sono, pertanto, da considerare in primo luogo corrisposti nell'esercizio diretto dell'attività sportiva dilettantistica, i compensi erogati agli atleti dilettanti, agli allenatori, ai giudici di gara, ai commissari speciali che durante le gare o manifestazioni, aventi natura dilettantistica, devono visionare o giudicare l'operato degli arbitri. Rientrano, quindi, nella disciplina di cui alla lettera m), dell'articolo 81 del TUIR, tutti i compensi corrisposti a quei soggetti che, nella qualità di dirigenti dell'associazione, di solito presenziano direttamente a ciascuna manifestazione consentendone, di fatto, il regolare svolgimento. Trattasi di compensi, quali le indennità di trasferta o i rimborsi di spesa, corrisposti a figure dirigenziali, non legati con l'ente erogante da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, che svolgono funzioni, non retribuite in base a norme organizzative interne, ma indispensabili alla realizzazione della manifestazione sportiva dilettantistica, nel senso che le stesse, come già precisato, concorrono a garantire la concreta realizzazione di ciascun evento sportivo. Al contrario, il presupposto dell'agevolazione fiscale in argomento non è configurabile in capo a soggetti che a beneficio delle associazioni svolgono mera attività amministrativa. (Risoluzione Ministeriale, Agenzia delle Entrate, n. 34/E/2010/54779 del 26 marzo 2001)
La lettura del testo ministeriale porta dunque all’esclusione dell’agevolazione nei
confronti di tutte le collaborazioni di tipo amministrativo.
Restava da chiarire la loro differenza rispetto a quelle di tipo gestionale, richiamate
insieme con quelle amministrative dalla precedente circolare del marzo 2000, ed ora non
più citate. Certtamente perché non escluse.
Trascorreva così ancora un anno, fino a giungere all’8 luglio 2002, quando con l’articolo
6 del D.L. n. 138, viene reintrodotta una norma più estensiva, affermandosi che le
agevolazioni si applicano anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di
carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di
società e associazioni sportive dilettantistiche.
60
Ma l’articolo 6 non viene poi convertito in legge e l’anno 2002 si è chiuso mantenendo in
vigore la precedente e più limitata normativa.
Con il 31 dicembre 2002 si conclude però, la storia della 342.
3. Le disposizioni contenute nella legge finanziaria per l’anno 2003
Quanto proposto dal legislatore nell’estate del 2002 trova concreta attuazione con la
Legge n. 289 del 27 dicembre 2002, che ha prodotto numerose novità nell’ambito dello
sport dilettantistico.
La loro analisi esula dalle finalità di questo lavoro, ma va precisato che le agevolazioni
spettanti alle somme corrisposte agli sportivi dilettanti (nella più ampia accezione del
termine, a questo punto) competeranno d’ora in avanti a condizione che le associazioni e
società sportive abbiano recepito nei loro statuti e recepito nella quotidiana attività tutti i
requisiti formali richiesti dalla nuova normativa.
Precisato che anche le attività di carattere amministrativo-gestionale possono oggi
godere della più generale agevolazione ed esenzione, non mancano però, ancora i dubbi e
le perplessità.
1) Sulla natura del reddito che origina i compensi: occorre premettere che sin
dall’introduzione della 342 il titolo di esenzione fiscale (e conseguentemente
previdenziale) era stato dato dalla scelta operata dal legislatore di inserire i compensi
degli sportivi tra i redditi diversi (articolo 81 del T.U.I.R.).
Proprio in virtù di tale scelta, gli enti previdenziali INPS ed ENPALS avevano dovuto
riconoscere che la mancata assimilazione di tali redditi con quelli di lavoro subordinato o
parasubordinato (collaborazioni coordinate e continuative) escludeva l’obbligo
contributivo previdenziale, cui faceva seguito anche la non imponibilità ai fini INAIL per
l’assicurazione contro gli infortuni.
L’attuale versione della norma però, considera pur sempre rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa quelli di carattere amministrativo-
gestionale non professionale.
Resta il dubbio che inseriti dal punto vista fiscale tra i redditi diversi, possano poi essere
di nuovo assorbiti in altro ambito quali prestazioni parasubordinate.
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2) Sull’obbligo assicuratico contro gli infortuni: l’articolo 51 della medesima legge
finanziaria introduce l’obbligo dell’assicurazione contro gli infortuni per le seguenti figure
del mondo dello sport dilettantistico: atleti, dirigenti, tecnici. Chi sarà l’ente preposto?
Se fosse l’INAIL, quante altre norme tipiche del rapporto di lavoro subordinato o
parasubordinato potrebbero essere richiamate?
3) Sulla gratuità delle cariche sociali: il comma 18 dell’articolo 90 della Legge n.
289/2002 prescrive che gli amministratori delle società ed enti sportivi devono svolgere
gratuitamente il loro mandato. Potranno percepire egualmente i compensi, se
direttamente connessi all’attività svolta di carattere amministrativo-gestionale?
Si ricorda che la norma in oggetto ha riconosciuto la possibilità per i dipendenti
pubblici di prestare la propria attività nelle società sportive al di fuori dell’orario di
lavoro, purchè a titolo gratuito, salvo il riconoscimento dei rimborsi previsti dal citato
articolo 81 del T.U.I.R.
A detta di chi scrive potrebbero essere trattati con il medesimo criterio i rimborsi fatti
agli amministratori delle associazioni.
In conclusione di questo difficile excursus lungo le esenzioni dei compensi degli sportivi,
si può cercare così di riassumere l’ambito di applicazione:
la norma si estende a tutti coloro (soci o non soci dell’associazione od ente
sportivo) che contribuiscono direttamente alla realizzazione di attività sportive
dilettantistiche, intendendosi per attività non soltanto le manifestazioni ufficiali,
gare e simili, ma anche tutte le diverse fasi didattiche e propedeutiche alla pratica
agonistica.
Ciò porta ad includere ad esempio:
• gli istruttori di palestra o di piscina anche nelle loro quotidiane attività di
insegnamento
• gli addetti alla stesura dei calendari delle gare e tornei
• i responsabili delle attrezzature sportive
• le maschere e gli addetti alla biglietteria
Appare a nostro avviso invece, più arduo far rientrare nell’agevolazione chi a titolo
professionale svolge in via continuativa attività di manutenzione degli impianti e
strutture (dal campo di calcio alla conduzione tecnica della piscina), gli addetti alle
pulizie, il personale di segreteria addetto prevalentemente a raccogliere iscrizioni per le
attività istituzionali dell’ente, o addetto più genericamente ancora alle attività di
segreteria e contabili.
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Ad ognuna di queste figure di lavoratori, subordinati o parasubordinati che siano,
potranno essere corrisposti rimborsi e compensi per la loro partecipazione diretta ad
attività sportive, distinti dagli altri loro compensi.
Sempre che il totale dei compensi medesimi rientri nel limite individuale di esenzione (€
7500 complessivi nel periodo d’imposta). E sempre che possiamo dimostrare la non
diretta connessione dell’attività sportiva con la mansione che ha portato alla
instaurazione di un rapporto di lavoro o di collaborazione coordinata e continuativa.
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10 LA TUTELA PREVIDENZIALE ED ASSICURATIVA
1. Premessa
Per tutela previdenziale si intendono gli obblighi contributivi che incombono
prevalentemente sul datore di lavoro al fine di assicurare a tutti i lavoratori subordinati
e alla maggior parte dei lavoratori autonomi i conseguenti trattamenti pensionistici.
Parte degli oneri previdenziali sono anche a carico dei lavoratori.
Per tutela assicurativa si intendono invece altri obblighi contributivi che incombono
esclusivamente sul datore di lavoro al fine di assicurare a tutti i lavoratori subordinati e
alla maggior parte dei lavoratori autonomi la copertura degli oneri diretti ed indiretti
derivanti da infortuni sul lavoro o da malattie professionali.
Gli enti gestori sono principalmente l’INPS per gli aspetti previdenziali e l’INAIL per
l’assicurazione contro gli infortuni.
2. L’ENPALS
Nel mondo dello sport il legislatore aveva sancito sin dal 1947 che gli addetti agli
impianti sportivi ed i calciatori ed allenatori di calcio fossero invece obbligatoriamente
iscritti all’ENPALS (Decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 16-07-1947, n. 708,
aritcolo 3), cioè all’ente nazionale di previdenza ed assistenza dei lavoratori dello
spettacolo.
Fino al 1981 però, l’individuazione delle figure che rientravano a pieno titolo nel diverso
inquadramento non fu agevole, né privo di diversi orientamenti anche in campo
giurisprudenziale.
In quell’anno il Ministero del Lavoro (Circolare n. 98 del 9/10/1981) forniva finalmente
un chiarimento definitivo, al quale facevano seguito subito dopo le relative disposizioni
degli enti interessati: INPS ed ENPALS.
In particolare, l’INPS precisava che
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l' elemento essenziale per l' identificazione degli appartenenti alla categoria degli addetti agli impianti sportivi è rappresentato dal perseguimento da parte dell' impresa o dell' organismo (circolo, club, associazione ecc.) di finalità sportive, indipendentemente da qualsiasi scopo agonistico o di spettacolo ed a prescindere dall' esistenza di veri e propri impianti sportivi. (INPS, Circolare n. 579 del 7 dicembre 1981)
Ne conseguiva l’obbligo di iscrizione all’ENPALS di tutti i soggetti (imprese,
associazioni, ecc.) che perseguono finalità sportive, anche se queste non sono
finalizzate alla partecipazione a gare, tornei, manifestazioni.
Ulteriore obbligo: doveva essere iscritto all’ENPALS tutto il personale dipendente
senza distinzione per la mansione svolta: quindi, anche il personale amministrativo,
l’addetto alle pulizie, ecc.
Chi e che cosa dovesse rientrare nella categoria di addetto all’impianto sportivo era
subito oggetto di diversi orientamenti giuridici ed operativi, sui quali si inseriva
dapprima una sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 4408 del 6 agosto 1982)
e successivamente il Consiglio di Stato che, in data 13 giugno 1984 si pronunciava con
un esplicito e severo parere restrittivo.
Il legislatore non ha inteso riferirsi genericamente all'attività sportiva, bensì agli impianti sportivi. Sono quindi esclusi i lavoratori dipendenti da società, imprese, organizzazioni, ecc., che, non disponendo di impianti sportivi propri, utilizzano impianti pubblici per l'esercizio dell'attività sportiva…….. ….. ferma restando la necessità di questo diretto collegamento tra la prestazione di lavoro e l'impianto, il concetto di "addetti agli impianti" non si restringe comunque agli addetti alla custodia, manutenzione, pulizia, ecc.; possono rientrarvi anche altre figure professionali (cassieri, istruttori, ecc.) semprechè la loro prestazione sia direttamente collegata all'impianto in quanto tale (ad es., istruttore di nuoto adibito ad una piscina aperta al pubblico con l'obbligo di tenersi a disposizione di tutti i frequentatori; il caso contrario potrebbe essere quello di un allenatore di una squadra di calcio usufruente di un impianto proprio, perchè in tal caso la prestazione sarebbe comunque a servizio della squadra, piuttosto che dell'impianto). Il Ministero del Lavoro traeva perciò la conclusione che senza impianti propri non si
potesse parlare di addetti agl impianti sportivi (Circolare n. 108 dell’1/19/1984).
Ma le questioni non erano ancora del tutto appianate. La normativa dell’ENPALS
prevedeva inoltre che l’obbligo assicurativo fosse esteso anche ai lavoratori
autonomi: con ciò aprendo un altro fronte di contrasti e di opinioni succedutesi nel
tempo. Almeno fino al 1995, quando il legislatore introdusse nel nostro ordinamento
previdenziale il cosiddetto contributo del 13%, affidato alla gestione dell’INPS.
Questa questione ci pare però, superata dall’evoluzione che hanno avuto in questi anni le
collaborazioni coordinate e continuative, anche alla luce del fatto che esse sono state
attratte nella sfera del lavoro parasubordinato.
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Si può ragionevolmente affermare che l’insieme di queste controverse questioni è oggi
largamente superata, almeno a livello interpretativo, e che buona norma vorrebbe che
ogni associazione o società sportiva versasse all’ENPALS i contributi dovuti per gli
atleti, allenatori, istruttori sportivi ed addetti agli impianti (sia pure nell’accezione
più restrittiva che a suo tempo diede il Consiglio di Stato).
La resistenza operata da molte realtà associative non manca però, di argomenti validi e
concreti: in primo luogo l’onerosità della contribuzione dovuta all’ENPALS.
Per il corrente anno 2003 l’onere contributivo dovuto all’INPS per le prestazioni
coordinate e continuative resta fissato nell’aliquota complessiva del 16%. Viceversa
l’ENPALS, richiede per le stesse tipologie di prestazioni lavorative un versamento nella
misura del 32,70%.
Senza tenere conto che mentre del contributo INPS un terzo resta a carico del
percipiente, nel caso dell’ENPALS il percipiente partecipa all’onere nella misrua
dell’8.89%.
Ne consegue che nel caso di contribuzione all’INPS l’associazione sportiva deve sostenere
un costo pari al 10,66%. Nel caso dell’ENPALS invece, un costo pari al 23,81%. Cioè, con
un gravame maggiore del 123%!
Di fronte ad un costo più che doppio, è fuor di dubbio che qualsiasi appiglio normativo
interpretativo può essere comprensibile e giustificato.
3. L’INAIL
Tutte le attività sportive sotto il profilo oggettivo rilevano ai fini di una eventuale
presunzione assoluta di pericolasità, a cui può conseguire l’obbligo di assicurazione.
In particolare, l’articolo 6 del D. Lgs. n. 38/2000 ha introdotto l’obbligo assicurativo
presso l'INAIL degli sportivi professionisti, anche qualora la tutela antinfortunistica
dei lavoratori in questione sia assicurata con polizze privatistiche stipulate in virtù
di previsioni contrattuali o di legge.
Per queste figure professionali (che ricordiamo essere gli atleti, gli allenatori i direttori
tecnico-sportivi, i preparatori atletici) l’onere assicurativo grava interamente sul datore di
lavoro nella misura del 7,9%.
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Più in generale, tutti gli addetti ad impianti sportivi sono obbligatoriamente iscritti
all’INAIL con un onere pari al 4,6%.
Rientra nella categoria il personale di servizio, di sorveglianza, di manutenzione degli
impianti: stadi, piscine, palestre, campi da tennis, campi da golf, maneggi, piste da sci,
autodromi, ippodromi.
(Decreto Ministeriale 12 dicembre 2000, Tariffa Gestionale Settore Terziario)
Va sottolineato che il legislatore ha progressivamente esteso l’obbligo assicurativo e di
tutela di chi opera direttamente o indirettamente nell’ambito delle attività sportive: come
già ricordato in precedenza, particolare importanza avrà l’articolo 51 della Legge n. 90 del
27 dicembre 2002.
La sua concreta attuazione è rinviata al prossimo 1 luglio 2003, né la legge dice
esplicitamente che sarà l’INAIL il soggetto operatore. Ciò se non altro data l’esistenza di
altro soggetto pubblico operante nel settore: la SPORTASS, che è la cassa di previdenza
per l’assicurazione degli sportivi, che assicura i rischi da infortunio e per responsabilità
civile nell’ambito dello sport.
Giova ricordare il testo della nuova norma introdotta:
A decorrere dal 1º luglio 2003, sono soggetti all'obbligo assicurativo gli sportivi dilettanti tesserati in qualita` di atleti, dirigenti e tecnici alle Federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva. L'obbligatorieta` dell'assicurazione comprende i casi di infortunio avvenuti in occasione e a causa dello svolgimento delle attivita` sportive, dai quali sia derivata la morte o una inabilita` permanente. Si può commentare precisando che il legislatore ha coperto una grave lacuna esistente
fino ad oggi, dal momento che mentre erano obbligatoriamente assicurati tutti i
lavoratori che in diversa forma concorrono alla realizzazione dell’attività sportiva, non
erano viceversa assicurati gli effettivi attori, anche se impegnati in modo volontario e
gratuito, ma certamente soggetti ad evidenti rischi di infortunio.
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11 I CAMBIAMENTI IN CORSO
1. Premessa
Non possiamo concludere questa generale e, per forza, anche talora generica disamina
del rapporto di lavoro nello sport senza guardare al futuro prossimo.
Ricordato ancora una volta che il rapporto di lavoro nello sport non si può analizzare in
un contesto avulso dalla più generale normativa che regola in Italia il rapporto di lavoro
in ogni sua forma, va subito detto che nella nostra società emerge sempre più una
domanda di servizi alla persona che rientrano spesso a buon diritto nell’ambito di ciò che
possiamo quotidianamente considerare attività di promozione e pratica sportiva.
Abbiamo sottolineato questo aspetto ad esempio nel prendere in considerazione
l’evolversi delle discipline e delle mansioni sportive che la contrattazione collettiva
elencava dieci anni fa, rispetto ai settori presenti oggi.
Il mondo dello sport influenza ed è ovviamente condizionato a sua volta dal più generale
evolversi della nostra società: non potrebbe tutto ciò non avere riflessi anche per ciò che
concerne il mondo e il mercato del lavoro.
I cambiamenti in corso nel concetto stesso di lavoro e di prestazione lavorativa hanno da
tempo ormai superato la fase di analisi sociologica, di studio di tendenza e stanno
lentamente traducendosi in nuove forme legali di lavoro, molto più complesse e articolate
della tradizionale ripartizione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo.
Molto di ciò su cui abbiamo riflettuto in queste pagine potrebbe trovare di qui a poco
nuove risoluzioni e modalità di svolgimento alla luce dell’avanzato iter legislativo oggi in
corso per la cosiddetta riforma del mercato del lavoro.
Crediamo proficuo conludere con una panoramica sia pure molto generale. Anche se
nessun operatore o dirigente di associazione sportiva si potrà illudere di non dovere più
fare i conti in futuro con i cococo o l’ENPALS.
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2. La riforma Maroni del mercato del lavoro
Mentre scriviamo queste note la Camera dei Deputati ha già approvato il progetto di legge
in data 30 ottobre 2002. Ed esso oggi è all’esame del Senato.
Quali sono i punti che possono maggiormente interessare in questo ambito?
Occorre premettere che si tratta di un progetto di legge delega, con il quale il Governo
intende disciplinare diversi aspetti del rapporto di lavoro oggi non normati, oppure
modificarne altri ritenuti superati ed obsoleti.
Con l’Articolo 1 viene abrogata l’attuale normativa relativa al divieto di
intermediazione di mano d’opera (Legge n. 1369 del 1960) e sostituita da una nuova
norma fondata su principi meno vincolistici.
L’articolo 2 affida al Governo la delega in materia di riordino dei contratti a contenuto
formativo e di tirocinio, con l’obbiettivo di dare alla formazione professionale maggiore
spazio e rilevanza nel mondo del lavoro.
Gli articoli 3 e 4 trattano le deleghe relative agli aspetti più specifici dei rapporti di lavoro
oggi in essere e che richiedono di essere adattati alle nuove realtà emergenti: l’interevento
del legislatore è previsto per:
• il lavoro a tempo parziale
• il lavoro a chiamata
• il lavoro temporaneo
• il lavoro coordinato e continuativo
• il lavoro occasionale eaccessorio
• il lavoro a prestazioni ripartite
Se riflettiamo su quanto detto in precedenza, ad esempio sulla mancata previsione
normativa di un concetto di lavoro occasionale, o sulla evidente confusione esistente per
ciò che concerne le collaborazioni coordinate e continuative, non v’è dubbio che anche il
mondo dello sport sarà interessato alla riforma, soprattuttto tenuto conto che il
tradizionale rapporto di lavoro subordinato è sempre stato un abito un po’ stretto per le
tante associazioni e società sportive.
Forme più flessibili di lavoro non potranno che agevolare lo sviluppo di tutto il settore.