I Racconti del Parco 2 - Edizione 2010

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Un racconto "verde" per un ambiente sempre più verde

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un racconto “verde” per un ambiente sempre più verde 2I Racconti del Parco

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“Un racconto verde per un ambiente sempre più verde”.

Dopo l ’ottima accoglienza ricevuta al suo debutto nel 2009, “I Racconti del Parco” ritrova, alla sua seconda edizione, il consenso e la partecipazione di tanti, appassionati scrittori. Basterebbe questa continuità per tracciare anche nel 2010 un bilancio fortemente positivo dell ’iniziativa, in cui il Parco dei Colli di Bergamo ha creduto sin dalla sua ideazione e che è certamente destinata a consolidarsi nel tempo come classico, istituzionale appuntamento di primavera.L’edizione 2010 conferma pienamente l ’interesse e la passione condivisa per l ’ecologia, per la salvaguardia ambientale, per i grandi temi che riconducono al prezioso equilibrio tra uomo ed ambiente, oggi più che mai al centro degli scenari globali e delle loro possibili evoluzioni.Ecco perché, in questa seconda edizione, si è scelto di focalizzare maggiormente le tematiche di riferimento per le diverse categorie del Premio, suggerendo ai partecipanti quattro argomenti per altrettanti spunti di riflessione e scrittura: mobilità, paesaggio, tradizione del territorio, energia. Elementi che sono parte integrante della storia, della attualità quotidiana, del futuro di ogni comunità, e a cui il Parco dei Colli di Bergamo guarda con tutta la responsabilità ed il coinvolgimento di un attore istituzionale. Elementi che ancora una volta adulti e ragazzi delle Scuole Medie e Superiori - quest’anno ancor più numerosi - hanno dimostrato di interpretare con il piglio e l ’attitudine degli autentici protagonisti.Nella creatività del loro approccio, nelle parole dei loro racconti sono racchiuse l ’espressione e la speranza di un domani sostenibile, in cui il rispetto del patrimonio ambientale, storico e naturalistico rappresenti non un complicato traguardo ma un chiaro, insostituibile punto di (ri)partenza.

Il Presidente del Parco dei Colli

Gianluigi Cortinovis

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IndIce

1) Sezione tematica: Mobilità / “Clorofilla, l’auto del futuro”. Primo classificato categoria Scuole MedieFormula Molecolare C55H7205N4MG di Jacopo Pavoni 9

Primo classificato categoria Scuole SuperioriFoglia verde: la forza del motore di Andrea Bocchin 11

Primo classificato categoria AdultiVegaTM di Silvia Rota Sperti 13

Finalista Scuole Medie“Qui Auto Clorofilla S.O.S. ambiente” di Francesco Ideo 17

Finalista Scuole SuperioriClorofilla, l’auto del futuro di Giorgia Zanchi 21

Finalista AdultiIl dono di Eco e Logìa di Michele Godano 23

2) Sezione tematica: Paesaggio / “Il giardino magico”.Primo classificato categoria Scuole MedieLa magia del bosco di Laura Lodetti 29

Primo classificato categoria Scuole SuperioriIl Paradiso di Giordano Bonaldi 31

Primo classificato categoria AdultiIl passeggino di Giuliana Salerno 35

Finalisti Scuole MedieTutto bene a Ontanopoli? di Giulia Callari 39Ricordi felici di Davide Riboli e Lorenzo Rota 41Il giardino magico: ... come per magia... di Giulia Gabrieli 43Nanuk di Sara Zambelli 47

Finalisti Scuole SuperioriUna VERA casa di Marta Gallerani 51

Finalisti AdultiL’incontro di Paola Grattieri 53Una festa... fantastica! di Stefania Petta 57

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IndIce

3) Sezione tematica: Territorio / “Le leggende di Nonno Riccio”.Primo classificato categoria Scuole MedieLa grande battaglia di Luca Monzio Compagnoni 63

Primo classificato categoria Scuole SuperioriAnche io sarò un Nonno Riccio di Alice Testa 67 Primo classificato categoria AdultiUna di quelle rondini di Alessandro Pelicioli 69

Finalista Scuole MedieNonno Riccio e il Rossì de Grom di Giulio Lazzarini 71

Finalisti Scuole SuperioriLa città di Sunville di Sara Cuni 73Il fiore del fiume di Bianca Alecssia Gaina 77Le riflessioni di Nonno Riccio di Mattia Martinelli 81

Finalisti AdultiLa leggenda della collina incantata di Aurora Cantini 83Il platano di Silvia Rota Sperti 87

4) Sezione tematica: Energia / “Acqua, Sole, Vento”.Primo classificato categoria Scuole MedieUn pezzo di mondo di Robert Sebastian Gaina 95

Primo classificato categoria Scuole SuperioriLa sfida degli elementi di Alessandro Porro 99

Secondo classificato ex-aequo categoria Scuole MedieAcqua, Sole, Vento di Davide Bianchi 103Lo sciopero di Marianna Tentori 105

Secondi classificati ex-aequo categoria Scuole SuperioriUn G8 straordinario di Cristian Camozzi 109Un mondo senza energia di Peimikà Bibiana Serrau 111

Finalista Scuole MedieMadre Acqua, Padre Vento e il Sole di Alessandra Cantini 113

Finalista Scuole SuperioriLa natura si interroga di Mattia Locatelli 115

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1) Sezione tematica: Mobilità “Clorofilla, l’auto del futuro”.

Un racconto per riflettere su Mobilità, Progresso, Ecologia.

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I tecnici in tuta verde, che si aggirano nella grande officina spaziale della “Auto per il Futuro S.p.A.”, sono intenti a progettare il prototipo di un mezzo di locomozione che farà stupire il mondo intero, perché sarà in grado di muoversi, senza inquinare, nell’aria, nell’acqua, ma, soprattutto, sulla terra.

Quell’impareggiabile mezzo di locomozione sarò io.So già che mi battezzeranno “Clorofilla”, che significa verde foglia, ma il mio vero nome è

C55H7205N4MG che corrisponde alla mia formula molecolare.In pratica, dovrei funzionare come le piante che sono in grado di ottenere, grazie alla fotosintesi,

energia dalla luce.Quindi, la mia funzione principale sarà quella di assorbire la luce del sole e di trasferire l’energia

al motore che mi permetterà di scorrazzare in lungo e in largo in ogni angolo della Terra senza mai fermarmi ad alcun distributore per rifornirmi di benzina o di gasolio.

Naturalmente il mio colore è già stato deciso: sarò, come le foglie in primavera, di un verde brillante. Poiché le mie molecole hanno forma arrotondata, io avrò una forma sferica che mi permetterà anche di rotolare, di girare su me stessa e di rimbalzare in caso di necessità.

Come le foglie, sarò tanto leggera che potrò farmi cullare dal vento e dalle onde del mare. Sarò anche tanto morbida che tutti i bambini mi vorranno accarezzare.

La mia plancia prevede strumenti altamente tecnologici: in caso di nebbia fitta, di ghiaccio, di tormente di neve, di uragani o di tsunami potrò portare in salvo i miei passeggeri con l’aiuto di un navigatore satellitare munito di radar e di sonar, precisi al millimetro. I miei sonar saranno tanti delicati che non faranno più spiaggiare delfini e balene per aver perso l’orientamento.

Un carrello estraibile di eleganza stratosferica sarà munito di sci o di snowboard, nel caso in cui volessi far divertire i patiti delle piste innevate, e di pattini per lanciarli in acrobatiche evoluzioni sul ghiaccio.

Formula Molecolare C55H72O5N4MG

diJacopo Pavoni

MobIlItà

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Volendo, potrei far provare l’emozione di danzare sulle punte, di far sognare con i balli latino-americani o con il modern-jazz.

Per i buongustai dai palati più raffinati, chef internazionalmente noti allestiranno nel mio abitacolo una cucina a base di pillole dei cibi più gustosi.

Costerò tanto? Ma nemmeno per sogno! I materiali con cui sarò costruita sono biodegradabili, ecocompatibili o riciclati.

Inoltre, tutti saranno in grado di guidarmi; però è fondamentale che tutti siano in possesso della patente di ecologista.

Che si può volere di più dalla vostra Clorofilla?Sarò il mezzo di locomozione ideale per le future generazioni.La clorofilla è, infatti, vitale e io darò vita alla vita degli esseri umani e all’ambiente.

MobIlItà

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Curno (Italy), 21 marzo 2150

L’avvenimento dell’anno: la presentazione del vincitore del concorso “Eco World Car” per il migliore automezzo ecologico da immettere sul mercato automobilistico mondiale.

Sono ormai anni che i migliori ingegneri del mondo stanno lavorando a questo sconvolgente progetto: in finale ci sono i giapponesi, gli indiani, i tedeschi e gli italiani. Oggi è arrivato il gran giorno: sarà presentata l’autovettura, vincitrice del concorso, che porterà grandi miglioramenti all’ambiente dal punto di vista dell’inquinamento dell’aria. L’aria è, purtroppo, ormai diventata irrespirabile, terribilmente pericolosa, è causa di gravi e mortali malattie; è diventato indispensabile, perciò, costruire un mezzo pulito, non inquinante in modo assoluto e, soprattutto, accessibile a tutti.

L’equipe dei giapponesi ha presentato un’auto alimentata a erba gramigna. Praticamente nel serbatoio viene inserito il succo di gramigna centrifugato e dal tubo di scappamento esce quindi fumo dal profumo d’erba che fa sembrare di essere in campagna pur vivendo nel centro delle più grandi metropoli mondiali.

Il progetto, però, non ha trovato il consenso dei medici allergologi in quanto il fumo fuoriuscito dal tubo di scappamento dell’auto causerebbe un incremento dell’85% delle allergie respiratorie provocate proprio dalla gramigna.

L’equipe indiana è tra le favorite. I suoi ingegneri hanno studiato un’auto alimentata dall’amido del riso, o meglio, dall’acqua in cui viene fatto cuocere il riso che poi viene mangiato. Praticamente la cosa funziona così: tutti i cittadini, i ristoranti, le mense che cuocciano riso devono poi conservare l’acqua di cottura e portarla in appositi raccoglitori che la utilizzeranno come “carburante” per queste nuove ed ecologissime autovetture. Naturalmente allo studio c’è la creazione di aziende che produrranno solo quest’acqua, mentre il riso verrà in parte venduto

Foglia verde: la forza del motore

diAndrea Bocchin

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come cibo precotto e in parte regalato alle migliaia di poveri che vivono negli slums della regione indiana. Il progetto è anche tra i favoriti proprio per la parte che riguarda la solidarietà umana.

L’equipe dei tedeschi è agguerritissima, poter vincere il concorso porterebbe la nazione a produrre l’auto, quindi alla creazione di migliaia di posti di lavoro e, di conseguenza, a migliorare l’economia nazionale che dai tempi del 2010 circa, non conosceva una crisi come quella di questi ultimi anni. Quello che si sa del loro progetto è che l’auto sarà alimentata a luppolo. Ma le critiche sono molte: i costi di produzione delle macchine, per la trasformazione del luppolo in liquido da mettere nell’auto, sono altissimi e le stesse auto, dal design molto aggressivo, sono costosissime quindi non accessibili a tutte le fasce sociali.

Infine l’ingegner Mario Rossi, dello staff del gruppo italiano, mi ha parlato del progetto della loro autovettura. È “Clorofilla” mezzo di trasporto che utilizza, come carburante, la clorofilla appunto, ma una clorofilla che non proviene direttamente dalle piante. Il progetto è rivoluzionario e molto ambizioso. Il mezzo è formato da una piccola struttura, molta leggera, ricoperta da grandi foglie verdi, opportunamente trattate perché non si deteriorino facilmente e non volino via quando l’auto è in movimento. Assorbendo energia dai raggi luminosi, esse creano il processo della fotosintesi la quale azionano così l’auto. I dettagli del motore e del suo esatto funzionamento non li sto a spiegare perché sono molto tecnici e giusto gli ingegneri li possono capire. Un’altra novità di “Clorofilla” è la sua struttura, molto elastica e adattabile anche ai piccoli spazi, pur mantenendo un interno confortevole e ampio. Forse l’unico “handicap” è il colore, che dovrà essere per tutti uguale, il verde delle foglie.

Ecco siamo al gran finale. Stanno decretando il vincitore “And the winner is… ‘Clorofilla’ from Italy”.

L’applauso è stato grande, “Clorofilla” piace veramente a tutti e chissà che proprio il suo colore, il verde, ci dia la speranza di vivere d’ora in poi in un mondo più pulito e più rispettoso dell’ambiente rispetto a quello in cui viviamo ora.

Il vostro.

MobIlItà

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Le sue mani sprofondavano nel verde. Si allungavano come radici, ancorandosi saldamente al terreno umido, marrone rossastro. I capelli bruni si tingevano di verderame e diventavano un tutt’uno con l’erba, le felci. Le gambe erano fasciate da virgulti che crescevano come per un processo primaverile accelerato: millimetri al secondo, getto dopo getto, foglia dopo foglia.

Clorofilla guardò il cielo terso. Un senso di panico le soffocava il petto. Non riusciva a muoversi, quasi a respirare. Il fogliame la stava divorando. Si guardò i piedi: due radici legnose, robuste. Il suo volto si stava coprendo di muschi e licheni. Maledizione! Il terreno umido le corrodeva le ossa per farne materia organica, nessuno si sarebbe accorto di lei…

“Aiuto! Aiutatemi! ” gridò, ma in bocca sentiva già un sapore di terra. In un lampo pensò ai suoi genitori, alla vita che lentamente l’abbandonava…

Qualche ora prima.Clorofilla si era svegliata tardi, quella mattina. La primavera insisteva fuori dalle finestre della

sua villa palladiana con una brezza fresca e frizzante, e il sole era già alto sopra la collina.Scapigliata, vagamente pallida, la giovane donna premette il pulsante che spalancava

simultaneamente le finestre della zona giorno e inviava il segnale per il caffè a Vinnie, la domestica robotizzata tuttofare.

Era stata una notte lunga e percorsa da strani presagi. E il giorno non prometteva di meglio: l’aspettava un congresso con i responsabili delle massime multinazionali automobilistiche, uomini d’affari, politici e via dicendo. A Londra, alle due in punto. Sapeva che non sarebbe stato facile.

S’infilò svogliatamente la vestaglia e uscì sulla terrazza. La primavera era deliziosa, nel bosco. La stagione si stava risvegliando ed era un tripudio di gemme e colore. Non ricordava com’era il mondo quando ancora c’erano quattro stagioni. Forse tra una cinquantina d’anni, nel 2300, ne sarebbe rimasta solo una: una lunga parabola semi sbiadita e monotona, una perenne non-

VegaTM

diSilvia Rota Sperti

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stagione. Per il momento, comunque, c’erano ancora la primavera e l’autunno, e tanto valeva goderseli.

Ma doveva pensare al congresso. La sua azienda multimiliardaria aveva aperto nuove sedi a Taiwan e nel sudest asiatico, ma la concorrenza di Polvo, BMX, Feline Motors e Claxon si stava facendo insostenibile. Quelli non esitavano a giocare sporco. Assoldavano squadre di teste di cuoio, corrompevano governi, facevano sparire la gente e insabbiavano tutto. E lei era un elemento scomodo, lo sapeva bene.

Il suo modello, la carrozza VEGA™, era semplicemente il top dei top. E le vendite lo dimostravano. Una carrozza che sfruttava la fotosintesi clorofilliana, combinando l’energia solare con acqua di fonte contenuta in uno speciale serbatoio, per avere glucosio immediatamente utilizzabile dal primo motore glicolitico nella storia dell’umanità. Il tutto potenziato da un super acceleratore ionico a tensione bipolare, con prestazioni da lasciare a bocca aperta qualunque fisico old school. Una resa cinque/sei volte superiore ai più moderni motori a trazione nucleare brevettati dall’americana Claxon. Un’altra era geologica rispetto a benzine e affini. Insomma: una rivoluzione.

La carrozza viaggiava fino ai 300 Km/h, cinquanta Km con un’ora di esposizione solare, zero impatto ambientale – se non si considerava lo smaltimento di pneumatici, motore e serbatoio, tutti rigorosamente in leghe biodegradabili. Clorofilla aveva impiegato i migliori scienziati, sfruttato la massiccia eredità di famiglia e alla fine la sua idea di un’auto potentissima e dal cuore verde era diventata realtà.

Oltre sessanta milioni di modelli venduti, con fatturati stellari e buona pace degli ambientalisti di GreenTerror, che ormai non ci pensavano due volte a far fuori chi sgarrava al loro Canone.

Comprensibile che a qualcuno non piaccia, pensò Clorofilla con una punta di soddisfazione. Adesso però il gioco si stava facendo pesante. Oltre alle minacce, allo spionaggio, al terrorismo finanziario, ai sabotatori scientifici e tutto quanto, ci si mettevano pure i governi.

Clorofilla aprì il giornale del mattino. Come previsto: la lega formata da Claxon, Alpha e Polvo aveva stretto un accordo con gli asiatici per falsare i parametri al meeting ambientale di Londra, previsto per quel pomeriggio. Non solo, la Yakuza avrebbe mandato delegati sotto falso nome. Facile prevedere cos’avevano in mente, i musi gialli. Speronare la Lega Verde e farsi strada nei paradisi finanziari delle compagnie americane, offrendo condizioni economiche inarrivabili.

Come se non bastasse, GreenTerror aveva dichiarato di volersene lavare le mani e il governo si piegava come una banderuola agli interessi delle multinazionali. Con una massiccia campagna televisiva, stava convincendo la popolazione a boicottare le carrozze a impatto zero e a preferire

MobIlItà

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le auto a trazione nucleare. Ci mancava quel maniaco populista…I pensieri di Clorofilla furono interrotti dal viva-voce di Vinnie.“Caffè a percentuale 78 di miscela arabica naturale in arrivo. Ah, e una chiamata in attesa da

Londra.” “Agente C6H12O6” risuonò una voce maschile dall’interfono satellitare. “C6H12O6! Spero che tu abbia buone notizie.” “Clorofilla, se fossero tempi di buone notizie avresti un giardiniere in più e un agente segreto

in meno. Purtroppo quelli non scherzano. Hanno in mente un attentato, per oggi, alla sede del congresso. Alle ore 14:20, ora locale di Londra. Inutile che ti dica chi è l’obiettivo.”

Clorofilla non era nuova a minacce di morte. La sua VEGA™ faceva gola a molti e, se lei fosse morta, il brevetto sarebbe finito in pasto ai pescecani. In fatto di sicurezza, la Lega Verde teneva quanto uno scolapasta. “Dimmi di più.”

“Gas nervino, Soman per la precisione. Durante la pausa caffè. Un sistema di porte scorrevoli escluderà chi di dovere. Tu e quelli della Lega Verde sarete come polli in gabbia. Daranno la colpa a GreenTerror o ai fondamentalisti di Potere ai Pedoni. Tutto il mondo avrà gli occhi puntati sul congresso, non sarà difficile. E loro ne usciranno puliti. Semplice.”

Clorofilla rimase zitta un attimo.“Quindi cosa mi consigli?”“Ho controllato le uscite di sicurezza e gli impianti dell’edificio. Non avresti speranze. L’unica

cosa che puoi fare, questa volta, è non prendere quell’aereo, non andare al congresso, inventarti una scusa. Al resto penserò io. Ma tu non muoverti.”

Un brivido le attraversò il corpo. In tutta la sua carriera, Clorofilla aveva dovuto lottare duro, ma non aveva mai abbassato la testa. Non era abituata a mostrare le proprie fragilità. E poi, la sua carrozza era troppo importante. Non partecipare al congresso sarebbe stato come tirarsi fuori dal gioco. C’erano già progetti per estendere il motore glicolitico agli aerei, all’aeronautica militare, alle navette spaziali…

“Agente C6H12O6, mi chiedi troppo. Oggi andrò al congresso, e tu verrai con me. In venti minuti riusciremo a smascherare il complotto.”

“Ma Clorofilla, quelli avranno nascosto il Soman chissà dove. So per certo che utilizzeranno la rete di areazione dell’edificio, ma non ho abbastanza tempo. Sii ragionevole. Faremo una brutta fine, tu ed io.”

“Ti aspetto all’aeroporto di London City all’una e mezzo in punto, C6H12O6. Passo e chiudo.”

MobIlItà

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17 I RaccontI del PaRco 2

“Ma Clorofilla…” La linea diventò muta. Clorofilla guardò il sensore temporale innestato sotto la sua pelle. Le dieci e un quarto. Si

sdraiò per terra a contatto con l’erba fresca, come faceva sempre quando cercava una soluzione a un problema. Il cielo era limpido. Tutt’a un tratto la brezza leggera si fece più forte. Gli uccelli cominciarono a cinguettare con più insistenza. Clorofilla provò un brivido. Aiutami, bosco, pensò. Dammi la forza, il coraggio…

Fu allora che cominciò. Le mani che sprofondavano, i capelli che crescevano, le gambe ancorate al terreno. Non riesco a muovermi, dannazione! I piedi come radici salde e legnose. Lasciami andare! Ma la vegetazione cresceva, cresceva. L’aspettavano in aeroporto. Doveva liberarsi! Presto! Ma il muschio cominciava a coprirle gli occhi, la bocca, a spandersi su pelle e tessuti. L’aereo! Non posso! Lasciate… mi…

Clorofilla si svegliò che era quasi buio. Ancora distesa, ma libera da quel sinistro intrico vegetale. Il suo pensiero andò subito al congresso. Afferrò l’interfono di scatto.

“C6H12O6?”“Clorofilla. Hai visto le news? Quelli hanno fatto saltare tutto. Non solo il gas nervino. Cinque

cariche di dinamite, un disastro. La Yakuza è subentrata e ha eliminato i dirigenti del settore americano. L’hai scampata per un miracolo.”

Clorofilla rimase immobile, lo sguardo fisso. Aveva ancora un leggero sapore di terra in bocca. Ecco com’era andata, quindi.

Era consapevole di una forza silenziosa che l’avvolgeva, la proteggeva. Una forza che andava al di là dello strapotere industriale e finanziario, del suo stesso coraggio.

Si distese di nuovo sull’erba. Era il crepuscolo e l’aria era dolce, i passeri cinguettavano sereni e il bosco intero sembrava sorriderle.

Ce l ’hai fatta anche questa volta disse rivolta al bosco, o forse a se stessa.

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18 I RaccontI del PaRco 2

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Mi chiamo Clorofilla e sono l’auto più venduta degli ultimi cinquant’anni. Sono lunga tre metri e mezzo ed assomiglio ad una piccola macchina sportiva verde.

Sono dotata di tutti i comfort, ma la cosa più bella in me è che non inquino, perché sono alimentata a clorofilla che, con l’aggiunta di acqua piovana ed anidride carbonica presa dall’aria, mi fa muovere e produrre ossigeno; dal mio tubo di scappamento, quindi, fuoriesce ossigeno puro.

Sono in grado di comunicare e vedere il passato grazie alla mia intelligenza artificiale.Se queste cose vi suonano un po’ strane, sappiate che vi sto scrivendo dalla mia epoca, il 2150.Vivo in una casa nel Parco dei Colli. Il mio mondo è ecologico, c’è la raccolta differenziata dei

rifiuti, l’aria è pulita e l’acqua pura.L’unico problema è che sono rimaste persone legate a vecchie e pessime abitudini. Ci sono, ad

esempio, cacciatori di frodo.Nel mio paese le case sono tutte ad energia eolica e solare. Hanno una forma a cupola e non viene

usato il legno come materiale da costruzione, ma un vetro resistentissimo e fotocromatico.Le auto sono diverse tra loro: si va dalle OXYGEDDON, alimentate ad ossigeno spaziale,

alle ELECTRA, capaci di spostarsi alla velocità della luce, alle TRITON, in grado di muoversi sott’acqua.

La mia famiglia è composta da papà Edoardo, mamma Giorgia e due fratelli Marco e Mirco.Edoardo è una G.S.C. (Guardia per la Salvaguardia dei Colli). Ha una postazione dalla quale

osserva gli animali, vede pericoli e analizza aria ed acqua.Giorgia, invece, è una progettista. Tra le sue invenzioni migliori ci sono le auto a clorofilla

come me, il frullatore molecolare (in grado di cambiare le molecole, è la miglior cura per i tumori, che però nella mia epoca sono rarissimi) e la macchina del tempo.

Marco e Mirco sono due gemelli molto rispettosi della natura. Sono però un po’ troppo vivaci:

“Qui Auto Clorofilla: S.O.S. ambiente”

diFrancesco Ideo

“QuI auto cloRofIlla: s.o.s. aMbIente”

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un paio di uragani a due gambe!In quanto a me, io lavoro al P.S.A.P. (Pronto Soccorso Animali Protetti), un ospedale moderno

ed efficiente per curare animali feriti come scoiattoli, ghiri, donnole, cicogne, garzette ed altri uccelletti. Il mio lavoro consiste nel recuperare animali feriti e portarli all’ospedale. Il mio baule è stato perciò attrezzato come una piccola ambulanza molto capiente.

Nella mia epoca abbiamo tutti una filosofia salutista: mangiamo sano, non fumiamo, non beviamo, facciamo tutti attività fisica (sono campionessa di salto acrobatico con rampe!)…

Inoltre, come forse avrete già intuito, amiamo la natura.Purtroppo, però, capita che qualcuno si comporti male.Sentite un po’ cosa m’è successo un mesetto fa: ero nella mia ronda quotidiana del Pronto

Soccorso quando a un certo punto mi ha chiamato Edoardo:“Ho avvistato un cacciatore vicino alla scuola dei bambini!”Non me lo sono fatto ripetere due volte e mi sono fiondata all’attacco.Mi aggiravo nel bosco, ma non vedevo nessun cacciatore (accidenti all’inventore dei vestiti

mimetici!) fino a quando non ho sentito uno sparo. Seguendo il suono, sono arrivata da un cacciatore che avanzava verso un magnifico esemplare

di airone rosso, ferito all’ala.Subito ho fatto uscire il braccio robotico (optional a 523 euro) e ho dato una botta all’albero,

dal quale è caduta una pioggia di pigne che ha centrato in pieno il fuorilegge. Allora il cacciatore si è girato verso di me. È in quel momento che l’ho accecato con gli abbaglianti, col braccio robotico ho preso l’airone e l’ho posato nel baule-ambulanza.

Sono sgommata via, ho acceso le sirene e ho imboccato la statale.L’airone era ferito gravemente, perciò non sono andata all’ospedale, troppo lontano, ma a

casa.Qui Marco e Mirco l’hanno curato con una medicina inventata dalla madre, l’Ossofast (un

composto di monossido di calcio e triossido di zinco, in grado di saldare e far ricrescere le ossa) e tutto è finito bene.

Oggi l’airone si è completamente ripreso, ma non ha più voluto lasciarci, perciò è diventato il nostro airone rosso domestico. Solo che i bambini potevano scegliere un nome più appropriato: l’hanno chiamato Egberto!

Questo è il mio futuro, ma non date per scontato che per voi sarà così: accendendo il mio monitor, ho fatto un viaggio nel passato e ho visto la vostra epoca.

Infatti, anche se qualcuno qualche anno fa si è deciso a dare una svolta alla civiltà

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20 I RaccontI del PaRco 2

dell’inquinamento, voi non sembrate ancora molto adatti a farlo.Vi ostinate ad usare auto, moto, treni, navi ed aerei che emettono quei ‘fumi puzzolenti’ (così

li chiamo io).Buttate rifiuti dappertutto.Non riciclate NIEN-TE!!Estinguete specie rarissime.Così non va ragazzi!Mi è giunta persino notizia che avete buttato migliaia di metri cubi di petrolio in un fiume!Ma avete idea di quanti esseri innocenti avete ucciso, assassini!?!?Voi giovani, che siete il futuro, cominciate a cambiare abitudini.Cominciate ad usare poco l’auto, a non sprecare l’acqua, a non usare materiali inquinanti e

soprattutto, a rispettare la natura.Vedrete che renderete questo mondo UN MONDO MIGLIORE.Spero di avervi illuminato.Alla prossima!

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“QuI auto cloRofIlla: s.o.s. aMbIente”

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Dopo anni e anni gli uomini si sono accorti di ciò che avevano fatto all’ambiente.Avevano distrutto la loro casa piena di alberi, tranquillità, di aria per costruirne una nuova più

nociva, più scomoda, meno libera che tutti definivano “Era del consumismo”.Abitavano in un luogo dove tutto era sfruttato fino all’ultimo centimetro, dove l’ossigeno

veniva soffocato dai gas, dall’inquinamento, lo stesso che pian piano soffocava tutti gli esseri viventi. E tutto questo per superficialità... avremmo fatto sicuramente più colpo in una macchina costosissima che in una mediocre autovettura preziosa per il suo minimo consumo, pensavano ingenuamente.

Meglio un’auto bella, dai consumi massimi anziché un’autovettura in cui il lusso non sta nel costo, nell’estetica e nei mille elementi aggiuntivi, bensì nella possibilità di migliorare il nostro ambiente.

Nacque così l’idea di Clorofilla, l’auto del futuro, del futuro più pulito e meno rovinato dall’uomo.

Sarà l’auto più innovativa degli ultimi dieci secoli, movimentata da foglie tritate in autunno, da pioggia piovana in inverno e dai raggi del sole durante l’estate; un vero gioiellino che avrà al suo interno quattro posti e occuperà spazio minimo sia su strada che nel cielo.

Cambierà colore in base al clima, che sia caldo o freddo, che sia umido o secco e in caso di pioggia diverrà blu. I sedili anteriori saranno perfetti per essere colorati, disegnati per intrattenere i bambini durante il viaggio e facili da pulire passando semplicemente uno straccio appena umido.

Il progetto è dunque ben avviato con una squadra di professionisti del campo alle spalle tra cui la rinomata famiglia Cloro. La fabbricazione avrà inizio a partire da questo Giugno 2148 e già in vendita a partire dal Gennaio 2150 in tutti i maggiori centri commerciali italiani a partire dunque da Milano, Torino e Roma.

Clorofilla, l’auto del futuro

diGiorgia Zanchi

cloRofIlla, l’auto del futuRo

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23 I RaccontI del PaRco 2

Sarà l’auto del momento, alla portata di tutti e disponibile in tutti i colori e fantasie possibili, migliorerà il futuro di tutti e dell’ambiente. Non c’è che dire... un vero affare che conferma ancora una volta l’automobilistica italiana come la migliore.

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24 I RaccontI del PaRco 2

Nel verde più verde del Parco dei Colli si aggira una forma sinuosa, morbida e arrotondata di un verde sgargiante, vivo, naturale.

Esseri metà uccelli e metà farfalle colorano di rosso, azzurro e giallo i prati e i terreni arati. Un arcobaleno perenne riempie i cuori della gente.

Quella forma dolce risplende al sole tra i mille colori di una natura ridesta.Il grigio non esiste più e gli occhi spalancati di persone e animali riflettono la gioia del

creato.Spostarsi è comodo, veloce! Dal lavoro al supermercato, dalla scuola al campo da tennis, dal

medico alla palestra… che piacere muoversi con Clorofilla!Clorofilla è un’amica docile senza gambe, senza ruote, ma veloce, veloce. Viaggia a mezz’aria, quasi fosse un tappeto erboso magico, soffice come una nuvola, avvolgente

come la panna da poco montata.Clorofilla è anche un gioco per i più piccoli, che si fanno cullare per poi rotolare su e giù tra

l’allegra armonia di cinguettii di pettirossi e ronzii di innocui insetti svolazzanti.Se piove, Clorofilla si ricarica, si ricopre di un fogliame speciale che, come una spugna, trattiene

e rilascia l’acqua, il carburante naturale che, attraverso piccoli canali interni tra loro comunicanti, giunge alle estremità.

Il suo manto si dipinge di un verde intenso e riempie di schizzi leggiadri le proprie tracce. Se piove a dirotto l’acqua in eccesso viene raccolta nel vano di ristagno per la gioia di rane,

rospi e salamandre, che trovano in Clorofilla un luogo sicuro e accogliente. Se il vano di ristagno non è capiente ci pensa Sorgente: il grande bacino di sfogo dei pianti ridenti di Clorofilla.

Se c’è il sole, Clorofilla diventa ancora più brillante e trasforma l’acqua in una cascata di zucchero che rende dolce il suo viaggiare e quello dei suoi passeggeri.

L’aria diventa ancora più fresca e salutare perché Clorofilla libera nel vento il suo amico

Il dono di Eco e Logìa

diMichele Godano

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Il dono di Eco e Logìa

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25 I RaccontI del PaRco 2

prediletto, il suo fido compagno di viaggio, l’instancabile Ossigeno.I bambini diventano ancora più allegri, euforici, scintillanti e fanno a gara su e giù per i Colli

inseguendo aquiloni che si liberano alti, sospesi nell’aria da un vento fresco. Talvolta uno sfavillio illumina ancor più il cielo: sono gli aquiloni che, per la velocità raggiunta, emettono piccoli bagliori di scintille accese dall’onnipresente Ossigeno.

Ed ecco la meraviglia di tutti nel vedere comparire le stelle di giorno! Chi non ha provato almeno una volta nella vita a fermarsi col naso all’insù a contemplare il

cielo stellato e navigare in un mare di sogni nello spazio e nel tempo infiniti della notte!?La sintonia e la potenza di Clorofilla e Ossigeno ora ci offrono questo piccolo grande miracolo

e i bambini rinnovano la nenia intonando: stella, stellina il giorno si avvicina…

Splendor, primogenito di Fulgor e di Alben, i più anziani abitanti dei Colli, ama la bicicletta e su e giù per il Parco dei Colli gareggia con lepri, marmotte e cerbiatti. Splendor ha sei anni, le guance rosse contornate da splendide lentiggini, gli occhioni neri ed un ciuffo color rame che spunta dal cappellino blu.

Canta felice sulla sua bicicletta, quando all’improvviso sente un fischio lontano. Sembra un suono familiare, ma allo stesso tempo imprevisto: il tono è molto più acuto di quello della cinciarella o del treno in arrivo. Istintivamente Splendor smette di cantare per ascoltare meglio e scoprire la provenienza di quel sibilo: inizia a pedalare velocemente verso l’altra parte del Colle dove sembra generarsi quel fischio.

Incontra tanti piccoli amici che, richiamati da quel fischio, accorrono da ogni dove alla ricerca dell’origine incompresa e irraggiungibile del suono misterioso dell’universo.

Ogni volta che Splendor oltrepassa un Colle il fischio sembra spostarsi oltre, da un Colle all’altro e così, su e giù per tutto il Parco, è un brulicare di biciclette e di bambini affaticati, ma sempre spinti dall’energia infinita della curiosità.

Ancora una volta Clorofilla è al centro della vita e dei giochi dei bimbi: un’enorme gigantesca striscia verde si è liberata nell’aria e volteggia fischiando e lasciando dietro di sé una magnifica scia profumata.

Clorofilla ha finito il suo percorso e sa di dover contribuire al benessere del Parco. Così al termine dei suoi giorni, quando il ritmo delle stagioni non regge più il ritmo dell’uomo errante nel mondo, Clorofilla apre la valvola di sfogo e si trasforma in un palloncino fosforescente, brillante e gelatinoso che, tra l’eco dei Colli, sibila avvisando tutti e tutto del proprio sacrificio.

Clorofilla è viva!

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26 I RaccontI del PaRco 2

E come accade per la vita vissuta più vera e compiuta, ella si dona e ritorna alla sue origini lasciando di sé il passato e il presente, il moto e il divenire, il correre e il sostare. Viaggi nuovi l’aspettano, viaggi straordinari, guidati da madre Natura, che accoglie, sostiene, rigenera e consola.

Splendor resta abbagliato, esterefatto, ma nel cuore si sprigiona una gioia immensa, infinita. Riprende la sua amata compagna di viaggio, e pedala, pedala alla ricerca della prossima Clorofilla. Si proprio così: mai aveva provato una sensazione così intensa!

Chi al suo posto non avrebbe voluto ritrovare ciò che l’aveva reso felice, tanto felice da fargli superare la sofferenza della fatica fisica per il tanto pedalare, della lontananza dai propri affetti e da ogni altra cosa fosse stata importante nella sua vita fino a quel momento?

Eppure tante volte il cuore arido e duro, ormai ingrigito e intristito, fa resistenza e non si lascia coinvolgere nel vortice positivo e infinito della Natura e delle sue espressioni migliori: Clorofilla, Ossigeno e Sorgente.

Splendor è divenuto parte, anzi protagonista della manifestazione sublime del creato e in lui arde il germe dell’infinito, del bello, del senso della vita.

Fulgor e Alben, papà e mamma conoscono il mistero immenso che avvolge il creato: hanno visto l’origine di Clorofilla, l’hanno vista nascere e così come loro hanno dato alla luce Splendor, così sanno quale immenso sacrificio il padre Eco e la madre Logìa hanno dovuto affrontare per generare un dono così grande e unico.

Eco e Logìa abitano da tempo nel Parco dei Colli e sperimentano ogni giorno la fatica di mantenere il creato pulito e vivibile come è stato a loro donato. Si sono sempre impegnati e hanno dedicato la loro vita al supremo valore dell’esistenza: il rispetto del bello.

Eco raccoglie tutti i giorni ritagli di carta, fogli di giornali, pezzi di plastica, strani ingranaggi di metallo e scarti di ogni altro genere di materiale, che in giro per i Colli gli abitanti, incauti e ignari della bellezza del creato, abbandonano ogni giorno.

E che fare poi di quei rifiuti? Ci pensa Logìa, la mente della famiglia, colei che tutto aggiusta, tutto inventa, tutto recupera.

Nulla va mai perso: ogni piccolo oggetto, ogni minuscolo rifiuto altrui diventa nelle sue mani un tesoro prezioso.

Logìa è la madre creatrice, colei che genera, colei che dal nulla crea, colei che è parte del creato e nello stesso tempo creatrice di parte di esso.

Ma è insieme a Eco che ha realizzato il sogno di sempre, il frutto generoso della sua esistenza, il mezzo perfetto e supremo da donare in eredità agli abitanti del Parco dei Colli: Clorofilla.

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Il dono di Eco e Logìa

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2) Sezione tematica: Paesaggio “Il giardino magico”.

Colori, profumi, storie da un mondo incantato.

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29 I RaccontI del PaRco 2

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30 I RaccontI del PaRco 2

Corro, corro, corro, corro. Se mi fermo sono spacciato. Corro, corro, corro, corro, ci sono quasi, corro, corro, corro, manca pochissimo, dai che ci sono, corro, corro, corro… tana. Ce l’ ho fatta. Anche oggi. Grazie. Grazie a chi? Non lo so. Ma so che la mia vita è tutta così. Correre, mangiare, dormire. Correre, dormire, mangiare. Correre. Scappare. È ordinario, per un riccio. E visto che io sono un riccio, è ordinario anche per me. Oggi non esco più: ho già mangiato a sufficienza, e fuori è pieno di mangia-ricci. Ho tanta paura dei mangia-ricci: tu sei lì che cerchi qualcosa da mangiare, e tacchete, arriva un mangia-ricci alle tue spalle e ti massacra per nutrirsi di te. Non è terribile? Sì che lo è. Se poi sei un riccio, è ancora più terribile. Ma ai mangia-ricci penserò domani. Per ora dico solo: “Buonanotte e sogni d’ oro”. Sogni d’ oro a chi? Non lo so. Ma so che ho sonno, è tardi e ho assolutamente bisogno di riposare. Buonanotte.

Corro, corro, corro, corro. Se mi fermo sono spacciato. Nel senso che muoio di fame. Devo assolutamente prendere quel dannato riccio. Corro, corro, corro, ci sono quasi, corro, corro, corro… si è infilato nella sua stramaledetta tana. Anche oggi salto cena. Ma bene! Continuiamo così, a farci prendere in giro dai ricci. Che tra l’altro hanno anche le spine: ora che ci penso è meglio che non l’abbia preso. Ci avrei messo un sacco a mangiarlo senza pungermi. Magari era anche vecchio, c’è di meglio. Il problema è che fra un po’ svengo dalla fame. Chissà se l’erba è buona. Potrei provare… no, i lupi che si rispettino non mangiano mai l’erba. Sarebbe un disonore. Meglio morire di fame che mangiare l’erba. Spero di riuscire a raggiungere la mia tana, e domani di trovare qualcosa da mangiare. Ho tanta fame…

Accidenti, accidenti, accidenti, accidenti! È almeno la centesima volta che oggi qualche animale mi calpesta e non mi ammira, come invece tutti dovrebbero fare. Sono o non sono la più bella margherita del boschetto? Anzi… ero la più bella margherita del boschetto… ora la

La magia del bosco

diLaura Lodetti

PaesaggIo

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La magia del bosco

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31 I RaccontI del PaRco 2

bianca corolla che stamattina avevo lavato con tanta cura e amore è diventata tutta grigia, e i petali sono tutti rovinati: povera me… perché dovevo sbocciare proprio al centro del sentiero? Ma tanto non fa niente: chiamerò la formica Ametista l’estetista! Certo che ha un bel nome: perché mio padre non ha pensato di chiamarmi così? Forse potrei comprarle il nome, e darle il mio, che è proprio poco originale: Regina Margherita Di Sentiero Bagnato & Calpestato In Autunno E In Inverno, Secco & Altrettanto Calpestato In Primavera E In Estate. Sì, è proprio una buona idea.

Ah, ah, ah, ah… il vecchio lupo è rimasto a bocca asciutta, il piccolo riccio è in salvo e la margherita vanitosa ha avuto ciò che si meritava, anche se quella santa di Ametista la farà tornare come prima, anzi meglio. Non so come possa una piccola formica sopportare la “signorina RMDSB&CIAEII,S&ACIPEIE”. So che non accetterà lo scambio di nome… Come farebbe? Estate non fa rima con estetista…

Io sono l’albero più alto, più vecchio e più saggio di tutto il bosco, e sono l’ unico autorizzato a giudicare e commentare (ovviamente senza fare commenti taglienti, ma solo commenti “giusti”) tutto ciò che succede qui. Inoltre devo sempre informare il capo supremo. Posso entrare nelle menti altrui, conoscere tutti i pensieri e raccoglierli. Molti animali non lo sanno, quindi si comportano e pensano come animali normali; ma in realtà questo bosco è magico, anche se non è necessario saperlo.

La magia è nell’aria. Basti considerare un semplice fatto: non avete appena letto dei pensieri di animali e piante, in

ordine dal più reale al più fantastico? Se non vi sembra magia, rileggete il testo con più attenzione, magari pensando davvero di essere un riccio, un lupo, una margherita vanitosa: la natura vi sembrerà più viva.

E questi sono i consigli di un vecchio albero.

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32 I RaccontI del PaRco 2

Una porzione infinitamente millesimale del pianeta terra... un insieme di colori disposti con quella casualità che sa di perfezione.

Perché un bosco, un giardino, un prato, sfiorati dai primi raggi di sole della primavera, sono unici?

È il bosco... è il giardino... è il prato.Provate a chiudere gli occhi. Tranquilli, non voglio che dormiate...Quanti boschi, quanti prati, quanti giardini esistono in questa piccola porzione di universo...

Per ogni giardino,ogni bosco, ogni prato c’è una famiglia che ritiene unica la propria parte di verde.

Adesso aprite gli occhi. E consapevoli della mia buona fede, richiudeteli... Non sono un prestigiatore,sono solo un giovane con un cuore che batte, che vibra, che vive.

Pensate al paradiso. Immaginate il paradiso appunto, ovvero il luogo più incantevole che l’evoluzione umana sia stata in grado di costruire nella sua anima... Uno spazio che nemmeno le favole più belle riescono a creare...

Se volete, riaprite gli occhi, ora... Lo Vedete, lo Sentite... Si! Ne udite l’armonia...Ma cos’è il paradiso? Quant’è grande? Che profumi emana? Di cos’è fatto?Beh, probabilmente queste sono domande a cui nessuno potrà mai rispondere, o meglio, a cui

nessuno riuscirà a rispondere.Partiamo dal presupposto che l’ambiente di cui sto parlando, appunto il paradiso, non è una

regione come le altre, è solo un paese dove il tempo si ferma, dove la bussola non serve più, dove la mente è calma e serena. Là dove tutto è bello... Là dove tutto è armonico... Là dove tutto è perfetto.

Ricordate quanto detto prima, che a ogni persona corrisponde un angolo di natura? Ma il paradiso che io ho immaginato, è uguale a quello che hai creato tu? Pensi sia simile al suo? Al

Il Paradisodi

Giordano Bonaldi

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Il Paradiso

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33 I RaccontI del PaRco 2

loro? A quello di qualcun altro?Vi starete chiedendo che legame ha il paradiso con un prato, con un giardino, con un bosco...Beh...Stiamo vivendo in un mondo che corre all’impazzata. Siamo dentro il vortice della nostra

mentalità e siamo incapaci di uscirne. Ci troviamo all’interno di una grossa palla infuocata che acquista sempre più velocità e fa sempre più paura. Siamo immersi negli abissi della monotonia. Ogni giorno ci alziamo e andiamo di fretta come se qualcuno, sopra di noi, ci comandasse. Andiamo di corsa perché il mondo lo impone. Perché il presente lo impone. Perché la frenesia lo impone.

Anche io sono dentro la palla... Ma l’universo ha voce... È canto... È memoria...Scrivo in maniera così rilassata perché sono sulla scrivania nella mia camera: uno degli ambienti

più significativi della mia vita... Qui ho scritto lettere, qui ho mangiato rabbia, qui ho pianto, qui mi sono addormentato... Qui... Penso non ci sia posto migliore per fermarmi un attimo.

A riflettere... A pensare... A scrivere.Abito in un piccolo paesino, preso in ostaggio da abeti e noccioli. Quando mi alzo e apro la

finestra della mia stanza, come d’incanto appare una montagna splendida, tanto incantata da assomigliare a una scultura greca... Baciata dall’alba e dalle sue infinite sfumature di colori...ricoperta di neve... ha quell’eleganza compiuta che non hanno nemmeno le donne vestite dallo stilista più in voga...

Ma la fretta ruggisce, mi reclama con arroganza... Devo fare in fretta altrimenti perdo il pullman della scuola...

Quando torno a casa mangio velocemente ed esco subito con gli amici. Mentre percorro la strada per arrivare al campo di calcio, mi guardo in giro, e, a ogni respiro che faccio, la mente è come se scomparisse, mi si libera sempre più... Vedo cuccioli di gatto, protetti dall’alto di un noce quasi secolare, dalla mamma, bere dalla stessa scodella stracolma di latte; cani, con quel loro fare curioso, che odorano i nuovi profumi della primavera che sta nascendo; uccellini che cantano la felicità.

Appena tolgo lo sguardo da questi, però, cala il silenzio. Un silenzio bellissimo... Un silenzio che canta... A parlare è solo il vento, con quel suo essere ovunque e con quel suo accarezzare le foglie in un modo che sa di magia...

Con i miei amici, ogni pomeriggio, ci troviamo al campo dove siamo cresciuti per poi andare alla cascina. Nessuno ha mai voglia, ma in un modo o nell’altro troviamo sempre un pretesto per andarci.

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34 I RaccontI del PaRco 2

Sempre lo stesso sentiero... Sempre gli stessi alberi, le stesse rocce, gli stessi prati...Ma ogni giorno è diverso. Ogni giorno è bellissimo...Camminare tra le foglie e respirare quell’essenza di legno mista al profumo inebriante di terra

fresca e fiori appena nati... Vedere scoiattoli scappare lentamente, perché ormai ci conoscono... Sedersi un attimo e osservare in silenzio famiglie di caprioli brucare l’erba giovane ancora bagnata dalla neve sciolta... Sdraiarsi su un letto verde e rialzarsi tutti fradici... Coprirsi gli occhi per un riflesso del sole che sembra spezzare una goccia di rugiada...

Il Paradiso che vive...Quando il sole inizia a nascondersi dietro le valli dell’orizzonte vuol dire che bisogna tornare,

purtroppo. Mi intrigano assai le tonalità che la luce solare dà al paesaggio con quella maniera che sa di assoluto, di stregato...

Questo è il mio paradiso.Questo è il mio angolo di verde: è il paese dove sono cresciuto, dove nessuno gioca in casa più

di me... Ogni angolo fa parte di me.Questo è il giardino della mia vita.Questo è il bosco della mia coscienza.Questo è il prato del mio essere. Ah! dimenticavo...Dimenticavo di raccontarvi il paradiso di notte... Un oceano di stelle splendenti, che, quando

le osservi, non riesci a credere che qualcuno abbia potuto creare un qualcosa di così elegante...La Luna, padrona di tutto, illumina le montagne da lassù e ne traccia i contorni... L’aria gelida ti coccola il viso come se ti volesse togliere, per un istante, tutto quello che di negativo hai dentro.

Volano via così la rabbia, la solitudine, la malinconia, lo stress, le delusioni, e, io uomo, piccolo granello dell’universo, mi sento semplicemente di sorridere alle stelle che... Ora... Ammiccano tra le nuvole...

PaesaggIo

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Il Paradiso

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35 I RaccontI del PaRco 2

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36 I RaccontI del PaRco 2

UNO

Una vertigine la prese mentre sollevava il bambino dal letto. Con la coda dell’occhio, la mamma intravide il divano alle sue spalle, prese, svelta, la misura e con un lieve slancio vi fu seduta sopra. La bocca umida del bimbo fu sulla sua per un istante. Lo allontanò dolcemente, con la mano asciugò la saliva del piccino da sé e dalle guance di lui. Poi affondò il naso nel piccolo, tra il collo e la magliettina, e inspirò profondamente. Ancora quella vertigine. Di felicità.

DUE

Il sabato successivo, il bambino compiva cinque mesi. Il suo capo biondo ondeggiava sullo schienale del passeggino, mentre la mamma lo spingeva sul sentiero 316 del Parco dei Colli. Pensava che da quando suo figlio era nato, i colori del parco erano più brillanti e l’aria più profumata. E si chiedeva dove fosse stata, fino ad allora, quell’umanità fatta di mamme, bimbi, pancioni e carrozzine che improvvisamente popolavano i sentieri del parco. Quindi, si chiedeva anche dove fosse stata ella stessa fino a qualche mese prima. Che fine avesse fatto quella solitudine ingombrante, spessa come una coltre di nebbia e ora, come nebbia, dissolta. Dove si fosse cacciato il dubbio quasi perenne di non essere mai nel posto giusto, mai nella situazione giusta, mentre tutti gli altri parevano sentirsi a casa. La spiegazione era nella gelida mattina di dicembre in cui era nato lui. Cinque mesi dopo, la primavera pienamente sbocciata, la mamma sentiva che, vicino a suo figlio, anche l’Alaska sarebbe stata il posto giusto. Anche il Deserto del Gobi, anche il Mare della Tranquillità, sulla Luna. E Marte, e Giove, e i confini della Via Lattea. Pur di essere con lui. In quel momento, però, si rese anche conto che amava il posto in cui era.

Il Passegginodi

Giuliana Salerno

PaesaggIo

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Il Passeggino

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37 I RaccontI del PaRco 2

Amava il suono familiare di località prossime come ‘Castello di Ponteranica Alta’, ‘Monterosso’, ‘Cà del Latte’.

A proposito di latte, l’ora della poppata si avvicinava. Decise di cercare un posto comodo. Una panchina, un muretto. Non le occorreva altro: le sarebbe bastato avvicinare il bimbo al seno come uno, dieci, cento, mille anni prima qualsiasi mamma aveva già fatto, e stava facendo, a tutte le latitudini. L’istinto suo, e quello di suo figlio, avrebbero fatto il resto. Provò un senso di onnipotenza. Amò il proprio corpo fecondo, lo stesso che per anni aveva detestato e martoriato prima con diete infinite – la dieta del pollo, la dieta della banana, la dieta del pompelmo –, poi con pillole cosiddette ‘dimagranti’. Decenni, ormai, spesi all’inseguimento di un modello di magrezza surreale. Poi, quello che lei aveva chiamato il ‘miracolo mentale’. La gioia progressiva della rotondità della gravidanza, di una morbidezza finalmente ‘lecita’. La scoperta di un viso più bello, forse proprio perché più paffuto e dolce. E, a cinque mesi di distanza dall’evento potente che era stato il parto, la consapevolezza di un altro parto: quello di una nuova concezione di sé come donna desiderabile e degna di tutto l’amore del mondo. Come si spiegava, altrimenti, quella specie di incantesimo con i capelli biondi che si era materializzato nella sua vita, antidoto a tutto il dolore, medicina contro tutti i mali, rimedio di ogni delusione patita? Con un errore, forse. Un ‘errore di consegna’, sorrise tra sé e sé. Quando la burocrazia si attorciglia su se stessa e le cicogne sbagliano destinazione. “Burocrazia o meno, ormai sono la mamma del bimbo. E guai a chi dice il contrario”.

TRE

Un centinaio di metri più avanti vide un bivio. Era la prima volta che arrivava fino a quel punto. Il bimbo era sveglio da pochi minuti e, di lì a poco, avrebbe cominciato a reclamare i suoi diritti di lattante. Le sembrò di intravedere un sedile ricavato da un tronco proprio all’altezza del punto in cui il sentiero 533 CAI, che accompagna il 316 per un tratto, si stacca da quest’ultimo per proseguire in direzione Croce dei Morti. Spinse il passeggino per una trentina di metri e si fermò. Fece ancora un paio di passi e si chinò di fronte al bimbo, che le rivolse un sorriso. “Amore,” sussurrò mentre gli restituiva il sorriso “mamma torna subito”.

PaesaggIo

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38 I RaccontI del PaRco 2

QUATTRO

S’incamminò a passo svelto verso il bivio, sia per vedere in che stato fosse la panchina, sia per decidere, in base ai tempi di percorrenza indicati sulle frecce, se dopo la poppata fosse più conveniente proseguire o tornare indietro. Un ciclista la superò a sinistra a un paio di metri di distanza, lasciò a destra il sentiero CAI e proseguì sul 316, incrociando un passeggino che proveniva dalla valletta posta in piano poco più avanti. Pochi secondi dopo, la bimba che viaggiava in passeggino spinta dal papà le rivolgeva un lungo sguardo imbronciato. Lei fece un silenzioso cenno di saluto al papà, quindi si concentrò sulla segnaletica. Guardò l’orologio, si spostò ad esaminare la panchina e in pochi secondi stabilì che uno, si stava facendo tardi, due, la panchina era un po’ troppo esposta per mettersi ad allattare, tre, cominciava a rinfrescare, e quattro, era il caso di fare dietro-front e tornare all’auto rapidamente, sfruttando l’apparente momento di calma del bambino. Fece per ritornare sui propri passi, verso il suo bimbo.

CINQUE

Quello che il ciclista sente provenire alle sue spalle, pochi attimi dopo, non è un grido. È un suono rauco, gutturale. Un gracchio. Gira la bici e qualche pedalata dopo è di nuovo al bivio. Da lì riconosce il profilo della donna superata poco prima. È curva sul passeggino, in una postura curiosamente sbilenca. Sgraziata. Il passeggino è vuoto.

SEI

La solitudine ingombrante è di nuovo, di colpo, tutta su di lei, avvinghiata alla gola. La coltre di nebbia è ricomparsa e grava sul suo ventre più fitta, più spessa. Tutto è come è sempre stato, tutto è come prima del miracolo. Gli altri si sentono a casa, solo lei è, come sempre, fuori posto. I colori del parco si sono dissolti. Il parco, si è dissolto. Gli uccelli sono ammutoliti. Il mondo è dolore sordo.

PaesaggIo

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Il Passeggino

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39 I RaccontI del PaRco 2

SETTE

Ha persino sollevato il passeggino, come se il bimbo potesse essersi nascosto sotto le ruote. Lo ha scrollato tutto, casomai suo figlio potesse staccarsi dal sedile come frutta dal ramo di un albero. Ha appoggiato il dorso della mano sul cuscino e l’ha sentito tiepido. Si è guardata intorno. Poco più in là, solo la bimba in braccio a suo padre, protesa verso il ramo di un albero, e, dal lato opposto, il ciclista di prima, che pedala verso di lei. “Me l’hanno portato via,” mormora.

OTTO

Un anno dopo, il capo biondo del bimbo ondeggia sullo schienale del passeggino, mentre il ciclista lo spinge sul sentiero 316 del Parco dei Colli. Pensa che da quando ha incontrato lui e la sua mamma, proprio su quel tratto di sentiero, i colori del parco sono più brillanti e l’aria più profumata. E si chiede dove sia stata, fino ad allora, quell’umanità fatta di mamme, bimbi, pancioni e carrozzine che improvvisamente popolano i sentieri del parco. Lui che ha visto sempre e solo biciclette.

La mamma fa capolino, sorridente, da dietro l’acero sul bordo del viottolo.“È qui che lo ritrovasti, ti ricordi?”“Brava, proprio lì, dove c’è un po’ di discesa. Fammi vedere.”“Sì, ma vieni col passeggino.”“Di che ti preoccupi? Metto il freno, non vedi? Mica sono distratto come la mamma di questo

bimbo!”“Spiritoso... Vieni col passeggino, ho detto!”In quel mentre, passa il papà con la sua bimba nel passeggino. Evidentemente sono degli

habitué. La bimba ha la sua solita faccia imbronciata. “Papà, andiamo via!”, piagnucola. “C’è la signora che l’altra volta voleva rubarmi il passeggino!”

Il bimbo sorride al ciclista. Il ciclista bacia la mamma all’ombra dell’acero.

PaesaggIo

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40 I RaccontI del PaRco 2

Eccola laggiù: SucchiaEnergia, cittadina spoglia, brulla e perennemente grigia. Non eccessivamente popolata, solo 1000 abitanti, ma tutti costantemente impegnati a lavorare e produrre. I più importanti “SucchiaEnergesi” erano i Watt, famiglia estremamente ricca, composta da madre, padre e figlia, di nome Margherita. Essi possedevano la più grande industria della regione, causa dello squallido aspetto della città. La fabbrica si alimentava di ogni fiore, pianta o altra forma di essere vegetale, la pianura era ormai una landa desolata, resisteva solo il piccolo bosco sulle alture a nord della città. Chiunque avesse cercato di protestare era stato severamente punito come nemico del progresso: prigione, lavori forzati e, se recidivo, esilio nel deserto delle scorie. Quella fabbrica non smetteva mai di produrre, con il caldo sole estivo o con le gelide temperature invernali, minacciando ormai anche la vegetazione del bosco. Il bosco aveva attirato Margherita sin da quando, da piccola, ascoltava incantata i racconti di nonna Rosa, che lo descriveva come un luogo pieno di atmosfere magiche e di continue scoperte, trasmettendole la sensazione di gioiosa meraviglia provata osservando la bellezza della Natura. Questo succedeva tanto tempo prima, quando ancora non si considerava la vegetazione solo una semplice fonte di energia, ed oramai il bosco era descritto come un posto selvaggio e pericoloso al quale non era prudente avvicinarsi. Un giorno, rientrando a casa da scuola, Margherita quasi per caso si trovò a costeggiare il limitare del bosco. Incuriosita da strani rumori, si inoltrò per i suoi sentieri. Appena ebbe superato i primi alberi, si sentì assalita da uno strano torpore che la fece assopire in men che non si dica. Al suo risveglio si ritrovò in una casetta piccola piccola con due scoiattoli parlanti. Superata l’iniziale titubanza, i roditori si fecero avanti: “Vedi, noi siamo Maggiociondolo e Biancospino, i servitori di Timonella, gran regina di Ontanopoli.”. “Gran regina di che?!” chiese Margherita. “Di Ontanopoli, il regno nascosto dentro ai tronchi d’albero nel bosco di SucchiaEnergia! La nostra regina Timonella ci aveva avvisato del tuo arrivo imminente” e Margherita: “Perché? Cosa ho di speciale io?” Biancospino: “Tu sei la nostra

Tutto bene a Ontanopoli?di

Giulia Callari

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Tutto bene a Ontanopoli?

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41 I RaccontI del PaRco 2

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speranza, l’unica che possa cambiare la situazione! Carmilla, sorella di Timonella, è una strega malvagia! È molto invidiosa e non sopporta l’allegria! Possiede un potere quasi invincibile, purtroppo è molto forte. Ma tu, tu cara Margherita, sei l’unica che possa sconfiggerla restituendo il cuore di cristallo alla regina Timonella! ”. “Ma come posso fare? E che cos’è il cuore di cristallo?” Maggiociondolo rispose: “Il cuore di cristallo è ciò che regge il nostro piccolo mondo, racchiude i destini e le anime di tutti coloro che abitano nel bosco magico e, se non sarà recuperato, per noi sarà la fine!” Biancospino aggiunse: “Il potere di Carmilla è quello dell’inquinamento! Ovunque passi lei lascia una scia di sporcizia! È quasi imbattibile! Perciò, ti senti davvero pronta per combatterla?”. Margherita rifletté molto, ma per il bene del bosco decise di battersi. Dopo tanti combattimenti all’ultimo colpo, Carmilla si arrese e cedette il cuore a Margherita, che lo conservò immediatamente. Dopo averlo consegnato a Timonella, tutto il mondo incantato cominciò ad illuminarsi di una luce nuova, calda e accogliente. Margherita aprì gli occhi. Era in camera sua. “Allora era tutto quanto un sogno?” disse. Fu così che capì quello che doveva fare. “Mamma, papà,” disse “dovete immediatamente chiudere la fabbrica. Non capite che ci sta distruggendo? È la causa di tutti i guai di questa città! Dovete farlo per il bene di tutti!”. Fu così che la fabbrica venne trasformata in un’industria verde e totalmente ecologica, la città di SucchiaEnergia divenne talmente rigogliosa che venne chiamata Verdopoli e tutti vissero felici e contenti. Fine… per ora.

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“VENDESI”. Sulla parte alta e centrale del grande cancello d’entrata della “villa” è stato fissato un cartello rettangolare, a sfondo rosso, con questa scritta. Da due anni non frequento quei luoghi e grande è la mia sorpresa. La “villa” è un bellissimo fabbricato ottocentesco, situato al centro di un enorme appezzamento di terreno misto per la maggior parte occupato da alberi piccoli, medi e alcuni enormi come querce, abeti, tigli e sequoie. Confina con un piccolo appezzamento rurale brullo ed incolto appartenente a mio nonno prima ed ora a mio padre. Fino all’età di undici anni ho trascorso gran parte delle mie felici giornate in questo enorme giardino e questo cancello chiuso, pesante ed arrugginito mi ha rattristato e riporta in me tutte le forti emozioni vissute in quel luogo. Appena terminato il pranzo ero solito inforcare la piccola bicicletta e velocemente scendevo la strada stretta e sterrata che conduceva alla “villa”, questo era il nome con cui tutti definivano quel luogo. Superavo il cancello che trovavo sempre aperto con un drin drin di campanello come se volessi avvisare qualcuno del mio arrivo, non so chi, visto che era quasi sempre deserto e abbandonato alla profonda e meravigliosa natura. Il desiderio di recarmi spesso in quel luogo era spinto dalla tranquillità che mi infondeva e da un senso di felicità, come se il vento portasse a me meravigliosi e felici pensieri. Dopo l’ingresso il viale si divideva: sulla destra terminava il prato e iniziava una fitta vegetazione di piccoli arbusti con foglie tenere, verdi ed affusolate e man mano proseguiva con felci chiare e basse perché l’umidità aumentava. L’aria più fresca era come se mi volesse parlare e avvisare che i fusti aumentavano in altezza e larghezza fino a quando arrivavo nel mio punto preferito. Al centro un enorme, splendido e maestoso faggio dalla corteccia grigia e liscia come la pelle del viso, troneggiava tra cinque betulle giganti che formavano uno splendido cerchio come se volessero giocare. Un tappeto soffice di erba e muschio univa i tronchi sparsi degli alberi periferici, e accoglieva le piccole e indifese foglie che il vento e la pioggia portavano a terra con una grande prepotenza. Seduto con la schiena appoggiata al grosso e maestoso faggio rimanevo ore ad

Ricordi felicidi

Davide Riboli Lorenzo Rota

Ricordi felici

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ammirare e a contemplare la dolcezza dei movimenti che quei rami compivano obbedienti alle grandi e impetuose folate di vento che con intermittenza battevano le foglie facendole fremere e rumoreggiare con un fragore continuo. Attirati da questa quiete, merli, tordi e fringuelli, giocavano in coppia, spostandosi da un fusto all’altro, intrecciando i voli, con parabole ora larghe ora a picco sovrapponevano i loro cinguettii, rendendo manifesta la loro forte allegria. La natura si muoveva con ritmi diversi ma intonati. Ogni essere vivente svolgeva il compito che madre natura assegna all’istinto di ciascuno. Che spettacolare magia!! Code intermittenti di formiche operaie, in marcia verso la ricerca di cibo per l’inverno, si formavano da un fusto all’altro e tra foglie ed erba tante decine quasi a disegnare un rosario in continuo movimento.

Nel tardo pomeriggio, alcuni raggi di sole del tramonto incombente, che avevano incoraggiato due lucertole giunte spedite dalla muraglia esterna a soffermarsi ancora un attimo, ansimanti prima di ritirarsi nella tana, mi avvertivano che era tempo di rientro a casa.

Soddisfatto e appagato dallo spettacolo mi alzavo e piano piano spingendo a mano la bicicletta, mi dirigevo verso il rientro accompagnato dal cri cri di un simpatico grillo che anticipava il freddo buio della sera. Che gioia! Quel giardino era per me magico e la certezza che domani sarei ritornato rendeva la mia giovane vita più allegra. Le immagini sono riapparse prepotentemente, e questo “Vendesi” ha reso nitido il ricordo. Il tempo passa, crescerò ma le emozioni del giardino magico non verranno mai sciupate, anzi, la speranza di poterne aggiungerne altre è forte in me ed il mio cuore è pronto a viverle.

PaesaggIo

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PaesaggIo

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Chissà dove, in un posto incantato, su di una nuvola, ai confini del mondo, su un’isola sperduta, nell’universo, c’è un luogo misterioso dove le piante crescono alte come baobab, i fiori si tingono di mille colori: come l’arcobaleno, l’erba è verde più che mai, l’acqua è pura e limpida e dà vita a questo piccolo, grande mondo abitato da animali e folletti, ce ne sono di tutti i tipi e tutte le razze e convivono tra loro e con la natura, si rispettano reciprocamente e tutto il giorno si danno da fare per mantenere sempre questo universo magico e armonioso.

Su tutto il perimetro del giardino c’è un’edera che s’arrampica sui muri che delimitano questo paradiso e lo rendono allo stesso tempo impenetrabile e misterioso…

Si nota bene, nonostante le foglie, un enorme cancello elegantissimo tutto dipinto di bianco con due colonne alla sua estremità che portano in cima una statua femminile che, secondo me, rappresenta madre natura nel suo più grande splendore!

Dal cancello parte un sentiero largo e ben definito, fatto con ciottoli bianchi e fiancheggiato da un ruscello. Entrambi (sentiero e ruscello) s’inoltrano in un fitto bosco di conifere, felci e muschi e qualche volta si possono trovare dei ponticelli tutti fatti di pietra chiara che danno un tocco di antichità.

La stradina termina in una specie di piazzetta tutta colorata grazie alla numerosa varietà di fiori dipinti in mille modi diversi che danno allegria e gioia.

All’interno della piazza c’è un laghetto alimentato da quattro ruscelli che la dividono in quattro “fette di torta” e in mezzo alla piccola distesa di acqua c’è un tempietto con al centro una fontana.

E se si osserva attentamente ogni singolo angolo del giardino si possono notare dei funghi con delle porticine che ospitano i folletti addetti a mantenere il giardino; sono divisi in tanti gruppi ed ognuno ha il proprio compito: in quello bianco, i folletti sono tutti vestiti del medesimo colore con le scarpette a punta come il cappello, una maglietta a mezze maniche e dei pantaloncini corti

Il giardino magico:...come per magia...

diGiulia Gabrieli

Il giardino magico: ... come per magia...

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e si occupano di pulire le mura che circondano il giardino, il cancello, i ponti ed il tempietto; quello verde scuro che ha il compito di curare il bosco; quello marrone deve mantenere intatto il sentiero e far sì che le erbacce non lo confondano; quello azzurro si impegna a mantenere pulita e limpida l’acqua dei numerosi ruscelli che scorrono in quest’ “oasi” e che rifluiscono tutti verso il centro dove c’è la fontana dedicata a madre natura (che si premurano di mantenerla intatta sempre i folletti del gruppo azzurro); quello verde chiaro ha l’incarico di tenere l’erba alta cinque centimetri e di un bel verde acceso e ultimo, ma non meno importante è il gruppo rosso che si occupa dei fiori, frutti e ortaggi che coltivano in una serra apposta per fiori da frutto.

Ma un giorno si abbatte sul giardino un brutto temporale che sradica le piante dal terreno, tinge i fiori tutti dello stesso scuro ed inquietante colore: il grigio. Per non parlare dell’erba ormai più nera del carbone. Persino l’acqua è diventata fango e gli animali sono impauriti, continuano a scappare e a gridare creando ancora più caos ed intanto i folletti cercano di salvare questo regno che un tempo era maestoso…

Ma il peggio deve ancora arrivare perché la causa scatenante di questo sconvolgimento è Serpentino, l’eccezione dei folletti, perché bisogna sapere che odia l’armonia, la pace, i colori, la gioia, l’allegria… ma al contrario adora la guerra, il grigio, il nero, la paura nelle altre persone…così si proclama re indiscusso di quel luogo ormai devastato che chiama “Pangea”.

Da quel fatale giorno bussarono alle loro porte odio, tradimento, tentazione, paura, rivalità, gelosia e malattia.

Ora niente ha più colore, esiste solo il grigio ed il nero, così l’Eden si è trasformato nell’Ade degli antichi greci: cupo ed oscuro.

Dovete sapere che esiste un libro dei folletti sul quale è scritta una profezia: “coloro che meno sanno vi salveranno”. Questa iscrizione era l’unica speranza dei folletti di salvare il loro mondo, così tentano numerose volte di riportare il giardino al suo antico splendore: è tutto vano.

Quando tutte le creature si stanno per arrendere cinque ragazzi aprono il cancello d’ingresso: Massimo, Eugenia, Emilio, Carlo e Laura(1)

la più piccola, che giocando nel cortile antistante il giardino ha notato il cancello nascosto tra le foglie d’edera.

Chiama i suoi amici e con il loro aiuto riesce ad aprirlo. Una volta entrati, i ragazzi provano un senso di disgusto alla vista di quella desolazione, ma senza paura si addentrano nel boschetto, seguendo quel poco di sentiero che si nota.

Intanto i folletti si affacciano da dietro i tronchi e sussurrano a bassa voce l’ipotesi che attraverso i cinque ragazzi si possa avverare la profezia.

Ad un certo punto, il folletto Golosone (ormai nel disordine creatosi non appartiene più

PaesaggIo

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a nessun gruppo), fattosi coraggio, attira su di sé l’attenzione dei cinque ospiti e, dopo le presentazioni, spiega loro la storia del giardino e la profezia del grande libro, aggiungendo che solo loro avrebbero potuto salvarli dalle grinfie di Serpentino e riportare quel mondo ad essere l’Eden di sempre.

Così i cinque amici accettano l’incarico di salvare il giardino ed essendo di dimensioni molto più grandi dei folletti, riescono a catturare Serpentino con molta facilità e lo rinchiudono in una gabbia insieme ai suoi perfidi tirapiedi: i serpenti.

Come per magia i nuvoloni del temporale scompaiono e appare il sole più luminoso che mai e tutto torna ad essere com’era un tempo, con la differenza che ora anche gli uomini puri di cuore possono entrare nel giardino magico.

(1) Massimo, Eugenia, Emilio, Carlo e Laura sono i nomi dei miei sei (Laura vale doppio) medici che mi stanno curando. Quello che è successo al giardino mi piace paragonarlo alla mia malattia che grazie all’intervento di medici è stata annientata.

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Il giardino magico: ... come per magia...

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PaesaggIo

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Da questo articolo potrebbe dipendere il mio futuro, devo impegnarmi! Finalmente il signor Maffei se ne va in vacanza e io avrò campo libero! Potrò scrivere un articolo come piace a me e non stare ai servizi di quell’uomo tanto odioso! Il direttore del giornale mi ha appena avvisato che io sostituirò il signor Maffei e se il mio articolo gli piacerà avrò una rubrica sul settimanale tutta mia! Devo correre a casa a dirlo a Nanuk! Certo, attraversare il centro di Bergamo alle diciotto in auto non è una cosa che fai in cinque minuti, c’è molto traffico e chissà quanto smog.

Appena apro la porta di casa Nanuk mi balza addosso, il mio delizioso cagnone di venti chili tutto coccole e giochi. Dopo aver chiuso la porta mi butto sul divano e in pochi secondi qualcosa di molto pesante salta sulla mia schiena e mi lecca la guancia con foga. “Nanuk! Scriverò un articolo tutto mio! Dovrà essere il miglior articolo di questo mondo! Sono sicura di potercela fare!” Gli grido accarezzandogli la testa, lui, fedele come sempre, risponde con un sonoro bau.

Mi squilla il cellulare, il direttore ha deciso su cosa devo fare l’articolo? “Pronto” dico nervosa, dall’altra parte del telefono la voce ben distinta del direttore dice “Signorina, il suo articolo riguarderà il ‘Giardino dei Fiori’, dove vogliono costruire delle villette, dovrà descriverlo e trovare un motivo valido per non fare costruire li!” Sono semplicemente scioccata! Non che la natura non sia importante, ma un articolo? cosa posso scrivere? Il più bel racconto mai visto dovrà parlare della natura? Cosa avrà di così speciale un giardino? Perchè proprio io? Il mio umore, davvero sotto terra, prendo il guinzaglio di Nanuk e glielo infilo. Un po’ di aria fresca non potrà che farmi bene, ho bisogno di ispirazione. Vado al parco dove porto Nanuk tutti i giorni. Mi siedo sotto un gigantesco albero e lascio libero il cane di correre, Nanuk è il mio migliore amico, lui è l’unico che mi ascolta. Presa da questi pensieri decido di andare a vedere l’oggetto del mio articolo. Il giardino è recintato da un vecchio cancello arrugginito. Mi avvicino e spingo il cancello che è solo accostato. Mi ritrovo davanti ad un piccolo prato con erba altissima, diviso

Nanukdi

Sara Zambelli

Nanuk

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a metà da pezzi di piastrelle che probabilmente una volta formavano un sentiero. Li seguo con lo sguardo, proseguono per tre metri e poi scompaiono nel buio di una sera qualunque di Gennaio. Nanuk non si muove, fissa un punto nel buio, non sembra spaventato. Decido di seguire il sentiero. Quando raggiungo la parte non illuminata mi accorgo che c’è una specie di muro nero, allungo la mano per toccarlo ma non trovo niente, è una specie di muro d’aria, Nanuk fissa ancora un punto davanti a sè senza paura, faccio un altro passo e sbatto contro qualcosa, metto la mano davanti ma sento solo aria. Tento un altro passo, non incontro barriere. Sono immersa nel buio mi giro indietro ma non vedo niente, avanti neppure, abbasso lo sguardo per vedere Nanuk ma non vedo più in là del mio naso, il buio è troppo scuro. Sono immersa in qualcosa di buio, di nero, in qualcosa che c’è ma non c’è, eppure non ho paura. Non provo nessuna emozione, perlomeno niente che io possa identificare, qualcosa dentro me, mi spinge a fare un passo avanti, ma l’istinto mi dice di tornare indietro. Sento di non poterlo fare e contro la mia volontà faccio qualche passo avanti. Muovo la mano destra che sta tenendo il guinzaglio di Nanuk, l’avvicino lentamente al fianco ma non sento la pressione che c’è di solito quando l’altro capo del guinzaglio è attorno al suo collo. Senza accorgermene avvicino la mano al viso, così che rientri nel mio, assai ridotto, campo visivo. Non c’è. Il collare non è più nella mia mano. Alzo automaticamente anche l’altra mano nella speranza di vedere il collare. Non c’è.

Paura! Terrore! Tento di abbassarmi per toccare terra, per controllare di non aver lasciato cadere il collare ma mi accorgo che non riesco, non riesco a piegarmi. Grido, dalla mia bocca non esce suono. Niente suono, niente possibilità di piegarmi e qualcosa mi dice che non posso nemmeno tornare indietro. Ci provo; niente, posso solo andare avanti. Un passo, due, tre, ora vedo qualcosa in lontananza, una luce, fioca, lontana. Mi metto a correre verso la luce. Mi sento stanca, sfinita ma continuo a correre. Ora sono vicina alla luce. Sento caldo. Dalla luce proviene calore. Più mi avvicino meno paura sento. Il mio corpo è come attratto verso quella luce, non sono io che mi muovo, il mio corpo si sta muovendo da solo, non provo ad impormi, non ce la farei. Non ho più paura, non provo più niente come appena entrata in questa nebbia nera. Il mio piede destro ha passato il buio e il resto del corpo lo segue senza problemi. La luce mi acceca, sono costretta a chiudere gli occhi, mi accorgo di aver ripreso potere del mio corpo. A fatica apro gli occhi. Mi ritrovo davanti ad un immenso prato punteggiato da fiori colorati e alberi folti. Una folata di vento tiepido si infila tra i capelli. Più mi avvicino più noto migliaia di animali: api che volano da un fiore all’altro, farfalle colorate che si librano nell’aria, persino le mosche qui non sono fastidiose, è tutto stupendo!

Socchiudendo appena gli occhi e trattenendo il respiro posso sentire il divertente ronzio degli

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insetti e il dolce profumo dei fiori colorati. Ci sono migliaia di fiori diversi e altrettanti insetti che con le loro ali danno vita a qualcosa di incredibile, penso di poterlo quasi definire una melodia. Osservando questo giardino sembra una macchina perfettamente organizzata. Mi avvicino ad una rosa rossa e vedo una piccola farfalla appoggiata ad un petalo, mi siedo in parte, lei non si muove. Guardando meglio vedo che ha un volto umano, sono sbalordita, avvicino il mio dito allo strano essere e quello, sorridendo salta sul mio dito, sempre più sbalordita lo avvicino al viso “Ciao Maddalena, finalmente sei qui, lo vedi questo posto? Devi proteggerlo” un sussurro nella mia testa, non capisco. La farfalla mi parla con il pensiero, se prima ero sbalordita ora sono terrorizzata, una farfalla che parla, anzi sussurra nella mia testa? Sto impazzendo! “Scusa” cerco di dire ma dalla mia bocca non esce suono “Non puoi parlare, usa il cuore, io ti sentirò, usa la mente e parla” di nuovo il sussurro, chiudo gli occhi, un profondo respiro e ci provo.

“Emh, così? Ma io cosa centro? Dove sono?” Funziona, sto pensando e la farfalla mi sente. Con un dolce sospiro dice “Cerca nel profondo del tuo cuore e troverai tutte le risposte, Nanuk ti aiuterà!” Nanuk? Il mio cane? Cosa c’entra lui? “Dove è?” Chiedo disperata. Lo strano essere si alza in volo e si allontana. “No aspetta! Non ho capito, vieni qui!” Grido, ma non esce suono dalla mia bocca, provo a concentrarmi, devo fermare quella farfalla, provo ad usare il pensiero ma non funziona. È troppo tardi, la farfalla non c’è più ma, guardandomi in giro vedo altre creature, microscopiche che lavorano in questa stupenda e gigantesca macchina che è la natura. Un vento gelido, improvviso, mi spinge indietro,verso il muro nero alle mie spalle. Grido invano, dimenticandomi di nuovo che non posso parlare. “No, non un’altra volta” penso e chiudo gli occhi.

Provo a riaprirli, pronta per ritrovarmi immersa di nuovo nel buio. Con mia sorpresa mi ritrovo sdraiata sul vecchio sentiero, illuminato dalla fioca luce di un lampione vicino.

Tento di mettermi a sedere ma venti chili pelosi mi atterrano sopra e iniziano a leccarmi con foga la guancia. “Nanuk” sussurro, un suono inconfondibilmente familiare e piacevole “Ora so cosa è davvero la natura! Ora so di cosa parlerà il mio articolo!” Gli dico sorridendo.

PaesaggIo

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Nanuk

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PaesaggIo

fInalIsta categoRIa scuole suPeRIoRI

Vera stava traslocando. Il parco era diventato invivibile per una piccola coccinella come lei, troppo pericoloso. In quel momento era verde di rabbia. Perchè quegli stupidi umani avevano distrutto la sua casetta? Si divertivano forse? Cosa c’era di tanto esilarante nello sbriciolare la sua tana proprio non lo capiva. Aveva deciso. Si sarebbe trasferita in uno di quei giardini fuori dalle case lussuose. I bambini che le avevano distrutto la casa, vivevano in quelle case lussuose. Si vedeva dai loro vestiti e dalle scarpe indistruttibili che indossavano, da come le loro mamme sui tacchi alti li richiamavo, svogliatamente, e da come loro rispondevano con ghigni malefici. Basta, se ne sarebbe andata dal parco, tutti i giorni la stessa storia! Non ne poteva più. Partì subito in volo, con le poche cose che le erano rimaste. Attraversò città, strade, fabbriche, palazzi; quasi si schiantò contro uno di questi perché era tutto in cristallo. Finalmente giunse in una di quella case a cui aveva pensato. Era piena di ghirigori, statue, colonne decorate e pure una fontana. Ma la cosa più bella era il giardino. Grande, enorme, spazioso. Le madri dei bambini erano molto fiere dei loro piccoli parchi privati, Vera le aveva sentite milioni di volte vantarsi di questi, e ora capiva il perché. “Ah... L’oleandro del mio giardino sta per entrare nel guinnes dei primati per quanto è grande.” “Il mio acero rosso è davvero speciale. Dà quel tocco di colore in più al mio giardino.” “Oh! Ma guardate questa signora... scommetto che lei non ha il giardino!” La coccinella Vera era arrossita al posto della signora in questione. Ecco perché queste mamme dalle grandi borsette non facevano giocare i loro bambini nei loro magnifici giardini: di cosa si sarebbero vantate dopo? Sapevano benissimo che i loro bambini erano delle pesti, capacissimi di distruggere i loro tanto amati spazi verdi di fronte alle case, sarebbero state additate e messe nella cerchia di “chi non ha il giardino”. Vera entrò planando, ma fu subito fermata da un rospo: “Pedaggio per favore.” Assurdo. “No, non ha capito, io voglio vivere qui e...” “Spiacente, siamo al completo.” E sorrise, con un sorriso degno solo di un rospo. Chissà cosa avrebbero pensato quelle donne così alla moda se avessero visto una bestia del genere aggirarsi per il loro giardino...

Una VERA casadi

Marta Gallerani

Una VERA casa

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Sorridendo all’idea se ne andò. Provò un’altra casa ma lì ci abitava un dobermann, e preferì non rischiare. Andò avanti così per un po’: affitto, completo, affitto, dobermann. Finché Vera si stufò e andò verso la periferia, dove le case non erano belle come quelle, ma un posticino lo avrebbe sicuramente trovato. Appena arrivò si diresse subito verso la casa più vicina, perché era esausta dalla giornata di ricerca. Era una casina rosa, un po’ in disuso ma carina. Nel giardino selvatico sorgeva un albero poco stabile, e la coccinella pensò fosse perfetto. Si appollaiò sul tronco più alto e, poteva capitare solo a una coccinella come lei, questo si ruppe orizzontalmente, come uno scivolo. Vera scivolò urlando, ma perché proprio a lei? Cadde e cadde finché arrivò sul fondo dell’albero, non si era accorta che fosse così largo da poter contenere una sala da ballo! A quanto pare il tronco dell’albero era stato scavato tutto dall’interno, e a quanto pare tutto il vicinato si era riunito per festeggiare. La musica rimbombava e tutti gli animaletti si muovevano a ritmo. Vera si avvicinò a quello che pareva essere il capo, un grosso scoiattolo dalla fulva coda: “Scusa, io mi chiedevo se potevo venire a vivere qui..?” Lo scoiattolo la guardò con aria incuriosita e divertita allo stesso tempo: “Ma certo! Unisciti alla festa, per casa puoi scegliere il ramo che vuoi, qualche volta organizziamo delle feste o degli incontri, vieni quando vuoi!” La coccinella sorrise e si rilassò dopo la lunga giornata. Finalmente aveva trovato una casa, sicura e piena di amici che non avrebbero cercato di schiacciarla. Basta guardare dietro un cespuglio o dentro a un tronco cavo di un albero, di posti come questi ce ne sono molti, basta aprire gli occhi.

PaesaggIo

fInalIsta categoRIa scuole suPeRIoRI

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PaesaggIo

fInalIsta categoRIa adultI

Partì una sera di Marzo e sprofondato nel sedile dell’aereo non riusciva a darsi pace. Mirto guardava fuori dal finestrino mentre nella memoria cercava di ritrovare i sassolini che aveva lasciato lungo il percorso, ma ebbe l’impressione di averne perso ogni traccia.

Al suo arrivo c’era zia Irma ad aspettarlo. Restando immobile si rivolse a lui dicendo: “Che bello rivederti da queste parti! So che non resterai a lungo così ho fissato l’appuntamento con il notaio per domani mattina, sempre se sei convinto sul da farsi.” La ruga verticale che le tracciava un solco severo sulla fronte gli fece intuire un tono di rimprovero in quelle parole. La strinse a sé, ma l’abbraccio si spezzò velocemente. La vendita di quel pezzo di terra alle porte di Bergamo, lasciato in eredità dal nonno, gli era sembrata l’unica soluzione sensata per far fronte allo stato di precarietà nel quale viveva da un po’ di tempo. Durante il pomeriggio decise di fare due passi in quel prato dimenticato, un’ultima volta prima di liquidare l’intera questione. Camminò per qualche chilometro e quando arrivò, senza stupore, constatò che il luogo era cambiato perdendo tutta la sua familiarità. La casa di legno era scomparsa e a testimoniare il suo passato restavano solo alcuni pezzi di legno accatastati per terra. Le sue gambe si immergevano nell’erba folta cresciuta a dismisura e, procedendo a fatica come chi avanza nell’acqua controcorrente, scavalcava i cespugli aggrovigliati e mucchi di foglie secche sparpagliati ovunque. Mentre camminava atterrito e respirava un intenso odore di polvere e terra bagnata, pensò che anche il profumo dell’aria da quelle parti non era più lo stesso. Qualche ciliegio selvatico segnava il confine del prato costeggiando il largo fossato.

I fiori di campo spuntavano a macchie come segnali luccicanti e vitali nella confusione di un terreno abbandonato dall’uomo. Appoggiando i piedi su un suolo ondulato, vagava con lentezza come un funambulo che avverte la paura. Si ricordò quando da bambino affondò nelle sabbie mobili dietro casa e restò ad aspettare che qualcuno lo togliesse dalla melma pesante. Ora, tra i passi e quel ricordo, Mirto sentì nel petto lo stesso affanno e ritrovò il suo stomaco; freddo e

L’incontrodi

Paola Grattieri

L’incontro

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contratto come allora.Scrutò lontano e lanciò il suo sguardo all’orizzonte come per distaccarsi da una realtà che

lo stava soffocando. E proprio in quel punto dove la terra sfregava contro il cielo, i suoi occhi intravidero inaspettatamente l’immagine di un’imponente figura solitaria.

Si mise a correre e avvicinandosi riconobbe l’inconfondibile Gelso. Si ricordò di quando suo nonno lo portava a passeggiare nel prato e, seduto all’ombra di quell’albero con la schiena appiccicata alla corteccia secolare, gli raccontava una storia curiosa.

“C’era una volta un albero gigante che tutti i bambini adoravano.Lui amava la compagnia di un bambino in particolare.Questo andava ogni sera al tramonto e restava ad abbracciarlo raccontandogli la sua vita.

Quando arrivava l’albero si abbassava per aiutare il bimbo a salire e lì restavano a parlare. Un giorno però il bimbo divenne grande e non andò più a trovarlo.

Una volta, ripassando da quelle parti, l’albero lo chiamò ma egli disse che non aveva tempo per restare a parlare. Ora era grande, aveva capito che per vivere servivano soldi e lui li doveva cercare.

L’albero allora gli disse di prendere i suoi frutti per poi venderli. Il ragazzo riempì le ceste di frutti maturi e subito dopo si allontanò senza ringraziare.

Dopo alcuni anni l’albero rivide il suo amico e lo chiamò.Il ragazzo gli rispose che andava di fretta perché gli serviva una capanna, così l’albero offrì

tutti i suoi rami.Egli iniziò a tagliarli fino a spogliarlo, lasciandogli solo il tronco.Alcuni anni dopo, quando il ragazzo ormai adulto si ripresentò, l’albero gli chiese di cosa aveva

bisogno e lui rispose che voleva viaggiare.L’albero offrì ciò che gli restava e gli disse di tagliare il suo tronco per fare una zattera e

viaggiare per il mondo. Quando a distanza di tempo il bimbo, ormai vecchio, tornò in quel luogo per cercare l’albero

trovò solo un’impronta nella terra. Disperato si sdraiò ed iniziò a piangere.Sentendo le prime gocce quell’albero che là sotto era restato ad aspettare il ritorno del suo

amico, fece tremare il suolo fino ad aprire una fessura che si ingoiò l’uomo”.Intrappolato per qualche istante nel passaggio tra quel ricordo e la realtà, Mirto sentì che

la terra sotto i suoi piedi stava tremando ed un brivido gli risalì lungo la schiena. Protetto dal monastero di Astino, con il monte Canto Alto alle spalle, avvertendo lo scossone della terra si avvinghiò come un rampicante all’albero.

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fInalIsta categoRIa adultI

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Alzò il viso verso l’alto e guardò il volo degli uccelli che attraversavano il cielo basso coperto da nubi viola.

Sentendo le prime gocce di pioggia sulla pelle, Mirto corse veloce verso casa e cercò l’ultima lettera di nonno Giglio. Ritrovò solo poche righe:

“In questo luogo abbiamo cavalcato i nostri giorni migliori, danzato memorabili walzer stretti al vento, assaporato la nostra libertà.

Ti lascio questa traccia perché è a te che ho insegnato ad ascoltare la natura e so che questo prato ha bisogno di un lungo respiro.”

Il vento soffiava forte sul suo corpo e lui sapeva con certezza che la terra era in grado di riprendersi ciò che le veniva tolto.

Infilò la lettera nella tasca e, nell’avvistare la striscia bianca di un aereo che stava passando sopra di lui, Mirto sentì che doveva fermarsi.

In quel prato la natura aveva incontrato l’essere umano e l’albero aveva ritrovato il suo ragazzo.

PaesaggIo

fInalIsta categoRIa adultI

L’incontro

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Il Gran Consiglio del Prato della Maresana, che vantava nomi illustri come Lenta Lumaca, Rosso Papavero, Canterino Grillo, Mielosa Ape, Vanitosa Margherita, quell’anno aveva decretato di dare una grande festa il giorno del solstizio d’estate. A onor del vero, l’idea era partita da quella smorfiosa di Ape Mielosa che era fissata con le serate di gala. Grillo Canterino, scansafatiche per antonomasia, appoggiò la mozione dopo essersi assicurato che non ci fosse da lavorare. Vanitosa Margherita diede il suo voto a patto che si invitassero i “vips” per dar lustro alla serata. Bastò che lo sentisse quella pettegola di Zara Zanzara che, in un baleno, con i suoi: “Zzz… lo dico solo a te in un orecchio zzz!”, tutto il prato era già a conoscenza dell’evento ancor prima che fosse messo ai voti. Vollero fare le cose in pompa magna. La macchina organizzativa si mise all’opera. Degli inviti si occuparono: Fiore Ranuncolo, Gigio Calabrone, Giacomino Geco e Bella Libellula. Il primo procurò e selezionò i petali di fiori da utilizzare come fogli; Gigio con il pungiglione scrisse il testo: “Il GCP si pregia di invitarLa alla serata di gala che si terrà nel Prato della Maresana il giorno del solstizio d’estate. È di rigore l’abito da sera.”; Giacomino con la lingua arrotolò gli inviti e alla povera Bella toccò il compito di recapitarli ai destinatari compresi quelli che vivevano molto lontano. Rosso Papavero si occupò dei “casting”. Per giorni selezionò gli artisti più importanti. Tra le ballerine furono scelte le “Bleu Bells”, cinque lombriche parigine. Con la loro grazia e sinuosità entusiasmarono Rosso Papavero che per l’emozione divenne ancora più rubicondo. Carlito, un grillo argentino, chitarrista di straordinario talento, spiccò tra i musicisti solisti. Una band, “Los Cicalitos”, che era in tournè con la canzone che li aveva portati al successo il cui ritornello faceva così: “E le cicale, cicale cicale cicale e la formica invece non cicale mica…”, trionfò tra tante altre. Rosso Papavero volle anche l’orchestra dei fratelli Briza, ciuffetti d’erba detti Sonaglini comuni, i quali suonavano musica da sballo. Lenta Lumaca ingaggiò le lucciole le quali assicurarono che avrebbero illuminato a giorno l’area scelta per la festa. Vanitosa Margherita si occupò degli addobbi. “Non vorrei inorridire davanti al pessimo gusto di qualcuno. Meglio evitare qualche baggianata!”, disse

Una festa... fantastica!di

Stefania Petta

Una festa... fantastica!

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con quella sua parlata con la “r” moscia che faceva tanto chic! Siccome era troppo sofisticata, non le andava mai bene niente: questo era troppo semplice, l’altro troppo pacchiano. Infine il problema fu risolto grazie a quell’invadente dell’Erba che tutti chiamavano, non si sa perché, Borsa del pastore, la quale si vantò di essere l’unica ad avere i fiorellini a forma di cuore. “Splendida idea, mia cara!” esclamò finalmente soddisfatta Vanitosa. Il catering fu affidato ad un rinomato formicaio che vantava le formiche più laboriose di tutto il prato. Infaticabili trasportavano vettovaglie di ogni genere intonando: “Formichine noi siamo e di questo ce ne vantiamo!”, sotto il comando di Nerona, una formica con velleità da marines. Ai suoi ordini si doveva rispondere: “Sissignora, signora!” e guai a contraddirla! Mentre gli addetti ai lavori si prodigavano affinché tutto filasse liscio, le signore pensavano alla loro mise per la serata.“Oddio! Non ho niente da mettere!”, esclamavano rovistando nei loro armadi zeppi di abiti. Così anche l’industria del tessile si mise all’opera. I bachi, arrivati da Como filavano sete stupende, mentre i ragni tessevano tele elaborate. La sartoria “Haute couture” di monsieur Valentino Scorpion, un tale che diceva d’essere francese, ma che era bergamasco fino al midollo, lavorava a ritmo frenetico. Era un grande stilista e il suo atelier era preso d’assalto. Ovunque si parlava delle sue creazioni. “Ah! Sapessi mia cara, mi sono fatta fare un abito aderente che esalta la mia linea slanciata e valorizza il mio splendido incarnato!”, si vantò Lola Lucertola con le amiche, mentre erano dall’estetista. “Non hai visto il mio! Sapessi come mi sottolinea il vitino!”, le rispose piccata Rosetta Vespa. “Uffa! Abiti, abiti,e solo di abiti parlate. Qualcuno mi dice che scarpe mi metto?”, brontolò Milena Millepiedi. “Vai a Valle fiorita, fanno scarpe comodissime.”, le consigliò la saccente Achillea Bianca. Tra preparativi vari, il grande giorno finalmente arrivò. Alle prime luci dell’alba nel prato c’era già un gran fermento. Chi correva di qua e chi di là, erano tutti eccitati. La rugiada del mattino lucidava l’erba rendendola brillante. I fiori di campo convergevano al luogo convenuto per la festa per diffondere le loro fragranze nell’aria. Le coccinelle, impeccabili nelle loro divise rosse a pallini neri, sistemavano le camere nei vari hotel del prato. Le farfalle, che facevano parte del comitato di accoglienza, si affrettavano ad uscire dai bozzoli per correre in sala trucco a colorare le ali. Erba medica, la dottoressa del prato, aveva allestito il “punto d’emergenza” ed era già in postazione con altri colleghi. Canterino saltellava dando ordini a destra e a manca atteggiandosi a grande capo. “Dov’è il buttafuori?”, strillò, appena arrivò nell’area della festa. Un ciuffo d’erba con un grosso soffione gli si parò davanti. “Sono Dente di leone, capo della sicurezza.” Il grillo gli chiese ragguagli sulle misure di sicurezza adottate. “Ho già messo in postazione una schiera di miei colleghi, le ortiche formano un cordone di sicurezza, gli scarafaggi rinoceronti sono già in tenuta antisommossa e le zanzare tigri interverranno a schiere dall’alto in caso di necessità!”. A sera il prato si illuminò di magiche luci. L’orchestra

PaesaggIo

fInalIsta categoRIa adultI

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suonava musica da sottofondo. Le signore in abito da sera prendevano posto nei tavoli accompagnate dai rispettivi consorti. Gli ospiti d’onore arrivavano e venivano scortati dagli addetti alla sicurezza. Pierino, un bambino, si presentò all’ingresso. “Gli umani non sono ammessi!”, disse Dente di Leone. “Il piccolo esibì l’invito che aveva trovato, forse sfuggito a Bella, ma Dente di leone fu irremovibile. Pierino protestò e pestò i piedi. Intervennero le zanzare tigri che affondarono le loro proboscidi nella sua pelle. Per difendersi dall’attacco Pierino scappò. L’arrivo di Matilda, l’affascinante mantide religiosa venuta dalla Romagna, catturò l’attenzione. Slanciata, elegantemente fasciata in un abito verde e con un so che di mistico attraversò il prato. I signori subivano il suo fascino mentre le signore si ingelosivano. Due Quadrifogli spettegolarono: “Ehi! Guarda quella, la chiamano religiosa, ma ha fama d’esser mangiatrice di maschi!”. Carlito, l’argentino, restò a bocca aperta quando lei gli passò davanti. Al momento di esibirsi, con fare cerimonioso disse: “A Matilda!” e suonò in modo struggente! Quando le “Blue Bells” ballarono, i fischi di ammirazione dei maschietti risuonarono oltre l’area della festa. “Non saranno mica belle quelle là? Sono tutta pelle e volgarità!”, gracidò Rosamunda la rana zitella, verde d’invidia. La sua dieta non era riuscita a farle perdere un solo grammo. Ansimava, strizzata nel suo abito da sera tanto stretto da impedirle di muoversi. Si precipitò, tuttavia, al buffet quando iniziarono a servire le varie portate. Sgomitò nella calca per farsi largo. “I cafoni si distinguono sempre!” bofonchiò disgustata Clara, l’ape regina, che era finita addosso a Garofano Selvatico, il cameriere, a causa di uno spintone della rana. Rosamunda si ingozzò e stramazzò al suolo svenuta. “Codice rosso al buffet”, strillò nella ricetrasmittente il capo della sicurezza. Erba Medica si precipitò a soccorrere Rosamunda che, cianotica, stava sgraziatamente riversa sul prato. Bastò tagliarle l’abito che si riprese. Dopo la cena, i Briza attaccarono a suonare e si aprirono le danze. Le lucciole abbassarono le luci per rendere l’atmosfera intima. Le coppie ballavano allacciate. Vanitosa Margherita, impeccabile nell’abito abito bianco e con un toupè giallo sulla sommità del capo, snobbava chiunque la invitasse. Carlito ballò un tango figurato con Matilda. Al momento del caschè, lui la fissò negli occhi: “Sos bellissima mamasita!”. Lei languida gli sussurrò: “Sorbole! Anche tu sei un bel bocconcino, vé!”. E mentre tutti si godevano la serata, un fulmine squarciò il cielo, un tuono rombò e la pioggia si rovesciò sugli invitati che videro i loro costosi abiti rovinarsi e i trucchi elaborati colare giù. La festa finì tra il fuggi fuggi generale. Il giorno successivo la vita nel prato era priva del solito brio. Erano tutti malinconici, come accade quando qualcosa di bello finisce! Il quotidiano, “Pratolandia”, riportò il seguente articolo: “Bella festa quella di ieri sera, illuminata dalle stelle dello spettacolo e personaggi di spicco! Lampi e pioggia non erano invitati e per questo si son vendicati! Chiediamo venia per non aver pensato a montare i gazebo. Nessuno è perfetto! Ma che cagnara sbagliando s’impara!”

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Una festa... fantastica!

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3) Sezione tematica: Territorio“Le leggende di Nonno Riccio”.

La natura tra favola e tradizione.

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teRRItoRIo

“Venite, venite!!” disse Mamma Riccio ai suoi bambini e ai loro amichetti.“Il nonno sta per raccontare una delle sue storie, quelle che vi piacciono tanto!!!”. I riccetti

allora corsero più veloce che potevano fuori dalla loro tana e si apprestarono a raggiungere Nonno Riccio nel suo rifugio. I piccoli ricci amavano particolarmente quel luogo perché li aiutava ad immaginare gli avvenimenti che Nonno Riccio raccontava loro. La tana, infatti, era molto spaziosa e molto accogliente e confortevole. La luce là dentro non era fortissima e si sentiva un piacevole tepore.

“Avanti, avanti!!!” li invitò Nonno Riccio, che era il più vecchio animale del Parco dei Colli e aveva visto tutto quello che era capitato in quel luogo.

“Che storia ci racconti, oggi?”“Oggi vi racconterò di una battaglia combattuta da noi ricci e dagli altri animali del parco alla

fine del 1800!”“Si!!!!!!” esultarono i riccetti.“Tanti anni fa, l’uomo conobbe una fonte di energia molto potente, che poteva alimentare

macchine industriali, automobili e dalla quale si potevano ottenere la plastica e altri materiali: il petrolio. L’uomo allora non conosceva tutti gli effetti collaterali che aveva questo combustibile fossile e non si preoccupò nemmeno di scoprirli. In realtà, il petrolio inquina molto perché produce CO2, un gas dannoso per l’atmosfera. Ignari, gli uomini decisero di sfruttare al massimo quella risorsa, senza rispettare né l’ambiente circostante né la natura, costruendo centrali in ogni luogo ove fosse possibile e un giorno decisero di costruirne una anche qui.

Io, allora, ero il più muscoloso e forzuto riccio del villaggio e avevo appena conosciuto vostra nonna. Gli umani vennero all’improvviso, un giorno e, senza chiedere niente a nessuno, cominciarono prepotentemente a costruire. Mio padre, che a quei tempi era il capo tribù, capì subito che era necessario intervenire immediatamente. Chiamò il diplomatico del villaggio che

La grande battagliadi

Luca Monzio Compagnoni

PRIMo classIfIcato categoRIa scuole MedIe

La grande battaglia

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65 I RaccontI del PaRco 2

parlò con gli uomini, ma quelli non vollero sentire ragioni:non si poteva intervenire. Mio padre era disperato vedendo che i lavori continuavano e chiese consiglio al Grande

Albero, il quale era la creatura più saggia di tutto il Parco dei Colli. Persino lui non sapeva cosa fare. Alcune famiglie si trasferirono lontano per la paura; altre, perché i lavori avevano distrutto la loro casa e altre, per la disperazione: alcuni ricci, infatti, si erano avventurati nei pressi del cantiere e non erano più tornati. Il capo della tribù decise che era giunto il momento di agire e ci divise in squadre. Io fui nominato generale e ordinai in armeria numerosissime armature di pigne, un po’ di pinoli come munizioni delle catapulte e aghi di pino come spade. Chiesi l’aiuto anche delle api, le quali accettarono con entusiasmo e portarono del miele appiccicoso e del polline al peperoncino. I vermi ci aiutarono con gioia e, insieme ai lombrichi, si offrirono come elastico per le fionde. I pesci, infine, si proposero per evitare che gli uomini si potessero dileguare usando il fiume: li avrebbero morsicati. Lo schema d’attacco era semplice ma ci avevo messo due notti e un giorno per progettarlo. Noi ricci avremmo dovuto attaccare gli uomini del cantiere da Ovest, Sud ed Est, mentre i pesci avrebbero dovuto coprire il lato Nord, lungo il quale scorreva il fiume. Gli uccelli e le api avrebbero dovuto lanciare l’offensiva per via aerea utilizzando le fionde-vermi e i pollini al peperoncino. Io occupavo la prima linea, insieme ai ricci più forti e muscolosi. Nelle retrovie c’erano gli arcieri, gli addetti alle catapulte e i veterani delle guerre passate.

Attaccammo al tramonto, quando gli uomini erano stanchi e distratti. I primi a colpire furono i pinoli tramite le catapulte. Subito dopo, arrivammo noi della prima linea a punzecchiare coi nostri aghi di pino prima le gambe degli uomini e poi, arrampicandoci, anche le braccia, il busto e il viso. Successivamente arrivò l’attacco aereo delle api, le quali sganciarono i pollini al peperoncino negli occhi dei nemici in modo da accecarli momentaneamente. Arrivò il momento del miele: le api lo versarono per terra, così che gli uomini ci si appiccicassero. Erano bloccati. Arrivò il momento degli uccelli che colpirono gli umani con le fionde-vermi. Gli uomini che riuscirono a liberarsi dalla morsa del miele scapparono gettandosi in acqua ed i pesci li morsicarono così tanto, che sembrava corressero sull’acqua dal dolore. Non c’era più nessun essere umano sul campo di battaglia: si erano ritirati tutti. Solo lo scheletro della centrale rovinava il paesaggio ed era quindi necessario smantellarla. Stavo programmando il lavoro, quando da ogni parte giunsero tanti piccoli animaletti, scoiattoli, topolini, castori, talpe pronti ad aiutarmi. Smontammo in poco tempo la centrale e i pesci portarono, tramite il fiume, tutti i pezzi in discarica in modo che venissero riciclati. Da allora gli uomini non tentarono più di costruire nel Parco dei Colli e quel giorno viene ricordato ancora come l’unione dei regni

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d’acqua (pesci), di terra (ricci, topi, scoiattoli, talpe e lombrichi) e d’aria (uccelli e api)”“Che bella storia nonno! Ce ne racconti un’altra?” chiese uno dei nipotini.“No, è ora di andare a dormire” disse la mamma.Così i nipotini tutte le sere si facevano raccontare una storia da Nonno Riccio e diventarono,

grazie a quelle storie, degli ottimi capi tribù.

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La grande battaglia

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Aaaaahhh (sbadiglio) per tutti i ricci, che stanchezza!!!Cari lettori, non sapete come sono stanco… sono un riccio giovane io, non sono mica abituato

ad andare a nanna così tardi! Eh sì, stasera Nonno Riccio ha raccontato una leggenda super bellissima, noi piccoli ricci del parco siamo sempre tutti incantati dalla meraviglia di favole così antiche.

Poi oggi è stato un giorno speciale: il primo giorno di primavera!! Evviva!!! Il sole risplendeva nel cielo azzurro del Parco dei Colli di Bergamo, metteva tanta allegria e voglia di giocare. Mentre i grandi cercavano il cibo per il cenone di primavera, che ufficialmente si terrà domani sera nelle vicinanze del castagno secolare del parco, noi facevamo tanti scherzi al nonno e giocavamo a riccio mangia frutta, che è un gioco uguale a quello che fanno certi cuccioli di uomo nei giardini delle scuole. Ogni tanto vado con i miei cuginetti ricci a vedere come si divertono, ma il nonno ogni volta che ci sorprende a guardare questi bambini si arrabbia un po’: dice che non dobbiamo provare ammirazione per loro perché noi non abbiamo proprio un bel niente da imparare dagli uomini, anzi dice che dovrebbero essere loro a imparare da noi che siamo la vera natura! Mmmh io non ho tanto capito ancora cosa intende, ma Nonno Riccio ha detto che con il tempo capirò e saprò apprezzare sempre di più la vita da parco.

Ops! Non mi sono ancora presentato che sbadato!! Io mi chiamo Jimmy e tutti i miei amici ricci mi ritengono il riccio più fortunato del bosco, sapete perché? Perché sono stato nominato da poco successore all’incarico di Nonno Riccio! Lui è il riccio più anziano del mondo, vive con tutti i ricci nel Parco dei Colli da decine, forse centinaia di anni: conosce i luoghi, i paesi, le tradizioni, le storie dei boschi e quelle degli uomini. Ogni sera Nonno Riccio raccoglie la sua numerosissima famiglia e racconta ai più giovani le leggende del passato, le avventure dei suoi antenati, le vicende del tempo e del territorio. È importante, anzi importantissimo essere un Nonno Riccio: la sopravvivenza della nostra specie dipende molto da lui perché lui ha il compito

Anche io sarò un Nonno Riccio

diAlice Testa

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Anche io sarò un Nonno Riccio

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di insegnare ai ricci giovani come ci si comporta, ci tramanda le tradizioni, le antichissime ricette, ci insegna a raccogliere il cibo per l’inverno e tantissime altre cose; fa tutto questo tramite delle storie che ci racconta ogni sera e poi i nostri genitori ci aiutano a metterle in pratica..

Stasera il nonno ci ha raccontato la leggenda che racchiude il segreto per cucinare un buon minestrone di foglie gialle… Mmmmhh che golosità!! La leggenda narra che 10000 anni fa, quando era autunno e cadevano le foglie, il Sig. Vento a mezzanotte in punto portava via tutte le foglie che erano cadute dagli alberi, ma per i ricci come noi erano indispensabili come lo sono adesso perché servono a tenere caldo il nostro lettino, senza quelle che ci riscaldano, dormiremmo molto male. Al vento non importava, diceva solamente con il suo vocione: “Accidenti a voi! Io faccio solo il mio lavoro!”. Allora la Nonna Riccio, bisnonna del Nonno attuale, decise di prendere il Sig. Vento per la gola: preparò uno strano intruglio che si rivelò buuuooonissssimo, parola di riccio!! Prese 98 foglie gialle, proprio quelle che il vento portava via, le bagnò nel fiumiciattolo vicino a casa e aggiunse 5 petali di primula (e qui il nonno precisa sempre: “ovviamente chiedendo il permesso a Mastro Primula!”). Nonna Riccio offrì questo squisito minestrone al vento per dimostrargli che le foglie non sono inutili per noi e che perciò occorre lasciarle al Parco dei Colli. Vento rimase incantato dal gusto saporito, cosi decise di non toccare più le foglie del nostro territorio, in cambio avremmo dovuto festeggiare, 20 giorni dopo l’inizio dell’autunno, una festa in onore del vento, quella che oggi noi ricci chiamiamo: la Festa del Buon Vento, mi piace tanto questa ricorrenza perché si può mangiare minestrone a volontà!

Un giorno anche io sarò Nonno Riccio, sono stato scelto perché sono un tipo sveglio e perspicace, adesso sono piccino e mi diverte il pensiero che tra qualche centinaio di anni, quando Nonno Riccio vorrà e quando capirà che sono pronto per assumere il suo ruolo, sarò io il nuovo capo dei ricci. Credo che quando crescerò però avrò un po’ più paura e sentirò il peso della responsabilità: spero di essere all’altezza! Intanto mi limito ad essere sempre attivo e attento, ad ascoltare i consigli dei grandi e a guardare con ammirazione il nonno.

Ora scappo, vado a dormire perché domani mi aspetta una giornata intensa: saremo tutti a lavorare per il cenone di primavera!

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Solo un piccolo arco a separare la mia stanza dal corridoio e dalle parti comuni: nessuna porta a proteggermi, così come a custodire il modesto letto, un tavolaccio grezzo ed il semplice crocifisso che in essa vi sono contenuti.

Le pareti sono nude, completamente nude e mute, interamente bianche se non fosse per un invisibile quadro, che si apre nella rigidità dei muri. Un quadro vivo, sempre cangiante nei colori, pur immobile nelle forme, che per di più è il mio unico occhio sorridente sul mondo, e sui prati di Valmarina.

Ad una semplice vista, questo spazio potrebbe trasmettere un senso di povertà, ma a ben vedere la mia camera, così come ogni spazio sotto questo tetto, ha una dignità stupefacente, poiché attraverso la sua essenzialità viene rivelata anche la ricchezza di ciò che veramente è importante, e necessario: tutto il resto, che non concorre a questo scopo, è bandito, perché superfluo e solo fonte d’impiccio.

Per capirlo, basta semplicemente avvicinarsi alla finestra, in una di quelle giornate in cui la primavera entrando nel cielo, (e questo può accadere ad ogni giorno dell’anno), manda la propria luce, come fosse un trombettiere, a richiamare la coscienza di tutti gli uomini, affinché non continuino a vedere come in uno specchio, in maniera confusa.

Ed è proprio in simili occasioni, che la lezione dell’umiltà prima, e della meraviglia poi, divengono più facili da imparare: non bisogna far altro che guardare ogni prato, ed ogni albero, per cogliere la magia di questi campi, che restituiscono in fiore e frutto, quanto gli si affida.

Quanto sarebbe bello, se fossimo in grado di pensarci come terra, una terra scura e nera, fertile e generosa? Talvolta me lo chiedo, e nel farlo, stringo fra le mie mani un seme, cercando di capire se anche questa mia carne è in grado di offrire, o restituire in gesti e parole, tutto quanto mi viene donato.

Ed io, non posso far altro che rispondermi con un sorriso e con un pensiero che nasce nel

Una di quelle rondinidi

Alessandro Pelicioli

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Una di quelle rondini

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guardare le mie mani, ed il mio vestito nero e bianco da Benedettina: sono una semplice rondine, senza valore, ma del tutto simile a quegli uccellini, che compresero ed ammirarono San Francesco e le sue parole. E tutto ciò mi rallegra, perché al pari loro, anche a me, un giorno, sarà concesso di levarmi nell’aria con meravigliosi canti.

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Siamo al Parco dei Colli ed una scolaresca sta entrando nel bosco per osservare le piante e gli animali che vivono in queste zone.

Le voci e le grida di gioia di questi ragazzi fa un po’ spaventare i piccoli animali che popolano il bosco, tra questi si nota un piccolo riccio che scruta tutto quel movimento con un po’ di curiosità. Anche un ragazzino con gli occhiali ed i capelli arruffati lo ha notato e piano piano senza far troppo rumore gli si avvicina: “Ciao piccolo riccio! Non aver paura! Non scappare! Quanto sei carino!”.

“Ma io non ho paura, sono solo incuriosito da tutti voi! Cosa fate qui?” risponde il riccio. “Siamo venuti con la nostra insegnante a studiare gli animali e le piante del bosco, anche se io

vengo da un piccolo paese di montagna e so già tutto quello che si deve sapere sulla natura… A proposito, non mi hai neanche detto se hai un nome! Io sono Giulio” continuò il ragazzo.

“Mi chiamano tutti Nonno Riccio perché sono il più anziano di tutti i ricci del bosco e adoro raccontare storie e leggende. Tutte le sere sotto il grande pino che vedi lì davanti raduno i miei nipoti e racconto loro qualcosa” rispose Nonno Riccio uscendo dalla sua tana.

“Bello!! Allora ti racconterò una leggenda del mio paese, Gromo, così avrai una storia nuova da raccontare questa sera… Ti racconterò la leggenda del “Rossì de Grom”:

Devi sapere che il Rossì era un uomo alto e magro, così chiamato per la folta capigliatura rossa, per questo motivo i suoi coetanei si facevano beffe di lui. A dire il vero egli non amava stare con gli altri e non era amato da nessuno a causa del suo carattere selvatico e delle malefatte compiute. Più volte i gendarmi avevano tentato di catturarlo ma non ci erano mai riusciti; anche se veniva colpito con i fucili non rimaneva mai ferito.

Tutti nella valle lo temevano.Una volta combinò un fatto così grave che mise fine ai suoi giorni.

Nonno Riccioe il Rossì de Grom

diGiulio Lazzarini

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Nonno Riccio e il Rossì de Grom

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Si innamorò di Rosina, una bellissima ragazza di Gromo che faceva la pastorella. Un giorno, mentre Rosina era al pascolo, le si avvicinò di soppiatto e la rapì e la chiuse nei meandri delle grotte che si trovavano nei pressi del paese. Rosina per vincere la paura pregò intensamente la Madonna di Ardesio, un paese vicino, che la aiutò: quando il Rossì si allontanò per andare a caccia, la ragazza riuscì a liberarsi e vide una luce che la guidò fuori dalle grotte fino alle rive del fiume Serio.

Rosina corse dai gendarmi e raccontò loro dove potevano trovare l ’uomo. Disse anche che l ’uomo indossava sempre una maglia di ferro: per questo motivo non riuscivano mai ad ucciderlo. I gendarmi allora chiesero a tutta la popolazione di raccogliere il poco oro che possedevano per fonderlo e fare una pallottola d’oro che avrebbe finalmente ucciso il Rossi.

Quando l ’uomo morì venne sotterrato in “Cornalta”, un monte che domina il paese, dove non si sente il suono delle campane che avrebbero potuto farlo tornare in vita”.

Il piccolo riccio si stiracchiò allungando le zampine: “Caspita! Che bella storia! Stupirò proprio tutti questa sera con un racconto così bello! Oh!

Ti stanno chiamando! Corri dai tuoi amici ma torna presto che ti devo raccontare anch’io una leggenda del bosco!!!!”

“Va bene e a presto!! Ciao Nonno Riccio!” e Giulio corse per raggiungere i suoi amici che già si avviavano al pullman.

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Esisteva, un luogo chiamato “il giardino magico”, ma non era permesso a nessuno entravi perché le chiavi erano ben custodite dal Sindaco Smog in una camera blindata nella sua dimora a Bidonville.

Anni prima c’era un’allegra cittadina chiamata Sunville, verde e rigogliosa. Il vento soffiava forte e pulito tra i rami degli alberi, e gli uccelli stavano ovunque con i loro nidi, i giardini erano colmi di fiori profumati e gli animali vivevano in armonia con l’uomo; la vita scorreva felice, perché adulti e bambini sapevano quanto era importante e bello rispettare la natura.

Un giorno arrivò il nuovo candidato sindaco Sig. Smog che pubblicizzò agli adulti la modernizzazione: “Modernità uguale felicità”, “Più Sviluppo industriale meno tasse da pagare”.

Queste nuove idee convinsero molto gli adulti e, in quattro e quattr’otto il Sig. Smog fu eletto sindaco.

La modernizzazione fu un successo, furono organizzate zone industriali, nuove infrastrutture e strade a scapito del verde e della natura. Fu persino cambiato il nome in Bidonville. In un primo momento il riciclo funzionava, ma con il passare degli anni la pigrizia lasciò che anche il poco verde rimasto venisse distrutto.

Anche gli animali se ne andarono e il vento, quel poco che riusciva ancora a soffiare fra i mille grattacieli si fece secco, caldo e sporco. Col tempo la gente smise di riciclare e di tenere le strade pulite; man mano che gli anni passavano, la grande modernizzazione produsse solo grande cementizzazione: si costruirono macchine più assordanti, industrie più inquinanti e le discariche erano ormai stracolme di rifiuti nauseabondi. Quella che era la città di Sunville divenne una metropoli grigia e puzzolente. Gli abitanti si resero conto troppo tardi di quanto si era trasformata la loro città e tentarono di salvare il poco verde rimasto raccogliendolo tutto in un giardino. Quando la gente iniziò ad amare ancora il verde, cominciò un periodo di proteste e manifestazioni fuori dal municipio e fu così che il sindaco tiranno decise che avrebbe dato fine

La città di Sunvilledi

Sara Cuni

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La città di Sunville

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ai malcontenti comprando il giardino e chiudendolo a chiave sotto una gigantesca campana di vetro. Gli adulti lo avevano chiamato “il giardino magico”, perché si diceva che avesse dei poteri curativi e che, sprigionando la sua forza, potesse una volta aperta la campana liberare la città dall’inquinamento.

Gli uomini pian piano dimenticarono il colore della natura, la forma degli animali e il profumo del vento.

Un giorno un bambino stava giocando con i suoi amici a salta-la-spazzatura, ma inciampò e cadde. I suoi amichetti scapparono ridendo e il bimbo rimase solo a terra a piangere.

“Perché piangi?”Il bambino alzò gli occhi e, con grande stupore, vide una creatura molto piccola con sei zampine

e un bel paio di antenne che lo fissava. La formica ripeté:“Perché stai piangendo?”Il bimbo iniziò a parlare con la formica. Non aveva mai parlato con un animale prima di allora;

non sapeva neanche che esistessero! Parlarono per tutto il pomeriggio fino al tramonto: lui le raccontò della vita in città e degli uomini, lei del mondo sottoterra e degli animali che vi si erano rifugiati. La formica gli spiegò che erano costretti a vivere lì da quando Sunville era diventata Bidonville, e che da molti anni loro e altri animali si riunivano in conferenze segrete.

La formica entusiasta della chiacchierata invitò il bambino alla conferenza che si sarebbe tenuta il giorno dopo. L’appuntamento era alle 15:43 alla discarica est.

Quando il giorno dopo entrò nella Sala del Congresso, furono tutti estasiati per la sua presenza e gli proposero subito di diventare il rappresentante dell’uomo. Con lui si sentivano tutti pronti ad agire; le tante riunioni che fino allora erano state solo idee e parole con quel nuovo piccolo rappresentante potevano diventare realtà. L’appoggio dell’uomo era fondamentale. Così le conferenze future stabilirono un piano per riportare il verde, il bene più prezioso che tutti rimpiangevano, ora anche l’uomo finalmente.

Il piano prevedeva di rimpossessarsi del Giardino Magico di cui il bambino aveva raccontato a tutti e quindi di recuperare le chiavi. Il bambino avrebbe preso le chiavi, le formiche lo avrebbero accompagnato scavando un tunnel sotterraneo, l’unica strada sicura per raggiungere l’interno della dimora del sindaco Smog. Gli altri animali avrebbero distratto il sindaco creando dei danni in città in zone diverse. Tutti speravano che, aprendo il giardino, la sua potenza liberasse la città dalla sporcizia e gli animi delle persone dall’infelicità che era nata col tempo.

In pochi giorni il piano venne completato e una settimana dopo tutti erano pronti ad attuarlo. Quando furono recuperate le chiavi il bambino corse fra le strade verso il giardino e tutti gli

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animali lo seguivano; anche il vento correva con lui e spalancò tutte le porte delle case. Appena gli abitanti si resero conto di ciò che stava avvenendo scesero fra le strade insieme al bambino. Tutti correvano verso il giardino.

I cancelli furono aperti, la grande campana di vetro crollò.Un attimo di quiete, come per prendere il respiro e poi con la forza di un uragano il giardino

liberò tutta la magia che il terribile sindaco aveva imprigionato; gli alberi, l’erba, e gli animali mossi da una forza misteriosa invasero la città e si ripresero ciò che un tempo era stato loro.

Tutti entrarono nel grande giardino e iniziarono a festeggiare; i bambini giocavano con gli animali e gli adulti, fra una canzone e l’altra, presero importanti decisioni per una nuova città ecologica.

Il Sig. Smog venne ingaggiato come spazzino.Bidonville era finalmente tornata la splendente Sunville.

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La città di Sunville

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La sera copriva in silenzio i colli della città. La pioggia profumava l’aria ricordando l’arrivo dell’estate. Le gocce cadevano sempre nello stesso ritmo, ballando sui rami fioriti e sull’erba verde che nascondeva le case dei piccoli abitanti del parco: i Collinesi. Queste anime dimenticate dagli umani, perse in tutto quel mondo come delle cose che non esisterono mai, vivevano in un continuo movimento e facevano una vita tranquilla, in armonia con la natura.

Nella radura, accanto al fiume, si sentiva già il mormorio di voci tenere che aspettavano l’arrivo di Nonno Riccio.

Il coniglio Codino si fermò sotto la Grande Quercia, l’albero più vecchio del parco. Erano quasi tutti presenti lì: le anatre, i cigni, il tasso, le caprette, i ricci, gli scoiattoli che giocavano tra i rami dell’ albero, i piccioni, il merlo, le rondini, la tartaruga, perfino la talpa che non lasciava quasi mai le sue lunghe gallerie.

Anche questa sera ascolteranno una bella storia, una delle tante raccontate da Nonno Riccio.“Ma che cosa succede se la pioggia non si ferma?” chiese preoccupato il cucciolo di cinghiale.“La storia la sentiamo comunque, Nonno Riccio non manca mai,” lo tranquillizzò la madre.“Guardate, guardate, sta arrivando!” si sentì una voce.“Sta arrivando, finalmente sta arrivando,” mormorarono le anatre.“Dove siete? Ci siete tutti?” chiese la mamma-anatra, incominciando a contare i piccoli. Uno,

due, tre, quattro e...“Bocconcino? Dov’è andato?”Cercarono con lo sguardo quel fratello birichino, che era sempre sull’acqua, galleggiando e

nuotando su e giù.“Bocconcino, sbrigati, sta arrivando Nonno Riccio!”“Quack, quack, ancora un po’ mamma, ti prego, sai quanto mi piace galleggiare sul fiume

quando piove.”

Il fiore del fiumedi

Bianca Alecssia Gaina

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Il fiore del fiume

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“Adesso o niente uscite domani!”“Però, mamma, posso sentire anche da qui...”“Non fare i capricci, tutta la gente deve stare insieme.”Bocconcino obbedì non molto dispiaciuto, perché le storielle erano sempre accattivanti e

molto piacevoli.Nonno Riccio salutò la gente e si sedette accanto ai piccoli che lo guardavano con rispetto.“Bella serata!” disse così, tanto per incominciare.“E bella pioggia” mormorò la talpa che non amava molto l’acqua che cadeva dal cielo.“Piace o non piace, una volta la pioggia ci ha aiutati a salvare il Fiore del Fiume. Ascoltate che

storia” continuò Nonno Riccio.“Tantissimi anni fa, ai tempi delle prime scoperte moderne, gli uomini desideravano cambiare

il loro mondo. Gli piaceva vivere bene, perciò pensarono di costruire delle case più grandi e delle macchine che potevano portarli lontano, lontano senza usare i piedi. Ma questa vita non costava per niente poco, così comiciarono a fare soldi in ogni modo: scoprirono la corrente e la chiusero nelle lampade, tagliarono i boschi per innalzare dei palazzi lunghi e grossi che nominarono ‘Fabbriche’, e giorno dopo giorno, ci andavano in macchina. Fecero tante cose per cambiare la loro vita, senza pensare neanche un po’ a noi, agli animali rimasti senza riparo e alla natura che da sempre si regalava senza chiedere niente a nessuno.

Una mattina, molto presto, il bosco fu svegliato da rumori cosi forti che tutti pensavamo che stesse arrivando la fame del mondo. Siccome il suono veniva dalla terra degli umani, io e altri abitanti decidemmo di scendere per vedere che cosa succedeva. Così, insieme a un urogallo e a due conigli, ci avvicinammo a quel posto del quale si parlava tanto. Quando arrivammo sulla collina, non riuscimmo a credere a quello che i nostri occhi vedevano: gli umani costruivano una nuova città distruggendo tutto intorno. ‘Pulirono’ il posto, tagliando metà del bosco, portarono delle grandi macchine per scavare la terra e per fare delle fosse enormi, distruggendo così le nostre tane e le gallerie delle talpe, delimitarono quel pezzo come se fosse già loro, innalzando dei recinti spaventosi e, la cosa più brutta era che buttavano tutti i resti del loro cantiere nel fiume.

“Dobbiamo tornare nella radura e prendere una decisione, dissi molto spaventato. Lasciamo l’urogallo sulla cima di un albero, così vedrà meglio che succede durante il giorno poi faremmo il nostro dovere.”

Tornammo in fretta a casa e raccontammo tutto. I Collinesi erano impauriti. Dove andare? Queste erano le nostre terre da migliaia di generazioni. Chi dava il diritto agli umani di

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impadronirsi del nostro bosco? Siamo stati noi a scoprirlo per primi, cento anni fa e adesso ce lo rubano come se fossero i creatori del mondo? E tutte quelle cose buttate nel fiume! Come respireranno i pesci? Come farà a nutrirsi la terra lungo la riva? E le piante, tutti quei bellissimi fiori che spuntano impazienti ogni primavera? E il Fiore del fiume? Il Fiore del fiume! In tutta quella confusione dimenticammo la cosa più importante: se uccideranno quel fiore, la pioggia non saprà più dove cadere, il bosco seccherà e, senza cibo, spariremo anche noi piano, piano.

I Collinesi sapevano che le nuvole arrivavano da loro, solo se la terra era secca e faceva spuntare un fiore meraviglioso, color arcobaleno, che cantava e danzava il ballo della pioggia. Ma quel fiore usciva solo durante la notte, nell’alto del fiume, proprio dove gli uomini buttarono i loro avanzi.

“Cosa facciamo” domandai a mio padre “andiamo via?”“Queste sono anche le nostre terre, la natura le ha regalate anche a noi, perciò restiamo e

lottiamo! Dobbiamo far sbocciare il fiore e portarlo qui. Chiederemo alle formiche e agli uccelli per chiamare la pioggia e durante la notte prenderemo il fiore!”

Quella volta ci rendemmo conto che la natura è un insieme di bellezza e di armonia. Basta solo rispettare la vita, qualunque sia la sua forma, per avere l’aiuto quando ti serve.

Arrivata la pioggia, gli umani salirono nelle loro macchine e sparirono. Sulle spalle di un cerbiatto, andai in fretta per trovare il fiore. Pioveva a dirotto e non vedevo quasi niente. Dall’alto, l’urogallo ci guidava nel buio.

“Ecco, ecco il fiore! Laggiù, accanto al salice.”Scesi dal cerbiatto e, con molta cura, raccolsi il fiore. Lo sentivo tremare. Dovevo portarlo

subito al sicuro. Una volta tornati nella radura, lo misi sulla riva del fiume, dietro la piccola cascata che sembrava portare alla luce tutte le ricchezze della terra. Ho chiamato i Collinesi per farli badare al fiore.

“Noi torniamo sul cantiere. Mandate i castori al Ponte delle Querce, dobbiamo costruire delle dighe per far fermare i resti buttati dagli umani, altrimenti quelle cose avveleneranno tutto intorno a noi: i prati, la radura, i giardini, gli alberi, i fiori, i pesciolini e le tartarughe.”

Quella fu una notte molto impegnativa. Abbiamo lavorato sodo, fino all’alba. I castori hanno costruito tre grandissime dighe che facevano passare solo l’acqua pulita. Quando gli umani sono tornati al lavoro, hanno trovato i resti che inondavano il cantiere. Solo allora si resero conto dell’errore fatto: tutte le cose buttate erano ritornate, perché l’acqua le aveva spinte fino al mezzo del cantiere. Hanno dovuto fermare i lavori per pulire il posto e quando hanno voluto ricominciare, la pioggia ci ha aiutati ancor una volta. Dopo una settimana, il cantiere sembrava

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Il fiore del fiume

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un piccolo laghetto. Pure le anatre ci galleggiavano sopra. Vedendo tutto ciò, gli umani ci pensarono bene e rinunciarono a costruire qui, dicendo che la terra era troppo scivolosa e che il luogo s’inondava spesso. Così fu salvato il parco e con esso anche il Fiore del Fiume, la cosa più importante per i Collinesi.”

La storia fini, ma nessuno osava rompere il silenzio. Solo Bocconcino, la piccola anatra amante dell’acqua, cominciò a galleggiare attirando l’attenzione dei Collinesi:

“Quack, quack, guardate che meraviglia, è sbocciato il Fiore del Fiume!”Nello stesso istante, tutti gli sguardi si volsero verso la riva. Cantando e ballando la danza della

pioggia, quel piccolo fiore, color arcobaleno, illuminava tutta la radura, riempiendo di gioia e di amore le anime dei Collinesi. Guardandolo incantato, Bocconcino aveva ragione: il fiore era davvero una meraviglia!

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Anche quella sera Nonno Riccio, dopo aver raccolto attorno a sé i giovani ricci, si preparava a raccontare uno dei suoi ricordi che affondavano lontano nel tempo. Era ormai una consuetudine, forse perché sentiva che le sue giornate non sarebbero state così tante e lunghe come quelle trascorse. In verità, oltre ai giovani, vi era un gran numero di ricci adulti, sempre ansiosi e curiosi di conoscere le avventure, le esperienze, i fatti occorsi a questo riccio millenario. Quella sera, però, Nonno Riccio pareva corrucciato: si era infatti reso conto, durante le sue passeggiate quotidiane, che il suo mondo (che migliaia di anni addietro era immenso), si era di molto ristretto. Infatti, il parco in cui viveva (chiamato Parco dei Colli), era ormai circondato da strade, case, muri di cinta: che cos’era successo in questi ultimi 100 anni?

La sua mente aveva cominciato a indietreggiare nel tempo: i ricordi, seppure innumerevoli, si rivelavano chiari come appena successi. Ricordava chiaramente gli spazi immensi, il profumo dell’ erba incolta spazzata dai venti, i rigidi inverni, le catastrofi, i silenzi mai interrotti da alcun rumore…

E poi… Poi era comparsa una strana creatura: camminava in maniera innaturale su due zampe, e non era ricoperta da aculei come i suoi, ma aveva il corpo ricoperto di peli e in seguito si copriva di pelli di animali. Viveva in gruppo, questa creatura, cacciava (ma questo è naturale, molti animali cacciavano la propria preda per sopravvivere), e cercava rifugio in grotte. Aveva sentito dai racconti di altri ricci che in seguito questa creatura aveva avuto il predominio sulle altre. Si cibava dei frutti che Madre Natura offriva, tagliava alberi per costruire ripari, amava e sudava sulla terra, che contraccambiava donando raccolti generosi. Per migliaia di anni l’uomo (così aveva sentito chiamare costoro) aveva vissuto in pace con animali, piante, sconvolgimenti: non chiedendo, né pretendendo di più, ma ringraziando Madre Terra per quanto elargito ogni giorno. Come tutti noi viveva il miracolo di un nuovo giorno, delle bellezze della natura, del tepore del sole, del variare delle stagioni. Vi erano popoli che adoravano come dei le creature dei

Le riflessioni di Nonno Ricciodi

Mattia Martinelli

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Le riflessioni di Nonno Riccio

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boschi, piante o animali che fossero. Adoravano la Madre Terra e il Sole; i loro guaritori usavano da millenni erbe e medicamenti della natura. Tutto in un equilibrio perfetto. Non mancavano le catastrofi, glaciazioni, siccità, ma tutto era visto e vissuto secondo un disegno divino. E intanto queste genti si moltiplicavano. Vi erano popoli che adoravano il Sole, chi aspettava l’inondazione di un fiume che avrebbe poi dato nutrimento alle terre coltive, chi adorava animali più semplici, altri che dopo aver cacciato e ucciso un animale, ne mangiavano l’organo che ritenevano più importante per avere più coraggio, forza, velocità, e ringraziavano il suo spirito per questo dono, tutta in perfetta armonia e nella serenità di spazi immensi.

Ma non era più così: la fitta nel petto, a questo pensiero, si faceva lacerante. Non era più così da diverso tempo, ed era doloroso ammetterlo. In questi ultimi tempi il cambiamento era stato così veloce e accelerato, tanto da non rendersene conto. Ma era successo.

Molte cose erano cambiate: gli spazi aperti e silenziosi, ridotti a cumuli di cemento e roboanti di mille rumori, l’aria non più pura e l’orizzonte di un color grigio che nulla ricordava della trasparenza di un tempo. La frenesia palpabile nell’aria; le loro costruzioni cresciute in ogni dove senza rispetto per gli alberi e gli animali che li vivevano. Quante di queste specie aveva visto scomparire in questi ultimi decenni? Tantissime, ma l’uomo sembrava non rendersene conto. Irrora alberi e campi con pesticidi per distruggere animaletti nocivi per le culture (ma l’equilibrio dove va a finire?), modifica piante e semi perché la terra produca più frutti, dimenticando che da migliaia di anni ci sfama e ci culla.

Ma perché è successo tutto ciò? In nome di che cosa? Progresso? Modernizzazione?Aveva sentito di un popolo fiero, in un continente chiamato America, rinchiuso in riserve o

ormai in via d’estinzione: perché gli faceva così male? Se l’uomo faceva questo ai suoi simili che considerazione avrebbe avuto di creature più piccole e indifese di lui? La risposta, mai pronunciata, aleggiava nella sua mente e un pensiero martellava le sue tempie: lui era alla fine dei suoi giorni, ma degli altri, che ne sarebbe stato?

Una lacrima scese dai suoi occhi, e quando li riaprì si accorse dello stupore di chi, radunatosi in devoto silenzio, lo stava a guardare e aspettava le sue parole: guardò lo stupendo tramonto che Madre Natura gli offriva, li amò, ed iniziò il suo racconto.

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Ogni sera nonno Riccio racconta che nell’angolo più nascosto di una casetta sui colli bergamaschi, alla base della vecchia credenza di pino, viveva, ormai da sette secoli-luce, una bambina.

Alia, questo il nome della piccina, ricordava bene come era capitata laggiù: durante la corsa di Primavera della Scuola di Prato Rugiadoso aveva inavvertitamente urtato una delle compagne, facendola inciampare proprio nei suoi rossi riccioli e mandandola gambe all’aria tra le risate dei presenti. La vecchia e altera Fata del Mandorlo in Fiore, Runa, non aveva creduto a una sola delle sue accalorate giustificazioni.

“La tua impertinenza, Alia, ha superato ogni limite. È la prima volta in millenni di storia che capita un episodio così vergognoso. Pertanto sarai punita! Io ti condanno a vivere nel mondo degli uomini. Partirai domattina all’alba, sul primo raggio di sole.”

E così Alia era finita proprio lì, nella casa del boscaiolo Armando e di sua moglie Marika.Lui era burbero, ma aveva un cuore d’oro: come quella volta che aveva allevato due cuccioli

di volpe, con l’ intento di venderli al mercato, per poi lasciarli liberi. Per Alia erano stati i primi amici. Si afferrava al loro soffice pelo e si faceva trasportare qua e là. In quei momenti riusciva perfino a dimenticare Prato Rugiadoso e la nostalgia che ne aveva.

Della signora Marika invece le piaceva la pelle delicata e morbida. A volte, la notte, si rincantucciava tra il cuscino e il lenzuolo, e lì rimaneva ore e ore, a dormire e a sognare, cullata dal suo respiro caldo, avvolta nei suoi capelli.

Ma c’erano momenti in cui il piccolo cuore di Alia sembrava si spezzasse a metà: capitava quando scopriva Marika piangere inginocchiata accanto ad una minuscola culla, in solaio.

Doveva esserci stato un bambino in quella casa, un tempo. Dove fosse ora, questo Alia non lo aveva scoperto, sapeva però che la sua mancanza faceva soffrire terribilmente Marika.

La leggenda della collina incantata

diAurora Cantini

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La leggenda della collina incantata

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85 I RaccontI del PaRco 2

Molte stagioni erano trascorse, ma quella notte non era come tutte le altre… Erano quasi le undici quando bussarono alla porta. Dal suo angolino privilegiato Alia osservò

i nuovi arrivati: due figuri alti, infagottati in tabarri neri e scarponi pesanti. “Il signor Conte è stato chiaro, Armando.” ribadì il più massiccio sedendosi al tavolo. “Resta

solo da definire come verrà saldato il debito. Basta una firma.”“Una firma per lasciare tutto?” esclamò Marika avvicinandosi. “Questa è la nostra casa, qui c’è

la nostra vita, mio marito vive per la collina e per il bosco.”“Signora,” intervenne il secondo uomo “noi tutti capiamo il vostro stato d’animo, ma vostro

marito ha commesso un errore con il taglio degli alberi e purtroppo per questo tipo di errore c’è la galera. D’altra parte il signor Conte ha diritto al proprio risarcimento. E se voi non avete denaro... Oltretutto era da un pezzo che pensava di creare qui una zona residenziale.”

L’orologio battè la mezzanotte: la notte di Ognissanti.“È tardi.” Sospirò il primo uomo scostando la sedia e alzandosi. “Le carte sono pronte. Non

devi pensare, Armando, che tutto questo mi faccia piacere. Ci conosciamo da tanti anni e so che sei sempre stato un uomo leale e onesto, un gran lavoratore. Ma quello che è successo…”

Detto ciò si avviarono entrambi alla porta, pronti ad uscire. Nel silenzio della notte Alia non riusciva a dormire. Subito cominciò a pensare quale

incantesimo poteva essere utile per salvare Armando, Marika e il bosco. Tra i tantissimi che le allieve della Scuola di Prato Rugiadoso dovevano padroneggiare ce n’era

uno che faceva al caso suo: si trattava dell’ Incantesimo delle Sette Gocce di Luna. Non restava che procurarsi gli ingredienti.

Trovare Sette fiocchi di neve bianca fu facile, vista la recente nevicata, come anche i Sette cristalli del ghiaccio più puro: ne aveva già ammirati alcuni nella grotta a monte della legnaia; per raccogliere Sette sassolini bianchi perfettamente rotondi scese al greto del torrente. Ora però veniva la parte più difficile. Per avere Sette petali di giglio bianco e le Sette lacrime del destinatario dell’incantesimo doveva chiedere aiuto: era giunto il momento di mostrarsi a Marika.

Entrata in camera scivolò accanto al letto e si arrampicò lungo il bordo della trapunta. Poi, con le manine tremanti, cominciò ad accarezzare la guancia di Marika, chiocciando il suo

nome. “Marika, svegliati, ti prego...”La donna ansimò e si mosse, portandosi una mano al viso, come a scacciare qualcosa di

fastidioso.

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86 I RaccontI del PaRco 2

“Dai Marika, su, svegliati!” continuava a ripetere; intanto le afferrava le ciglia per sollevarle le palpebre pesanti.

“Aumf!” Marika si volse tirandosi sul viso la trapunta, ma due manine febbrili la tiravano e strattonavano scostando i lembi della coperta. “Ma... cosa, cos’è?”

Ora gli occhi erano aperti e fissavano rotondi e sgranati la figurina appollaiata proprio di fronte al suo naso.

“Non ti voglio spaventare. Io sono Alia, sono una fatina.” “Sei una... ” Marika si portò le mani al viso tremando. “Sto sognando!”“Non stai sognando, io sono vera, sono sempre stata qui e so quello che vi è capitato. Vi voglio

aiutare, ma tu devi alzarti. Avanti!” Marika si tirò su a sedere e lanciò uno sguardo al marito. Dormiva ancora. “Tu sei stata mandata per salvarci?”“Sì, te l’ho già detto! Ma bisogna fare in fretta. Ascolta...” e intanto le raccontò di come fosse

capitata lì, dell’incantesimo delle Sette Gocce di Luna e degli ultimi due ingredienti mancanti. La donna sospirò: “Io so dove cercare un giglio.”

Uscita dalla stanza salì le scale diretta alla soffitta con Alia al seguito. “Sai piccolina, una volta avevo un bambino.”Rovistò in un baule posto vicino alla culla. “Quando capitò la disgrazia, ho messo qui tutte le sue cose. Quel giorno era vestito di bianco.

E quanti gigli! Bianchi e puri come lui.” Si interruppe affannata rialzandosi, mentre le lacrime rigavano copiose le sue guance. Tra le

mani reggeva una scatolina decorata.“Qui ci sono alcuni petali. Ogni volta che apro questa scatolina risento il suo profumo. Ritrovo

il mio Ferruccio.”

Alia aprì la scatolina e lasciò che le lacrime inondassero i petali deposti al suo interno. Una volta in cucina misero il tutto in una bacinella che poi Marika, seguendo le indicazioni di Alia, depose fuori dalla porta d’ingresso, verso Oriente, affinchè fosse illuminata dal primo raggio di luna.

Infine, esauste entrambe, si coricarono. All’alba, quando Armando aprì la porta di casa diretto alla stalla, notò qualcosa luccicare ai

suoi piedi. Si chinò cautamente e quando si sollevò, tra le mani a coppa brillavano Sette diamanti perfettamente rotondi e levigati.

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La leggenda della collina incantata

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Quello che successe in seguito parve un sogno. I coniugi ottennero il denaro necessario a rimborsare il signor Conte, ma non solo. Il valore dei diamanti era talmente inestimabile che riuscirono anche ad acquistare l’intero versante della collina. Avrebbero creato una Riserva Naturale Protetta, un Parco dove conservare un ambiente incontaminato e pulito.

Accoccolata tra le palline e i festoni argentati dell’albero di Natale, Alia osservava la felicità irraggiare dai volti dei suoi amici.

Ma ecco che all’improvviso... un turbine iridescente le vorticò intorno e Alia si ritrovò a fissare negli occhi la sua vecchia insegnante, la Fata del Mandorlo in Fiore in persona: Runa.

“Ben ritrovata, Alia! Ti abbiamo tenuto d’occhio fin dall’inizio e sapevo che non ci avresti delusi. Hai donato Amore e Gioia in questo mondo così egoista e insensibile, proprio come una vera Fata. Ora sei pronta a riprendere il tuo posto tra noi.”

Alia rimase muta e immobile come una statuina di cera.“Vedo che non dici niente. Ti ho sorpresa?”“No, Reverendissima Madre, stavo pensando. Vi ringrazio per le parole gentili e care. Non

potete immaginare quanto avessi desiderato poter rivedere tutti voi, anche solo per una volta ancora. Ma ora... il mio posto è qui, desidero diventare una bambina vera, e stare per sempre con Marika e Armando.”

La vecchia Fata rimase in silenzio, assorta, osservandola.

“Se così desideri io accolgo la tua richiesta. Ma ricorda che il tuo tempo quaggiù si misurerà sul tempo degli uomini. E tu un giorno sarai polvere e terra, come loro. Il mio Potere ti darà nuova Vita e nuova Forza. Usala bene, per creare Pace e Armonia nel tuo nuovo Popolo.”

Soggiunse le mani e la guardò, per l’ultima volta. “Non potrai più ricordare chi eri un tempo, ma in un angolo del cuore ti rimarrà un Sogno,

dove ci ritroverai. E come te così sarà per tutti i bambini che verranno: nella magia dell’ infanzia solo loro sapranno che provengono dalle Stelle. Addio.”

La mattina di Natale, addormentata vicino al torrente ghiacciato, Armando trovò una bambina di pochi mesi, coperta solo delle ultime foglie, i rossi capelli ondeggianti come fuoco. Non si scoprì mai come fosse arrivata fin lì, ma Marika e Armando seppero da subito che quello era il loro nuovo Sogno, per ricominciare a vivere, per continuare a sperare, per ridare Amore.

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Era un platano maestoso. Se ne stava all’ingresso del parco come una vedetta o un invito a lasciare fuori i pensieri bassi e meschini per dedicarsi solo a quelli più sani, più alti, più robusti.

Ai suoi piedi, una congregazione vociante: dieci o undici ricci, alcuni sdraiati su un fianco, altri riuniti in gruppetti di due o di tre, altri ancora soli, a godersi l’ombra e l’aroma boschivo del crepuscolo.

“… e gli abbiamo dato una lezione, perdio, se glie l’abbiamo data…” gridava Nonno Riccio con enfasi.

Lo schiocco del suo bastone di canna finì a mo’ di frusta sulla groppa del piccolo Billy. “Zitto, fetente!”“Non sono mica l’unico a parlare.”“Dovreste avere un po’ più di rispetto per le generazioni venute prima di voi. Cosa ne sapete di

questo bosco, di questo albero? Eh, cosa ne sapete?”“Io l’altro giorno ci ho visto Lucy Mar imboscata con il figlio dei Woods” disse Oro.“Figurarsi, la dà a tutti, quella” commentò Giallo.“A te no di certo” disse Felina con una punta di disappunto.“Zitti, insomma! Intendo dire, la storia. Conoscete la storia di questo albero o sapete solo pensare

alle vostre sciocchezze? Lo sapete, quanti anni ha? Cosa significa per la nostra comunità?”“Sciocchezze…” gli fece eco Giallo.“Avrà cent’anni? Duecento?” fece Pallida, che tra tutte era quella che ci teneva di più a non

far infuriare Nonno Riccio. Se non altro perché era anche il suo insegnante di pianoforte, e non voleva certo giocarsi i voti del quadrimestre così.

“Questo platano rappresenta la base della nostra comunità. È qui dove lo vedete da più di mille anni, mille; ha visto morte e miracoli di quelli che sono venuti prima di voi, è stato difeso con i denti da ricci impavidi, da eroi che si stagliano come fari nella notte…”

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Silvia Rota Sperti

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Il platano

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Era l’ora bella, e i ricci lo sapevano. La luce toccava alberi, foglie e rami con una dolcezza piena e soddisfatta, che al contempo aveva qualcosa di struggente. Liberava per il sottobosco l’aroma delizioso delle giornate spese bene, della vitalità umida e densa che si risveglia prima del calar della sera. Era comprensibile che i piccoli ricci della Seconda classe di Nonno Riccio fossero distratti e sopportassero male l’ora di lezione. “Leggende e tradizioni” non era la materia più entusiasmante: molto meglio “Attraversamento strade in velocità,” o “Strategie anti-timidezza.” Materie pratiche, utili.

“… gente senza la quale oggi non avremmo né questa casa né i diritti che ci proteggono” continuò Nonno Riccio. “E si dà il caso che io in persona, il qui presente Nonno Riccio della famiglia degli Obliqui, eletto Capo della comunità e Consigliere Onorario degli affari interni... be’, io sono stato tra questi eroi.”

Gli occhi dei piccoli ricci ruotarono verso l’anziano riccio come tanti mirtilli neri. “Sei stato in guerra?” chiese Pellet, il riccio più studioso della brigata.“Signorsì. La Guerra del Platano. Con sangue e aculei. Quindi ascoltate, perché quella che vi

sto per raccontare è la storia di una lotta tenace. La storia della nascita della vostra casa.”Tutti si azzittirono. “Un tempo in questo parco non vigevano le stesse libertà di cui godete voi oggi. Non si poteva

andare a caccia di lombrichi dove si voleva, non si poteva fare il bagno nel ruscello la sera tardi, né giocare a briscola a ogni ora della notte: bisognava tenere sempre gli occhi bene aperti. Mica scherzavano, quelli. Venivano di mattina presto, proprio quando noi si andava a dormire, e zac! falciavano tagliavano abbattevano bruciavano. Fino al calar del sole. Venivano con i loro cingolati che sembravano macchine infernali. Dovevano “fare pulizia,” a sentire loro. Ripulire il sottobosco. Abbattere alberi. Riunire ciocchi. Costruire un bello steccato che andasse dall’inizio alla fine del parco. Be’, alla fine quello l’hanno fatto, ma...”

“Raccontaci del platano, nonno Riccio.”“Dunque, mentre quelli si davano da fare per tagliare, io e gli altri – i vostri nonni, prozii,

trisavoli e via dicendo – ci davamo da fare per rendergli la vita difficile. Se loro sistemavano, noi mettevamo in disordine. Se loro costruivano, noi distruggevamo. Se loro distruggevano, noi… be’, noi li terrorizzavamo. Anche con il sangue, se necessario.”

Gli aculei dei piccoli si rizzarono dalla paura. “All’alba, prima che quelli tornassero, spostavamo le cose che avevano lasciato là: accette, asce,

funi, legni, rami, berretti, indumenti. Li nascondevamo, oppure semplicemente gli cambiavamo di posto. Dovevate vederli, impallidivano come uova sode, roba da morire dal ridere.

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Una volta abbiamo pestato qualche bacca di sambuco e abbiamo scritto LIBERATION su una ruspa, come fosse sangue. Quelli sono arrivati e sono rimasti a bocca aperta. C’era questo ragazzotto un po’ scemo, “Sam” lo chiamavano. Era il più giovane di tutti, e il più cacasotto. Era terrorizzato come il legno di una quercia marcia. Be’, s’è andato a nascondere nella Pinetina, dritto filato. Ci hanno messo più di un’ora a trovarlo.

Un’altra volta, con l’aiuto di Scotty, lo scoiattolo che viveva sul larice accanto, abbiamo preso un’accetta e l’abbiamo appesa a testa in giù a un ramo del platano. Volevano abbatterlo, sapete. Avevano già segnato la corteccia, povera bestia. E ai suoi piedi, noi ci stavamo costruendo la casa, la vostra casa. Insomma, quelli arrivano e si trovano quest’accetta che gli penzola davanti al naso. È stato allora che la paura è diventata terrore.

Ma quelli non mollavano. Hanno cominciato a cercare un colpevole. Hanno pensato agli operai della vicina ditta di tubi in cemento, che forse non volevano falegnami tra i piedi. Hanno pensato a un complotto ambientalista. A Greenpeace. La Nato. I nazisti. La lega dei pensionati. E che diamine. Hanno messo delle telecamere nascoste, ma noi eravamo più bassi delle telecamere, e più furbi dei nazisti.

Siamo andati avanti dei mesi. Ogni giorno quelli ripulivano schiacciavano tagliavano. E ogni notte noi spostavamo le cose. Poi alla fine, io in persona, ebbene, ho dato a quei bruti quel che si meritavano. Gli ho dato il colpo di grazia.”

I piccoli ricci si guardarono smarriti. Cominciava a imbrunire e nel sottobosco girava un’aria fredda e sinistra.

“Li hai uccisi?” chiese Roccia, il riccio più spavaldo del gruppo. “E che diamine, no! Non son cose da ricci, queste. Ma li ho terrorizzati a morte, spaventati

come scarafaggi, fatti filare come faine. Tanto che ancora oggi – lo so per certo – le loro notti sono popolate da incubi e non osano metter piede in un bosco nemmeno la domenica mattina, col sole.”

“Come hai fatto?” fecero i ricci in coro. “Prima, con l’aiuto di zio Aldo e degli altri, mi sono sgranchito le mandibole e ho corretto tutti

i cartelli del parco. Il Parco dei Colli è diventato ovunque il Parco dei Folli. Poi ho preso una corda lasciata ai piedi della ruspa, l’ho immersa nel succo del sambuco e ho imbrattato mezzo bosco di scritte terribili…

Quello li ha convinti. La mattina dopo, hanno preso le loro cose e sono smammati. Avevamo vinto. Il platano era nostro. Ci è costato fatica ma, vedete, quando si lotta per la libertà la fatica non è nulla. E questo platano è qua per ricordarvelo.”

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I ricci rimasero in silenzio. Provavano una strana inquietudine, come se il sottobosco si fosse popolato magicamente di presenze misteriose. Presenze che spostavano in segreto le fronde, mani vegetali che si muovevano sui tronchi, annodando cappi, scrivendo frasi purpuree che scomparivano non appena ci posavi lo sguardo. Ma, in cuor loro, erano orgogliosi di Nonno Riccio.

“E… non vi hanno mai scoperti?” chiese Pallida.“Certo che no! Non saremo veloci come i conigli, ma in quanto ad astuzia…” Se non che, Nonno Riccio non gli aveva raccontato tutta la verità. Non gli aveva detto che

Sam, quel mezzo idiota, una sera si era addormentato dietro una catasta di legna, cullato dall’aria dolce che sprigiona da fronde e cortecce. Gli altri taglialegna se n’erano andati. Sam si era svegliato solo, che ormai era buio. E li aveva visti: silenziosi e ordinati, in fila indiana, sette o otto ricci che sfilavano lentamente accanto alla catasta. Non era una cima, quel Sam, ma aveva capito all’istante.

Andò a finire che denunciò i ricci al suo capo. Quelli non vollero confessare e furono appesi a testa in giù per sette giorni finché, stremati, decisero di trattare. Ebbero il platano e il simbolo del riccio impresso a vita come simbolo del Parco dei Colli. In cambio dovettero ripulire i cartelli, cedere trenta faggi per lo steccato e autorizzare la posa di dieci panchine. E ovviamente fare voto di Timidezza, almeno entro i confini del parco.

L’episodio era rimasto un segreto. Nonno Riccio non poteva ammettere ai suoi studenti che era sceso a compromessi. Non poteva certo rinunciare alle medaglie al valore e agli occhi dolci delle ricce del bosco. E che diamine.

Un soffio di vento mosse le fronde del platano, che sembrò sorridere benevolo ai pensieri dell’anziano riccio.

Proprio così, il bosco aveva bisogno di eroi. Soprattutto di questi tempi. E poi era un riccio, lui. Era l’eroe del Platano. Mica un coniglio.

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4) Sezione tematica: Energia “Acqua, Sole, Vento”.

Tre personaggi in cerca d’autore.

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95 I RaccontI del PaRco 2

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96 I RaccontI del PaRco 2

eneRgIa

Sulla riva, i bambini giocavano sorridendo al Sole.Era un bel giorno d’estate. Il fiume era tranquillo.Scorreva in silenzio, quasi non volendo disturbare i quattro amici.Il vento soffiava appena appena, portando con sè aria fresca e profumo di gelsomino.Il bosco era vicino e dipingeva un bel quadro di verde, di bianco, di giallo e di rosso. Sembrava

che tutti i fiori di questo mondo si nascondessero lì, tra gli alberi più vecchi della Terra.“Se non ci fossi io”, incominciò a vantarsi il Sole, “avrebbe regnato il buio da queste parti.Gli umani non avrebbero avuto niente da vedere.Non avrebbero conosciuto mai il calore o la luce del giorno, la bellezza di una radura o di un

albero fiorito in primavera, tutti i colori e i profumi della natura.”“È vero, però anch’io non sono da buttare via, disse l’Acqua del fiume.”“Guarda quante cose faccio nascere in tutto il mondo.Senza di me, solo con il tuo calore, la terra brucerebbe piano, piano. Quando io mando la

pioggia, gli uomini, ma anche gli animali, sono contenti, perché tutto rinasce. Io porto i vestiti delle quattro stagioni e aiuto la Terra a sopravvivere.”

“Ma voi due siete davvero modesti”, frusciò il Vento tra le foglie di una rosa canina.“Avete dimenticato me, non vi pare?”“Te? Io sono così forte che non ho bisogno di nessuno.Se un giorno mi viene la voglia di bruciare la Terra, posso farlo tranquillamente.”“E se io soffio piano, piano e poi, forte, forte, il tuo calore diminuisce e gli uomini ringraziano

me.”“Io sono più forte di tutt’e due”, sussurrò l’Acqua modellando una nuvola e mandando qualche

goccia sulla sabbia ardente.“Se voglio, una notte mando la pioggia e inondo il mondo intero. La mattina, il Sole non

Un pezzo di mondodi

Robert Sebastian Gaina

PRIMo classIfIcato categoRIa scuole MedIe

Un pezzo di mondo

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troverebbe nessun pezzo asciutto per far riposare i suoi raggi e allora chi avrebbe bisogno di lui se tutto scompare sott’acqua?”

“E se io soffio piano, piano e poi forte, forte mando via le nuvole e asciugo la Terra, come adesso”, mormorò il Vento fermando la pioggia.

“Guardate, vanno via le nuvole, andiamo a giocare di nuovo”, esultò Luca.“L’ultimo in acqua porterà domani la merenda”, disse Cinzia correndo verso il fiume.“Aspettate, non è giusto, io sono il più piccolo”, piagnucolò Marco.“Si, però a mangiarla sei il primo”, disse Lucia.Si buttarono insieme gridando quando sentirono l’acqua fredda.“È una meraviglia, ragazzi!”Qualche tempo dopo, gli amici riposavano sulla sabbia, godendo di quella bella giornata.Marco giocava con la terra impastando un po’ di terriccio con qualche foglia secca trovate sulla

riva.“Cosa stai facendo?” domandò Cinzia.“Un mondo”, rispose serio il bambino.“Quale mondo?”“Un mondo nuovo.”“E a chi servirebbe questo mondo nuovo?” chiese Lucia avvicinandosi.“Un giorno, quando gli uomini non avranno più niente da distruggere, la Terra rimarrà vuota,

senza boschi, senza mari, senza fiori, diventerà tutta di pietra e io voglio farne un’altra, più piccola, però più pulita, più verde e piena di vita. Ma gli uomini non li lascerei per niente in questo mondo.

Non sanno rispettare la natura.L’hanno distrutta e continuano a distruggere tutto quello che è bello: i giardini, le acque, le

foreste, perfino l’aria che loro stessi respirano.”Marco continuava a mescolare la sua piccola Terra.Gli altri si avvicinarono di più e decisero di fare il suo gioco.“Guardate, ho preso nelle mani un raggio di sole”, disse Luca.“Dove? Voglio vederlo”, gridò Marco.“L’ho messo bene e ho chiuso il pugno. Quando la piccola Terra sarà pronta, lo farò uscire per

scaldare il tuo mondo.”“Anch’io ho preso qualcosa”, disse Cinzia.“Cosa, cosa?” domandò Marco.

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“Un’ onda birichina. Più tardi te la regalerò per bagnare le tue terre.”“Oplà!”Tutti guardarono Lucia che, con le mani alzate, sembrava aver preso qualcosa dall’aria.“Adesso abbiamo anche un pezzo di cielo”, disse, “per mettere lì il sole e le nuvole.”“E la luna?” chiese preoccupato Marco, “e le stelle?”“Certo, di notte, mettiamo la luna, anche le stelle.”“Come sarà bello il mio nuovo mondo”, sorrise contento il piccolo, battendo le mani.Dall’alto, il Sole accarezzava i bambini baciando quei visi teneri, pieni di vita.Dal basso, l’Acqua rinfrescava le loro mani, ogni volta che cercavano qualcosa da mettere in

quel pezzo di mondo nuovo.Solo il Vento correva su e giù, soffiando, a volte piano, piano, a volte forte, forte...

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Un pezzo di mondo

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Un giorno, quando oramai tutte le riserve di petrolio e gas naturale risultavano essere esaurite, un uomo fu incaricato dai potenti della terra di trovare una nuova fonte energetica rinnovabile ed inesauribile.

Allora questi si mise in marcia per il mondo. Camminando ragionava sulla stupidità degli uomini che avevano preferito produrre energia usando in gran parte i combustibili fossili.

Tutto ciò era andato a discapito delle energie alternative e il modo per utilizzarle era caduto nel dimenticatoio.

L’ uomo, durante il suo peregrinare, valicò montagne, guadò fiumi e attraversò luoghi oramai desolati, in quanto la popolazione li aveva abbandonati.

La gente era emigrata verso le città ammassandosi alle periferie, perché, solo lì, poteva usufruire delle ultime riserve di combustibili per sopravvivere.

Stanco per il suo errare, attraversando un grande prato, sfinito, si fermò sotto un grande albero a riposare.

Le preoccupazioni che sentiva dentro si fecero vive e resero ancora più agitati suoi sogni già tormentati.

Le immagini di un mondo senza energia, senza ombra di persone, gli graffiavano la mente come un rasoio. Sapeva che il destino del pianeta era nelle sue mani… Tutto dipendeva da lui…

Fu risvegliato da una forte brezza che gli sferzava il volto… Si alzò subito in piedi e sentì una voce che diceva:

“Uomo! Sono il Vento! Il più forte e maestoso elemento di tutto l’ universo, i miei cari amici passerotti mentre volavano nella mia corrente mi hanno riferito della tua ricerca. Sono io quello che cerchi, solo io posso salvare l’ umanità da una fine disastrosa con la potenza dei miei soffi.”

L’ uomo dapprima rimase impaurito, ma, poi, si rese conto che il Vento aveva ragione era

La sfida degli elementidi

Alessandro Porro

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La sfida degli elementi

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veramente una fonte inesauribile e poteva davvero salvare la razza umana. Il Sole, dall’ alto del cielo rimase incuriosito dallo strano dialogo tra l’ uomo e il Vento e scese

a curiosare su cosa stessero dicendo i due. Nel sentire il Vento esclamare che era lui l’elemento più forte di tutti decise di intervenire e

disse: “Sono io, il Sole, l’ elemento più importante per questo mondo e solo io posso decidere sulla

vita e sulla morte di ogni essere vivente della terra! Uomo sono io quello che cerchi: i miei raggi possono scaldare all’ infinito e io sono ovunque al contrario del Vento che è passeggero.”

L’ uomo era veramente confuso e non sapeva chi scegliere tra i due elementi perché non voleva recare offesa ad alcuno.

Ad un tratto la terra iniziò a tremare, dalle sue viscere fuoriuscì uno zampillo d’Acqua che iniziò a parlare:

“Umano! non stare a sentire questi due imbroglioni sono io, l’Acqua, l’ elemento indispensabile per la vita e i miei flutti sono forti e continui al contrario del Vento che è vagabondo e del Sole che tramonta alla fine del giorno. Scegli me come salvatrice della tua razza.”

A queste parole l’ uomo, per troncare la lite, decise, di organizzare una gara, e solo dopo, decretare chi fosse tra loro il più forte.

La prima prova consisteva in una gara di velocità: chi dei tre elementi fosse arrivato primo in fondo all’ immenso prato avrebbe vinto.

Quando l’ uomo diede il via alla gara il Vento subito sfrecciò agile e sinuoso accarezzando l’erba di smeraldo con la sua brezza. Era sicuro di vincere! L’Acqua fece molta fatica perché la cotica erbosa ostacolava il suo passaggio, ma, proprio quando il Vento si sentiva ormai vincitore un raggio di Sole lo sorpassò ad una velocità stratosferica e tagliò il traguardo per primo.

La vittoria fu data al Sole, nessuno era stato rapido come i suoi raggi. La seconda prova avrebbe dichiarato vincitore chi fosse riuscito a spostare un grande masso

che si trovava al limitare della foresta. Il Sole, esaltato per avere vinto la prima gara, volle provare per primo. Indirizzò i suoi raggi

proprio al centro della roccia, senza però scalfirla. Giunto il turno del Vento, prese la rincorsa e si scagliò ad una velocità folle verso la pietra, la quale non si spostò neanche di un millimetro. L’Acqua raccolse tutte le sue forze e urtò il masso con le sue onde facendolo rotolare via. Fu quindi l’Acqua che riuscì a portare a termine con successo la seconda “manche” sfruttando la sua smisurata potenza.

La terza prova se la sarebbe aggiudicata chi fosse riuscito ad arrivare in fondo alla grande

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foresta. Il Sole non voleva darsi per vinto e cercò di passare ma le fronde degli alberi eressero un muro invalicabile contro i suoi raggi. L’Acqua partì di slancio ma la forma irregolare del terreno le impedì di arrivare in fondo alla foresta. Il Vento capì che poteva essere la sua occasione. Partì zigzagando tra i grandi tronchi secolari degli alberi e presto fu in fondo, vincendo così l’ ultima prova proposta dall’ uomo.

Tutti e tre avevano vinto una prova ma nessuno sapeva ancora chi era il più adatto per dare energia al mondo intero. L’uomo dedusse che gli elementi potevano lavorare insieme per salvare la razza umana, in quanto avevano tutti grandi potenzialità. Chiese ai tre di mettere da parte l’orgoglio e di collaborare per il raggiungimento dell’ obbiettivo prefissato.

Acqua, Sole e Vento capirono che non potevano abbandonare gli uomini. In fondo, anche se erano stati maltrattati, “amavano” questi esseri e si sentivano felici quando li scaldavano, quando portavano loro il fresco, quando bagnavano le loro terre e la loro pelle.

Sulla terra iniziò contemporaneamente la costruzione di centrali eoliche, solari e idroelettriche e, da quel giorno, per gli uomini non ci furono più problemi energetici. L’ uomo fu veramente contento di ciò che aveva fatto per la sua razza e ringraziò di cuore i tre elementi.

La gente capì che, se voleva vivere in simbiosi con il pianeta, era indispensabile rispettare la natura e i suoi figli.

L’unica cosa che tutti si rimproveravano era la stupidaggine di coloro che, nel passato, non avevano mai dato importanza alle energie rinnovabili e avevano così condannato il pianeta, l’ambiente e le persone a enormi sofferenze.

Da quel giorno tutto venne sistemato.… Se l’ uomo ha pazienza imparerà ad ascoltare la voce del Vento quando sibila e fischia, quella

della pioggia quando cade e quella del Sole quando scalda… Essi insieme cantano la storia dell’ uomo come una loro creatura…

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La sfida degli elementi

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Un giorno di primavera l’Acqua, il Sole e il Vento si incontrarono al bar “LA NUVOLA” con Wiligelmo, un ragazzo molto amico dei tre elementi. Ad un certo punto, tra una coca cola e un the freddo, fumando la pipa il Sole chiese al ragazzo: “Secondo te chi è il più importante fra noi tre?” Wiligelmo rispose: “Secondo me siete tutti e tre importanti e uguali perché ognuno di voi svolge un compito importante” L’Acqua esclamò: “Cosa dici?! Secondo te io sono meno importante del Vento?”. Il Vento ribattè: “Cosa stai dicendo? Secondo te sono meno importante del Sole?” Il Sole poi propose una cosa: “Facciamo una sfida per misurare chi è il più importante tra noi. Ci vediamo domani allo stadio, Wiligelmo preparerà le prove.” E... tutti e tre se ne andarono ognuno per conto suo.

L’indomani, ognuno dei concorrenti arrivò pieno di spavalderia, senza sapere nulla di ciò che li aspettava. Wiligelmo spiegò loro il regolamento: la prima prova era quella che gli umani chiamavano: “100 m piani”. Il Sole si trasformò in una palla di fuoco ma, per il calore, fuse la sua corsia. Il Vento non riuscì a domare la sua potenza e uscì di pista. L’Acqua scivolò perfettamente sulla sua corsia.

La seconda prova consisteva nel sollevamento pesi.Ovviamente vinse il Sole, perché l’Acqua si trasformò in ghiaccio, ma per il troppo peso si

frantumò; mentre il Vento, che voleva diventare un tornado, non riusciva a girare su se stesso, senza spostare il peso di un millimetro. La terza prova era la maratona, ovviamente vinse il Vento.

Wiligelmo allora disse: “Ve l’avevo detto siete tutti uguali, avete vinto una prova per uno”. Il Sole arrabbiato esclamò: “Chi te lo ha detto, andiamo alle olimpiadi invernali e poi vedremo

chi vincerà”. Dopo otto mesi i tre elementi si ritrovarono in Canada, a Calgary per sfidarsi alle olimpiadi invernali. Wiligelmo preparò ancora le attrezzature per le prove. La prima prova consisteva nel prendere una rincorsa su una pista ghiacciata e lanciarsi a pancia in giù su uno

Acqua, Sole, Ventodi

Davide Bianchi

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Acqua, Sole, Vento

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slittino e scivolare su un tortuoso tracciato; questo sport, spiegò Wiligelmo era il cosiddetto skeleton. In questa specialità vinse l’Acqua perché, trasformatasi in ghiaccio, riuscì ad avere perfetta aderenza sullo slittino; mentre il Sole sciolse la pista sprofondando e il Vento trasformatosi in tornado sfasciò la pista. La seconda prova, come deciso da Wiligelmo, consisteva nel spingersi con le braccia, sostenendosi su due asticelle, su una pista con gli sci ai piedi. La prova la vinse il Sole perché era il più forte, mentre il Vento si ritirò perché aveva troppo freddo; invece, l’acqua diventò ghiaccio e non si mosse di un millimetro. La terza prova, il curling, fu vinta dal Vento, che soffiò in maniera tale da far scivolare il dischetto perfettamente sul cerchio rosso. Meglio non andò al Sole che spazzò troppo violentemente il dischetto sulla pista, mentre l’ acqua non si mosse di un micron: non riuscì a tirare. Wiligelmo gridò, allo stremo delle forze, un’ultima volta “Avete visto? Siete tutti uguali!”. Allora l’Acqua esclamò tutta arrabbiata: “Aspetta un momento, andiamo alla grande gara automobilistica che mio zio Turbo organizza tutti i mesi.”

Poi disse ai suoi rivali:“Ci vedremo il dodici aprile all’ autodromo “Guido Forte” che si trova alla seconda stella a

destra, in parte all’ “Isola Che Non C’è”. Quando arrivò il giorno tanto atteso si ritrovarono tutti e tre all’ autodromo carichi di adrenalina per la gara che li attendeva. La gara fu emozionante, piena di sorpassi, come quello del Sole, che, alla partenza volò dalle retrovie fino alla coppia di testa, che guarda caso erano l’Acqua e il Vento. Così nessuno tagliò il traguardo perché finirono la benzina tutti e tre contemporaneamente.

Dopo tre giorni Wiligelmo si trovava nel pressi del bar “LA NUVOLA”, entrò e stranamente trovò i tre elementi seduti allo stesso tavolo a discutere amichevolmente. Wiligelmo si avvicinò e disse: “Finalmente l’avete capito che siete tutti uguali.” I tre amici, si abbracciarono e dissero: “Effettivamente...”

Il ragazzo disse: “Allora offro io.” E i tre ancora in coro: “Naturalmente”.

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106 I RaccontI del PaRco 2

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“Svegliati! Sei già in ritardo!”Quel grido penetrante entrò nella nebbia del mio sonno e iniziai a svegliarmi. Quando aprii

gli occhi vidi sopra di me il viso celeste di Acqua, che aveva le sopracciglia aggrottate. “Ma che ore sono?” Chiesi.

“È tardissimo, sono le dieci! Sbrigati, Vento, non sei mai stato così in ritardo!”“E va bene!” Le urlai. Mi alzai, mi ravviai i capelli, mi piegai sulle ginocchia e poi mi lanciai

dalla nuvola sulla quale mi ero addormentato. Scendendo, presi velocità per eseguire meglio il mio ingrato compito.

Una volta giunto in vista delle pale eoliche, mi gettai a capofitto in mezzo a loro, facendole subito ruotare, indugiai finché non furono tutte attive e poi proseguii in direzione di una fattoria che aveva un mulino a vento. Continuai così per ore ed ore, fino a quando non sentii le gambe che mi si appesantivano per la stanchezza; allora con un ultimo sforzo virai verso l’alto e, dopo poche bracciate, raggiunsi la nuvola dove mi aspettavano Acqua e Sole. “Eccoti!” Acqua era allegra come sempre, la sua massima aspirazione era aiutare gli umani, non le importava del fatto che loro non le fossero minimamente riconoscenti; Sole invece oggi era d’umor nero, probabilmente era stanco anche lui di assecondare gli assurdi desideri di Acqua. Beh, finalmente avevo un alleato. “Acqua,” dissi speranzoso “Per favore, ripetimi ancora una volta perché tutti i santi giorni dobbiamo svegliarci a queste ora antelucane”. “Niente di personale, Sole” e “Correre giù ad aiutare quegli umani ingrati! Ma cos’hanno di tanto attraente per te??” “Non lo so… Mi vogliono bene, mi chiamano ‘bene prezioso’ e ‘oro blu’… Mi fanno sentire importante e...”

“E ti sprecano” concluse Sole. Gli lanciai un’occhiata piena di gratitudine. “Quindi è deciso” proseguì lui.

“Finchè quel popolo di mangiapane a ufo non ci dimostra un po’ di gratitudine...scioperiamo!”

Lo scioperodi

Marianna Tentori

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Lo sciopero

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107 I RaccontI del PaRco 2

“Scioperiamo?” Gemette Acqua. “In che senso?”“Nel senso che dormiamo quanto ci pare e smettiamo di fargli da schiavi… vediamo quanto

resistono senza acqua, luce né vento!”“Noooooooo! Pietà!” Urlò Acqua.“Io sono d’accordo con Sole” Dissi io, dandole sulla voce. Acqua si inginocchiò disperata, e io

e Sole ci scambiammo un’occhiata d’intesa.“Però” concesse Sole, “Se gli umani faranno dieci azioni che dimostreranno il loro desiderio di

tutelare l’ambiente, interromperemo lo sciopero. Va bene, Vento?”“Perfetto” risposi io.

TRE GIORNI DOPO

Mi svegliai alle nove e mezzo di mattina, perfettamente riposato; avevo passato tre giorni a dormire; al mio fianco, Sole sonnecchiava e canticchiava, lanciando ogni tanto qualche raggio sulla Terra, giusto per impedire all’umanità di estinguersi. Dall’altro lato, Acqua girellava per le nuvole, con i nervi a pezzi e gli occhi azzurri cerchiati da profonde occhiaie.

Ma ora, non vedevo nessuno dei due accanto a me; mi alzai e mi guardai attorno, e finalmente li vidi. Acqua aveva un sorriso gioioso e saltellava con una lista in mano, Sole la seguiva con l’espressione esasperata. Aggrottai le sopracciglia.

Acqua balzò su una nuvola alta, si schiarì la voce, impose in silenzio con un gesto gentile della mano e iniziò a declamare:

“1) il Protocollo di Kyoto; 2) le lampadine a risparmio energetico; 3) il film “Una scomoda verità”, interpretato da Al Gore; 4) la raccolta differenziata; 5) le targhe alterne; 6) spegnere le luci e gli standby degli elettrodomestici per risparmiare energia; 7) spostarsi a piedi, in bici o in autobus e non in macchina; 8) cercare alternative all’utilizzo di combustibili fossili; 9) le automobili che non usano combustibili; 10) il riciclaggio.Vanno bene, o ne volete altri?” concluse in tono soddisfatto.Io spalancai la bocca e la richiusi immediatamente.

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108 I RaccontI del PaRco 2

“Ma... Cioè… Non… Non è corretto! Loro non li rispettano questi propositi… Non tutti! E…”

“Caro mio” mi interruppe Acqua.“Voi non mi avevate chiesto delle azioni compiute da tutti, ma dei piccoli gesti che insieme

possono compiere qualcosa e che dimostrano la buona volontà! Quindi…”E si girò speranzosa verso la Terra.“Acqua…” la placò Sole.“Senti, Sole” ribattè lei irritata. “Quello che facciamo è nell’ordine delle cose. Se gli umani

esagerano, saranno unicamente loro a pagarne le conseguenze. Ma non dobbiamo essere noi a distruggere la Terra! Al momento è l’unico pianeta del tuo prezioso sistema solare su cui c’è vita!”

Detto questo, si alzò sulle punte e poi si gettò dalla nuvola, allargando le braccia, e cadde come una cascata sulla Terra, dissolvendosi in miliardi di gocce, riformandosi, viaggiando per il cielo, riportando la vita. Sole spiccò un balzo nel cielo ed esplose, caldo e luminoso, inondando di luce la Terra.

Con un sospiro, chiusi gli occhi, scivolai giù dalla nuvola e mi gettai verso il suolo, correndo, facendo giravolte, scivolando con grazia, soffiando contro le nuvole per farle spostare. In fondo, ero nato per questo…

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Lo sciopero

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110 I RaccontI del PaRco 2

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Fu un inverno molto difficile quello che vede i protagonisti della nostra storia. Il clima era impazzito, gli stati della terra furono colpiti da grandi tempeste che misero a dura prova la salute e la vita degli esseri umani. Il verdetto degli scienziati fu inequivocabile: la colpa era dell’inquinamento. Non si poteva più continuare così o le conseguenze sarebbero state ancora più catastrofiche. I grandi della terra organizzarono un G8 straordinario in Giappone per trovare una soluzione a questo grave problema. Per l’occasione si costruì una grande cupola di vetro, allestita all’interno come un grande giardino con una bella fontana centrale, per ricordare le bellezze della natura. Il sole filtrava tra le vetrate come una gigantesca lampadina imponendo la sua presenza. L’assemblea ebbe inizio, ogni rappresentante voleva spiegare il comportamento del proprio stato nei confronti della natura, giustificando le scelte fatte “in nome del progresso”, ma nessuno osava fare delle proposte concrete e coraggiose per risolvere il problema inquinamento. Ad un tratto si alzò un forte vento che fece spalancare le finestre più basse della cupola. Si udì una voce, era il vento che iniziò a parlare: “Perdonate la mia intrusione illustrissimi signori, ma per risolvere i vostri problemi è necessario che ascoltiate il parere dei diretti interessati, degli esseri che da sempre abitano la terra. Io sono il vento, esisto da sempre, rinfresco le vostre giornate dalla calura estiva, trasporto le perturbazioni regalandovi acqua e salvandovi dalla siccità. E voi come mi ricompensate? Mi annerite con gli scarichi industriali, mi appesantite con le polveri sottili dei gas delle vostre automobili! Le persone mi accolgono con le mascherine sulla bocca, hanno paura di respirarmi! Aumentate la mia temperatura e io non capisco la direzione giusta da seguire! Mi sento costantemente ammalato! Aiutatemi a guarire, diminuite i gas nocivi!” Poi mostrando i muscoli: “Avete visto la mia forza? Sfruttatela per produrre energia pulita! Non ve ne pentirete!”

Il vento uscì dalle finestre e dalla sala si levò un mormorio di sgomento e paura. Ecco che

Un G8 straordinariodi

Cristian Camozzi

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Un G8 straordinario

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accadde ancora qualcosa di insolito. Gli spruzzi della fontana centrale iniziarono a diventare più alti e brillanti, lo scroscio dell’acqua cambiò diventando molto simile alla voce umana. “Ho ascoltato mio fratello vento, anche io voglio dire la mia in qualità di fonte vitale della terra! Sono l’acqua e lavoro ininterrottamente da una parte all’altra del pianeta. Sono il ghiaccio dei poli, le nuvole del cielo e l’acqua degli oceani! Sono parte vitale anche di voi stessi! Ma voi mi inquinate con i vostri scarichi e le scorie radioattive, uccidete le creature che vivono nei miei mari. Sono molto importante per la vostra sopravvivenza e per questo vi chiedo di rispettarmi! Come il vento sono molto forte, una goccia nel tempo può scalfire una roccia, la forza della cascata gira le turbine, utilizzatemi al meglio per produrre energia elettrica. È energia pulita, potrebbe guarire anche il vento dalle malattie che gli avete inflitto!” L’acqua della fontana ritornò alle sue dimensioni originarie, lo scroscio quello di sempre. I rappresentanti dell’assemblea erano sempre più esterrefatti e si rendevano conto che stavano rovinando le bellezze della natura. Ma mentre stavano per i iniziare i primi interventi su quello che era appena successo, la luce del sole che filtrava dalla cupola si fece più forte. Un raggio di sole si allungò andando ad illuminare la fontana. Una voce potente echeggiò nella sala. “Ho seguito tutto dall’alto del mio cielo! Sono il sole e chi più di tutti può dire la mia? Io vi riscaldo, faccio crescere le piante per il vostro nutrimento, rischiaro le vostre giornate, miglioro il vostro umore. E voi come mi ringraziate? Avete potenziato l’effetto serra rischiando il surriscaldamento del clima! Sfruttate il mio calore con i pannelli solari, diffondete maggiormente il loro uso, avrete energia pulita e acqua calda a volontà! Siete sulla strada giusta ma purtroppo la vostra vostra sete di guadagno vi porta a sfruttare il petrolio che è troppo inquinante per il vostro pianeta! Se continuate così sarà la vostra rovina e i vostri guadagni non vi serviranno più a nulla! La natura non si può corrompere, usateci ora prima che sia troppo tardi!!” Detto questo il raggio si ritirò e il sole ritornò a splendere normalmente. I rappresentanti del G8 si sentirono sotto processo. Si resero conto che acqua, sole e vento con le loro dichiarazioni li avevano accusati di essere direttamente responsabili dei loro mali. L’ assemblea decise che le future scelte ‘in nome del progresso’ saranno basate sulla salvaguardia dell’ambiente e non sulla salvaguardia degli interessi delle multinazionali. Questo è quello che ci auguriamo tutti, che un giorno possa davvero succedere.

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112 I RaccontI del PaRco 2

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Un giorno l’Acqua, il Sole e il Vento si incontrarono per la centennale riunione delle risorse.

Dopo aver dichiarato aperta la riunione il Sole invitò l’Acqua e il Vento a fare un resoconto dei loro ultimi cent’anni sulla Terra. I due cominciarono a lamentarsi animatamente, l’uno parlava sull’altro creando una tale confusione che il Sole dovette battere il martello tre volte per richiamare il silenzio.

“Acqua, inizia tu, cos’hai da lamentarti tanto?”“Per secoli ho placato la sete degli uomini e irrigato i loro campi con le mie piogge e i miei

fiumi e sono sempre stata molto felice di farlo; ma negli ultimi anni il mio lavoro non mi rallegra più: le mie piogge soffrono di acidità e nei mari e nei fiumi mi sento ogni giorno sempre più sporca. Sento che il mio lavoro non viene apprezzato abbastanza.”

“Anch’io non mi sento apprezzato” disse il Vento. “Porto le nuvole là dove ce n’è più bisogno e soffio forte per far girare le pale dei loro mulini, ma anziché ringraziarmi gli uomini non fanno altro che riempirmi coi loro fumi.”

“Non avete mai provato a far qualcosa per far capire agli uomini come vi sentite?” chiese il Sole.

“Oh,sì” rispose l’Acqua.“Abbiamo creato uragani e nubifragi per fargli comprendere la nostra rabbia, ma non è servito a nulla.”

“Forse bisognerebbe fare il contrario” disse il Sole.“Forse bisognerebbe smettere di lavorare per gli uomini per far capire loro quanto siamo importanti e che non potrebbero vivere senza di noi.”

Così, terminata la riunione, il Vento si ritirò sulle le montagne, il Sole si addormentò dietro alle nuvole e l’Acqua smise di scorrere nei fiumi e di piovere dal cielo. Per mesi non vi furono più né Acqua, né Sole, né Vento e tutti gli abitanti della Terra erano molto preoccupati.

Un mondo senza energiadi

Peimikà Bibiana Serrau

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Un mondo senza energia

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113 I RaccontI del PaRco 2

“Come faremo senz’acqua? Non potremo lavarci, irrigare i campi e moriremo tutti di sete!”“E moriremo anche di freddo senza il Sole a scaldarci!”“Se solo ci fosse un po’ di vento a portare via quelle nubi che coprono il cielo oscurando il

Sole.”La situazione era critica, venne convocata una riunione d’emergenza per cercare al più presto

una soluzione. Tutti i Capi di Stato discussero per giorni e alla fine arrivarono alla conclusione che per far tornare tutto come prima bisognava chiedere aiuto direttamente al Sole, al Vento e all’Acqua.

Al principio i tre ignorarono le loro richieste di aiuto, ma poi il Sole decise che era tempo di collaborare.

“Che cosa volete?” chiese il Sole agli uomini“Vogliamo che ritorniate.”“E perché mai dovremmo ritornare?”“Perché noi abbiamo bisogno di voi, senza di voi non resisteremo ancora per molto.”“Voi chiedete, ma noi che cosa ne riceveremo in cambio?”“Cosa possiamo fare per voi? Cosa potremmo mai offrire noi uomini al Sole, al Vento e

all’Acqua?”“Rispetto, non chiediamo altro. Noi riprenderemo a lavorare per voi, a darvi luce, calore ed

acqua, ma in cambio vorremmo essere rispettati e apprezzati per quello che facciamo.”Così le risorse e gli uomini cominciarono a collaborare: il Sole ritornò a splendere, il Vento

a soffiare e l’Acqua a scorrere nei fiumi e a piovere dal cielo, ed in cambio tutti gli uomini si impegnarono a mantenere puliti mari, fiumi e laghi e a ridurre le emissioni di gas nocivi nell’aria. Inoltre, dopo aver capito l’importanza di queste risorse, gli uomini cercarono di sfruttarle il più possibile e di evitarne lo spreco con pannelli solari, mulini a vento e ad acqua.

Da allora l’Acqua, il Sole e il Vento non si lamentarono più e lavorarono serenamente, felici di poter aiutare gli uomini.

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114 I RaccontI del PaRco 2

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L’alba era appena sorta e quella grande ed immensa stella luminosa che noi oggi chiamiamo Sole era pronta a dare il risveglio agli alberi, agli animali che in quel tempo vivevano felici e spensierati sul pianeta identificato, oggi, come Terra. Il Sole era pronto a salutare allegramente i nuovi germogli delle rose, piccoli e dolci fiori splendenti, era pronto a riscaldare ognuno di quei verdeggianti fili d’erba che rendevano soffice e proteggevano il ricco terreno. Madre Acqua, invece, era pronta a nutrire e abbeverare tutti i magnifici esseri viventi che vivevano in pace ed armonia.

Era una giornata particolarmente calda e il Sole brillava e riscaldava più del dovuto; allora, Padre Vento decise di intervenire e spostare le nuvole in modo da coprire in parte i raggi del Sole e proteggere gli esseri viventi dal calore della stella. Arrivò la fine della giornata ed era ora, per tutti, di dormire.

Il giorno dopo il Sole era pronto a dare il risveglio a tutti quanti ma, durante quella lunga notte, era successo qualcosa di incredibile: non c’erano più gli alberi, i germogli delle rose erano stati distrutti, non c’era più nessun animale, tutto era scomparso. Ma chi c’era al loro posto? C’erano delle strane creature che avevano solo due zampe, per parlare tra di loro non nitrivano né grugnivano né gracidavano. Quegli strani esseri abitavano in altissime tane e accanto ad esse non c’era neanche un germoglio verde. I bellissimi fiumi di Madre Acqua non erano più azzurri ma sporchissimi e i dolci pesciolini che vi nuotavano galleggiavano attorno a più di un milione di rifiuti. A quel punto il Sole chiamò Padre Vento e gli chiese di distruggere tutto con la sua grande e possente forza ma inutilmente perché quelle tane erano troppo resistenti. I giorni passarono e tutta la natura, il Sole, Padre Vento e Madre Acqua scoprirono che quella nuova razza era quella degli uomini e che le loro tane in realtà si chiamavano case. Loro avevano rovinato il magnifico pianeta Terra e lo stavano distruggendo con l’inquinamento, avevano creato un buco nell’ozono causando così disastrosi e preoccupanti problemi per il pianeta.

Madre Acqua, Padre Vento e il Sole

diAlessandra Cantini

fInalIsta categoRIa scuole MedIe

Madre Acqua, Padre Vento e il Sole

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Gli anni passarono e sempre di più la natura riuscì a comprendere gli uomini ma mai completamente. Capì che gli uomini appartenevano a una specie molto intelligente ma che pensava solo a se stessa, che alcuni paesi avevano cura del loro territorio ma la maggior parte no. Ma, soprattutto, compresero che gli uomini erano imprevedibili.

Gli anni trascorsero e la situazione non cambiò, anzi, peggiorò: l’inquinamento aumentava, la popolazione era raddoppiata, il buco nell’ozono si era allargato. Grazie all’eccezionale intelligenza che alcuni di loro possedevano, gli uomini erano riusciti ad utilizzare l’energia del Sole di Madre Acqua e di Padre Vento, comprendendo che era necessarie solo energie rinnovabili, invece del carbone, del petrolio. Tuttavia, gli uomini erano troppo egoisti e non riuscirono mai a comprendere che il loro pianeta era in pericolo e che se avessero agito in fretta sarebbero riusciti a salvarlo.

Circa centoventi anni fa, era l’anno 2010, e Sole,Vento e Acqua si sentivano maltrattati, usati e sprecati dalla razza umana e chiedevano semplicemente di essere utilizzati nel modo corretto servendosi di loro, cioè, solo quando era necessario. Ovviamente, l’uomo non li ascoltò.

Oggi siamo nel 2135 e noi uomini abbiamo realizzato nuove forme di trasporto e creato nuove e giganti navi spaziali in grado di fornirci tutto ciò che ci servirà quando, tra un mese, partiremo per vivere nello spazio abbandonando il nostro pianeta che abbiamo distrutto con le nostre mani. Queste nuove ed ingegnose navi spaziali permetteranno la sopravvivenza della razza umana dispersa però nei vari pianeti dell’universo.

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Ci sono tre elementi che ci permettono di vivere, svolgono alla perfezione il loro compito, rimangono muti senza chiedere niente in cambio e parlano tra di loro di noi esseri umani. Sono tutti essenziali e ognuno ci compiace con le sue abilità: c’è chi illumina, riscalda e sta su nel cielo; chi ci rinfresca d’estate e ci fornisce cibo e chi ci accarezza il viso quando siamo tristi, ma noi li stiamo maltrattando e loro se ne sono accorti.

Alle prime luci dell’alba si sente un borbottio proveniente dall’alto:“Mi sveglio molto presto ogni giorno, vi illumino le giornate e vi indico la strada, eppure

volete che mi arrabbi? State danneggiando l’ozono per i motivi più banali e fate conferenze, riunioni o quant’altro per discutere dell’Effetto Serra, vi impegnate in promesse che non sapete rispettare e pretendete che tutto fili liscio? Mi dispiace ma il mondo non funziona così. Non lo faccio per me, non sono egoista, ma voglio aiutarvi a capire che se non cambiate modo di vivere finirete solo per farvi del male, perché state modificando un ecosistema che dura da millenni e le conseguenze sono catastrofiche. I miei raggi colpiranno più violentemente, il clima diventerà sempre più torrido e il vostro cibo verrà a mancare… ora ditemi: perché lo fate?”

Terminato il discorso si sente un parlottio sibilante proveniente da ogni dove:“Caro Sole la stessa sorte mi affligge… shhhh… e cambiarla non posso… shhhh… trasporto il

tuo calore accarezzando la gente, dò loro conforto e compagnia… shhhh… ma loro si ostinano ad inquinare con scarti delle fabbriche, usando eccessivamente le automobili e addirittura con materiali radioattivi. Quello che non capiscono è che si stanno facendo del male da soli e che la situazione deve solo migliorare, perché se no potrebbero avvenire catastrofi naturali di immensa gravità. Quando sfioro i loro visi non riesco più a portare dolcezza o conforto… shhhh… lascio invece un tanfo insopportabile, nauseabondo e un’aria scura… perché lo fanno?”

Dalla sconfinata distesa d’acqua si sente un fruscio carico di sentimento:“Cari amici anche qua la situazione è la stessa. Ho sempre fatto il mio dovere: d’estate rinfresco

gli uomini e aiuto a crescere il loro cibo, ma loro insistono nell’inquinarmi, mi maltrattano e mi fanno ammalare. Stanno rovinando un ecosistema durato troppo a lungo per essere distrutto in

La natura si interrogadi

Mattia Locatelli

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La natura si interroga

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così poco tempo; non reggerò ancora per molto questa situazione e penso che voi miei amici sarete concordi se dico che c’è bisogno di numerosi miglioramenti… Eppure, nonostante queste riflessioni, mi sorge spontanea una domanda: perché lo fanno?”

Le parole proferite da Acqua, Sole e Vento si disperdono nell’aria e aspettano solo di essere ascoltate da noi esseri umani in un futuro non troppo lontano.

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Giuria

Paolo Aresi Scrittore

Stefania Pendezza Referente per l’educazione ambientale

dell’Ufficio Scolastico Provinciale

Susanna Pesenti Giornalista

Giuseppe Pezzoni Dirigente Scolastico

Tiziana Sallese

Giornalista

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I Racconti del Parco 2010 ha potuto contare sulla preziosa collaborazione di:

A tutti i nostri partner un sentito ringraziamento.

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