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1 I prodotti assicurativi dei rami vita nel sistema dei contratti stipulati da imprese di assicurazione Prof. Paoloefisio Corrias – Ordinario di diritto dell’economia nell’Università di Cagliari La locuzione assicurazione ed investitore induce ad una prima seppur breve precisazione, in quanto, vedete, si da per presupposto che vi sia un legame tra il contratto di assicurazione e la figura dell’investitore, si da per scontato, cioè, che l’assicurato, la controparte dell’impresa di assicurazione possa essere un investitore. Se si prende però in esame la nozione di contratto di assicurazione posta dal codice civile, ci si rende conto agevolmente che cosi non è, in quanto l’assicurato come individuato dal codice civile non può essere in alcun caso un investitore e il contratto di assicurazione – sia il contratto di assicurazione contro i danni ma anche quello sulla vita - è intrinsecamente inidoneo ad assumere una funzione di investimento o, comunque, ad essere un contratto finanziario. Si è innanzi ad un contratto aleatorio nell’ambito del quale viene perseguita una funzione indennitaria (ossia ripristino del patrimonio dell’assicurato dalla diminuzione determinata dall’evento dannoso futuro e incerto) nell’assicurazione contro i danni, ovvero una funzione previdenziale (corresponsione di una somma di denaro rendita o capitale a fronte del verificarsi di un evento della vita umana idoneo a far sorgere un bisogno in capo all’assicurato, somma che ha la funzione appunto a far fronte a tale bisogno), nella assicurazione sulla vita. Si tratta dunque di operazioni del tutto estranee all’area dell’investimento, ossia alla gestione dei capitali di un individuo (o di un impresa) sottratte al consumo e affidate ad altri al fine di incrementarle. Ciò nonostante, l’accostamento tra settore assicurativo e fenomeno dell’investimento proposto dagli organizzatori del convegno non solo è del tutto esatto ma è anche affatto pertinente ed attuale, in quanto non c’è dubbio che, allo stato, una porzione assai significativa dell’attività posta in essere dalle imprese di assicurazione sia di natura squisitamente finanziaria o di investimento. Quanto detto emerge con chiarezza se si assume la piena consapevolezza della fondamentale distinzione esistente – sul piano sia concettuale che anche terminologico - tra «i contratti emessi da imprese di assicurazione » (Art. 1 delle definizioni dei prodotti assicurativi, lett. ss. cod. ass.) e i contratti di assicurazione in senso stretto di cui all’art. 1882 cod. civ.

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I prodotti assicurativi dei rami vita nel sistema dei contratti stipulati da imprese di

assicurazione

Prof. Paoloefisio Corrias – Ordinario di diritto dell’economia nell’Università di Cagliari

La locuzione assicurazione ed investitore induce ad una prima seppur breve

precisazione, in quanto, vedete, si da per presupposto che vi sia un legame tra il contratto di

assicurazione e la figura dell’investitore, si da per scontato, cioè, che l’assicurato, la

controparte dell’impresa di assicurazione possa essere un investitore.

Se si prende però in esame la nozione di contratto di assicurazione posta dal codice

civile, ci si rende conto agevolmente che cosi non è, in quanto l’assicurato come individuato

dal codice civile non può essere in alcun caso un investitore e il contratto di assicurazione –

sia il contratto di assicurazione contro i danni ma anche quello sulla vita - è intrinsecamente

inidoneo ad assumere una funzione di investimento o, comunque, ad essere un contratto

finanziario. Si è innanzi ad un contratto aleatorio nell’ambito del quale viene perseguita una

funzione indennitaria (ossia ripristino del patrimonio dell’assicurato dalla diminuzione

determinata dall’evento dannoso futuro e incerto) nell’assicurazione contro i danni, ovvero

una funzione previdenziale (corresponsione di una somma di denaro rendita o capitale a

fronte del verificarsi di un evento della vita umana idoneo a far sorgere un bisogno in capo

all’assicurato, somma che ha la funzione appunto a far fronte a tale bisogno), nella

assicurazione sulla vita.

Si tratta dunque di operazioni del tutto estranee all’area dell’investimento, ossia alla

gestione dei capitali di un individuo (o di un impresa) sottratte al consumo e affidate ad altri

al fine di incrementarle.

Ciò nonostante, l’accostamento tra settore assicurativo e fenomeno dell’investimento

proposto dagli organizzatori del convegno non solo è del tutto esatto ma è anche affatto

pertinente ed attuale, in quanto non c’è dubbio che, allo stato, una porzione assai

significativa dell’attività posta in essere dalle imprese di assicurazione sia di natura

squisitamente finanziaria o di investimento.

Quanto detto emerge con chiarezza se si assume la piena consapevolezza della

fondamentale distinzione esistente – sul piano sia concettuale che anche terminologico -

tra «i contratti emessi da imprese di assicurazione » (Art. 1 delle definizioni dei prodotti

assicurativi, lett. ss. cod. ass.) e i contratti di assicurazione in senso stretto di cui all’art.

1882 cod. civ.

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I primi, ossia «i contratti emessi da imprese di assicurazione » nell’esercizio

delle attività rientranti nei rami vita o nei rami danni come definiti dall’art. 2».

individuano i limiti della attività contrattuale delle imprese di assicurazione e, quindi,

riguardano, tutti i contratti che le imprese possono stipulare senza fuoriuscire dall’oggetto

sociale. Per individuare questi contratti occorre far riferimento alla descrizione delle

operazioni che ricorrono nei rami vita e danni (art. 2 cod. ass.).

Tra queste operazioni ci sono anche contratti squisitamente finanziari e di

investimento (rami III e V vita). Come emergerà meglio dalla relazione della dott.ssa

Piras.

I secondi come ho appena ricordato e come tutti sappiamo configurano due

circoscritti modelli di negozi aleatori, disegnati dal legislatore del 42 e caratterizzati

dal rischio dell’evento futuro ed incerto e connotati dalla causa indennitaria o

previdenziale.

Al riguardo, osserviamo brevemente che vi sono una serie di disposizioni - tra le

quali le principali sono quelle generali sul contratto contenute nel codice delle

assicurazioni (titoli XII e XIII) – applicabili a tutti i contratti emessi da imprese di

assicurazione (contratti rientranti in tutti i rami). Queste norme, anche numericamente

significative, nel loro insieme danno luogo ad un vero e proprio statuto generale della

attività negoziale suscettibile di essere legittimamente e validamente posta in essere dalle

imprese di assicurazione in quanto come detto rientrante nel loro oggetto sociale (art. 11,

comma secondo, cod. ass.).

Tali norme sono oggettivamente orientate a proteggere due interessi fondamentali

dell’assicurato:

a) quello al consenso consapevole ed informato, ossia alla conoscenza esaustiva

dei diritti e degli obblighi e, più in generale, dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dal

contratto

b) quello alla sana e prudente gestione da parte dell’impresa e, quindi, alla

solvibilità e alla solidità finanziaria della stessa.

Con riferimento al primo interesse, ossia alla tutela nei confronti delle asimmetrie

informative, assume rilievo un sistema organico ed articolato di regole, che - colmando,

seppure in ritardo, un vuoto che per molti anni ha caratterizzato il settore assicurativo

rispetto agli altri due comparti del mercato finanziario - impone all’impresa una condotta

trasparente sia nella fase di stipulazione che in quella di esecuzione del contratto. Tale

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disciplina è contenuta nell’art. 166 che stabilisce i criteri di redazione del contratto,

precisando che debbono essere indicate chiaramente le clausole che prevedono decadenze,

nullità o limitazioni delle garanzie o, ancora, oneri a carico del contraente o dell’assicurato

e negli art. 182-187, che pongono una compiuta e analitica disciplina della trasparenza,

concernente i doveri di pubblicità dei prodotti e gli obblighi di comportamento nella offerta

e nella esecuzione dei contratti con particolare riferimento alla predisposizione della nota

informativa.

Il secondo interesse è, invece, contemplato con estrema chiarezza dall’art. 183,

primo comma, sub d), il quale dispone che nell’offerta e nell’esecuzione del contratto

l’assicuratore è tenuto a «realizzare una gestione finanziaria indipendente sana e prudente

e ad adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei contraenti e degli assicurati ».

Esso è poi presidiato dall’art. 167 che prevede un peculiare e non facilmente inquadrabile

rimedio contrattuale per le ipotesi nelle quali il contratto venga stipulato con una impresa

non autorizzata – e, quindi, senza il necessario controllo sulla solvibilità -, o nei cui

confronti sia stato emanato il divieto di assumere nuovi affari – ossia un provvedimento

amministrativo che sanziona le gravi e reiterate violazioni delle regole sulle riserve

tecniche -. Comprovano, infine, l’esigenza di salvaguardare l’interesse dell’assicurato ad

avere come controparte un soggetto solvibile, l’art. 168 che, in caso di trasferimento di

portafoglio, consente all’assicurato di recedere nell’ipotesi in cui l’impresa cessionaria non

è soggetta ai controlli volti a garantirne la stabilità e, inoltre, gli artt. 242, comma terzo e

240, comma quinto (da un lato) e 169 (dall’altro), che consentono altresì il recesso,

rispettivamente, in caso di revoca parziale (rectius con riguardo ad alcuni dei rami

esercitati) dell’autorizzazione e quando viene disposta la liquidazione coatta ossia in

presenza di situazioni di grave dissesto dell’impresa accertate dalla Autorità

amministrativa.

Dal punto di vista sistematico l’individuazione di questo assetto normativo, seppure

limitato in quanto circoscritto a tutelare i fondamentali principi dei quali si è appena detto, è

molto importante in quanto ci consente di registrare:

1) che la tipologia delle operazioni negoziali contemplate dal legislatore settoriale

nella elencazione dei rami danni e vita (art. 2 cod. ass.) non coincide – in quanto è molto più

ampia - con quella desumibile dalla definizione dell’art. 1882 c.c., alla quale si riferisce la

successiva disciplina del codice civile.

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2) che vi sono numerose e importati figure contrattuali stipulate da imprese di

assicurazioni che vanno necessariamente collocate al di fuori dai contratti di assicurativi in

senso stretto, in quanto sono prive di un elemento considerato dal legislatore del “42 (artt.

1882 e 1895) essenziale e caratterizzante, quale il rischio assicurativo, essendo del tutto

evidente che, in siffatti contesti, la prestazione dell’impresa non è collegata al verificarsi di

un evento futuro ed incerto

In particolare:

a) le espressioni più significative di tale fenomeno sono sicuramente costituite dai

contratti di risparmio e di investimento stipulati dalle imprese di assicurazione di cui

parleremo tra breve

b) Al di fuori dall’ambito della raccolta e della gestione del risparmio, un’altra

importante manifestazione di contratto “non assicurativo” può rinvenirsi nelle polizze

cauzionali o fideiussorie. Infatti, secondo un condivisibile orientamento oramai fatto proprio

anche dalla giurisprudenza, tali operazioni, benché contemplate nel comparto danni (art. 2,

comma terzo, ramo 15 danni cod. ass.), non configurano contratti di assicurazione (contro i

danni) ma, in quanto connotate dalla clausola a prima richiesta e senza eccezioni, vanno

piuttosto considerate garanzie personali del credito assimilabili, nella sostanza, al c.d.

contratto autonomo di garanzia.

c) infine potrebbe esservi qualche ostacolo ad ascrivere tra i contratti assicurativi in

senso proprio i contratti di assicurazione di assistenza di immediato aiuto alle persone in

situazione di difficoltà (contemplato e disciplinato dagli artt. 1, comma terzo, ramo 18 danni

e 175 cod. ass.) e di tutela legale (artt. 1, comma terzo, ramo 17 danni e 173-175 cod. ass.),

dal momento che tali figure prevedono o possono prevedere una prestazione in natura

dell’assicuratore in luogo della obbligazione pecuniaria di pagamento dell’indennizzo1 che,

ai sensi dell’art. 1882 c.c., connota lo schema codicistico dell’assicurazione (contro i danni).

Considerazione conclusiva dal punto di vista sistematico:

La presenza di una serie di contratti – prevalentemente ma non esclusivamente di

natura finanziaria - che le imprese di assicurazione sono autorizzate a stipulare e che

costituiscono un segmento oramai assai rilevante - dal punto di vista non solo quantitativo

ma anche qualitativo - della attività assicurativa, ai quali sono applicabili le disposizioni

generali sul contratto del codice delle assicurazioni ma non – o, almeno, non direttamente -

1 Con riferimento alla assicurazione di tutela legale si tratta delle ipotesi in cui l’impresa si obblighi a fornire prestazioni diverse rispetto alla rifusione delle spese legali.

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le norme di cui agli artt. 1882 ss. c.c. induce a ritenere che il codice delle assicurazioni

abbia sensibilmente accelerato il processo di declassazione delle Disposizioni generali sul

contratto di assicurazione (Sezione I, Capo XX, Titolo III, Libro IV, cod. civ.) da

normativa generale del settore assicurativo - applicabile a tutti i contratti di

assicurazione – a normazione speciale, in quanto riferibile ad una species per quanto

ancora assai ampia di prodotti assicurativi: quelli caratterizzati dal rischio di un

evento futuro e incerto.

C’è stata quindi una inversione rispetto a quello che poteva valere 20 anni fa. Sul

piano del contratto, la normativa generale era quella codicistica dei contratti di assicurazione

derogata da qualche norma speciale contenuta nella precedente normativa settoriale. Adesso

c’è una normativa generale contenuta nel codice delle assicurazioni con riguardo alla quale

le norme del codice civile si pongono quali norme speciali.

Prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione

Sulla base di questa premessa possiamo andare a vedere – molto sinteticamente in

quanto si occuperà di tale profilo anche la dott.ssa Piras - quali sono i prodotti finanziari

emessi da imprese di assicurazione, ossia i contratti nell’ambito dei quali la controparte

dell’impresa assume il ruolo di vero e proprio investitore.

Come ha recentemente precisato il legislatore, con l’aggiunta della lettera w-bis

all’art. 1 del TUF2, tali modelli - significativamente denominati « i prodotti finanziari

emessi dalle imprese di assicurazione » - sono rappresentati:

- dalle polizze variabili, collegate, linked (previste dagli artt. 2, comma primo, ramo

III vita e 41 cod. ass.) nel cui ambito le prestazioni dell’assicuratore sono direttamente

collegate alla redditività o al valore di fondi collettivi di investimento interni od esterni

all’impresa (Unit linked) o ad indici azionari o altri valori di riferimento (Index linked)

- dal contratto di capitalizzazione (artt. 2, comma primo, ramo V vita e 179 cod. ass.)

- inoltre, nonostante l’omessa menzione nella ricordata lettera w-bis, riteniamo che

siano da considerare operazioni che presentano una sostanziale natura finanziaria anche le

gestioni, da parte delle imprese di assicurazione, del risparmio che i fondi pensione (c.d.

chiusi) affidano alle stesse dopo averlo raccolto dai soggetti beneficiari.

2 Avvenuta tramite l’art. 3 del d. lgs. 29 dicembre 2006, n. 303, che coordina la c.d. legge sul risparmio (28 dicembre 2005, n. 262) con il TUB e con il TUF.

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Come è noto e come vedremo nel dettaglio, la legge ha espressamente previsto

l’applicabilità ai prodotti finanziari delle imprese di assicurazione (ossia le polizze

collegate, ramo III e il contratto di capitalizzazione) di una parte significativa della

disciplina contenuta nel TUF.

Soffermiamoci sulle prime due figure ed esaminiamone il profilo causale.

Il contratto di capitalizzazione. – L’ essenza del contratto di capitalizzazione è

l’incremento di un capitale nel tempo mediante l’accumulazione degli interessi prodotti

dal capitale medesimo ed, eventualmente, delle rendite derivanti dagli investimenti dello

stesso.

Le principali caratteristiche del contratto di capitalizzazione sono costituite dalla

durata del rapporto, pluriennale almeno 5 anni, con riscatto dal secondo, e dalla c.d.

garanzia di redditività , per effetto della quale, l’impresa è tenuta a pagare al capitalizzante,

alla scadenza oltre all’intero capitale da questi versato nel corso del rapporto, una

rendita certa – ossia una somma ulteriore predeterminata o, comunque, predeterminabile

sulla base di parametri stabiliti all’atto della stipulazione - corrispondente agli interessi

capitalizzati al tasso tecnico pattuito.

In questo modo il contraente è certo, sin dal momento della stipulazione del

contratto, di quello che gli spetterà alla scadenza del termine per il pagamento e non

corre né il rischio che venga intaccato il capitale né quello della redditività

dell’investimento effettuato con tale capitale. L’eventuale clausola di partecipazione

agli utili (o di rivalutazione), ossia la cointeressenza agli utili maggiori (rispetto al tasso di

interesse pattuito) che l’impresa dovesse ricavare dagli investimenti del capitale ricevuto,

può essere solo aggiuntiva ma mai sostitutiva rispetto al reddito (minimo) pattuito e,

quindi, non può in alcun caso intaccare la certezza della capitalizzazione garantita.

Poiché, quindi, il capitalizzante non corre alcun rischio di investimento, va

ulteriormente precisato che non si è innanzi ad un contratto di investimento in senso

stretto (ipotesi nelle quali il finanziatore partecipa in tutto o in parte al rischio, non solo

economico ma anche giuridico, accentando la possibilità che gli venga restituita una somma

inferiore a quella che aveva affidato all’impresa finanziaria) bensì ad un contratto di

risparmio “restitutorio” assimilabile, nella sostanza, ai fondi con obbligo di rimborso

di cui all’art. 11 t.u.b . (contratti con causa di prestito).

Cenno sul concetto di risparmio: questa nozione è evocata in primis dal legislatore

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costituzionale il quale all’art. 47 prevede che “La repubblica incoraggia e tutela il

risparmio in tutte la sue forme”. La nozione viene precisata dall’art. 11 tub, che come è

noto definisce la “raccolta del risparmio” “l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso

sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma”. Questa norma viene collegata all’art. 47

e alla stessa viene attribuita giustamente una portata sistematica nella individuazione della

nozione di risparmio e quindi ben maggiore di quella svolta nel ristretto contesto del TUB.

Appartengono a questa categoria contrattuale le varie forme di depositi bancari

vincolati con un temine apprezzabile per la restituzione, il mutuo (considerato nella

prospettiva del mutuante-investitore), più in generale tutte le figure di finanziamento che

contemplano lo schema consegna denaro contro obbligo di restituzione differita (ossia con

apposizione di termini) con pagamento di interessi determinati o determinabili.

Vi rientrano anche le obbligazioni sia bancarie che societarie, anche altri strumenti

finanziari ossia le ipotesi nelle quali le posizioni soggettive (la posizione debitoria)

espresse dal rapporto sottostante assimilabile al mutuo sono rappresentate in documenti

atti alla circolazione.

Il contratto di capitalizzazione è dunque un contratto di prestito con il quale

viene raccolto risparmio, tra il pubblico. La dottrina ha precisato che si tratta di una di

quelle ipotesi nelle quali la raccolta del risparmio è consentita a soggetti diversi dalle

banche (o più esattamente, come dice la legge, non è vietata, di cui alla lett. d), comma

quarto, art. 11 TUB, il divieto non si applica «alle altre ipotesi di raccolta espressamente

consentite dalla legge nel rispetto del principio di tutela del risparmio».

Fermo questo aspetto e sottolineata, dunque, la differenza con i contratti di

investimento e, quindi, in ambito assicurativo come vedremo con le polizze variabili,

anch’esse prodotti finanziari delle imprese di assicurazione, è agevole constatare la

differenza tra capitalizzazione e contratto di assicurazione sulla vita. E’ vero che c’è un

meccanismo analogo di accumulo ed impiego delle risorse versate dagli assicurati sotto

forma di premio, ma sul piano contrattuale, ossia delle caratteristiche del contratto, le

differenze sono nettissime. Avendo la legge espressamente stabilito che la prestazione del

capitalizzatore debba essere del tutto indipendente da qualsivoglia evento relativo alla vita

umana, non vi sono dubbi che tale figura vada collocata al di fuori dallo schema di

assicurazione sulla vita descritto dall’art. 1882 c.c.

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Polizze linked o variabili.

Qualche parola in più merita l’individuazione dei tratti distintivi tra le polizze

linked o variabili e i contratti di assicurazione sulla vita.

Premessa su queste figure. Si tratta di modelli di « assicurazioni di cui ai rami I »

(art. 2, 1° comma, cod. ass., menziona anche il ramo II ma il regolamento 29/2009, art. 6,

relativo alla classificazione dei rischi all’interno dei rami, fa riferimento al solo ramo I),

ossia di modelli sicuramente caratterizzati dalla sussistenza del rischio demografico, nel

cui ambito, come si è detto, le prestazioni dell’impresa (al momento dell’erogazione) sono

determinabili in ragione del valore delle quote di fondi di investimento (esterni o interni

all’impresa) ovvero di altri valori di riferimento ai quali esse sono collegate.

Dalla definizione legislativa si evince, in particolare, che per potersi integrare la

fattispecie legale del modello deve necessariamente sussistere il rischio demografico;

occorre, cioè, che il regolamento contrattuale attribuisca ad un evento futuro ed incerto,

attinente alla vita umana, l’idoneità ad incidere sulla esigibilità e/o sulla determinazione

della prestazione dell’assicuratore (artt. 1882 e 1895 c.c.).

Fermo questo punto, occorre precisare che il rischio demografico, per quanto

necessario, non costituisce elemento sufficiente per connotare in termini previdenziali

il contratto stipulato dall’impresa di assicurazione. Affinché possa compiutamente

realizzarsi tale funzione, infatti, occorre che gravi sull’assicuratore anche il c.d. rischio

dell’investimento, ossia, in termini più espliciti, che la prestazione che questi è tenuto ad

adempiere sia esigibile e/o determinabile in ragione dell’evento della vita contemplato, e,

quindi, prescinda - fatta salva l’eventuale rivalutazione annuale delle somme assicurate -

dall’andamento dell’impiego delle risorse acquisite dagli assicurati sotto forma di premi. Il

rischio dell’impiego – dell’investimento - delle risorse raccolte sotto forme di premi,

deve essere a carico dell’impresa.

Questo punto va chiarito meglio, in quanto secondo me fondamentale.

Il quid proprium della causa previdenziale (tutelata dal legislatore all’art. 38, spec.

comma quinto, che riconosce il diritto alla previdenza libera, e riconosciuta e sottolineata

dalla cassazione recentemente come il presupposto per vantaggi sul piano contrattuale art.

1923 e fiscale [Cass., sez. un., 31 marzo 2008, n. 8271, in Resp. civ. prev., 2008, 1282],

dicevamo il quid proprium, consiste nel collegamento giuridico che viene istituito tra

erogazione e/o determinazione della prestazione promessa dall’impresa ed insorgenza

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del bisogno in capo al beneficiario; le risorse non possono dunque essere svicolate dallo

scopo al quale sono destinate; proprio tale legame, invero, garantisce la destinazione

esclusiva di tali risorse alla soddisfazione del bisogno medesimo.

La realizzazione della funzione poggia sulla circostanza che se si verifica l’evento

incerto contemplato (evento della vita), l’assicurato avrà le risorse previste (ossia la somma

promessa dall’assicuratore) per fare fronte a ciò.

Ebbene, qualora il meccanismo contrattuale ponesse l’assicurato in una situazione

d’incertezza - in ordine al conseguimento della prestazione - dipendente dall’andamento dal

risultato dell’impiego delle risorse, ossia dai mercati finanziari, verrebbe evidentemente

frustrato in radice siffatto interesse di acquisire con certezza le somme necessarie per far

fronte all’esigenza della vita, nel momento in cui essa sorge.

Di qui l’intrinseca incompatibilità tra funzione pr evidenziale e rischio

d’investimento a carico dell’assicurato, anche in presenza del c.d. rischio demografico.

Il legislatore, tuttavia, ha contemplato la possibilità che il rischio dell’investimento

possa essere totalmente espunto dalla sfera dell’assicuratore, nel momento in cui ha

ammesso la stipulazione di polizze linked senza garanzia di restituzione del capitale

versato o del rendimento minimo (vi sono diverse norme sia di natura primaria che

regolamentare, che consentono l’ammissibilità di tali polizze; chiedo di darlo per acquisito

vi porterei via troppo tempo nel richiamarle tutte).

Prendendo atto di questa realtà, un’autorevole dottrina ha qualificato queste polizze -

senza garanzia di rendimento - come contratti innominati di investimento (Gambino).

L’opinione va condivisa. Quando, infatti, l’an e/o il quantum della prestazione non

dipendono dall’evento della vita (o dal momento nel quale questo si verifica) ma

dall’elemento finanziario, ossia dal valore che esprimono le quote degli organismi di

investimento (o altri indici) nel momento in cui l’impresa è tenuta a corrispondere il

capitale o la rendita all’assicurato. deve constatarsi che questa, in realtà, non svolge

attività assicurativa ma si limita a gestire e/o investire le risorse assegnatele sotto

forma di premio dall’assicurato-rispamiatore, in cambio di un corrispettivo,

scorporato dal premio medesimo.

In questa ipotesi l’assicuratore è un investitore a tutti gli effetti. E’ chiara la

differenza A) sia con la funzione previdenziale svolta dalla assicurazione sulla vita che B)

con quella di risparmio realizzata dal contratto di capitalizzazione.

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Peraltro questa qualificazione solleva alcuni problemi. Oltre che quelli di disciplina

– ossia interferenza della disciplina del cod. ass. con quella del tuf che vedremo – occorre

interrogarsi in ordine alla compatibilità, sul piano sostanziale, della stipulazione di tali

contratti (generalmente in forma standardizzata) da parte delle imprese di assicurazione

consentita dal codice delle assicurazioni, con la riserva soggettiva in favore delle

banche, delle imprese di investimento e delle SGR posta dal TUF (artt. 18 e art. 33) con

riguardo all’esercizio professionale dei servizi di investimento (e, segnatamente, alla

gestione di portafogli individuali di investimento) e alla gestione collettiva del risparmio.

Infatti, nel momento in cui si prende atto che concludendo questo tipo di contratti le

imprese di assicurazione compiono una attività di gestione del risparmio nell’interesse

dell’assicurato-risparmiatore, che, quoad effectum, anche se non sono esattamente

riconducibili a siffatte figure contemplate nel TUF presentano sensibili affinità con le stesse,

emerge una rilevante disarmonia, nell’assetto complessivo del mercato finanziario,

derivante dalla piena ammissibilità delle polizze in questione nel settore assicurativo,

pur in presenza della riserva soggettiva per l’esercizio professionale nei confronti del

pubblico delle ricordate attività del mercato mobiliare.

Le convenzioni per la gestione dei fondi pensione. - Le “operazioni di gestione di

fondi collettivi” contemplate dal ramo VI dell’art. 2 cod. ass., attengono ai rapporti

contrattuali (c.d. convenzioni di gestione) che si instaurano, nel contesto dei c.d. fondi

pensione chiusi o negoziali in regime di contribuzione definita, tra i soggetti (c.d. fondi

pensione) (organizzati nella forma di associazioni non riconosciute oppure di enti dotati di

personalità giuridica del Libro I c.c.) che raccolgono dagli aderenti i contributi e le imprese

di assicurazione, in qualità di soggetti espressamente ritenuti idonei dalla legge (insieme

alle società di intermediazione mobiliare (SIM), alle banche e alle società di gestione

del risparmio (SGR) a gestire tali risorse per poi riversare gli effetti della gestione in capo

al fondo che, successivamente, provvederà a compiere le ulteriori operazioni necessarie per

erogare le prestazioni pensionistiche (Relative alla morte, alla sopravvivenza e alla

cessazione o riduzione della attività lavorativa).

Siffatto accordo di natura gestoria è stato munito di una regolamentazione unitaria

che prescinde dallo status dei soggetti abilitati a stipularlo e, quindi, dalla disciplina

settoriale riferibile ad ognuno di essi. Ciò costituisce un preciso segnale della recente e

apprezzabile tendenza, riscontrabile nel mercato finanziario (in senso lato), a prevedere,

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dove possibile, una disciplina per prodotto (rectius per atto) in luogo della tradizionale

regolamentazione per soggetto (o per attività). SU QUESTO PUNTO TORNEREMO IN

SEGUITO.

Tendenza che costituisce espressione della progressiva integrazione - anche sul

piano normativo - delle diverse attività del mercato finanziario, registrata e per alcuni versi

auspicata anche dal Consiglio di Stato (parere 14 febbraio 2005, n. 11603, nn. 5 e 5.1).

Per effetto di tale convenzione i soggetti abilitati assumono, contro un corrispettivo

certo e prefissato, l’obbligo di investire le risorse ricevute dai fondi pensione “per conto” di

questi, tenendo conto dei criteri stabiliti dalla legge e dalle fonti secondarie alle quali questa

rinvia, e, successivamente, di rimettere agli stessi enti l’intero risultato della gestione.

La legge, ha stabilito espressamente che siffatte risorse – che costituiscono, appunto,

il patrimonio del fondo pensione - debbono essere mantenute separate dal patrimonio del

gestore

Disciplina valevole per i prodotti finanziari delle imprese di assicurazione

(linked e capitalizzazione)

La legge ha espressamente previsto l’applicabilità ai prodotti finanziari delle

imprese di assicurazione di una parte della disciplina contenuta nel TUF e, segnatamente,

delle regole relative ai contratti (artt. 21 e 23), all’offerta fuori sede (art. 30) e all’offerta

al pubblico di prodotti finanziari diversi alle quote o azioni di OICR aperti (artt. 94-

98-bis, 99 ss.). Poiché, d’altro canto tali modelli rientrano – evidentemente - anche

nell’area applicativa del codice delle assicurazioni, l’interprete si trova innanzi ad un

quadro regolamentare assai articolato e frammentario nel cui ambito, allo stato, alcuni

profili risultano disciplinati in maniera concorren te da fonti di pari grado – quali,

appunto, il codice delle assicurazioni ed il TUF - e, in particolare, può riscontrarsi, con

riguardo ad alcune attività, la sovrapposizione dei poteri di controllo dell’ISVAP e della

CONSOB.

Più in particolare per osservare il compito assegnatomi dagli organizzatori – offerta

e responsabilità - posso approfondire la disciplina dell’offerta sia fuori sede che al pubblico

che la responsabilità.

Disamina

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Si diceva che vi possono essere interferenze allorquando le regolamentazioni

previste dalle due fonti in ordine a un dato profilo della fattispecie non sono omogenee e,

quindi, l’interprete si trova nella necessità di scegliere tra due norme che prevedono

conseguenze diverse; ossia, quando è riscontrabile una antinomia nel sistema.

Con riferimento alle responsabilità non vi è una vera e propria interferenza. La

peculiare regola sull’onere della prova – che, come noto, pone a carico del soggetto abilitato

la dimostrazione di aver prestato la diligenza dovuta nell’eventuale giudizio di risarcimento

dei danni intentato dal cliente - è prevista, infatti, in maniera identica, tanto dal comma

sesto dell’art. 23 TUF, quanto dall’art. 178 cod. ass.: conseguentemente, l’applicazione

dell’una o dell’altra norma all’ipotesi di inadempimento dell’impresa nel contesto delle

polizze linked, e del contratto di capitalizzazione si rivela del tutto indifferente. Sul piano

della teoria delle fonti – come è stato messo in evidenza dalla dottrina specialistica

(Bobbio, voce antonomia) - , tale indifferenza riposa sulla circostanza che l’astratta

riferibilità di due diverse norme alla stessa fattispecie (contratti finanziari emessi dalle

imprese di assicurazioni), non determina una ipotesi di vera e propria antinomia quando tali

norme prevedono le stesse conseguenze.

Diverso è, per contro, il profilo relativo alla regolamentazione dello ius

poenitendi, nell’ambito dell’offerta fuori sede. Con riferimento all’offerta fuori sede,

infatti, il TUF stabilisce, al comma sesto dell’art. 30, la sospensione dell’efficacia del

contratto nel periodo – pari a sette giorni – durante il quale l’investitore può esercitare il

recesso. Il codice delle assicurazioni (art. 177), viceversa, prevede con riferimento a tutte le

assicurazioni dei rami vita (comprese, quindi, quelle del rmo III), un termine per esercitare il

recesso assai più lungo (trenta giorni), nel contesto di un contratto che, per contro, è

immediatamente efficace.

La scelta dovrebbe essere fatta sulla base del criterio di specialità in quanto la

fattispecie contemplata dal tuf. ha un elemento in più di quella del codice delle

assicurazioni, la connotazione finanziaria del contratto stipulato dalle imprese di

assicurazione, appartenente al ramo vita (anche il criterio cronologico farebbe pervenire allo

stesso risultato in quanto le disposizioni recepite nel tuf sono successive anche se di pochi

giorni al codice delle assicurazioni).

Ancora, con riferimento all’ipotesi di offerta al pubblico di sottoscrizione e di

vendita, ossia di sollecitazione all’investimento, può rilevarsi che la disciplina del

prospetto prevista dal TUF è diversa e più rigorosa rispetto alle regole in tema di nota

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informativa e di interpello, poste dall’art. 185, comma quarto, per le assicurazioni dei rami

vita.

Si è detto, al riguardo, che La legge sul risparmio (2005/262) e il successivo d. lsg.

n. 303/2006 che coordina la stessa legge con il TUB e con il TUF, hanno stabilito con

chiarezza che ai prodotti finanziari delle imprese di assicurazione, si applica la disciplina

sull’offerta al pubblico (già sollecitazione all’investimento) e quindi, sostanzialmente,

l’obbligo di redigere il prospetto informativo (artt. 94 ss. TUF) nel dovere di redigere il

prospetto d’offerta, seppure con il regime speciale e attenuato di cui agli artt. 31 32 e 33 del

regolamento Consob Emittenti, che non contempla la necessità della preventiva

approvazione da parte della Consob, bensì la mera comunicazione a tale Autorità del

prospetto “contestualmente all’avvio della sollecitazione”; tuttavia, i contratti dei rami III e

V vita in quanto emessi da imprese di assicurazione rientrano astrattamente anche

nell’ambito di applicazione della disciplina relativa alla trasparenza del cod. ass. e della

circolare 551/D, ora abrogata.

Tale problema ha assunto una rilevanza particolare con riferimento alla nota

informativa, alla quale, appunto, sulla base di queste norme, parevano essere soggette

anche queste figure. Particolarmente significativo è l’art. 185, comma quarto, cod. ass., il

quale dispone, con riguardo alla nota informativa, che “nelle assicurazioni di cui ai rami I,

II, III, IV, e V l’ISVAP determina le informazioni supplementari che sono necessarie alla

piena comprensione delle caratteristiche…,”. Tale formulazione lascia dunque intendere che

la nota informativa è riferibile anche ai prodotti dei rami III e V.

Tali oggettive interferenze e difficoltà di coordinamento hanno determinato delle

dissonanze in dottrina, soprattutto in ordine alla possibilità di reputare compatibili e quindi

coesistenti l’obbligo di redigere il prospetto e quello di consegnare la nota informativa.

In estrema sintesi può osservarsi che anche ipotizzando – come qualcuno ha fatto – che i

due istituti non siano da considerare perfettamente equivalenti, essendo il secondo deputato

soprattutto a fornire informazioni su fatti storici, ossia soggetti al giudizio di verità/falsità,

laddove la nota informativa conterrebbe, invece, in maniera prevalente, delucidazioni e

chiarimenti su regole giuridiche e solo marginalmente informazioni su fatti storici, non può

dubitarsi che entrambi siano da annoverare tra gli strumenti volti ad assicurare al contraente-

risparmiatore la conoscenza e/o la conoscibilità del prodotto, ovvero, in sintesi, a soddisfare

le esigenze di trasparenza e tutela preventiva (dottrina maggioritaria).

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Essendo dunque evidente la sovrapposizione tra i due istituti, era senz’altro

auspicabile una scelta, anche al fine di non duplicare gli oneri a carico dell’impresa

suscettibili di essere successivamente trasferiti sul cliente nella determinazione del

premio. Tale scelta è stata fatta, esattamente, sulla base del criterio di specialità (criterio

che consente di risolvere il conflitto tra norme) considerando i prodotti assicurativi dei rami

vita come il genus del quale le polizze finanziarie rientranti in tali rami costituiscono le

species e ancora, la normativa del prospetto contenuta nel TUF e nel regolamento Consob

emittenti come norme speciali rispetto a quelle del settore assicurativo.

Il regolamento n. 35/2010, oramai in vigore, ha definitivamente risolto il

problema in tale direzione, in quanto ha circoscritto l’applicabilità delle disposizioni

relative all’informativa precontrattuale (artt. 4 ss., del regolamento n. 35/2010) – che

prevedono e disciplinano il fascicolo informativo, ossia il documento comprensivo della

nota informativa – ai soli “prodotti assicurativi vita”, con sicura esclusione dei prodotti

finanziari assicurativi di cui ai rami III e V.

La differenza tra prospetto e nota informativa, del resto, appare ulteriormente

attenuata dall’espressa previsione nello schema di scheda sintetica (contenuto nell’allegato

1 al regolamento n. 26/2010) e al quale rinvia espressamente il comma 1 dell’art. 7

(stabilendo che “Le imprese predispongono una scheda sintetica per i contratti con

partecipazione agli utili sulla base dello schema di cui all’allegato 1”), la quale dispone

che siano fornite informazioni precise sulla situazione patrimoniale dell’impresa di

assicurazione, e, segnatamente, che sia indicato «l’indice di solvibilità riferito alla gestione

vita, precisando che rappresenta il rapporto tra l’ammontare del margine di solvibilità

disponibile e l’ammontare del margine di solvibilità richiesto dalla normativa vigente» (par

1, punto 1.b). E’, prevista, dunque l’informazione su un fatto storico, il ché avvicina

sensibilmente la alla disciplina della nota a quella del prospetto nel cui ambito le

informazioni sono orientate a consentire di pervenire ad un «fondato giudizio sulla

situazione patrimoniale e finanziaria » richiesto dall’art. 94 , comma secondo, TUF.

Occorre, infine, pur non essendo possibile approfondire ulteriormente il punto, che

nonostante i passi avanti che il regolamento 35/2010 ha consentito di fare, permangono

ancora dei problemi di coordinamento normativo con riguardo ai prodotti finanziari

assicurativi. In realtà per addivenire ad una disciplina armonica complessiva, occorrerebbe

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affrontare tutti i profili disciplinali relativi ai prodotti finanziari assicurativi in un

documento congiunto ISVAP-CONSOB.

In conclusione possiamo sottolineare due aspetti:

Il regime di tutela approntato dal tuf ed esteso ai prodotti finanziari assicurativi ossia

alle polizze collegate e al contratto di capitalizzazione è opportuno per le prime che sono

veri e propri contatti di investimento, ma forse non necessario e, quindi, eccedente per la

capitalizzazione. Il legislatore non ha distinto, ha accomunato le due figure senza tener

conto che solo le prime configurano contratti di investimento che necessitano dell’ampia

tutela informativa che caratterizza il mercato mobiliare (la disciplina del tuf). I secondi,

essendo contratti di prestito, necessitano di una tutela per la quale è sufficiente assicurare la

stabilità dell’impresa nonché le comuni regole di trasparenza contenute nel codice delle

assicurazioni (non è necessario, in particolare, il prospetto informativo).

Secondariamente va osservato che la sottoposizione al tuf dei prodotti assicurativi

finanziari oltre che sul piano specifico della tutela dell’investitore, assume una notevole

rilevanza sul piano sistematico, in quanto costituisce un passo avanti significativo ed

apprezzabile verso la tendenza, ricordata in precedenza, auspicata oltre che dalla dottrina

dal Consiglio di Stato, alla integrazione ed omogeinizzazione - anche sul piano normativo

- delle diverse attività del mercato finanziario3, mediate la realizzazione, con riguardo a

tutte le attività negoziali di carattere finanziario della predisposizione di una disciplina per

prodotto (rectius per atto) in luogo della tradizionale regolamentazione per soggetto (o per

attività), che conduca ad un trattamento normativo unitario di tutte le fatti specie

negoziali che presentino i medesimi caratteri, il quale prescinda quanto più possibile

dallo status dei soggetti abilitati alla loro stipulazione e, quindi, dalla disciplina settoriale

riferibile ad ognuno di essi4.

3 Consiglio di Stato (v. pareri 14 febbraio 2005, n. 11603, §§ 5 e 5.1. e 3 dicembre 2008, n. 3999, quarto considerato). In tale direzione assume, inoltre, rilievo la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio relativa ai prodotti di investimento al dettaglio preassemblati (COM (2009) 204 definitivo ) e (SEC (2009) 556), la quale, con riguardo ai prodotti di investimento rivolti agli investitori al dettaglio, pone come obiettivo l’introduzione di «un approccio orizzontale che costituisce una base coerente per regolamentare le informazioni obbligatorie e le pratiche di vendita a livello europeo, indipendentemente da come il prodotto sia assemblato o venduto». Ciò affinché il livello di protezione garantito agli investitori al dettaglio, non sia soggetto a variazioni in funzione dei diversi settori finanziari dove tali prodotti sono offerti. 4 L’armonizzazione dovrebbe riguardare anche il trattamento fiscale di tali prodotti,

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Una significativa manifestazione di tale integrazione, si è visto, è riscontrabile nella

disciplina delle forme pensionistiche complementari e segnatamente, delle convenzioni per

la gestione dei fondi pensione di cui all’art. 6, comma primo, del d. lgs. n. 251/2005, che

sono assoggettate alla medesima disciplina quantunque possano essere legittimamente

stipulate da soggetti diversi del mercato finanziario.

Una altrettanto impostante manifestazione, inoltre, è rinvenibile nella normazione

contabile affermatasi recentemente e contenuta nei principi contabili internazionali

denominati IAS/IFRS.

Ricordiamo molto sinteticamente che si tratta di regole sul bilancio che il

regolamento comunitario (del Parlamento e del Consiglio) n. 1606/2002 ha introdotto

l’obbligo di utilizzare per alcune categorie di imprese societarie – tra le quali quelle di

assicurazione – ai fini (quanto meno) della redazione dei conti consolidati; tali regole,

elaborate da un organismo di diritto privato5, acquistano efficacia giuridica se

preventivamente omologate mediante il recepimento in regolamenti della Commissione.

Nel momento in cui avviene tale incorporamento i principi assumono l’efficacia

normativa propria di tali regolamenti di attuazione e, pertanto, da norme tecniche

assurgono al rango di norme giuridiche.

Nell’ambito di queste regole contabili è previsto che le tutte le operazioni di carattere

finanziario, anche se poste in essere da imprese di assicurazione, sono da contabilizzare

secondo i principi contenuti degli negli IAS 39 e 32, riferiti agli strumenti finanziari, mentre

sono riconducibili allo IFRS 4, che disciplina i contratti assicurativi, solamente i contratti

caratterizzati dal rischio di un evento futuro ed incerto.

Con una notazione davvero finale possiamo, quindi, rilevare un ritorno ai principi

generali del diritto privato. Sulla base di questa tendenza apprezzabile, adesso, per

qualificare questi prodotti, si parte dalla funzione, dalla causa del contratto e si arriva dalla

disciplina. Si abbandona progressivamente il metodo inverso, che assoggetta tutti i negozi

stipulati da un soggetto con determinate caratteristiche, in particolare sottoposto a vigilanza apparendo forse ingiustificata una tassazione del 27% degli interessi e degli altri proventi derivanti dai depositi bancari diversi dalle obbligazioni (tassate al 12%) (artt. 44, comma primo, sub a), d.p.r. 917/1986 e 26, comma secondo, d.p.r. n. 600/1973), a fronte di una imposizione fiscale del 12,5 % dei rendimenti – ricavati calcolando la differenza tra l’ammontare percepito e quello dei premi pagati – del contratto di capitalizzazione (artt. 44, comma primo, lett. g-quater) e 45, comma quarto, d.p.r. 917/1986 e 26-ter, comma primo, d.p.r. n. 600/1973). 5 Lo IASB (già International Accounting Standards Board – IASC).

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prudenziale (banche, assicurazioni, altre imprese finanziarie) a una data disciplina. Verso

quest’ultima impostazione, sono sempre state espresse delle perplessità, in quanto conduce

in definitiva alla violazione del principio di uguaglianza, si disciplinano fattispecie analoghe

in modo differente (depositi bancari vincolati e capitalizzazione) o fattispecie diverse in

modo analogo (capitalizzazione e polizze variabili).