I processi di integrazione di tre generazioni di italiani a Delft

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247 I processi di integrazione di tre generazioni di italiani a Delft * . Laura Briganti Nella Dichiarazione universale dei Diritti umani è scritto: « Ogni uomo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza, entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio e di ritornare nel suo paese ». La mia ricerca si è svolta sulla generazione di italiani arrivata in Olanda alla fine degli anni Cinquanta e presente ancora oggi nella città di Delft. Nello svolgere il mio lavoro ho raccolto la documentazione sull’emi- grazione italiana in Olanda, vastissima, anche se non così vasta come quella sull’emigrazione italiana negli altri Paesi europei; in particolare ho consultato quella relativa alla città di Delft. Dopo essermi documentata sull’argomento, ho iniziato la ricerca sul campo, incontrando e intervistando un campione di italiani della prima e della seconda generazione, residenti oggi a Delft. Il progetto iniziale era quello di basarmi sullo stesso numero di italiani per la prima e per la seconda generazione. Ben presto, però, mi sono resa conto che dagli ita- liani della prima generazione comincia il processo successivo. Il numero * L’Associazione Italiana di Delft mi ha affidato una ricerca sul tema: «I processi di inte- grazione di tre generazioni di italiani a Delft ». Nell’incontro del 24 febbraio 2006, svoltosi nella sede dell’Associazione, alla presenza del Console italiano e di una rappresentanza di emigranti di varie generazioni, ho avuto modo di presentarne i primi risultati. Delle tre gene- razioni di italiani a Delft, mi sono soffermata, per ora, soprattutto sulle prime due. La conferenza è stata corredata da una serie di fotografie gentilmente messe a disposizione dagli italiani della prima generazione intervistati.

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Di Laura Briganti. Pubblicato nella rivista Il presente e la storia, n. 75, giugno 2009 dell'L'Istituto storico della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Cuneo

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I processi di integrazione di tre generazioni di italiani a Delft*.

Laura Briganti

Nella Dichiarazione universale dei Diritti umani è scritto: «Ogniuomo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza, entro i confinidi ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese,incluso il proprio e di ritornare nel suo paese».

La mia ricerca si è svolta sulla generazione di italiani arrivata inOlanda alla fine degli anni Cinquanta e presente ancora oggi nella cittàdi Delft.

Nello svolgere il mio lavoro ho raccolto la documentazione sull’emi-grazione italiana in Olanda, vastissima, anche se non così vasta comequella sull’emigrazione italiana negli altri Paesi europei; in particolareho consultato quella relativa alla città di Delft.

Dopo essermi documentata sull’argomento, ho iniziato la ricerca sulcampo, incontrando e intervistando un campione di italiani della primae della seconda generazione, residenti oggi a Delft. Il progetto inizialeera quello di basarmi sullo stesso numero di italiani per la prima e per laseconda generazione. Ben presto, però, mi sono resa conto che dagli ita-liani della prima generazione comincia il processo successivo. Il numero

* L’Associazione Italiana di Delft mi ha affidato una ricerca sul tema: «I processi di inte-grazione di tre generazioni di italiani a Delft». Nell’incontro del 24 febbraio 2006, svoltosinella sede dell’Associazione, alla presenza del Console italiano e di una rappresentanza diemigranti di varie generazioni, ho avuto modo di presentarne i primi risultati. Delle tre gene-razioni di italiani a Delft, mi sono soffermata, per ora, soprattutto sulle prime due. La conferenza è stata corredata da una serie di fotografie gentilmente messe a disposizionedagli italiani della prima generazione intervistati.

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maggiore di intervistati viene dunque dalla prima generazione, proprioper l’importanza della loro testimonianza.

La registrazione delle interviste è stata un’esperienza bellissima e laparte più divertente di questo lavoro. Sicuramente l’emigrazione inOlanda è stato un fenomeno collettivo, ma gli emigranti hanno una sto-ria personale molto più interessante e i dettagli che sono emersi dalleinterviste hanno arricchito la mia ricerca.

Il lavoro di trascrizione è stato molto difficile, perché le intervistepossono durare anche più di un’ora. Se la conversazione si faceva parti-colarmente interessante – e questo succedeva regolarmente – potevadurare anche tre ore.

Il passaggio dalla registrazione alla trascrizione dell’intervista è statosenza dubbio il lavoro più duro. Ad esso si accompagna la selezione delmateriale, ossia dei contenuti dell’intervista, che è delicata e richiedemolta attenzione e cura, perché può compromettere l’originalità dellatestimonianza.

Grazie alle interviste ho potuto trarre alcune conclusioni sui processidi integrazione.

Partendo dall’emigrazione italiana in Olanda nel dopoguerra misono domandata perché gli italiani si siano recati proprio in questoPaese.

I motivi principali sono i seguenti:1) l’Olanda procedeva a una rapida ricostruzione del paese. Era in un

momento in cui voleva investire su nuove leve che contribuissero allacrescita del paese;

2) l’Olanda disponeva di una fonte interna di risorse costituita dalleminiere del Limburgo. Del lavoro nelle miniere si è parlato nelleinterviste alla prima generazione di italiani giunti in Olanda. Ilgruppo dei sardi è stato, infatti, il primo ad essere chiamato al lavoronel Limburgo già negli anni Cinquanta;

3) in Olanda c’era una notevole scarsità di manodopera giovane a causadella guerra. Si cercavano dunque giovani provenienti da altri paesi.

L’Olanda fu costretta a sopperire a questa carenza di manodoperainterna reclutando lavoratori stranieri destinati all’edilizia, al lavoro inminiera, all’industria tessile e metallurgica. Nelle interviste si parlasoprattutto di queste ultime due categorie.

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Tutto inizia nel 1949, quando i responsabili delle miniere di Stato delLimburgo si recano in Italia per reclutare lavoratori giovani. Lo sloganera: «C’è lavoro per voi in Olanda».

Lo slogan giunge nel nostro paese in un momento di grande crisi e l’of-ferta di lavoro attira subito l’attenzione. Moltissime persone provenientisoprattutto dalla Sardegna rispondono a questo richiamo. Secondol’Ufficio centrale di statistica olandese nel 1956 giunsero in Olanda 4000italiani. Nel 1970 gli italiani in Olanda diventano 5200. C’è dunque unacrescita. Di questi 5200, 2500 si recano a lavorare nel Limburgo. Gli altrifanno lavori stagionali, come gli spazzacamini e i gelatai.

I 2500 giunti alla fine degli anni Cinquanta saranno i primi lavoratoriche si recheranno in Olanda come operai.

I parametri

«Con quali parametri i lavoratori italiani venivano selezionati dallaCommissione olandese?» Nel rispondere a questa domanda molti degliintervistati si sono soffermati sulla descrizione della selezione fatta dallaCommissione olandese a Milano.

Il primo requisito che occorreva possedere per risultare idoneo era lostato di salute: i lavoratori dovevano essere in perfette condizioni. Qui sicreava tensione perché venivano facilmente scartati. Prima di arrivare allaCommissione olandese, però, bisognava superare il controllo di unaCommissione italiana regionale. Attraverso le interviste mi sembra siaemerso che non fosse una commissione rigida come quella successiva.

Dopo lo stato di salute risultava fondamentale l’età: dovevano esseregiovani, tra i 22 ed i 32 anni. In più dovevano avere la fedina penale pulitaed essere celibi. Il celibato, infatti, garantiva la mobilità e allo stesso tempoera indice di stabilità in Olanda. Il non avere legami con l’Italia li rendevapiù affidabili. Infine, dovevano aver già prestato servizio militare.

La provenienza

La provenienza dei giovani è diversa, ma già dalle interviste si puòcapire la percentuale.

Il 40% viene dalla Sicilia e dalla Sardegna, il 37% dal Nord d’Italia,il 20% dal Sud d’Italia.

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La maggior parte degli intervistati della prima generazione è origina-ria della Sicilia, mentre una piccola percentuale viene dal Molise e uncerto numero dalla Sardegna. Non ho avuto la possibilità di intervistareemigrati italiani provenienti dal Nord. Il tipo di emigrazione che coin-volge gli italiani del Nord è precedente a questi anni ed è legata aimestieri di spazzacamino, terrazziere, gelataio.

Tra l’Olanda e l’Italia si crea una convergenza d’interesse. L’una èutile all’altra. Questo si chiama anche stato di provvisorietà. Lo stato diprovvisorietà fa sì che l’Italia fornisca manodopera ricevendo in cambiouna serie di vantaggi.

L’offerta delle aziende

Le aziende olandesi offrono al lavoratore straniero una serie di van-taggi per un anno. Prima di tutto possono usufruire di vitto e alloggionelle pensioni, le cosiddette case a pagamento, in olandese Kosten-huizen, che consentono il primo contatto degli italiani con il mondoolandese. Nelle case avviene il primo passo verso la conoscenza e la suc-cessiva integrazione nel paese, come si capisce dai racconti degli intervi-stati. La prima difficoltà riscontrata è data naturalmente dal cibo cheviene servito. Molti lo criticano, ricordando l’odore di cavolo che aleg-giava nelle case appena si entrava. Molti, però, avendo alle spalle condi-zioni sociali disagiate, lo apprezzano. Il fatto di essere giovani e inespertili rende inoltre meno nostalgici rispetto ad abitudini alimentari italiane.

Non dimentichiamo che per molti era la prima esperienza di viaggio,perché quasi tutti non si erano mai mossi dal loro paese o dalla loro città.

Nelle pensioni sono nate le prime amicizie con gli olandesi. I racconti più divertenti sono legati proprio alle uscite con i giovani

olandesi che abitavano nelle case. Con le uscite, però, avvenivano anche leliti nei bar. Tra i motivi, le gelosie dei giovani locali per l’eleganza con cui sipresentavano i ragazzi italiani, sempre impeccabili e di bell’aspetto.

Un vantaggio notevole era costituito dall’organizzazione e dai costidi trasporto di eventuali viaggi Italia-Olanda, offerti dalle aziende olan-desi.

C’era inoltre l’offerta di quattro settimane di vacanza gratis, a spese del-l’azienda, per poter andare a trovare i familiari. Mi è stato raccontato da

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Ernesto Ditella che proprio in quei momenti di ferie era molto gratoall’Olanda per ciò che gli offriva. Molti operai avevano dichiarato diessere in malattia per poter rimanere più a lungo in Italia ed esserepagati lo stesso. Lui però aveva chiesto all’azienda di poter rimanereancora in Italia pur non essendo malato. L’azienda aveva accettato dipagarlo, mostrando comprensione per la sua nostalgia. Questo gesto dirispetto verso un lavoratore onesto lo aveva profondamente colpito.

C’erano dunque tutti i presupposti per un impatto positivo. Mi èstato raccontato che al loro arrivo in Olanda prima di essere portatinelle pensioni, gli operai andavano a visitare la fabbrica. Lì rimanevanofortemente impressionati dall’eleganza delle sale riunioni, dove veni-vano loro offerti sigari di ogni provenienza. C’erano orari più flessibilirispetto alle fabbriche italiane, nelle quali alcuni operai avevano lavo-rato. Per alcuni, dunque, l’esperienza olandese era molto positiva.

Gli svantaggi

Tuttavia c’erano anche svantaggi. C’era infatti un’autoemargina-zione, dovuta allo stato di provvisorietà in cui gli italiani vivevano.Sapendo di dover, prima o poi, ritornare in Italia, non si investiva nellaconoscenza della lingua olandese. Non si riteneva necessario l’appren-dimento della lingua soprattutto perché l’olandese si presentava moltoostico al primo approccio. Questo non aiutava l’integrazione in un pae-se già di per sé diverso culturalmente da quello di provenienza. Le diffi-coltà iniziali portavano dunque a un forte allontanamento.

Nella fase iniziale non c’erano inoltre offerte per l’integrazione daparte dello Stato olandese. Questo valeva soprattutto per i primi italianigiunti a lavorare nelle miniere negli anni Cinquanta.

A queste difficoltà si aggiungevano i pregiudizi e l’ostilità dimostratadagli olandesi, a causa delle frequenti liti tra i giovani italiani, definitidai giornali locali «persone dal sangue caldo» che facilmente litigavanonei bar e nelle sale da ballo perché conquistavano facilmente le donneolandesi. Gli stessi italiani intervistati hanno ammesso di riscuotere unacerta popolarità in Olanda. A Delft, nei giornali locali, si parlava spessodi liti tra italiani e studenti olandesi.

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I primi passi verso l’integrazione

Dopo gli anni Sessanta si verifica una progressiva integrazione degliitaliani della prima generazione. Il motivo principale è senza dubbio lamassiccia presenza di matrimoni misti tra uomini italiani e donne olan-desi. E’ presente però, in quegli anni, anche una piccola percentuale dimatrimoni tra italiani.

Il tipo di integrazione che viene favorita dai matrimoni misti è primadi tutto quella linguistica. Nasce dal desiderio di conoscere la linguaolandese parlata dalla moglie ed è un modo per entrare nella cultura delpaese ospitante.

In più c’è l’inserimento totale dei figli nella realtà scolastica locale.Questo dato è confermato da tutti gli intervistati. Conoscere il sistemascolastico, le famiglie dei compagni di classe del proprio figlio, è unmodo immediato per entrare nella cultura olandese. Questo vale ancheper l’integrazione delle donne italiane, sposate con italiani che vivono inOlanda. In Olanda è previsto per le mamme un notevole coinvolgi-mento nelle attività scolastiche ed extra scolastiche, come l’organizza-zione di recite, spettacoli e gite.

Lo spostamento verso il Nord

La chiusura delle miniere di carbone nel Limburgo causò uno spo-stamento geografico dei lavoratori stranieri verso zone dell’Est e delNord del Paese.

In più ci fu, da parte degli italiani, il passaggio a un’attività lavorativadiversa, perché molti di essi passarono dal lavoro nelle miniere al lavoronel settore tessile e nell’edilizia. In questo periodo, infatti, in Olanda illavoro viene richiesto non più nel Limburgo, Sud dell’Olanda, quantonei Paesi del Nord.

La maggior parte degli intervistati racconta di essere arrivata dallalontana Sicilia alla terraferma e poi in treno nel Nord Italia per giungerea Utrecht, dove avveniva la divisione dei ruoli. I lavoratori venivanopresi per un determinato settore e poi mandati nel paese dov’era l’indu-stria. In questa occasione molti venivano mandati all’industria tessile,molti all’industria metallurgica per lo smistamento dei lavoratori.

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La Nederlandse Kabel Fabriek di Delft (NKF)

A partire dal 1959 cinquanta lavoratori italiani vengono mandati dalleminiere del Limburgo a lavorare alla Nederlandse Kabelfabriek di Delft (Lafabbrica di cavi elettrici di Delft). La maggior parte di essi proviene dallaSardegna, precisamente dalla provincia di Sassari. Non è un caso che tutti isardi che ho intervistato provengano da questa provincia. Proprio questopassaggio alla Kabelfabriek segna l’arrivo degli italiani nella città di Delft.

Secondo l’Ufficio centrale di statistica olandese tra il 1956 ed il 1961gli italiani presenti sono 6000, di cui 2500 nel Limburgo per i successividieci anni.

Nel 1972 il numero degli italiani è salito a 8500. Dal 1961 al 1975 laNederlandse Kabelfabriek di Delft, dopo aver reclutato gruppi di lavora-tori provenienti dalla Sardegna, si reca anche in Sicilia dove volantini emanifesti annunciano, ancora una volta: «C’è lavoro per voi in Olanda!»

Tutti gli intervistati confermano che la pubblicità sull’offerta di lavoroin Olanda era ovunque, in Sicilia, ed era inevitabile rimanere incuriositidalla portata di tale proposta e presentarsi al colloquio di lavoro. L’inter-vistato Gaetano Giumento mi ha confessato che da parte sua all’inizionon c’era la volontà di trasferirsi, ma per curiosità aveva fatto domanda ecosì si era trovato coinvolto, come anche molti altri.

Nel 1975 abitano a Delft circa 137 italiani. Presso la NKF (Neder-landse Kabelfabriek) hanno lavorato circa 300 italiani.

In queste immagini, che mi sono state gentilmente concesse, si pos-sono vedere i lavoratori in mensa e nella fabbrica. Sono foto abbastanzarare. Anche attraverso una ricercasu Internet è quasi impossibiletrovare materiale fotografico evideo relativo a quegli anni. Tuttoil materiale è messo a disposizionedagli emigrati di prima genera-zione e grazie a loro sarà possibilecreare un archivio fotografico sul-l’emigrazione italiana in Olanda.La loro testimonianza è dunquenecessaria e fondamentale per pro-seguire questo tipo di ricerca. Operai della fabbrica NKF in mensa

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C’erano comunque numerose possibilità di svago per gli italiani. Nel1962 esisteva Casa Nostra, un luogo di incontro, soprattutto a sfondoreligioso. Poi c’era la Casa Internazionale a De Poort e infine il Caffè DeKlompe della famosa Tante Lena. Tante Lena era una donna olandese dicui ho sentito parlare moltissimo e di cui purtroppo non ho trovatofotografie. È stata una vera zia, che li ha difesi in mille occasioni e il cuibar costituiva un punto di incontro. Ci si recava anche per sentirsi pro-tetti. Non si poteva litigare e la regola era bere una birra sola.

Scuola tecnica

Nel 1975 si forma la Scuola Tecnica Centrale. Questo è un momentomolto importante perché è il risultato di una battaglia vinta da alcuninostri emigranti. Viene data infatti la possibilità agli italiani di ricevereun’istruzione all’interno della Fabbrica nella propria lingua madre. Unevento importante sia per gli operai italiani che avevano intenzione dirimanere in Olanda sia per gli operai che, dopo un periodo di lavoroall’estero, pianificavano il loro ritorno in Italia.

Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte degli italiani giunti inquesti anni possedeva solo la licenza elementare. All’epoca era ancora pos-sibile aprire un negozio o un’attività con la licenza elementare, però, unavolta ritornati in Italia, dopo gli anni Settanta, questa non era più suffi-ciente. Era possibile iniziare un’attività commerciale solo con il possessodella licenza media. Per gli italiani che intendevano ritornare in Italia signi-ficava essere esclusi automaticamente da ogni possibilità lavorativa.

Questo momento segna un passaggio fondamentale perché permetteagli operai di sentirsi arrivati dal punto di vista professionale.

La scuola italiana

Dal 1978 al 1983 c’è una grande lotta per ottenere l’istruzione nella lin-gua madre fuori dall’orario scolastico, al contrario di quello che voleva ilRegionaal Centrum voor Buitenlanders (il Centro regionale per stranieri).

Quest’altra battaglia si è conclusa con una grande vittoria. Nelmomento in cui i figli degli emigranti della prima generazione andavanoa scuola c’era la possibilità di far loro apprendere anche la lingua ita-liana, e non solo la lingua olandese parlata a scuola.

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Il RCB voleva che le lezioni si tenessero durante l’orario scolastico.Questo non facilitava i giovani che non si recavano volentieri alle lezionidi italiano. Gino Scalzo ed Ernesto Ditella sono solo alcuni dei protago-nisti di questa battaglia.

L’Associazione italiana

Da questo momento il ruolo dell’Associazione italiana – che vivevainizialmente dei sussidi del Consolato e del RCB (Il Centro regionaleper stranieri) – diventa sempre più importante.

Lo scopo iniziale era quello di organizzare feste secondo le tradizionipopolari italiane, la più importante delle quali era l’Epifania del 6 gen-naio.

L’Associazione italiana nasce nel 1972.

L’evento aveva soprattutto lo scopo di attrarre la terza generazione,perfettamente integrata nel sistema olandese, ma legata, grazie alla fami-glia, alle tradizioni del luogo d’origine dei familiari.

Nel 1974 il ruolo dell’Associazione diventa ancora più attivo. Vieneorganizzata una serie di eventi. Alcune attività svolte dai presidentidell’Associazione hanno attirato l’attenzione della politica olandesesulle problematiche dell’integrazione degli stranieri. Tra le foto è rico-noscibile l’ex primo ministro olandese Koch.

Molti degli italiani hanno ottenuto la cittadinanza onoraria a Delftperché si sentono fortemente integrati nel sistema di vita olandese.Questo è naturalmente un motivo di grande orgoglio per loro e confermal’ipotesi che, dopo la prima generazione, l’integrazione nel paese ospi-tante sia avvenuta in maniera positiva.

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L’Associazione italiana dal 1985 è iscritta alla Camera del Commercioe ha un suo statuto, organizza attività sociali, ricreative, culturali e spor-tive. Il suo scopo principale è quello di mantenere viva la cultura italianae di favorire l’integrazione nella società olandese.

Viene finanziata da sussidi comunali e dai contributi annuali dei soci. Dal 1993 è situata a Bieslandsekade 68, nei locali S.I.L.A., assieme

all’Associazione spagnola e a quella sudamericana. Un’altra battaglia importante vinta dall’Associazione italiana è stata

quella che ha portato alla fondazione di un’Associazione di Bocce (Jeu

L’Associazione italianaoggi e il centro dibocce.

L’ex premier olandeseKoch insieme a GinoScalzo.

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de beules). Dalle interviste rivolte ai giovani della seconda generazionel’associazione di bocce è risultata essere per i loro padri « la piazza», illoro punto di incontro; il bar dove ci si incontra, si ride e scherza, sifanno due chiacchiere insieme nella propria lingua. Tra le attivitàdell’associazione c’erano serate dedicate alle feste popolari, ma anchemolte gite in pullman per recarsi tutti insieme a conoscere l’Olanda.Molti hanno conosciuto l’Olanda anche grazie alle gite che regolar-mente venivano organizzate. Si passava del tempo in compagnia, ma ilpretesto era anche approfondire la conoscenza del paese.

Tra le attività sportive c’è naturalmente il calcio, un’occasione perincontrarsi con una certa regolarità e giocare con la propria squadra. Lasquadra italiana vanta una numerosa serie di vittorie e continua con suc-cesso, con il coinvolgimento delle nuove generazioni.

Altre immagini mostrano l’at-tenzione dedicata agli allora bam-bini, la seconda generazione, chesi cercava di coinvolgere, il piùpossibile, nelle attività dell’Asso-ciazione, organizzando eventi co-me le feste di Carnevale e l’arrivodella Befana, forse il più significa-tivo. Ci si divertiva anche tra gliadulti, mettendo su qualche spet-tacolino teatrale, qualche sketchda presentare durante le serate.

Il Bollettino dell’Informazione

Dall’aprile 1978 al marzo 1979 l’Associazione italiana pubblica unarivista, «Il Bollettino dell’Informazione». «Il Bollettino» è scritto in lin-gua olandese e in italiano, per favorire lo scambio culturale tra l’Olanda el’Italia, ma soprattutto per dare informazioni sull’Italia. Sfogliandolo sitrovano numerosi articoli scritti da inviati dall’Italia. Molto spesso sonopresenti informazioni sull’economia e la politica dei paesi da cui la mag-gior parte degli italiani in Olanda proviene, come quelli siciliani. Si rac-conta ciò che viene organizzato nel paese, i festeggiamenti per le festepopolari. Lo scopo è di mantenere vivo il contatto con il paese di origine.

La squadra italiana di calcio.

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Ancora qualche dato sugli ita-liani a Delft: nel 1975 c’erano 324italiani, nel 1995 circa 249, di cui192 nati in Italia. Gli altri sono ita-liani, ma nati in Olanda.

Come si vede da questi dati, uncerto numero di italiani è rientratonel proprio paese.

LA PRIMA GENERAZIONE

Gli italiani della prima generazione a Delft oggi sono circa un centi-naio (foto). Questa è l’Associazione italiana oggi.

Le interviste agli italiani della prima generazione sono state fatte nonsecondo un criterio di preferenza, ma in base alla disponibilità delmomento. Avrei intervistato volentieri tutti, ma per questioni di tempoquesto non è stato possibile.

Il Bollettino dell’Informazione

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Gli intervistati della prima generazione sono: Gino Scalzo, GinoInfosino, Ernesto Ditella, Gaetano Giumento, Antonio Manchia, Anto-nio Pirisi. Nel momento in cui pubblico questo articolo è venuto da pocoa mancare Antonio Manchia, il cui contributo è stato fondamentale percomprendere le tradizioni culinarie e regionali degli italiani giunti inOlanda. Sono tutti provenienti dalla Sicilia, e due dalla Sardegna.

Gino Scalzo

Il primo intervistato è Gino Scalzo. La testimonianza di Gino è iso-lata rispetto agli altri. Lui è il primo straniero a essere riuscito a intra-prendere una carriera politica. Ha cominciato nei sindacati, mentrelavorava in fabbrica, per poi entrare nel consiglio comunale di Delft.

È tra i primi stranieri a essere entrato nella politica olandese. Comemi ha ripetuto molto spesso durante l’intervista, sin dal lavoro in fab-brica aveva capito come fosse fondamentale far sentire la propria voce.Il suo motto è infatti: «Dire la propria opinione sempre. Se è necessariocambiare qualcosa, bisogna dirlo».

Durante le interviste fatte alla prima generazione ho trascorso lun-ghissime giornate a casa degli intervistati. Lì mi sono sentita come inItalia. Ci ritrovavamo a chiacchierare con grande facilità ed era moltodifficile contenere la conversazione entro il numero di ore previsto dalmio lavoro. Era molto piacevole.

Gino Scalzo durante una gita fuori porta.Gino Scalzo, allora presidente,durante la festa dell’Epifania.

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Tra i testi che ho selezionato ecco qualche brano, che sintetizza lospirito dell’operaio giunto da lontano a lavorare in una paese straniero.Nel caso di Gino Scalzo si può parlare anche di emigrazione europea.All’inizio, infatti, era andato a lavorare in Svizzera, in seguito in Ger-mania, per poi approdare definitivamente in Olanda.

In questo brano mi racconta la sua esperienza in Germania:

G.S. Ad un certo punto c’era un amico mio che lavorava in Germania.Insieme andavamo qualche volta a Basilea. E lui mi ha detto che c’era unposto dove si poteva superare illegalmente la frontiera. Prima non era comeora dove basta entrare nel Mercato Comune. Perciò ci siamo messi d’ac-cordo che lui mi aspettava alla stazione di Basilea. Io mi sono licenziato alladirezione dell’albergo. E il direttore voleva che io a qualsiasi costo rima-nessi. Mi hanno promesso anche che se rimanevo non c’era più bisogno chelavorassi in cucina e che mi avrebbero mandato a studiare in una scuola diBasilea per diventare cuoco. Però io la decisione l’avevo già presa e sonoandato lo stesso via. Sono arrivato alla stazione. L’appuntamento era alledieci e questo mio amico, compaesano, non è venuto. Arrivato alle dodici emezzo, pensavo, e che devo fare ora? C’era un treno che partiva per laSicilia…

L.B.: Hai avuto la tentazione di prenderlo e di ritornare?G.S.: Ho preso il treno e sono ritornato in Sicilia.L.B.: L’hai preso il treno? G.S.: Sì, sì, l’ho preso e sono tornato in Sicilia. Arrivare in Sicilia dopo

che me ne ero andato... per me è stata una delusione enorme, ma soprat-tutto una vergogna nei confronti degli altri compaesani. Perché tutti se nevanno e dicono tante belle parole e tu ritorni qui. Mi ricordo che sono arri-vato con l’autobus in città per poi andare al mio paese.

L.B.: Da che provincia vieni?G.S.: Provincia di Palermo. Con quelle valigie di cartone camminavo a

testa bassa. Speravo che non mi vedesse nessuno perché mi vergognavotroppo che tutti andavano e tornavano pieni di successi ed io no. Ma inrealtà non era vero niente di quello che si raccontava.

L.B.: E c’era la tua famiglia in Sicilia che ti aspettava?G.S.: Sì, c’era. Mio fratello, invece, era emigrato in Olanda, però io sono

andato in Svizzera. Però poi serviva manodopera in Germania ed io sonoandato legalmente, attraverso l’Ufficio del Lavoro, prima a Napoli, dove sidovevano far trascorrere mesi per dimostrare di essere idoneo, e poi sonopartito per la Germania.

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L.B.: E dormivi tu da solo?G.S.: Sì da solo. Che poi in quell’inverno del ’62-’63 c’erano fino a 30

gradi sotto zero. Perciò ogni mattina andavo a otturare i buchi che avevanofatto i topi la notte. I topi entravano naturalmente dentro perché faceva piùcaldo ed io dormivo con la testa sotto le coperte. Al mattino facevo come letalpe, tiravo la testa fuori perché la notte i topi avevano ballato sopra il lettoe la coperta. Perciò mi sono detto che un inverno così non lo volevo passarepiù. Ho chiesto a mio fratello se era possibile venire a lavorare qui inOlanda, dove lavorava lui, e quelli gli hanno detto di sì.

L.B.: Che anno era?G.S.: L’inizio del ’62 sono andato ad abitare in Germania e nel novem-

bre del ’63 sono venuto a lavorare in Olanda.

Gino Infosino

Una coppia che ho intervistato è composta da Carmela e GinoInfosino. Da loro mi sono sentita subito a casa. Sono stata accolta moltobene. Durante l’intervista Gino mi ha fornito la maggior parte delleinformazioni che ho trovato sull’Associazione e sul suo ruolo, dalmomento che ne è stato presidente. La maggior parte del materiale foto-grafico proviene dall’archivio privato della coppia.

Grazie a Gino Infosino ho ricevuto la sua foto, ventunenne, mentrelavorava in fabbrica, alla Frederick Steen Fabriek, per la precisione.

Gino Infosino alla Frederick SteenFabriek

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Gaetano Giumento

Altri intervistati sono Gaetano Giumento e sua moglie Maria. Lororappresentano la fusione di due culture, poiché la moglie di GaetanoGiumento è olandese. Con lei mi sono intrattenuta a parlare e rappre-sentava un po’ la memoria della coppia nel corso dell’intervista, ricor-dando le date e aggiungendo dettagli del loro passato.

Gaetano Giumento mentre lavora allaregia

Gaetano Giumento con le valigie di car-tone in partenza dalla Sicilia

La presenza, a volte silenziosa, a volte partecipe della donna nelle inter-viste ha arricchito di dettagli interessanti il valore delle interviste, fornendoun punto di vista molto diverso dal solito. Grazie a Gaetano ho avutoinformazioni utili sull’emigrazionedella prima generazione di italiani.Gaetano è un grande appassionatodi regia. Grazie ai numerosi video,prima amatoriali, poi sempre piùprofessionali, al punto da fargli vin-cere una serie infinita di premi, hopotuto arricchire la mia ricerca sul-l’argomento.

Mi ha aperto molte porte, dan-domi anche del materiale.

Gaetano Giumento durante il lavoro infabbrica

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Ernesto Ditella

Ernesto Ditella è un altro intervistato. Subito dopo l’intervista si èammalato.

Grazie a lui ho avuto molti dettagli sulla storia dell’emigrazione e suiproblemi di integrazione. Ernesto è sposato con una donna olandese.

Anche lui, come Gino Scalzo e Gino Infosino, è stato presidentedell’Associazione.

A proposito di scambio culturale, mi ha raccontato che in casa si par-lava olandese con i figli. Alla mia domanda su come si facesse a inse-gnare ai figli l’italiano, mi ha detto che durante la settimana non era pos-sibile, lavorando fino a tardi la sera, passare molte ore con loro parlandoitaliano. Per questo motivo l’educazione era affidata alla donna, chenaturalmente parlava con il proprio figlio la lingua madre. Era difficileper lui far mantenere la lingua italiana al figlio. Tuttavia colpiva moltoquesto particolare, confermato dagli altri italiani, che c’è proprio unGevoel, «un sentimento» molto forte per la lingua e la cultura italianada parte dei giovani della seconda generazione. Quindi è stato facile perloro andare in Italia, anche senza parlare la lingua, ed imparare subito acapirla e parlarla, a «sentirla la lingua». Per dirla all’olandese: il Taalgevoel,il sentimento per la lingua.

Il ruolo dei genitori italiani, soprattutto degli uomini, era quello ditrasferire l’amore per l’Italia ai propri figli, attraverso racconti sullafamiglia, sul luogo in cui erano cresciuti, sul paese.

Ernesto Ditella durante una gitaorganizzata dall’Associazione

Ernesto Ditella riceve la cittadinanza onoraria diDelft

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Ernesto mi ha raccontato con grande soddisfazione che suo figlio cercauna casa proprio a Capracotta, nel paese da cui la sua famiglia proviene.

A proposito delle descrizioni della famiglia e dell’Italia fatte dai genitoriitaliani ai propri figli, ecco un brano tratto dall’intervista a Ernesto, in cuiracconta la capacità del figlio di riconoscere suo nonno, sebbene non l’a-vesse mai incontrato prima. Questo per me è significativo per capire cosaprovano i giovani della seconda generazione nei confronti dell’Italia.

L.B.: Ha trasmesso l’amore per l’Italia a suo figlio?E.D.: È successo un fatto davvero strano quando lui aveva quattro anni.

Dalla descrizione che gli avevo fatto io di mio padre è riuscito a ricono-scerlo quando siamo andati insieme a Capracotta.

Eravamo nella piazza. Da lontano vede scendere un signore con le vacche elui comincia a urlare: “Nonno! Nonno!”. Era un signore con le vacche, ed eramio padre.

C’erano sulle montagne alcuni signori con le vacche, ma lui quello con ilbastone, con il cappello lo aveva riconosciuto subito. Si mise a correre, e gliinfilò la manina dentro la sua mano. Mio padre lo guardava sorpreso. Sidiceva: “E chi è questo bambino, questo rosso?”. Lui diceva “Daniel Daniel”,l’altro “Nonno nonno” e si capirono. Mio figlio parlava olandese e mio padrecapracottese. L’istinto di mio figlio in quell’occasione è stato incredibile.

Antonio Pirisi

Antonio Pirisi, proveniente da Sassari, mi ha fornito una preziosatestimonianza sul lavoro nelle miniere del Limburgo. Fa parte, infatti, diquel gruppo giunto dal Limburgo per lavorare alla Kabelfabriek. La suaintervista è ricca perché regala pezzi di entrambe le esperienze. Grazie alui sono venuta in possesso delle fotografie del gruppo di sardi, ungruppo molto compatto qui in Olanda, che si riunisce spesso per man-tenere vive le tradizioni culinarie e popolari.

La maggior parte dei sardi in Olanda ha vissuto la doppia esperienzadella miniera e dell’industria.

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Il gruppo dei sardi

La lavorazione del porcellino sardo

Antonio Pirisi durante il lavoro in fabbrica

Antonio Manchia

Antonio Manchia mi ha ospitato nel suo grande terrazzo dove pos-siede un piccolo orto e coltiva pomodori, zucca, prezzemolo, basilico.

La sua testimonianza mi ha arric-chito di dettagli culinari sul man-tenimento delle tradizioni italianein Olanda. Mi ha raccontato, in-fatti, che in Sardegna c’è una lavo-razione del porcellino che il grup-po dei sardi ripete ogni anno,fedele alla tradizione.

Dalle foto si può vedere chel’evento riunisce numerosi amici,ognuno con un compito diversoda svolgere. Nel suo terrazzo, in-fatti, ha montato un forno origi-nale proveniente dalla Sardegna,adatto proprio a cucinare il por-cellino secondo la ricetta sarda.

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LA SECONDA GENERAZIONE

Passiamo alla seconda generazione. Il bilancio è positivo. La secondagenerazione si è integrata completamente nel sistema olandese. La lorointegrazione diventa assimilazione della cultura olandese e di quella ita-liana. Per la prima generazione si parla di integrazione nella culturaolandese, ma senza completa assimilazione della stessa. Si parla infatti dimantenimento della cultura italiana. Per la seconda generazione si parlainvece di assimilazione di entrambe le culture.

Graziella Vitale

Graziella è di padre italiano e madre olandese. La sorella di suamadre, però, ha sposato anch’essa un italiano, Gino Scalzo.

Vivendo così a contatto con la cultura italiana, Graziella è stata ingrado di apprendere perfettamente l’italiano e di studiarlo. Ammette dinon sentirsi e di non essere italiana. Lei è nata e cresciuta in Olanda,parla olandese con i suoi genitori e suo fratello. Ha vissuto in Italia soloper un brevissimo periodo, per studio. Tuttavia è riuscita a mantenerevivo l’amore per l’Italia attraverso lo studio della lingua e la ricerca, chesvolge a tempo perso, sull’emigrazione italiana in Olanda, che la appas-siona molto. Come per la maggior parte dei giovani della seconda gene-razione, l’apprendimento della lingua italiana è un fatto quasi automa-tico, naturale. La scelta delle costruzioni in italiano si presenta sempreautomatica, come anche l’uso del congiuntivo e delle forme verbali piùostiche per un semplice studente olandese di italiano. L’intervista si èsvolta in olandese ma con passaggi continui alla lingua italiana.

Nel suo caso si può confermare il dato secondo il quale per laseconda generazione si parla di assimilazione al sistema olandese, senzamantenimento delle tradizioni italiane, inizialmente presenti, soprat-tutto nell’infanzia, ma destinate a perdersi.

Graziella, come molti altri italiani di seconda generazione, ha sempreparlato olandese con il padre. Questo comportamento è comune a tuttigli uomini italiani sposati con donne olandesi. Il motivo è che per tutti ilavoratori giunti in Olanda le difficoltà di apprendimento della linguaolandese erano tali da far prevalere il desiderio che almeno i figli la padro-

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neggiassero completamente, così come loro stessi forse avrebbero voluto.L’utilità della lingua olandese per il loro futuro è sembrata, ai padri ita-liani, più importante dell’apprendimento della lingua italiana, che passi-vamente si sarebbe appresa comunque andando in Italia. Questo ragio-namento è unito ad altre motivazioni, come la mancanza di tempo daparte dei padri di dedicarsi all’insegnamento della lingua italiana ai figli, acausa del lavoro in fabbrica, che li teneva occupati durante tutta la setti-mana. Che l’educazione materna, in questo caso delle donne olandesi,abbia prevalso su quella paterna è confermato anche da un altro datocurioso. Le donne italiane giunte in Olanda con i mariti hanno sempreparlato con i propri figli in italiano, sin dall’infanzia.

Il legame con l’Italia permane in questo caso, ma in maniera note-volmente diversa rispetto alla precedente generazione. Il loro legamenon è diretto, ma è stato trasmesso in modo trasversale dai genitori o dainonni. Le immagini di Agira, il paese da cui proviene la famiglia delpadre di Graziella, sono per lei l’Italia: la natura, la campagna, il pae-saggio delle stradine con le mucche e i contadini. Per lei tornare lì signi-fica ritrovare le sue radici.

Eddy Marinacci

L’attaccamento alla cultura di origine si può sviluppare anche attra-verso l’amore per le tradizioni culinarie, come dimostra l’intervistatoEddy Marinacci. Eddy, di genitori italiani, mi ha confermato che l’a-more per l’Italia continua anche attraverso il tramandarsi delle ricetteculinarie della famiglia. Lui ècresciuto qui in Olanda con pa-dre, madre e nonna italiane, unafamiglia abbastanza tradiziona-le, e ha vissuto come un italiano.Dai suoi racconti si capisce subi-to che il pranzo e la cena eranomomenti importanti per la fami-glia e soprattutto per la nonna,venuta in Olanda per seguire lafiglia e non rimanere da sola in

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Italia. Come segno d’amore per gli insegnamenti trasmessigli dallanonna, Eddy ha comprato con sua moglie un ristorante italiano, LaFontanella, a Delft. Il ristorante fa parte anche della storia degli italianidi Delft. La sua storia è presente in moltissimi libri, perché è il primoristorante a essere stato aperto nella città di Delft, il primo ad avere unforno a legna, mandato direttamente dall’Italia. Eddy ha comprato illocale nel 2002, ma apparteneva a una famiglia italiana; i genitori diEddy non erano ristoratori. Divenendo proprietario e gestore del risto-rante ha fatto di una sua passione, la cucina italiana, una professione.Dopo gli studi di economia gli è sembrato giusto unire le sue due pas-sioni. Il contatto continuo con i clienti italiani, il raccontare aneddotilegati al paese abruzzese da cui proviene, il recarsi in Italia per procu-rarsi i prodotti italiani rimangono per lui la strada migliore per sentirsilegato al paese della sua famiglia, che sente vicinissimo e di cui sente lanostalgia quando è lontano da troppo tempo.

L.B.: Come nasce il tuo rapporto con l’Italia?E.M.: Papà e mamma sono italiani e sono vissuto sempre in un ambiente

italiano, anzi italianissimo. A casa con mio padre, mia madre e mia nonna,che è sempre stata con noi e che quindi mi ha cresciuto.

L.B.: I tuoi genitori sono venuti in Olanda insieme?E.M: Sì, sono venuti qua insieme. Tutto è cominciato perché mia madre

aveva una sorella e un fratello. E lei era la più piccola. Mio zio è venuto inOlanda per primo a lavorare nelle miniere del Limburgo molti anni fa; poisi è spostato a Delft quando hanno aperto tutte le grandi fabbriche dovehanno lavorato gli altri italiani. E lui è andato a lavorare alla Kabel Fabriek.Poi è venuta anche la sorella di mia madre perché nelle zone nostre inAbruzzo c’era poco lavoro, c’erano solo le montagne, poca attività. Anchelei è venuta qui a lavorare e poi si è sposata con un signore olandese, miozio. Mia madre era rimasta da sola in Italia con mia nonna. Il nonno eramorto già tanti anni prima.

Mio padre, che veniva dallo stesso paese, andava invece sempre a lavo-rare in Germania ed andava avanti e indietro tramite un incarico a con-tratto. Mia madre aveva pensato al fatto che la sorella e il fratello vivevanogià in Olanda e si diceva che, dovendo scegliere tra lo stare da sola inGermania con mio padre e la possibilità di venire in Olanda, tanto valevavenire a vivere in Olanda! E così hanno deciso di fare e si sono spostati tuttie tre, perché si sono portati anche mia nonna. Così ci troviamo qua.

L.B.: Quanti anni avevano i tuoi genitori quando sono arrivati qui?

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E.M.: Vediamo, io ho 36 anni adesso. Sarà stato circa 40 anni fa. Nel ’63-’65. L.B.: Da dove venivano precisamente i tuoi genitori? E.M.: Dall’Abruzzo. Da un paesino in provincia di L’Aquila.L.B.: E all’inizio tuo padre dove ha lavorato? E.M.: Prima lavorava nei cantieri. Perché questa era l’esperienza che

mio padre aveva fatto in Germania. Poi è andato anche lui a lavorare in fab-brica alla Kabel Fabriek di Delft.

L.B.: E tua madre?E.M.: Mamma ha sempre lavorato anche lei. Si è dato il caso che loro

non è che fossero fortunati ma che forse si sono impegnati, come poi tuttidi quella generazione, per trovare lavoro. Perché capivano che per viverebisognava lavorare. E loro abbastanza in fretta l’hanno trovato. Mia madreha lavorato alla fabbrica farmaceutica Gipsbrokkade, una delle più grandifabbriche a livello mondiale di antibiotici e medicine. E lì ci ha lavoratotutta la vita fino a qualche anno fa.

L.B.: Mentre tuo padre?E.M..: Lui ha lavorato prima ai cantieri e poi alla Kabel Fabriek. Da lì

poi non si è mai più spostato.L.B.: Tu sei un caso singolare perché hai entrambi i genitori italiani. E.M.: È vero!L.B.: Gli uomini italiani che venivano qui molto spesso sposavano un’o-

landese. E.M.: Sì è vero, ma non ho solo i genitori italiani. Avevo anche nonna

qui, sempre con me. Non è che mi ha cresciuto solo lei, però tante cose leha fatte lei.

L.B.: Ed ora?E.M.: Ora è morta. L.B.: E come si trovava lei qui quando è arrivata?E.M.: Bene perché aveva i figli qua. Il figlio e le due figlie. Era una cosa

carina per lei. Poi era un’altra epoca; Delft era molto diversa. Si passeg-giava, si chiacchierava. Non era proprio un paese ma era più gezellig, comedire in italiano?

L.B.: Piacevole! E con la lingua come si è trovata?E.M.: No, con la lingua non si è mai trovata bene. L.B.: È sempre la parte più difficile.E.M.: Doveva sempre andare o con mamma o con papà o con uno dei

figli. Qualcuno l’accompagnava sempre. Di solito mia madre, perché abi-tava con noi. E l’accompagnava dal dottore, all’ospedale. Però dico, all’e-poca, c’erano i piccoli negozietti. Non era come ora dove ci sono i grandisupermercati che hanno dieci commesse, dove ogni volta c’è un’altra. C’era

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il piccolo kruidenier (erbivendolo), dove c’era sempre la stessa signora cheera l’eigenaresse van de winkel (la proprietaria del negozietto) e che cono-sceva nonna Diomira. Si capivano; era un rapporto molto diverso da ora.

L.B.: Peccato che la situazione sia cambiata.E.M.: All’epoca si trovava molto bene. L.B.: Quindi tu hai sempre parlato italiano in casa.E.M.: Sempre, proprio sempre. Io mi ricordo che avevo avuto un pro-

blema a imparare l’olandese. Alla Kleuterschool (scuola materna) erano leprime scuole per me, c’è voluto un attimo per imparare l’olandese. All’iniziopiangevo, piangevo. E non riuscivo proprio a esprimermi. A casa parlavo soloitaliano.

Marianna Marras

Ma anche attraverso l’amore per la musica, l’opera italiana per la preci-sione, è possibile mantenere vivo il legame con l’Italia.

Attraverso la descrizione dei racconti del padre sardo, Marianna Marrasè riuscita a conoscere e ad amare la terra sarda. È riuscita a fare del suoamore per la musica italiana la sua professione, perché oggi è musicista.

Il legame continua, ma attraverso altre forme. Attraverso il raccontodi Marianna mi è stato possibile capire meglio le difficoltà incontratedal padre nel paese straniero. Mi ha parlato molto del padre e dellamadre. Grazie ai dettagli della sua storia familiare ho capito che il pro-cesso di integrazione da parte del gruppo sardo è stato molto complessoe spesso non ha portato a una conclusione positiva. Non si è semprepotuto parlare di integrazione.

LA TERZA GENERAZIONE

Tramite le attività ricreative organizzate dall’Associazione si cerca diinsegnare ai bambini la storia del paese italiano. La cerimonia piùfesteggiata e amata è quella dell’Epifania. L’arrivo della Befana al centroè sempre accolto da grandi feste e giochi.

Ma oggi i figli della seconda generazione di italiani non si possonodefinire italiani. Sono perfettamente integrati nel sistema olandese, sisentono olandesi. Il processo di integrazione italiano, cominciato e cer-cato volutamente negli anni Cinquanta e Sessanta dai loro nonni, volge

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alla conclusione positiva. L’assimilazione della cultura del paese ospi-tante è avvenuta.

Ai loro genitori resta il compito di insegnare ai bambini la culturaitaliana, cercando di far conoscere la storia del proprio paese d’origine,insegnando loro la lingua italiana e coinvolgendoli nei viaggi in Italia.

Oggi l’Associazione non svolge lo stesso compito dell’inizio, quandoera necessaria la sua mediazione per capire il sistema olandese. Laseconda e la terza generazione non vanno al centro per passare il tempo,non cercano la piazza. Se hanno bisogno di divertirsi girano per le cittàolandesi, in compagnia di amici. Sanno dove trovare gli svaghi e le infor-mazioni che cercano.

Il futuro dell’Associazione però è in mano loro. Forse oggi non hapiù la stessa funzione di un tempo, ma a lei spetta il compito di rimanerecentro di diffusione culturale italiano. Alle terze generazioni quello dicontinuare a frequentarla durante le numerose attività organizzate.