I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane”...

42
Osservatorio Assolombarda-Bocconi Milano 81 I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI IMPRESE E DEI GRANDI GRUPPI ITALIANI Davide Ravasi e Alessandro Zattoni Introduzione Nel quinto anno di vita dell’Osservatorio si è giudicato opportuno dedicare ancora spazio allo studio dei grandi gruppi di imprese e del loro ruolo nell'economia milanese. Tale scelta si ispira alle seguenti considerazioni: - in Italia l'appartenenza ad un gruppo è la norma per tutti gli ordini di imprese (grandi e piccole, pubbliche e private, in tutti i settori); sarebbe un errore metodologico trattare tali imprese come entità economicamente indipendenti poiché i gruppi hanno logiche di comportamento e manifestazioni particolari delle quali si deve tenere conto; - i grandi gruppi di imprese hanno certamente un notevole impatto sull’economia milanese, sia per il loro peso diretto sull'occupazione e sul valore aggiunto, sia per le opportunità ed i vincoli che essi pongono allo sviluppo di altre classi di imprese. L’analisi empirica svolta nei primi tre anni ha portato ad alcune conclusioni di rilievo che possono essere riassunte nei seguenti punti: 1. i grandi gruppi sono fortemente disarticolati (giuridicamente, fisicamente ed organizzativamente) e sono dispersi geograficamente. Ne consegue che quando si osservano le grandi realtà imprenditoriali, ha sempre meno senso parlare di gruppi “milanesi”; possono essere imprese con le loro radici storiche in Milano, ma è probabile che la loro operatività sia ormai diffusa su spazi molto ampi; 2. i grandi gruppi hanno in provincia di Milano un elevato numero di dipendenti, che si concentrano particolarmente nelle aree amministrazione, vendita e, soprattutto, ricerca e sviluppo, mentre è relativamente più bassa la presenza nelle attività di produzione; un po’ paradossalmente, le imprese "più milanesi" sembrano essere le filiali italiane delle multinazionali estere, poiché hanno la massima concentrazione

Transcript of I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane”...

Page 1: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 81

I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE

GRANDI IMPRESE E DEI GRANDI GRUPPI ITALIANI

Davide Ravasi e Alessandro Zattoni

Introduzione

Nel quinto anno di vita dell’Osservatorio si è giudicato opportuno dedicare ancora

spazio allo studio dei grandi gruppi di imprese e del loro ruolo nell'economia milanese.

Tale scelta si ispira alle seguenti considerazioni:

- in Italia l'appartenenza ad un gruppo è la norma per tutti gli ordini di imprese

(grandi e piccole, pubbliche e private, in tutti i settori); sarebbe un errore

metodologico trattare tali imprese come entità economicamente indipendenti poiché

i gruppi hanno logiche di comportamento e manifestazioni particolari delle quali si

deve tenere conto;

- i grandi gruppi di imprese hanno certamente un notevole impatto sull’economia

milanese, sia per il loro peso diretto sull'occupazione e sul valore aggiunto, sia per le

opportunità ed i vincoli che essi pongono allo sviluppo di altre classi di imprese.

L’analisi empirica svolta nei primi tre anni ha portato ad alcune conclusioni di rilievo

che possono essere riassunte nei seguenti punti:

1. i grandi gruppi sono fortemente disarticolati (giuridicamente, fisicamente ed

organizzativamente) e sono dispersi geograficamente. Ne consegue che quando si

osservano le grandi realtà imprenditoriali, ha sempre meno senso parlare di gruppi

“milanesi”; possono essere imprese con le loro radici storiche in Milano, ma è

probabile che la loro operatività sia ormai diffusa su spazi molto ampi;

2. i grandi gruppi hanno in provincia di Milano un elevato numero di dipendenti, che

si concentrano particolarmente nelle aree amministrazione, vendita e, soprattutto,

ricerca e sviluppo, mentre è relativamente più bassa la presenza nelle attività di

produzione; un po’ paradossalmente, le imprese "più milanesi" sembrano essere le

filiali italiane delle multinazionali estere, poiché hanno la massima concentrazione

Page 2: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 82

delle funzioni amministrative in provincia di Milano;

3. in provincia di Milano sono maggiormente rappresentati i gruppi che operano nei

settori con più alto potenziale di sviluppo (editoria, telefonia, telecomunicazioni,

etc.) rispetto a quelli che operano nei settori più tradizionali (alimentari,

abbigliamento, arredamento, etc.);

4. il grado di "milanesità" o di "italianità" non fa differenza sostanziale nello spiegare

i livelli e le dinamiche di performance reddituale nel periodo considerato; in

ciascuno dei tipi di gruppo individuati si trovano performance positive e negative;

5. l'analisi per settore evidenzia notevoli differenze, soprattutto nella sensibilità della

redditività rispetto alla dinamica congiunturale; accanto a settori che nei periodi di

crisi accumulano perdite ingenti, si notano altri le cui performance sono state

praticamente stabili, e positive, per tutto il periodo;

6. è assolutamente chiaro che contano molto i "privilegi" conquistati dalle imprese con

l'innovazione o provenienti dalla regolamentazione pubblica; "privilegi" che, si

noti, non automaticamente si traducono in elevata redditività.

Il gruppo di ricerca lo scorso anno si è posto l'obiettivo conoscitivo di approfondire il

tema dell'assetto proprietario delle grandi imprese e dei grandi gruppi italiani, con

l'intento di fare un confronto anche con i gruppi e le imprese di altri Paesi. La scelta di

analizzare tale aspetto deriva dalla constatazione che l'assetto proprietario di una

impresa, o meglio l’assetto istituzionale di questa, è una delle principali variabili in

grado di condizionare le funzioni svolte dagli organi di governo, gli obiettivi principali

dell’impresa (espressi in termini di redditività, tasso di sviluppo, quota di mercato, etc.),

le strategie da questa perseguite e, indirettamente, i risultati ottenuti, in termini

reddituali, competitivi e sociali (Airoldi, 1998; Zattoni, Ravasi, 1998).

Negli ultimi anni il riconoscimento dell’impatto dell’assetto della proprietà e dei

meccanismi di governo sulla competitività e la performance delle imprese ha imposto

questi temi al centro del dibattito, non solo in ambito accademico. L’intensificarsi della

competizione a livello internazionale ha portato poi alcuni ricercatori a focalizzare la

loro attenzione sull’impatto che le forme di proprietà e di controllo tipiche di un

determinato Paese generano sulla competitività dei diversi sistemi economici (Porter,

1990; Chandler 1990; Airoldi, 1993; Albert, 1993; Charkham, 1994; etc.). Fino ad oggi

Page 3: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 83

gli studi sulla Corporate Governance si sono limitati a considerare un modello di assetto

istituzionale di impresa come tipico di ogni singolo Paese (nei Paesi anglosassoni la

public company, in Germania e Giappone il gruppo misto industriale e finanziario, etc.)

nell’ipotesi che questo modello sia emblematico del funzionamento della totalità delle

imprese all’interno dello stesso sistema economico. Tale lavoro è stato sicuramente

importante perché ha dimostrato che il sistema Paese (la normativa economica, la

cultura, le tradizioni, etc.) in cui operano le imprese condiziona fortemente il loro

assetto istituzionale, tuttavia non ha valutato e non ha fatto emergere la varietà di

situazioni e di tipi di imprese che operano all’interno dello stesso ambiente.

In Italia, una concomitanza di situazioni (l’accelerazione del processo di

privatizzazione, le gravi crisi finanziarie che hanno colpito alcuni gruppi privati di

grandi dimensioni, il recente intervento normativo che ha concesso agli intermediari

finanziari la possibilità di detenere partecipazioni azionarie in aziende industriali, etc.)

ha contribuito ulteriormente a spingere accademici di varie discipline - aziendalisti

(Airoldi, Amatori, Invernizzi, 1995; Molteni, 1996; etc.), giuristi (Marchetti, 1995;

Preite, Magnani, 1994; etc.) ed economisti (Prodi, 1991; Bianco, Casavola, 1996) -

uomini d’affari ed esponenti politici ad intensificare i progetti di studio sulle tematiche

del governo dell’impresa, al fine di generare proposte di cambiamento da valutare

successivamente in sede legislativa.

Presupposto indispensabile per la generazione di proposte di intervento a livello sia di

sistema Paese, sia di singola impresa, è comunque una chiara e quanto più possibile

ricca rappresentazione dell’articolazione degli assetti proprietari e delle forme di

controllo delle imprese operanti in Italia, e delle tendenze in atto.

Dopo avere descritto nello scorso rapporto le principali forme di assetto proprietario che

caratterizzano le imprese ed i grandi gruppi italiani, quest’anno il gruppo di ricerca ha

deciso di analizzare l’evoluzione di tali forme di controllo, con l’obiettivo di monitorare

i principali cambiamenti istituzionali che hanno coinvolto nel corso dell’ultimo

decennio le imprese censite nel database Assolombarda – Bocconi. In particolare

intendiamo dare una prima riposta alle seguenti domande:

- L’assetto proprietario dei grandi gruppi e delle grandi imprese italiane tende ad

essere stabile o è soggetto a frequenti cambiamenti?

Page 4: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 84

- Quali sono i principali tipi di cambiamenti istituzionali che hanno interessato le

grandi imprese italiane nel corso degli ultimi anni?

- Quali sono le principali tendenze in atto e quale cambiamento stanno imprimendo

all’assetto proprietario dei grandi gruppi del nostro Paese?

In questo lavoro si presentano le risposte emerse dall'indagine condotta nel corso del

1999.

1. Una nota metodologica

Ai fini della nostra indagine, sono state prese in considerazione le imprese o i gruppi di

imprese operanti in Italia, appartenenti a tutti i settori (escluso il credito, le assicurazioni

e i servizi finanziari), con più di 100 dipendenti e 155 milioni di euro di fatturato nel

19981. A tal fine sono state utilizzate le principali classifiche delle imprese italiane

secondo il fatturato ed il numero dei dipendenti che vengono annualmente pubblicate da

riviste economiche o enti di ricerca2. Queste classifiche sono, tuttavia, compilate

secondo criteri non sempre omogenei e coincidenti. La differenza maggiore riguarda il

trattamento dei gruppi di imprese, fenomeno ampiamente diffuso all’interno del nostro

Paese3. Anche per questa ragione capita che i dati quantitativi riportati nelle due liste

possano essere differenti. Inoltre, alcune imprese compaiono solo in uno dei due

elenchi, mentre altre sembrano sfuggire del tutto alla rilevazione di entrambi i

compilatori o compaiono con dimensioni ridotte rispetto a quelle reali. In altre parole,

nessuno dei due elenchi consente un immediato confronto fra quantità economiche

riferite a soggetti ‘omogenei’ e nessuno dei due elenchi può essere considerato

1 La scelta dei limiti minimi di inclusione è stata compiuta nel corso dell’analisi ed è naturalmentearbitraria. Il fatto che questa scelta abbia portato ad includere circa 500 imprese ci è sembrato a posterioriuna curiosa coincidenza ed un buon argomento a favore della scelta, considerato che negli Stati Uniti glistudi sugli assetti proprietari e le forme di controllo vengono spesso condotti sulle “Fortune’s 500”, leprime 500 imprese americane secondo la rivista Fortune!2 Le principali classifiche riguardanti le imprese operanti nel nostro Paese sono: “Le principali societàitaliane” (edito da Mediobanca), “Duns 20.000” (edito da Dun and Bradstreet International), “Leclassifiche delle prime società italiane” (edito da il Mondo).3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non,introducendo così evidenti duplicazioni (dovute alla contemporanea inclusione di tutte le società deigrandi gruppi), mentre “Duns 20.000” si limita a considerare le singole società, trascurando osottostimando le dimensioni di quei gruppi di imprese che, pur presentandosi giuridicamente come uninsieme di soggetti distinti, sono di fatto organizzati e gestiti come un’unica impresa.

Page 5: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 85

esaustivo. Per potere mappare più soggetti possibili, evitando comunque duplicazioni,

abbiamo quindi deciso di incrociare i dati delle differenti fonti di informazione.

Si è posto quindi il problema di selezionare i dati a disposizione secondo un criterio che

consentisse un confronto significativo fra soggetti ‘omogenei’, cercando di neutralizzare

le potenziali distorsioni legate a scelte contabili o di assetto societario. Avendo

l’obiettivo di ottenere una rappresentazione del peso e della configurazione delle

principali aziende italiane, indipendentemente dal loro assetto societario e dalle loro

procedure contabili, abbiamo deciso di costruire una nuova lista dove l’inclusione dei

soggetti, imprese o gruppi di imprese, e la determinazione dei confini e dei valori

economici dimensionali ad essi relativi sono state condotte tenendo presente tanto

l’assetto proprietario, quanto l’attività svolta da ciascuna impresa nell’ambito

dell’eventuale gruppo di appartenenza 4.

Quando, come nella maggior parte dei casi, ci siamo trovati di fronte ad un gruppo di

imprese, abbiamo seguito un criterio generale secondo il quale hanno trovato evidenza

separata le imprese che non sono controllate con quote di maggioranza assoluta dalla

capogruppo e/o svolgono attività economiche diverse e separate. In particolare questo

ha voluto dire che:

1. i grandi gruppi conglomerati che controllano attività tra loro disomogenee sono stati

eliminati in favore delle singole società operative o delle capogruppo a capo di

specifici settori;

2. in presenza di valori consolidati e non consolidati non molto dissimili e riferiti ad

una impresa capogruppo esercitante un’attività di tipo industriale, abbiamo scelto il

dato consolidato;

3. in presenza di grandi imprese multidivisionali organizzate in forma di gruppo

abbiamo considerato solo i dati riferiti alle divisioni esercitanti attività omogenee;

4. in presenza di gruppi industriali nei quali alcune attività funzionali, come ad

esempio l’attività commerciale o la ricerca, vengono svolte da società

giuridicamente distinte abbiamo considerato solo il dato consolidato riferito al

gruppo, poiché non volevamo conteggiare due volte il valore prodotto da tali società

(che probabilmente svolgono la totalità della loro attività con imprese del gruppo);

4 Le informazioni sull’assetto proprietario e sulle strutture di gruppo sono riportate in pubblicazioni come:“R&S - Ricerche e Studi”, il “Calepino dell’azionista”, “Il manuale dell’azionista”, “Datagruppi”.

Page 6: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 86

5. in presenza di gruppi italiani nei quali esiste una separazione giuridica fra le attività

nazionali e quelle estere, tipicamente gruppi che hanno acquisito in passato una

grande impresa operante in un altro Paese, abbiamo considerato il dato consolidato

riferito all’intero gruppo;

6. in presenza di gruppi costituiti da singole unità giuridicamente distinte, svolgenti

tutte la medesima combinazione economica (è questo ad esempio il caso di alcune

imprese del settore della grande distribuzione) abbiamo preso in considerazione solo

il dato consolidato;

7. hanno poi trovato evidenza separata, in ogni caso, tutte quelle società che, pur

facendo parte di un gruppo economico omogeneo, non sono controllate con quote di

maggioranza assoluta, vuoi perché quotate in Borsa, vuoi perché quote rilevanti del

capitale sono in mano a soggetti esterni al gruppo.

Utilizzando tali criteri, abbiamo ottenuto una nuova lista che segue un criterio

economico aziendale, e non giuridico - contabile, nella identificazione dei soggetti da

includere e dei relativi dati quantitativi. Siamo convinti che questa lista offra un quadro

maggiormente rappresentativo della realtà aziendale italiana, soprattutto qualora si

desideri determinare il peso di differenti categorie di imprese, individuate sulla base di

un qualsivoglia criterio (forma di controllo, settore di appartenenza, etc.), sul totale

nazionale.

E’ stato quindi costruito un archivio elettronico che associa a ciascuna di queste imprese

una serie di informazioni di carattere economico e istituzionale ricavate in parte dalle

pubblicazioni menzionate, in parte da fonti giornalistiche, in parte dagli archivi delle

camere di commercio. Avvalendoci di fonti diverse, e talora interpellando direttamente

le aziende, abbiamo quindi ricostruito l’assetto proprietario di ciascuna impresa. Ai fini

della attribuzione della forma di controllo, per ciascuna impresa abbiamo determinato

chi erano le persone e/o i soggetti giuridici che avevano il potere di nominare la

maggioranza dei membri del Consiglio di amministrazione della società al vertice del

gruppo (c.d. controllo di voto).

Page 7: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 87

2. Le forme di controllo individuate

In modo simile a precedenti studi sul tema, abbiamo definito il controllo di un’impresa

come “l’esercizio di un’influenza determinante sui suoi indirizzi strategici e sulle scelte

necessarie per attuarli” (Barca et al., 1994a, pag. 13). Per esercitare tale influenza nei

confronti di altre imprese si possono utilizzare vari strumenti; il principale è costituito

dal possesso della maggioranza delle quote di capitale di rischio dell’impresa sulla quale

si desidera imporre il proprio volere.

Tuttavia esistono molte altre possibilità per influenzare la condotta e le decisioni di

un’impresa (ovvero per esercitare il controllo su di essa). Innanzitutto se il capitale di

rischio è notevolmente frazionato fra numerosi azionisti, non occorre detenere la

maggioranza assoluta del capitale, ma solo quella relativa; talvolta anche quote molto

ridotte (dell’ordine del 10%-20% o meno) sono sufficienti. Inoltre, il controllo su di

un’impresa può essere esercitato anche tramite forme diverse dal diritto di voto

nell’assemblea degli azionisti; basti pensare all’influenza potenziale che una grande

impresa può avere nei confronti di una piccola impresa subfornitrice (c.d. controllo

contrattuale) o alla capacità di condizionare le strategie di un’azienda da parte di chi vi

apporta risorse ritenute critiche.

I dati da noi raccolti si riferiscono principalmente alla prima forma di controllo, quella

connessa al possesso di partecipazioni azionarie, tuttavia tutte le volte che è stato

possibile abbiamo integrato tali informazioni con dati di tipo qualitativo, raccolti da

fonti giornalistiche e storiche e, in alcuni casi, direttamente da persone coinvolte nella

gestione, che ci hanno consentito di misurare il grado di influenza determinato da altri

strumenti. Il momento temporale in cui abbiamo scattato la nostra istantanea è da

collocarsi alla fine del 1998, poiché i dati quantitativi (fatturato, utile, addetti) in nostro

possesso si riferiscono a tale periodo.

Di seguito si descrivono le forme di controllo a cui abbiamo deciso di attribuire

autonoma rilevanza.

FAMIGLIARE

Le imprese famigliari rappresentano la forma di controllo più diffusa non solo tra le

piccole, ma anche tra le grandi imprese italiane. Abbiamo definito come controllo

famigliare tutti quei casi in cui il controllo sia saldamente nelle mani di una singola

Page 8: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 88

persona o in quelle di più membri di una famiglia, o di più rami della stessa famiglia.

Nella maggioranza dei casi tale controllo è assicurato dalla proprietà della maggioranza

assoluta del capitale da parte di un’unica persona. In altre circostanze, nonostante il

frazionamento della proprietà, la tradizione di famiglia o l’esistenza di particolari

vincoli o accordi sociali (ad esempio la presenza di patti di sindacato di blocco o di voto

o la costituzione di ‘casseforti di famiglia’) assicurano comunque l’unità del governo.

Abbiamo poi attribuito a questa categoria anche un certo numero di aziende per le quali,

pur in assenza di una maggioranza sia pure frammentata fra più membri della famiglia,

l’esistenza di accordi formali, di intese informali e di una rete di partecipazioni

incrociate assicura di fatto il controllo ad un socio o ad una famiglia, che storicamente

ha determinato le principali decisioni riguardanti tale azienda. E’ questo il caso di molte

aziende appartenenti al “salotto buono” del capitalismo italiano. Nelle imprese

famigliari si osserva spesso una parziale sovrapposizione fra proprietà e direzione,

laddove membri della famiglia controllante rivestono incarichi di primo piano non solo

nel consiglio di amministrazione, ma anche nelle posizioni dirigenziali. La occasionale

separazione fra proprietà e gestione sembra un fatto legato principalmente alla crescita

orizzontale dell’impresa, cioè alla sua espansione in nuovi business. In questi casi, la

maggiore articolazione societaria e la complessità della gestione strategica rendono

impossibile alla famiglia proprietaria una gestione diretta dell’impresa: essa diventa

quindi una impresa ‘famigliare manageriale’ dove la proprietà e il controllo sono

sempre nelle mani di una famiglia o un imprenditore individuale, ma la direzione è

affidata ad un dirigente esterno alla famiglia che rende conto del suo operato al

consiglio di amministrazione.

MULTINAZIONALE ESTERA

Molte grandi imprese italiane sono controllate, in ultima istanza, da capitale straniero.

Naturalmente in questa categoria sono raccolte imprese i cui controllori ultimi possono

avere natura completamente differente: singole famiglie, fondi pensione, Stati esteri o

centinaia di migliaia di piccoli azionisti5. La decisione di raccogliere comunque tutte

5 Le imprese il cui controllo fa capo a soggetti esteri (imprese industriali o società finanziarie), il cuicontrollore ultimo è rappresentato da un soggetto italiano, sono state escluse da questo raggruppamento esono state classificate secondo la natura (Famigliare, Coalizione famigliare, etc.) del loro controlloreitaliano.

Page 9: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 89

queste imprese in un’unica categoria è legata alla nostra focalizzazione sul sistema

economico italiano. All’interno di questo sistema, le filiali di multinazionali estere sono

accomunate dal fatto di fare parte di più ampie organizzazioni, che solitamente

impartiscono direttive e distribuiscono risorse secondo una logica unitaria a livello

europeo, se non addirittura globale. Nella grande maggioranza dei casi le case madri

controllano la totalità del capitale delle filiali locali e i consigli di amministrazione delle

imprese controllate sono spesso organi puramente formali che vengono costituiti solo

per adempiere alla normativa; prova ne è che le linee di responsabilità manageriale

risultano non coincidere affatto con i confini legali delle varie società e che le decisioni

strategiche sono quasi sempre accentrate presso la capogruppo o la capo settore

(Leksell, Lindgren, 1982).

STATO O ENTI LOCALI

Appartengono a questa categoria tutte le imprese controllate direttamente o

indirettamente dallo Stato o da enti locali (comuni, regioni, etc.). Non rientrano in

questa categoria tutte le imprese che, pur essendo partecipate da soggetti pubblici, sono

di fatto controllate da soggetti privati. In alcuni le casi, le imprese che rientrano in

questo gruppo sono quotate e di conseguenza parte del capitale è nelle mani di piccoli

risparmiatori o di istituti di credito; la maggioranza del capitale rimane comunque

saldamente nelle mani di soggetti pubblici e le stesse logiche di gestione risentono

pesantemente di tale situazione. Alla fine del 1998, il processo di privatizzazione era già

stato avviato, tuttavia l’intervento diretto dello Stato e degli enti locali nella produzione

diretta di beni (merci o servizi) era ancora molto esteso, sia attraverso il sistema delle

partecipazioni statali, sia attraverso le numerose aziende di emanazione dei comuni. Il

peso dello Stato sull’economia italiana sembra comunque destinato a ridursi

ulteriormente con le future dismissioni. Quest’anno si è deciso, a differenza dello scorso

anno, di evidenziare separatamente le imprese controllate da enti locali da quelle

controllate direttamente dallo Stato poiché ci sembrano tipi di assetto proprietario che

hanno caratteristiche e dinamiche istituzionali differenti.

Page 10: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 90

CONSORZIO O COOPERATIVA

L’estensione del campo di indagine al di fuori dei confini della Borsa e l’allargamento a

settori non strettamente industriali ha messo in evidenza la grande diffusione della

forma consortile e cooperativa. Abbiamo quindi ritenuto opportuno dare evidenza

separata a questa forma proprietaria, considerata la peculiarità che contraddistingue non

solo la forma giuridica, ma anche le caratteristiche dell’assetto proprietario: il capitale

risulta infatti ripartito fra decine, centinaia o migliaia di piccoli azionisti, i quali hanno

solitamente relazioni di altro tipo con l’impresa (ad esempio sono clienti, fornitori o

prestatori di lavoro). Quest’anno si è deciso di evidenziare separatamente la forma del

consorzio da quella cooperativa perché tali forme proprietarie sono caratterizzate da

modelli istituzionali alquanto differenti.

COALIZIONE FAMIGLIARE

Con il termine coalizione famigliare intendiamo riferirci a quelle imprese il cui capitale

è ripartito tra persone fisiche o tra membri di più famiglie non collegate da relazioni di

parentela tra di loro (imprenditori ‘soci in affari’), nessuno dei quali controlla la

maggioranza del capitale. Abbiamo incluso in questa categoria anche alcune aziende per

le quali nonostante l’esercizio di fatto del controllo o la nomina delle cariche sociali

possano lasciar intuire una posizione dominante di uno dei soci (vuoi per il peso

relativo, vuoi per tradizione), la oggettiva ripartizione delle quote sociali rende

comunque possibile un ribaltamento dei rapporti di forza. Solitamente tutte le famiglie o

le persone che partecipano alla proprietà trovano una rappresentazione nel consiglio; in

alcuni casi, membri delle famiglie proprietarie rivestono anche un ruolo dirigenziale

all’interno dell’impresa, in altri la gestione è affidata a manager considerati ‘neutrali’.

COALIZIONE DI ISTITUTI DI CREDITO O DI INVESTITORI ISTITUZIONALI

In un certo numero di casi la proprietà del capitale è, in maggioranza o nella sua totalità,

ripartita fra più istituti di credito o è posseduta da alcuni investitori istituzionali. Tale

forma di controllo si è diffusa di recente, in seguito alla emanazione della nuova Legge

bancaria (Testo Unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia del 27 agosto 1993)

secondo la quale le banche di deposito possono partecipare, entro certi limiti, al capitale

di imprese manifatturiere. Questa opportunità ha consentito di risolvere la situazione di

Page 11: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 91

grave squilibrio finanziario in cui versavano alcune grandi imprese, permettendo la

trasformazione del capitale di debito in mano agli istituti di credito in capitale di rischio.

Si tratta probabilmente di una situazione transitoria destinata a concludersi con la

cessione dell’azienda, nella sua totalità o separatamente dopo aver scorporato le diverse

attività, o la liquidazione della stessa. Non sembrano, al momento, presentarsi in Italia

situazioni analoghe a quelle dei ‘capitalismi renani’ di Germania e Giappone, dove le

banche partecipano attivamente e in larga misura al controllo di imprese commerciali e

industriali.

JOINT VENTURE

Appartengono a questa categoria quelle aziende il cui capitale è ripartito equamente fra

due imprese o gruppi industriali. Solitamente tali operazioni sono legate alla nascita di

una nuova entità giuridica in cui i due partner fanno confluire tutte le risorse (impianti,

macchinari, brevetti, competenze ed abilità dei membri dell’organismo personale, etc.)

relative ad un determinato business con l’obiettivo di accrescere il potenziale

sfruttamento delle economie di scala e di scopo o il potere contrattuale nei confronti di

clienti e fornitori. Considerate le relazioni complesse (fornitura di materie prime e di

know-how, acquisto di prodotti finiti, etc.) che spesso legano i soggetti proprietari alla

azienda in oggetto abbiamo ritenuto opportuno dare evidenza separata a questa

categoria.

COALIZIONE MISTA

Appartengono a questa categoria quelle imprese il cui controllo è esercitato da una

coalizione di soggetti eterogenei tra di loro (manager, imprenditori, investitori

istituzionali, istituti creditizi, imprese industriali, etc.), nessuno dei quali controlla da

solo la maggioranza del capitale. Il caso più tipico, che rappresenta quanto di più simile

al modello della public company statunitense ci sia in Italia, è costituito dalla

ripartizione dell’intero capitale, o di una sua quota rilevante, nelle mani di investitori

istituzionali e di manager dell’azienda.

Page 12: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 92

PUBLIC COMPANY

Negli ultimi anni si sono diffuse anche in Italia, in seguito all’uscita da alcuni business

storici da parte di grandi gruppi controllati da famiglie o al processo di privatizzazione

intrapreso dallo Stato nei primi anni ‘90, delle forme di assetto proprietario assimilabili

al modello della Public company tipico dei Paesi anglosassoni. Tale modello prevede la

contemporanea presenza delle seguenti caratteristiche: a) una proprietà del capitale

frazionata fra un elevato numero di azionisti; b) l’assenza di un azionista che detiene

una quota significativa del capitale, tale da attribuirgli il controllo dell’impresa; c) la

possibilità che uno scalatore acquisti sul mercato una quota del capitale tale da

consentirgli di influenzare in modo determinante la volontà sociale.

3. L'analisi dell'assetto proprietario dei grandi gruppi italiani

Le grandi imprese e i grandi gruppi italiani che soddisfano i requisiti stabiliti in questo

lavoro, cioè che hanno un fatturato superiore a 155 milioni di euro ed almeno 100

dipendenti nel 1998, sono in totale 540. Le dimensioni di tali imprese, calcolate sul

fatturato o sul numero dei dipendenti, confermano che i grandi gruppi italiani si

caratterizzano per avere limitate dimensioni; infatti solo 33 gruppi hanno un fatturato

superiore a 2.000 milioni di euro e solo 11 hanno più di 20.000 dipendenti Di seguito si

forniscono alcuni dati che aiutano a capire la dimensione e la struttura del campione

analizzato.

Tabella 1: Classe dimensionale delle imprese italiane per numero di dipendenti al1998

Numero di imprese100 – 499 84

500 - 1.000 1311.001 - 2.000 1402.001 - 5.000 1115001 - 20.000 63oltre 20.000 11

Totale 540

Page 13: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 93

Tabella 2: Classe dimensionale delle imprese italiane per fatturato 1998 (valori inmilioni di euro)

Numero di imprese155 – 250 184251 – 500 176

501 – 1.000 861.001 – 2.000 61

oltre 2.000 33Totale 540

3.1 L'assetto proprietario delle grandi imprese italiane

Nei rapporti precedenti abbiamo suddiviso l'assetto proprietario delle grandi imprese e

dei grandi gruppi italiani sulla base di una semplice classificazione: gruppi italiani,

filiali di multinazionali, gruppi controllati pariteticamente da un azionista italiano ed

uno estero. Questa classificazione ci ha consentito di mettere in evidenza alcune

caratteristiche del sistema economico italiano, come ad esempio l'elevato peso delle

multinazionali estere, tuttavia non ci ha permesso di comprendere la varietà di forme di

assetto proprietario all'interno dell'universo delle imprese italiane di grandi dimensioni.

Per colmare questa lacuna lo scorso anno si è deciso di compiere un'analisi più

approfondita avente l’obiettivo di identificare i principali tipi di assetto proprietario che

caratterizzano le più grandi imprese italiane. Anche in questa edizione dell’Osservatorio

si è deciso di seguire questa opzione di metodo.

Il risultato di tale lavoro è presentato nella seguente tabella, la quale riassume le

principali informazioni raccolte in termini di numero di gruppi, fatturato totale e medio,

numero totale e medio di dipendenti per ciascuna forma di controllo individuata. Il

fatturato complessivamente prodotto dai 540 soggetti ammonta a 419.756 milioni di

euro, mentre gli addetti sono complessivamente pari a 1.981.969 unità.

Se si disaggregano i dati per tipo di assetto proprietario, si nota che:

- la forma proprietaria maggiormente diffusa è quella "famigliare", possono infatti

essere ricondotte a tale modello 211 "imprese economiche" per un fatturato

complessivo pari a 147.226 milioni di euro (circa il 35% del totale);

- sono molto diffuse le multinazionali estere, la cui presenza è peraltro assai variegata

(alcune hanno solo filiali commerciali, altre hanno stabilimenti che producono per il

mercato italiano o per quello globale, etc.) e frutto della modalità di penetrazione e

di sviluppo nel nostro Paese (acquisizione di imprese locali, creazione di una filiale

Page 14: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 94

controllata al 100%, etc.); possono ricondursi a tale modello di controllo 176

soggetti per un fatturato complessivo superiore a 108.937 milioni di euro (circa il

26% del totale);

- lo Stato svolge ancora un ruolo rilevante nel nostro sistema economico, nonostante

il processo di privatizzazione avviato nella prima metà degli anni '90; possono

ricondursi a tale modello 26 imprese per un fatturato complessivo superiore a

79.624 milioni di euro (circa il 19% del totale);

- anche nel nostro Paese si sta sviluppando, in seguito al disinvestimento di alcuni

business da parte di alcuni gruppi a controllo famigliare e al processo di

privatizzazione dello Stato, l'assetto proprietario tipico delle grandi imprese dei

Paesi anglosassoni, cioè la Public company; possono ricondursi a tale modello 13

soggetti con un fatturato complessivo pari a 28.015 milioni di euro (circa il 6% del

totale);

- altri tre tipi di assetto proprietario superano i 10.000 milioni di euro: le joint venture,

rappresentate da 13 imprese che realizzano un fatturato complessivo pari a 15.201

milioni di euro, le coalizioni famigliari, 30 imprese economiche con un fatturato

complessivo superiore a 14.243 milioni di euro, e le cooperative, 28 imprese che

producono un fatturato complessivo pari a 10.528 milioni di euro;

- seguono, con dimensioni sensibilmente inferiori, le imprese ed i gruppi controllati

da coalizioni di istituti di credito e investitori istituzionali, le coalizioni miste, gli

enti locali e i consorzi.

I dati presentati nella tabella tre evidenziano anche che, in termini di dimensioni medie

calcolate sul fatturato e sul numero di dipendenti, le imprese controllate dallo Stato, le

Public company e le Joint venture sono significativamente più grandi rispetto alle altre

forme proprietarie. Questo dato conferma che tali forme proprietarie risultano essere

particolarmente importanti quando “la grande dimensione conta”, ovvero nei settori

scale intensive o research based che richiedono prolungati e crescenti investimenti da

parte delle imprese.

Tabella 3: Suddivisione delle principali imprese italiane per forma di controllo(valori in migliaia di euro)

Forma di controllo Numeroimprese

“economiche”

Fatturatototale

Fatturatomedio

Dipendentitotali

Numeromedio di

dipendenti Famigliare 211 147.226.687 697.757 716.956 3.398

Page 15: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 95

Multinazionale estera 176 108.937.594 618.964 313.973 1.784 Stato 26 79.624.155 3.062.468 553.323 21.282 Public company 13 28.015.409 2.155.031 122.594 9.430 Joint venture 13 15.201.336 1.169.334 71.180 5.475 Coalizione famigliare 30 14.243.982 474.799 58.293 1.943 Cooperativa 28 10.528.859 376.031 51.912 1.854 Ist. di credito o inv. istituzionali 8 4.675.041 584.380 13.039 1.630 Coalizione mista 11 4.646.665 422.424 48.519 4.411 Enti locali 6 2.146.893 357.816 16.442 2.740 Consorzio 4 1.051.312 262.828 1.292 323 Non classificabili6 11 2.524.248 229.477 9.074 825 Diversi7 3 933.912 311.304 5.372 1.791 Totale 540 419.756.093 777.326 1.981.969 3.670

3.2 L’assetto proprietario delle grandi imprese con presenza significativa a Milano

Nei rapporti degli scorsi anni sono state svolte delle indagini empiriche volte a

comprendere quali fossero le grandi imprese ed i grandi gruppi “milanesi”, ovvero i

gruppi nati e sviluppatisi all’interno della provincia di Milano. Le analisi condotte ci

hanno permesso di concludere che non ha molto significato utilizzare tale criterio per

definire i grandi gruppi “milanesi” o “torinesi” perché, pur avendo le radici storiche in

una determinata città, tali gruppi governano attività che sono attualmente disperse in un

numero elevato di stabilimenti, filiali commerciali, centri amministrativi e finanziari

localizzati sia all’interno del territorio nazionale, sia all’estero. Per tale motivo si è

preferito etichettare come “milanesi” quei gruppi di imprese che hanno una rilevante

presenza all’interno della provincia di Milano, intendendo con tale espressione tutti i

gruppi che hanno almeno 500 dipendenti o più di un terzo del totale all’interno del

territorio milanese.

Per verificare la presenza di tali condizioni si è fatto ricorso ad un elevato numero di

pubblicazioni specifiche le cui informazioni sono state integrate utilizzando i dati

raccolti mediante un questionario sulla localizzazione e sulla funzione dei dipendenti. I

risultati di tali analisi hanno confermato una presenza importante (in termini

quantitativi) e qualificata (in termini di tipo di attività svolte) delle imprese e dei gruppi

di grandi dimensioni all’interno della provincia di Milano.

6 Appartengono a questa categoria tutte quelle aziende per le quali non è stato possibile identificare ilcontrollore ultimo, sia per la mancanza di dati pubblicamente disponibili, sia per il rifiuto dell’azienda afornire informazioni in merito. 7 In questa categoria residuale sono raccolte quelle forme proprietarie (come la fondazione o lapartnership) che, pur essendo state identificate, costituiscono “casi isolati” nel panorama italiano.

Page 16: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 96

Quest’anno, seguendo l’impostazione utilizzata nelle precedente edizione

dell’Osservatorio, si è deciso di misurare il peso che le varie forme di assetto

proprietario individuate ricoprono all’interno della popolazione costituita dalle imprese

che vantano una presenza significativa all’interno della provincia di Milano. I dati

presentati nella seguente tabella illustrano che:

- i grandi gruppi operanti nel nostro sistema economico tendono a mantenere una

presenza significativa all’interno della provincia di Milano, infatti un grande gruppo

su quattro soddisfa i requisiti individuati per appartenere alla categoria di gruppo

“milanese”;

- i grandi gruppi con rilevante presenza all’interno della provincia di Milano sono

dimensionalmente più grandi rispetto agli altri, essi hanno infatti una dimensione

quasi doppia calcolata sia sul fatturato (1.466 milioni di euro contro 777 milioni di

euro) sia sul numero di dipendenti (8.167 contro 3.670). Questo dato conferma che

Milano rappresenta una piazza commerciale e finanziaria di grande rilevanza per

tutti i grandi gruppi che operano all’interno del nostro Paese;

- sono fortemente concentrate in provincia di Milano le Public company, le Joint

venture ed i grandi gruppi controllati dallo Stato, che come abbiamo già detto in

precedenza hanno dimensioni medie maggiori rispetto agli altri tipi di forme

proprietarie, sono invece praticamente assenti i Consorzi e le Cooperative, che sono

forme istituzionali particolarmente diffuse all’interno di alcune regioni italiane

(come ad esempio Toscana, ed Emilia Romagna).

Tabella 4: Peso dei principali assetti proprietari fra le imprese ed i gruppi"milanesi" (valori in migliaia di euro) Forma di controllo Numero

imprese"milanesi"

Impresemilanesi /

Totale

Fatturato"milanesi"

Fatturatomilanesi /Fatturato

totale

Dipendenti"milanesi"

Dipendentimilanesi /Dipendenti

totali Stato 11 42,3% 56.430.318 70,9% 463.883 83,8% Famigliare 33 15,6% 49.793.070 33,8% 227.795 31,8% Multinazionale estera 58 33,0% 44.049.275 40,4% 161.100 51,3% Public company 6 46,2% 25.999.140 92,8% 114.996 93,8% Joint venture 6 46,2% 11.101.863 73,0% 61.091 85,8% Ist. di credito o inv. istituzionali 4 50,0% 2.598.662 55,6% 5.255 40,3% Coalizione famigliare 4 13,3% 2.574.192 18,1% 10.065 17,3% Coalizione mista 2 18,2% 2.015.919 43,4% 38.320 79,0% Enti locali 3 50,0% 1.180.506 55,0% 10.697 65,1% Cooperativa 2 7,1% 705.690 6,7% 3.055 5,9% Consorzio 0 0,0% 0 0,0% 0 0,0%

Page 17: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 97

Non classificabili 4 36,4% 901.177 35,7% 2.804 30,9% Diversi 2 66,7% 644.944 69,1% 3.517 65,5% Totale 135 25,0% 197.994.756 47,2% 1.102.578 55,6%

3.3 L’assetto proprietario dei grandi gruppi italiani

Precedenti studi (Barca et al., 1994a e 1994b) hanno ampiamente dimostrato che le

imprese italiane, specialmente quelle di grandi dimensioni, tendono ad adottare la

struttura a gruppo di imprese, ovvero controllano determinate attività economiche

attraverso più società sottoposte alla influenza determinante di una capogruppo. Il

termine “gruppo di imprese” comprende insiemi di aziende di produzione, collegate da

partecipazioni azionarie, con caratteristiche alquanto diverse tra loro in termini di:

numero di livelli tra la capogruppo e le società operative, tipo di attività svolta dalle

varie società, composizione dell’azionariato delle varie imprese, localizzazione delle

società, grado di controllo esercitato dalla capogruppo, etc.. Non è quindi facile adottare

una classificazione monodimensionale che colga tutti gli aspetti rilevanti ai fini della

analisi.

I gruppi di imprese sono strutture societarie complesse, a volte composte da centinaia o

addirittura migliaia di società, che consentono ad imprenditori e a manager di cogliere

dei benefici economici che non possono essere perseguiti tramite la creazione di altri

tipi di aggregati (impresa indivisa o rete di imprese). Tali benefici economici sono

numerosi e di differente origine; ad esempio i gruppi di imprese possono essere

strutturati per: consentire il controllo di una determinata attività economica con il

minore investimento di capitale possibile (grazie all’effetto di leva azionaria),

incentivare prestatori di lavoro che hanno sviluppato una business idea coinvolgendoli

nel capitale della società preposta allo sviluppo di tale idea imprenditoriale, limitare il

rischio che grava su certe iniziative ad alta possibilità di fallimento, cogliere i vantaggi

previsti da certe norme che forniscono incentivi alle imprese con determinate

caratteristiche (con pochi dipendenti o localizzate in certe zone geografiche), evitare le

stringenti regolamentazioni che alcune norme impongono alle imprese al di sopra di

certe dimensioni, etc. (Mosconi, Rullani, 1978; Zattoni, 1997).

Dato che l’obiettivo del presente lavoro è quello di valutare il peso di differenti forme di

controllo sul totale delle attività realizzate dalle grandi imprese in Italia, abbiamo

misurato le dimensioni medie dei gruppi che controllano le 540 imprese economiche

Page 18: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 98

evidenziate in precedenza. Per realizzare tale scopo abbiamo ricondotto ad un’unica

impresa capogruppo tutte le attività (ed i connessi fatturati e dipendenti) realizzate dalle

imprese da questa controllate. Tale operazione tende a lasciare inalterati i valori

calcolati in precedenza per le forme di controllo di coalizione (Coalizione mista,

Consorzio, Cooperative, Joint venture), poiché in tali casi non è possibile risalire la

catena di controllo a causa dell’assenza di un controllore unico. Fanno eccezione a

questa regola: a) un grande gruppo di imprese, controllato da una coalizione di istituti di

credito, che a sua volta controlla poco meno di una decina di imprese economiche; b) un

grande gruppo controllato da una coalizione famigliare che vanta alcune partecipazioni

in aziende di rilevanti dimensioni. Pur essendo una forma di controllo di coalizione, il

numero di imprese appartenenti alla categoria Public company si riduce notevolmente

(da 13 a 7) a causa della presenza di due grandi gruppi che controllano numerose

"imprese economiche" di rilevanti dimensioni. I dati relativi al fatturato ed al numero di

dipendenti riconducibili alle forme di controllo “assolute” (Famigliare, Multinazionale

estera, Stato o enti locali) vengono modificati in misura maggiore, talvolta anche in

modo rilevante8.

Come si vede nella seguente tabella, sulla base di questo nuovo criterio di aggregazione

i soggetti rilevanti diventano 482, con una diminuzione rispetto al totale di poco

inferiore all'11%. Se si considera che i 540 soggetti individuati in precedenza già

potevano rappresentare dei gruppi di imprese, nel caso in cui le differenti società

controllate dalla capogruppo fossero omogenee per settore di attività e per forma di

controllo, i dati in nostro possesso non solo confermano l’elevata presenza della

struttura a gruppo fra le grandi imprese italiane, ma mettono anche in luce l’elevato

grado di diversificazione delle attività controllate dai gruppi di maggiori dimensioni.

Ragionando per forma di controllo, si nota come rispetto alla precedente tabella il

maggiore salto dimensionale sia realizzato dai gruppi controllati da coalizioni di istituti

di credito, i quali assumono dimensioni dieci volte più grandi rispetto alla rilevazione

precedente, seguiti dai gruppi controllati dallo Stato (circa quattro volte più grandi) e

8 Il ridotto divario esistente tra il numero delle imprese economiche e dei gruppi controllati damultinazionali estere è dovuto anche alla circostanza che molte di tali imprese controllano le numerosesocietà incorporate in Italia direttamente dalla casa madre o mediante subholding localizzate in altri Paesi.Non potendo in tale caso misurare il fatturato consolidato relativo alle attività italiane, abbiamo preferitoconsiderare tutte le imprese economiche come entità distinte.

Page 19: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 99

dalle Public company (due volte più grandi) e, con incrementi molto meno rilevanti,

dalle altre forme di controllo.

Tabella 5: Suddivisione dei principali gruppi italiani per forma di controllo (valoriin migliaia di euro)

Forma di controllo Numerogruppi

Numeroimprese

“economiche”controllate

Fatturatomedio dei

gruppi

Numero mediodi dipendenti

dei gruppi

Stato 6 26 12.474.110 96.383 Ist. di credito o inv. istituzionali 2 8 6.744.529 17.340 Public company 7 13 4.497.906 22.020 Joint venture 13 13 1.169.334 5.475 Famigliare 191 211 857.438 4.403 Multinazionale estera 173 176 629.737 1.816 Coalizione famigliare 27 30 473.864 1.967 Coalizione mista 11 11 422.424 4.411 Cooperativa 28 28 376.031 1.854 Enti locali 6 6 357.816 2.740 Consorzio 4 4 262.828 323 Non classificabili 11 11 229.477 825 Diversi 3 3 311.304 1.791 Totale 482 540 917.763 4.521

3.4 L’assetto proprietario e la performance dei grandi gruppi

Dopo avere presentato le dimensioni dei grandi gruppi operanti nel nostro sistema

economico, si desidera: a) valutare il peso dei differenti assetti proprietari individuati

all'interno della popolazione di riferimento; b) dare un primo giudizio sulla performance

dei principali gruppi misurata in termini di utile netto complessivamente prodotto o di

utile netto sul fatturato.

Nella tabella 6 si presentano i dati relativi alla suddivisione del fatturato e dei dipendenti

in termini assoluti e percentuali sul totale della popolazione. L'analisi di tali dati ci

consente di esprimere alcune osservazioni di rilievo:

- i grandi gruppi controllati da singole famiglie realizzano più di un terzo del fatturato

complessivo della popolazione (37%), tale peso rimane pressoché costante (38,6%)

se si considera il numero di dipendenti che fanno capo a tali gruppi; si conferma

quindi la loro importanza in termini di principale tipo di assetto proprietario

all'interno del sistema economico del nostro Paese;

- le multinazionali estere sono la seconda forma di assetto proprietario in termini di

fatturato controllato (24,6%) e la terza in termini di numero di dipendenti (14,4%),

Page 20: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 100

tale differente peso si giustifica se si considera che molte di esse vedono il nostro

Paese come un mercato di sbocco dei loro prodotti e, di conseguenza, hanno creato

in Italia solo strutture commerciali e amministrative;

- lo Stato mantiene un ruolo rilevante in termini di fatturato (circa il 17%) e,

soprattutto, di dipendenti (più del 26%), tali dati testimoniano come i grandi gruppi

pubblici, nonostante il processo di privatizzazione di questi ultimi anni, continuino a

svolgere un ruolo importante all'interno del sistema economico italiano;

- seguono le Public company, che si sono diffuse negli ultimi anni all’interno del

nostro sistema economico e che pesano per circa il 7% del totale per quanto

concerne il fatturato ed i dipendenti;

- tutte le altre forme proprietarie non assumono dimensioni particolarmente

significative, nessuna di esse infatti supera il 3,5% del totale relativamente al

fatturato o ai dipendenti.

In sintesi da tali dati emerge che le forme di controllo "assolute", cioè quelle in cui un

singolo azionista controlla la maggioranza assoluta o relativa del capitale sociale

(Famiglia, Multinazionale estera o Stato), sono preminenti nel nostro Paese e

controllano poco meno dell'80% del fatturato e dei dipendenti complessivi dei grandi

gruppi. Le forme di coalizione, pur avendo un peso assai ridotto, sembrano essere in

forte crescita sia in termini assoluti, sia in termini percentuali; se si considera che nei

prossimi anni alcune famiglie potrebbero mettere sul mercato alcune imprese

economiche che controllano attualmente e che lo Stato dovrebbe continuare il processo

di privatizzazione che ha intrapreso all’inizio degli anni ‘90, si può ipotizzare un

ulteriore sviluppo quantitativo di tali assetti di coalizione.

Tabella 6: Suddivisione dei grandi gruppi italiani per forma di controllo (valori inmigliaia di euro)

Forma di controllo Numerogruppi

Fatturatototale

% sultotale

Dipendentitotali

% sultotale

Famigliare 191 163.770.672 37,0% 840.967 38,6% Multinazionale estera 173 108.944.520 24,6% 314.134 14,4% Stato 6 74.844.659 16,9% 578.300 26,5% Public company 7 31.485.343 7,1% 154.143 7,1% Joint venture 13 15.201.336 3,4% 71.180 3,3% Ist. di credito o inv. istituzionali 2 13.489.057 3,0% 34.680 1,6% Coalizione famigliare 27 12.794.325 2,9% 53.115 2,4% Cooperativa 28 10.528.859 2,4% 51.912 2,4% Coalizione mista 11 4.646.665 1,1% 48.519 2,2%

Page 21: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 101

Enti locali 6 2.146.893 0,5% 16.442 0,8% Consorzio 4 1.051.312 0,2% 1.292 0,1% Non classificabili 11 2.524.248 0,6% 9.074 0,4% Diversi 3 933.912 0,2% 5.372 0,2% Totale 482 442.361.801 100,0% 2.179.130 100,0%

Nella tabella 7, si presentano i dati relativi alla distribuzione dell'utile netto, in valori

assoluti e in percentuali sul totale del campione, e dell’utile netto sul fatturato9. L'analisi

dei dati presentati ci induce alle seguenti riflessioni:

- le imprese famigliari producono circa un terzo dell'utile netto complessivo della

popolazione, esse quindi non solo ricoprono un ruolo rilevante in termini di peso

dimensionale (calcolato sui dipendenti e sul fatturato) ma anche in termini di

ricchezza prodotta;

- i grandi gruppi controllati dallo Stato producono complessivamente poco meno di

un quarto degli utili complessivi e sono il secondo tipo di assetto proprietario per

contributo alla ricchezza totale generata dai grandi gruppi;

- le Public company sono il terzo tipo di assetto proprietario per quantità di utili

prodotti (superiori al 21% degli utili complessivi), inoltre se si valuta che tali

imprese hanno un basso peso in termini di dipendenti e fatturato sul totale questo

risultato è ancora più significativo;

- le multinazionali estere sono il quarto tipo di assetto proprietario in termini di utili

prodotti sul totale (per un valore superiore al 15%);

- appare poco significativo, se rapportato al totale del campione, il contributo alla

ricchezza complessiva apportato dagli altri tipi di assetto proprietario individuati (il

cui peso è complessivamente inferiore all’8%).

Se si considera, invece dei valori percentuali sul totale del campione, l'utile netto in

percentuale sul fatturato, si nota che:

- i gruppi controllati da enti locali (con un valore pari all’11,7%) e le Public company

(con un valore pari a 11,4%) rappresentano i due tipi di assetto proprietario con le

migliori performance reddituali;

9 In questa sede si è preferito fornire un dato puntuale della redditività dei grandi gruppi, piuttosto cheseguirne l'evoluzione nel corso del tempo, poiché i numerosi cambiamenti proprietari di questi ultimi anniavrebbero inficiato analisi di tipo evolutivo. Il rapporto tra l’utile netto ed il fatturato è calcolatoconsiderando solo i gruppi di imprese per i quali si dispone di entrambi i valori.

Page 22: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 102

- hanno performance reddituali superiori alla media le imprese controllate dallo Stato

(5,1%), le coalizioni miste (4,2%) e i gruppi controllati da coalizioni di istituti di

credito (4,1%);

- risultano avere risultati poco brillanti le multinazionali estere (2,4%), le coalizioni

famigliari (1,7%) e le cooperative (0,6%);

- presentano risultati mediamente negativi i consorzi e le joint venture.

In sintesi, tali dati confermano: il forte peso ricoperto dai grandi gruppi controllati da

famiglie nella generazione della ricchezza complessivamente prodotta dal sistema

economico italiano; l'emergere di grandi Public company e di grandi gruppi controllati

da istituti finanziari con grande potenziale di crescita e di redditività; uno Stato

imprenditore che complessivamente genera una larga parte della ricchezza complessiva;

i consorzi e le joint venture che producono risultati piuttosto deludenti.

Tabella 7: Performance reddituale dei grandi gruppi italiani (valori in migliaia dieuro)

Forma di controllo Numerogruppi

Utile nettototale

% sultotale

Fatturatototale

% sultotale

Utile netto/Fatturato

Famigliare 191 5.368.352 32,1% 163.770.672 37,0% 3,3% Stato 6 3.854.180 23,1% 74.844.659 16,9% 5,1% Public company 7 3.598.328 21,5% 31.485.343 7,1% 11,4% Multinazionale estera 173 2.571.899 15,4% 108.944.520 24,6% 2,4% Ist. di credito o inv. istituzionali 2 550.081 3,3% 13.489.057 3,0% 4,1% Enti locali 6 251.117 1,5% 2.146.893 0,5% 11,7% Coalizione famigliare 27 218.614 1,3% 12.794.325 2,9% 1,7% Coalizione mista 11 197.088 1,2% 4.646.665 1,1% 4,2% Cooperativa 28 67.785 0,4% 10.528.859 2,4% 0,6% Consorzio 4 -1.691 0,0% 1.051.312 0,2% -0,2% Joint venture 13 -59.469 -0,4% 15.201.336 3,4% -0,4% Non classificabili 11 57.227 0,3% 2.524.248 0,6% 2,3% Diversi 3 41.755 0,2% 933.912 0,2% 4,5% Totale 482 16.715.266 100,0% 442.361.801 100,0% 3,8%

4. I cambiamenti istituzionali nelle grandi imprese italiane

Se confrontiamo la classifica delle principali imprese italiane all’inizio del 1999 con la

stessa graduatoria stilata dieci anni prima, il primo elemento che colpisce la nostra

attenzione è il gran numero di imprese che, nell’arco relativamente breve di dieci anni,

sono scomparse. Qualcuna è fallita o è stata liquidata. Altri gruppi (Cameli, Belleli,

Partecipazioni, ad es.) sono stati smembrati e i loro pezzi si trovano ora dispersi in

Page 23: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 103

alcuni gruppi o hanno dato vita ad attività industriali autonome. Diverse imprese sono

andate incontro a fusioni o incorporazioni nell’ambito di più ampie riconfigurazioni

dell’assetto societario di grandi gruppi a partecipazione statale (Eni e Iri) o a controllo

famigliare (Fiat, Ferruzzi-Compart). Molte altre hanno semplicemente cambiato nome,

ma spesso questo cambiamento si è accompagnato a cambiamenti sostanziali

nell’attività dell’impresa e nella natura del suo assetto proprietario e di controllo.

L’approfondimento di quest’anno è, come si è già detto, dedicato ai cambiamenti

occorsi nell’arco degli ultimi dieci anni nell’assetto istituzionale delle grandi imprese e

dei grandi gruppi italiani censiti dal nostro data base. L’analisi che abbiamo condotto si

è posta due obiettivi:

- ottenere una descrizione e, per quanto possibile, una quantificazione dei principali

cambiamenti che hanno interessato il mondo delle grandi imprese in Italia negli anni

’90;

- valutare l’impatto che questi cambiamenti hanno avuto su alcuni indicatori dei

risultati economici, competitivi e sociali delle grandi imprese (redditività, fatturato e

numero di dipendenti).

Prima di procedere con la presentazione dei risultati del nostro studio, ci sembra

comunque opportuno fare alcune premesse. Innanzitutto, la nostra analisi si è

concentrata su quelle che possiamo definire come vere e proprie discontinuità negli

assetti istituzionali – d’ora in avanti, discontinuità istituzionali. L’assetto istituzionale

delle imprese, infatti, è spesso soggetto a cambiamenti di portata minore che non

alterano, di fatto, gli equilibri tra i soggetti che governano l’impresa: scambi di quote

azionarie di dimensioni minime, piccole modifiche statutarie, aggiustamenti ai patti di

sindacato, etc. Parliamo di discontinuità istituzionali, invece, quando osserviamo eventi,

talora frutto di scelte precise, che: (a) vedono un mutamento rilevante nei soggetti che

esercitano un’influenza sui comportamenti dell’impresa; (b) comportano una radicale

ridefinizione dei rapporti, formali e informali, tra gli stessi; (c) si realizzano in un breve

lasso di tempo (vedi tabella 8).

Tabella 8: Esempi di cambiamenti e discontinuità istituzionali. CAMBIAMENTO DISCONTINUITÀ

Assetto proprietario Ingresso di un nuovo socio con quotanon rilevante

Cessione / acquisizione dell’impresa

Quotazione in Borsa

Page 24: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 104

Strutture di governo Modifiche minori alle norme statutarieche regolano il funzionamento degliorgani decisionali

Istituzione di forme di co-determinazione

Modifiche radicali alle norme statutarie cheregolano il funzionamento degli organi digoverno (meccanismi di elezione deiconsiglieri, diritti delle minoranze, etc.)

Cambiamento di forma giuridica

Meccanismi dirimunerazione

Cambiamenti nelle politicheretributive, di assegnazione deidividendi, ecc.

Istituzione di forme di stock-option ,gainsharing , ecc.

Cambiamento di forma giuridica

Stando a questa definizione, l’insieme delle discontinuità istituzionali rimane comunque

piuttosto ampio e contiene eventi decisamente eterogenei fra loro. Anche per questa

ragione, censire tutte le discontinuità istituzionali verificatesi in un determinato lasso di

tempo in un determinato paese non è una cosa semplice. Non tutte le discontinuità,

infatti, sono facilmente rilevabili. In alcuni casi la difficoltà è minima: informazioni sui

cambiamenti nell’assetto proprietario, ad esempio, soprattutto per le imprese di grandi

dimensioni o per le imprese quotate, sono disponibili all’interno di pubblicazioni

periodiche o dei rapporti dell’autorità di controllo sulla borsa. In altri casi, come ad

esempio cambiamenti negli assetti proprietari o nei meccanismi di Corporate

governance di imprese di dimensioni medie o piccole, s’impone una approfondita

ricostruzione della storia dell’azienda; studi a livello di sistema economico sono

disponibili solo per via campionaria. Non esistono poi censimenti specifici per

operazioni come l’ingresso dei dipendenti con quote rilevanti nel capitale dell’impresa

(ad es. Meridiana e Alitalia) o le scalate ostili (vedi i casi recenti di Gucci e Telecom

Italia), che rappresentano delle sostanziali novità nel panorama italiano. Le informazioni

disponibili sulle discontinuità istituzionali in Italia riguardano in maggioranza i

cambiamenti avvenuti a livello di assetto proprietario: passaggi di proprietà e quotazioni

in primis. Anche per questa ragione, abbiamo quindi deciso di concentrarci sulle

discontinuità che hanno investito l’assetto proprietario delle grandi imprese italiane nel

decennio che va dal 1989 – anno di partenza dei dati raccolti dal data base

dell’Osservatorio – al 199810.

10 Data l’assenza dei dati di bilancio relativi al 1999, siamo stati costretti a lasciare fuori dall’analisiimportanti operazioni come la scalata a Telecom Italia da parte della cordata guidata da RobertoColaninno e le operazioni che hanno interessato altre imprese del nostro campione, piccole (Buffetti,Redaelli Tecna, etc.) e grandi (Enel, Snia, etc.).

Page 25: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 105

Nei prossimi paragrafi presenteremo prima, per ragioni di completezza, alcuni dati

raccolti da altre fonti che riguardano in generale il fenomeno delle discontinuità

istituzionali nel nostro Paese, per poi concentrarci sull’analisi dei cambiamenti che

hanno riguardato le imprese censite dall’Osservatorio.

4.1 Le discontinuità istituzionali in Italia: un quadro generale

In questo paragrafo sono riportati alcuni dati sulle tendenze recenti nel fenomeno delle

discontinuità istituzionali nel nostro Paese. Come abbiamo già detto, i dati disponibili

fanno riferimento quasi esclusivamente a discontinuità negli assetti proprietari, dal

momento che non sono disponibili studi relativi ad altre forme di discontinuità. La

conduzione di studi di questo tipo esula peraltro dagli obiettivi di questa ricerca. I dati

riportati sono ricavati dalla pubblicazione “Acquisizioni, fusioni e concorrenza”, che

riporta studi condotti su una banca dati che copre il periodo 1983-1998 e contiene dati

relativi a passaggi di quote di capitale sociale, fusioni fra imprese e acquisti di unità

operative, marchi e stabilimenti. La banca dati è stata costruita e viene continuamente

aggiornata dal Laboratorio di Politica Industriale di Nomisma avvalendosi di fonti

diverse11. Le tabelle sottostanti sono in parte ricavate direttamente e in parte frutto di

elaborazioni a partire dai dati Nomisma. I dati riportati fanno riferimento ad

acquisizioni e fusioni (è disponibile anche il dato relativo alle acquisizioni intragruppo,

espressione di operazioni di riassetto societario), privatizzazioni o acquisizioni da parte

dello stato, LBO e MBO (manca il dato relativo agli ultimi anni); sono poi disponibili

dati relativi a quotazioni e uscite di borsa, ricavati dai bollettini Consob.

L’analisi dei dati presentati ci consente di fare alcune riflessioni di rilievo:

- nei primi anni ’90 tali operazioni aumentano di numero rispetto al decennio

precedente ed assumono una dimensione piuttosto elevata;

- per quanto concerne le acquisizioni e le fusioni si nota che esse tendono ad

aumentare dal 1983 al 1990 e poi, dopo avere toccato un picco con 2.121 operazioni

concluse, si riducono gradualmente, pur assestandosi su valori più elevati rispetto a

quelli di partenza;

11 Fonti giornalistiche italiane (Il Sole 24 ore, Italia Oggi, Il Mondo, Mondo Economico, MilanoFinanza), riviste estere (Mergers & Acquisitions, Financial Times Mergers and Acquisitions, riviste

Page 26: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 106

- anche le operazioni di Management buy-out (MBO) e Leveraged buy-out (LBO)

seguono un andamento simile: sono praticamente assenti fino al 1989, hanno una

improvvisa e rapida diffusione nel biennio 1989-1990 (con un picco di 26

operazioni concluse) per poi assestarsi su livelli più bassi;

- i passaggi di controllo dal pubblico al privato (o viceversa) possono essere divisi in

due periodi distinti: nel primo (che va dal 1983 al 1992) prevalgono le acquisizioni

statali su quelle private, nel secondo (che va dal 1993 al 1997) prevalgono le

privatizzazioni.

In sintesi, i dati forniti indicano che i cambiamenti istituzionali che coinvolgono

l’assetto proprietario dei grandi gruppi italiani assumono grande rilievo nel corso degli

anni’90, di conseguenza sarà interessante analizzare quali cambiamenti hanno coinvolto

le grandi imprese ed i grandi gruppi censiti dal database dell’Osservatorio.

Tabella 9: Acquisizioni e fusioni in Italia negli ultimi 15 anni.

Acquisizioni e fusioni Acquisizione del controllo daparte di manager

Passaggi di controllo dalpubblico al privato (e

viceversa) Intragruppo Non

intragruppo Mbo Lbo Acquisizioni

da parte diimprese

pubbliche

Privatizzazioni

1983 87 184 0 0 14 3 1984 125 303 0 0 8 5 1985 149 434 1 0 18 12 1986 186 486 0 0 14 15 1987 392 951 0 0 34 16 1988 381 957 0 0 22 12 1989 520 1460 2 7 38 30 1990 657 1464 15 11 43 25 1991 606 1221 10 3 48 33 1992 647 924 5 5 50 40 1993 487 908 10 0 30 37 1994 455 958 10 0 45 70 1995 310 836 n.d. n.d. 30 56

1996 n.d. n.d. n.d. n.d. 19 39

1997 n.d. n.d. n.d. n.d. 15 42

Fonte: Nomisma: Acquisizioni, Fusioni e Concorrenza, vari numeri

specializzate di settore), dati di bilancio di alcune imprese tratti dalle relazioni annuali o da Ricerche &Studi (Mediobanca), dati raccolti da alcune società finanziarie italiane.

Page 27: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 107

4.2 Discontinuità istituzionali nelle grandi imprese italiane

L’osservazione dei dati raccolti da Nomisma conferma, pur in assenza dei dati relativi

agli ultimi anni, l’elevata frequenza di eventi che modificano l’assetto istituzionale delle

imprese. In particolare, i dati indicano l’intensificarsi di operazioni quali

privatizzazioni, quotazioni in borsa e management-buy-out che stanno contribuendo a

trasformare il capitalismo italiano da un modello in cui gli attori dominanti sono lo

Stato e poche grandi famiglie, ad un modello in cui istituti di credito e investitori

istituzionali da un lato e dirigenti professionisti dall’altro stanno assumendo un peso

sempre crescente, e dove il trasferimento della proprietà e del controllo delle imprese

segue logiche di efficienza e di mercato.

Il livello di aggregazione dei dati di Nomisma, tuttavia, non consente di distinguere

l’entità delle diverse operazioni e le dimensioni delle imprese interessate e, soprattutto,

non considera, nel conteggio, la dimensione di gruppo. Volendo indagare le

discontinuità istituzionali di cui sono stati oggetto i grandi gruppi di imprese italiani,

abbiamo dovuto ricostruire, per ciascun gruppo presente nell’archivio, l’evoluzione

dell’assetto proprietario e di controllo dal 1989 in avanti. Diversamente da Nomisma,

abbiamo assunto il gruppo, o l’impresa, e non la singola operazione come punto di

riferimento: nel computo delle discontinuità abbiamo quindi compreso quelle operazioni

di cui l’impresa sia stata “oggetto” (es. cessione dell’Ilva dallo Stato al gruppo Riva) e

non “soggetto” (acquisizione da parte di Finmeccanica, della Hartmann and Braun). In

altre parole, abbiamo analizzato cambiamenti nell’assetto proprietario e non in quello

societario dei grandi gruppi di imprese.

Nel complesso, su un totale di 673 imprese o gruppi che hanno fatto parte del nostro

campione in questi anni, abbiamo osservato un totale di 182 modifiche rilevanti

dell’assetto proprietario 12. Le discontinuità osservate possono essere ricondotte ad un

numero ristretto di categorie riportate nella tabella 11.

12 E’ importante notare che: a) qualora l’operazione abbia interessato un gruppo industriale (es. Telecom,Eni o Ferruzzi/Compart), abbiamo considerato esclusivamente la capogruppo; b) qualora l’operazione siaavvenuta gradualmente (es. privatizzazione in due riprese della Ilte o incremento progressivo della quotaDanone in Egidio Galbani) si è considerato solo l’esito definitivo dell’operazione; c) alcune imprese sonoandate incontro a più di una discontinuità nel periodo considerato (es. Esaote è stata privatizzata, quotatae successivamente acquisita dal gruppo Bracco). Considerata l’impossibilità di ricostruire completamentela storia di ogni impresa, bisogna comunque considerare questo valore come una approssimazione perdifetto.

Page 28: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 108

Tabella 10: Le discontinuità istituzionali nelle grandi imprese italiane censitedall’archivio Assolombarda-Bocconi, 1989-1998

Tipo di operazione Numero Passaggio di proprietà e controllo 89 Incorporazione / fusione / scissione 38 Quotazione 22 Ingresso o uscita di un partner industriale o finanziario 15 Ristrutturazione 9 Revoca dalla quotazione 7 Altro (riordino quote famigliari, ingresso dipendenti, etc.) 3

Il tipo di discontinuità più frequente tra quelle osservate riguarda il passaggio di un

pacchetto azionario che sposta il controllo di un’impresa o di un gruppo. Nell’arco di

dieci anni, quasi un settimo dei gruppi censiti ha cambiato proprietà (88 su 673), alcuni

(come Esaote, Savio o Buffetti) più di una volta. Il numero non tiene conto dei numerosi

riassetti che hanno interessato società come Air Europe e Alpitour, ma che non ne

hanno alterato, almeno nel breve termine, la composizione della coalizione di controllo.

In alcuni casi, la cessione è avvenuta in più riprese, ma nella maggior parte dei casi il

trasferimento ha interessato il pacchetto di controllo in un’unica soluzione. Casi

particolari sono quelli in cui il controllo è stato indirettamente trasferito “al mercato”

attraverso la cessione o la quotazione della maggioranza del capitale dell’impresa,

rendendola di fatto una public company, suscettibile di scalate. La tabella seguente

illustra la scomposizione dei trasferimenti osservati, mettendo in evidenza la natura del

cedente e dell’acquirente. Come si evince dalla tabella, tra le operazioni che hanno

maggiormente contraddistinto l’ultimo decennio troviamo le seguenti:

• Il graduale smantellamento del sistema delle partecipazioni statali e la liquidazione

dell’Efim ha visto la cessione da parte dello Stato di imprese di diverse dimensioni a

soggetti rappresentati prevalentemente da imprenditori privati italiani (11 casi),

multinazionali estere (5), o coalizioni che vedevano la partecipazione di entrambi

(9). In alcuni casi, come Acciai Speciali Terni o SIV, la proprietà è in seguito

passata interamente al partner estero. Per alcune piccole imprese (Esaote, Capolo e

VM Motori) si è scelta la via del Management-Buy-Out (MBO) assistito da

investitori istituzionali. Solo in un caso, Telecom, la destinazione dell’impresa è

stata il mercato.

Page 29: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 109

• Le multinazionali estere non si sono limitate ad acquistare dallo Stato (5 casi), ma

hanno anche e soprattutto rilevato numerose imprese da privati (27). In alcuni casi,

gli acquirenti figuravano già come partner industriali o commerciali nell’azionariato

e hanno progressivamente elevato la propria quota al 50 per cento. In altri, i gruppi

esteri hanno rilevato imprese in crisi, talvolta dallo Stato talvolta da imprenditori

privati. L’acquisizione del controllo di imprese quotate ha spesso portato alla

successiva OPA residuale e quindi alla revoca della quotazione. Più raramente

abbiamo osservato il passaggio inverso, da un soggetto estero ad uno italiano.

• Alcune imprese di medie dimensioni (9) hanno visto la proprietà passare nelle mani

di investitori istituzionali, talvolta come esito di una crisi, altre volte nell’ambito di

operazioni di MBO, altre ancora, più raramente, come via prescelta per la

privatizzazione. Nella quasi totalità dei casi, la destinazione finale dell’impresa è

stata la quotazione, se non addirittura la cessione sul mercato dell’intero pacchetto

di controllo.

• In un discreto numero di casi (14), infine, il controllo della società è passato da un

soggetto unico ad una coalizione: a volte ad una cordata di imprenditori, a volte ad

una coalizione fra una multinazionale estera e una o più imprese italiane, a volte ai

dirigenti della società appoggiati da investitori esterni.

Tabella 11: I passaggi di proprietà: natura dei cedenti e degli acquirentiA

DAStato Privato

(individ.)Multinaz.

esteraInvestitori

istituzionaliCoalizione Mercato Totale

Stato 3 11 5 1 9 1 30

Privato (individ.) 9 17 6 4 1 27

Multinaz. estera 2 1 3

Inv. istituzionali 2 2 4

Coalizione 1 2 8 1 1 13

Mercato 2 2

Totale 4 26 33 7 14 5 88

Talvolta, a seguito della cessione, l’impresa acquisita è stata incorporata nell’acquirente.

Complessivamente, ben 32 imprese o gruppi sono scomparsi solo negli ultimi cinque

anni dopo essere stati incorporati nella controllante. La maggior parte di queste

operazioni è avvenuta nell’ambito di programmi di razionalizzazione dell’assetto

societario dei gruppi IFI/Fiat (7), Finmeccanica (4), Telecom (4) e Enichem (3). Altre 4

Page 30: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 110

imprese sono andate incontro a scorpori e successivamente messe in liquidazione. La

logica di fondo, così come nel caso di gran parte delle incorporazioni, sembra essere

quella di realizzare una migliore corrispondenza fra l’articolazione delle diverse linee di

business del gruppo e del suo assetto societario.

In 22 casi, poi, il capitale dell’impresa è stato aperto al mercato borsistico. Nel caso di

imprese pubbliche come Eni, Amga o Aem, si è trattato di un’alternativa (o un preludio)

alla completa privatizzazione per stimolare un recupero di efficienza sottoponendo la

società alla disciplina del mercato. Nel caso di imprese controllate da investitori

istituzionali si è trattato di un passaggio naturale che permette all’investitore stesso,

merchant bank o fondo chiuso, di smobilizzare e recuperare il proprio investimento

realizzando le plusvalenze maturate. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si è trattato

di imprese familiari di piccole, medie e grandi dimensioni che hanno cercato nella

quotazione un sostegno allo sviluppo e un rafforzamento della propria struttura

manageriale. In alternativa al ricorso alla quotazione, altre imprese si sono rivolte a

partner industriali o finanziari, che sono entrati con quote “di peso” nell’azionariato. In

5 casi su 7, tra quelli osservati, il socio industriale ha successivamente acquistato la

maggioranza o la totalità del capitale.

Nove gruppi tra quelli censiti, infine, hanno conosciuto un grave dissesto finanziario e

sono stati oggetto di una operazione di ristrutturazione, nella quale sono stati sottoposti

ad amministrazione controllata o hanno visto addirittura l’ingresso delle banche

creditrici nel capitale. Nella metà dei casi, il periodo di ristrutturazione ha rappresentato

un passaggio verso un nuovo equilibrio, in cui, una volta risanato, il gruppo è passato

sotto il controllo di nuovi soggetti che ne garantissero una gestione più efficiente.

Nell’altra metà, l’esito della crisi è stata la liquidazione della società, dopo avere,

quando possibile (vedi il caso Belleli), scorporato e cercato acquirenti per i rami

aziendali ancora competitivi.

Complessivamente l’impressione che si ricava dal quadro ottenuto è la seguente:

1. I cambiamenti istituzionali ai quali stanno andando incontro le grandi imprese

italiane mettono in evidenza un ruolo crescente del mercato, dei suoi operatori e

delle sue logiche nella riallocazione della proprietà delle imprese e nell’esercizio

del governo sulle stesse. La crescita del peso degli investitori istituzionali

Page 31: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 111

nell’azionariato delle imprese e, parallelamente, di quello dei dirigenti nel governo

delle stesse sta contribuendo alla modernizzazione del capitalismo italiano.

2. D’altra parte, la ristrettezza del mercato italiano fa sì che il peso delle famiglie e

degli imprenditori individuali sia ancora molto forte. In questo senso, cambiano i

nomi ma non le logiche di fondo, che vedono ancora molte imprese finire

nell’orbita di gruppi finanziari famigliari con grosse disponibilità liquide: se un

tempo giocavano un ruolo di primo piano nel sistema finanziario ed industriale

italiano i Gardini, i Varasi, i Bonomi e gli Agnelli, ora i protagonisti si chiamano

Benetton, Valetto, Seragnoli, Colaninno e, naturalmente, ancora Agnelli.

3. Inoltre, le imprese italiane, anche quando diventano società ad azionariato diffuso,

non lo rimangono a lungo: in media non più di un anno o due. Indipendentemente

dalle dimensioni, infatti, imprese che collocano in Borsa la maggioranza assoluta

del capitale vengono presto scalate o sottoposte a offerte pubbliche d’acquisto,

come dimostrano i casi di Telecom, Olivetti e Gucci, da un lato, e Esaote,

Castelgarden, Buffetti e, fuori dal nostro archivio, Stayer dall’altro.

4. Si osserva una tendenza alla semplificazione negli assetti proprietari delle imprese.

Il destino di gran parte delle coalizioni, nate spesso per rilevare imprese pubbliche o

avviare nuove attività imprenditoriali, è quello di andare incontro ad una graduale

concentrazione del controllo nelle mani di un socio, solitamente quello

maggiormente interessato all’integrazione della società con altre attività di sua

proprietà.

4.3 Discontinuità istituzionali e performance aziendali

L’analisi degli effetti delle discontinuità istituzionali si è concentrata su tre operazioni

fondamentali che, come abbiamo appena visto, hanno caratterizzato il mondo delle

grandi imprese italiane negli anni ‘90: le privatizzazioni, le quotazioni in borsa e le

acquisizioni di imprese italiane da parte di multinazionali estere. Per altre operazioni,

come ad esempio gli MBO assistiti dall’ingresso di investitori istituzionali nel capitale,

o le trasformazioni di imprese da private a pubbliche con la progressiva diluizione del

capitale di comando, o ancora il passaggio di proprietà dall’estero all’Italia di imprese o

rami di imprese, il numero delle operazioni è troppo ristretto o le operazioni stesse sono

Page 32: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 112

troppo recenti per potere effettuare alcuna considerazione di ordine generale. In altri

casi, come le incorporazioni o gli smembramenti di gruppi in crisi, l’assenza di dati o la

non confrontabilità di quelli disponibili impedisce di effettuare comparazioni

significative.

Per i tre tipi di discontinuità più diffusi nel periodo considerato, la base dati contenuta

nell’archivio ci ha permesso di effettuare una prima valutazione delle conseguenze sui

risultati dell’azienda, dal punto di vista reddituale, competitivo e sociale. Seguendo la

teoria economico aziendale, abbiamo adottato come indicatore di competitività la

crescita (o la riduzione) del fatturato - cercando di distinguere, dove possibile, crescita

organica da crescita mediante acquisizioni; l’indicatore di redditività utilizzato è il

rapporto tra reddito netto e fatturato (una sorta di redditività delle vendite); infine, i

risultati sociali dell’impresa sono stati valutati in prima approssimazione osservando la

variazione nel numero dei dipendenti. Naturalmente, il numero ridotto dei casi per cui

erano disponibili dati completi su un arco sufficientemente ampio di tempo e le

importanti differenze tra le imprese osservate (in termini di settore, dimensioni, etc.)

hanno reso impossibile - o comunque poco significativa - un’analisi quantitativa di tipo

statistico. Ciononostante, un’analisi di tipo qualitativo ha comunque messo in evidenza

alcuni fenomeni interessanti che verranno presentati nelle prossime tre sezioni aventi

per oggetto: a) le privatizzazioni; b) le quotazioni in borsa; c) l'acquisizione del

controllo da parte delle multinazionali estere.

a) Le privatizzazioni

La convinzione comune riguardo alle operazioni di privatizzazione è che il passaggio di

proprietà dal pubblico (Stato o enti locali) al privato dovrebbe aumentare l’efficienza

della gestione e offrire maggiori stimoli alla crescita. D’altra parte, il venir meno negli

interessi del proprietario del sostegno all’occupazione dovrebbe portare ad una

riduzione del numero dei dipendenti, sia attraverso la sostituzione di forza lavoro con

macchinari e sistemi automatizzati, sia attraverso una più rapida riduzione del personale

in eccesso rispetto alle esigenze di gestione.

Per ventitré delle ventisette operazioni di privatizzazione censite dal nostro archivio,

erano disponibili dati sufficienti a valutare le conseguenze del cambiamento. I risultati

confermano solo in parte le previsioni. Innanzitutto, il passaggio del controllo dal

Page 33: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 113

pubblico al privato non necessariamente penalizza l’occupazione. L’impatto della

privatizzazione sui livelli occupazionali sembra essere in prima battuta influenzato dal

settore di attività e può anche essere positivo. Se è vero che in settori come la siderurgia

e la metallurgia, l’edilizia e la chimica, la privatizzazione si accompagna ad una

razionalizzazione della produzione che implica necessariamente un ridimensionamento

della forza lavoro, in altri settori come l’alimentare, la ristorazione, la meccanica e

l’elettronica, la privatizzazione sembra dare impulso ad una crescita del fatturato della

quale beneficia anche l’occupazione. In queste imprese, probabilmente, la proprietà

statale non rappresentava tanto un onere in termini di dipendenti in eccesso e

lavorazioni obsolete, quanto un’assenza di stimoli forti alla competitività. Stimoli che le

imprese ritrovano una volta che il passaggio di proprietà contribuisce a creare un

contesto che valorizza le risorse manageriali e le competenze tecnologiche e

commerciali presenti in azienda. Anche per quel che riguarda la redditività, poi, le

nostre osservazioni sembrano sfatare la credenza comune secondo la quale il passaggio

alla proprietà privata sia sufficiente a rilanciare la redditività dell’impresa: in ben 8 casi

su 23, a distanza di almeno due anni dalla privatizzazione, non si è assistito ancora ad

un recupero di redditività o la stessa è ancora sugli stessi livelli precedenti. In diversi

casi, la crescita della redditività è associata alla riduzione degli organici, ma non

mancano casi in cui alla privatizzazione ha fatto seguito una crescita di tutti e tre gli

indicatori.

b) Le quotazioni in borsa

La quotazione in borsa apre l’azionariato delle imprese a soci, piccoli risparmiatori e

investitori istituzionali, il cui unico interesse riguarda la massimizzazione del

rendimento del proprio investimento, attraverso una crescita sia dei dividendi periodici

sia del valore del titolo. Questi interessi non sempre coincidono con quelli di chi, Stato

o imprenditore individuale, ha governato l’impresa fino a quel momento. Alcuni

ritengono, ad esempio, che la quotazione in Borsa di imprese familiari sposta

l’attenzione del management “dalla minimizzazione del reddito imponibile alla

massimizzazione del reddito distribuibile”. Certamente, il fatto che le performance

dell’impresa siano ora attentamente monitorate da analisti finanziari e investitori

istituzionali pronti a vendere la partecipazione, penalizzando il valore del titolo, qualora

Page 34: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 114

le prospettive di crescita e redditività non siano in linea con le loro attese, impone al

management un’attenzione maggiore ai livelli di redditività e alla formulazione di

strategie di crescita.

Da quest’ultimo punto di vista, i dati analizzati confermano le previsioni: salvo rari casi,

il fatturato di imprese quotate tende a continuare a crescere con ritmi analoghi a quelli

che teneva in passato, specie se si tratta di imprese di dimensioni medie. Per quanto

riguarda l’impatto sui livelli occupazionali, invece, anche nel caso delle imprese quotate

l’effetto non è univoco. In questo caso, la variabile discriminante sembra essere la

dimensione. Per grandi gruppi come Eni o Erg, che accedono al mercato in una fase di

maturità, la quotazione impone, infatti, una razionalizzazione della propria struttura con

conseguente riduzione degli organici. Nel caso di imprese di dimensioni medie o medio-

piccole, diversamente, la quotazione in Borsa apporta risorse finanziarie utili a sostenere

lo sviluppo delle attività. Non sempre però questa crescita riflette effettivamente la

creazione di nuovi posti di lavoro, cosa che accade solo se la crescita è organica e non

realizzata attraverso acquisizioni. Discorso analogo a quello delle grandi imprese, poi,

vale per le aziende municipalizzate, come Amga ed Aem, dove la quotazione comporta

un drastico cambiamento negli obiettivi e nelle logiche che guidano l’impresa. Da

notare come le riduzioni più consistenti nell'organico si osservino spesso nell’anno

stesso o nell’anno precedente alla quotazione. Un fenomeno questo che trova una

corrispondenza nello speculare incremento dei risultati reddituali, che spesso toccano un

picco in occasione della quotazione per poi ridiscendere subito dopo. Da questo punto

di vista, su diciassette operazioni censite, per le quali esistano dati sufficienti, in ben

sette casi alla quotazione ha fatto seguito un calo, e non una crescita, della redditività. Si

tratta soprattutto di imprese di dimensioni medio-piccole, spesso portate in borsa da

investitori istituzionali.

c) L’acquisizione da parte di multinazionali estere

Nel momento in cui un’impresa viene acquisita da una grande multinazionale, spesso

viene a perdere una sua autonomia e identità per diventare parte di un più ampio gruppo

industriale. Da quel momento, la gestione dell’impresa è inevitabilmente condizionata

da logiche più ampie che prendono in considerazione l’economicità e la competitività

del gruppo nel suo complesso. Prevedere come questo possa influenzare le prestazioni

Page 35: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 115

dell’impresa non è facile. Il timore diffuso riguardo alla cessione di imprese italiane a

grandi gruppi esteri è che obiettivo dell’acquisizione siano soprattutto marchi

commerciali, brevetti, licenze e quote di mercato, mentre la capacità produttiva è

destinata ad essere gradualmente trasferita all’estero secondo la logica della

globalizzazione dei centri di produzione. Il risultato, in questo caso, potrebbe anche

essere positivo sul lato del fatturato, perché l’impresa potrebbe trarre beneficio

dall’ingresso in un gruppo dotato di maggiori risorse finanziarie e commerciali e

sfruttare sinergie commerciali e distributive. D’altra parte, il numero dei dipendenti

verrebbe gradualmente ridotto proprio a seguito della chiusura di stabilimenti e

laboratori di ricerca e della riduzione degli apparati amministrativi. La redditività della

filiale, infine, risentirebbe delle politiche di gruppo riguardo ai prezzi di trasferimento e

di eventuali vantaggi (o svantaggi) fiscali comparati di cui la stessa può godere.

L’analisi dei 23 casi in cui sono disponibili dati significativi, mostra in effetti come,

nonostante il fatturato tenda comunque a crescere a seguito dell’acquisizione, il

passaggio di proprietà comporti spesso (11 casi) una riduzione, a volte consistente, della

forza lavoro. D’altra parte, si tratta in molti casi di aziende privatizzate o comunque da

risanare. In 7 casi, quasi un terzo del totale, l’impatto sui livelli occupazionali è stato

fino ad ora trascurabile, mentre in cinque casi addirittura positivo. Si tratta, in questo

caso, di aziende che operano nel campo della meccanica e della componentistica, che

hanno tratto un beneficio dall’ingresso nella rete logistica e commerciale di grandi

multinazionali, dove hanno potuto far leva sulle proprie competenze tecnologiche per

avviare e sostenere una crescita organica con benefici sia sul fatturato che

sull’occupazione. Come previsto, l’analisi dell’impatto sui risultati reddituali non ha

portato ad osservazioni significative: in dodici casi sui diciotto osservabili i risultati

sono migliorati. Non sembra comunque emergere alcuna variabile discriminante.

Conclusioni

L’obiettivo di questo lavoro era quello di descrivere i principali cambiamenti

istituzionali che hanno caratterizzato le principali imprese operanti all’interno del nostro

Paese. A tal fine abbiamo dapprima individuato la popolazione di riferimento (tutte le

imprese ed i gruppi italiani con più di 100 dipendenti e più di 155 milioni di euro di

Page 36: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 116

fatturato nel 1998) giungendo a “mappare” 540 soggetti o imprese economiche

(omogenee per forma di controllo e per settore di attività). Successivamente abbiamo

definito una tipologia di forme di assetto proprietario che ci ha consentito di attribuire i

540 soggetti individuati nella fase precedente ad una determinata categoria: famigliare,

multinazionale estera, Stato, etc.. Quindi abbiamo ricostruito la storia dei principali

cambiamenti istituzionali che hanno caratterizzato questi 540 soggetti (ed altri censiti in

precedenti edizioni dell'Osservatorio) nel corso del decennio 1989-1998, focalizzandoci

prevalentemente su quei cambiamenti che hanno avuto per oggetto l'assetto proprietario

di tali soggetti.

La scelta del tipo di cambiamento istituzionale da indagare, cioè il cambiamento di

assetto proprietario, si giustifica se si considera l'importanza che gli obiettivi del

controllore hanno sulle decisioni di governo economico e, quindi, sui risultati

(reddituali, competitivi e sociali) delle imprese. Inoltre non si deve trascurare il fatto che

la disponibilità di dati relativi alla composizione dell'azionariato delle grandi imprese e

dei grandi gruppi rendono l'analisi dell'evoluzione dell'assetto proprietario fattibile, pur

comportando alcune complicazioni di tipo metodologico. Sarebbe viceversa assai

complesso cercare di ricostruire altri tipi di discontinuità istituzionale meno

pubblicizzati sulla stampa.

La scelta del periodo temporale di riferimento per l'analisi, il decennio 1989-1998, si

giustifica alla luce dei dati contenuti in altre pubblicazioni (Nomisma, "Acquisizioni,

Fusioni e Concorrenza") che hanno evidenziato come tale periodo sia caratterizzato da

un enorme incremento nel numero di operazioni di fusione ed acquisizione rispetto agli

anni precedenti.

Le elaborazioni sui dati in nostro possesso ci hanno consentito di esprimere un primo

giudizio sulla presenza e sulla dinamica delle varie forme di controllo presenti

all’interno del nostro sistema economico. In particolare i risultati a cui siamo giunti

possono essere sintetizzati in due gruppi: quelli relativi all'assetto proprietario nel 1998

(analisi statica) e quelli relativi ai principali cambiamenti intercorsi nel periodo 1989-

1998 (analisi dinamica).

a) Analisi statica

In estrema sintesi, l'analisi dei dati relativi all'assetto proprietario dei grandi gruppi e

delle grandi imprese italiane nel 1998 ci consente di esprimere le seguenti conclusioni:

Page 37: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 117

1. nel nostro Paese è presente un mix composito e variegato di forme di controllo con

caratteristiche molto diverse in termini di sovrapposizione fra proprietà e governo

(azionisti e manager), autonomia strategica rispetto ad altri soggetti, capacità di

aumentare in tempi rapidi il capitale sociale, etc.. Poiché ogni assetto è

caratterizzato da propri vantaggi rispetto ad alcune dimensioni di eccellenza (la

flessibilità, la capacità di sopportare momenti di redditività negativa prolungati,

etc.), tale varietà di assetti istituzionali deve essere giudicata positivamente;

2. nel nostro Paese prevalgono forme di controllo di tipo assoluto anche nelle grandi

imprese, ovvero alcuni soggetti tendono a mantenere in proprio possesso quote di

capitale sufficienti ad assicurare loro il controllo sul consiglio di amministrazione e

quindi sulla gestione della impresa. Questa caratteristica vale per lo Stato, per le

multinazionali estere e per le imprese familiari. Sono viceversa poco rilevanti forme

di controllo di coalizione, in cui due o più soggetti si dividono il diritto e la

responsabilità di determinare gli indirizzi strategici dell’impresa; sembra comunque

che tali forme di controllo siano in aumento rispetto al passato;

3. fra le forme di controllo individuate, si conferma una peculiarità del capitalismo

italiano: non solo le imprese di piccole dimensioni, ma anche quelle di grandi

dimensioni risultano essere controllate da una famiglia, spesso quella fondatrice.

Tutto questo è stato possibile grazie all’operare di un insieme di strumenti (il ricorso

al meccanismo dei gruppi piramidali, la quotazione di molte società del gruppo,

l’emissione di azioni prive del diritto di voto, etc.) che hanno consentito ad alcune

famiglie “storiche” del capitalismo italiano di mantenere il controllo di una notevole

quantità di attività economiche investendo il minimo ammontare possibile di risorse

finanziarie personali (Brioschi, Buzzacchi, Colombo, 1990);

4. anche nel nostro sistema si stanno sviluppando alcune forme di assetto istituzionale

che caratterizzano i principali Paesi industrializzati: nascono i primi intrecci tra

gruppi industriali e finanziari simili a quelli dei grandi gruppi tedeschi, aumentano

le public company. Questo trend, che a nostro avviso deve essere valutato

positivamente, potrebbe modificare uno dei limiti storici del capitalismo italiano,

cioè l’assenza o il limitato ruolo di imprese italiane in alcuni settori (il farmaceutico,

il chimico, l’elettronica, l’elettromeccanica, le telecomunicazioni, etc.) in cui gli

Page 38: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 118

elevati investimenti in ricerca e sviluppo o in impianti e macchinari di grandi

dimensioni risultano essere decisivi per il successo dell’impresa;

b) Analisi dinamica

In estrema sintesi, i dati relativi alle dinamiche che hanno riguardato gli assetti

proprietari delle grandi imprese e dei grandi gruppi del nostro Paese nel periodo 1989-

1998 ci consentono di esprimere le seguenti conclusioni:

1. per quanto concerne le operazioni di acquisizione e di cessione i nostri dati

evidenziano chiaramente un soggetto che si pone prevalentemente nella parte di

venditore (lo Stato che presenta un differenziale negativo pari a -26) ed un altro tipo

di assetto proprietario che viceversa tende a svolgere il ruolo di acquirente (le

multinazionali estere che presentano un differenziale positivo pari a +30), gli altri

soggetti non sembrano invece presentare dinamiche particolarmente sbilanciate

verso l'una o l'altra direzione;

2. le operazioni complessivamente censite ci inducono a pensare che la presenza di

forme di controllo assolute sia una caratteristica peculiare del nostro capitalismo,

infatti le imprese che collocano sul mercato la maggioranza delle loro quote di

capitale di rischio tendono ad essere riacquisite, prima o poi, da alcuni soggetti

(famiglie, multinazionali estere, etc.);

3. i grandi gruppi e le grandi imprese stanno semplificando la loro struttura societaria,

in termini di riduzione del numero delle società controllate, e il loro assetto

societario, con una graduale concentrazione del controllo nelle mani di un singolo

soggetto;

4. la focalizzazione dell'analisi sui tre tipi di cambiamenti istituzionali maggiormente

diffusi ci ha consentito di evidenziare la relazione che si pone tra tali cambiamenti e

la performance (reddituale, sociale e competitiva) delle imprese e dei gruppi oggetto

della discontinuità istituzionale; in particolare: a) le operazioni di privatizzazione

realizzate nel periodo 1989-1998 e censite dall'Osservatorio Assolombarda -

Bocconi non hanno portato ad una generalizzata riduzione dei prestatori di lavoro e

ad un aumento della redditività, piuttosto la differenza nei risultati conseguiti dalle

imprese nel periodo pre e post privatizzazione risulta essere fortemente influenzata

dalle dinamiche settoriali (di crisi o di sviluppo) e dalle risorse e competenze

possedute dalle singole imprese; b) le operazioni di quotazione in borsa tendono ad

Page 39: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 119

alimentare il ritmo di sviluppo che le imprese avevano nella fase precedente la

quotazione, mentre per quello che concerne i risultati reddituali e il numero degli

occupati i dati in nostro possesso non ci consentono di esprimere un giudizio

definitivo, anche se l'impressione che si ricava è quella di una fase di preparazione

alla quotazione che implica un aumento della redditività ed un calo nel numero dei

prestatori di lavoro; c) le operazioni di acquisizione realizzate dalle multinazionali

estere evidenziano nella fase successiva alla acquisizione un aumento della

competitività dell'impresa (misurata in termini di fatturato realizzato) come risultato

dello sfruttamento di sinergie tecniche e commerciali tra le imprese ed i gruppi

coinvolti nell'operazione, mentre non sembra che si possano definire conclusioni

definitive sulla variazione riscontrata nei risultati reddituali e sociali, i quali

sembrano essere fortemente influenzati dalle dinamiche di settore e dall'entità delle

sinergie sfruttabili ai fini della creazione e della difesa di un vantaggio competitivo

di lungo periodo.

Tali risultati comportano implicazioni di tutto rilievo in generale per tutti gli studiosi di

Corporate governance, ed in particolare per il responsabile della politica economica del

Paese. Riteniamo infatti che la varietà degli assetti istituzionali delle grandi imprese e

dei grandi gruppi italiani sia una ricchezza importante per il nostro sistema economico

che va tutelata e incentivata con opportuni provvedimenti legislativi. L'analisi delle

dinamiche istituzionali attualmente in atto non ci consente di esprimere conclusioni

definitive, tuttavia ci pare che si possa affermare che i principali cambiamenti che

caratterizzano gli assetti societari e proprietari dei grandi gruppi vadano verso la

creazione di una maggiore trasparenza e di una maggiore esposizione alle logiche di

mercato.

Page 40: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 120

Bibliografia

Airoldi G., “Modelli di capitalismo e modelli di impresa: schemi per l’analisi

comparata”, Economia & Management, n.2, 1993.

Airoldi G., "Gli assetti istituzionali d'impresa: inerzia, funzioni e leve", in: Airoldi G.,

Forestieri G. (a cura di), Corporate Governance. Analisi e prospettive del caso

italiano, Etaslibri, Milano, 1998.

Airoldi G., Amatori F., Invernizzi G., Proprietà e governo delle aziende italiane, Egea,

Milano, 1995.

Albert M., Capitalismo contro capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1993.

Barca F., Imprese in cerca di padrone. Proprietà e controllo nel capitalismo italiano,

Laterza, Roma, 1994.

Barca, F., Bianco, M., Cannari, L., Cesari, R., Gola, C., Manitta, G., Salvo, G.,

Signorini, L.F., Assetti proprietari e mercato delle imprese, vol. I, Il Mulino,

Bologna, 1994.

Barca, F., Bianchi, M., Brioschi, F., Buzzacchi, L., Casavola, P., Filippa, L., Pagnini,

M., Assetti proprietari e mercato delle imprese, vol. II, Il Mulino, Bologna, 1994.

Berle A., Means G., The Modern Corporation and Private Property, MacMillan, New

York, 1932 (tr. it. Società per azioni e proprietà privata, Einaudi, 1966).

Blair M., Ownership and Control - Rethinking Corporate Governance for the Twenty-

first Century, The Brookings Institution, 1995.

Bianco M., Casavola P., “Corporate governance in Italia: alcuni fatti e problemi aperti”,

Rivista delle società, 1996.

Brioschi F., Buzzacchi L., Colombo M.G., Gruppi di imprese e mercato finanziario, La

Nuova Italia Scientifica, Roma, 1990.

Cadbury A., The Committee on the Financial Aspects of Corporate Governance, Gee

Press, Londra, 1992.

Campobasso G.F., Diritto commerciale - 2. Diritto delle società, terza edizione, UTET,

Torino, 1995.

Chandler A.D., Scale and Scope - The Dynamics of Industrial Capitalism, Cambridge:

Harvard University Press, 1990.

Charkham J.P., Keeping good Company: a Study of Corporate Governance in five

Countries, Clarendon Press, Oxford, 1994.

Page 41: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 121

Coda V., L'orientamento strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988.

Databank, Datagruppi, 1997.

Dun & Bradstreet Kosmos, Duns 20.000, vari anni.

Frankfurter Allgemeine Zeitung, Germany’s Top 500, 1998.

Il Mondo, Le classifiche delle prime società italiane, vari anni.

Leksell L., Lindgren U., “The Board of Directors in Foreign Subsidiaries”, Journal of

International Business Studies, estate, 1982.

Marchetti P., “Poteri e responsabilità dei Consigli d’amministrazione”, Economia &

Management, n.3,1995.

Mediobanca, Calepino dell’azionista, vari anni.

Mediobanca, Le principali società italiane, vari anni.

Molteni M., I sistemi di Corporate Governance nelle imprese italiane di medie e grandi

dimensioni, paper presentato al Workshop ISVI dal titolo “I meccanismi

dell’integrità aziendale: il sistema di corporate governance”, organizzato il 5

dicembre 1996 presso Assolombarda.

Mosconi A., Rullani E., Il gruppo nello sviluppo dell’impresa industriale, Isedi, Milano,

1978.

Nomisma, Acquisizioni, Fusioni e Concorrenza, vari numeri.

North D.C., Institutions, Institutional Change, and Economic Performance, Cambridge

University Press, Cambridge, 1994.

Pfeffer J., Salancik G.R., The External Control of Organizations, Harper & Row, New

York, 1978.

Porter M., The Competitive Advantage of Nations, The Free Press, New York, 1990.

Prodi R., “C’è un posto per l’Italia tra i due capitalismi?”, Il Mulino, gennaio-febbraio,

1991.

Preite D., Magnani M., “Linee di riforma dell’ordinamento societario nella prospettiva

di un ruolo degli investitori istituzionali”, Temi di discussione, Banca d’Italia,

1994.

Ricerche e Studi, R&S, vari anni.

Zattoni A., “I gruppi di imprese”, Sviluppo & Organizzazione, novembre-dicembre

1997.

Page 42: I PRINCIPALI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DELLE GRANDI ...3 “Le principali società italiane” risolve il problema includendo nella stessa lista valori consolidati e non, introducendo

Osservatorio Assolombarda-Bocconi

Milano 122

Zattoni A., Ravasi D., "Assetto proprietario, sistemi di governo e processi di decisione

strategica nelle imprese con controllo di coalizione", in: Airoldi G., Forestieri G. (a

cura di), Corporate Governance. Analisi e prospettive del caso italiano, Etaslibri,

Milano, 1998.33