I Nonni Raccontano l'Emigrazione - Estratto Web

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Presentazione QUESTO libro, curato dalla poetessa Livia Naccarato, concepito nell'Istituto Comprensivo di Aiello Calabro, vuole recuperare, a vantaggio delle giovani generazioni, la memoria storica territoriale, che altrimenti rischia di estinguersi. La memoria del passato è fondamentale per la costruzione della propria identità nel presente, ma anche per la progettazione del futuro. Ciascuno, sia a livello individuale, che a livello collettivo, è la risultante del proprio passato; un individuo che, fortuitamente, perde la memoria, ignora tutto di sé, ciò che ama e che odia, che spera e che teme, ciò che vuole e ciò di cui ha paura, è insomma un uomo senza identità. Per questo, per comprendere se stessi nel presente, occorre, per citare M. Proust, andare alla ricerca del tempo perduto, che è il tempo dimenticato, scivolato via dal serbatoio della memoria. Abbiamo talvolta la sensazione che le giovani generazioni, proprio perché hanno perduto la memoria storica della propria collettività, siano poi disorientate, incapaci di comprendere appieno le proprie motivazioni, e quindi non attrezzate a programmare il futuro. La scuola, in questo, non ha forse sempre adempiuto al suo compito, sottovalutando in qualche modo nella prassi quotidiana, lo studio della storia come fondamento della costruzione dell'identità personale e collettiva; si aggiunga a questo lo spazio dirompente che i mass-media hanno acquistato nella vita dei nostri figli, sottoposti all'imbonimento quotidiano di trasmissioni demenziali, che spingono a non riflettere, a non pensare, ad occuparsi di banalità e di volgarità effimere e scadenti, perché possa scomparire quel pensiero critico e divergente che fa paura a tutte le dittature, a tutti i regimi, anche a quelli mass-mediatici. La storia, invece, oltre ad essere fondamentale, aiuta a riflettere criticamente sui meccanismi dell'anima umana, sia quelli individuali, sia quelli collettivi, ed alimenta così il pensiero divergente e critico, educa a non ripetere gli errori del passato, aiuta a conoscere ed a dominare meglio se stessi. Si corre anche il rischio, oggi, che qualcuno si metta a riscrivere i libri di storia con intento censorio, come avviene durante le dittature; è dunque operazione di difesa della democrazia, oltre che di formazione della persona, l'operazione che l'Istituto Comprensivo di Aiello si propone di fare. Insegnanti ed alunni, difatti, si propongono null'altro che questo: ricostruire la memoria storica. E l'originalità di questa operazione sta in due caratteristiche fondamentali: l'oggetto dell'indagine, e la metodologia adoperata. L'indagine storica, difatti, non è esercitata sui grandi eventi a carattere nazionale, distanti dai ragazzi, ma sulla microstoria territoriale, poiché riguarda la collettività in cui i ragazzi vivono, ed è la testimonianza delle azioni, delle speranze, delle lotte, delle sconfitte, dei loro padri, dei loro nonni, di quelli che prima di loro, hanno camminato, vissuto, respirato, amato, odiato, gioito, nei luoghi dove questi ragazzi vivono oggi. La microstoria territoriale è fondamentale per comprendere la storia nazionale: diceva Gramsci che "gli angoletti bui" della microstoria costituiscono le tessere del grande mosaico della storia nazionale. Ancora più originale è stata la metodologia della ricerca: i ragazzi sono divenuti ricercatori essi stessi nelle memorie di famiglia, in un colloquio non freddo ed asettico, scientifico, ma appassionato e partecipe con i loro familiari adulti, con i loro genitori, con i loro nonni, attraverso fonti storiche primarie, come lettere, documenti, foto, non rielaborati da alcuno, ma che conservano tutta la genuinità appassionata e calda dei sentimenti, delle passioni, delle vicende che testimoniano.

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Presentazione QUESTO libro, curato dalla poetessa Livia Naccarato, concepito nell'Istituto Comprensivo di Aiello Calabro, vuole recuperare, a vantaggio delle giovani generazioni, la memoria storica territoriale, che altrimenti rischia di estinguersi. La memoria del passato è fondamentale per la costruzione della propria identità nel presente, ma anche per la progettazione del futuro. Ciascuno, sia a livello individuale, che a livello collettivo, è la risultante del proprio passato; un individuo che, fortuitamente, perde la memoria, ignora tutto di sé, ciò che ama e che odia, che spera e che teme, ciò che vuole e ciò di cui ha paura, è insomma un uomo senza identità. Per questo, per comprendere se stessi nel presente, occorre, per citare M. Proust, andare alla ricerca del tempo perduto, che è il tempo dimenticato, scivolato via dal serbatoio della memoria. Abbiamo talvolta la sensazione che le giovani generazioni, proprio perché hanno perduto la memoria storica della propria collettività, siano poi disorientate, incapaci di comprendere appieno le proprie motivazioni, e quindi non attrezzate a programmare il futuro. La scuola, in questo, non ha forse sempre adempiuto al suo compito, sottovalutando in qualche modo nella prassi quotidiana, lo studio della storia come fondamento della costruzione dell'identità personale e collettiva; si aggiunga a questo lo spazio dirompente che i mass-media hanno acquistato nella vita dei nostri figli, sottoposti all'imbonimento quotidiano di trasmissioni demenziali, che spingono a non riflettere, a non pensare, ad occuparsi di banalità e di volgarità effimere e scadenti, perché possa scomparire quel pensiero critico e divergente che fa paura a tutte le dittature, a tutti i regimi, anche a quelli mass-mediatici. La storia, invece, oltre ad essere fondamentale, aiuta a riflettere criticamente sui meccanismi dell'anima umana, sia quelli individuali, sia quelli collettivi, ed alimenta così il pensiero divergente e critico, educa a non ripetere gli errori del passato, aiuta a conoscere ed a dominare meglio se stessi. Si corre anche il rischio, oggi, che qualcuno si metta a riscrivere i libri di storia con intento censorio, come avviene durante le dittature; è dunque operazione di difesa della democrazia, oltre che di formazione della persona, l'operazione che l'Istituto Comprensivo di Aiello si propone di fare. Insegnanti ed alunni, difatti, si propongono null'altro che questo: ricostruire la memoria storica. E l'originalità di questa operazione sta in due caratteristiche fondamentali: l'oggetto dell'indagine, e la metodologia adoperata. L'indagine storica, difatti, non è esercitata sui grandi eventi a carattere nazionale, distanti dai ragazzi, ma sulla microstoria territoriale, poiché riguarda la collettività in cui i ragazzi vivono, ed è la testimonianza delle azioni, delle speranze, delle lotte, delle sconfitte, dei loro padri, dei loro nonni, di quelli che prima di loro, hanno camminato, vissuto, respirato, amato, odiato, gioito, nei luoghi dove questi ragazzi vivono oggi. La microstoria territoriale è fondamentale per comprendere la storia nazionale: diceva Gramsci che "gli angoletti bui" della microstoria costituiscono le tessere del grande mosaico della storia nazionale. Ancora più originale è stata la metodologia della ricerca: i ragazzi sono divenuti ricercatori essi stessi nelle memorie di famiglia, in un colloquio non freddo ed asettico, scientifico, ma appassionato e partecipe con i loro familiari adulti, con i loro genitori, con i loro nonni, attraverso fonti storiche primarie, come lettere, documenti, foto, non rielaborati da alcuno, ma che conservano tutta la genuinità appassionata e calda dei sentimenti, delle passioni, delle vicende che testimoniano.

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Occorre ancora dire che questa operazione ha avuto il merito aggiuntivo di aver stimolato un dialogo fra generazioni che purtroppo oggi manca troppo spesso, c che è una delle cause non ultime della solitudine degli anziani e del disorientamento dei giovani. Infine, documentando per lo più il doloroso fenomeno dell'emigrazione forzata, questa ricerca ha avuto l'effetto di risvegliare nei ragazzi l'amore per la propria terra e l'orgoglio d'appartenenza, suscitando in loro la voglia di combattere, d'impegnarsi, per costruire un mondo diverso, più giusto, nel quale non debbano essere sempre i più deboli a pagare, a soccombere, sacrificando i propri desideri, i propri affetti, le proprie gioie, e nello stesso tempo li ha avvicinati alla grande tragedia dell'emigrazione forzata, che oggi coinvolge metà del pianeta, risvegliando in loro la solidarietà verso i meno fortunati. E questo è per noi il merito più grande: aver ridato ai ragazzi, attraverso il dialogo con gli anziani, i grandi sentimenti, i grandi valori, le grandi utopie per le quali vale la pena di vivere e di combattere. Questa società consumistica, difatti, che trova nei mass media gli opportuni megafoni, ha ridotto l'esistenza ad una rincorsa per l'ottenimento di beni, peraltro effimeri, ed all'esaltazione di una competività senza scrupoli, a scapito della solidarietà. Così, la vita è diventata disperatamente vuota, senza valori, che diano ai giovani la voglia, anzi la passione di vivere. Solo i grandi valori, le grandi emozioni, le grandi utopie sono capaci di riaccendere nei cuori dei nostri ragazzi la speranza, il sogno, la passione, quella che ha riscaldato tante vite di chi ci ha preceduto. Questo libro, costruito da ragazzi ed anziani, riporta nel cuore di chi lo legge la passione più grande e più nobile che abbia mai animato l'umanità da quando esiste: il desiderio di costruire una società di uomini liberi, eguali ed in pace, dove nessuno debba più rinunciare alla propria terra, ai propri affetti, alle cose care, per avere il diritto di vivere come un essere umano e per garantire un futuro a quelli che ama.

Donatella Laudadio Assessore alla P.I. e Cultura

Amministrazione Provinciale di Cosenza *** Introduzione Con l’amore e l’interesse per le nostre radici culturali, e con le emozioni che ci hanno suscitato, abbiamo letto, in anteprima, queste storie personali, “vissute e sofferte”, raccontate dai nonni o dai genitori ai nostri studenti delle elementari e medie, che, sapientemente, facendone tesoro, le hanno “sentite”, amate e trascritte secondo la propria individuale visione del mondo e delle cose, dimostrando, nei fatti, la sensibilità e la maturità necessarie. Le storie di questo libro (le poesie in particolare sono di rara bellezza) sono – come il titolo dichiara palesemente - storie di emigrazione. Sono bagagli legati con lo spago, pieni di storie, molte volte tristi, importanti. Ci raccontano di addii, di partenze strazianti, di navi, di arrivi solitari, di lingue diverse, di lettere, di lacrime, di condizioni umilianti di lavoro, di infortuni sul lavoro; ci raccontano di solitudini, di disillusioni, di lotte quotidiane, di nostalgia, di rassegnazione, di esilio. E’ senza dubbio alcuno, un buon libro, un libro che parla della famiglia, nato dalla conoscenza di episodi che hanno toccato direttamente ed emotivamente (essendo i propri familiari i protagonisti delle storie) i nostri ragazzi, ed innescato, nel contempo, un “arricchimento della personalità”, proprio nel momento più delicato e difficile della loro crescita. Come di notevole interesse si è dimostrata la prospettiva del fenomeno emigrazione, che emerge in diverse storie vissute da chi è rimasto. Quello delle mogli, delle

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nostre nonne, dei loro figli. Questi racconti ci parlano di quotidiani sacrifici per mandare avanti la famiglia, di figli “rimasti orfani di padre vivente”, di mogli che devono fare da padri, di abbandoni e di nuove famiglie. Soprattutto però, questi racconti ci riconducono ai ricordi della vita semplice, sebbene difficile, di tanti anni fa. Ci parlano dei lavori quotidiani delle mamme, delle “vucate” al fiume con la “lissìa”, del duro lavoro nei campi…; ci offrono vecchi, eppure attuali, spaccati di vita; ci ricordano i valori su cui si fonda la famiglia; ci testimoniano l’amore e i sacrifici dell’essere genitori; infine, ci richiamano, attraverso le considerazioni dei giovani reporter, sulla giustezza della solidarietà verso chi oggi, come allora, va alla ricerca, emigrando in un altro paese, della sicurezza di un posto di lavoro. Grazie all’Unione Nazionali Scrittori (e certamente alla poetessa Livia Naccarato che ha curato la pubblicazione), all’Auser e allo Spi-Cgil Roma Nord, che ci hanno proposto il concorso per i ragazzi delle scuole elementari e medie (di Aiello, Cleto e Serra), da cui è nato questo libro; grazie anche e soprattutto alla sensibilità dell’Amministrazione provinciale di Cosenza che patrocina e finanzia la pubblicazione; e, non ultimo, grazie all’Istituto Comprensivo (gli studenti, il dirigente scolastico, i docenti e tutto il personale), che ha segnatamente appoggiato il progetto, oggi, abbiamo una semplice ma significativa opera, frutto di un ritrovato dialogo tra generazioni differenti ma prodighe, l’un l’altra, di scambi di esperienze e consigli, che rappresenta, per i giovani di questo territorio, un valido approccio alle problematiche ed alle dinamiche sociali che hanno caratterizzato e in parte caratterizzano la storia locale e del Mezzogiorno. Dedichiamo, idealmente, il presente libro, a tutti i nostri emigrati nel mondo.

L’Assessore comunale alla Cultura Bruno Pino

Il Sindaco di Aiello Calabro Francesco Iacucci

Maggio 2002 *** Prefazione Il progetto culturale rivolto alle scuole I Nonni raccontano l’Emigrazione, ideato dalle 3 associazioni: l’UNS (Unione Nazionale Scrittori), l’AUSER (Università Europea Popolare), e lo SPI (Sindacato Pensionati CGIL Roma-Nord), non vuole ricostruire con lo spunto di un racconto personale un’analisi storico-sociale degli avvenimenti, bensì riscoprire in un rapporto dialettico emozioni che solo una vicenda vissuta e sofferta può suscitare. In una società sempre più competitiva e meccanizzata risulta molto difficile riattivare i tradizionali meccanismi di comunicazione in particolare fra anziani e giovani. Quello che prima avveniva intorno al focolare, simbolo dell’intimità domestica, è oggi impossibile dinanzi al suo sostituto, la televisione, strumento notoriamente isolante. Si privano in questo modo le nuove generazioni di quel bagaglio di esperienze soprattutto emotive che sono invece utili all’arricchimento della loro personalità, proprio nel momento più delicato e difficile della loro crescita. Il distacco che si sta creando fra le generazioni dipende anche da questa situazione e sono proprio le fasce più deboli della società, gli anziani e i giovani a soffrirne con un grave impoverimento di quei valori della solidarietà umana che sono indispensabili per un corretto equilibrio tra il vecchio e il nuovo. Con l’iniziativa I Nonni raccontano l’Emigrazione si cerca di ricreare la più semplice e naturale via di comunicazione in quanto i giovani per la ricerca dovranno chiedere ai loro

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parenti il racconto delle esperienze passate con l’obiettivo di incentivare il dialogo intergenerazionale e di sensibilizzare gli studenti ad un fenomeno, quale l’emigrazione che proprio nel sud ha avuto conseguenze quanto mai dolorose toccando aspetti della storia passata e presente densi di implicazioni emotive. Il progetto si è svolto nell’Istituto Comprensivo di Aiello Calabro nelle classi IV e V elementari e I, II e III delle medie con il patrocinio del Comune di Aiello Calabro nel 2000/2001. L’iniziativa prevedeva 2 fasi: la prima il concorso il cui Bando è pubblicato nell’Appendice del libro, rivolto agli studenti con la premiazione finale dei lavori più meritevoli; la seconda fase la Pubblicazione degli elaborati. La premiazione del concorso è avvenuta il giorno 5 giugno del 2001 presso l’Istituto Comprensivo di Aiello Calabro in un clima di commozione e festosità, con la presente non solo dei partecipanti (137) ma di tutti gli alunni e gli insegnanti, di molti genitori e nonni. Sono stati presenti inoltre il dirigente scolastico, i sindaci di Aiello Calabro, Cleto e Serra d’Aiello che costituiscono i tre comuni dell’Istituto scolastico e i rappresentanti dello SPI-CGIL di Cosenza, Antonio Goffredo, Antonio Sommaria e Carmine Azzaro. Il successo della nostra iniziativa con la pubblicazione del libro I Nonni raccontano l’Emigrazione ci ha confermato la validità dell’argomento scelto. Come responsabile del concorso ringrazio vivamente gli studenti che insieme ai loro nonni e nonne hanno lavorato con molto sensibilità e serietà, gli insegnanti, il dirigente scolastico Prof. Marino Cataldo, il sindaco dottor Francesco Iacucci e l’assessore alla Cultura dott. Bruno Pino. Inoltre un ringraziamento va alla professoressa Monica Bernardo e al professor Mario Pucci, membri della giuria insieme alla sottoscritta, che hanno prestato la loro opera con competenza ed obiettività compito non facile dato il buon livello di molti elaborati. In qualità di curatrice del libro ringrazio per la grande sensibilità dimostrata l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Cosenza e il Comune di Aiello Calabro. Inoltre ringrazio coloro che hanno collaborato alla realizzazione della pubblicazione, l’assessore Bruno Pino e i due giovani Alfano Enzo e Francesco Dodaro, obiettori di Coscienza che prestano Servizio Civile nel Comune di Aiello Calabro. I libro è diviso in due sezioni: la prima comprende i componimenti degli alunni della Scuola Elementare e la seconda quelli della Scuola Media. Ho seguito l’ordine alfabetico, tranne per i primi tre classificati per ogni sezione. Il libro è completato ed impreziosito da foto, disegni, lettere, cartoline, e molte poesie specie nella prima sezione. I componimenti sono stati pubblicati tutti; gli interventi sui testi sono stati minimi e riguardano qualche correzione ortografica e l’eliminazione di alcune ripetizioni salvaguardando però la loro genuinità e immediatezza. Posso affermare senza timore di essere smentita che il libro contiene grandi storie scritte da giovanissimi autori dai 9 ai 14 anni. Questo è il fatto veramente nuovo che smentisce il detto comune che i bambini di oggi sono tutti indifferenti, abulici e privi di sentimenti. Sono stati invece capaci con sensibilità, serietà ed entusiasmo di scrivere un pezzo della nostra storia passata e presente che riguarda l’Emigrazione fenomeno quanto mai coinvolgente e complesso che va al di là del nostro paese natale Aiello Calabro. E’ bello sottolineare che molti di loro sono stati in grado di comprendere il nuovo fenomeno dell’Immigrazione dai vicini paesi Balcanici. Traendone significative riflessioni, come scrive Feraco Vanessa della V A … “oggi invece per noi italiani non è frequente emigrare a differenza degli stranieri che vengono in Italia per cercare lavoro. Guardando loro mi viene in mente quello che i miei parenti hanno dovuto subire con l’emigrazione. Secondo me se noi pensassimo e riflettessimo che anch’essi sono degli emigrati così come lo sono stati i nostri nonni forse avremmo un’altra considerazione di loro”. Ho detto storia perché il primo obiettivo del progetto era proprio questo: conoscere la storia dell’emigrazione, non attraverso i libri o da qualche dotta conferenza ma dalla viva voce di chi l’ha vissuta. Questo obiettivo è stato pienamente raggiunto ma non basta, molti di loro hanno capito quanto sia importante la storia per la crescita dell’individuo, come ci ricorda una bambina di 11 anni, Giuseppina Triestino della I A che termina il suo bel

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racconto con queste parole… “certo la storia per noi è molto importante più di quello che dice la gente, ma secondo me, senza le proprie parole, senza le proprie idee ed opinioni la storia non alcun senso”. I ragazzi reagiscono ai racconti dei nonni con sentimenti di grande ammirazione ed orgoglio, di solidarietà e voglia di dialogo e confronto, mostrando una maturità superiore alla loro età come testimoniano le parole di Lepore Debora della I C … “discutiamo anche tanto dell’Europa e dell’unione, vorrei davvero che ci fosse una grande cooperazione e che ci sentissimo un’unica forza, proprio pensando a quanti nel passato hanno faticato perché fosse così. Un giorno anch’io potrei andare a lavorare all’Estero ma voglio che sia per libera scelta e non perché costretta dalla miseria o dalla guerra…. E Lepore Alessandra della stessa classe aggiunge …”anch’io voglio collaborare affinché dappertutto la gente abbia la possibilità di avere cibo a sufficienza, istruzione, famiglia, lavoro e pace”. Il libro si legge tutto di un fiato e le storie si snodano intrise di dolori, difficoltà, nostalgia ma anche di speranza per la consapevolezza di poter dare ai propri familiari una vita più serena e come dice nella bella poesia Guzzo Foliaro Federica della IC… “per non avere la vergogna… della fame…. Molti sono stati gli incidenti sul lavoro e anche le morti. Tanti gli insulti e i sarcasmi subiti come appare dalla bella storia di Vairo Valentina della II C… “ricordo benissimo che quando dissi che ero calabrese si misero a ridere e se ne andarono. Io rimasi stupito dal loro comportamento e non capivo perché non mi trattassero come gli altri e mi chiedevo spesso se era per me un problema essere calabrese”. Ma vi sono anche tante storie finite bene perché i protagonisti hanno potuto realizzare i loro sogni ed alla fine vivere una vita libera dai bisogni. Molto interessante è lo spaccato di vita quotidiana delle donne rimaste a casa che hanno dovuto affrontare difficoltà par a quelle dei loro cari lontani; quotidianità raccontate con tale vivacità e ricchezza di particolari dai giovanissimi scrittori da restituirne quasi per magia l’incanto e la nostalgia di usi e costumi che vanno scomparendo. Con arguzia la nonna di Vercillo Settimio della V A racconta sorridendo che il marito… “ha sofferto più freddo che la fame e che le cutuliàvanu i gangulari…”. Poetiche e commoventi le parole della nonna di Deiana Manuela della III A… “mia nonna mi racconta che quando mia madre era piccola non aveva i soldi per comprare il petrolio e per farla dormire doveva cullarla alla luce della luna”. Grande è stata la solitudine di queste eroiche donne descritte nei bei versi di Lepore Luigi della V A… “e la nonna rimane sola nel silenzio della casa ad aspettare che ritorni fra le sue braccia calde”. Ma purtroppo l’attesa per molti di essi è stata vana. Per vari motivi i legami familiari si sono spezzati e i protagonisti si sono create altre famiglie aggiungendo al fenomeno dell’emigrazione un altro doloroso tassello. Sono sicura che i ragazzi non dimenticheranno il dialogo istaurato con gli adulti che rappresenta un momento di crescita e maturazione della loro personalità perché come essi stessi hanno scritto è stato emozionante e divertente curiosare nella giovinezza dei loro nonni. Fra gli altri Coccimiglio Valentina della I a così termina il suo componimento… il mio viaggio è finito e sono contenta di aver partecipato a questo concorso ed aver scritto questa bellissima storia che però è stata anche realtà… Cari bambini e cari ragazzi siamo noi adulti a ringraziare voi perché dalle vostre straordinarie storie abbiamo imparato qualcosa di buono e di bello. Voglio terminare il mio

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breve commento su questo bel libro con le stesse parole dell’ultima parte della poesia di Coccimiglio Maria Teresa della V A… E noi bambini, adulti Zii e parenti Di adesso Vogliamo dire con forza Addio vecchia parola Emigrazione

Livia Naccarato Curatrice del Progetto

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CONCORSO "I NONNI RACCONTANO L'EMIGRAZIONE" ISTITUTO COMPRENSIVO DI AIELLO CALABRO

ANNO SCOLASTICO 2000/01

SCUOLA ELEMENTARE Nota: I componimenti sono ordinati in ordine alfabetico ad eccezione dei primi tre.

*** La nonna un inverno davanti al caminetto mi ha raccontato che il nonno Giuseppe nel 1959, per la crisi lasciata dalla Seconda Guerra Mondiale, fu costretto a lasciare la sua famiglia in Italia per andare a cercare lavoro all'estero. La mamma Teresa prima gli preparava la valigia legata con un filo grosso, mettendo del salame, un pò di pane duro, dei fichi secchi e degli indumenti. Mio nonno è partito quando aveva l'età di 19 anni per la Germania con il treno a vapore. Nei primi tempi incontrò molte difficoltà fra le quali la lingua e il clima molto freddo. In Germania si parlava la lingua tedesca e all'inizio non sapeva dire neanche una parola perché sapeva parlare soltanto la lingua Dialetto Calabrese, poi piano piano riuscì a comunicare con gli altri. Il clima era molto freddo e in inverno c'era molta neve e molto ghiaccio. Mio nonno in Germania faceva l'operaio in una fabbrica dove si costruivano tubi per fognature. All'inizio questo lavoro non gli piaceva perché era molto faticoso, ma poi si adattò e cominciò a piacergli. Mio nonno era molto socievole e fece subito amicizia con tanti tedeschi e tanti suoi compatrioti. Ogni mese spediva i soldi a sua madre che glieli metteva da parte per affrontare le spese del matrimonio con mia nonna Rosa. Mio nonno trascorreva il suo tempo libero insieme agli amici che aveva conosciuto sul lavoro o durante il viaggio. Chiacchieravano, giocavano a carte e passeggiavano parlando della famiglia che avevano lasciato in Italia e degli usi e delle tradizioni che ognuno aveva in casa, nel proprio paese e delle feste principali. Al nonno mancavano molto cullurielli, la casa fatta in casa, i turdilli e le cuzzupe. Infatti quando tornava in Italia sua mamma preparava tutte queste pietanze che consumava con tutti i parenti che venivano a trovarlo. La nonna restata da sola in Italia ha dovuto crescere la prima figlia, cioè mia madre. Nei primi anni di vita, i più delicati, sola con le sue forze è stato molto faticoso anche perché aveva la terra da coltivare e doveva fare tante cose che richiedevano forza e resistenza. La nonna nel suo pezzettino di terra coltivava il grano e d ogni tipo di verdura e di ortaggi. In

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inverno raccoglieva le olive, le castagne e le ghiande sia per i maiali, sia per il caffè. Con la farina di castagna faceva il pane e le pitticelle. In estate seccava i fichi con i quali faceva le crocette con le noci e le jette, inoltre doveva lavare i panni al fiume che era molto distante. Mia nonna doveva custodire anche gli animali: mucche, pecore, conigli ecc. Con la lana delle pecore faceva maglie, calze e scarpine per la notte. Nei giorni di sole portava le mucche a pascolare nei prati verdi e la sera le riportava nel recinto. Ai conigli doveva raccogliere l'erba fresca, ai maiali dava i fichi, le ghiande e le castagne. Intanto sua figlia Maria Teresa, mia mamma, cresceva e aveva sempre più bisogno di cure. A volte è stato proprio duro non avere alcun consiglio dal proprio marito e prendere tutte le decisioni da sole. Durante il tempo libero, cioè la sera vicino al caminetto acceso, mia nonna lavorava a maglia la lana che ricavava dalle sue pecore. La nonna era intelligente e per tingere la lana andava per i campi a cercare delle erbe naturali, il mallo delle noci e i fiori di camomilla che venivano bolliti. Di domenica faceva il pane con la farina di grano, di castagna e di granturco. Inoltre faceva il sapone con il grasso dei maiali non usato e con l'olio di oliva che non consumavano più. Mi ha anche detto che doveva fare il caffè con le ghiande abbrustolite, era buonissimo proprio come il caffè che beviamo adesso. La sera appena tornata a casa per prima cosa accudiva sua figlia, poi pensava un pò a se stessa, si lavava, mangiava quel poco cibo rimasto dal pranzo e continuava a lavorare fino a notte inoltrata. Questi lavori erano faticosi ma indispensabili per sopravvivere e anche se il nonno le mandava i soldi lei doveva ugualmente lavorare perché non bastavano per le necessità giornaliere e per le cure mediche. Infatti anche oggi la nonna mi ripete che bisogna mettere i soldi da parte per curare la salute che è la cosa più importante. L'emigrazione è una cosa bruttissima sia per chi parte sia per i familiari rimasti soli in casa. Io provo molto dispiacere per tutto questo e spero che nessuno mai debba lasciare la famiglia per andare a lavorare altrove anche se qui da noi è molto difficile vivere. La nonna mi racconta con le lacrime agli occhi, poiché il nonno è morto da tanto tempo colpito da un tumore allo stomaco, che quei momenti trascorsi insieme erano bellissimi e felicissimi. Raccolti davanti al caminetto il nonno raccontava i fatti belli e tristi che gli erano capitati sul lavoro. Mia nonna continua a raccontarmi che quei giorni anche se erano felici, nel suo cuore c'era tanta tristezza perché pensava al giorno in cui suo marito sarebbe ripartito. Longo Stefania 5° A- Aiello C. 1° Premio *** Abbiamo parlato tante volte sia in famiglia che con i nonni del problema dell'emigrazione, in tante occasioni, specialmente in questi ultimi periodi dove ogni giorno assistiamo ad una immigrazione nel nostro paese da parte di tanti profughi. I nonni mi hanno raccontato tante cose; dal giorno della partenza dove amici e parenti si stringevano e si addoloravano per quel distacco e sia per quello che hanno dovuto affrontare al momento dell'arrivo al paese straniero. I miei due nonni, dei quali uno è vivente e l'altro non ho avuto la fortuna di conoscerlo, sono dovuti partire per paesi stranieri in cerca di lavoro. Il nonno Alberto che è vivente, ma gravemente ammalato, è stato in Africa, in Inghilterra e in Francia. Il nonno Pietro che non c'è più è stato in Canada. Il nonno Alberto in Africa lavorò come operaio nella costruzione di strade e ferrovie in quanto in quei luoghi ancora non esistevano. Poi scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e dopo aver fatto sei anni in guerra partì per l'Inghilterra dove lavorò in una fattoria. Ritornato, partì per la Francia, dove lavorò come minatore in una miniera di carbone. Questo lavoro non durò molto perché ebbe un

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incidente e restò invalido di una gamba. Il nonno Pietro partì per il Canada lavorando nelle foreste vergini e nella costruzione di strade e ferrovie. Tornato in Italia lavorando nella sua proprietà cadde da un albero e dopo tanto tempo in ospedale morì. Il tempo libero per entrambi era come fare un secondo lavoro. Infatti finite le ore del lavoro principale, facevano altri lavoretti per cercare di guadagnare più soldi per poi mandarli alle proprie famiglie e anche perché un giorno tornando in Italia i soldi sarebbero serviti per comprare terreni o case in modo che non ci sarebbe stato più bisogno di emigrare. Solo qualche pomeriggio di domenica, veniva trascorso andando al cinema o al bar o a fare una partita a carte. Le difficoltà sono state tante: dalla mancanza di soldi che servivano per affrontare il viaggio di ritorno o a restituirli con gli interessi alle persone che glieli avevano prestati, alla lingua di quella nazione che era del tutto a loro sconosciuta. I primi tempi riuscivano a farsi capire sia sul lavoro che nella vita quotidiana comunicando con gesti o servendosi dei compaesani che erano emigrati prima di loro e facevano da interprete. Altre difficoltà erano quelle di abituarsi alla temperatura più rigida della nostra, alla cucina locale e alle nuove norme che esistevano in quella nazione. I sacrifici non erano solo di chi emigrava ma anche di chi restava: moglie e figli. Le nonne mi raccontano che essendo rimaste sole con i figli non è stato facile sopravvivere. Rimaste senza soldi, perché erano state impegnate per la partenza dei nonni, si sentivano come se fosse loro crollato il mondo addosso. Ogni giorno che passava si viveva con la speranza di ricevere qualche buona notizia. Per arrivare una lettera passavano circa dieci giorni. Tutti i compiti della famiglia erano sulle spalle delle nonne: si preoccupavano a procurare il cibo per i propri figli rimasti orfani di padre vivente, a educarli mandandoli nella scuola pubblica e dare loro quella sicurezza che solo il loro papà poteva dare. Le giornate le trascorrevano lavorando duramente nei campi; allevando animali come mucche, pecore e capre dalle quali ricavavano il latte per i figli, inoltre allevavano animali da cortile e avevano molta cura per l'asino che era utilissimo per il trasporto di cose e persone. La sera era il momento in cui si sentiva di più la mancanza del capo famiglia, ma le nonne sapevano dare sicurezza ai figli, rassicurandoli dicendo loro che sarebbero tornati presto e che avrebbero portato loro cioccolate e tanti regali. Li mettevano a letto raccontando loro tante favole e piano piano si addormentavano. Molte volte alcuni lavori venivano trascurati specialmente quando qualche bambino si ammalava. Per portarli dal medico che era in paese, si doveva andare a piedi con il bambino in braccio e si impiegava mezza giornata. Molte volte succedeva che il medico doveva tenere sotto controllo il bambino per una notte. Le nonne ancora oggi ringraziano la brava gente del paese che dava loro ospitalità. Raccontano anche che non tutte hanno avuto la fortuna di riabbracciare i propri mariti. Qualcuno ha avuto la disgrazia di morire sul lavoro, altri come il nonno Alberto di tornare invalido, altri non sono più tornati abbandonando le loro famiglie e magari creandosene un'altra nel nuovo paese. Tutto questo procurava un grande dolore a quella famiglia che aspettava con ansia il marito per trascorrere una vita tranquilla e serena. Oggi questo, al contrario di allora succede raramente anche perché quando una persona emigra porta con se la propria famiglia. Io spero che arriverà un giorno in cui nessuno debba emigrare perché al solo pensiero di andarsene dal proprio paese è triste e desolante. Vedere in T.V. tutti questi profughi provo una grande emozione e un forte dolore. Raccontando tutto ciò ho provato tanta tristezza e ho capito che ci sono state tante famiglie che hanno sofferto molto e che hanno dovuto lavorare duramente per sopravvivere. Io spero che l'emigrazione sia solo un ricordo che non si avveri più. Mi auguro che tutti stiano insieme uniti e felici in tutte le parti del mondo. L'emigrazione Te ne sei andato

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lasciando la terra dove eri nato ma il tuo cuore e nel tuo passato nella terra che hai sempre sognato. Da quando sei tornato non ti è rimasto altro che il ricordo di una triste emigrazione. Pucci Daniele Anna 4° A -Aiello C. 2° Premio *** In una sera di pioggia davanti al focolare ho chiesto alla nonna se qualcuno della famiglia fosse emigrato. Lei mi ha risposto che tante persone della sua famiglia sono emigrate, ma colui che ha fatto il viaggio più lungo è stato mio nonno Carmine che è emigrato in Germania nel 1943. Il giorno in cui è partito con il treno tutti erano preoccupati per il viaggio e avevano paura che non ritornasse mai più vivo nel suo paese. Mio nonno quando è partito ha portato con se due paia di scarpe, molto cibo, del denaro delle maglie e dei calzini di lana che gli aveva fatto mia nonna. All'epoca le valige erano delle scatole di cartone legate con un grosso spago. In viaggio era costretto a dormire nei corridoi del treno insieme a tanti altri emigranti perché non si potevano permettere un vagone letto. Durante il giorno non mangiava nel vagone ristorante in cui pranzavano le persone ricche, ma mangiava un po' di pane con salame ed altre cose che aveva messo in valigia. Durante il viaggio fece tantissima amicizia, fra cui una persona che divenne il suo migliore amico. In treno faceva molto freddo e stavano tutti vicini per farsi calore con il loro corpo. Il giorno in cui mio nonno è arrivato in Germania si sentiva disorientato per la lingua, le usanze diverse e per tanti altri problemi della vita quotidiana. Viveva nella stessa abitazione del suo amico. Trovarono lavoro in una miniera di carbone e lavoravano molto. Lavorando in questa miniera hanno imparato molte cose pratiche. Infatti per sapere se l'ambiente era pieno di un gas chiamato "grisù" portavano in gabbia un canarino che tenevano sotto osservazione. Se il canarino dava segni di stordimento significava che il gas stava invadendo la galleria. Così si dava l'allarme e gli operai potevano evacuare. Nella miniera c'era molto caldo e anche molto buio infatti dovevano portare le lanterne per potere lavorare. Il nonno ha imparato anche che il carbone veniva tagliato a fette da piccole macchine e poi trasportato con dei carrelli fino alla superficie della galleria. Scriveva tutti i mesi una lettera ai familiari mettendo nella busta una piccola parte della sua paga. Il suo tempo libero lo passava facendo corsi di lingua tedesca. Mia nonna rimasta sola in Italia aveva tante responsabilità: accudire i figli, mandarli a scuola e tanti altri lavori. Il tempo libero lo passava coltivando la terra. Le figlie quando mia nonna zappava stavano con le nonne specie quando dovevano fare il bucato. Allora i panni si lavavano ai torrenti o alle cibbie. Si partiva all'alba e si rientrava a tarda sera quando il bucato lavato e steso sui rami era asciutto. Mia nonna mi racconta che la vita era molto dura, tutto quello che c'era in casa era frutto del suo sudato lavoro, non si buttava via niente. Con l'olio e il grasso usato in cucina faceva il sapone. D'estate raccoglievano i frutti e facevano le marmellate e il miele di fichi che conservavano per Natale, per atturrare i turdilli. Al nonno queste cose piacevano moltissimo e la nonna vi dedicava tanto tempo con amore. Io spero che non si ripetano più i tempi di allora, perché è brutto dover lasciare la propria famiglia. Emigrazione è una

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parola da dimenticare, perché ha fatto soffrire tanta povera e umile gente. Mio nonno tornò a casa dopo venti anni di lavoro lontano dalla famiglia che non avvisò del suo arrivo perché voleva farle una sorpresa. Trovò le figlie cresciute e molto belle e tante altre cose cambiate. Il nonno ora è morto e ciò mi dispiace. L'emigrazione "Un vecchio ricordo" "Emigrazione" una parola senza fine una parola di dolore e di tristezza una parola che ti risuscita il passato di fame, di stanchezza e di lavoro. "Emigrazione" un vecchio ricordo un'infanzia senza gioie e affetti la povera gente si è fatta forte ma non è riuscita a dimenticare questa vecchia parola "Emigrazione" e noi bambini, adulti zii e parenti di adesso vogliamo dire con forza addio vecchia parola "Emigrazione" Coccimiglio Maria Teresa 5°A - Aiello C. 3° Premio *** Il nonno paterno, si chiama Aloe Filippo, ha 65 anni ed è stato emigrante dal 1956 al 1997. E' partito per andare in Germania perché in Calabria c'era molta disoccupazione. Appena arrivato ha provato rabbia e tanta tristezza. Sul posto di lavoro veniva trattato bene però trovava difficoltà nella lingua. Quando è ritornato io sono stata molto felice perché rivedevo mio nonno dopo tanto tempo. Maria Aloe 3°C - Serra d'Aiello

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*** La partenza I figli partivano per trovare lavoro i genitori piangevano e le lacrime cadevano come cascate piene di tristezza. Filippo Aloe 5°C - Serra d'Aiello *** Il nonno paterno è emigrato nel 1959 in Germania in cerca di qualche lavoro per mantenere la propria famiglia. Quando è arrivato si sentiva a disagio e sentiva nostalgia di casa e della famiglia, ma dopo con i suoi amici si è tranquillizzato ed è diventato più allegro. Sia i compagni di lavoro, sia la popolazione locale lo hanno trattato bene. La domenica usciva per il paese con i suoi amici e si divertiva un po'. Io penso che gli emigranti erano stanchi, ma dovevano sempre lavorare per migliorare le condizioni della famiglia. Sabrina Aloe 4°C - Serra d'Aiello *** Ho parlato dell'emigrazione con mia nonna durante una conversazione sul lavoro. Mi ha raccontato della solitudine, della lontananza e del duro lavoro. Fra i miei familiari mio nonno è stato in Germania con i miei zii e ha lavorato in una fabbrica della carta e da manovale. E' stato in Germania dal 1960 al 1970. Le difficoltà incontrate sono state: la lingua, il freddo e una mentalità diversa dalla sua. Le donne rimaste a casa accudivano i figli e sbrigavano tutte le altre faccende della vita quotidiana. Passavano il loro tempo libero lavorando a maglia e all'uncinetto. Di sera si riunivano davanti al focolare e raccontavano storie e il tempo trascorreva scherzando. Infatti c'era molta unione fra i vari gruppi di donne rimaste da sole. L'emigrazione a parer mio è un fenomeno molto brutto. Porta le persone ad allontanarsi dalle proprie famiglie e dalle proprie cose per andare incontro a realtà, tradizioni e costumi diversi. Fa nascere il sentimento della nostalgia e della tristezza, rendendo le persone socialmente disorientate. L'emigrazione dovrebbe cessare e ogni capo famiglia dovrebbe restare nella propria casa. Aloisio Ivan 4°A - Aiello C. ***

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Nel lontano 7 Aprile 1956 mio nonno è emigrato in Francia a Chamonix, un cittadina della Francia, famosa località turistica estiva ed invernale delle Alpi, perché in Italia non ha trovato lavoro e doveva mantenere la sua famiglia che era composta da tre persone fra cui una bambina di un anno. Egli il primo giorno provò tanta nostalgia di casa, gli mancava tanto la sua sposa, la sua bambina e i suoi genitori poveri contadini. Mi ha raccontato anche che sul posto di lavoro veniva trattato come un fratello e questo lo aiutava ad eseguire il duro lavoro che ha svolto per ventidue anni. Partiva ad aprile e ritornava a settembre nel suo paese dove, durante l'inverno, coltivava la terra. I suoi rapporti con la popolazione locale i primi tempi, furono difficili, perché il nonno non conosceva il francese, ma dopo averlo imparato fece tanta amicizia. Ricorda ancora oggi quando per la prima volta andò sul Monte Bianco ed ebbe modo di vedere tanta neve che egli non aveva mai visto. Vanessa Berardone 5°C - Serra d'Aiello *** Io sono emigrato nel 1978 in Germania, all'età di 17 anni per motivi di lavoro. Andai ad abitare da mia sorella trovando lavoro in un ristorante italiano per quaranta giorni. Poi sono andato a lavorare in un cantiere di costruzioni: all'inizio da manovale, poi da carpentiere e in seguito autista dell'autogrù. Dopo un anno gli amici mi convinsero a cambiare lavoro e andai in una fabbrica della BMW dove mi sono trovato bene, così ho deciso di sposarmi nel 1981 portando anche in Germania mia moglie. Nel 1984 è nato il mio primo figlio. Con i soldi risparmiati facendo economia ho comprato un pezzettino di terreno nel comune di Cleto ed ho iniziato a costruire la casa. Nel 1992 decisi di tornare definitivamente in Italia nella casa che avevo costruito. Però dopo otto anni sento la nostalgia della Germania e precisamente della città di Monaco di Baviera che è una città bellissima e molto pulita. Bennardo Mariangela Classe 4° B, Cleto *** Il nonno paterno è emigrato in Germania nel 1960, perché nel suo paese non c'era lavoro. Il primo giorno ha provato molta solitudine. Le persone di quel luogo lo trattavano bene perché sapeva un po' la loro lingua e le loro tradizioni. Io penso che mio nonno abbia fatto bene ad andare in Germania per lavorare e mantenere la famiglia. Ha dovuto fare molti lavori e sacrifici. Io spero che le persone di oggi possano trovare lavoro vicino casa. Bernardo Fabiano Classe 4° C, Serra d'Aiello *** Io ho parlato dell'emigrazione con mio nonno Fausto e mia nonna quando abbiamo visto tutto quelle persone che dall'Albania venivano in Italia in cerca di fortuna.

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Mio nonno mi ha raccontato che negli anni '60 nel suo paese non c'era lavoro, oppure era poco e mal pagato. Perciò mio nonno, dato che era sposato, per poter mantenere la famiglia decise con dei suoi amici di emigrare in Germania. Appena arrivato in Germania trovò lavoro in una fabbrica di carta, però dopo pochi mesi fu licenziato. Allora trovò lavoro con una ditta di costruzioni. Mio nonno mi ha raccontato che di giorno lavorava e di sera stavano nelle baracche che la ditta aveva costruito per farli dormire. I primi giorni trovò molte difficoltà, sia per il freddo, sia perché non conosceva la lingua, ma molto di più per la lontananza dalla famiglia. Mia era rimasta molto male per la partenza del marito, essendo rimasta sola con i bambini; però sapeva benissimo che mio nonno era emigrato per poter mantenere la famiglia e mettere da parte dei soldi, che le spediva tutti i mesi e che la nonna conservava con molta cura. Lei, oltre ad accudire la famiglia, lavorava nei campi. Mio nonno mi ha anche raccontato che c'era anche chi rimasto per molti anni in Germania e conosciuto un'altra donna si era fatto un'altra famiglia, anche se continuava a mantenere la propria. Io penso che nel paese in cui sono nato questo fenomeno non ci sia più, anche se molte persone si spostano nelle città del Nord. Infine penso che mio nonno abbia avuto un grande coraggio ad abbandonare la propria famiglia e il proprio paese per andare in un Paese straniero. Mi auguro che tutto questo non succeda più e che ognuno possa trovare lavoro nella sua città e stare vicino alla sua famiglia. Bernardo Fausto 5° A, Aiello C. *** Mio nonno materno si chiama Pietro Guido ed ha 77 anni, per ragioni di lavoro dovette emigrare. Andò in Inghilterra e in America con la nave impiegando molti giorni. Il viaggio fu disastroso e per soddisfare la fame consumava quelle poche cose che aveva messo in valigia. Ha incontrato molte difficoltà specialmente nella lingua e nel trovare un lavoro. Ogni mese spediva una parte del guadagno a sua moglie, ma non erano sufficienti e mia nonna doveva lavorare la terra. Lasciava le figliolette ai vicini e con la cesta sulla testa carica di verdure arrivava a piedi ad Aiello. Con i soldi che ricavava comprava le medicine e qualche metro di stoffa per fare i vestiti e le lenzuola. Un giorno all'improvviso arrivò il nonno e decise di ripartire in America con la famiglia. Qui la nonna con le figlie trovarono all'inizio molte difficoltà, ma con il passare dei mesi si abituarono alla vita americana. Stettero in America per tanti anni, fecero tanti sacrifici ma poi tornarono con tante soddisfazioni. Oggi mio nonno ha 77 anni, è pensionato e vive con la nonna a Giani. Bifano Giuseppina 4° A, Aiello C. *** Il nonno da giovane è emigrato in Germania e ha fatto l'operaio con una ditta di costruzioni. Lavorando in Germania si è costruito una casa, ha cresciuto sette figli e poi si è comprato anche la macchina. Dopo aver lavorato circa quaranta anni è ritornato in Italia perché aveva problemi di salute. Adesso è pensionato e lavora nella sua proprietà. Io spero che quando mi sposerò e avrò un figlio non dovrò mai partire all'estero.

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Bossio Alessandro 4° A, Aiello C. *** Ho parlato con i nonni, con gli zii e con i genitori dell'emigrazione. Li ho interrogati molte volte e ho chiesto loro soprattutto dei particolari. Inizialmente non sono stato molto colpito da questo nuovo compito, ma dopo sono stato affascinato dall'argomento. Mio nonno partì nel 1950 per il Canada e tornò nel 1953. Partì su una nave, aveva una giacca, quattro fichi, un pezzo di pane e delle calze di lana molto pesanti perché si consumavano di meno. Quando la nave salpò c'era tutta la famiglia, come altre, che salutava il proprio capo famiglia con i fazzoletti bianchi. In Canada il nonno dormiva nei vagoni del treno e mano mano che il treno si muoveva andava con esso, perché lavorava nella ferrovia che andava da Ste. Marie fino a Quebec, attraversando foreste che lo facevano sentire minuscolo, con alberi secolari e giganteschi. Le difficoltà maggiori sono state per la lingua, dato che si parlava sia il francese che l'inglese. Lavorava 12 ore al giorno, dal lunedì al sabato e qualche volta anche la domenica. Purtroppo quando mio nonno tornò dal Canada trovò una brutta notizia. Quando partì nel 1950 lasciò a mia nonna due figlie e un figlio maschio in grembo. Il bimbo nacque il 4 novembre 1950, però mia nonna si accorse che dormiva sempre. Fattolo visitare dal medico venne a sapere che aveva una lesione celebrale. Nonostante le cure il piccolo Raffaele si spense all'età di 4 mesi e 9 giorni. Il nonno non ha mai conosciuto questo figlio e per questo fatto promise di non emigrare più per restare con la famiglia. Però per ragioni economiche dovette di nuovo emigrare in Germania e in Valle d'Aosta. Il nonno andò in Germania nel 1961; qui ha vissuto e lavorato a Monaco di Baviera come operaio stradale. Trovò alloggio in un piccolo appartamento che divideva con i suoi amici e a turno facevano le faccende domestiche. Mia nonna mi ha raccontato che non spendeva tutti i soldi che il marito le spediva, ma una parte la conservava all'ufficio postale comprando "buoni fruttiferi". Mio nonno tornava in Italia ogni sette mesi. Nel 1965 tornò in Italia e restò in Calabria per 3 anni e poi emigrò in Valle d'Aosta nel 1968. Mia nonna dovette, da sola, crescere i figli fino al 1974, anno in cui mio nonno tornò in Italia. La mattina si alzava molto presto per mungere le mucche e per dare il latte ai propri figli; inoltre coltivava il terreno dove produceva grano, granturco e ortaggi e pascolava anche le pecore e le mucche. Due volte alla settimana faceva il bucato: questa era un'operazione molto difficile perché non c'erano i mezzi che ci sono oggi: lavatrici e sbiancanti. Al posto dello sbiancante usavano la lissìa fatta con cenere ed acqua bollita. Per farla si prendeva la cenere del focolare, si faceva bollire e poi si faceva colare su una cesta dove erano posti i panni. Per fare il sapone prendevano potassio, grasso, acqua e il tutto veniva bollito. La vasca detta in dialetto cibbia era nella piccola proprietà di mia nonna, i panni lavati venivano stesi sui rami delle viti. Per il bucato mia nonna impiegava una giornata. Qualche volta aiutava i vicini per la raccolta delle foglie del gelso per il baco da seta. Secondo me l'emigrazione è una parola che solo a sentirla fa paura per una persona che forse non tornerà più. Molti emigrati hanno cercato di farsi un'altra famiglia lontano dall'Italia. Dell'emigrazione si è parlato in molti film come "Terra Nostra". L'emigrazione

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Emigrazione, una parola così lunga quanto la nostalgia di chi parte e il dolore di chi resta. Emigrazione, un pianto soffocato di un bambino che grida: <<Quando torna papà?>> Emigrazione, sofferenza di una famiglia che vive nella speranza di un futuro migliore in un altro Paese forse più generoso. Bossio Astorino 5° A, Aiello C. *** Il mio papà si chiama Celestino Briglio, è stato anch'egli emigrante. E' andato in Francia a Parigi. Il primo giorno di lavoro è stato buono perché c'era suo fratello. Il mio papà è partito all'età di 17 anni e gli è stato molto difficile capire la lingua francese, ma alla fine dell'anno egli era felice perché gli davano soldi in più come una specie di regalo di Natale. Briglio Damiano 5° C, Serra d'Aiello *** Il mio bisnonno materno è partito dopo la guerra, negli anni '60, in Germania. Il primo giorno ha provato dispiacere per la lontananza da casa. Sul posto di lavoro è stato trattato bene dai tedeschi perché aveva trovato un gruppo di amici a lui molto simpatici e perché aveva imparato la loro lingua. Spero che nei prossimi anni in Calabria ci sia più lavoro e più abitazioni, così i giovani potranno rimanere con la propria famiglia. Caputo Debora 4° C, Serra d'Aiello *** Mio nonno si chiama Pietro ed ha 70 anni. E' emigrato nel 1962 in Germania dove faceva il manovale. Mangiava il cibo che si portava dall'Italia. La vita era dura, ma era contento perché un giorno i suoi sacrifici si sarebbero trasformati in felicità. Mia nonna lavorava la terra ed è rimasta ad Alzinetta con 6 figli molto piccoli. Mio nonno ha lavorato anche in Sicilia e nel tempo libero doveva provvedere alle sue cose. Ha trovato un po' di difficoltà nella lingua, ma c'erano gli amici che traducevano il suo dialetto calabrese in dialetto siciliano. Quando mio nonno tornava a casa lavorava la terra. La vita sia per mio nonno che per mia nonna è stata molto dura. Il nonno mi ha raccontato tutto ciò con le lacrime agli occhi. Era commosso quando gli venivano alla mente tanti tristi ricordi. Dell'emigrazione penso che è stato un brutto ricordo per quelle famiglie che hanno dovuto vivere quei momenti senza il marito o il papà.Mi sono rattristata perché mia nonna è dovuta restare a casa da sola con i suoi figli ed ho provato tanto sconforto.

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Caputo Francesca 4° A, Aiello C. *** D'inverno, davanti al camino con mio nonno ci siamo seduti e mi ha raccontato tutto sulla sua emigrazione. E' andato in Francia dove ha fatto il muratore. Era sempre triste perché i francesi non sopportavano gli italiani. Pensavano che noi emigranti potevamo togliere loro del lavoro. Il suo era un lavoro faticoso perché doveva lavorare dalle 6 del mattino fino alle ore 16. Quel poco di tempo libero che aveva lo trascorreva dormendo perché era molto stanco. La sua difficoltà era una sola: stare da solo in Francia, infatti aveva il desiderio di vedere sua moglie e i suoi figli. Quando i mariti emigravano le povere mogli dovevano badare alla casa, ai figli e alla terra. I figli crescevano senza aiuto del papà e ogni sera chiedevano alla mamma quando potevano riabbracciare il loro papà. La mamma per tranquillizzarli rispondeva: arriverà tra giorni e vi porterà tanti regali. Ogni giorno, mi racconta la nonna, doveva inventarsi una risposta nuova e tutto ciò per lei era molto triste. La nonna, per guadagnare anche lei qualche soldo, coltivava la terra e allevava animali. Raggiungeva con l'asino Aiello dove vendeva le sue cose per le vie del paese. Io penso che l'emigrazione sia stata per mio nonno una brutta esperienza. Oggi a distanza di molti anni il nonno mi racconta che è meglio mangiare pane e cipolla che dover partire e abbandonare la casa e la famiglia. Cerbiatto Arturo Classe 4° A, Aiello C. *** Io ho parlato con la nonna e mi ha raccontato che il nonno Chiarello Orazio è emigrato in Canada da giovane. E' partito con l'aereo nel 1963. La vita molto dura lo convinse un giorno a ritornare in Italia. Le sue condizioni di salute erano precarie. La nonna e i figli erano contenti di avere accanto il capofamiglia anche se i soldi non bastavano. I nonni lavoravano la terra e da essa ricavavano tutto ciò che serviva loro. Io voglio studiare per trovare un lavoro in Italia e godermi la mia futura famiglia. Un giorno molto felice Ti ho visto arrivare sopra i monti, io correvo, correvo, correvo ti raggiunsi, mi dicesti ciao e con gli occhi lucidi guardando il sole dicesti al cielo "Non temere, qualche giorno ritornerò." Chiarello Antonietta Classe 5° A, Aiello C.

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*** Nei tempi passati la parola "emigrazione" è stata conosciuta in tutti i paesi, in tutte le campagne e in tutte le famiglie. Anche i miei nonni materni sono dovuti emigrare per avere un futuro migliore. Adesso il nonno non c'è più, ma la nonna mi ha raccontato la loro storia. Era l'anno 1953 e il nonno era fidanzato con la nonna, ma dovette emigrare in Venezuela. Qui non si fermò a lungo perché non c'era molto lavoro e ritornò in Italia e si sposò. Nel 1956 il nonno prese la valigia e con la nonna partirono in Francia. Il nonno era bravo a lavorare il ferro e trovò lavoro in un cantiere. In Francia c'era molto freddo ed hanno trovato tante difficoltà, infatti il nonno doveva andare a lavorare a piedi e camminare con il freddo e la neve, ma nello stesso tempo era contento perché cercava di realizzare il sogno della sua vita: mettere da parte i soldi e ritornare in Italia per costruirsi la casa tanto desiderata. Dopo anni riuscirono a realizzare il loro sogno. Le donne rimaste da sole con i bambini, vivevano nelle campagne dove coltivavano la terra e allevavano animali da cortile. Durante la settimana andavano al fiume per lavare i panni; anche i bambini aiutavano le mamme. La mattina andavano a scuola, mentre nel pomeriggio pascolavano le pecore, trasportavano l'acqua e accudivano gli animali. Le donne dovevano portare avanti la famiglia da sole e tutto ciò veniva capito dai figli più grandi che aiutavano il più possibile la madre. Nonostante ciò alcune donne venivano abbandonate dai mariti perché questi emigrando incontrarono altre donne e dimenticavano al propria famiglia. Le povere mogli incominciavano a capire ciò dal fatto che i mariti scrivevano sempre più di rado, fino a fare perdere le loro tracce. Io ho riflettuto a lungo sull'emigrazione ed ho capito che nei tempi passati la vita era molto dura. L'emigrazione era l'unica ancora di salvezza che c'era in Italia, anche i ragazzi di 18 anni già imparavano la parola emigrazione. Tutte le esperienze vissute dalla nostra gente suscitano in me sentimenti di speranza e di tenacia, in quanto le persone che prendevano questa decisone erano indubbiamente persone forti, perché avevano il coraggio di imbarcarsi per andare a cercare lavoro per una vita migliore. Erano talmente fiduciosi e pieni di buone speranze che ignoravano gli ostacoli che potevano trovare nel loro nuovo cammino. Cicero Lorena Classe 4° A, Aiello C. *** Il nonno materno è partito nel 1960 in Germania per fare stare bene la famiglia. Il primo giorno ha provato grande emozione perché non sapeva parlare la lingua, ma i tedeschi l'hanno trattato bene. Egli pensava sempre alla sua famiglia Cicchello Emanuele Classe 3° C, Serra d'Aiello ***

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Il nonno paterno è partito per la Francia nel 1974. Fin dal primo giorno è stato trattato bene. In Francia c'è stato per molto tempo. Egli pensava molto alla sua famiglia ed era triste perché si trovava lontano da casa. Cicchello Natalia Classe 3° C, Serra d'Aiello *** Un giorno mentre pranzavamo tutti insieme ho chiesto al nonno che mi parlasse della sua emigrazione. Mi ha raccontato che le condizioni della sua famiglia erano misere. Egli era molto giovane e vedeva alcuni della sua età che vivevano in un ambiente e in condizioni economiche più agiate delle sue. Il lavoro mancava e i soldi in casa scarseggiavano. Un giorno per questi motivi, con tristezza e dolore ha deciso di lasciare i propri cari e la propria terra, trovando inizialmente dei lavori stagionali all'interno dell'Italia. Fece un ragionamento intelligente: io mi allontanerò per tre mesi all'anno, così avrò la possibilità di stare accanto ai miei familiari per gli altri mesi. Così all'età di 21 anni partì per Catanzaro dove raccoglieva la frutta. Fattosi più grande decise di emigrare in Libia. Qui trovò subito lavoro come contadino in una grande fattoria; in seguito andò in Sud Africa dove lavorava come autista e come manovale. Da qui si trasferì in Inghilterra dove per tre anni ha costruito capannoni. La paga era molto bassa e ogni 12 mesi riusciva a mandare poche migliaia di lire con le quali la mamma poteva fare gli acquisti di prima necessità. Mio nonno ha trovato tantissime difficoltà: nella lingua, nelle abitudini e nel clima. Ho chiesto come trascorreva il tempo libero ed egli mi ha risposto che o passeggiava o stava nelle tende al riparo dal sole o imparava la lingua. Le donne rimaste in casa trascorrevano il loro tempo libero accudendo i bambini, lavorando nei campi, filando la lana e lavando i panni alle "cibbie" con la "lissia". Allora non c'era quasi niente e il poco cibo lo dovevano consumare in unico piatto. Mio nonno è ritornato all'età di 27 anni, ha conosciuto mia nonna che sposò nel 1948. Da allora stettero insieme, il nonno non partì mai più e lavorava la terra. Ormai sono pensionati e ringraziano il Signore di quello che posseggono. Io ho la fortuna di avere due nonni splendidi che mi vogliono tanto ben. Io spero che un domani non dovrò emigrare per non soffrire. Un triste saluto Era arrivato il giorno della partenza tutto era triste. Si doveva lasciare la famiglia per andare a guadagnare due soldi. Non c'era niente si sapeva quando si partiva non si sapeva quando si ritornava. Non c'era il telefono si doveva solo scrivere Passavano giorni, mesi e anni i figli crescevano e aspettavano invano

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la sera davanti al camino l'arrivo del loro papà Coccimiglio Fiorina Classe 5° A, Aiello C. *** Mio nonno paterno Antonio è dovuto emigrare in Eritrea insieme ad alcuni nostri parenti per fare il muratore. Si è imbarcato nel 1936 con una nave e in Africa ha costruito delle abitazioni e anche delle moschee. Soffriva molto il caldo, però sul posto di lavoro veniva trattato molto bene dagli africani ed egli quando era stanco poteva riposarsi e mangiare qualcosa prima di ricominciare a lavorare. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale venne richiamato e lasciò il suo posto di lavoro. Egli morì nel 1989. Io penso che in Africa, che è un luogo caldo e arido, mio nonno, abituato al clima calabrese, ha sofferto molto per questo e ha dovuto superare molte difficoltà. Coccimiglio Francesco Classe 4° C, Serra d'Aiello *** Io ho parlato con i miei nonni dell'emigrazione soprattutto quando si stava a tavola per pranzare o cenare e quando noi rifiutavamo qualcosa la nonna ci diceva e ci rimproverava con queste parole: per un pezzo di pane tuo nonno fu costretto ad andare di qua e di là in cerca di fortuna. Mi hanno raccontato che da giovani, la vita era molto dura e la gente doveva emigrare molto lontano per trovare lavoro, lasciando a casa la famiglia con tanto dolore. Pur di lavorare accettavano qualsiasi lavoro anche molto pericoloso. Lavoravano nelle miniere e nella costruzione di ferrovie anche se la paga era molto bassa. Mio nonno non aveva un lavoro fisso, faceva tutto ciò che gli veniva offerto. Raggiunse la Germania con il treno stando quasi sempre in piedi o seduto nei corridoi sulla sua valigia. Il desiderio di lavorare era tanto che non pensava alle fatiche del viaggio. In Germania ha trovato difficoltà specie nella lingua e nel clima. Il nonno si sacrificò per molti anni stando lontano da casa, ma quando ritornò le condizioni economiche della famiglia migliorarono. Mio nonno Emilio ora è morto. Dopo aver scritto tutto ciò penso che l'emigrazione sia una brutta cosa perché porta a dividere i componenti della famiglia. Coccimiglio Maria Classe 5° A, Aiello C. *** Io ho parlato dell'emigrazione con mio nonno di nome Coccimiglio Salvatore una sera mentre cenavamo. Mio nonno è partito per la Germania con il treno nel 1963. C'è stato per 18 anni, a volte veniva a novembre e ripartiva a marzo. Abitava nella casa della ditta e pagava l'affitto che era di 18 marchi al mese. Ogni mese guadagnava 250 marchi e una parte li spediva alla moglie che li depositava nell'ufficio postale.

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Anche mio padre è stato in Germania per un anno. Egli non aveva mai tempo libero e trovò difficoltà per la lingua e per il clima. Mia nonna restava molto sola, la mattina si alzava molto presto perché doveva coltivare il terreno, e accudire i bambini e gli animali. Nel pomeriggio andava alla vasca a lavare i panni con la lissìa, tagliava la legna, rattoppava gli indumenti e si recava al fiume per riempire le cùcume di acqua. Anche lei, poverina, faceva una vita da cani. Quando mio nonno ritornò in Italia la gioia dei miei cari fu immensa. Arrivò con un fazzoletto di soldi sufficienti per costruire una piccola casa ad Acquafredda e donare una vita comoda ai figli. Io penso che l'emigrazione sia una cosa positiva, anche se ci si doveva allontanare dalla casa e dalla famiglia perché poteva dare un futuro migliore ai propri cari. Un giorno molto triste Era una mattina d'estate ti sei alzato e mi sei venuto a salutare perché dovevi partire. Io piangevo ma tu mi dicesti: "Io ritornerò". Avevi detto una bugia perché non sei più tornato. Coccimiglio Romina Classe 5° A, Aiello C. *** Cara Diana te scrivu ppe te dire cca staju passandu na vita de canj e duarmu intra na vecchia turra de lignu. Duname tanti vasuni allj figli e a tie nu abbrazzu strittu strittu u tuo caru maritu Cuglietta Oreste. Te vuagliu tantu bene a priastu. Questa è una delle poche lettere che il nonno è riuscito a trovare tra i suoi ricordi. Ma ne è così geloso che le tiene custodite segretamente. Questo perché sono indirizzate alla propria moglie che ora non c'è più. Ho ricopiato integralmente ciò che lui scriveva a nonna Diana negli anni '60. Ho parlato dell'emigrazione in tante occasioni e i miei familiari mi hanno raccontato molte cose. Mio nonno Oreste Cuglietta è stato in Germania dove svolgeva un lavoro molto duro, il minatore in una miniera di carbone. Incontrò molte difficoltà come il freddo, la lingua, la lontananza dalla famiglia e la povertà. Partì nel 1960 all'età di 28 anni. E' partito con i vecchi treni che andavano a carbone e per arrivare impiegò molto tempo.

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Era molto triste perché pensava sempre ai suoi figli che non poteva abbracciare e doveva sopportare tutto ciò perché doveva guadagnare i soldi per mandarli in Italia. Mio nonno viveva in una baracca, dove c'erano sedie e letti vecchi e rotti e un tavolo pieno di ragnatele. Mancava l'acqua e non c'era nessun tipo di riscaldamento. In Germania trovò amici sia buoni che cattivi e dispettosi. Comunicava con la famiglia ogni mese, facendosi scrivere le lettere dai suoi amici perché non sapeva né scrivere né leggere. Mangiava soprattutto patate, pane e fagioli in scatola e usava molto strutto perché gli dava energia e calore. Nella miniera lavoravano 57 operai che lavoravano giorno e notte. Le miniere erano larghe e lunghissime e nell'interno faceva così caldo che i lavoratori qualche volta svenivano e dovevano stare anche d'inverno a torso nudo. Ognuno svolgeva il suo compito ed erano controllati dai capi, chi non lavorava veniva licenziato immediatamente. Mia nonna mi racconta che la sua vita senza il marito è stata brutta con dispiaceri e tante preoccupazioni. Lei da sola doveva mandare avanti la famiglia, i bambini andavano a scuola con le cartelle di cartone e con i vestiti vecchi e rotti. Il tempo lo passava coltivando il terreno e allevando gli animali. Mia nonna mi ha detto che il nonno non l'ha mai abbandonata, anzi la pensava sempre ed era come se fosse presente in Germania con lui. Io dell'emigrazione penso che sia stata una cosa molto brutta per chi l'ha vissuta in prima persona come mio nonno. Sono dispiaciuta per tante altre persone emigrate che purtroppo non sono più tornate a causa di incidenti sul lavoro. Io sono grata a mio nonno di aver sacrificato la sua vita per la sua famiglia. Mi emoziono tanto ancora oggi quando mio nonno mi racconta questa sua storia e ringrazio Dio che è finita bene. L'emigrante Parte per raggiungere la stazione con un vecchio vestito e una valigia rossa di cartone. Guarda indietro e pensa che ha lasciato in pena la sua cara e i nipotini dietro il vecchio muro per la partenza sconsolata e amara. In tasca ha poche lire e un passaporto. Pensa alla sua umida baracca e al lavoro massacrante che l'aspetta. Il cuore a questo punto gli si spacca ma il suo destino è "fare l'emigrante". Se non avesse bocche da sfamare a questo punto tornerebbe indietro ma ancora trova la forza per camminare e cede la valigia al suo prediletto figlio Cuglietta Gessica 4° A, Aiello C. ***

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Mio zio, fratello di mio padre, è stato in Germania dal 1998 al 2001. Il primo giorno ha provato molte emozioni. Sul posto di lavoro è stato trattato bene. Ciò che lo colpì molto fu che quella popolazione era buona. De Grazia Adamo Classe 3° C, Serra d'Aiello *** Nella mia famiglia non ho avuto nessuno che è emigrato perché i miei nonni avevano tanta terra da coltivare da cui traevano tutto ciò che serviva alla famiglia. Il nonno mi racconta che la sua famiglia era una delle poche che economicamente stava bene. Io mi ritengo un bambino fortunato perché vivo in una famiglia dove i miei genitori hanno ereditato tanti valori positivi e anche un po' di benessere. De Grazia Luca Classe 4° A, Aiello C. *** Mio nonno paterno si chiama De Rosa Antonio e, dato che non c'era in Italia lavoro, dovette partire per il Canada dove è rimasto dal 1965 al 1970. Il primo giorno ha provato solitudine e tristezza per il distacco dalla famiglia. I primi tempi i rapporti con la popolazione locale erano un po' freddi, ma poi hanno fatto amicizia. De Rosa Federica Classe 3° C, Serra d'Aiello *** Guzzo Luigi, mio nonno, mi ha raccontato che il 21 settembre 1958, per mantenere la famiglia, è dovuto emigrare in Venezuela all'età di 23 anni. Egli sapeva già dove andare perché fu chiamato con "l'atto di richiamo" dal padre che era già lì. Il viaggio con la nave è stato molto lungo: 18 giorni in seconda classe ed è arrivato il 12 ottobre che era la festa nazionale "el dia de la raza". Si festeggia la razza umana perché è il giorno della scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo che sbarcò in Venezuela che ha chiamato così ricordando la nostra Venezia. Quando il nonno è arrivato in Venezuela il clima non è stato un problema perché era una primavera costante, si è però sentito un po' sperduto perché non sapeva la lingua spagnola, non sapeva come si doveva comportare e solo dopo un po' di tempo si è fatto degli amici. Faceva l'autista con un imprenditore spagnolo. All'inizio guadagnava in media 20 bolivares, cioè 12 mila lire al mese. Lavorava da lunedì a venerdì fino a tarda sera, solo la domenica si svagava un po' andando in giro per i parchi oppure all'ippodromo. Gli piaceva anche andare al cinema dove vedeva qualche volta attori e attrici italiane. Dormiva normalmente nel camion per trovarsi già lì la mattina così cominciava per primo il lavoro. Quando il nonno è partito ha lasciato qui ad Aiello la sua fidanzata. Solo 5 anni dopo, nel 1965, si sono sposati per procura. Lei è poi partita nel mese di novembre per raggiungere il marito. E' arrivata in Venezuela il giorno in cui avevano ucciso il presidente americano Kennedy e la povera nonna che già si sentiva sperduta e impaurita si è trovata in un aeroporto in piena confusione. Anche per lei la difficoltà più grande è stata la lingua, ma è stato facile impararla.

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Io penso che l'emigrazione sia una brutta cosa perché si deve lasciare la famiglia per guadagnare dei soldi. Oggi invece, per noi italiani, non è frequente emigrare a differenza degli stranieri che vengono in Italia per cercare lavoro. Guardando loro mi viene in mente quello che i miei parenti hanno dovuto subire con l'emigrazione. Secondo me, se noi pensassimo e riflettessimo che anch'essi sono degli emigrati così come lo stati i nostri nonni, forse avremmo un'altra considerazione di loro. Feraco Vanessa Classe 5° A, Aiello C. *** Tanti anni fa molta gente emigrava in paesi lontani per motivi di lavoro. Anche mio nonno andò in Germania e ritornava in Italia in inverno per poi ripartire d'estate. Mia nonna rimasta da sola dovette badare ai figli e sentiva molto la mancanza del nonno. Quando mio nonno è partito nel 1961 aveva 23 anni ma è ritornato perché sentiva la nostalgia del suo paese. Fiume Carola Classe 5° B, Cleto *** Io ho parlato con i parenti dell'emigrazione nel dover fare questo concorso. Mia cugina mi ha raccontato che nel 1999 il suo fidanzato è partito per la Germania. Questa scelta non era felice ma doveva farla perché qui in Calabria non c'era lavoro e un guadagno sufficiente. Tornò il 2 ottobre e si sposarono nella chiesa di S. Maria di Aiello e il 4 ottobre sono partiti per la Germania. Suo marito trovò lavoro in un ristorante italiano dal nome "Milano". Sua moglie prima ha lavorato con il marito poi in un altro ristorante chiamato "il Castello". Spesso facevano festa con gli amici italiani e si riunivano nei club calabresi. In Germania ci sono stati un anno poi sono ritornati perché non riuscivano a dimenticare la loro terra. Ora che si sono stabiliti in Calabria sono rimasti amici con persone di Francoforte. Mia cugina mi dice che tutto ciò è bello e quando me ne parla le scendono le lacrime dagli occhi e le trema la voce. Io dell'emigrazione penso che c'è un lato positivo e un lato negativo. Il lato positivo è dato dal fatto che emigrando si guadagnano tanti soldi e si conosce un'altra cultura. L'aspetto negativo è dato dal fatto che le persone che partono devono stare lontano dai propri familiari e devono lasciare le proprie abitudini. Ecco le emozioni e i sentimenti che questo argomento ha suscitato nel mio animo: emigrando si lavora, si guadagna, ci si diverte e si fanno più esperienze. Fiume Gessica Classe 5° A, Aiello C. *** Mio nonno è andato in Germania nel 1959 a 35 anni, lasciando a casa la moglie e i suoi 6 figli. In Germania ha trovato lavoro in una fabbrica dove si costruivano pezzi di auto e cucine e alla FIAT. Lavorava 10 ore al giorno e guadagnava molto. La metà dei soldi la mandava alla famiglia e con l'altra provvedeva alle sue necessità e alcune volte si comprava le sigarette.

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Era contento di stare in Germania perché aveva un lavoro però sentiva nostalgia del suo paese e della sua famiglia. E' ritornato in Italia per motivi di salute perché ammalato di cuore. Ricorda ancora con piacere che in Germania la gente era precisa e non rubava mai. Quando è ritornato in casa ha trovato un nuovo bambino e ha domandato a sua moglie chi fosse quel bambino. E la moglie gli ha risposto che era suo figlio nato quando lui era in Germania per fargli una sorpresa e quindi lui non lo conosceva ancora. Quel bambino era proprio il mio papà. Franchini Elisa Classe 4° B, Cleto *** La forza Ero stanco sbadigliavo e non ce la facevo. Ma dovevo lavorare per mantenere la mia famiglia Il viaggio In tanti paesi persone bisognose partono per trovare lavoro. Ma a volte è un viaggio inutile. L'amicizia Gli emigranti a volte trovano amici italiani altre volte non trovano nessuno. Garritano Federica Classe 4° C, Serra d'Aiello *** Mio nonno paterno che ora ha 67 anni mi ha raccontato che nel lontano 1958 è emigrato in Francia perché pensava di trovare una sistemazione migliore di quella che aveva a Serra d'Aiello, il suo paese. Invece appena arrivato ha trovato una baracca mal costruita e vecchia e per dormire doveva riscaldare l'acqua in bottiglie e metterle nel letto. Ma qualche volta succedeva che queste bottiglie si rompevano e invece di dormire al caldo dormiva al freddo. Le baracche dove alloggiavano gli emigranti non avevano il bagno e nemmeno altri servizi utili. Nonno era partito con altri 16 compagni del suo stesso paese e la mattina andavano al lavoro quando ancora il sole non era sorto e ritornavano quando faceva buio. Il primo giorno di lavoro non è stato molto positivo perché non sapeva parlare la lingua. Svolgendo

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il lavoro con serietà e costanza nonno però è stato trattato bene, altrimenti poteva essere anche licenziato. L'unico divertimento per loro era quando arrivava il sabato e la domenica perché andavano a ballare, però pensare la famiglia lontana dava loro molto dispiacere. Giampà Antonietta Classe 5° C, Serra d'Aiello *** Da tanti anni molti italiani sono costretti ad emigrare specialmente quelli del sud Italia in quanto rispetto al nord è più povero ed ha meno fabbriche e aziende. Il mio defunto nonno, nel 1959, all'età di 24 anni, emigrò prima in Francia e poi in Germania lasciando al moglie con 6 figli. Mio padre mi racconta che era molto triste quando il suo papà partiva e gli faceva grande festa quando ritornava in ferie. Dopo tanti anni rientrò in Italia trovando lavoro nel suo paese. Purtroppo dopo tutti questi sacrifici un giorno si ammalò e morì prima che io nascessi. Il mio papà mi ha raccontato questo che ho scritto. Guzzo Bonifacio Francesco Classe 5° B, Cleto *** Nel lontano 1958 mio nonno è partito per la Germania. Il primo giorno ha provato molta tristezza perché aveva lasciato la sua famiglia. Sul posto di lavoro veniva trattato male perché non capiva il tedesco e non riusciva a lavorare come essi volevano. Passando il tempo è riuscito a imparare la lingua così ha migliorato il suo lavoro. La domenica mio nonno, con i suoi amici, andava in giro per la città. Guzzo Luigi Classe 5° C, serra d'Aiello *** L'emigrazione è ancora oggi uno dei fenomeni negativi che affligge la nostra società. Tutti i giorni vediamo alla tv gli Albanesi, i Curdi e tante altre persone straniere che, pur di approdare sulle coste italiane, mettono a repentaglio la loro vita con mezzi di fortuna. Anche ad Aiello ci sono delle signore provenienti dalla Polonia e dall'Ucraina che lavorano presso alcune famiglie stando lontano dai loro cari. Gli anziani parlano spesso dell'emigrazione. La nonna aveva ritrovato delle vecchie foto e mi ha raccontato la storia del mio bisnonno. Dopo la guerra del 1918 in Italia non si trovava più lavoro e il mio bisnonno Giuseppe emigrò in America con tante altre persone. Allora si viaggiava in nave e per arrivare si impiegava più di 40 giorni. Faceva lo scalpellino ma essendo malato di cuore dopo qualche anno morì. Tempo libero ne aveva poco perché pensava sempre e solo a lavorare per mandare i soldi alla sua famiglia rimasta in paese. In America ha incontrato tante difficoltà perché non conosceva l'inglese e non poteva comunicare con le altre persone. Le donne che rimanevano sole dovevano provvedere all'educazione dei propri figli e alle esigenze della famiglia. spesso i soldi che i mariti mandavano non bastavano e le donne dovevano trovarsi un lavoro. La mattina si alzavano di buon'ora e andavano in montagna a raccogliere la legna che portavano sulla testa. Non avevano molto tempo libero ma, quando ne avevano, lo impiegavano a cucire i vestiti per i figli, a lavorare ai ferri, a tessere e a

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ricamare il corredo per le proprie figlie. Spesso succedeva che i mariti per la lontananza potevano avere la possibilità di ricostruirsi una nuova famiglia. Questo e' successo alla nonna di mia madre. Il marito emigrò in America lasciando la mia bisnonna che aspettava un bambino. Ma a poco a poco fece perdere le sue tracce. La bisnonna venne a sapere da alcuni compaesani che si era risposato ed aveva altri figli. Iacucci Giuseppe Classe 4° A Aiello C. *** Il nonno si chiama Ianni Palarchio Gaspare e ha 88 anni. Egli partì per il Venezuela e mi ha raccontato che appena arrivato ha provato tanto dolore perché gli mancava il suo paese e la sua famiglia. Per lui, senza soldi e senza casa, è stato veramente molto duro. Egli ha cercato subito lavoro e lo ha trovato in una ditta di costruzioni dove ha lavorato per tre anni. Il suo lavoro era molto pesante e non veniva trattato molto bene. Si lavorava dalla mattina alla sera e il guardiano controllava i lavoratori continuamente. I rapporti con i venezuelani non erano dei migliori perché non parlava la loro lingua e non conosceva le loro abitudini. Ma piano piano ha imparato a comunicare con loro e a fare amicizia. Ianni Palarchio Mariagrazia Classe 5° c, Serra d'Aiello *** Il nonno materno è stato in Germania dal 1960 al 1970. Il primo giorno ha provato tristezza e un po' di disagio perché non conosceva la lingua. Mio nonno con i compagni di lavoro si trovava bene anche se faceva un lavoro faticoso. In Germania, in alcuni locali, mio nonno e gli altri italiani non potevano entrare perché era loro vietato. Innocenti Mattia Classe 3° C, Serra d'Aiello *** Nel 1966 mio nonno è emigrato in Francia lasciando la moglie, che era incinta, insieme ai parenti in Italia. Arrivato in Francia fu ospitato da alcuni parenti che lo hanno aiutato a trovare lavoro come operaio in una fabbrica. Il suo lavoro non era molto pesante però guadagnava bene e mandava tutto il salario alla moglie. Quando il nonno ritornò trovò mia madre piccola e lui fu molto contento di trovare la sua prima figlia a casa. Da allora non è più ripartito perché sentiva molta nostalgia del suo paese. Un giorno il nonno mi ha detto che era favorevole all'entrata in Italia di albanesi, marocchini ecc. Isabella Valeria Classe 5° B, Cleto ***

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Un giorno eravamo vicino al caminetto e mio nonno, Coccimiglio Umberto, cominciò a raccontami dei suoi viaggi. E' stato in Inghilterra ed in Piemonte dove ha lavorato tre anni. Qui ha fatto l'agricoltore e il manovale. Mangiava quasi sempre lo stesso cibo e indossava sempre lo stesso vestito. Si lavava una volta alla settimana al fiume. Il nonno non stava nelle case, ma nelle baracche di legno. La paga era molto bassa, ma metteva lo stesso da parte i soldi in un sacchetto e quando arrivava alla somma di 10 mila lire li spediva alla nonna. Alcune volte mandava anche qualche regalino ai figli che domandavano sempre alla mamma quando ritornava il loro papà e la nonna rispondeva sempre: al più presto. L'emigrazione ha suscitato nel mio animo una grande emozione. Mi ha fatto riflettere sul fatto che una volta la vita non era come oggi, ma molto diversa. Bisognava affrontare tante difficoltà, per esempio con i pochi soldi che c'erano si potevano acquistare solo il cibo e i vestiti. Secondo me l'emigrazione una volta era necessaria perché se non si emigrava non c'erano i soldi per poter mantenere la famiglia. L'emigrazione L'emigrazione è un vecchio momento un triste saluto e un triste abbraccio per tutti quanti, signori e signore. Pensate! Una volta non c'era niente e i giorni di festa erano più tristi che mai senza l'affetto dei papà lontani. Iuliano Cristina Classe 4° A, Aiello C. *** Io ho parlato con mio nonno dell'emigrazione e mi ha riferito che il bisnonno emigrò in Marocco nella città di Rabat. Ogni settimana percepiva il salario che spediva alla famiglia. Abitava in una casa con alcuni amici che erano emigrati prima di lui. Il tempo libero lo trascorreva a fare le proprie cose e a preparare il cibo. Ha incontrato la difficoltà della lingua, che ha imparato sentendo parlare gli amici che lavoravano con lui. Mia nonna, la sera, andava dai vicini per passare un po' di tempo e per riscaldarsi perché non aveva il focolare, però portava dei pezzi di legno che poi lei usava quando doveva riscaldarsi un po' di acqua. Mia nonna e mio nonno sono stati felici fin quando mio nonno non è morto. Il nonno parte Il nonno parte e la nonna rimane sola nel silenzio della casa ad aspettare che ritorni tra le sue braccia calde per stare felici e contenti. Lepore Luigi

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Classe 5° A, Aiello C. *** Il nonno mi ha raccontato che partì negli anni '60 in Germania. Lavorava nei cantieri edili e guadagnava 18 mila lire al mese; spendeva il minimo indispensabile per spedire i soldi alla famiglia. Viveva nelle baracche sui cantieri dove non c'era né il riscaldamento né alcuna comodità. Mio nonno mi racconta che il sabato sera faceva il bagno nella tinozza. Poi usciva e si recava al bar a bere una birra. La domenica non si lavorava e perciò il nonno dedicava questo tempo a scrivere qualche lettera. Nel 1980 tornò a casa, ma, per poter guadagnare di più, andò a lavorare come carpentiere in Arabia Saudita. Qui lavorò per molto tempo, guadagnava bene, ma la vita era molto diversa dalla nostra. Faceva molto caldo, con temperature che arrivavano oltre i 40 gradi. La nonna mi ha raccontato di avere trascorso una vita molto difficile e dura. Infatti, rimasta da sola con i figli, ha dovuto pensare ad essi e alla casa. Cuciva i vestitini per i bambini o chiedeva ai parenti quelli usati dai propri figli. Mi racconta che quando andava a fare la spesa ad Aiello non poteva pagare e lasciava al negoziante il debito che pagava quando arrivavano i soldi. La nonna faceva tante altre cose come coltivare le verdure, il grano, ecc. Era molto duro crescere i bambini senza nessuna comodità; quando si ammalavano venivano curati con delle erbe. Io penso che l'emigrazione sia stata una cosa molto brutta; ciò accade ancora oggi nel nostro paese. Emigrazione Emigrazione una parola triste e dolorosa per ogni persona per ogni famiglia per ogni cuore; lacrime che escono come gocce d'acqua saluti, baci e abbracci che forse non si potranno dare mai più. Lepore Mariagrazia Classe 4° A, Aiello C. *** Mio nonno Lepore Gennaro, ormai ottantenne, mi ha raccontato la sua vita lontano dai suoi cari, infatti nel 1957 emigrò in Germania. Raggiunse con il treno la città di Stoccarda; stette per sette anni lavorando prima in una miniera di carbone poi come carpentiere nelle costruzioni di ferrovie e ponti. Riusciva a spedire a sua moglie circa 10 mila lire al mese, ma era costretto tante volte a saltare il pranzo. Solo la sera, stanco e affaticato, cucinava un po' di pasta condita con strutto. Anche la nonna, rimasta in Italia, ha dovuto fare tanti sacrifici. Oltre a crescere i figli, coltivava un pezzetto di terra, accudiva gli animali e doveva andare alla sorgente d'acqua, riempire i

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barili e portarli a casa. Ciò era molto faticoso perché la nonna doveva camminare a piedi per circa trenta minuti e portare sulla testa il recipiente pieno d'acqua che era molto pesante. Arrivava a casa con dolori alle gambe e al collo. Il nonno ritornò in Italia nel 1962 e non ripartì mai più. Mi ha commosso molto il racconto, perché è grazie a lui che mio padre ha una buona condizione economica. Lepore Rosaria Classe 4° A, Aiello C. *** Un giorno, parlando con il nonno Lepore Salvatore, ho scoperto una parte della sua vita. I miei nonni ora abitano in una piccola casa circondata da alberi in una contrada di Aiello chiamata "Persico" ed hanno 5 figli. Mio padre e i miei zii, quando erano piccoli, andavano a scuola, ma al ritorno dovevano aiutare la nonna, sia nelle faccende domestiche che nel lavoro dei campi. Il nonno, quando tornava a casa, portava ai suoi figli un piccolo regalo come delle bamboline o dei trenini. Mi ha raccontato che una volta la gente si spostava in altri paesi o città, perché in Calabria non c'era abbastanza lavoro per tutti. Mio nonno è andato in Sicilia dove lavorava nei campi e iniziava a lavorare al sorgere del giorno e finiva al tramonto. Appena tornato a casa si lavava in una bacinella di legno o di terracotta, indossava per tre o quattro giorni gli stessi vestiti; infatti aveva portato con se due pantaloni rattoppati e due camicie. Nel suo tempo libero faceva altri lavoretti per guadagnare un po' di più. La difficoltà che ha trovato il nonno è stata quella di dover stare lontano dalla sua famiglia e per questo non ha potuto essere presente alla nascita di alcuni figli. Tornava a Pasqua e a Natale. Ho parlato con mia nonna di ciò che faceva quando era sola. Mi ha risposto che lavorava nei campi e pascolava il bestiame facendo tutto ciò anche quando era in attesa dei figli. Mia nonna non aveva vicino una sorgente d'acqua perciò doveva camminare a piedi per riempire il barile d'acqua che serviva per uso domestico e per dissetarsi. Per il ritorno di mio nonno preparava un buon pranzetto a base di salsicce di maiale e maccarruni. Quando mio nonno le spediva il denaro, una parte lo metteva in banca e l'altra parte lo usava per le necessità della famiglia. Parlando con una mia vicina di casa ho scoperto che è stata abbandonata dal marito dopo aver dato alla luce il loro bambino. Per me l'emigrazione è un sacrificio che le persone fanno per migliorare le proprie condizioni, ma a volte alcuni abbandonano la moglie e i loro figli. Secondo me queste persone non hanno un cuore. Io, trattando questo argomento, sono arrivata ad una conclusione alla quale fino ad ora non ero mai arrivata: ho capito quanti sacrifici stanno facendo i miei genitori per vedermi felice e per nonfarmi mancare niente. Io sono una bambina molto fortunata ad avere simili genitori, ma nello stesso tempo molto triste al pensiero che tanti bambini sono stati abbandonati dai propri genitori. Lepore Susy Classe 4° A, Aiello C. *** La nonna mi ha raccontato che il nonno Eugenio Lepore fu costretto ad emigrare in Germania perché le condizioni della sua famiglia erano disastrose. Partì all'età di 28 anni

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con il treno. Arrivato in Germania, dopo aver fatto diversi lavori, ha fatto il carpentiere. Ha conosciuto tanti amici sul lavoro che parlavano sia l'italiano che il tedesco. Così, parlando con essi, imparò un po' la nuova lingua. Abitava in una baracca e il poco tempo libero che aveva lo dedicava alle faccende personali. Mia nonna, che era rimasta sola, dovette badare ai propri figli e a coltivare il suo pezzetto di terra. Se mio nonno è partito all'estero lo ha fatto per dare una sistemazione ai propri figli. Lepore Valentina Classe 5° A, Aiello C. *** Tante volte mi sono trovato con i miei nonni che discutevano di ciò che era successo durante gli anni di emigrazione negli Stati Uniti d'America. Mio nonno Francesco emigrò all'età di 19 anni prima in Francia, ma dopo alcuni anni prese l'aereo per gli Stati Uniti per un lavoro più stabile e più redditizio. Dopo pochi anni ritornò i Italia e si sposò con mia nonna Franca che dopo un pò raggiunse il marito. Mio nonno lavorava come muratore e l'unico giorno libero era la domenica che passava facendo la spesa, andando in chiesa e nel pomeriggio andava in giro per conoscere la città dove abitava. I nonni mi hanno raccontato che hanno trovato mille difficoltà: economiche, di lingua, di lavoro e di conoscenze, in poche parole dovevano scoprire un mondo tutto nuovo. Da quello che i nonni mi hanno raccontato penso che l'emigrazione, in qualsiasi parte del mondo si vada, non è una bella esperienza perché si lascia la famiglia, gli amici, le persone più care e le proprie origini. Purtroppo però, specialmente al Sud, è un problema ancora attuale. Le emozioni che questo argomento mi suscita sono molto forti anche perché è successo ai miei nonni e tutto questo mi ha fatto capire che nella vita può succedere di andare via dal proprio paese per un lavoro e per avere una vita da persona normale. Ciò mi rende più forte e sicuro perché ho l'opportunità di parlarne con qualcuno che ha già vissuto il problema e nel caso in cui mi dovesse capitare potrei sfruttare l'esperienza dei miei nonni. Lo Nero Nigro Francesco 4° A, Aiello C. *** Io ho avuto due nonni che sono emigrati: il nonno paterno Paolo e il nonno Francesco, entrambi sono andati in Germania. Qualche volta, seduti intorno al focolare, ci raccontavano le loro esperienze. Partivano con dei treni molto affollati e spesso dovevano fare il viaggio in piedi. Si portavano dietro una valigia di cartone con dentro qualche indumento e un po' di salame. In Germania facevano dei lavori umili, nonno Paolo lavorava in una miniera mentre il nonno Francesco in un'officina. Finito il lavoro non erano liberi perché dovevano cucinare e lavare la biancheria. Solo verso sera trovavano il tempo per divertirsi un pò. A volte giocavano a carte, altre volte andavano al bar. Abitavano il più delle volte in delle baracche ed avevano bagni e cucine in comune. Non guadagnavano molto e una parte del guadagno doveva essere spedito alle famiglie. Non era facile neanche la vita della moglie e delle altre persone che restavano in Italia. Ad esse spettava il compito di lavorare i campi e di sbrigare tante altre faccende. A volte succedeva anche che i soldi non arrivavano più. Si veniva poi a sapere che il marito aveva

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incontrato un'altra donna e si era innamorato di lei e con essa spendeva i suoi soldi. Parecchi matrimoni sono andati così in frantumi. Io penso che l'emigrazione è un male perché parecchi figli sono cresciuti lontano dai loro padri e noi sappiamo che per crescere bene essi hanno bisogno della vicinanza del padre come della madre. C'è anche da dire che l'emigrazione ha permesso alle famiglie di vivere in modo più agiato. Io mi auguro che in futuro si creino qui tanti posti di lavoro per cui non si debba più emigrare. L'emigrazione Emigrazione una parola triste una parola come le altre ma che fa soffrire. Emigrazione vai via e non tornar più. Emigrazione addio!! Marghella Celestina Classe 4° A, Aiello C. *** Io ho parlato con mio padre il quale mi ha detto che nonno Natale Marino è emigrato in Svizzera partendo con il treno impiegando un giorno e mezzo. Nonno Natale appena arrivato si è recato dal fratello che aveva già un lavoro e la casa. Ha lavorato con lui come muratore e guadagnava 10 mila lire al giorno. Il giorno libero era la domenica ma non sempre perché lavorava per guadagnare qualche soldo in più. Nonno Natale e mio zio ritornavano in treno a casa nel mese di dicembre e ripartivano nel mesi di giugno. Il nonno ha incontrato qualche difficoltà nella lingua che ha imparato dopo qualche anno, ma che ancora oggi ricorda. Egli non ha abbandonato la nonna anzi la ricordava sempre e le inviava molte lettere. Mia nonna in Italia ha dovuto occuparsi da sola della casa, della terra e dei figli ed era molto preoccupata per il nonno perché era solo e senza l'affetto della famiglia. Io penso che l'emigrazione è crudele, perché chi emigra lascia i figli e la moglie. Io ascoltando il racconto di mio padre ho provato dolore e penso alle sventure delle persone che arrivano in Italia chissà da quale Paese lontano. Marino Natale Classe 4° A, Aiello C. ***

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Il nonno mi ha raccontato che nel 1962 è partito per la Germania perché in Calabria non c'era lavoro. A mio nonno mancava molto la sua famiglia perché l'aveva dovuta lasciare lì in Calabria mentre lui era triste e lontano. Al posto di lavoro veniva trattato bene anche se qualche volta lo sgridavano. Per mio nonno era difficile capire la loro lingua e le loro abitudini, ma con il passare del tempo le ha capite e si è trovato meglio. Marrello Elvira Classe 5°C, Serra d'Aiello *** Discutendo in famiglia dell'emigrazione mio nonno mi ha raccontato la sua storia. Nel 1951, ancora molto giovane, è stato costretto a partire per la Francia. Arrivato lì ha trovato lavoro in una falegnameria dove ebbe un infortunio alla mano e subì 5 interventi chirurgici. Questa per il nonno è stata un'esperienza molto triste perché, oltre al dolore fisico, non ha potuto avere il conforto di qualche familiare. All'inizio tante furono le difficoltà incontrate, basta pensare al fatto di non conoscere la lingua. Mio nonno racconta che all'inizio frequentava delle amiche italiane che a poco a poco gli hanno insegnato a parlare il francese. Anche la casa dove abitava non era delle più calde e comode. Egli nel suo tempo libero cercava sempre di fare qualche altro lavoretto. Ogni fine mese mandava un po' di soldi ad Aiello. Egli non era sposato, però mi racconta che le mogli delle amici, rimaste in casa con i figli, vivevano una vita molto dura. Sua madre, lasciando ai vicini i figlioletti, per fare il bucato doveva stare fuori casa una giornata intera. Si recava in una località detta u tuvulu; nelle cibbie insaponavano i panni con il sapone fatto in casa, li sistemavano in una cesta fatta di canne, sopra adagiavano u saccu de cannavazzu e vi buttavano sopra a lissìa. Verso sera, quando il bucato era asciutto si ritornava a casa senza forze e il più delle volte si andava a letto senza cena. Mio nonno ritornò nel 1954 e non ripartì più. Nel 1955 conobbe mia nonna con la quale si sposò ed ebbe 5 figli. Questo argomento nel mio animo ha suscitato molta tristezza perché emigrare era un bisogno primario, una condizione per dare alle proprie famiglie una vita, non agiata, ma normale. Oh, giovane triste! Oh, tu giovane triste che aspetti con ansia l'arrivo di un treno che ti porta lontano dove forse troverai fortuna. Tanta tristezza avvolge il tuo viso. Oh, tu giovane triste lo troverai il lavoro salendo su quel treno che ti porta lontano? Mazzuca Eugenio

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Classe 5° A, Aiello C. *** Molto tempo fa, quando il nostro paese era molto povero, moltissimi italiani sono emigrati in America e in altre nazioni europee. Ora assistiamo ad un fenomeno nuovo: da alcuni Stati stranieri come Africa e Pesi balcanici molti vengono in Italia con la speranza di trovare lavoro. Secondo me, proprio perché noi Italiani in passato abbiamo avuto bisogno di emigrare, dovremmo essere più accoglienti nei confronti degli extracomunitari, anche se l'Italia non può offrire molta ricchezza, come dimostra il fatto che anche fra noi italiani ve ne sono molti senza lavoro. Mazzuca Raffaele Classe 4° B, Cleto *** Mio padre è emigrato negli anni '60 in Francia. Il primo giorno ha provato molta amarezza. Mio padre sul lavoro non veniva ben utilizzato e con la popolazione locale i rapporti non erano buoni. Egli ricorda che sul posto di lavoro c'erano molti marocchini. Per mio padre è stato molto triste lasciare la famiglia sola e ha trovato molte difficoltà che in seguito ha superato. Mendicino Serena Classe 4° C, Serra d'Aiello *** Il nonno è emigrato in Germania nel 1961. Qui non conosceva nessuno e all'inizio si è sentito a disagio, ma poi, a poco a poco, si è abituato. In Germania è rimasto per 8 anni e due anni in Svizzera. Tornava in Italia quando poteva. In Germania ha fatto l'operaio costruendo strade, lavorava dalle 8 alle 12 ore al giorno; guadagnava molto poco e metà del guadagno lo mandava alla famiglia. Per lui gli anni in cui è rimasto in Germania non sono stati belli, perché soffriva per la lontananza della sua famiglia e non tornerebbe volentieri. Miceli Rosalia Classe 4° B, Cleto *** Il mio trisavolo morì in America a soli 28 anni dilaniato da una esplosione poiché doveva disinnescare una mina inesplosa. Sua moglie venne avvisata dai suoi vicini di casa che, avuta la notizia tramite altri emigranti, si riunirono nei pressi della sua casa, si accordarono come darle la notizia e poi, una alla volta, entrarono in casa e con molto tatto le rivelarono la tremenda verità. Del marito seppe solo che il suo corpo era stato raccolto e sepolto da altri emigranti in quella terra lontana e straniera dove nessuno ha mai potuto deporre un fiore. Rimasta vedova con due figlie e senza pensione, li ha cresciuti con grande difficoltà, coltivando il pezzetto di terra che il marito le aveva lasciato ad Aiello nella contrada chiamata Castagniti.

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Nel 1949 il bisnonno emigrò clandestinamente in Francia. Arrivò con il treno alla frontiera, poi scese ed entro in Francia attraverso il confine a piedi, sulla montagna. Una volta entrato in Francia trovò lavoro e si mise a posto legalmente e nel 1951 richiamò il figlio Nicola, cioè mio nonno, che entrò in Francia con regolare passaporto. Cominciò a lavorare come manovale a 18 anni, sulle montagne dell'alta Savoia. La sera, dopo il lavoro, andava in una scuola serale per imparare il francese, perché quello della lingua era il problema più grosso che incontravano gli emigranti. Spesso lavorava anche di sabato e di domenica perché la giornata gli veniva retribuita al doppio. Dormiva con i compagni nelle baracche e c'era molto freddo. Il poco tempo libero che aveva lo trascorreva sbrigando le faccende personali, oppure si riposava. Quando partiva dall'Italia, portava con se pasta, fagioli secchi, salame, formaggio, vestiti e biancheria. Impiegava due giorni per arrivare in Francia con il "Treno del Sole". Nel 1955 il nonno sposò la nonna Rosaria, ma in primavera la lasciò e ripartì. In autunno, quando cominciava a nevicare il nonno tornava e passava tutto l'inverno con la famiglia. In primavera ripartiva. Mio nonno mi ha raccontato che mentre aprivano una strada per costruire una diga, hanno trovato sotto la neve i corpi di due persone che avevano addosso i documenti di riconoscimento ancora intatti, provenivano dalla provincia di Foggia ed erano padre e figlio. Mia nonna mi ha raccontato che la vita delle donne rimaste sole in casa era una vita di lavoro e di sacrifici. Doveva coltivare la terra, crescere i figli, curare la suocera e tutte le commissioni fuori casa. Questo era molto difficile perché non c'erano strade e macchine e si doveva raggiungere a piedi il paese. Non c'era nemmeno la luce elettrica e l'acqua in casa. Anche quando sono nati i figli lei era da sola. Il nonno non ha visto i figli appena nati, ma quando avevano già qualche mese. Né li ha potuti vedere, quando hanno mangiato la prima pappa o quando hanno messo il primo dentino, o detto le prime paroline e fatto i primi passi. Non li ha visti nemmeno nel loro primo giorno di scuola. Tutto questo era molto triste. Anche mia mamma non era felice quando il suo papà partiva, ma lo era molto quando ritornava. Mi ha raccontato che una volta il nonno è ritornato all'improvviso prima del previsto, lei era a scuola quando egli ritornò a casa e sentì, senza ancora aver visto niente, il profumo della valigia (un misto di tabacco e di cioccolato) e cominciò a dire: è tornato papà, lui si era nascosto, ma era vero, era lì. Quando il nonno ritornava portava sempre dei regali, a mia mamma le bamboline e ai miei zii i coltellini francesi e tanta cioccolata per tutti. Per fortuna, nel 1968, mio nonno ritornò ed ha lavorato non lontano da casa, così ha potuto trascorrere tutto il tempo con la famiglia. Adesso è pensionato e sta sempre a casa. Io vado molto spesso dai nonni che mi raccontano sempre queste cose. Penso che l'emigrazione è molto triste e ci vuole molto coraggio a lasciare la propria famiglia e vivere per mesi e anni in terre straniere senza vedere la moglie e i figli. Quando in televisione sento parlare degli immigrati che sbarcano in Puglia e poi vengono fermati e fatti ritornare nel loro Paese d'origine, mi dispiace perché credo che queste persone se lasciano le loro famiglie lo fanno per necessità. I Paesi ricchi li dovrebbero aiutare come tanti anni fa sono stati aiutati i nostri nonni. La cosa che mi ha commosso di più nel racconto dei nonni è stato il fatto che il mio trisavolo è morto in America e nessuno ha potuto visitare la sua tomba. Un'altra cosa che mi ha colpito è stata quella del ritrovamento dei due corpi congelati. Poi penso sempre: come potevano questi papà vivere lontano dai figli?. Io non vorrei mai stare lontano dal mio papà.

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Nicastro Albachiara Classe 4° A, Aiello C. *** Mio zio, fratello di mia madre, emigrò nel 1983 a Mantova. Il distacco dalla famiglia è stato doloroso. Sul posto di lavoro è stato trattato abbastanza bene. I rapporti con la popolazioni sono satti normali perché erano persone abbastanza buone. Mio zio mi ha raccontato che ogni fine settimana andava con gli amici a mangiare una pizza oppure a ballare. Spero tanto che oggi i giovani del mio paese trovino lavoro senza partire per Paesi lontani. Orrico Natasha Classe 4° C, Serra d'Aiello *** Il nonno è partito nel 1968 in Francia. Il primo giorno ha provato molte emozioni. Egli nei rapporti con la popolazione locale si è trovato un po' a disagio, perché non conosceva bene la loro lingua. Mio nonno ricorda che quasi tutte le sere andava a bere birra in un locale e ogni fine settimana andava con gli amici in un ristorante a mangiare pizze squisite e spaghetti ricoperti con un buon sugo rosso. Orrico Pamela Classe 4° C, Serra d'Aiello *** Nella mia famiglia ci furono degli emigranti, i miei nonni e il bisnonno. I nonni sono andati in Francia, le difficoltà erano date dal duro lavoro e dalla lingua. Il bisnonno è andato in Germania e trascorreva il suo tempo libero facendo le faccende domestiche e giocando a carte, anch'egli ha trovato le stesse difficoltà dei nonni. Le donne rimaste in casa avevano molti compiti da svolgere: lavorare in casa, badare all'educazione dei figli, lavorare nei campi e fare delle conserve per l'inverno. Di sera, a lume di candela, lavoravano ai ferri e all'uncinetto, ricamavano il corredo delle figlie e rammendavano gli indumenti rotti. Vivevano una vita stentata e fatta di poche cose, però onesta e ricca di affetti. La nonna mi racconta che nei giorni di festa tutti i parenti si riunivano e con quello che avevano in casa preparavano un pranzo diverso da quello degli altri giorni. Quei tempi, secondo me, erano bellissimi anche se mancavano i soldi perché tra le persone c'era più affetto e più stima. Pagnotta Geniale Classe 5° A, Aiello C. *** Parlare con mio padre al telefono mi ha colpito molto, perché mi ha raccontato di quando è emigrato in Germania. La nostra conversazione è stata lunga ma ne è valsa la pena. Mio padre è emigrato in Germania, a Berlino, nel 1994. Il primo giorno ha provato molta nostalgia per la famiglia cioè per mia madre, per me e per mio nonno.

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Egli era partito perché in Calabria c'era una forte disoccupazione e per migliorare il benessere della famiglia. Il rapporto con i tedeschi è stato buono al punto che cucinava e mangiava con loro gli spaghetti al pomodoro. Provenzano Giuseppe Classe 5° C, Serra d'Aiello *** Era una giornata di festa e con la mia famiglia ci siamo recati a casa dello zio Raffaele Pucci. In questa occasione lo zio mi raccontò di quando è emigrato in Svizzera dove abitò per 6 mesi al Cantone di Berna. Lavorò presso una fattoria e il suo compito era quello di accudire i bovini. Il lavoro era molto faticoso, infatti la mattina si alzava molto presto e portava gli animali al pascolo. Lavorava dalla mattina alla sera e con quel poco di tempo libero che aveva faceva qualche altro lavoretto per guadagnare di più. La domenica si recava in chiesa per ascoltare la Santa Messa. Ha incontrato difficoltà nella lingua e nella cucina svizzera. Sua moglie, rimasta sola, doveva accudire i figli e coltivare ala terra. Ha trascorso dei mesi infelici perché doveva provvedere ad ogni cosa senza un aiuto o consiglio da parte del marito. In seguito mio zio tornò in Italia e restò con la famiglia. Secondo me l'emigrazione è un fatto negativo, specialmente quando si parte in Paesi stranieri da soli. Se invece si emigra con la famiglia si sta bene e si guadagnano tanti soldi. Pucci Antonietta Classe 4° A, Aiello C. *** Tanti e tanti anni fa non c'era lavoro, quindi il bisnonno andò in America, allora Terra Promessa per molta gente. All'epoca esistevano pochi mezzi di trasporto e il bisnonno si imbarcò su una nave. Dopo molti e molti giorni di navigazione finalmente arrivò a destinazione. Ma venne sottoposto a visita medica in una grandissima stanza, oggi adibita a museo dedicato agli emigranti, e qui venne controllato se era portatore di qualche malattia infettiva. Terminato il controllo medico, raccolse le poche cose portate dall'Italia e andò incontro al proprio destino. Inizialmente trovò lavoro come cameriere, poi le cose cominciarono ad andare bene e richiamò mio nonno. Insieme, affrontando grossi sacrifici e con in cuore il ricordo dei propri cari lasciati in Italia, aprirono una pizzeria. Fu molto duro perché non conoscevano la lingua e per altri motivi, ma il pensiero di poter un giorno ricongiungersi con i propri cari era molto forte e tutti i problemi svanivano. Data la lontananza si avvertiva la necessità di scrivere ai propri cari e l'unico mezzo di comunicazione allora era la posta, infatti ci si scriveva spesso. Con il passare del tempo le cose andarono sempre meglio, il sudore cominciò a dare i suoi frutti e finalmente la famiglia si potè riunire, ma il ricordo degli altri familiari, della Patria restava sempre nel loro cuore e quando finalmente poterono ritornare in Italia, la felicità fu immensa perché con i risparmi poterono garantire un futuro ai propri figli e vivere così nel Paese dove erano nati. Pucci Sabrina Classe 4°A, Aiello C.

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*** Il nonno mi ha parlato della sua emigrazione una sera mentre eravamo a tavola per la cena e dicendomi che è andato in Sicilia a lavorare la terra. Nella mia famiglia ci furono mio nonno e degli zii che andarono in America e a Verona. La nonna, rimasta sola, lavorava la terra. Quando mio nonno ritornò non volle più andare lontano dalla famiglia, perché vivere da soli, dice il nonno, è sconfortante specialmente quando è sera. Nonno Giovanni, ormai anziano, rievoca quei brutti momenti e ci dice, rivolgendosi a me e a mia sorella, di studiare per ottenere un diploma e trovare così un lavoro in Italia. Rocchetta Concetta Classe 4°A, Aiello C. *** Mi hanno raccontato che il nonno, Battista Bennardo, è emigrato in Germania all'età di 36 anni perché aveva 4 figlie da sposare e due figli maschi. Partì in treno e impiegò due giorni per arrivare. Trovò, tramite un suo amico, un lavoro come cuoco in un ristorante. Guadagnava molto e mandava ogni mese una bella somma di denaro a sua moglie. La nonna, una parte la depositava all'ufficio postale e con l'altra comprava tutto ciò che serviva. Dopo 10 anni mio nonno dovette ritornare in Italia perché le sue condizioni di salute non gli permettevano di restare. Io spero che non dovrò mai partire all'estero, farò di tutto per restare in famiglia. Rocchetta Maurizio Classe 5°A, Aiello C. *** Sin dai primi anni del secolo gli italiani emigrarono nell'America Latina e negli Stati Uniti dove trovavano lavoro nelle miniere per l'estrazione del carbone. Nella mia famiglia, per fortuna, nessuno è emigrato perché abbiamo tanta terra da coltivare che ci dà il necessario per vivere. Sicoli Francesco Classe 4°A, Aiello C. *** Il nonno paterno emigrò nel 1960 in Germania. I primi tempi gli mancava molto la famiglia. I rapporti con la popolazione locale non erano molto buoni perché non sapeva parlare la loro lingua. Egli sentiva molta nostalgia per tutto ciò che aveva lasciato, ma doveva lavorare per poter migliorare le sue condizioni. Sicoli Veronica Classe 4°C, Serra d'Aiello ***

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Il nonno materno decise di emigrare e nel 1966 partì per la Germania. Il primo giorno fu emozionante perché finalmente poteva conoscere un Paese nuovo. Fu accolto da tutti molto bene e trovò subito lavoro in una fabbrica. La cosa che lo colpì molto fu che quella popolazione era molto severa, amava la puntualità e la precisione, ma nello stesso tempo era molto affettuosa e disponibile. Nel 1972 decise di ritornare nel suo Paese d'origine perché i suoi genitori erano soli. Spanò Amedeo Classe 3°c, Serra d'Aiello *** La prima volta che ho parlato con la nonna di emigrazione è stato quando sono venuti i miei zii a farle visita dal Canada. Ho chiesto loro perché avevano abbandonato la Patria, la loro casa e la loro famiglia per andare a vivere in un mondo sconosciuto ed essi mi hanno risposto che la decisione non era stata semplice e il motivo principale era sempre lo stesso, cioè la ricerca di un posto di lavoro e di una posizione economica migliore. So che adesso stanno benissimo ed hanno belle case, ma non è stato sempre così. I primi tempi sono stati molto duri. La prima ad emigrare è stata la zia Franca che è partita per raggiungere il marito che lavorava in Canada già da qualche tempo. Era molto giovane ed è partita da Napoli con una nave, ha impiegato 15 giorni per arrivare. Non è stato facile abituarsi a vivere in un Paese straniero dove tutto era diverso: la lingua, le abitudini e persino il clima. Ho chiesto a mia zia come trascorresse le sue giornate e lei mi ha risposto che se ne stava da sola ad aspettare il ritorno del marito, non aveva ancora amici e perciò si lasciava prendere dalla nostalgia e scriveva bellissime lettere a sua madre e alle sue sorelle rimaste in Italia, aspettando con ansia la risposta. Poi le cose sono cambiate, ha iniziato a farsi delle amiche, ha imparato l'inglese ed è divenuta mamma così le sue giornate si sono riempite e la nostalgia dell'Italia e dei suoi parenti è diminuita fin quasi a scomparire dopo l'arrivo in Canada del fratello e delle sorelle. La nonna continua il suo racconto dicendomi che suo padre era stato emigrante nei primi anni del novecento, quando ci si imbarcava clandestinamente, proprio come fanno adesso i numerosi albanesi che sbarcano sulle nostre spiagge. Era un ragazzo di appena 15 anni ed era partito con la speranza di fare fortuna e di poter tornare in Italia con un bel po' di soldi che gli permettessero di far vivere la propria famiglia nel benessere. Sebbene, come per tutti gli emigranti, i primi tempi siano stati difficili (trasportava l'acqua agli operai che lavoravano alla costruzione della ferrovia), è riuscito nel suo intento e quando nel 1909 è ritornato in Italia per sposarsi aveva già accumulato una piccola fortuna. E' rientrato negli Stati Uniti lasciando la moglie quindicenne in attesa di un bambino ed è tornato dopo 4 anni per conoscere la bambina che era nata e farne nascere un'altra (mia nonna Annetta). E' andato avanti e indietro per alcuni anni ancora e tra un viaggio e l'altro nascono 2 bambine di cui una muore. Purtroppo nel 1920 muore la moglie e in seguito anche la figlia più piccola e lui per molti anni non torna più, ma continua a mandare i soldi per le altre due figlie che erano state affidate alla nonna materna. E' stato costretto a tornare in Italia nel 1934 per motivi di salute. Continuo l'intervista a mia nonna chiedendo che cosa facesse da sola in attesa del ritorno del marito. La risposta mi ha scosso, perché ho appreso la difficile vita che queste povere

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donne dovevano fare per crescere da sole i figli. Alcuni mariti sono partiti lasciando giovani mogli e figli bambini e sono tornati dopo 30 o 40 anni trovando ad aspettarli mogli vecchie e figli adulti o, ancora peggio, non sono più tornati creandosi all'estero un'altra famiglia. Questa sorte è toccata a un membro della famiglia di mio padre, suo nonno Michele Adamo era emigrato nel sud America nel 1924, lasciando ad Aiello sua moglie Anna e el sue bambine, Ida di 7 anni ed Emma (mia nonna) di 4 anni. Era partito con la promessa che avrebbe permesso alla famiglia di raggiungerlo, ma, dopo un po' di tempo aveva scritto alla moglie di partire da sole affidando i figli ai propri genitori; nonna Anna non ha voluto lasciare, anche se per poco, le figlie, così egli non ha più scritto, facendo perdere le proprie tracce. Anche l'altro mio nonno che si chiamava Giuseppe Vairo, come il papà, è emigrato in Canada portando con se i due figli più grandi. Ha lavorato a Sudbery nella miniera di nichel e a differenza di altri mariti ha voluto che dopo poco tempo sua moglie lo raggiungesse con il figlio. I bisnonni sono tornati a vivere ad Aiello all'età della pensione dopo aver comprato case e proprietà, ma i loro figli che erano partiti giovanissimi non sono più tornati; soltanto uno è venuto una volta in visita e mio nonno ha potuto rivedere suo fratello dopo 40 anni, mentre l'altro non lo ha più rivisto. Dopo tutto quello che ho sentito raccontare ho appreso che i primi emigranti italiani si sono comportati così come si comportano adesso tutti quei profughi che vengono in Italia in cerca di quella fortuna che i nostri connazionali hanno cercato in America o nel resto d'Europa e che come loro si sono imbarcati clandestinamente senza passaporto, senza permesso di soggiorno e senza denaro, ma con una buona dose di coraggio e voglia di lavorare. Dopo la seconda guerra mondiale c'è stato da parte degli italiani un altro grande esodo, ma questa volta si partiva regolarmente o perché qualche familiare faceva l'atto di richiamo o perché gli veniva garantito un posto di lavoro. Questa ultima ipotesi è stata quella che ha permesso a molti grimaldesi e molti altri di raggiungere gli U.S.A. grazie all'interessamento di un certo Raffaele Veltri di Grimaldi, il quale, emigrato clandestinamente dopo la Prima Guerra mondiale, era riuscito a creare una ditta che si interessava della costruzione della ferrovia, così ha fatto partire molta gente garantendo loro un contratto di lavoro della durata di un anno. Vairo Floriana Classe 5° A, Aiello C. *** Nel 1970 il nonno Settimio Vercillo emigrò in Germania lasciando la nonna in Italia con mio padre piccolo e di nome Franco. Fu costretto a partire e trovò un lavoro come muratore, abitò in una baracca con altri emigranti italiani. Trovò difficoltà per la lingua perché non parlava nemmeno l'italiano, parlava il dialetto aiellese. La paga era molto misera, però il nonno riusciva a spedirne una parte alla nonna. Mio nonno era molto generoso, infatti una volta a un suo amico che si trovava in difficoltà economiche prestò del denaro pur sapendo che sua moglie ne aveva tanto bisogno. Ritornava a casa solo una volta all'anno in inverno per pochi giorni. Quando arrivava a casa raccontava le sue pene e la sua nostalgia per il figlio. Nei cantieri si lavorava molto, si alzava all'alba e ritornava a casa a sera tardi soffrendo il freddo e la fame. Il nonno non aveva tanto tempo libero, quel poco che aveva gli serviva per le proprie necessità. Nella baracca non c'era nessun tipo di riscaldamento e ancora oggi mia nonna racconta che il nonno ha sofferto più il freddo che la fame. Il più delle volte

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dormiva con i pantaloni e il giubbotto di lana e il freddo era così grande che il muco del naso si congelava e la nonna, un po' sorridendo mi dice che le cutuliàvanu i gangulari, cioè gli tremavano le mascelle. Mia nonna in Italia coltivava l'orto e allevava gli animali da cortile. Si recava alla cibbia per lavare i panni e riempiva i barili d'acqua per la casa. Doveva anche andare a trovare la legna per cucinare e riscaldarsi. La nonna era incinta del secondo figlio e un giorno, mentre andava alla cibbia le vennero le doglie. Non ebbe la forza di arrivare a casa per chiamare l'ostetrica e così perse la bambina. Intanto il nonno, venendo a sapere della tremenda disgrazia, cercò di tornare, ma mia nonna lo convinse a fermarsi ancora per metter da parte qualche altro soldo. Dopo un paio di anni il nonno ritornò per sempre. La nonna ebbe altri tre figli. I giorni trascorrevano felici e beati, ma un giorno il nonno venne ad Aiello con la vespetta per sbrigare alcune cose; al ritorno andò a sbattere contro un muro e morì vicino ad una fonte di acqua. Io non ho potuto conoscere mio nonno e mi sento molto triste. Lo avrei voluto accanto a me per consolarmi e darmi dei consigli e per aiutarmi a fare questo tema perché era il diretto interessato. Se io fossi stato al posto di mio nonno non avrei lasciato la mia famiglia per nessun motivo, comunque ammiro molto la forza e il coraggio che il nonno ha avuto. Egli soffrendo lontano dalla sua famiglia per un lungo periodo, gli ha dimostrato il suo grande amore. A nonno Tu eri in treno mentre ritornavi io ti aspettavo con un regalo in mano piangendo forte forte Mentre venivi verso di me mi dicesti: "Un giorno questo treno lo dovrò riprendere e ti lascerò di nuovo da sola con loro i nostri pargoletti" ma un triste giorno, nonno caro tu sei morto in un tragico incidente e noi abbiamo versato tante lacrime per te. Vercillo Settimio Classe 5°A, Aiello C. *** La nonna mi ha raccontato che il nonno è stato in Venezuela e in seguito in Germania. Tornava a casa per le feste di Natale. Quando il nonno è morto, mia nonna mi ha raccontato la sua storia, dicendo che papà ha visto per la prima volta il nonno quando aveva sei anni. Quando il nonno ritornava papà era felice, sia perché arrivava suo padre, sia perché arrivavano i regali. Veniva sempre due giorni dopo Santa Lucia.

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Mio nonno, Michele Zagordo, emigrato in Venezuela il 1955, lavorava come carpentiere. E' rimasto lì 6 anni ed è tornato il 1961; lavorava tutti i giorni della settimana e quando aveva qualche ora libera stava chiuso in casa, perché in quel periodo era in corso una rivoluzione popolare finita poi con un colpo di Stato. Le difficoltà che ha trovato in questo Paese sono state molte: la lingua, il fatto di non conoscere le persone e il caldo. La nonna Ninna ha lavorato per 6 anni per far ritornare il nonno dal Venezuela, perché gli ha dovuto mandare i soldi per il viaggio visto che la ditta con la quale lavorava stava per fallire e non pagava gli operai. Ritornato in Italia, dopo pochi anni emigrò di nuovo in Germania, rimanendovi 4 anni. E' morto poi nel 1996 per una malattia presa in Venezuela. Per me l'emigrazione è triste perché vedi partire tuo padre e tua madre deve restare sola con dei figli da curare. Questo pensiero mi commuove e mi dispiace tanto per quello che ha dovuto soffrire mio padre. Zagordo Venceslao Geniale Classe 4°A, Aiello C. ______________________________________________________________

COMPONIMENTI "SCUOLA MEDIA" Nota: i componimenti sono stati ordinati in ordine alfabetico ad eccezione dei primi tre.

Oggi, noi viviamo immersi in un benessere enorme anche se a volte non diamo molta importanza a ciò. Chi più chi meno, abbiamo tutti quella autonomia economica che ci aiuta a vivere con il nostro posto fisso di lavoro e la nostra famiglia. Un tempo però tutte queste ricchezze non esistevano e l'emigrazione era l'unica via di salvezza che si poteva percorrere. Moltissimi nostri compatrioti partivano con in mano una vecchia valigia legata con lo spago e con la speranza che un giorno sarebbero tornati dalle proprie famiglie. Nella mia famiglia c'è una persona che può darmi, diciamo, la conferma di quelli che sono stati sicuramente gli anni più lunghi, più tristi e più duri: mio nonno. Egli infatti è emigrato in Francia nel 1961. Il paese in cui viveva e in cui vive tuttora Aiello era infatti povero di risorse economiche così decise di emigrare. Erano tempi durissimi sicuramente e non furono poche le difficoltà che mio nonno incontrò entrando in un paese diverso dal suo, con una lingua difficile da imparare, con un clima più freddo del suo, ma soprattutto con persone diverse da lui. Persone che non conoscevano l'amore e la pace e che erano portate solo per la guerra e l'odio. Appena arrivato non sapeva dove sistemarsi e poche furono le persone disposte a dargli una mano. Non sapeva comunicare con nessuno e trovò serie difficoltà a inserirsi nel gruppo di lavoro. Mio nonno dormiva in una stanza buia, umida, quasi senza luce, con un piccolo finestrello ad un angolo della stanzetta. Il nonno per anni lavorò dentro le gallerie. Continua il viaggio del nonno ed è arrivato il momento di raccontare le sue tristezze, i suoi pensieri, i suoi ricordi e i suoi stati d'animo in generale. Passati alcuni mesi pur avendo la compagnia di amici mio nonno si sentiva triste e anche molto solo. I pensieri che gli balenavano in testa erano molti. Il giorno lavorava e il suo corpo si muoveva, faticava ma con la testa era fra le nuvole. La sua mente era impegnata a pensare al futuro e alla sua famiglia lontana. Non gli importava che non aveva acqua, che non aveva cibo ma voleva al più presto rivedere la propria famiglia. A lui mancava la cosa più bella che aveva, le uniche persone che gli erano state vicine e che gli avevano dato fiducia: la sua famiglia. Penso che sia un sentimento bruttissimo quello di trovarsi senza le persone che più ti hanno amato e che più ami. Lui, però, facendo la parte dell'eroe, con molti dei suoi amici, si sono fatti

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forza, coraggio e hanno continuato ad amare con la mente e a lavorare con il corpo, senza emettere alcun lamento, perché lì si doveva solo lavorare. I giorni passavano e mio nonno prese un foglio di carta e così scrisse a sua moglie. Cara mia. Ti scrivo per dirti tante cose. Qui è tutto a posto, ma non so quanto potrò resistere ancora. Le leggi infatti sono molto dure e non puoi permetterti nemmeno di parlare o di piangere. Penso sempre a voi e sogno di rivedervi anche se non so quando questo momento arriverà. E tu? Come al solito lavorerai giorno e notte, ma voglio che tu mi fai una promessa e guai a te se non la mantieni: non lavorare sempre perché ricorda che "chi va piano arriva lontano". Lo riconosci è il proverbio che mi dicevi sempre quando ancora ero lì vicino a te. Questo deve valere anche per te, altrimenti mi arrabbio. Il mio cuore si è spezzato in due parti: la parte del lavoro e la parte delle solitudini. Questa lettera mi ha fatto riflettere molto. Non so spiegare con precisione il significato di queste parole, soprattutto perché io non ero presente al momento della consegna del postino. Comunque, una cosa posso affermarla con certezza, l'amore è una cosa bellissima e non c'è distanza che può spezzare soprattutto l'amore che si ha per la propria famiglia. A questa lettera c'è stata la risposta di mia nonna, nel momento che ho letto per la prima volta la lettera che segue, non ho potuto trattenere le lacrime. Penso anche che quelle erano lacrime di orgoglio, orgoglio verso il nonno che è stato coraggioso e che non ha avuto paura di affrontare i problemi e le piccole noie quotidiane. La lettera è la seguente: Aiello 12 Settembre 1964. Mio sposo, subito vengo a fare risposta alla tua cara lettera e sono rimasta molto contenta perché tu godi di perfetta salute. Tuo figlio sta bene, ma ogni tanto chiede del suo caro babbo e io gli rispondo che tornerai presto e giocherai con lui. Le terre che devo coltivare sono le solite ma sono molto malridotte... Finisco il mio dire con la penna, ma con il cuore non finirò mai di pensarti insieme a nostro figlio. Tantissimi baci e abbracci. Tuoi per sempre Giuseppina e figlio. In queste lettere che abbiamo visto insieme possiamo capire che una volta le cose erano diverse di quelle di oggi. Infatti ai figli mancava l'affetto dei papà che lavoravano con il cuore spezzato. Certo, non tutti i figli nel nostro paese erano così sfortunati perché c'erano anche le famiglie benestanti per le quali le famiglie più povere dovevano lavorare. Ci furono nella vita di mio nonno momenti in cui voleva smettere di lavorare per gli altri lontano dalla propria famiglia. Ma poi, pensando alle parole della sua amata e al suo unico figliolo, non si arrese mai, mai! Molte furono le lettere che si scambiarono, tantissime le cartoline, ma in particolare una mi ha colpito e ci tengo molto a farvela leggere: Quando il sole smetterà di sorgere Io smetterò di pesare a voi!!! Sono poche parole certo, ma in fondo vogliono farci capire quanto una persona sia legata alla propria famiglia. Intanto la vita scorreva come scorrevano i giorni e i mesi. E molte furono le lettere, da cui io prendo alcune frasi che per me sono le più suggestive e le più emozionanti. Da nonna a nonno: Quando tornerai a casa, non dirmi niente, dimmi solo che starai per sempre vicino alla tua famiglia....! Da nonno a nonna: Fra poco sarò a casa e i nostri cuori mai più si divideranno...

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Da nonno ai parenti tutti: Se non ho perduto le speranze è grazie al vostro amore ... Il tempo passò è arrivò finalmente il momento del ritorno a casa. Mio nonno, Triestino Vittorio posò dopo molti anni i piedi sulla sua cara patria. Appena arrivato davanti al portone di casa gettò la sua valigia vecchia, si chinò e bacio la terra. Ci fu infine un grande abbraccio generale di tutta la famiglia, dei parenti e di tutti gli amici. In particolare sul viso dei miei cari nonni scivolarono delle goccioline di lacrime, dentro le quali si vedevano riflesse tutte le scene che questa famiglia (come moltissime altre) aveva trascorso divise a metà. Molti anni da allora sono passati e quella famiglia che era stata divisa fece molti progetti insieme, senza separarsi mai e questa, secondo me è la cosa più importante. Le mie "osservazioni" Termina così il nostro viaggio fatto insieme. Sono state molto o forse poche, le emozioni che ciascuno di noi ha provato durante le varie tappe di questo "viaggio storico". Oggi per fortuna le cose sono cambiate e viviamo immerse nel cosiddetto "villaggio globale". Con il passare degli anni la scienza, la tecnica e la medicina hanno fatto passi da giganti, tanto da farci arrivare in un mondo completamente tecnologico e computerizzato; ciò a molti non crea alcun problema, io invece penso diversamente. Questi passi giganteschi fatti dall'uomo ci faranno ritornare ai vecchi sistemi del passato o più precisamente ci faranno perdere tutta la nostra personalità. Io infatti ogni giorno dalla TV, dai giornali e viaggiando da casa a scuola mi rendo conto perfettamente che ognuno di noi ha almeno un computer, un telefonino, un videogiochi ecc. Come possiamo capire questi oggetti sono frutto di anni e anni dell'uomo, e su questo sono pienamente d'accordo perché sono oggetti utili. Però se pensiamo a quante lettere d'amore, di lavoro o di qualsiasi altro argomento si voglia parlare vengono inviate al giorno ci renderemo conto che il numero è molto diverso di quello di dieci anni fa, infatti le caratteristiche lettere sono state cambiate con i messaggi al telefonino e al computer. Grazie a internet, noi possiamo fare la spesa stando semplicemente davanti ad uno schermo dentro casa. Moltissimi altri sarebbero gli esempi, ma questi bastano per farci arrivare ad una conclusione: che tipo di personalità avremo arrivati al punto in cui non scriviamo nemmeno una frase con la nostra cara e ormai vecchia penna? Tutti, in fondo, dicono che noi siamo altamente intelligenti, ma secondo me siamo del tutto "rimbambiti", nel senso che siamo stati attirati dalle pubblicità, dai Mas Media, in poche parole dall'alta tecnologia che ci circonda. In questo modo si arriva alla conclusione che saremo privati dalla nostra privacy e della nostra personalità. Tutto questo, come ho già accennato non esisteva anni fa e penso che i popoli antichi erano più "sapientoni". Il nostro paese oggi si è trasformato in un centro di accoglienza per emigrati da tutto il globo. Questa è una cosa più che giusta anche se fra essi vi sono delle persone non del tutto oneste. E cosi, anche le mie considerazioni (forse un po' banali) sono terminate. Ci tengo infine a dire che il mio racconto non è stato esauriente anche perché gli elementi storici che l'hanno "addobbato" sono stati insufficienti, mentre sono state molte le mie considerazioni che forse non sono state di tanto aiuto. Certo, la storia per noi è molto importante più di quello che dice la gente, ma secondo me senza le proprie parole, senza le proprie idee ed opinioni la storia non ha alcun senso. Non ho molte speranze di arrivare alla cima di questa grande e divertente (anche se molto impegnativa) scalata, ma l'importante nella vita è partecipare e poi bisogna saper perdere!!! "Se c'è una cosa che non possiamo comprendere, è il dolore di chi non può avere accanto a se la propria famiglia"

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Emigrato Emigrato che sei partito con il viso di lacrime rigato sei partito con una valigia con spago legato e tutta grigia. Sei partito con la speranza di vedere la tua famiglia sistemata. Dure fatiche però hai sudato lavoravi quando eri sano lavoravi quando eri malato. Emigrato, il tuo cuore dalla fatica s è spezzato. Ma una sola speranza avevi quella che un giorno non saresti più stato un emigrato. Triestino Giuseppina 1°A - Aiello C. 1° Premio *** Mio nonno si chiama Gaspare Marghella ed ha 71 anni. Da piccolo abitava nella località chiamata Campagna. Frequentava molto di rado la scuola perché doveva pascolare le mucche, le capre e le pecore. Infatti ha ripetuto la prima elementare per sette volte e ha imparato a scrivere durante il servizio militare. In quel periodo tutta la famiglia lavorava la terra e la situazione non era delle migliori. Per questo mio nonno nel 1948 emigrò in Sicilia con alcuni amici. Lavoravano sempre alle dipendenze di un padrone. A settembre potavano i mandorli e a novembre gli ulivi. Dormivano a terra sulla paglia accanto ai maiali. Il cibo era un quarto di pane, mezzo litro di vino, una acciuga da dividere a colazione e a pranzo e la cena a base di fave dove spesso trovavano degli animaletti. L'acqua veniva prelevata da un pozzo e non era potabile, per poterla bere dovevano filtrarla con un fazzoletto. Dalla Sicilia tornò nuovamente in Calabria e nell'aprile del 1955 emigrò in Piemonte dove si dedicò ad allevare gli animali e a coltivare la terra, sempre alle dipendenze di un padrone. Qui il cibo era migliore. A colazione consumava latte con uova, mentre a pranzo e a cena mangiava la pasta e la carne. Dormiva insieme ad altri emigrati in una piccola camera. Dal Piemonte l'11 settembre 1955 emigrò in Germania. Qui lavorava alle dipendenze di un ditta di costruzione e fino al 1960 dormiva in baracche di legno. Lavorava l'intera settimana senza sosta e la sera quando tornava a casa doveva provvedere alla cena. Mio nonno non trascorreva tutto l'anno in Germania, a dicembre ritornava a casa e poi ripartiva a marzo. Tornò definitivamente in Calabria nel 1972. La vita delle donne rimaste a casa da sole era molto difficile perché oltre ai lavori domestici dovevano svolgere anche i lavori che prima erano svolti dai mariti. Quando il nonno partì nel 1955 lasciò la nonna con una bambina di soli due mesi, mia mamma, che lasciava ad una vicina. Infatti soltanto così poteva svolgere i lavori nei campi. Ogni anno andava a Grimaldi con altre donne a raccogliere le castagne e le ghiande, e le portava sulla testa. Mia nonna mi racconta che quando mia mamma era piccola non aveva i soldi per comprare il petrolio e per farla dormire doveva cullarla alla luce della luna, con la finestra aperta e la paura che qualcuno entrasse in casa. Andava a fare il bucato al fiume, poco

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distante da casa insieme ad altre donne. Per farlo venire pulito veniva tenuto a bagno in cesta con acqua e cenere. L'acqua da bere veniva prelevata da una sorgente con dei recipienti chiamati cucume. Durante i suoi continui spostamenti mio nonno ha trovato diverse difficoltà soprattutto a causa della lingua e del razzismo. I tedeschi erano molto diffidenti. Ricorda con precisione che quando con gli amici andava in qualche locale, i tedeschi o si isolavano o uscivano. Gli ho chiesto se avesse avuto qualche aspirazione e lui mi ha risposto che in quel periodo pensava solo a lavorare per mantenere la famiglia. Solo a fine settimana usciva con gli amici. Si riunivano e andavano a divertirsi nelle discoteche, dove tutti insieme suonavano la chitarra e cantavano la strina. Dopotutto mio nonno ha un ricordo positivo di questa esperienza anche se ha trovato delle difficoltà e ha sentito la mancanza della famiglia. Perciò quando in occasione di qualche festività ci riuniamo egli racconta sempre degli aneddoti molto curiosi successi durante l'emigrazione. Uno molto curioso è successo in Sicilia; lui e i suoi amici facevano molti dispetti al padrone. La sera quando nessuno li vedeva andavano a mangiare le arance e poi nascondevano le bucce sotto terra. Mentre mio nonno racconta le sue esperienze, ho notato più volte che i suoi occhi si riempivano di lacrime. Questo è dovuto al fatto che prova tristezza nel ricordare i momenti in cui ha dovuto lasciare la famiglia e partire senza alcuna certezza. Questi racconti mi fanno riflettere su come sono diverse le cose oggi. Prima l'Italia era una terra di emigrazione, adesso invece è diventato un paese di immigrazione. Dai paesi balcanici e dall'Africa arrivano navi cariche di clandestini, che una volta giunti in Italia o vengono rimpatriati o riescono a rimanervi clandestinamente, svolgendo lavori in nero molto rischiosi e umili. Io penso che alcune delle difficoltà che trovano questi immigrati le ha trovate anche mio nonno, e questo suscita in me dolore ma anche ammirazione, perché ci vuole molto coraggio a lasciare tutto e partire per un paese sconosciuto. Io ammiro mio nonno anche perché, dopo tutte le difficoltà che ha incontrato è ancora pieno di energia ed è molto ottimista. Deiana Manuela 3°aA - Aiello C. 2° Premio *** Quando vado a trovare le nonne, esse spesso sull'emigrazione mi hanno raccontato delle storie molto commoventi. Nel 1959 partirono per il Canada e l'Argentina i fratelli di mia nonna. Essa racconta ancora che suo padre partì con le pezze ai piedi nel 1907 negli USA. Poi tornò con un po' di soldi e si costruì una casa a Savuto, si sposò e ripartì per il Canada lasciando la moglie con un figlio in grembo. Li ha lavorato nei forni per cinque anni e quando ritornò in Calabria aveva perduto il senso dell'udito, ma continuò a lavorare perché non si rassegnava di essere sordo. Per sentirsi più sicuro dormiva con la rivoltella sotto il cuscino. Mia nonna mi dice che ha dovuto badare ai fratelli più piccoli fin dall'età di otto anni. Il nonno di mio padre Raffaele Pagliaro è partito negli USA nei primi anni del novecento dove ha lavorato nelle miniere e nella costruzione di ferrovie. Dopo un certo numero di anni è tornato con un gruzzoletto di soldi con cui ha comprato una proprietà sulla quale ha costruito una piccola azienda agricola chiamata "Gioiosa". Mia madre custode gelosa dei ricordi e delle emozioni della famiglia mantiene ancora tutti i rapporti con i parenti emigrati. Io vivo ogni estate di ricordi perché a casa mia vengono tutti i parenti emigrati e raccontano di periodi vissuti al limite dell'umano, raccontano di sacrifici inauditi. Quello che commuove sono i loro occhi quando vengono in visita in

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Italia. Commuove la loro voglia di bambini di ritrovare gli odori, i sapori e le emozioni antiche. Ogni estate ascolto questi loro discorsi forse ripetitivi, ma reali di situazioni vissute. I miei parenti nonostante i grandi sacrifici affrontati mi hanno dato un grande insegnamento. Loro pur amando l'Italia, ringraziano Dio per l'opportunità avuta di riscattarsi dalla povertà con onestà, tenacia e laboriosità. La tristezza mi assale quando vedo gli immigrati maltrattati e non rispettati dagli italiani che avendo smarrito la memoria storica stanno scivolando verso un vergognoso razzismo. Questo offende ogni umano sentimento. Pagliaro Yuri Achille 3°C - Cleto 3° Premio *** Nella mia famiglia soprattutto in quella materna ci sono stati molti emigrati. Tutti i fratelli di mio nonno sono andati in Canada e li hanno creato dopo tanti anni le proprie famiglie. A raccontarmi dell'emigrazione è stato proprio mio nonno Michele Cuglietta, il quale dopo ben quarantasei anni è ritornato nella sua terra natale. Dovette emigrare per la grande povertà che esisteva nel Secondo Dopoguerra. Nel 1951 dopo aver ottenuto il passaporto ed essere stato sottoposto a controllo medico partì con una nave greca da Napoli per il Nord-America. Il viaggio durò diciassette giorni e nella nave vi erano altri millecinquecento emigranti. Arrivati a San Lorenzo in Canada furono destinati nei luoghi di lavoro e mio nonno fu mandato nelle ferrovie nazionali. Lavorava dalle dieci alle dodici ore al giorno, d'estate faceva molto caldo e dovevano proteggersi dal sole e dalle zanzare, d'inverno invece le temperature erano molto rigide e molte volte il naso, le orecchie e le guance si congelavano. Infatti lavoravano protetti da guanti e cappotti ben imbottiti. Dormivano nei vagoni dei treni vecchi in cui c'erano dei letti a castello. I servizi igienici erano posti fuori quindi d'inverno era molto disagevole andare perfino in bagno. Fuori avevano anche delle cisterne piene d'acqua che serviva per l'igiene personale, che spesso però si ghiacciava. Appena arrivati i canadesi li trattarono molto male, tiravano loro pietre e li offendevano con parole molto pesanti e spesso scoppiavano risse sanguinose. Un altro problema che mio nonno e gli altri dovettero affrontare fu quello della lingua. Per questo problema gli emigrati dopo varie richieste per aver un docente di lingua inglese, finalmente lo ottennero solo per sei mesi. Dopo aver imparato la lingua, frequentò un corso per diventare "ufficiale di lavoro in ferrovia". Dopo questo corso fu promosso e la sua carriera da ufficiale terminò nel momento in cui è andato in pensione. Mio nonno tornava qualche volta in Italia nei periodi di ferie, ma rimase sempre in stretto contatto con la famiglia attraverso il telefono e le lettere. Nel tempo libero amava andare a caccia e a pesca. Mia nonna rimasta a casa coltivava la terra e con il denaro che il nonno le spediva provvedeva all'educazione e all'istruzione delle loro due figlie. Da dieci anni mio nonno è ritornato e si è ristabilito in Italia. Ascoltare mio nonno mi ha fatto capire molte cose grazie al suo modo di raccontare; come le sue sofferenze, e la situazione economica che c'era in Italia in quel periodo. Ma non si può a parer mio parlare solo di chi è emigrato, ma bisogna pensare anche alle giovani moglie che si ritrovarono sole con i figli. Allora contavano alcuni valori specie quello della famiglia e vedere tutti quei mariti, padri di numerosi figli, allontanarsi da casa era qualcosa di veramente doloroso. Ma la cosa che mi ha colpito di più è che la maggior parte delle donne, nonostante non avessero contatti con i mariti sono rimaste loro fedeli. Rabbrividisco sentendo la voce segnata dalla sofferenza di mio nonno nel raccontarmi la sua storia. Anche oggi i giovani sono spinti ad emigrare a causa della disoccupazione. Questo però è agevolato dal forte sviluppo dei mezzi di comunicazione, infatti anche se si lasciano le

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proprie famiglie non si perdono i contatti. Secondo me oggi conviene collaborare e lavorare con persone di differenti paesi perché ciò significa imparare a dialogare giorno per giorno per ricercare i motivi e i significati comuni dell'essere uomini nel rispetto reciproco nella condivisione dei valori e degli ideali. Di conseguenza oggi l'emigrazione potrebbe essere un avvenimento positivo al contrario del passato. Astuto Veronica 3° B - Aiello C. *** I nonni si chiamano Carmelo Rocchetta e Bennardo Vittorio, emigrarono in Canada nel 1957. Appena arrivati si sentivano come estranei perché lontani dagli amici e dai parenti. Si sistemarono in una casa con altri emigranti e dormivano in soffitta. Mio nonno, che adesso non c'è più, mi raccontava che era andato a lavorare in ferrovia vicino l'Alaska. Dapprima la loro vita fu molto dura perché le persone approfittarono degli emigrati. In seguito abitarono nella propria casa e guadagnavano abbastanza bene. Le difficoltà erano date dalla lingua e dagli usi e costumi di quei paesi. Ad esempio la festa del Ringraziamento che ricorre il 26 novembre in cui si mangia il tacchino è una festa molto più sentita del Natale. Ricorre anche la festa di Halloween che è la festa delle streghe e si festeggia il 1° novembre, mentre in Italia si fa visita ai defunti. I miei nonni si sono dovuti inserire in questa nuova società. Essi nel tempo libero andavano o a caccia o a pesca e mia nonna in giro con le amiche. Nel 1966 è nata mia madre che ha trascorso l'infanzia in Canada. Ella mi racconta che vicino la sua casa c'era un fiume che d'inferno si ghiacciava e lei vi andava a giocare con altre bambine. In Canada c'erano molti animali come l'alce, il bisonte e durante l'estate gli orsi. Mia madre con i miei nonni nel 1979 è ritornata in Calabria però ha molta nostalgia del suo paese. Io penso che miei nonni siano stati coraggiosi ad emigrare e io sono fiero di loro. Bennardo Andrea 2°A - Aiello C. *** L'emigrazione ha causato lo spostamento temporaneo o definitivo da un luogo all'altro di molte famiglie. Le cause possono essere di diverso tipo, ma la più importante è dovuta alla mancanza di lavoro. Questa storia che ha come protagonista Eugenio Mendicino, fratello di mia nonna, mi è stata raccontata dal figlio. Tutto è cominciato nella primavera del 1949 quando suo padre dovette affrontare un lungo viaggio per raggiungere il Canada, qui dovette affrontare inverni molto freddi e duri anni di lavoro nella ferrovia canadese a Vauncouver. Durante questi anni risparmiò del denaro per acquistare una casa e potersi finalmente riunire con il resto della famiglia. Quello fu un momento di grande orgoglio per lui come per ogni emigrante che ha avuto la forza di crearsi una nuova vita. Suo figlio Alessandro è molto fiero del padre perché è riuscito a realizzare i propri desideri; infatti all'età di sette anni egli partì per raggiungere il padre. All'inizio la vita non fu facile, ma con la collaborazione di tutti poterono frequentare la scuola per poter frequentare l'università. Oggi che Alessandro ha un posto di lavoro sicuro, e una bella famiglia ringrazia infinitamente il padre. Questa storia ha suscitato in me molta commozione e ammirazione verso lo zio e mi ha fatto riflettere sui problemi che l'emigrazione comporta. Ancora oggi il

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flusso migratorio è presente e lo possiamo notare anche nel nostro paese. Ultimamente si è verificato un forte tasso di immigrazione, quella dei profughi sbarcati in Italia che hanno fatto sorgere una forte tensione fra le persone e molti problemi di natura politica, economica e soprattutto sociale. Bennardo Mariangela 3°C - Cleto *** Il nonno che ha il mio stesso nome, Armando, ha cominciato a lavorare giovanissimo perché una volta era difficile per la gente umile poter studiare. A sedici anni faceva il calzolaio e guadagnava pochissimo. Così quando nel 1949 un gruppo di suoi conoscenti ha deciso di tentare l'avventura dell'emigrazione anch'egli è partito per la Francia con la speranza di avere un po' di soldi in più. Non la ricchezza, ma una vita dignitosa e tranquilla. Arrivato in Francia, a Cacheville venne assunto da una ditta di costruzioni. Resiste soltanto per tre mesi al duro lavoro e alle grandi sofferenze fisiche e mentali, quindi stremato dalla fatica e dalla nostalgia torna in Italia, ma vi resta soltanto otto giorni. Quando è ripartito sapeva di fare una scelta e non ha voluto arrendersi. Ritornato in Francia cambia lavoro e guida delle grosse gru. La ditta è la stessa, ma questa mansione gli piace di più. Così, passano tre lunghi anni prima di tornare a casa dove resta per sei mesi. Ritorna di nuovo in Francia e lavora nella costruzione della metropolitana, un'opera grandiosa che all'ora rappresentava una delle prime di questo genere in Europa. Da qui si spostò su montagne innevate e ricche di ghiacciai, qui mio nonno fece il "palista" e lo spazzaneve, spianava cioè le piste per gli sciatori e in questo modo conobbe grandi campioni. Nel 1978, dopo quasi vent'anni, torna in Italia, trova un lavoro in banca e decide che può restare finalmente a casa. Ciò che nonno ricorda con più sofferenza è il distacco, ancora giovanissimo dalla famiglia, l'angoscia dei primi tempi, la paura che potesse succedergli qualcosa lontano da tutti e che potessero imbrogliarlo. E' stata dura anche doversi adattare alla vita dei cantieri e dover dormire per terra nelle baracche. Adesso ha sessantaquattro anni e ancora lavora. Spero che quando andrà in pensione potrà godersi la vita serenamente. Io gli starò sempre vicino perché gli voglio bene e penso che è un uomo che sa fare e conosce tante cose. Cerco di imparare da lui. Ogni volta che mi da un suggerimento scopro che era la cosa più giusta da fare e la racconto anche a scuola, perché spesso è proprio per questioni scolastiche che chiedo aiuto. La mia professoressa di italiano sorride e mi dice contenta che io sono un "fan" di mio nonno. E' verissimo: forza nonno! Bossio Armando 1°C - Cleto *** Il nonno si chiama Astorino Bossio ed era il terzo di nove figli. Emigrò nel 1950 in Canada dove lavorava come operaio sulle ferrovie. La ditta gli dava vitto e alloggio, c'erano tante squadre formate da 20-30 operai e uno di essi doveva lasciare il lavoro una o due ore prima per preparare il pranzo al suo gruppo. Abitava insieme agli altri in treno, dove un vagone era suddiviso in zona cucina e in zona letto. Guadagnava duecento dollari al mese e li mandava quasi tutti alla famiglia qui in Calabria dove ritornò nel 1953. Quando mio nonno emigrò lasciò mia nonna con un figlio in grembo e due bambine piccole. Il bimbo nacque nel 1950, ma aveva una lesione al cervello e nonostante le cure è morto all'età di quattro mesi e nove giorni. Quando mio nonno ritornò e conobbe quello

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che era successo decise di non emigrare più, ma nel 1961 per questioni economiche dovette andare in Germania dove lavorò come operaio nella costruzione di strade. Ritornò definitivamente ad Aiello nel 1965 dove ha lavorato come guardiano in una grossa proprietà agricola. Il suo lavoro consisteva nel seguire il lavoro dei coloni, chiamati in dialetto turrari, conservare il raccolto nei magazzini e discutere con il padrone la divisione dei prodotti con i turrari. Nel 1968 emigrò in Valle d'Aosta dove lavorò come operaio edile e guadagnava £.6500 ad ora. Ritornò in Calabria nel 1971. I nonni lavorarono per qualche tempo facendo i contadini e vendevano ciò che coltivavano nei mercatini dei paesi vicini. In seguito mio nonno emigrò di nuovo in Valle d'Aosta con alcuni conoscenti facendo lo stesso lavoro che faceva nel 1968. Negli anni in cui mio nonno è stato fuori di casa, mia nonna ha dovuto lavorare tantissimo: coltivava il terreno e si occupava dei suoi sei figli facendo loro anche da padre. Un altro lavoro faticoso che elle faceva insieme ad altre donne era quello di lavare in una vasca di cemento con l'acqua fredda. La storia di mio nonno mi ha commosso è posso dire che è stato un uomo molto forte, perché non è da tutti lasciare la famiglia per andare in una terra lontana con la speranza di vedere realizzati i propri sogni giovanili. Bossio Katia 3°A - Aiello C. *** I nonni materni sono emigrati in Francia perché qui non c'era molto lavoro. Hanno salutato i loro parenti con grande dispiacere e hanno preso il treno. In Francia hanno avuto tre figli e uno di questi è mia madre. Mio nonno ha lavorato in una fabbrica siderurgica dove c'erano anche marocchini portoghesi, spagnoli e molti italiani che non erano ben visti dai francesi. Io penso che una volta si lavorava di più rispetto ad oggi e che la vita era molto difficile. Bruni Bossio Sabrina 3°A - Aiello C. *** Il nonno si chiama Pietro Caputo primogenito di due figli e ha settanta anni. Emigrato nel 1962 in Germania ha fatto il manovale. Tornava a casa d'inverno ed è rimasto lì fino al 1967. In seguito ha lavorato nella Valle d'Aosta , in Piemonte e in Sicilia. La nonna è rimasta a casa con i suoi sei figli, lavorava la terra da cui ricavava tutto ciò che serviva per la famiglia. Mi racconta sempre che ogni mattina, quando c'erano le fragole o i funghi con i figli si alzavano molto presto e andavano a raccoglierli per venderli. Mio nonno mi ha raccontato che i tedeschi erano molto invadenti e per la difficoltà della lingua non si potevano difendere dai loro insulti. Purtroppo erano trattati molto male e si sentivano estranei. Ma questo era veramente razzismo! Egli quando era fuori casa con i suoi amici cercava di rendere allegra la giornata di lavoro anche se era molto stanco. L'emigrazione ha reso difficile la vita delle donne rimaste a casa infatti dovevano badare ai figli a cui dovevano fare da madre e da padre e inoltre lavorare la terra. Quando raccoglievano il granturco mettevano le foglie a seccare e poi le mescolavano con la lana per riempire i materassi, ma la mattina quando si alzavano avevano mal di schiena. Per lavare la biancheria andava in una località chiamata tuvulu dove faceva il bucato con la lissia. Quando mio nonno mi ha raccontato la sua storia ho notato che in parte rimpiangeva quegli anni, perché oggi c'è molta più violenza; infatti alcuni figli uccidono i genitori per soldi o per disperazione. Mentre mio nonno parlava ho notato una cosa che mi ha

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particolarmente colpito, credo che nel suo animo c'era sia dolore che felicità quando gli brillavano gli occhi per le lacrime. Caputo Antonella 3°A - Aiello C. *** Il nonno si chiama Chiarello Orazio, è nato il 25 agosto 1932 e la sua famiglia era formata da dieci persone. Egli non ha frequentato né la scuola elementare, né quella media e ha imparato a scrivere a diciotto anni da militare. Emigrò in Francia all'età di venticinque anni e lavorava nelle miniere di carbone che erano molto profonde. Restò lì per cinque anni e ritornava ad Aiello una volta all'anno. In Francia la vita era dura e gli emigrati abitavano in una stanza di quattro metri quadrati e con lui c'erano altre due persone. Qualche volta la domenica uscivano e andavano al cinema o alle sale da ballo. Per due volte si infortunò alla testa per la caduta di pietre e carbone. Mio nonno ritornò quando aveva messo da parte un po' di soldi nel 1962, l'anno seguente si sposò e nel 1964 nacque mia mamma. Mio nonno ha ora sessantanove anni e vive ad Aiello. Le considerazioni che posso trarre dal suo racconto sono queste: lasciando la propria casa e i propri familiari egli ha dimostrato una grande forza d'animo perché all'estero non conosceva niente nemmeno la lingua. Con il guadagno del suo lavoro costruì una casa ed ebbe la possibilità di formarsi una famiglia. Chiarello Orazio 3°A - Aiello C. *** Il nonno si chiama Coccimiglio Salvatore ed emigrò in Germania nel 1963 per assicurare ai propri cari un futuro sereno. I primi anni si trovò sicuramente a disagio per vari motivi tra cui la lingua. Lavorò nell'edilizia. Tornava dalla Germania ogni anno per tre mesi. In Germania è rimasto per diciotto anni consecutivi. Anno per anno il salario aumentava però bastava soltanto per poter vivere. Mi racconta che dormiva su letti di fieno, ma poi col passare del tempo le condizioni migliorarono. Secondo me emigrare non è bello perché si devono lasciare amici e parenti. Mio nonno ha mostrato di essere forte per partire a trentadue anni e guadagnare dei soldi che servivano per la famiglia. Io mi ritengo molto fortunato perché oggi c'è sempre qualcosa da mangiare. Coccimiglio Salvatore 3°A - Aiello C. *** Io ho parlato con mio nonno e mi ha raccontato che all'età di ventuno anni, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale è emigrato in Inghilterra. Qui ha lavorato per tre anni e guadagnava cinquanta sterline al mese. Era sempre triste e dopo aver messo da parte un gruzzoletto di denaro fece ritorno a casa. Infatti gli mancava l'affetto dei suoi cari e si sentiva isolato in una nazione di cui non conosceva nulla. Quando emigrò lasciò i figli molto piccoli, ai quali provvide mia nonna che coltivava anche un pezzetto di terra. Dopo tre anni di emigrazione il nonno tornò definitivamente in famiglia. Coccimiglio Umberto

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3°B - Aiello C. *** Tanto tempo fa in Italia non c'era abbastanza lavoro e le persone erano costrette ad emigrare. L'emigrazione per noi ragazzi è diventata storia, storia che i nostri nonni e i nostri parenti hanno vissuto con tristezza e rancore. Ci sono delle domande che ancora noi ci poniamo le cui risposte le possiamo sapere chiedendo alle persone che hanno vissuto l'emigrazione. Io ho una grande persona che me le può dare: il nonno, una persona che ama i propri nipoti come se fossero i propri figli. Si chiama Marino Natale, è emigrato in Svizzera nel 1970 con i suoi fratelli. Arrivato in Svizzera si ammalò d'asma, ma lavorò lo stesso perché per lui la cosa più importante erano sua moglie e i suoi figli. In quegli anni visse in una stanzettina con un lettino, un tavolo e quattro sedie. La vita era difficile e piena di paure. Lo stipendio era scarso e per guadagnare qualcosa in più lavorava anche di notte e i giorni festivi. Ogni tanto mandava una lettera da cui traggo una parte: sono tanto lontano da voi, ma nello stesso tempo sono con voi con il cuore. dovete sapere che io vi penso sempre e sono preoccupato per voi. Di ai nostri bambini che il loro papà arriva presto. Ciao Marino Natale. Sono delle parole molto belle e come vedete mio nonno è molto romantico e mi fa sentire orgoglioso di lui. Gli anni passarono e arrivò il giorno del ritorno, 10 settembre 1975 e per mio nonno fu il più bel giorno della sua vita. Il mio viaggio è finito e sono contenta di aver partecipato a questo concorso e di aver scritto questa bellissima storia che però è stata anche realtà. Nel mio cuore non è importante vincere, ma partecipare anche se vincere sarebbe una gioia immensa. Secondo me la vita di un emigrante è difficile e forse l'emigrazione ha lasciato un segno in ognuno di noi. Finisco il mio bel tema con una poesia. L'uomo emigrato Uomo che guardi sempre avanti uomo che soffri uomo che passi e vaghi per vie straniere con in spalla una valigia grigia attaccata alla spalla con spago nero tu sei l'uomo senza meta tu sei l'emigrante. Coccimiglio Valentina 1°A - Aiello C. *** Il nonno si chiama Marghella Gaspare. E' nato nel 1929 da una famiglia molto numerosa. Da bambino insieme ai suoi fratelli aiutava suo padre nel lavoro dei campi. A scuola non andava bene e per imparare a scrivere ha dovuto aspettare il servizio militare. Nel 1948 fu costretto ad andare in Sicilia lavorando sotto padrone per potare gli alberi. Abitava in una baracca di legno. Il cibo era molto scarso e doveva dividerlo fra colazione, pranzo e cena. Tornò in Calabria e nel 1954 si sposò. Ma dovette di nuovo ripartire per il Piemonte dove fece il contadino. Qui la situazione era migliore sia come alimentazione che come alloggio.

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Dopo cinque mesi ritornò in Calabria, qui restò un anno e partì per la Germania nel 1955 dove lavorò come muratore. Dapprima abitò in una baracca e solo nel 1960 si trasferì in un appartamento. Nei locali pubblici i nostri emigrati non erano accolti bene. Il nonno tornava a casa per qualche mese e poi ripartiva. Ritornò definitivamente nel 1972. Ora può godersi la sua pensione con la famiglia. io penso che la vita di una volta era molto faticosa e inoltre gli emigrati non venivano trattati bene dai datori di lavoro. Dopo l'esperienza del nonno racconterò quella di mio padre che si chiama Cuglietta Giuseppe ed è nato nel 1954. Anche mio padre andò a Mantova per lavoro dove ha lavorato in un piccolo stabilimento dove si costruivano occhiali. Tornava a casa tre volte l'anno e dopo aver fatto il servizio militare si sposò con mia madre e restò in Calabria. Cuglietta Damiano 2°A - Aiello C. *** Il nonno, che si chiama Oreste Cuglietta, mi ha raccontato che da giovane emigrò in Germania. Partì all'età di ventotto anni nel 1960 con un vecchio treno che impiegò molto tempo. Nell'ambiente di lavoro trovò molti compagni: alcuni disponibili che lo aiutarono in tante circostanze, altri molto cattivi e dispettosi che gli facevano fare anche i loro lavori. Il nonno però fu paziente e fece trascorrere anche questo brutto momento. Dopo qualche tempo fece amicizia con bravi compagni ed alloggiarono in una baracca molto vecchia in cui entrava vento e freddo e dovevano accendere il fuoco per tutta la notte. In questa baracca passavano il loro tempo libero che consisteva soltanto nelle ore di sonno o quando trasportavano l'acqua per potersi lavare. La loro era una vita triste e dura anche perché non potevano dormire molto perché facevano i turni di lavoro. Infatti il nonno e gli altri minatori dovevano lavorare di notte con le torce in fronte. Egli si faceva scrivere le lettere da inviare ai propri familiari perché non sapeva scrivere. Facevano tanti sacrifici per pochi marchi che poi mandavano alle loro famiglie. Mi dice sempre che ha sofferto molto sia perché non conosceva la lingua sia perché faceva molto freddo e per gli usi diversi. Per quanto riguarda l'alimentazione tutti insieme facevano la spesa una volta la settimana, compravano però poche cose. Egli quando ritornò in Italia dopo tanto tempo trovò la famiglia cresciuta ed era triste perché non aveva potuto seguire i suoi figli durante gli anni dell'emigrazione. Quello che il nonno ha fatto mi è piaciuto molto, ma penso che la sua vita sia stata molto dura e faticosa. Cuglietta Daniele 2°A - Aiello C. *** Il nonno Michele Zagordo da giovane partì per il Venezuela lasciando la nonna con due bambini. Il nonno vi rimase per molti anni, dormiva in una piccola casa e la divideva con i suoi compagni di lavoro. I venezuelani trattavano gli emigrati come noi ci comportiamo nei confronti dei profughi albanesi. Dopo quasi 6 anni è stato costretto a tornare in Italia perché perse il lavoro e i soldi per il biglietto di ritorno glieli dovette mandare mia nonna. Dopo qualche anno ritornò in Venezuela, ma dopo pochi mesi ritornò di nuovo in Italia. Mia nonna, quando restò sola, faceva dei lavori in campagna come raccogliere le olive e i fichi. Io penso che mio nonno sia stato molto forte, perché, se non fosse andato all'estero, la sua famiglia sarebbe rimasta senza viveri. Falsetti Consuelo

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Classe 2° A, Aiello C. *** Il 1900 è stato caratterizzato, soprattutto nei primi anni, dall'emigrazione. Nella mia famiglia ci sono stati alcuni emigranti soprattutto nell'America del nord, ma anche nel nord Italia e nella stessa Europa. Un mio fratello è emigrato in Canada, l'altro in Lombardia e due cugine in Francia. Alcune volte, specie in estate, ritornano in Italia per una o due settimane per trascorrere insieme le vacanze. Sono tutti rimasti all'estero perché lì hanno trovato un lavoro e si sono costruiti una nuova vita. Non ho potuto raccogliere delle testimonianze, ma ho intervistato una zia che vive in America e fu abbandonata dal marito tra il 1945 e il 1950. Prima di trasferirsi in America lavorarono in Piemonte dove restarono circa due anni. Mio zio partì in America e lasciò la moglie incinta in Italia. Mio zio dopo un paio di mesi si innamorò di un'americana e decisero di vivere insieme. Mia zia, venuta a conoscenza di ciò, seguì un altro uomo in America. Arrivata in Argentina trovarono lavoro presso un benestante, lei come cameriera e lui come giardiniere. Purtroppo i proprietari, ormai anziani, morirono dopo poco tempo. Trovarono di nuovo lavoro, la zia come domestica e lo zio come contadino. Qui, il salario, pur essendo basso permise loro di comprare una casa. Ma la fortuna arrivò di colpo, il marito ricevette una grossa eredità dal padre, ricco proprietario terriero. L'eredità consisteva in una villa, molto terreno ed una considerevole somma di denaro. Mia zia ha avuto molta fortuna, mentre altri emigrati come lei non ne hanno avuto. Purtroppo ancora oggi c'è ancora tanta emigrazione, specialmente dai paesi dell'Est europeo verso occidente e dai Balcani verso l'Italia. Sono migliaia le persone che spendono molti soldi per imbarcarsi in una di quelle vecchie navi che per loro rappresentano la speranza per ricominciare a vivere. Feraco Gemma Classe 3° B, Aiello C. *** L'emigrazione, per me, è un caso molto frequente, molti genitori partono e lasciano la propria famiglia e la propria casa. Molti vanno al nord e molti all'estero; ci sono persone che mancano dalla Calabria e dall'Italia da 30, 40 o 50 anni. Dal mio paese sono emigrate molte famiglie. L'emigrazione è un problema che preoccupa tutta la popolazione. Filice Pietro Classe 2°C, Cleto *** Il nonno , Giovanni Fiume, mi racconta che nell'anno 1958 emigrò in Germania. Lasciò l'Italia perché aveva due figli e la moglie ammalata da mantenere. Arrivato in Germania incontrò mille difficoltà come la lingua, le abitudini e il dover trovare lavoro. Lo trovò a fatica nelle costruzioni di canali, ferrovie e strade come manovale, ma in seguito, mostrando buona volontà e capacità, poté usare le macchine come il motopico guadagnando molto di più. Dormiva in una baracca con altri 3 o 4 operai. Il nonno rimase

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all'estero per 4 anni, perché dovette ritornare perché la moglie aveva subito una paralisi. Mentre il nonno lavorava fuori, la nonna lavorava la terra e allevava alcuni animali così il denaro che le veniva spedito poteva metterlo da parte. Secondo me in quel tempo un viaggio all'estero era veramente difficile e il nonno è stato molto bravo ad affrontarlo. Fiume Roberto Classe 2° A, Aiello C. *** Nel lontano 1945 mio nonno era un ragazzo di 20 anni. Una grave crisi economica colpì l'Italia, ma soprattutto la nostra regione. Già padre non poteva mantenere moglie e figlie, quindi si affidò nelle mani del Signore e partì per un lungo viaggio che l'avrebbe tenuto lontano parecchio tempo. Dapprima andò a Torino perché si diceva che al nord si stava da Papa, ma quando vide che si stava peggio del sud, emigrò in Brasile. Partì con una nave dove erano in tanti e tutti con lo stesso obiettivo: andare, guadagnare e ritornare. Viaggiarono per molti giorni e in quel periodo successero molte disgrazie, alcuni morirono per malattie e vennero buttati in mare. Nello stesso tempo, mia nonna lavorava la terra. Mio nonno restò in Brasile 5 anni e ritornò in Italia. Qui ha trovato lavoro e vive felicemente in Calabria con una famiglia di dieci figli. Io penso che l'emigrazione ha distrutto molte famiglie perché parecchie persone se ne sono fatte di nuove. La povertà, anziché ridursi, si sta diffondendo soprattutto negli stati ricchi in seguito alla mondializzazione dell'economia. Il nostro Paese ha due milioni d'immigrati quasi tutti entrati come clandestini, appartenenti a varie razze, in difficili condizioni di vita. L'emigrazione ha dunque enormi risvolti umani e sociali: da un lato è un dovere morale offrire accoglienza ed ospitalità a chi desidera integrarsi e vivere onestamente, dall'altra, però, non si può ignorare che la convivenza forzata può creare gravi problemi e condurre ad inquietanti forme di razzismo. Il nostro Paese, comunque, nonostante il verificarsi di simili episodi, ha dimostrato di avere comprensione verso gli immigrati perché è stato storicamente già afflitto dal problema dell'emigrazione. Dobbiamo renderci conto che il nostro Paese è destinato a diventare una Nazione multirazziale e questo deve farci riflettere sui vantaggi che ne potremmo trarre. Giannuzzi Cristina Classe 3° C, Cleto *** L'emigrazione per me è una cosa fuori del comune però bisogna affrontarla. Della mia famiglia è emigrato solo mio nonno. Si chiamava Michele Guzzo ed ha sposato mia nonna, Angela Buffone, da cui ha avuto sei figli tra cui mia madre. Egli era un uomo molto buono. Infatti quando tornava dai suoi viaggi, portava delle caramelle e della cioccolata ai suoi parenti che ne erano molto contenti. Mio nonno adesso è morto, però nella sua breve vita ha fatto molto bene. Mia mamma mi racconta che in Venezuela suo padre lavorava come un cane per guadagnare qualche soldo in più. Soffriva molto di solitudine e qualche volta non mangiava, però per non far soffrire la famiglia non parlava mai di ciò. Ritornato dal Venezuela, restò qualche mese e ripartì per la Germania dove guadagnava molto di più. Ritornò a casa con una discreta somma di danaro e non partì più, vivendo felice con la sua famiglia. Il nonno è morto prima che io nascessi ed io l'avrei voluto conoscere perché era un uomo speciale.

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Giannuzzi Dario 2° C, Cleto *** Il nonno è emigrato in Francia mentre mia nonna con sette figli è rimasta in Italia. Egli mi ha raccontato che lavorava con il nonno di un mio compagno in una galleria dove all'improvviso scoppiò una carica di dinamite e il nonno del mio amico morì. Adesso è morto anche mio nonno e io mi sento molto triste. Guercio Francesco 2° C, Cleto *** Parlare di questo tema per me è molto complicato perché la persona che è emigrata era a me molto cara: il nonno che ora non c'è più. Dopo la sua morte, ogni volta che parlo di lui piango essendo per me come un secondo padre, sono stata sempre la sua adorata nipotina. L'infanzia vissuta con lui e la nonna ha molti ricordi, ma ormai sono vaghi; era sempre pronto a parlarmi delle sue avventure. Ma il ricordo che è più attinente a questo tema è il seguente: all'estero caddi da un albero e dovetti operarmi più volte al braccio. Mio figlio, all'età di 14 anni, emigrò a Milano dove è rimasto per molti anni. Spesso mi diceva che la sua famiglia gli mancava terribilmente: era un'agonia lontana. Se solo proviamo a pensare ai sacrifici che hanno fatto per noi, avremmo apprezzato ogni singolo momento della nostra vita. per concludere vorrei solo dire che per avere la felicità si deve prima un po' soffrire. Quando faremo dei sacrifici per i nostri figli capiremo quello che altri hanno fatto per noi, così sapremo vivere meglio la nostra vita. Guzzo Carmela 2° C, Cleto *** Quando io ero ancora piccolo, tre miei zii hanno vissuto l'esperienza dell'emigrazione. Due zii paterni sono emigrati in Canada, uno zio materno è emigrato a Bolzano. Ogni due anni ritornavano con gioia e qualche regalo nella valigia, stavano un po' di tempo con i parenti e poi ripartivano con tanta tristezza. Guzzo Luca 3° A, Aiello C. *** Mio nonno si chiama Guercio Giuseppe, emigrò la prima volta nel 1956 in Francia. Ha trovato molte difficoltà perché non conosceva la lingua e nessun amico che lo potesse aiutare. Dopo qualche mese trovò lavoro come muratore, però guadagnava poco, così si mise a lavorare in una miniera di carbone, ma dopo un po' di tempo fu licenziato. Tornato in Italia, restò due mesi e partì per la Germania. Anche qui ha lavorato come muratore, ma purtroppo dopo due anni fu licenziato e ritornò i Italia. Nel 1961 dovette ripartire per la

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Svizzera: qui trovò grande difficoltà per il clima molto freddo, ma vi rimase lo stesso per venti anni. Dopo ritornò a casa definitivamente. Penso che l'emigrazione sia positiva per alcuni aspetti, ma anche negativa per altri. L'aspetto negativo è che le persone lasciarono le famiglie per tanto tempo senza poterle vedere o sentire, perché i mezzi di comunicazione allora non erano efficienti. Il lato positivo è che emigrando trovavano lavoro e riuscivano a mantenere la famiglia. Oggi l'emigrazione è diminuita e le persone possono trovare lavoro qui in Italia e stare con la propria famiglia. Guzzo Foliaro Elisa Classe 2° B, Aiello C. *** Emigrati Il tempo è volato in fretta ma i ricordi sono lì non si dimenticano facilmente giorni bruttissimi addii per non avere la vergogna della fame. Non vorrei mai più ritornare nei tempi e nei luoghi ormai passati quando ogni giorno era una lotta per non tornare a casa per non morire di freddo di malattie di fatica. Guzzo Foliaro Federica Classe 1° C, Cleto *** In occasione del mio primo viaggio, per un caso straordinario in Australia, - racconta la nonna - conobbi tante persone e poi ho trovato lavoro. Non ho molto da raccontarti, ma ricordo, come se fossi lì in questo momento, che c'erano molte automobili che andavano su e giù per la strada. Penso dell'emigrazione che sia uno spostamento di molte persone che passano da un luogo ad un altro per trovare condizioni migliori di vita. Questo argomento ha suscitato nel mio animo grande emozione quando il nonno mi ha raccontato della sua emigrazione. Ho capito che è una cosa molto bella ed ho provato un sentimento interessate: infatti mentre parlava ed io scrivevo immaginavo tutto come se l'avessi davanti. Ho scritto con molto piacere e grazie al nonno il foglio si è quasi riempito di sensazioni e di fatti realmente vissuti. Guzzo Sonia

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Classe 3° C, Cleto *** Durante il periodo del secondo dopoguerra molte famiglie emigrarono ed anche quattro miei prozii. Essi sono rimasti all'estero perché si trovano bene e poi ritornare significherebbe doversi riadattare ad un nuovo ambiente. Chi ha vissuto in prima persona l'emigrazione è stato il nonno paterno che inizia il racconto facendomi un triste quadro della situazione economica degli anni '50. Ad Aiello la disoccupazione era dilagante e l'unica via d'uscita era emigrare in Europa o in America. Molti aiellesi preferirono emigrare in Canada perché aiutati da Vincenzo Guelci che gestiva lì i lavori ferroviari ed anticipava le spese del viaggio e assicurava loro un posto di lavoro. Questo produsse un richiamo a catena dei propri familiari ed amici. Con molti sacrifici sono riusciti ad inserirsi nella nuova comunità ed hanno formato le loro famiglie non dimenticando però le loro origini e le loro abitudini. Partiti da semplici operai, col tempo, hanno avuto possibilità di inserirsi in altre attività. Il sentimento più importante che i nostri parenti esprimono ancora oggi è la nostalgia di casa, dei parenti, di Aiello e degli amici. Secondo il mio parere, vedere i propri amici e soprattutto i propri parenti sarà stato certamente molto doloroso. Per questo motivo non dovremmo essere ostili con gli immigrati extracomunitari i quali cercano disperatamente lavoro e soprattutto fuggono da situazioni difficili che esistono nei loro Paesi. Fuggono dalle persecuzioni, intolleranze religiose e razziali e dalla miseria. Ianni Lucio Stefano 3° B, Aiello C. *** L'emigrazione ha portato problemi molto complessi e forme di razzismo, in quanto è molto difficile l'integrazione tra comunità diverse per lingua, religione, costumi, come sta accadendo tra italiani ed extracomunitari. Il nostro Paese, come a suo tempo gli Stati Uniti, la Germania e la Francia, sta divenendo una nazione multirazziale. Ciò però non è negativo in quanto aiuta ad arricchire l'animo umano di nuovi significati. Inoltre in Italia è anche diffusa la fuga dai centri di accoglienza di molte persone che fanno perdere le loro tracce incrementando così il fenomeno dei clandestini, fenomeno che nel novo millennio dovrà essere risolto. Iuliano Valerio Classe 2° C, Cleto *** Quando ho chiesto al nonno di raccontarmi la storia degli anni in cui è stato costretto ad emigrare è rimasto un po' sorpreso, ma poi si è messo subito a raccontare e per più di un ora siamo stati a chiacchierare sui fatti che ora vi narro. Nel 1956 mio nonno è andato i Francia, dove sino al 1968 ha svolto il lavoro di operaio in una grande società di costruzioni. Era un lavoro faticoso, al freddo e alla pioggia d'inverno, al caldo bruciante d'estate. Infatti un giorno di luglio, mentre lavorava in una galleria ha urtato con una macchina ad aria compressa contro una mina e insieme al compagno di lavoro è stato scaraventato a diversi metri di distanza. Mio nonno è rimasto gravemente

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ferito e dopo 4 mesi d'ospedale è tornato in Italia, ma il suo compagno, a causa d'un masso che lo aveva colpito al torace, è morto. Dopo essere tornato in Italia, mio nonno ha cercato lavoro per sostenere la sua famiglia molto numerosa. Dopo 2 o 3 anni, non avendo trovato niente di sicuro è ripartito ed è andato in Sicilia. Durante il viaggio, mentre erano fermi ad una stazione, un suo amico è andato per i suoi bisogni in un campo; per pulirsi alla meglio ha strappato un po' di erba e se l'è strofinata addosso, ma evidentemente c'era un po' d'ortica perché si è messo a strillare e a saltare. Io sono scoppiato a ridere, ma poi sono diventata triste per questi poveri uomini sbattuti dal bisogno in giro per il mondo. Oggi queste cose mi sembrano lontane, come pure è difficile credere che pochi decenni fa cose come il telefono, la televisione, il bagno con l'acqua calda, il frigorifero fossero così rare nelle famiglie del mio paese. Mi è venuta la paura che anche adesso per qualche motivo, queste cose possano diventare un lusso per noi, anche perché per molta gente nel mondo è difficile persino sopravvivere ogni giorno. Credo che quando avrò la possibilità di farlo, anch'io voglio collaborare affinché dappertutto la gente abbia la possibilità di avere cibo a sufficienza, istruzione, famiglia, lavoro e pace. Lepore Alessandra 1° C, Cleto *** Il problema dell'emigrazione è sempre esistito, in passato ed oggi. Molte persone infatti vengono in Italia sperando di trovare migliori condizioni di vita. Ma spesso vengono rimandate nei loro Paesi e quindi tutte le loro speranze vengono infrante. In particolare continue ondate migratorie provengono dalle coste albanesi. Persone senza scrupoli trasportano, dietro esosi pagamenti, i profughi da costa a costa a bordo di gommoni. Nella mia famiglia è emigrato mio padre che, essendo rimasto orfano di madre a soli 10 anni, ha dovuto imparare a cavarsela da solo. Infatti nel 1977, a soli 13 anni, è partito in Germania con un suo coetaneo. Appena arrivato fece il barista. Il proprietario, anche lui calabrese, lo tratto bene. Mio padre mi ha raccontato un episodio molto divertente: quando doveva fare i caffè, considerata l'altezza da ragazzo, non arrivava alla macchina, così il proprietario gli mise una cassetta sotto i piedi. Guadagnava 800 marchi al mese e dormiva sopra il ristorante e il guadagno lo mandava alla famiglia. Come tutti i ragazzi aveva tanti sogni e desiderava un motorino. Lavorava tutto l'anno e veniva in ferie solo d'estate per tre settimane. Il suo capo, anche lui molto giovane, divenne subito un buon amico di mio padre, così, il giorno libero, andavano a divertirsi in piscina, in discoteca, al cinema. A 18 anni prese la patente e comprò una macchina. Rimase molto tempo in Germania, dato che si trovava molto bene. Nell'estate del 1985 venne in vacanza in Calabria e conobbe mia mamma che aveva 14 anni e dopo tre anni sposarono e partirono per la Germania. Lavoravano tutti e due nel ristorante e dopo poco tempo andarono a vivere in un appartamento. Io nacqui in Germania e quando mia mamma partorì mia sorella decisero di tornare in Calabria. Però, mio padre, dopo breve tempo, non essendo il lavoro soddisfacente, volle partire di nuovo in Germania, dove restammo per 5 anni. Nel 1995 ritornammo in Italia dove nacque mio fratello, ma mio padre è stato di nuovo costretto ad emigrare sempre in Germania. E' cameriere specializzato e quando il proprietario è assente dirige il locale. Io lo vedo solo d'estate. Noi figli facciamo compagnia a nostra madre e desideriamo che papà trovi lavoro qui.

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Mi manca tanto e quando viene sto sempre con lui. Vorrei che stesse sempre con me, ma non è possibile perché la Calabria non offre molto lavoro e così si emigra verso Paesi più ricchi. E' un processo storico irreversibile, certamente il fenomeno dell'emigrazione non si può risolvere in poco tempo, ma spero tanto che un giorno nessuno debba migrare, perché è molto brutto avere i genitori lontani. Si dovrebbero fare molte cose per eliminare questo problema, altrimenti ci saranno molte conseguenze sul futuro del nostro Paese nel nuovo millennio. Lepore Anna Classe 3° B, Aiello C. *** Quello che riporto è quanto mio nonno mi ha raccontato degli anni in cui è emigrato. Il 6 luglio del 1956 sono partito per la Francia. Avevo 40 anni e da molto tempo non riuscivo a trovare un lavoro stabile che garantisse una vita decente a me e alla mia famiglia. Così mi sono fatto forza e ho accettato la proposta di partire e lasciare la mia terra, con la speranza di tornare un giorno a casa. In Francia sono entrato come operaio in una società che costruiva acquedotti, strade e gallerie. Ricordo che dormivamo in casette di lamiera che la ditta allestiva sui cantieri. Era un lavoro duro e a volte pericoloso. Un giorno, mentre lavoravo in una galleria, dove era rimasta una mina non esplosa, la urto con la motopala, la mina è esplosa, un mio compagno di lavoro è morto e io, ferito, sono stato trasportato in ospedale dove sono rimasto per più di 3 mesi. Mi sentivo molto triste, pensavo a casa e al fatto che se fosse toccato a me non sarei tornato più indietro. Sono ritornato in Italia nel '67, le cose andavano meglio ed io avevo messo da parte un po' di soldi. In quest'anno scolastico ho iniziato lo studio della lingua francese e parliamo spesso di questo Paese. Ogni volta io penso che forse su quella strada, in quella città, sul quel ponte, le mani di mio nonno hanno lavorato duramente. Discutiamo anche tanto dell'Europa e dell'unione; vorrei che davvero ci fosse una grande cooperazione e che ci sentissimo un'unica forza proprio pensando a quanti nel passato hanno faticato perché fosse così. Un giorno anche io potrei andare a lavorare all'estero, ma voglio che sia per libera scelta e no perché costretta dalla miseria o dalla guerra. ho composto una poesia col pensiero rivolto a questi uomini lontani dalla loro terra. Pensieri lontani Penso ogni tanto a loro, gli emigranti a come hanno vissuto i tempi lontani e tristi come pianti al vento e sorrisi lontani che si frantumano... Lepore Debora Classe 1° C, Cleto ***

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Il nonno, Lepore Guglielmo, a 17 anni, emigrò in Germania nella città di Stoccarda dove si fermò per 10 anni, perché in Italia non c'era lavoro e particolarmente nel meridione. Gli italiani presenti in Germania amavano la Calabria, cioè la loro terra, per il clima, il paesaggio e la lingua. Mio nonno, però, si adeguò molto presto alla nuova realtà, però qui, non essendoci né la mamma né il papà, doveva fare tutto da se. Dormiva nelle baracche di zinco con gli altri operai dove faceva molto freddo e l'acqua per lavarsi era ghiacciata. Non c'era il bagno. La spesa misera che facevano insieme doveva bastare per una settimana e compravano le cose meno costose, poiché a fine mese dovevano spedire i soldi alle famiglie. Lavorò come operaio specializzato nei cantieri edili e stradali. Mio nonno non aveva un bel rapporto con i tedeschi, infatti essi li consideravano simili a quelli del "Terzo Mondo". Il suo tempo libero, anche se era molto limitato, lo trascorreva giocando a carte o facendo le pulizie. In Germania restò quasi 20 anni, fino al 1977, poi partì per l'Arabia Saudita per due anni. Qui trovò una temperatura molto calda. Nel 1981 ritornò dal Medio Oriente ed emigrò in Russia. Qui trovo molta difficoltà nella lingua e anche per il clima. Dopo, però, ritornò i Italia e non emigrò più. Io sono molto orgogliosa di avere come nonno questa persona: egli ha avuto molta forza ad affrontare tutte queste difficoltà. Anche mio padre è emigrato in Germania da ragazzino, all'età di 13 anni; qui ha fatto il barista e restò per 5 anni. Con il padrone del locale erano molto amici e nel tempo libero uscivano per andare in piscina o al cinema o in discoteca. All'età di 17 anni venne in Italia e vi rimase qualche mese e conobbe mia madre che aveva 13 anni. Si innamorarono e fu un anno molto intenso, ma nello stesso tempo un po' triste perché mio padre partì e i chilometri che li dividevano erano tanti. Gli anni passarono in fretta e nel 1986 si sposarono e dopo pochi giorni partirono per la Germania dove furono accolti benissimo. Nei primi giorni mia madre sentiva nostalgia della sua casa e dei suoi parenti e amiche. Ben presto si misero a lavorare e mia madre faceva le pulizie al bar e al ristorante, mentre mio padre faceva il cameriere. Avevano un piccolo appartamento, ma la maggior parte del tempo lo trascorrevano al ristorante. Mia madre smise di lavorare quando aspettava mia sorella che nacque lì. Ritornarono in Calabria dove nel 1988 nacqui io, però dopo un anno partimmo tutti insieme, di nuovo in Germania. Nel 1993 ritornammo in Italia perché i miei genitori volevano che io frequentassi la scuola in Calabria. Mia madre si è pentita di essere ritornata in Calabria perché il lavoro scarseggia, ma mio padre è di nuovo in Germania. Noi soffriamo molto della sua lontananza e gli auguriamo che trovi presto lavoro vicino a noi. Mia mamma mi racconta che in Germania la festività della Pasqua è molto diversa dalla nostra: i tedeschi addobbano l'albero e lo decorano con palline di cioccolato e fanno i cestini con le uova colorate. Mi ha anche riferito che i tedeschi sono più freddi di noi in occasione di alcune festività come il Natale. Infatti mentre in Italia festeggiamo la nascita di Gesù riunendosi fra parenti, i tedeschi invece non hanno questa abitudine e per il Natale spendono molto per i regali, i vestiti, ecc. Ogni giorno si vedono sullo schermo televisivo scene tristi di vecchie imbarcazioni cariche di donne, di bambini e di anziani che approdano sulle nostre coste per cercare lavoro. Molti muoiono annegati oppure vengono rimandati nella loro Terra. Queste storie sono molto tristi e vedendole immagino quelle dei nostri nonni. Ho appreso molto dal racconto dei miei familiari e sono felice di aver ascoltato e scritto questa storia. Penso che allora le condizioni di vita erano più misere e l'emigrazione era molto diffusa, ma ancora oggi ci sono Paesi poverissimi.

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Lepore Graziella Classe 2° A, Aiello C. *** Mi piace spesso pensare alle cose successe nel passato, pensare ai vecchi tempi, ai sacrifici fatti dai nostri cari. Questa storia mi è stata raccontata da un'amica di famiglia: zia Stella, che ha 83 anni. E' la storia del marito, ormai morto. Egli andò nel '54 in Canada, dove lavorò in ferrovia. La moglie lavorava sodo nelle raccolte delle olive, coltivava un pezzetto di terra e allevava degli animali domestici. Mentre lei stava tutto il giorno fuori a lavorare, il figlio restava tutto il giorno solo in casa senza l'affetto né del padre né della madre. Quando calava la notte la madre rientrava e accudiva il bimbo. La mattina si svegliava molto presto e portava con se solo u po' di pane che preparava in casa. Credo che tutte le donne lasciate a casa dalle persone amate hanno dovuto fare tantissimi sacrifici e molte volte si sono ammalate. Ma i figli, in parecchi casi, invece di aiutarle, le hanno lasciate sole. Io penso che i figli, dopo essere stati allevati con molta fatica, debbano ringraziare di cuore il padre e la madre per averli fatti crescere nel migliore dei modi. Io invece conosco figli che passano davanti la casa dei familiari e nemmeno li salutano. Quando mi hanno raccontato questa storia mi sono quasi messa a piangere e penso che ho avuto molta fortuna ad avere dei genitori come i miei. Ho pensato a lungo a questa storia e se i miei fossero stati emigranti ora io starei vicino ad essi come sono stati vicino a me quando ne avevo bisogno. Lepore Rosanna 3° C, Cleto *** Il nonno materno di nome Coccimiglio Giuseppe, che sfortunatamente è morto, è emigrato ed io vi voglio raccontare il suo viaggio basandomi su quello che mi ha raccontato mia nonna, sperando che venga scelto fra i primi tre. Egli è emigrato in Germania nel 1964 in una grande città, Berlino. Qui trovò lavoro nella lavorazione del ferro. Trovò grosse difficoltà come la lingua, anche perché nel sud Italia c'erano molti analfabeti. Il salario era molto basso e non bastava per mandarne una parte in Italia, quindi non si poteva spenderlo per "fesserie". Mi racconta ancora che un giorno di temporale un fulmine aveva colpito la fabbrica e un grosso recipiente pieno di ferro fuso si è rovesciato ed è schizzato su due o tre operai; uno di questi è stato colpito ad un occhio perdendolo e mio nonno fu l'unico a prendersene cura. Nell'aprile del 1965 tornò in Italia perché quel lavoro non gli piaceva, e qui trovò una bella sorpresa: era nata sua figlia, che poi diventerà mia madre. In seguito ripartì e andò in Francia, a Chambery, dove trovò lavoro in una piccola fabbrica di armi da fuoco. Anche qui le difficoltà sono state la lingua e il clima. Dormiva in una piccola baracca sotto un ponte con due suoi amici e vi restò per tre anni. Anche la nonna, in Italia, lavorava molto e passava il tempo ad accudire la figlia e a coltivare la terra. Anche il nonno paterno partì all'estero. Andò in Inghilterra nel 1967, dopo 41 giorni di viaggio. Qui lavorò in una ditta di costruzioni e il salario era molto più alto dell'altro nonno che lavorava in Germania. Le difficoltà furono le stesse. Mentre costruivano una casa un operaio cadde perdendo la vita, per questo motivo mio nonno ritornò a casa, ma dopo un anno ripartì in Francia, a Marsiglia dove lavorò sempre come muratore. Restò qui per cinque anni. Anche questa nonna doveva pensare ai figli e lavorare la terra. Secondo me

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l'emigrazione creava molti problemi ai componenti della famiglia che restavano in Italia e soprattutto arrecava umiliazione per chi partiva. Longo Giuseppe Classe 2° B, Aiello C. *** L'emigrazione è un fatto che coinvolge molte persone. Mio padre, Lorello Raffaele, è andato al nord e ogni volta che penso a lui mi sento triste e sconsolato. Egli mi porta ogni cosa che gli chiedo. Lo zio Giovanni è emigrato con la famiglia a Milano. Quando studio penso alle persone che hanno un padre o uno della loro famiglia che è partito per lavoro e mi viene di abbracciare mio padre e mia madre. Lorello Raffaello Classe 2° C, Cleto *** Mio padre è emigrato da tre anni e io ho sofferto tantissimo quando lo vedevo mettere le sue cose dentro la valigia e quando salutava mia madre, mio fratello e mia sorella piangendo. Quando ci chiama è triste perché è solo ed è sempre preoccupato per il lavoro che è pericoloso. A me dispiace tantissimo vedere mia madre abbattuta e malinconica e le chiedo cosa la fa soffrire, lei mi risponde: mi manca tuo padre. Macchione Simone Classe 2° C, Cleto *** Mio nonno si chiama Marghella Paolo, era il secondo di nove fratelli. Frequentò la scuola fino alla terza elementare e si dice che fosse molto bravo, però a causa delle scarse possibilità che c'erano in quel tempo dovette smettere di studiare. Così all'età di 10 anni si dedicò al lavoro della terra aiutando il padre. Dopo la seconda Guerra Mondiale, tornato in Calabria, capì che in Italia c'era una grave crisi economica. Nel 1948 si sposò ed ebbe 5 figli tra cui mio padre. Nel 1955 decise di emigrare con altri suoi amici, alcuni in Canada, altri nell'America meridionale e altri, come mio nonno, per la Germania perché qui, dopo la guerra, c'era bisogno di molta manodopera. Qui cominciò a lavorare in una ditta di costruzioni in condizioni quasi disumane: dormiva in baracche su pagliericci in condizioni igieniche pessime. Divideva la piccola casa con il gruppo di lavoro e ogni mattina si doveva svegliare prestissimo per andare a lavorare e tornava a casa molto tardi. Il salario era basso, ma nonostante ciò riusciva a mettere da parte un po' di soldi. Intanto, mentre mio nonno era in Germania, anche mia nonna qui in Calabria lavorava moltissimo. Infatti, quando il nonno partì, aveva tre figli piccoli e doveva lavorare la terra. Abitavano in una casetta attaccata alle stalle degli animali, però col tempo mio nonno riuscì a farsi costruire una casa più grande. Il lavoro delle donne, allora, consisteva nel cucire, nel lavare i panni e per fare questo usavano la cenere che veniva bollita e versata sui panni. In seguito nel 1972 mio nonno si ammalò, così decise dopo 17 anni di tornare a casa. Dopo diverse cure guarì e partì di nuovo.

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Anche oggi come una volta ci sono tante persone che emigrano e arrivano qui in Calabria e forse noi consideriamo gli immigrati come una volta le persone del luogo consideravano i nostri cari. Marghella Erminia Classe 3° A, Aiello C. *** L'emigrazione per me è un fatto storico ed è ancora presente tra noi. Gli emigrati sono delle persone che lasciano la loro famiglia, la loro casa, il loro paese, cioè tutto. Mio padre, anche ora, viaggia per Paesi nuovi e vecchi. Egli mi ha detto: quando le prime volte sono partito nessuno parlava con me, ma poi, dopo qualche mese ho incominciato ad imparare la lingua e così ho fatto delle amicizie. I miei nonni sono andati in Germania, quasi tutta la mia famiglia è emigrata: il fratello del nonno è andato nell'America del sud, dove tutti dicevano che era il Paese da dove nessuno sarebbe ritornato perché era bellissimo. Marrello Matteo Classe 2° C, Cleto *** Un giorno eravamo a tavola e mio padre iniziò a parlare della sua giovinezza, della povertà che circondava il mondo e di una parola molto triste, che secondo me se non la si prova non la si potrà mai capire: l'emigrazione. Ero a casa e si discuteva della povertà, quindi mio padre, mio fratello ed io decidemmo di emigrare. Stavo facendo le mie valigie e pensavo come poteva essere un Paese che non conoscevo, se avessi trovato casa e lavoro, se avessi rivisto il mio Paese e tante altre domande che mi confondevano le idee. Mio padre e mio fratello partirono ed io presi il treno pochi mesi dopo per il Belgio. Scesi alla stazione di Bruxelles dove c'era un'atmosfera molto triste. Mio padre dovette tornare subito dalla Germania perché aveva problemi di salute. Io scrivevo e telefonavo molte volte a casa perché sentivo un'immensa mancanza del mio Paese e dei miei cari. Nella fabbrica dove lavoravo feci delle conoscenze e molte volte immaginavo il giorno in cui avrei avuto una moglie e dei figli. Questo era un sogno che poi è divenuto realtà. Infatti una sera io e un mio amico andammo a passeggiare; il mio amico aveva la ragazza, con lei c'era una sua amica di nome Ornella, facemmo conoscenza ed io me ne innamorai subito. Ci sposammo in agosto e ballammo fino alle tre di notte, ma non mi sentii mai stanco. Non riuscivo a credere che finalmente avevo trovato la donna della mia vita. Io volevo ritornare in Calabria perché era ed è la regione dei miei sogni. Abitai a Savuto per più di 10 anni e mettendo dei soldi da parte costruii la casa. Io penso che nella mia giovinezza sono stato di grande aiuto per la mia famiglia. Parlando di queste cose ho svelato a voi ciò che non avevo mai detto a nessuno, ma vorrei solo aggiungere che la vita de miei genitori mi ha fatto capire che con il sacrificio si può trovare anche l'amore. Marrello Sarah Classe 2° C, Cleto ***

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Nel dopoguerra la situazione economica era molto disagiata tanta era la povertà che colpiva l'Italia e in particolare il sud, essendo meno industrializzato. Era questo il motivo fondamentale che spinse molte persone d emigrare in altri paesi che offrivano più opportunità di lavoro, allo scopo di costruire una vita più serena. Come in tutte le famiglie, anche nella mia c'è stato un componente che è emigrato, il nonno paterno. Egli è partito nel 1952 per la Francia, qui ha trovato ben presto lavoro presso una grossa falegnameria. Durante il tempo libero lavorava in un'officina per arrotondare il salario. Però sfortunatamente subì un infortunio alla mano destra. Questo gli causò molte sofferenze sia fisiche che morale: fisiche perché subì ben 5 interventi e morali, perché si ritrovò solo nel momento in cui avrebbe avuto bisogno di un po' di conforto. Egli quando partì non era sposato, ma aveva a carico la sua famiglia essendo l'unico uomo in grado di lavorare. Ogni mese mandava una buona parte di quello che guadagnava ai suoi familiari per permettere loro di condurre una vita più agiata. Il padre di mio nonno non godeva di buona salute, per questo non era in grado di lavorare; invece la madre, come tutte le altre donne di quel tempo, viveva una vita non facile perché doveva accudire tre figli. Coltivava anche un pezzetto di terra. Quando doveva fare il bucato perdeva giornate intere nelle cibbie, la più vicina è chiamata Tuvulu. Lavava con il sapone fatto da lei e dopo aver fatto il bucato vi metteva sopra 'u saccu de cannavazzu e infine vi versava la cenere bollita che serviva come sbiancante. Mio nonno è tornato dopo cinque anni sperando di trovare in Italia una sistemazione e crearsi una famiglia propria. Questo fenomeno dell'emigrazione si è verificato non come una libera scelta o come un viaggio di piacere, ma come un'imposizione per portare avanti la propria famiglia. Certamente molte erano le sofferenze che si provavano alla sola idea della partenza per un paese sconosciuto di cui si ignoravano la lingua, gli usi, le tradizioni. Sono stati molto fortunati coloro che avevano un parente o un amico che poteva offrire loro ospitalità e la possibilità di imparare una nuova lingua. Mazzuca Carmen Classe 3° B, Aiello C. *** Il nonno si chiama Vittorio Guzzo, ha 76 anni ed emigrò in Germania lasciando la famiglia con i figli piccoli. Qui ha lavorato come muratore. Allora si lavorava seriamente per mandare un po' di soldi in famiglia. Mentre lavorava, si è fatto male ad un braccio, così ritornò in Calabria per curarsi. Dopo tanto tempo il braccio era guarito, però non lo poteva piegare né per farsi la barba, né per mangiare. Ma lui, testardo, ripartì in Germania. Il lavoro che faceva prima non lo poteva più fare, così dovette ritornare in Calabria e non partì più. Medaglia Andrea Classe 3° A, Aiello C. *** Nelle lunghe serate d'inverno, riuniti intorno al caminetto, si raccontano le esperienze vissute di un tempo ormai lontano. Subito dopo la guerra che aveva lasciato una scia di povertà e di fame, mio nonno e suo fratello, stanchi di soffrire la fame, decisero di emigrare. La loro destinazione era il Canada, perché pensavano che lì avrebbero avuto una vita migliore.

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Per andare in Canada le persone dovevano sottoporsi a visite rigorose e, cosa più importante, ci potevano andare se avevano trovato qualcuno che garantiva per loro. Per sbrigare le pratiche del passaporto era ancora più difficile perché dovevano andare a Napoli. Dopo aver sbrigato tutte le pratiche si partiva. Il mezzo di trasporto era la nave, che impiegava più di un mese. Non era facile pensare che dovevano lasciare i propri cari in Italia, però lo dovevano fare con la speranza che un giorno avrebbero avuto una bella casa e un lavoro sicuro. Intanto mia nonna cercava di dare una mano per mantenere la famiglia in Italia, facendo le pulizie di casa ad una signora che la pagava pochissimo, ma mia nonna non poteva farne a meno, per lei anche 50 lire andavano bene. Intanto, con il passare del tempo, mio nonno ha racimolato qualche soldo e decise di richiamare i propri cari in Canada. Il nonno tornava a casa sempre stanco e affaticato, così in casa non c'era più dialogo. Dopo tanti anni passati insieme e dopo tanti sacrifici, mio nonno purtroppo morì e mia nonna ritornò in Italia, così questa storia mi è stata raccontata da lei. Ha suscitato in me molto interesse perché penso che non dovremmo disprezzare i nonni quando non ti danno soldi o ti sgridano, ho capito che se mi sgridano lo fanno per il mio bene e io, invece, volto loro le spalle quando hanno bisogno di aiuto, mentre con me sono stati sempre disponibili. Penso che non si dovrebbe dimenticare l'affetto e l'amore che hanno dato a noi, mantenerli sempre nel nostro cuore e non dimenticarli mai. Mendicino Alessandra Classe 3° C, Cleto *** Io non avevo mai parlato con i nonni o con altre persone dell'emigrazione, ma quando glie l'ho chiesto mio nonno è stato molto sintetico ma anche molto contento di raccontare. Partì a 29 anni per la Germania dove arrivò affrontando un lungo e costoso viaggio in treno. Qui è rimasto per otto anni, senza una meta precisa, ma con l'unico scopo di farsi capire e di trovare un lavoro per poter mandare qualche soldo ai suoi familiari. Trovò un lavoro molto duro da operaio dove si facevano dalle 8 alle 12 ore di lavoro e veniva pagato poco. Mia nonna, vedendo che i soldi non bastavano, decise di trovarsi un lavoro come raccoglitrice di olive, ma anche con questo lavoro i soldi non bastavano, perché il lavoro svolto da mia nonna era retribuito con una percentuale di olio o di olive raccolte in una giornata. Anche questo lavoro richiedeva molte ore e quindi i miei zii e mia madre dovevano fare le faccende di casa, pascolare le pecore e andare a scuola. Io penso che l'emigrazione sia una cosa giusta, ma anche sbagliata perché se non ci fosse in ogni Paese ci sarebbero posti a sufficienza per l'intera popolazione. Miceli Rosalbino Classe 3° C, Cleto *** Nel 1963 mio nonno è emigrato in Canada con la nave Greece Line, di nazionalità greca. E' partito da Napoli il 23 settembre ed è arrivato in ottobre. Lì faceva già molto freddo ed ha iniziato subito a lavorare con la compagnia Algoma Stile Preule, con la quale rimarrà per tutto il tempo lavorando sulla ferrovia, costruendo nuovi binari e curandone la manutenzione.

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Era un lavoro durissimo, sempre all'aperto e quasi sempre con la schiena curva, un lavoro da pionieri, da gente che si apre la strada tra una natura selvaggia. Il 15 dicembre del 1968, un treno che trasportava ferro è uscito fuori dai binari, e mio nonno, insieme ai suoi compagni, ha faticato per due giorni ininterrottamente per rimediare il danno. Nevicava e le spalle erano tutte bagnate e fredde, ma essi non hanno mai smesso. Nel 1972, mentre lavorava vicino ad un folto bosco, nonno è stato assalito da 4 orsi bruni, si è difeso con il fucile e ne ha ucciso uno, costringendo gli altri alla fuga. L'orso ucciso pesava 180 chili e la Compagnia lo ha fatto imbalsamare e l'ha messo dentro la stazione ferroviaria dove ancora oggi è esposto. Quando mi raccontava queste vicende nonno era emozionato, ma mi sentivo molto colpito anch'io. Quel vecchietto mi sembrava un'altra persona, un eroe, un personaggio da film, forte e coraggioso, resistente agli sforzi e capace di grandi sacrifici. Tutta questa sua storia, inoltre, mi apriva una finestra su un passato che non conoscevo e che riesco solo ad immaginare. Anni molto difficili, in cui non c'era lavoro, mancavano i soldi necessari per poter vivere e dare da mangiare alla famiglia. così adesso penso spesso a mio nonno che si è trovato in una terra straniera senza conoscere la lingua e senza essere abituato ad un clima così gelido. Ringrazio di cuore tutti quelli che lo hanno aiutato e penso che anch'io farò lo stesso con chi emigra in Italia, perché è disperato. La notte a volte, prima di addormentarmi, penso a quel grande orso bruno che se ne sta ancora lì a ricordare ai viaggiatori americani il lavoro compiuto dagli italiani e il loro coraggio speso a favore della crescita di questi paesi. Grazie nonno! Montuoro Carmine Classe 1° C, Cleto *** Mia mamma Guidoccio Maria, all'età di 15 anni, partì per la Germania con il fratello maggiore. Lei faceva la baby-sitter a sua nipote. Rimasero in Germania circa 10 anni, poi mio zio ritornò in Calabria dove i suoi genitori gli avevano trovato un lavoro. Mio zio mi racconta che però gli piaceva di più vivere in Germania, perché guadagnava bene e non gli mancava niente. Nel tempo libero visitava la città dove abitava oppure andava a messa. Mio nonno partì per Berlino con degli amici nel 1978. Qui lavorarono da muratori e vi rimasero per due anni. Dormivano in una baracca nella quale c'era una vasca in cui lavavano i vestiti quando ritornavano dal lavoro. Lavoravano 8 ore e la mattina si alzavano molto presto perché dovevano procurarsi il cibo e la legna. Il loro tempo libero lo trascorrevano o riposando o giocando a carte. Indossavano i pantaloni per due giorni perché non si asciugavano oppure erano sporchi. Mio nonno affrontò questi sacrifici per 10 anni e poi tornò in Calabria dove continuò a fare il muratore, anche se il salario era più basso. Ma passarono due anni e mio nonno partì di nuovo per Strasburgo in un centro industriale dove lavorava per sette ore al giorno. In Calabria veniva una volta al mese per vedere i suoi familiari e portare loro i soldi necessari per vivere. Pagnotta Claudia Classe 2° A, Aiello C. ***

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Il nonno Abate Pasquale è emigrato nel 1956 in Germania. Il primo problema da risolvere era la conoscenza della lingua che con il passare del tempo ha imparato molto bene. La seconda difficoltà e stata quella di trovare un posto in cui dormire, infatti si è dovuto fermare in una baracca e ha dormito su un materasso pieno di paglia umida. Ha lavorato come muratore e in una fabbrica di carbone. Inoltre ha lavorato con i motopichi perché era molto bravo. Quando lavorava doveva osservare delle regole: non parlare con il compagno, essere rispettoso e infine il lavoro da lui svolto veniva controllato. Ma poiché si impegnava gli hanno aumentato il salario e percepiva più di un operaio che lavorava in quel posto da cinque anni. In Germania ha vissuto per sette anni, ma ha sofferto molto in quanto gli usi e i costumi sono diversi da quelli della nostra Italia. Egli durante la sua permanenza ha fatto molte esperienze e ci furono anche molte persone che lo hanno aiutato. Anche mio padre è emigrato in Germania e si chiama Pagnotta Marcello. Ha lavorato in una fabbrica che produceva pezzi per frigoriferi e automobili. Gli davano undici marchi ad ora ed è rimasto lì per cinque anni. I rapporti con la popolazione del luogo sono stati ottimi. E' riuscito anche a comprarsi l'automobile con molta soddisfazione perché l'aveva comprata facendo molti sacrifici. Io sono molto orgoglioso di mio padre. Pagnotta Giuseppe Casse 2° A, Aiello C. *** Questo racconto l'ho ascoltato mille volte dalla voce di mia madre, perché a lei lo raccontava il bisnonno, e ora io lo racconto a voi. Tra gli anni 1950 e 1960, alcuni operai di Cleto, costretti dalla miseria e dal bisogno emigrarono in Germania. Dovevano attraversare la frontiera tedesca a piedi come clandestini. Il bisnonno raccontava che alcune notti hanno dormito nei boschi, cibandosi di quelle poche provviste che avevano portato da casa, con il cuore pieno di angoscia e timore per quello che li attendeva e di nostalgia per quello che avevano lasciato. Ma c'era anche la speranza a sorreggerli, in un futuro migliore, meno misero e incerto. Una volta in Germania era necessario aspettare del tempo per avere un lavoro sicuro, intanto si faceva quello che capitava, sopportando le ingiurie dei tedeschi più anziani, quelli che avevano partecipato all'ultimo conflitto e che giudicavano gli italiani dei traditori. Anche il bisnonno aveva fatto la guerra e mia nonna racconta che un giorno dato che voleva tornare a casa lasciò l'esercito, ma la sua fuga durò poco perché alcuni soldati lo fecero prigioniero. Una volta emigrato, doveva stringersi al cuore le foto dei suoi cari e restare in terra straniera. Era difficile trovare un alloggio decente e spesso si dormiva in tanti in una stanza per risparmiare e per darsi una mano a vicenda. Bisognava imparare la lingua, adattarsi ad un clima diverso, cucinare qualcosa e tenere in ordine i vestiti. Per fortuna i più giovani tra i tedeschi cominciarono invece a stimare il lavoro degli italiani e il modo in cui i nostri nonni sapevano sacrificarsi e adattarsi pur di guadagnare qualcosa da mandare a casa. Il mio bisnonno, come altri italiani, fece delle amicizie e riuscì a lavorare lì per ben sette anni. Queste vicende sono ben impresse nella mia mente e nel mio cuore, perché mia madre sin da piccola me le ha raccontate, come si racconta una favola. Penso che lo ha fatto, perché non voleva che la storia tanto coraggiosa di suo nonno fosse dimenticata, e perché, proprio come per le fiabe, rimanesse al di là del racconto avventuroso, un insegnamento per apprezzare quello che oggi ho grazie al bisnonno, a rispettare ed aiutare quelli che emigrano, e a non considerare mai qualcuno inferiore a me solo perché non è della mia stessa razza. Paradiso Esterina Classe 1° C, Cleto

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*** Il nonno, padre di sei figli, viveva a Cleto e lavorava nei campi. Un giorno con la moglie presero in considerazione l'idea di acquistare un pezzo di terreno e una casa. Però per pagare i debiti fatti non vi restava altra soluzione che emigrare, infatti andò in Germania. Mio nonno racconta quando siano stati tristi e duri quei periodi perché si sentiva molto solo specie di sera. Qui dormiva in capanne di lamiera sotto la neve e il freddo che gli entrava nelle ossa, ma quando perdeva la voglia di continuare bastava che pensasse ai suoi figli e a quel pezzetto di terra che aveva comprato per riprendere a lavorare. Ma un giorno lavorando in ferrovia gli cadde sul piede un grosso palo di ferro che glielo fratturò in tre parti. Fu costretto a farsi operare in Germania, allora si che la mancanza dei suoi cari si fece sentire ancora più forte, ma nonostante tutto appena guarito restò a lavorare finchè non fini di pagare i suoi debiti. Quando egli mi raccontò questa storia io gli chiesi perché era partito e se da noi c'era lavoro. Mi rispose in questo modo: il lavoro c'era ma il salario che ci davano bastava appena per comprare il cibo. Considerando poi che eravamo in otto e che i datori di lavoro non erano come oggi, ma ci facevano lavorare come degli schiavi, come noi oggi trattiamo gli stranieri facendo fare loro tutti i lavori più pesanti e umili, fu necessario partire. Io spero che un giorno ci saranno posti di lavoro nelle proprie città per non permettere che delle persone trattino gli emigranti come schiavi. Pate Elisa Classe 2° C, Cleto *** Il nonno Carmine Pino è emigrato in Francia, dove lavorò in miniera. Mentre lavorava in una galleria fu vittima di una esplosione restando sotto le macerie. La nonna che era rimasta a casa per badare alla sua famiglia, contava i giorni per riabbracciare suo marito. Ma il postino portò la brutta notizia che mio nonno era stato seppellito dalle macerie e il corpo non fu più ritrovato. Quando vado al cimitero lascio sempre un fiore come se egli ci fosse, era il mio angelo custode. Pino Stefano Classe 2° C, Cleto *** Qualche mese fa con i nonni ho parlato della loro vita e delle loro avventure. Così mio nonno mi ha detto che fu costretto ad emigrare in Germania. Mia nonna rimase a casa con otto figli tra cui mia madre. Il nonno emigrò nel 1960 e ritornò nel 1974, però ritornava a casa tre giorni ogni sei mesi. Egli lavorava in una fabbrica di elettrodomestici e la paga era scarsa. Per me l'emigrazione è un modo di trovare lavoro molto brutto perché si lascia la famiglia per molti anni. Provenzano Daniele Classe 3° C, Cleto *** La parola emigrazione, oggi, si sente usare di tanto in tanto, invece negli anni '50-'60 era molto usata e nello stesso tempo possiamo dire realizzata. Io, come tanti coetanei, non

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sappiamo cosa vuol dire, ma dai racconti dei genitori e specialmente dai nonni sono riuscito a capire perché tanta gente adulta, quando sente parlare di questo si rattrista. Dai racconti dei nonni che hanno vissuto e affrontato questo problema si capisce che la loro emigrazione è stata piena di avventure e di tante sofferenze. Il nonno Alberto che ora è gravemente ammalato, mi raccontava che da giovane era partito in Africa per lavorare come operaio nella costruzione di strade e ferrovie perché non esistevano. Dopo la Seconda Guerra Mondiale tornò in Italia e si sposò, ma non trovando lavoro partì per la Francia dove lavorò in miniera. Dopo poco tempo ebbe un incidente sul lavoro rimase invalido di una gamba e dovette ritornare in Italia. La nonna mi racconta che il nonno Pietro, che non ho avuto il piacere di conoscere, partì negli anni cinquanta per il Canada. Lavorò come operaio nella costruzione di strade e ferrovie. Le emozioni vissute al momento della partenza erano uguali anche se uno arrivò a destinazione con il treno e l'altro dopo otto giorni di nave. Si partiva con il cuore pieno di tristezza e di infelicità perché si lasciavano i propri cari e perché il denaro era molto scarso perché quasi tutto era stato speso per il viaggio. Arrivati a destinazione non avevano una casa ma stavano in vagoni dei treni adibiti a camere, dove vivevano in tanti e delle volte si trovavano in difficoltà anche dal punto di vista igienico. In Aiello le moglie e figli si trovavano da sole ad affrontare la vita, a risolvere dai più piccoli ai più grossi problemi come la lavorazione dei campi e l'educazione dei figli. Altro problema importante erano le malattie le quali specie con i bambini piccoli erano molto ricorrenti. Quando si presentava questo problema si doveva arrivare fino al paese a piedi con il bambino in braccio. A volte dovevano fermarsi anche la notte chiedendo ospitalità a qualche famiglia disposta a farlo. Le donne rimaste in casa lavoravano nei campi e accudivano i propri figli. La sera si sentiva di più la mancanza del papà e la mamma doveva raccontare che presto sarebbe tornato con tanti bei regali. Aspettavano con ansia il postino che portava qualche lettera piena di buone notizie, quali l'annuncio di un arrivo per qualche periodo e anche, perché no, l'invio dei soldi. C'era tanta gioia quando arrivava la lettera o quando qualcuno tornava portando notizie dei conoscenti. La maggior parte delle persone emigrate dopo un certo periodo decidevano o di tornare, come il nonno Pietro investendo i soldi in Italia o di portare la famiglia all'estero. Qualcuno, una volta partito con il passare del tempo, non ha dato più sue notizie, facendosi una nuova vita all'estero abbandonando la propria famiglia che aveva lasciato con tanti progetti e promesse. Le persone che hanno investito i loro soldi ad Aiello non tutte si sono trovate bene e parecchi di loro dopo poco tempo hanno dovuto emigrare nuovamente. Pucci Daniele Alessandro Classe 3° B, Aiello *** Io non ho bisogno di intervistare altre persone perché la parola emigrazione la conosco da quando ero bambina. Quando mio padre è emigrato in Toscana aveva trentuno anni e io pochi mesi. Affrontò il viaggio non sapendo a cosa sarebbe andato incontro perché non conosceva nessuno. Ha cominciato a lavorare dopo alcune settimane. In casa per la sua partenza regnava la tristezza e le ore sembravano fermarsi ed era come se una mano mi strappasse il cuore e lo lasciasse andare via con lui. Invece quando lui è qui la casa risplende di luce e di serenità. Mio padre restò fuori casa per dodici anni. Io penso che gli emigranti non vivano una vita fatta di tranquillità e amore, ma una vita fatta di nostalgia per tutto ciò che hanno dovuto lasciare. L'emigrazione è una parola tanto piccola, ma che ha fatto soffrire milioni e milioni di persone tra cui mio padre.

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Raneli Veronica Classe 2° C, Cleto *** Il nonno mi ha parlato volentieri del tempo in cui era emigrato per necessità. Non perché fossero bei ricordi, ma perché secondo lui è un bene che i giovani si interessino di queste cose e conservino memorie di ciò che è stato. Mi ha detto, parlando piano piano, perché è molto malato, che quando è partito per la Germania nel 1953, in Italia c'era molta gente che pativa la fame e molti avevano deciso di partire per cercare migliore fortuna all'estero. Era un triste viaggio, si lasciava a malincuore la propria casa, spesso i primi tempi nel nuovo paese erano durissimi. Anche in Germania le condizioni degli italiani erano misere. Si andava per guadagnare e si spendeva il meno possibile cercando anche di dividere la spesa dell'appartamento o della camera fra più persone. La stanza dove dormiva mio nonno era freddissima e le coperte erano talmente gelide e tutte rotte che non riuscivano a scaldare. Un giorno, racconta mio nonno, un suo carissimo amico si ammalò di difterite: "Ogni giorno, io, invece di coprirmi davo la mia coperta a quel poveretto". Loro due lavoravano insieme in una fabbrica di scarpe, era un lavoro durissimo, ma una speranza grande li rendeva forti: poter tornare a casa con un bel gruzzoletto e la possibilità di una vita dignitosa per se e per i propri figli. Mio nonno tornò ma senza il suo amico morto prima di vedere realizzato il suo sogno. Ora anche mio nonno è morto e nel dolore che provo sono tuttavia contenta di avere avuto quella chiacchierata con lui sul tempo passato. Ora guardo le persone anziane con altri occhi, come con altri occhi guardo gli immigrati che vedo in giro per le strade. Prima che nonno morisse ho scritto una poesia per lui. A mio nonno Quando torno a casa penso a te nonno che da tanto tempo sei malato. Il medico ha detto in ospedale che ha pochi battiti Il tuo cuore. Spero che tu viva ancora per raccontarmi di nuovo la storia triste ma coraggiosa della tua speranza di una vita migliore. Rino Federica Classe 1° C, Cleto *** Il nonno si chiamava Chiarello Adamo e la sua famiglia era composta da otto figli. Da piccolo abitò in montagna e nel 1951 sposò mia nonna Rosaria e lavoravano come coloni. Ma la situazione economica non essendo buona decise di emigrare in Canada dove rimase

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due anni lavorando da manovale. La nonna rimasta ad Aiello con tre figlie doveva coltivare la terra, badare agli animali e accudire le figlie. Certo la vita di mio nonno e quella di mia nonna non è stata facile, ma sono riusciti lo stesso a migliorare la loro condizione. Mio nonno lavorò fuori casa per tre anni e poi per ragioni di salute dovette ritornare. Qui lavorò di nuovo come colono e mi raccontava che fare il colono era un modo positivo per vivere e lui fu contendo di questo lavoro. Ora il nonno è morto all'età di settantaquattro anni, ma io ogni tanto penso a ciò che mi ha raccontato e ho capito che allora non c'erano tutte le comodità che ci sono adesso. Inoltre credo che anche se c'era grande povertà non c'era tutta questa delinquenza che c'è adesso. Rocchetta Francesco Classe 3° A, Aiello *** Conosco una vecchia signora che oggi vive a Savuto, ma che tempo fa è emigrata in America e così ho deciso di parlarle per poter scrivere la sua storia. Ho trovato una donna anziana che vive da sola e cammina con difficoltà aiutandosi con una sedia. E' curva, magra e parla con la voce bassa. La signora Stella Vena è partita con la nave nel 1954 per raggiungere il marito in Canada. Il viaggio da Napoli sino in America è durato ventisei lunghissimi giorni. Ma lei era contenta di raggiungere il marito che era partita due anni prima ed è rimasta in Canada per nove anni e non se ne è mai pentita. Dopo qualche anno, quando ormai conosceva la lingua e si era ambientata, con delle amiche ha cucito maglie per gli sportivi. Il marito lavorava nelle ferrovie come operaio. Quando doveva lavorare di notte lei dormiva con lui nei vagoni del treno perché era partita per stargli vicino e non voleva lasciarlo nemmeno per poco tempo. In America ha vissuto secondo gli usi italiani però le piacevano anche quelli nuovi. Il sabato e la domenica andavano in giro per visitare le città più belle del Canada. Hanno visitato anche gli Stati Uniti dove avevano parenti e amici. Lei si trovava bene con gli altri: canadesi, statunitensi, ma anche con gli indiani. Alcuni di questi abitavano vicino casa sua e lei ha battezzato tre bambine una italiana, una indiana e una belga. A volte andavano con gli indiani in barca a pescare sul fiume. Se c'era un matrimonio nel quartiere la invitavano perché sapeva ballare e perché le volevano bene. Non hanno avuto figli e ne hanno adottato uno. Stella è tornata in Italia prima del marito; quando erano partiti in casa non c'era niente, ma nella nuova casa invece c'erano tutte le comodità, persino due bagni e il telefono. Ha cercato anche di aiutare il prossimo perché quando è tornata dal Canada negli anni sessanta a Cleto c'era ancora tanta fame. Al ritorno in Italia quando ormai potevano vivere sereni e tranquilli suo marito si è subito ammalato ed è morto. Ora vive sola, ma mi ha detto che si trova molto bene con i suoi vicini, infatti la sua casa è aperta a tutti ed ha sempre qualcosa da dare ai bambini e agli adulti. Anche a me Stella Vena ha dato qualcosa: quando la sentivo parlare pensavo al suo coraggio, al suo grande amore per il marito, alla sua capacità di stare bene con gli altri anche se estranei al suo modo di vivere. Forse questo tutti noi, oggi, dovremmo farlo con altrettanta naturalezza e cordialità con chi emigra in casa nostra. Con altrettanta forza vorrei lottare per il mio futuro che vedo incerto e difficile. Ruperto Maria Classe 3° C, Cleto *** Inizio il racconto di mio nonno Antonio. Egli emigrò nel 1968 in Francia nella città di Lione. Sia il nonno che la nonna lavoravano in fabbrica e vissero lì per cinque anni.

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Ritornati in Calabria e non trovando lavoro, il nonno si trasferì in Sicilia e lavorò come potatore, ma qui si trattenne per poco tempo e decise di partire per la Germania dove ha lavorato come muratore. Per me l'emigrazione è difficile per le usanze diverse, però una volta inseriti è tutto un'altra cosa perché si comincia a stare bene. Russo Orlando Classe 2° A, Aiello C. *** Il nonno materno si chiama Gisberto Lepore, all'età di diciassette anni è stato costretto ad emigrare in Germania, un paese che già allora offriva possibilità di lavoro maggiori rispetto al nostro. Lavorava come muratore, otto mesi all'anno a Saarbrucken che era molto estesa. Generalmente nel mese di novembre tornava a casa per ripartire a febbraio. La vita non era certa facile, doveva fare i conti oltre che con i problema di tutto i giorni, con un clima molto freddo a cui non era abituato. Mi ha raccontato che per andare a lavorare di mattina con i vestiti puliti era costretto a lavarli di sera e l'indomani li rimetteva anche se erano ancora bagnati. Di sera ritornava a casa con i suoi compagni di lavoro, cucinava gli spaghetti e andava a letto. Trascorse quattro anni in questo modo, il tempo necessario per guadagnare il denaro per poter costruire una casa nel suo paese di origine e sposarsi con mia nonna. Man mano che passava il tempo, grazie ai suoi compagni, diventava sempre più padrone della lingua tedesca, il che gli facilitava di molto le cose. Nel periodo in cui ritornava a casa incominciò a mettere insieme mattoni e cemento finché la sua casa non fu finita. A questo proposito la mamma mi ha raccontato che, quando mio nonno alzava le braccia per intonacare il soffitto, gli cadevano quasi i pantaloni per terra tanto era dimagrito. Purtroppo lavorava troppo e il cibo scarseggiava. Per colazione sua madre gli preparava due sottili fette di pane con un formaggino. Nonostante ciò trovava il tempo di coltivare la sua passione più grande, la musica. Infatti prendeva la sua vespetta e andava in un paese vicino per imparare la fisarmonica. Per me è stato molto commovente scrivere tutto ciò ed ancora di più ascoltarlo. E' inevitabile mettere a confronto la vita di un ragazzo di diciassette anni di allora con quella di uno di oggi. Mi sono accorta di quanto siamo diversi noi ragazzi: a diciassette anni molti di noi non sanno ancora cosa vogliono dalla vita, anche se hanno tutti gli agi che sono proprio della nostra generazione. Finalmente mio nonno e mia nonna si sposarono e dopo un breve periodo di riposo, il nonno ha dovuto fare di nuovo le valige e ritornare in Germania. Mia nonna che era in attesa di mia madre, coltivava l'orto per aggiungere con il ricavato qualcosa al bilancio familiare. Prima che nascesse mia mamma il nonno ritornò a casa per ripartire qualche anno dopo. Questa volta però trovò lavoro a Torino presso la Fiat. Mia nonna, restata sola con mia madre incontrava delle difficoltà, così decisero di trasferirsi tutti a Torino. Mia nonna trovò lavoro presso una sartoria, ma poiché il salario non era alto trovò lavoro in un ristorante. Finalmente le cose incominciavano ad andare meglio, quando improvvisamente la sorella di mio nonno morì e dovettero ritornare in Calabria dove vivono ancora oggi. Questa è la storia di mio nonno materno, ma anche il nonno paterno da giovane ha lavorato in Germania. Purtroppo adesso non c'è più ma racconterò lo stesso la sua storia basandomi sulla storia di mia nonna. Si chiamava Francesco Sacco, era un uomo molto alto e, dalle foto che ho visto, anche molto affascinante. Anch'egli, come l'altro nonno ha dovuto fare presto le valige. Nel 1963 aveva ventisei anni e due bambini quando partì per Monaco di Baviera dove ha lavorato in una cava di marmi. Intanto mia nonna restata a casa con i figli andava a raccogliere le olive. E' inutile dire che era una situazione molto stressante per lei. Poco dopo mio nonno si ammalò perché il lavoro che faceva non era adatto a lui, dato che soffriva di una malattia respiratoria che in breve tempo si aggravò proprio per la polvere che era costretto a respirare giorno dopo giorno. Nonostante ciò il

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nonno cercò di resistere il più possibile prima di arrendersi. In seguito ritornò a casa, purtroppo i suoi polmoni avevano subito un danno irreparabile e dopo un periodo di sofferenze durato circa vent'anni, non gli ha più permesso di respirare. Mi sarebbe piaciuto molto conoscerlo e mi da molto da riflettere l'esperienza da lui vissuta. E voglio porre anche all'attenzione di chi ascolta, il fatto che mio nonno, per essere stato costretto ad emigrare, abbia messe in pericolo e successivamente perduto la vita. Sacco Ida Classe 2° A, Aiello C. *** Il nonno materno si chiama Posteraro Adamo ed emigrò nel 1958 in Germania in quanto aveva tre figli che studiavano e mia nonna non godeva di buona salute. In Germania trovò lavoro in un impresa edile. Diverse furono le difficoltà incontrate fra cui la lingua e l'alloggio. Infatti dovette dormire per diverso tempo nelle baracche. La lingua fu anche un grosso problema, specialmente per un calabrese che a stento parlava un po' di italiano. La cosa più brutta da sopportare fu la lontananza dalla propria famiglia, infatti mio nonno non poteva tornare spesso in Italia per non consumare il denaro per il viaggio. Questi sacrifici, comunque, hanno permesso a mio nonno di far studiare i suoi tre figli e di crearsi una certa posizione economica. Tornò definitivamente in Italia dopo quindici anni. Secondo me l'emigrazione è stato un problema che ha afflitto molte famiglie creando problemi di diverso genere. Sdao Francesco Classe 2° B, Aiello C. *** All'età di venticinque anni mio nonno Vincenzo è emigrato in Germania con la moglie nel 1964. Trovò lavoro presso una ditta che costruiva canali per l'energia elettrica. Il salario era di centoventi marchi a settimana, ma doveva lavorare ben dieci ore al giorno, perciò ritornava a casa molto stanco. Anche mia nonna lavorava come domestica presso una ricca famiglia, ma il lavoro non le piaceva perché doveva faticare molto e spesso veniva trattata anche male, così decise di smettere. I miei nonni in Germania non rimasero per molto tempo perché il nonno avvertiva la nostalgia dei suoi familiari e del suo paese, perciò se ne ritornarono in Italia dopo circa quattro anni. Dopo qualche mese fortunatamente mio nonno trovò lavoro e non ci fu più bisogno di emigrare. Secondo me la vita di allora era molto difficile rispetto a quella di oggi e molte persone dovettero emigrare per poter migliorare le proprie condizioni di vita. Io sono molto contento perché oggi i miei nonno vivono con noi e mi auguro che ci restano per molto tempo. Sicoli Geniale Classe 2° B, Aiello C. *** Il nonno si chiama Sicoli Antonio e adesso ha l'età di sessantaquattro anni. Quando era giovane partì per la Germania nel 1970 e si fermò a Emden, un paese molto tranquillo simile ad Aiello. Faceva il manovale e percepiva trentamila lire al giorno. Mi ha raccontato che era sempre preoccupato per la famiglia che era rimasta da sola in Calabria. In Germania il clima era molto freddo e durante l'inverno la temperatura scendeva sotto lo

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zero. Le persone con cui il nonno lavorava erano brave e serie. Nel tempo libero, puliva la sua stanza, preparava il pranzo e poi andava a passeggiare con gli amici. Il nonno qui ha lavorato tanto che in un determinato periodo era così dimagrito che addirittura i pantaloni erano diventati molto larghi per il suo fisico. A me sentire queste cose è dispiaciuto molto e ho finito per capire tante cose e per volere molto bene al nonno. Sicoli Verusca Classe 2° A, Aiello C. *** Io qualche volta vedo mia madre che è triste e le domando se si sente bene, lei mi risponde: sto pensando a mia sorella che mi manca molto e vorrei fosse qui con me. Le vorrei raccontare ciò che ho fatto e vorrei che venisse con me o a fare delle passeggiate, o la spesa, o al cinema come fanno tutte le donne. Vaccaro Saturno Armando Classe 2° C, Cleto *** Un giorno quando ero dai nonni, seduti vicino al focolare mi raccontarono la loro esperienza di quando erano partiti per la Germania. Mio nonno Gennaro era giovanissimo quando nel 1960 partì, iniziando un'altra vita in un ambiente diverso per lingua e cultura. Il lavoro era estraneo alle proprie conoscenze in quanto era sarto e ora lavorava in ferrovia. Qui però rimase poco perché la morte orribile di un suo compagno gli fece cambiare lavoro e città. Vi rimase per ben ventisei anni lavorando in diverse fabbriche. Oggi i miei nonni trovandosi nuovamente nel loro paese natale si rendono conto che i tedeschi erano precisi. Qui, in particolar modo nel sud si deve lottare per sopravvivere. I nonni sposandosi nel 1963 misero su famiglia in Germania, ma dovettero rientrare in Italia per motivi di salute di mia nonna portando con se i loro ricordi, la ricchezza di una cultura diversa e all'avanguardia e le proprie tre figlie tra cui mia madre. Anche mio padre Giuseppe è partito nel 2000 in quanto è stato, dopo anni di servizio in un istituto per anziani licenziato ingiustamente. L'esperienza di mio padre mi ha reso cosciente del fatto che i loro sacrifici servono a darci delle sicurezze che normalmente in tempi difficili non erano permesse. Ora mio padre lavora vicino a Francoforte come cameriere in una pizzeria - ristorante. Qui si trova bene, è soddisfatto e si sente realizzato sia dal punto di vista del lavoro che del guadagno. L'unica cosa che lo rende triste è la lontananza dai suoi figli e da sua moglie. La mia opinione sull'emigrazione è la seguente: non c'è bisogno di partire se nel proprio paese si ha il diritto di lavorare e di essere retribuito regolarmente. Lo Stato si dovrebbe far carico dei problemi dei propri cittadini, permettere che rimangano vicino ai loro figli e nella loro patria per poi servirla, offrendo il proprio contributo nel migliorare sempre di più lo Stato nell'industrializzazione, nell'agricoltura e nelle scienze. Vairo Antonio Classe 3° C, Cleto *** Oggi siamo tutti riuniti per parlare dell'emigrazione ed io sono molto contento e felice di raccontare la mia esperienza. Era un giorno d'autunno ed era mia abitudine guardare dalla

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finestra, c'era uno dei tanti spettacoli che ci regala il paesaggio calabrese. Mi misi ad osservarlo e così vidi morire un fiore e vidi una foglia toccare il suolo per un soffio di vento e capii che tutto questo mi sarebbe mancato quando avrei lasciato la mia terra, ebbene si, quello era il giorno della mia partenza, il giorno in cui avrei lasciato la mia famiglia e la mia Calabria. Sono partito per cercare fortuna in Francia dove mi aspettava mio fratello. Salito sul treno l'angoscia mi tormentava, non sapevo che cosa mi aspettasse una volta arrivato, non sapevo se avrei trovato lavoro ed una casa, tutto questo mi preoccupava e pensavo al significato di quella parola di cui tanto si sentiva parlare in quel tempo: Emigrazione.......! Arrivato in Francia mi sentivo quasi perso in una grande città, ero arrivato infatti a Parigi dove avrei trascorso la mia vita. Cominciai a lavorare dopo tre mesi in un'industria di elettrodomestici e ricordo benissimo che quando dissi che ero calabrese si misero a ridere e se ne andarono. Io rimasi stupito dal loro comportamento e non capivo perché non mi trattassero come gli altri e mi chiedevo spesso se era per me un problema essere calabrese. Passò il tempo ed io cominciai ad abituarmi a quel sistema di vita e feci delle amicizie. Credo che sia inutile che racconti il resto della mia storia perché c'è solo da dire che alla fine ho trovato casa e ho messo su una bella famiglia, tutto ciò però con molta fatica e sofferenza. Non so gli altri, ma io mi sono divertita nel fare questo tema anche perché si doveva parlare con gli emigrati e per me non è una novità perché parlo molto spesso con i nonni e mi piace curiosare nella loro giovinezza. Quando intervistai mio zio vidi in lui un'enorme gioia per avere l'opportunità di parlare della sua esperienza. Ricordo che mi fece vedere la sua valigia di quarantatre anni fa, quando per la prima volta lasciò la Calabria e mi disse che quella era la valigia che portava tutta la sua esperienza di emigrante piena di sentimenti tristi e allegri, di momenti indimenticabili e di sensazioni brutte e belle, insomma mi disse che questa volta poteva chiudere quella valigia con la soddisfazione di aver fatto conoscere la sua storia a tutti con la speranza che un giorno non esista più la parola emigrazione. Vairo Valentina Classe 2° C, Cleto *** Devo tanto ringraziare gli organizzatori di questo concorso perché grazie ad esso ho potuto conoscere una parte della storia della mia famiglia e del mio paese. Il nonno mi ha raccontato che nel mese di marzo del 1961 l'ufficio provinciale del lavoro fece richiesta a Cleto di manodopera da inviare in Germania. Fra tanti lavoratori che partirono c'era anche Gennaro Milito, mio nonno. Aveva ventuno anni e il cuore ricco di sogni gli permise di lasciare i genitori, gli amici e la terra dove era nato. A Cosenza fu sottoposto a visita medica e mandato a Napoli, dove in mezzo a tanti lavoratori italiani conosce i primi tedeschi che formavano la seconda commissione medica. La Germania aveva bisogno di una massiccia ricostruzione e serviva gente sana e forte. Furono necessari tre giorni di permanenza, e finalmente si parte per la Germania, con un treno chiamato "speciale", perché tutto pieno di emigranti. Mio nonno ricorda la strana sensazione di viaggiare in questo treno, con tutte le facce un po' tristi, un po' speranzose, di uomini poveri ma fieri di compiere un atto necessario per la loro vita e quella delle famiglie rimaste ad aspettarli. Nella prima fermata a Verona ricevettero un sacchetto con generi di prima necessità, ma lungo il transito in Austria scorgono dai finestrini operai che lavoravano a petto nudo con i piedi nella neve. Impauriti dalla prospettiva che potesse capitare anche a loro, si fanno coraggio riparlando del caldo e della bellezza delle terre lasciate al sole del Mediterraneo.

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Arrivati in Germania, gli italiani che erano insieme a mio nonno, vengono sistemati in baracche e iniziano la loro nuova vita di lavoratori tedeschi dentro una fonderia. Il lavoro era duro e l'ambiente malsano. Non conoscendo la lingua spesso venivano maltrattati dai vigilanti che urlavano in tedesco ordini incomprensibili. All'inizio non era facile comprendere bene i nuovi soldi e avevano grandi difficoltà a fare la spesa. All'inizio si ammalavano spesso perché non erano abituati a quel lavoro e a quel clima ed era un problema dover spiegare al medico che cosa si sentivano e capire cosa prescriveva. A volte veniva forte la voglia di tornare ma molti di loro sono rimasti con la forza della speranza. A poco a poco sono riusciti a parlare un poco di tedesco, ad ambientarsi e ad avere i primi contatti positivi con gli abitanti del luogo. Nonno dice che proprio questo è stato il fatto che più li ha aiutati, la comprensione e l'amicizia di qualche tedesco, che io ringrazio dal profondo del cuore. Oggi, ogni volta che mi capiterà, anch'io farò lo stesso con gli stranieri che vengono nel nostro paese in cerca di lavoro e che spesso vengono respinti con sospetto e con l'idea che vengono a rubare o che sono sporchi e cattivi. Penso che per la maggior parte si tratta di povera gente, che anche loro hanno dovuto lasciare la famiglia, che non capiscono la lingua e sentono le nostre imprecazioni contro di loro e che hanno nel cuore la stessa tristezza e la stessa speranza di mio nonno. Veltri Luana Classe 1° C, Cleto

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Appendice

Bando di concorso anno scolastico 2000/2001 Istituto comprensivo di Aiello Calabro

UNS AUSER SPI Unione Nazionale Università Europea Sindacato Pensionati

Scrittori - UIL Popolare CGIL Con il patrocinio del Comune di Aiello Calabro

Concorso

"I Nonni raccontano l'Emigrazione"

Il concorso si rivolge agli studenti delle classi 4° e 5° della Scuola Elementare e alle classi 1°, 2° e 3° della Scuola Media dell'Istituto Comprensivo di Aiello Calabro (CS). Gli studenti sono invitati a partecipare, in collaborazione con nonni, parenti e conoscenti che hanno vissuto o vivono l'esperienza dell'Emigrazione, a scrivere le loro testimonianze illustrandole con fotografie o fotocopie, con lettere, cartoline, disegni e poesie. Gli elaborati, in unica copia, dovranno essere consegnati entro e non oltre il 30 aprile 2001 alle Coordinatrici: Ada Belmonte - tel. 0982/44034 Franca Belmonte - tel. 0982/43062 della Scuola Media di Aiello Calabro. Un'apposita Commissione esaminerà gli elaborati. Sono previsti premi per i concorrenti che si classificheranno al 1°, 2° e 3° posto, sia agli studenti che a coloro i quali hanno collaborato con essi e un attestato di partecipazione per tutti. La Commissione si riserverà il diritto di assegnare ulteriori premi. La data della premiazione sarà il 5 giugno 2001. L a Responsabile Livia NACCARATO Tel. 06/5780555 Per informazioni rivolgersi alle Coordinatrici, al Preside, al Sindaco di Aiello e all'Assessore Bruno Pino. Il giorno 5 giugno dalle ore 10.00 alle ore 12.30 si è tenuta presso l'Istituto Comprensivo di Aiello Calabro, in un clima di commozione e festosità, la premiazione del concorso "I Nonni raccontano l'Emigrazione". La manifestazione è pienamente riuscita, sia per la presenza totale dei partecipanti al concorso e sia per quella dei genitori e nonni. Sono stati presenti inoltre i sindaci di Aiello Calabro, Cleto e Serra d'Aiello che costituiscono l'Istituto Comprensivo di Aiello Calabro, il Dirigente Prof. Marino Cataldo, gli insegnanti, e tre rappresentatati dello SPI-CGIL di Cosenza, Antonio Goffredo, Antonio Sommaria e Carmine Azzaro. L'iniziativa è stata ampiamente pubblicizzata da "Il Quotidiano della Calabria".

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Telegramma dell'Unione Nazionale Scrittori. A Livia Naccarato Via Nuova 6 87031 Aiello Calabro Cara Naccarato esprimiamo nostre vive congratulazioni per successo iniziativa culturale "I Nonni raccontano l'Emigrazione". Un sentito ringraziamento al Dott. Francesco Iacucci, Sindaco Aiello Calabro e Prof. Marino Cataldo Dirigente Istituto Comprensivo di Aiello Calabro anche a nome Organi Sociali Unione Nazionale Scrittori. Massimo Nardi Segretario Generale Unione Nazionale Scrittori. Telegramma SPI CGIL Roma Nord. A Livia Naccarato Via Nuova 6 87031 Aiello Calabro Al Dirigente dell'Istituto Comprensivo di Aiello Calabro, al Sindaco Franco Iacucci e alla Responsabile della Iniziativa congratulazioni per la riuscita della Iniziativa "I Nonni raccontano l'Emigrazione" che ha consentito ai ragazzi delle Scuole Elementari e Medie di scoprire una parte importante del vissuto della propria famiglia e contemporaneamente una parte della storia della loro terra. Sindacato SPI CGIL Roma Nord e Università Europea Popolare - AUSER.

Il Concorso Le Scuole che hanno partecipato: Scuole Elementari: * Scuola Elementare di Aiello Calabro * Scuola Elementare di Cleto * Scuola Elementare di Serra di Aiello Scuole Medie: * Scuola Media di Aiello Calabro * Scuola Media di Cleto Gli Insegnanti che hanno partecipato: Insegnanti Scuole Elementari

Geniale Gabriele - 4° - 5° Scuola Elementare Serra di Aiello;

De Marco Serafina - 4° - 5° Scuola Elementare Cleto;

Maria Antonietta Giannuzzi - 4° - 5° Scuola Elementare Aiello Calabro; Insegnanti Scuole Medie:

Gabriella Valentini - 1° C Scuola Media Cleto;

Giuseppe Longo - 2° C Scuola Media Cleto;

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Luigi Ciardullo - 3° C Scuola Media Cleto;

Giovanni Aloisio - 1°A Scuola Media Aiello C.;

Franca Belmonte - 2°A Scuola Media Aiello C.;

Ada Belmonte - 3°A Scuola Media Aiello C.;

Carmine Ponte - 2°B Scuola Media Aiello C.;

Mario Giannuzzi - 3°B Scuola Media Aiello C. La Giuria è composta da:

Livia Naccarato

Monica Bernardo

Mario Pucci Alunni Vincitori delle Suole Elementari 1° CLASSIFICATA Longo Stefania, 5° Classe Aiello C. (COPPA) 2° CLASSIFICATA Pucci Daniele Anna, 4° Classe Aiello C. (TARGA) 3° CLASSIFICATA Coccimiglio Maria Teresa, 5° Classe Aiello C. (MEDAGLIA) Diplomi di Merito

Aloe Sabrina, 4° Classe Serra di Aiello

Giampà Antonietta, 5° Classe Serra di Aiello

Franchini Elisa, 4° Classe Cleto

Valeria Isabella, 5° Classe Cleto

Cuglietta Gessica, 4° Classe Aiello C.

Lepore Maria Grazia, 4° Classe Aiello C.

Marghella Celestina, 4° Classe Aiello C.

Nicastro Albachiara, 4° Classe Aiello C.

Vercillo Settimio, 5° Classe Aiello C. Alunni Vincitori delle Suole Medie 1° CLASSIFICATA Triestino Giuseppina, 1°A Aiello C. (COPPA) 2° CLASSIFICATA Deiana Manuela, 3°A Aiello C. (TARGA) 3° CLASSIFICATO Pagliaro Yuri Achille, 3°C Cleto (MEDAGLIA) Diplomi di Merito

Lepore Debora, 1°C Cleto

Rino Federica, 1°C Cleto

Vairo Valentina, 2°C Cleto

Ruperto Maria, 3°C Cleto

Astuto Veronica, 3°B Aiello C.

Bossio Katia, 3°A Aiello C.

Sacco Ida, 2°A Aiello C.

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Diplomi di Merito ai Nonni Nonni Scuola Elementare

Giuseppe Coccimiglio - Aiello Calabro

Pucci Daniele Alberto - Rino Pietro - Aiello Calabro

Capelli Carmine - Aiello Calabro Nonni Scuola Media

Triestino Vittorio - Aiello Calabro

Gaspare Marghella - Aiello Calabro

Pasqualina Mafalda - Cleto

Briglio Cavaliere - Cleto Sono stati, inoltre, conferiti Diplomi di Merito a tutti gli Insegnanti che hanno partecipato al Concorso. A tutti gli alunni che hanno partecipato è stato conferito un Attestato. I giudizi della Giuria 1° CLASSIFICATA Longo Stefania, Classe 5°A Scuola Elementare Aiello C. Ottimo componimento per forma e contenuto. La forma è corretta, scorrevole e ordinata. Il contenuto è conforme a quanto richiesto dal concorso. Colpisce in una bambina di 5° elementare la precisione con cui ha descritto nei minimi particolari sia la vita del nonno emigrato a 19 anni in Germania sia la vita della nonna rimasta in Italia con una bambina da crescere. Dal racconto il nonno ci appare come un uomo molto serio, attaccato al lavoro, ai suoi cari e alle tradizioni familiari che ricorda con glia mici nei pochi momenti liberi, come i dolci che si preparano a Natale e a Pasqua (i cullurielli, i turdilli e le cuzzupe). Una nota questa carica di tanta nostalgia quasi che i sapori e gli odori di semplici dolci fatti in casa avessero il potere di farli sentire meno soli nella fredda ed estranea Germania. Bellissima figura di donna quella della nonna dalle mani abili ed instancabili, capaci di compiere tantissimi lavori, come coltivare il suo pezzetto di terra, crescere gli animali utili alla famiglia, fare il pane, seccare e conservare i fichi, ecc. Ma oltre a questi ne faceva anche altri, come il sapone, il caffè di ghiande, il bucato al fiume e tingere i vestiti con il mallo delle noci e i fiori profumati di campo, lavori questi che adesso non si fanno più. Molto sentite le riflessioni finali che si chiudono con il ricordo dolce-amaro dei pochi momenti belli e felici che i noni hanno vissuto insieme, giorni però velati da tanta tristezza perché ad ogni ritorno del nonno seguiva una nuova partenza, finché la morte no lo ha colto prematuramente. Il componimento è completato da una poesia. Dobbiamo essere grati a questa sensibile e quieta bimba di averci ricordato usi e costumi che vanno scomparendo e che invece è necessario conoscere perché ci restituiscono intatte le nostre radici e quindi la nostra storia appena passata.

La Giuria

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1° CLASSIFICATA Triestino Giuseppina, Classe 1°A Scuola Media Aiello C. Giuseppina Triestino ha scritto un vero racconto, preciso, avvincente e critico del fenomeno dell'Emigrazione, parlandoci del nonno emigrato in Francia e della nonna rimasta ad Aiello. Il racconto è ottimo per l'ampiezza del contenuto e l'originalità della forma. Inoltre è corredato da molte poesie e lettere intere o stralci che ella stessa ha scelto spiegandone il perché. La narrazione scorre velocissima e dolcissima per la testimonianza delle lettere che i nonni si scambiano, facendoci gustare sia i giorni della lontananza intrisi di tanta nostalgia sia la gioia del ritorno che si traduce in un enorme, grande abbraccio per tutti. A questo proposito, vogliamo citare la frase che denota la sua sensibilità, il suo spirito di osservazione e la poeticità della sua prosa: sul viso dei miei nonni scivolarono delle goccioline di lacrime, dentro le quali si vedevano riflesse tutte le scene che questa famiglia (come moltissime altre) aveva trascorso divisa a metà. Molto ampie e profonde sono le riflessioni di Giuseppina che definisce, il suo racconto viaggio storico e poi aggiunge che: la storia non ha alcun senso senza le proprie idee e opinioni. E' molto giusto quello che dice, la storia è fatta da tutti gli uomini ma in special modo da coloro che hanno le proprie idee ed opinioni e tu continui ad avere le tue idee con mente libera da pregiudizi e da condizionamenti. Le sue riflessioni la portano a considerare i progressi della scienza e alla fine si pone una domanda: che tipo di personalità avremo quando non sapremo più scrivere nemmeno una frase con la nostra cara e vecchia penna? Questa drammatica domanda ci da la misura della sua maturità e della sua preoccupata partecipazione ai problemi attuali. Da questa splendida bambina di 1° media scaturisce una lezione altamente morale per gli adulti che molto spesso non si pongono domande e continuano a mandare sul mercato oggetti di ogni tipo senza pensare come questi possano cambiare e deturpare la personalità dell'individuo. Tu, cara Giuseppina, continua ad usare la tua vecchia penna che deve convivere con ciò che la tecnologia ci propone se non vogliamo farci condizionare da essa ma tenere alta la capacità di sapere scegliere. Tu questa capacità già la possiedi nella spigliatezza e nella convinzione con cui affermi ciò che pensi. Ti auguriamo che in futuro questa cresca e si approfondisca dandoti la consapevolezza e il coraggio di esprimere sempre te stessa.

La Giuria

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Conclude il lavoro svolto il Prof. Poeta Mario Pucci con la sua poesia Il treno del Sole Sui marciapiedi della ferrovia dinanzi a un cielo azzurro di speranza uomini grigi con la barba lunga e il portafoglio pieno di Madonne e con la giacca pendula sul braccio ancora umida di ferro da stiro intriso del calore delle braci, con sguardi ancora tiepidi di lacrime versate in casa per l'amaro addio, attendono, la coppola sul capo, il sibilo d'un treno che raccoglie mille valigie strette da uno spago con occhi che traboccano di sole. E vanno gli emigranti verso terre dove la luna naviga tra stelle ignude, fredde e forse senza amore.

Mario Pucci