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I n d i c e

Schema per la redazione del parere PROVE PRATICHE Parere motivato in materia regolata dal diritto civile Traccia Schema di svolgimento Parere motivato in materia regolata dal diritto penale Traccia Schema di svolgimento Atto giudiziario di diritto civile Svolgimento Criteri di redazione dell’atto Atto giudiziario di diritto penale Svolgimento Criteri di redazione dell’atto ESERCITAZIONI Parere motivato in materia regolata dal diritto civile Soluzione Parere motivato in materia regolata dal diritto penale Soluzione Atto giudiziario di diritto civile Soluzione Atto giudiziario di diritto penale Soluzione

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SCHEMA PER LA REDAZIONE DEL PARERE

PRIMA FASE

Inquadramento della tematica generale

Normalmente è la stessa traccia ad indicare espressamente la tematica generale da

esaminare (es. premessi sommari cenni in tema di …).

SECONDA FASE

Brevi cenni introduttivi

Occorre assolutamente attenersi alla specifica indicazione della traccia e limitare l’analisi

ai profili che potranno tornare utili nelle conclusioni da rassegnare al termine.

TERZA FASE

Analisi dell’evoluzione giurisprudenziale

1) esposizione della tesi giurisprudenziale maggioritaria (con particolare riferimento

alla giurisprudenza di legittimità);

2) esposizione della tesi giurisprudenziale minoritaria o isolata;

3) analisi delle argomentazioni poste alla base di entrambi gli orientamenti (anche alla

luce, se necessario, della dottrina più rilevante);

4) esposizione della tesi preferibile (alla luce anche della posizione del proprio

assistito) avendo particolare riguardo all’eventuale soluzione proposta dalla Corte di

Cassazione a Sezioni Unite.

QUARTA FASE

Conclusioni

Esposizione delle conseguenze derivanti dall’applicazione dei principi giurisprudenziali

esposti al caso concreto (generalmente il soggetto che richiede il parere trova un conforto

alle sue richieste; in caso contrario, occorre prospettare al proprio assistito tutti gli scenari

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possibili).

Prova pratica

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TRACCIA

Tizio, a seguito della mancata stipulazione del contratto definitivo - in adempimento del contratto preliminare stipulato con Caio, avente ad oggetto l’immobile di proprietà di quest’ultimo -, consegue in giudizio sentenza ex art. 2932 cod. civ. produttiva degli effetti del contratto non concluso.

A fronte della richiesta di Caio del pagamento del corrispettivo pattuito, Tizio si rivolge ad un legale per sapere se, prima del passaggio in giudicato della sentenza, sia configurabile, nonostante il mancato rilascio dell’immobile, un'efficacia anticipata dell'obbligo di pagare il prezzo.

Il candidato, assunte le vesti del legale, premessi brevi cenni sul principio di provvisoria esecutiva delle sentenze, rediga motivato parere illustrando gli istituti e le problematiche sottese.

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Schema di svolgimento

INDIVIDUAZIONE ARTICOLI RIFERIMENTO:

Codice procedura civile

Art. 282

Esecuzione provvisoria.

[I]. La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le

parti.

Codice civile

Art. 2932

Esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto.

[I]. Se colui che è obbligato a concludere un contratto non

adempie l'obbligazione [651 II, 849, 135 I, 1679, 1706 II, 2597],

l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può

ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non

concluso [2643 n. 14, 2652 n. 2, 2684 n. 6, 2690 n. 1, 2908].

[II]. Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento

della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il

trasferimento di un altro diritto [1376], la domanda non può

essere accolta, se la parte che l'ha proposta non esegue la sua

prestazione [1208 ss.] o non ne fa offerta nei modi di legge, a

meno che la prestazione non sia ancora esigibile [246 trans.].

QUESTIONE PROBLEMATICA:

Prima del passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932

cod. civ., il promissario acquirente è tenuto a pagare il

prezzo?

INDIVIDUAZIONE MASSIME A FAVORE DELL’ASSISTITO:

Norma di riferimento: art. 2932 cod. civ.

La pronuncia di risoluzione del contratto non può che riguardare

obbligazioni da esso nascenti e non certo la mancata esecuzione di

un precetto contenuto in una sentenza che, nell'ipotesi di cui

all'art. 2932 c.c., produce gli effetti del contratto non

concluso soltanto dal momento del suo passaggio in

giudicato, dando luogo ad un rapporto che è distinto da quello

derivante dal preliminare e che è, a sua volta, suscettibile di

risoluzione per inadempimento, ma per ragioni inerenti al nuovo

sinallagma venuto in essere. Cass. civ., sez. II, 2 dicembre 2005,

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n. 26233

In tema di contratto preliminare, le sentenze emesse ai sensi

dell'art. 2932 c.c. producono dal momento del passaggio in

giudicato gli effetti del negozio comportando, nel caso di

vendita, il trasferimento della proprietà del bene e

correlativamente l'obbligo dell'acquirente di versare il

prezzo (o il suo residuo) eventualmente ancora dovuto,

obbligo sancito con una pronuncia di accertamento o di

condanna o di subordinazione dell'efficacia traslativa al

pagamento; si origina così un rapporto di natura negoziale e

sinallagmatica suscettibile di risoluzione nei casi di inadempimento

che, ai sensi dell'art. 1455 c.c. sia di non scarsa importanza; il che

può verificarsi anche nel caso di ritardo (rispetto al termine

eventualmente fissato nella sentenza o altrimenti in relazione alla

data del suo passaggio in giudicato) che risulti eccessivo in

rapporto al tempo trascorso, all'entità della somma da pagare (in

assoluto e in riferimento all'importo in ipotesi già versato) e a ogni

altra circostanza utile ai fini della valutazione dell'interesse

dell'altra parte. Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2006, n. 690

La sentenza che dispone l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo

di contrarre, ex art. 2932 c.c., produce i propri effetti solo dal

momento del passaggio in giudicato; ne consegue che, quando

detta sentenza abbia subordinato l'effetto traslativo al pagamento

del residuo prezzo, l'obbligo di pagamento in capo al promissario

acquirente non diventa attuale prima dell'irretrattabilità della

pronuncia giudiziale, essendo tale pagamento la prestazione

corrispettiva destinata ad attuare il sinallagma contrattuale. Cass.

civ., sez. II, 6 aprile 2009, n. 8250

INDIVIDUAZIONE MASSIME CONTRO GLI INTERESSI DELL’ASSISTITO:

Norma di riferimento: art. 2932 cod. civ. e 282 cod. proc.

civ.

Nel caso di pronuncia della sentenza costitutiva ai sensi dell'art.

2932 c.c., le statuizioni di condanna consequenziali, dispositive

dell'adempimento delle prestazioni a carico delle parti fra le quali

la sentenza determina la conclusione del contratto, sono da

ritenere immediatamente esecutive ai sensi dell'art. 282 c.p.c., di

modo che, qualora l'azione ai sensi dell'art. 2932 c.c. sia stata

proposta dal promittente venditore, la statuizione di condanna

del promissario acquirente al pagamento del prezzo è da

considerare immediatamente esecutiva. Cass. civ., sez. III, 3

settembre 2007, n. 18512

INTERVENTO RISOLUTIVO DELLE SEZIONI UNITE:

Norma di riferimento: art. 2932 cod. civ.

Nelle sentenze rese ai sensi dell'art. 2932 cod. civ. in tema di

contratto preliminare di compravendita, non è possibile operare la

scissione tra capi costitutivi principali e capi condannatori

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consequenziali, specialmente con riferimento ai quei capi cd.

sinallagmatici, le cui statuizioni fanno parte integrante della

pronuncia costitutiva nel suo complesso. Pertanto, la possibilità

di anticipare l'esecuzione delle statuizioni condannatorie

contenute nella sentenza costitutiva va riconosciuta in

concreto volta per volta a seconda del tipo di rapporto tra

l'effetto accessivo condannatorio da anticipare e l'effetto

costitutivo producibile solo con il passaggio in giudicato. A

tal fine occorre differenziare le statuizioni condannatorie

meramente dipendenti dal detto effetto costitutivo da quelle che

invece sono a tale effetto legate da un vero e proprio nesso

sinallagmatico ponendosi come parte - talvolta corrispettiva - del

rapporto oggetto della domanda costitutiva. Possono quindi

ritenersi anticipabili i soli effetti esecutivi dei capi che sono

compatibili con la produzione dell'effetto costitutivo in un momento

successivo, ossia all'atto del passaggio in giudicato del capo di

sentenze propriamente costitutive, quale la condanna al

pagamento delle spese processuali contenuta nella sentenza che

accoglie la domanda, mentre non sono anticipabili effetti quali

il pagamento del prezzo della vendita ed il rilascio

dell'immobile oggetto della promessa di vendita. Cass. civ.,

Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4059

CONCLUSIONI:

Non essendo configurabile, in caso di mancato rilascio

dell’immobile, un’efficacia anticipata dell’obbligo di pagare il

prezzo, Caio non potrà pretendere da Tizio il pagamento del

corrispettivo pattuito: alla luce delle più recenti indicazioni

giurisprudenziali, non è riconoscibile l'esecutività provvisoria, ex

art. 282 cod. proc. civ., del capo decisorio relativo al trasferimento

dell'immobile contenuto nella sentenza di primo grado resa ai sensi

dell'art. 2932 cod. civ., né è ravvisabile l'esecutività provvisoria

della condanna implicita al rilascio dell'immobile, in danno del

promittente venditore, scaturente dalla suddetta sentenza nella

parte in cui dispone il trasferimento dell'immobile producendosi

l'effetto traslativo della proprietà del bene solo dal momento del

passaggio in giudicato di detta sentenza con la contemporanea

acquisizione al patrimonio del soggetto destinatario della

pronuncia.

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Prova pratica

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TRACCIA

Tizio utilizza per il pagamento del pedaggio autostradale una tessera Viacard del valore nominale di euro 50,00 che gli viene ritirata dall'operatore perché, dopo essere stata usata per l'ultima volta lecitamente il 18 marzo 2012, è stata rigenerata e poi utilizzata indebitamente altre sei volte. Tizio decide di rivolgersi ad un legale al quale riferisce di avere acquistato la tessera da uno sconosciuto che, all'interno di un'area di servizio, gliela aveva venduta dicendo di essere rimasto senza benzina e con poco denaro; ai dubbi circa la provenienza delittuosa della carta, che l’avevano comunque assalito, non aveva dato peso, preso com’era dalla necessità di “dare una mano” all’ignoto venditore.

Il candidato, assunte le vesti del legale, rediga motivato parere circa le conseguenze derivanti dalla condotta di Tizio, illustrando le problematiche sottese alla fattispecie.

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Schema di svolgimento

INDIVIDUAZIONE ARTICOLI RIFERIMENTO:

Codice penale

Art. 42

Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto

preterintenzionale. Responsabilità obiettiva.

[I]. Nessuno può essere punito per un'azione od omissione

preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con

coscienza e volontà.

[II]. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge

come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto

preterintenzionale [571 II, 572 II, 584, 586] o colposo [259, 326

II, 335, 350, 355 III, 387, 391 II, 449, 450, 451, 452, 500 II, 527

II, 589, 590] espressamente preveduti dalla legge [43].

[III]. La legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti

a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od

omissione.

[IV]. Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione

od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa

[432]

Art. 648

Ricettazione.

[I]. Fuori dei casi di concorso nel reato [110], chi, al fine di

procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta

denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si

intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con

la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a

10.329 euro [379, 648-ter, 649, 709, 712].

[II]. La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a

516 euro, se il fatto è di particolare tenuità [62 n. 4, 133].

[III]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando

[648-bis] l'autore del delitto, da cui il denaro o le cose

provengono, non è imputabile [85] o non è punibile [46, 379, 649]

ovvero quando manchi una condizione di procedibilità [336-346

c.p.p.] riferita a tale delitto.

Art. 712

Acquisto di cose di sospetta provenienza.

[I]. Chiunque, senza averne prima accertata la legittima

provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la

loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del

prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è

punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore

a 10 euro [648; 166 c.p.m.p.].

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[II]. Alla stessa pena soggiace chi si adopera per fare acquistare o

ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza

averne prima accertata la legittima provenienza [713].

PRIMA QUESTIONE PROBLEMATICA:

Il reato di ricettazione è compatibile con il dolo eventuale?

INDICAZIONE MASSIME FAVOREVOLI:

Norma di riferimento: art. 648 cod. pen.

Nel delitto di ricettazione è ravvisabile il dolo eventuale

quando la situazione fattuale - nella valutazione operata dal

giudice di merito in conformità alle regole della logica e

dell'esperienza - sia tale da far ragionevolmente ritenere che non

vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la

provenienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio

che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza.

Cass. pen., sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783

Si configura il reato di ricettazione, sotto il profilo del dolo

eventuale, ogniqualvolta l'agente si è posto il quesito circa

la legittima provenienza della "res" risolvendolo nel senso

dell'indifferenza della soluzione; si configura invece l'ipotesi di

cui all'art. 712 c.p. quando il soggetto ha agito con negligenza nel

senso che, pur sussistendo oggettivamente il dovere di sospettare

circa l'illecita provenienza dell'oggetto, egli non si è posto il

problema ed ha, quindi, colposamente realizzato la condotta

vietata. Cass. pen., sez. II, 15 gennaio 2001, n. 14170

In tema di ricettazione, ricorre il dolo nella forma eventuale

quando l'agente ha consapevolmente accettato il rischio che

la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza,

non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel

verificare la provenienza della cosa, che invece connota l'ipotesi

contravvenzionale dell'acquisto di cose di sospetta provenienza.

Cass. pen., sez. II, 22 novembre 2007, n. 45256

L'elemento psicologico della ricettazione può essere

integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in

presenza della rappresentazione, da parte dell'agente, della

concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della

relativa accettazione del rischio, non potendosi esso desumere da

semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero

sospetto. Cass. pen., sez. I, 17 giugno 2010, n. 27548

INDICAZIONE MASSIME CONTRARIE:

Norma di riferimento: art. 648 cod. pen.

Il delitto di ricettazione, sia per la sua strutturazione

giuridica sia per la sua correlazione logica con la

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contravvenzione di incauto acquisto, non prevede la

punibilità a titolo di dolo eventuale o alternativo, ma solo a

titolo di dolo diretto. Ad integrare gli elementi costitutivi della

ricettazione occorre, oltre al presupposto di fatto dell'effettiva

esistenza di un delitto da cui il denaro o le altre cose provengano,

che l'agente, al momento dell'acquisto o della ricezione,

pienamente consapevole dell'origine delittuosa delle cose,

volontariamente e coscientemente le abbia trasferite nella propria

disponibilità, non essendo sufficiente che egli si sia rappresentato

la possibilità di tale origine delittuosa per circostanze idonee a

suscitare perplessità sulla lecita provenienza delle cose stesse.

Quest'ultima ipotesi ricade, invece, nell'ambito della specifica

previsione dell'art. 712 cod. pen., che punisce a titolo di colpa

l'acquisto o la ricezione di cose che, per le obiettive condizioni

stabilite nello stesso disposto di legge, denuncino, di per sé, il

sospetto di un'origine di natura delittuosa ovvero anche solo

contravvenzionale e impongano all'acquirente, indipendentemente

anche dall'effettiva sussistenza di un reato presupposto, l'obbligo

di ragionevoli accertamenti sulla liceità o meno della provenienza.

Cass. pen., sez. II, 2 luglio 1982, n. 1180

Il dolo eventuale non é compatibile con il delitto di

ricettazione poiché la rappresentazione dell'eventualità che

la cosa che si acquista, o comunque si riceve, provenga da

delitto equivale al dubbio, mentre l'elemento psicologico

della ricettazione esige la piena consapevolezza della

provenienza delittuosa dell'oggetto. Per contro il dubbio

motivato dalla rappresentazione della possibilità dell'origine

delittuosa dell'oggetto per circostanze idonee a suscitare

perplessità sulla lecita provenienza dello stesso, integra la specifica

ipotesi di reato prevista dall'art. 712 cod. pen., che punisce

l'acquisto di cose di sospetta provenienza. Cass. pen., sez. II, 14

maggio 1991, n. 9271

SECONDA QUESTIONE PROBLEMATICA:

Per ritenere sussistente il reato di ricettazione sono

sufficienti circostanze che danno semplicemente motivo di

sospettare che la cosa provenga da delitto?

INTERVENTO RISOLUTIVO DELLE SEZIONI UNITE:

Norma di riferimento: art. 648 cod. pen.

Nel reato di ricettazione, perché possa ravvisarsi il dolo

eventuale si richiede più di un semplice motivo di sospetto,

rispetto al quale l'agente potrebbe avere un atteggiamento

psicologico di disattenzione, di noncuranza o di mero

disinteresse: é necessaria una situazione fattuale di significato

inequivoco, che imponga all'agente una scelta consapevole tra

l'agire, accettando l'eventualità di commettere una ricettazione, e

il non agire. Il dolo eventuale in altre parole sussiste allorché

l'agente, rappresentandosi l'eventualità della provenienza

delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di

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tale provenienza avesse avuto la certezza. Cass. pen., sez. un., 26

novembre 2009, n. 12433

CONCLUSIONI:

Sulla scorta di quanto esposto, Tizio non risponderà del reato di

ricettazione (ma al più del meno grave reato di c.d. incauto

acquisto) atteso che non basta un sospetto e un semplice dubbio

per integrare il dolo eventuale della ricettazione.

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Prova pratica

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TRACCIA

Tizio, dopo aver stipulato un contratto preliminare per l’acquisto dell’immobile di

proprietà di Caia, le chiede, al fine di poter procedere alla stipula del contratto definitivo, di produrre i documenti attestanti la regolarità urbanistica dell'immobile ovvero di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui all'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

A fronte dell’inadempimento della promittente alienante, Tizio si rivolge al proprio legale rappresentandogli la volontà di addivenire comunque alla stipula del contratto definitivo e la sussistenza di fatto della regolarità urbanistica dell’immobile.

Assunte le vesti del difensore di Tizio, il candidato rediga l’atto giudiziario ritenuto più opportuno, illustrando gli istituti e le problematiche sottesi alla fattispecie in esame.

MASSIMA DI RIFERIMENTO

In tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di

compravendita di un immobile, nel caso in cui il promittente alienante, resosi

inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti attestanti la regolarità urbanistica

dell'immobile ovvero di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui all'art.

40 legge 28 febbraio 1985, n. 47, deve essere consentito al promissario acquirente di

provvedere a tale produzione o di rendere detta dichiarazione al fine di ottenere la

sentenza ex art. 2932 cod. civ., dovendo prevalere la tutela di quest'ultimo a fronte di

un inesistente concreto interesse pubblico di lotta all'abusivismo, sussistendo di fatto

la regolarità urbanistica dell'immobile oggetto del preliminare di compravendita.

(Rigetta, App. Catania, 25/09/2003)

Cass. civ., sez. unite, 11 novembre 2009, n. 23825 (rv. 609753)

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Svolgimento

TRIBUNALE DI ..........

ATTO DI CITAZIONE

Per Tizio, nato a .......... (..........), il .../.../... cod. fisc.: .......... e residente in .......... (..........), alla via .........., elettivamente domiciliato in .......... alla via .......... n. .........., presso lo studio legale dell’avv. .........., cod. fisc.: .......... - che lo

rappresentata e difende, giusta procura stesa in calce al [a margine del] presente atto - che indica ………., quale numero di fax e .........., quale indirizzo PEC (Posta

Elettronica Certificata), comunicata al proprio ordine, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi.

PREMESSO IN FATTO

Per meglio apprezzare i fatti di causa e la conseguente fondatezza delle

conclusioni in fondo formulate, è opportuno fare una breve digressione sulla vicenda.

- Tizio, in data .../.../..., ha stipulato un contratto preliminare per l’acquisto dell’immobile di proprietà di Caia, sito in ………., alla via ………., contrassegnato con

………, part. ………. (v. doc. I);

- successivamente, in data .../.../..., Tizio ha chiesto a Caia, al fine di poter

procedere alla stipula del contratto definitivo, di produrre i documenti attestanti la regolarità urbanistica dell'immobile ovvero di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui all'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (v. doc. II);

- non avendo ricevuto alcuna risposta, in data ………., è stato esperito il tentativo di conciliazione che ha dato esito negativo (v. doc. III).

IN DIRITTO

Secondo la legge n. 47 del 1985, art. 40, commi 2 e 3, gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti

di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della

licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell'art. 31 ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente

della relativa domanda, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell'avvenuto versamento

delle prime due rate dell'oblazione di cui dell'art. 35, comma 6.

Per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, in luogo degli estremi

della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti della L. 4

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gennaio 1968, n. 15, art. 4, attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al

1° settembre 1967.

Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in

documento separato da allegarsi all'atto medesimo.

Per gli edifici di proprietà comunale, in luogo degli estremi della licenza edilizia o della concessione di edificare (oggi permesso di costruire), possono essere prodotti

quelli della deliberazione con la quale il progetto è stato approvato o l'opera autorizzata.

Se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall'insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti

medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1° settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una

sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente.

In base all'art. 17 della legge n. 47 del 1985, gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o

scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l'entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non

possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell'art. 13. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o

estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.

Nel caso in cui sia prevista, ai sensi del presente art. 11, l'irrogazione di una

sanzione soltanto pecuniaria, ma non il rilascio della concessione in sanatoria, agli atti di cui al comma 1 deve essere allegata la prova dell'integrale pagamento della sanzione medesima.

La sentenza che accerta la nullità degli atti di cui al comma 1 non pregiudica i diritti di garanzia o di servitù acquisiti in base ad un atto iscritto o trascritto

anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare la nullità degli atti.

Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla

insussistenza della concessione al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto

successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa.

Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivami da

procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali; l'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni di cui all'art. 13 della presente legge, dovrà

presentare domanda di concessione in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria.

Si ritiene pacifico il principio giurisprudenziale secondo cui il contratto

preliminare privo dei riferimenti circa la regolarità urbanistica dell'immobile o della dichiarazione della data di costruzione non è nullo, solo che non può dar luogo ad una

pronuncia di sentenza costitutiva di trasferimento ex art. 2932 cod. civ., posto che la sentenza non può realizzare un effetto precluso alle parti: il giudice non può trasferire

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un immobile non commerciabile per omesso rispetto dei requisiti di cui alla L. n. 47

del 1985.

La sentenza ex art. 2932 cod. civ., avendo funzione sostitutiva di un atto

negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore o diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti o un effetto che eluda la legge.

Se esistono però le condizioni richieste dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, è

possibile la verifica circa la sussistenza di tali condizioni prima della pronuncia ex art. 2932 cod. civ..

La funzione delle dichiarazioni in parola è anche "informativa" ed è volta altresì a contenere il fenomeno dell'abusivismo edilizio.

La finalità delle richieste formalità è sia di prevenzione, sia di protezione del

soggetto che contratta con chi costruisce abusivamente; tale seconda finalità non può essere sacrificata da un'applicazione rigorosa del rimedio invalidatorio. La legge stessa

ammette che "se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza della concessione ai tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto

successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa" (citato L. n. 47 del 1985, art. 17 sopra riportato).

Non può ritenersi coerente e rispondente alla finalità della legge impedire al promissario acquirente - a fronte di un inesistente concreto interesse pubblico di lotta

all'abusivismo sussistendo di fatto la regolarità urbanistica dell'immobile oggetto del contratto preliminare di compravendita - la possibilità di ottenere una sentenza che tenga luogo del contratto non concluso fornendo in giudizio la prova della detta

regolarità urbanistica nell'ipotesi in cui il promittente alienante, resosi inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti e di rendere la dichiarazione di cui alla L. n. 47 del

1985, art. 40.

In caso di non collaborazione da parte del promittente venditore, come è consentita a una delle parti di un contratto definitivo di confermare l'atto carente

integrandolo con i documenti mancanti o con la dichiarazione omessa, al promissario acquirente deve essere consentito produrre i documenti circa la regolarità urbanistica

dell'immobile o rendere la prevista dichiarazione circa la data di costruzione dell'immobile al fine di ottenere la sentenza ex art. 2932 cod. civ., che il giudice potrà emettere dopo aver acquisito i detti documenti o la detta dichiarazione proveniente da

una qualsiasi delle parti.

Pertanto vanno tutelate le ragioni del promissario acquirente e non va lasciata

nelle sole mani del promittente venditore la possibilità di concludere il contratto definitivo o di emettere sentenza ex art. 2932 cod. civ..

Consegue che i documenti relativi alla regolarità urbanistica o la dichiarazione

circa la data della costruzione possono essere prodotti in giudizio dal promissario acquirente con conseguente pronuncia ex art. 2932 cod. civ. e produzione degli effetti

che le parti avrebbero potuto conseguire con il definitivo (v. doc. IV).

A queste conclusioni, del resto, è pervenuta anche la Corte di cassazione che, a Sezioni Unite, affrontando un caso analogo a quello in esame, ha affermato che, in

tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, nel caso in cui il promittente alienante, resosi inadempiente, si rifiuti

di produrre i documenti attestanti la regolarità urbanistica dell'immobile ovvero di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui all'art. 40 legge 28 febbraio

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1985, n. 47, deve essere consentito al promissario acquirente di provvedere a tale

produzione o di rendere detta dichiarazione al fine di ottenere la sentenza ex art. 2932 cod. civ., dovendo prevalere la tutela di quest'ultimo a fronte di un inesistente

concreto interesse pubblico di lotta all'abusivismo, sussistendo di fatto la regolarità urbanistica dell'immobile oggetto del preliminare di compravendita (Cass. civ., sez. unite, 11 novembre 2009, n. 23825).

L'inadempimento di Caia, inoltre, ha arrecato un pregiudizio all’attore derivante dalla mancata disponibilità dell’immobile, per il quale si richiede il risarcimento, nella

misura di euro ………., o nell’importo maggiore o minore che sarà riconosciuta dal Tribunale, oltre interessi e rivalutazione monetaria a decorrere dal ……… sino all’effettivo soddisfo (v. doc. V).

Tutto ciò premesso, Tizio, come rappresentato, difeso e domiciliato,

CITA

Caia a comparire e costituirsi, ai sensi e nelle forme cui all’art. 166 cod. proc. civ., innanzi al Tribunale di .........., Sezione e Giudice designandi, all’udienza del giorno .../.../..., ore di rito e soliti locali di ordinarie udienze, con espresso avviso che,

non comparendo e non costituendosi verrà dichiarato contumace e si procederà, comunque, nei suoi confronti per ivi sentire accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

1) piaccia al Tribunale accertare, in via preliminare, l'inadempimento di Caia

agli obblighi nascenti dal contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato tra le parti in data .......... ed avente ad oggetto l'immobile sito in ………., alla via ………., contrassegnato con ………., part. ………., cat. ………., rendita catastale ………. e,

per l'effetto, emettere sentenza produttiva del contratto non concluso tra le parti;

2) condannare il convenuto al risarcimento dei danni patiti dall’istante e

quantificati in euro .........., o nell’importo maggiore o minore che sarà riconosciuta dal Tribunale, oltre interessi e rivalutazione monetaria a decorrere da .......... sino all’effettivo soddisfo.

A tale effetto

INVITA

il convenuto a costituirsi in giudizio, nel termine di venti giorni prima dell’udienza suindicata e nelle forme di cui all’art. 166 cod. proc. civ., e a comparire all’udienza stessa dinanzi al giudice che sarà designato ex art. 168-bis cod. proc. civ.,

con l’espresso avvertimento che la tardiva costituzione in giudizio determina le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 cod. proc. civ..

A sostegno dei propri assunti

PRODUCE

le seguenti prove documentali:

1) contratto preliminare di compravendita immobiliare del ………. (all. I);

2) diffida mediante raccomandata A/R del …….. (all. II);

3) verbale di mancata conciliazione del ………. (all. III);

4) dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui all'art. 40 legge 28 febbraio 1985, n. 47 attestante la regolarità urbanistica dell’immobile a firma dell’attore (all.

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IV);

5) ………. e

Con riserva di integrazione e precisazione delle conclusioni e delle istanze

istruttorie ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ..

Tutto ciò con vittoria di spese ed onorari.

Luogo e data.

Avv. ..........

L’INTRODUZIONE DELLA CAUSA: L’ATTO DI CITAZIONE

L’atto con il quale si esercita il c.d. potere di azione, facendo valere un diritto nell’ambito di un processo a cognizione piena, assume forma diversa a seconda che si versi nel rito ordinario, che inizia con l’atto di citazione ad udienza fissa, il cui contenuto è contemplato dall’art. 163 cod. proc. civ., oppure nel rito speciale del lavoro, nel quale caso, l’atto introduttivo sarà il ricorso (art. 414 cod. proc. civ.). L’atto di citazione persegue un duplice scopo:

1) realizzare il contraddittorio col convenuto, che viene evocato in giudizio attraverso la notifica dell’atto, solo

successivamente depositato in cancelleria per l’iscrizione a ruolo della causa (vocatio in ius);

2) individuare la situazione sostanziale di cui si chiede tutela (editio actionis) (CONSOLO; MANDRIOLI; LUISO).

Alcuni degli elementi dell’atto di citazione connotano più propriamente un’ulteriore funzione dell’atto: quella di

preparazione dell’udienza, in relazione alla quale la norma contempla l’allegazione dei fatti (che non siano

indispensabili nell’individuazione del diritto fatto valere, nel quale caso la loro indicazione rientra già nell’atto di

esercizio dell’azione) e la deduzione delle prova (nn. 4 e 5 dell’art. 163 cod. proc. civ.), al fine di garantire uno

svolgimento ordinato e proficuo della trattazione ed istruzione della causa (CERINO CANOVA; PROTO PISANI).

La differenza tra atto di citazione e ricorso sta nel modo in cui si arriva alla vocatio in ius del convenuto (dato che il

ricorso viene dapprima depositato presso la cancelleria del giudice e solo dopo notificato al convenuto, unitamente al

decreto di fissazione dell’udienza).

La scelta della forma del ricorso nel rito del lavoro, è stata operata nell’intento di consentire al giudice di distribuire le

cause in modo che l’udienza da lui fissata sia anche quella in cui effettivamente la controversia sarà trattata, anche se

l’esigenza di sottrarre all’attore la fissazione dell’udienza, riservando tale potere al giudice, non imponeva senz’altro

l’abbandono della forma della citazione ad udienza fissa è

stata mantenuta, ma consentendo al giudice di conciliare la fissazione dell’udienza col carico di lavoro attraverso il

differimento fino a quarantacinque giorni, con l’art. 168 bis cod. proc. civ. (MONTESANO-VACCARELLA).

In base all’art. 163 cod. proc. civ., la domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa. Il

presidente del tribunale stabilisce al principio dell’anno giudiziario, con decreto approvato dal primo presidente della

Corte di appello, i giorni della settimana e le ore delle udienze destinate esclusivamente alla prima comparizione delle

parti.

L’atto di citazione deve contenere:

1) l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; 2) il nome, il cognome e la residenza dell’attore, il nome, il cognome, la residenza o il domicilio o la dimora del

convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio;

3) la determinazione della cosa oggetto della domanda;

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4) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni; 5) l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre

in comunicazione; 6) il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata; 7) l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni

prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166 cod. proc. civ., ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’art. 168-bis cod. proc. civ., con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 cod. proc. civ. (il riferimento all’art. 38 cod. proc. civ. è frutto della novella apportata dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, entrata in vigore il 4 luglio 2009).

Distinzione tra petitum immediato e mediato Tradizionalmente si distingue tra: petitum immediato (il provvedimento che si chiede al giudice) e petitum mediato (il bene della vita cui aspira l’attore); in alcuni casi (diritti c.d. autodeterminati, ad es.

il diritto di proprietà), l’identificazione della domanda è data dal solo riferimento ai soggetti e al contenuto

del diritto fatto valere in giudizio, mentre il fatto costitutivo non rileva per la determinazione della domanda, né per la determinazione dell’oggetto del giudizio e del conseguente giudicato, in altre ipotesi (diritti c.d. eterodeterminati, ad es. diritto di credito), il mutamento del fatto costitutivo determina il mutamento del diritto ed influisce sulla determinazione dell’oggetto del processo.

L’atto di citazione, sottoscritto a norma dell’art. 125 cod. proc. civ., è consegnato dalla parte o dal

procuratore all’ufficiale giudiziario, il quale lo notifica a norma degli artt. 137 e ss. cod. proc. civ

I TERMINI PER COMPARIRE

Secondo l’art. 163-bis cod. proc. civ. – come modificata dall’art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, con effetto dal 1° marzo 2006 –, tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell’udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all’estero. Nelle cause che richiedono pronta spedizione il presidente può, su istanza dell’attore e con decreto

motivato in calce dell’atto originale e delle copie della citazione, abbreviare fino alla metà i termini appena indicati. Se il termine assegnato dall’attore ecceda il minimo, il convenuto, costituendosi prima della scadenza del termine minimo, può chiedere al presidente del tribunale che, sempre osservata la misura di quest’ultimo termine, l’udienza per la comparizione delle parti sia fissata con congruo anticipo su quella indicata dall’attore. Il presidente provvede con decreto, che deve essere comunicato dal cancelliere all’attore, almeno cinque giorni liberi prima dell’udienza fissata dal presidente.

Il contenuto e la sottoscrizione degli atti di parte

In base all’art. 125 cod. proc. civ., salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la

comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o la istanza, e, tanto nell’originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore che

indica il proprio codice fiscale. Il difensore - in virtù della modifica apportata dall'art. 25 della l. 12 novembre 2011, n. 183 (impiego della posta elettronica certificata nel processo civile) - deve, altresì, indicare l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine e il proprio numero di fax.

La procura al difensore dell’attore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell’atto,

purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata. Tale ultima previsione non si applica

quando la legge richiede che la citazione sia sottoscritta dal difensore munito di mandato speciale. La disposizione indica il contenuto minimo dei più importanti atti scritti di parte del processo (MANDRIOLI); contenuto che deve essere integrato con le indicazioni quelle previste specificamente per i singoli atti processuali (ANDRIOLI; MANDRIOLI). Per una dottrina, anche la dichiarazione orale deve contenere gli stessi elementi previsti dalla norma, fatta eccezione per la sottoscrizione (ANDRIOLI).

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LA MEDIAZIONE FINALIZZATA ALLA CONCILIAZIONE DELLE CONTROVERSIE CIVILI E

COMMERCIALI NELLA DISCIPLINA DETTATA DAL D. LGS. 4 MARZO 2010, N. 28

Il d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, entrato in vigore il 20 marzo 2010, ha dato attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.

DEFINIZIONI Quanto alle disposizioni generali, l’art. 1 prevede che, ai fini del decreto legislativo, si intende per “mediazione” l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due

o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa. A sua volta il “mediatore” è la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo. In ultimo la “conciliazione” è la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione.

ORGANISMI DI MEDIAZIONE

Trattando degli organismi di mediazione, ovvero gli enti pubblici o privati, presso i quali può svolgersi il

procedimento di mediazione, l’art. 16 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, stabilisce che gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all’art. 2 del medesimo decreto. Gli organismi devono essere iscritti nel registro.

REGISTRO ED ELENCO DEI FORMATORI Il registro degli organismi è stato istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 16 del presente decreto, nonché, sino all’emanazione di tale decreto, vi era il registro degli organismi istituito previsto dal decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222.

La formazione del registro e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico. Fino all’adozione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia 23 luglio

2004, n. 222 e 23 luglio 2004, n. 223. A tali disposizioni si conformano, sino alla medesima data, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall’art. 141 del codice del consumo, di cui al d. Lgs. 6

settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni. L’organismo, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e il codice etico, comunicando ogni successiva variazione. Nel regolamento devono essere previste, fermo quanto stabilito dal decreto in esame, le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall’organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. Al regolamento

devono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per l’approvazione a norma dell’art. 17 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Ai fini dell’iscrizione nel registro il Ministero della giustizia valuta l’idoneità del regolamento. La vigilanza sul registro é esercitata dal Ministero della giustizia e, con riferimento alla sezione per la trattazione degli affari in materia di consumo, anche dal Ministero dello sviluppo economico. Presso il Ministero della giustizia é istituito, con decreto ministeriale, l’elenco dei formatori per la mediazione. Il decreto stabilisce i criteri per l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento dell’attività di formazione, in

modo da garantire elevati livelli di formazione dei mediatori. Con lo stesso decreto, é stabilita la data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione di cui al presente comma costituisce per il mediatore requisito di qualificazione professionale. L’istituzione e la tenuta del registro e dell’elenco dei formatori avvengono nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti, e disponibili a legislazione vigente, presso il Ministero della giustizia e il Ministero dello sviluppo economico, per la parte

di rispettiva competenza, e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

OBBLIGHI DEL MEDIATORE L’art. 14 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (obblighi del mediatore) dispone che al mediatore e ai suoi ausiliari é fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari

trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell’opera o del servizio; é fatto loro divieto di percepire compensi direttamente dalle parti. Al mediatore é fatto, altresì, obbligo di:

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a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale é designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le

formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente

previsti dal medesimo regolamento; b) informare immediatamente l’organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità

nello svolgimento della mediazione; c) formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative; d) corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo. Su istanza di parte, il responsabile dell’organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore. Il regolamento individua la diversa competenza a decidere sull’istanza, quando la mediazione é svolta dal responsabile dell’organismo.

Dovere di riservatezza e segreto professionale

L’art. 9 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (dovere di riservatezza) dispone che chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione é tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il

mediatore é altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.

L’art. 10 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (inutilizzabilità e segreto professionale) prevede, inoltre, che le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non é ammessa prova testimoniale e

non può essere deferito giuramento decisorio. Il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell’art. 200 cod. proc. pen. (segreto professionale) e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’art. 103 cod. proc. pen. (garanzie di libertà del difensore) in quanto applicabili.

AMBITO DI APPLICAZIONE

Secondo l’art. 2 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (controversie oggetto di mediazione), chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del decreto cit.. Detto decreto non preclude le negoziazioni volontarie

e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi.

PROCEDIMENTO

La disciplina applicabile e la forma degli atti Passando all’esame del procedimento di mediazione, l’art. 3 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 stabilisce che al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo scelto dalle parti. Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell’art. 9 stesso d. Lgs., nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico. Gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità. La mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo.

La domanda L’art. 4 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (accesso alla mediazione) dispone che la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’art. 2 stesso d. Lgs. é presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo presso il quale é stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data della ricezione della comunicazione. L’istanza deve indicare l’organismo,

le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa.

OBBLIGO DI INFORMAZIONE IN CAPO ALL’ AVVOCATO All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato é tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli artt. 17 e 20 d. Lgs. cit.. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del

procedimento di mediazione é condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito é annullabile. Il documento che contiene l’informazione é sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’art. 5, primo comma, d. Lgs. cit.,

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informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.

LA MEDIAZIONE OBBLIGATORIA E FACOLTATIVA L’art. 5 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (condizione di procedibilità e rapporti con il processo) prevede che chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di:

condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da

diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari,

é tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal d. Lgs. 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione é già iniziata, ma non si é conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 stesso d. Lgs. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non é stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Quest’ultima disposizione non si applica alle azioni previste dagli artt. 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al d. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.

Fermo quanto appena esposto, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione. L’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non é prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all’invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 cit. e, quando la mediazione non é già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale.

Il preliminare esperimento del procedimento di mediazione non si applica: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle

istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui

all’art. 667 cod. proc. civ.; c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’art. 703,

terzo comma, cod. proc. civ.; d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione

forzata; e) nei procedimenti in camera di consiglio;

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Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli

effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro

il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’art. 11 d. Lgs. cit. presso la segreteria dell’organismo.

DURATA L’art. 6 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 dispone che il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a quattro mesi. Tale termine decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione,

ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del quarto o del quinto periodo primo comma dell’art. 5 stesso d. Lgs., non é soggetto a sospensione feriale. L’art. 7 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (effetti sulla ragionevole durata del processo) prevede, poi, che il periodo di cui all’art. 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5, primo comma, stesso d. Lgs. non si computano ai fini di cui all’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89.

SVOLGIMENTO

Secondo l’art. 8 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, all’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più

mediatori ausiliari. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia. Quando non può procedere con le modalità evidenziate, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti. Dalla mancata partecipazione senza

giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, secondo comma, cod. proc. civ..

L’ESITO L’art. 11 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (conciliazione) stabilisce che se é raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale é allegato il testo dell’accordo medesimo.

Quando l’accordo non é raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque

momento del procedimento. Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’art. 13 stesso d. Lgs.. La proposta di conciliazione é comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento. Se é raggiunto il suddetto accordo amichevole ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del

mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’art. 2643 cod. civ. (atti soggetti a trascrizione), per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza

degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento. Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l’indicazione della proposta; il verbale é sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle

parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione. Il processo verbale é depositato presso la segreteria dell’organismo e di esso é rilasciata copia alle parti che lo richiedono.

Secondo l’art. 12 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (efficacia esecutiva ed esecuzione), il verbale di

accordo, il cui contenuto non é contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, é omologato, su istanza di parte e previo accertamento anche della regolarità formale, con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo. Nelle controversie transfrontaliere di cui all’art. 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo (controversie transfrontaliere) e del Consiglio, del 21

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maggio 2008, il verbale é omologato dal presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere

esecuzione. Il verbale costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma

specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

LE SPESE L’art. 13 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 introduce un meccanismo di incentivo alla mediazione. Questo articolo prevede che quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che

ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l’applicabilità degli artt. 92 e 96 cod. proc. civ.. Tali disposizioni si applicano altresì alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’art. 8, quarto comma, d. Lgs. cit. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non

corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’art. 8, quarto comma, cit.. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese appena esaminato. Salvo diverso accordo le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti davanti agli

arbitri.

RISORSE, REGIME TRIBUTARIO E INDENNITÀ L’art. 17 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (risorse, regime tributario e indennità) dispone che, in attuazione dell’art. 60, terzo comma, lett. o), della legge 18 giugno 2009, n. 69, le agevolazioni fiscali previste da detto articolo, secondo e terzo comma, e dall’art. 20, rientrano tra le finalità del Ministero della giustizia finanziabili con la parte delle risorse affluite al «Fondo Unico Giustizia» attribuite al predetto Ministero, ai sensi del settimo comma dell’art. 2, lett. b), del decreto-legge 16 settembre 2008,

n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, e del terzo e quarto comma dell’art. 7 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 luglio 2009, n. 127. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. Il verbale di accordo é esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l’imposta é dovuta per la parte eccedente.

Con il decreto di cui all’art. 16, secondo comma, del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, sono determinati: a) l’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e

le modalità di ripartizione tra le parti; b) i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati; c) le maggiorazioni massime delle indennità dovute, non superiori al venticinque per cento, nell’ipotesi di successo della mediazione;

d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione é condizione di procedibilità ai sensi dell’art. 5, primo comma, del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Quando la mediazione é condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5, primo comma, cit., all’organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. A tale fine la parte é tenuta a depositare presso l’organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la cui

sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l’organismo lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato. Il Ministero della giustizia provvede, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, al monitoraggio delle mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell’indennità di mediazione. Dei risultati di

tale monitoraggio si tiene conto per la determinazione, con il decreto di cui all’art. 16, secondo comma,

del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 delle indennità spettanti agli organismi pubblici, in modo da coprire anche il costo dell’attività prestata a favore dei soggetti aventi diritto all’esonero. L’ammontare dell’indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto Nazionale di Statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.

ORGANISMI PRESSO I TRIBUNALI, I CONSIGLI DEGLI ORDINI PROFESSIONALI E PRESSO LE

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CAMERE DI COMMERCIO

L’art. 18 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (organismi presso i tribunali) dispone che i consigli degli ordini

degli avvocati possono istituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale. Gli organismi presso i tribunali sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’art. 16 stesso d. Lgs..

Secondo l’art. 19 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (organismi presso i consigli degli ordini professionali e presso le camere di commercio), i consigli degli ordini professionali possono istituire, per le materie

riservate alla loro competenza, previa autorizzazione del Ministero della giustizia, organismi speciali, avvalendosi di proprio personale e utilizzando locali nella propria disponibilità.

Detti organismi e gli organismi istituiti ai sensi dell’art. 2, quarto comma, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’art. 16 cit..

DISPOSIZIONI IN MATERIA FISCALE Per quanto attiene alle disposizioni in materia fiscale e all’informativa, l’art. 20 del d. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (credito d’imposta) dispone che alle parti che corrispondono l’indennità ai soggetti abilitati a

svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi previsti dall’art. 18 e 19 del suddetto decreto, è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d’imposta commisurato

all’indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento, determinato secondo quanto disposto dalle disposizioni che seguono. In caso di insuccesso della mediazione, il credito d’imposta è ridotto della metà.

A decorrere dall’anno 2011, con decreto del Ministro della giustizia, entro il 30 aprile di ciascun anno, é determinato l’ammontare delle risorse a valere sulla quota del «Fondo unico giustizia» di cui all’articolo 2, comma 7, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, destinato alla copertura delle minori entrate derivanti dalla concessione del credito d’imposta di cui al comma 1 relativo alle mediazioni concluse nell’anno precedente. Con il

medesimo decreto é individuato il credito d’imposta effettivamente spettante in relazione all’importo di ciascuna mediazione in misura proporzionale alle risorse stanziate e, comunque, nei limiti dell’importo appena indicato. Il Ministero della giustizia comunica all’interessato l’importo del credito d’imposta spettante entro 30 giorni dal termine appena indicato per la sua determinazione e trasmette, in via telematica, all’Agenzia delle entrate l’elenco dei beneficiari e i relativi importi a ciascuno comunicati. Il credito d’imposta deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi ed é

utilizzabile a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione esaminata, in compensazione ai sensi dell’art. 17 del d. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, nonché, da parte delle persone fisiche non titolari di

redditi d’impresa o di lavoro autonomo, in diminuzione delle imposte sui redditi. Il credito d’imposta non dà luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, né del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli artt. 61 e 109, quinto comma, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

CONTROVERSIE IN MATERIA CONDOMINIALE E DI RISARCIMENTO DEL DANNO

Dal 20 marzo 2012 anche le controversie in materia condominiale e di risarcimento del danno da

circolazione stradale e dei natanti dovranno essere precedute dall’esperimento del tentativo

obbligatorio di mediazione.

Già a partire dal marzo 2011 è entrato in vigore il regime dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione

per molte della materie indicate nell’articolo 5 D.Lgs. 28/2010 ma per quelle relative a condominio e RCA,

la vigenza era stata posticipata di dodici mesi, per consentire una graduale applicazione

dell'obbligatorietà del tentativo di mediazione previsto per una vasta congerie di materie.

NOVITÀ

Ad un progressivo rafforzamento delle sanzioni per la mancata partecipazione al procedimento di

mediazione si è giunti con la recente modifica all’articolo 8 D. Lgs. 28/2010 che ha introdotto una

sanzione ulteriore per la mancata partecipazione senza giustificato motivo.

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Essa non rappresenterà più soltanto un argomento di prova ex art. 116 cod. proc. civ.., ma determinerà

l’obbligo per la parte che non si presenta di corrispondere una sanzione pecuniaria pari al valore del

contributo unificato dovuto per la causa.

La modifica introdotta dal D.Lgs. 212/2011 secondo cui la condanna della parte costituita al versamento

di tale sanzione avvenisse mediante ordinanza non impugnabile non ha trovato conferma nella legge di

conversione del 17 febbraio 2012, n. 10.

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Prova pratica

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TRACCIA

Caio viene condannato in primo grado per estorsione aggravata dal fatto di aver

esercitato la minaccia, ai danni di un imprenditore della zona, con l’uso di armi e nella qualità di componente di un’associazione di stampo mafioso; essendo trascorso un cospicuo lasso di tempo dalla commissione del fatto di reato ed avendo radicalmente mutato la personalità e la condotta di vita, si rivolge ad un legale lamentando la mancata riduzione della pena per effetto della dissociazione c.d. attuosa o collaborativa avendo il Tribunale considerato detta circostanza attenuante equivalente alla contestata aggravante.

Il candidato assunte le vesti di avvocato di Caio, rediga atto di appello soffermandosi sulle problematiche sottese al caso in esame.

MASSIMA DI RIFERIMENTO

L'attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 8 del D.L. n. 152 del 1991, come

convertito con modificazioni dalla legge n. 203 del 1991, a seguito della composizione

di un contrasto giurisprudenziale, non é soggetta al giudizio di bilanciamento tra

circostanze previsto dall'art. 69 cod. pen. onde non vanificarne la ratio consistente

nell'assicurare un premio particolarmente significativo per la dissociazione cd. attuosa

o collaborativa.

Cass. pen., sez. un., 25 febbraio 2010, n. 10713

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Svolgimento

ATTO DI APPELLO CON MOTIVI CONTESTUALI (1)

Ecc. ma Corte di Appello

di ................... (2)

Il sottoscritto Avv. ................... del Foro di ..................., con studio in

..................., difensore di fiducia (ovvero) di ufficio come da nomina in atti (o come da nomina allegata) di ................... (3) nato il ................... a ................... imputato nell’ambito del procedimento penale n. ................... R.G.N.R./n.

................... R.G., per il seguente fatto-reato ................... (oppure) ai seguenti fatti-reato ................... (riportare i capi di imputazione)(4),

PREMESSO CHE (5)

il proprio assistito è stato condannato dal Tribunale di ................... con sentenza n. ..................., emessa in data ................... e depositata in data

..................., alla pena di ................... per il reato innanzi indicato;

tale decisione appare censurabile in quanto viziata per i seguenti motivi

................... (indicare le ragioni di diritto e di fatto sulle quali si fonda il gravame, specificando i capi ed i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione);

in ogni caso, la pena applicata appare assolutamente eccessiva e

sproporzionata rispetto all’effettivo disvalore delle contestate condotte penali, atteso che il Giudicante non ha proceduto alla riduzione della pena, pur ravvisando la

sussistenza dell’attenuante della c.d. dissociazione attuosa, ritenendo le circostanze aggravanti prevalenti rispetto a quest’ultima nel giudizio di bilanciamento operato ex art. 69 cod. pen.;

come di recente evidenziato dalla Suprema corte, l'attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 8 del D.L. n. 152 del 1991, come convertito con modificazioni

dalla legge n. 203 del 1991, a seguito della composizione di un contrasto giurisprudenziale, non é soggetta al giudizio di bilanciamento tra circostanze previsto dall'art. 69 cod. pen. onde non vanificarne la ratio consistente nell'assicurare un

premio particolarmente significativo per la dissociazione cd. attuosa o collaborativa (Cass. pen., sez. un., 25 febbraio 2010, n. 10713);

risulta, così, superato l’orientamento, cui ha erroneamente aderito il Tribunale, secondo cui la circostanza attenuante della "dissociazione attuosa" soggiace, in assenza di un'espressa deroga di legge, alla regola generale del giudizio di

comparazione con altre circostanze (Cass. pen., sez. II, 12 luglio 2006, n. 34193, Cotugno, RV 235419; Cass. pen., sez. II, 29 novembre 2001, Barra; Cass. pen., sez.

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I, 21 gennaio 1998, n. 7427, Alfieri, RV 210884).

Tanto premesso, con il presente atto

PROPONE

ai sensi degli artt. 571, terzo comma, 581 e ss. e 593 e ss. cod. proc. pen.,

APPELLO

avverso la sentenza di condanna n. ..................., emessa dal Tribunale di

................... in data ................... e per l’effetto

CHIEDE

che codesta Ecc. ma corte di Appello adita, sulla base di quanto esposto in premessa e con riserva di meglio precisare ed approfondire in sede di giudizio le argomentazioni riportate, voglia rideterminare la pena irrogata operando la riduzione

derivante dalla circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 8 del D.L. n. 152 del 1991, come convertito con modificazioni dalla legge n. 203 del 1991.

Si allega:

I) copia della sentenza di condanna n. ..................., emessa dal Tribunale di ................... in data ...................;

II) .................…

Luogo e data.

Avv. ...................

Annotazioni

(1) L’appello va proposto nel termine di 15 giorni dalla lettura del dispositivo in udienza con

motivazione contestuale (artt. 585 e 544, primo comma, cod. proc. pen.), ovvero di 30 giorni dal

deposito della motivazione, qualora non sia stata contestuale alla lettura del dispositivo (artt. 585

e 544, secondo comma, cod. proc. pen.). Ai sensi dell’art. 568 cod. proc. pen. (regole generali),

la legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e

determina il mezzo con cui possono essere impugnati. Sono sempre soggetti a ricorso per

cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide

sulla libertà personale e le sentenze, salvo quelle sulla competenza che possono dare luogo a un

conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell’art. 28 cod. proc. pen. Il diritto di

impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce. Se la legge

non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse. Per proporre

impugnazione è necessario avervi interesse. L’impugnazione è ammissibile indipendentemente

dalla qualificazione a essa data dalla parte che l’ha proposta. Se l’impugnazione è proposta a un

giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente. L’imputato può proporre

impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale nominato anche prima della

emissione del provvedimento. Il tutore per l’imputato soggetto alla tutela e il curatore speciale

per l’imputato incapace di intendere o di volere, che non ha tutore, possono proporre

l’impugnazione che spetta all’imputato. Può inoltre proporre impugnazione il difensore

dell’imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore nominato a tal fine.

L’imputato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all’impugnazione proposta dal

suo difensore. Per l’efficacia della dichiarazione nel caso appena illustrato, è necessario il

consenso del tutore o del curatore speciale.

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(2) A mente dell’art. 596 cod. proc. pen. sull’appello proposto contro le sentenze pronunciate dal

tribunale decide la corte d’appello; contro le sentenze della corte d’assise decide la corte d’assise

d’appello; infine, contro le sentenze del giudice di pace l’appello si propone al tribunale.

(3) L’art. 571 cod. proc. pen. (impugnazione dell’imputato) prevede che l’imputato può proporre

impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale nominato anche prima della

emissione del provvedimento. Il tutore per l’imputato soggetto alla tutela e il curatore speciale

per l’imputato incapace di intendere o di volere, che non ha tutore, possono proporre

l’impugnazione che spetta all’imputato. Può inoltre proporre impugnazione il difensore

dell’imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore nominato a tal fine.

L’imputato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all’impugnazione proposta dal

suo difensore. Per l’efficacia della dichiarazione nel caso previsto dal comma 2, è necessario il

consenso del tutore o del curatore speciale.

(4) Indicare il titolo di reato per il quale è intervenuta la sentenza di condanna. Secondo l’art. 581

cod. proc. pen. (forma dell’impugnazione), l’impugnazione si propone con atto scritto nel quale

sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che lo ha emesso, e

sono enunciati: a) i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione; b) le

richieste; c) i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che

sorreggono ogni richiesta.

(5) L’art. 591 cod. proc. pen. stabilisce che l’impugnazione è inammissibile se non sono indicati i

motivi della stessa, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e gli elementi di fatto che

sorreggono ogni richiesta, nonché i capi ed i punti della decisione ai quali si riferisce il gravame.

Sia in riferi-mento ai motivi di rito che a quelli di merito andrà specificato, per ogni singolo

motivo, il capo d’imputazione di riferimento, il punto ed, eventualmente, la questione censurati.

Secondo l’art. 593 cod. proc. pen. (casi di appello), salvo quanto previsto dagli artt. 443, terzo

comma, 448, secondo comma, 579 e 680 cod. proc. pen., il pubblico ministero e l’imputato

possono appellare contro le sentenze di condanna. L’imputato e il pubblico ministero possono

appellare contro le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui all’art. 603, secondo comma,

cod. proc. pen., se la nuova prova è decisiva. Qualora il giudice, in via preliminare, non disponga

la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale dichiara con ordinanza l’inammissibilità dell’appello.

Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento le parti possono proporre ricorso per

cassazione anche contro la sentenza di primo grado. Sono inappellabili le sentenze di condanna

per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda.

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Prima esercitazione

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TRACCIA

Tizio si reca da un legale al quale espone quanto segue. Nel condominio di via Bianchi, di cui fa parte, l’assemblea, regolarmente convocata, ha deliberato a maggioranza la nuova tabella per le spese di riscaldamento.

La condomina Caia, sostenendo che una delibera di tal fatta richieda l’unanimità dei consensi, risultando, tra l’altro, dette tabelle allegate ad un regolamento condominiale c.d. contrattuale, minaccia di agire in giudizio al fine di conseguire la declaratoria di nullità della medesima.

Il candidato, assunte le vesti del legale – premessi sommari cenni sulla natura giuridica e la funzione tabelle millesimali e sul procedimento di modifica e revisione – rediga motivato parere, illustrando le problematiche sottese alla questione sottoposta al suo esame.

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Soluzione

INDIVIDUAZIONE ARTICOLI RIFERIMENTO:

Codice civile

Art. 1136

Costituzione dell'assemblea e validità delle deliberazioni.

[I]. L'assemblea è regolarmente costituita con l'intervento di tanti

condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero

edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio [67 ss. att.].

[II]. Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti

che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà

del valore dell'edificio.

[III]. Se l'assemblea non può deliberare per mancanza di numero,

l'assemblea di seconda convocazione delibera in un giorno

successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci

giorni dalla medesima; la deliberazione è valida se riporta un

numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al

condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio.

[IV]. Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca

dell'amministratore o le liti attive e passive relative a materie che

esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, nonché

le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell'edificio o

riparazioni straordinarie di notevole entità devono essere sempre

prese con la maggioranza stabilita dal secondo comma.

[V]. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste

dal primo comma dell'articolo 1120 devono essere sempre

approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza

dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio.

[VI]. L'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i

condomini sono stati invitati alla riunione.

[VII]. Delle deliberazioni dell'assemblea si redige processo verbale

da trascriversi in un registro tenuto dall'amministratore [1138 IV].

Disposizioni di attuazione e transitorie del codice civile

Art. 68

[I]. Per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136

del codice, il regolamento di condominio deve precisare il valore

proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano

spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini [69].

[II]. I valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello

dell'intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita

tabella allegata al regolamento di condominio.

[III]. Nell'accertamento dei valori medesimi non si tiene conto del

canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di

ciascun piano o di ciascuna porzione di piano.

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QUESTIONE PROBLEMATICA:

Le tabelle millesimali devono essere approvate con il

consenso unanime dei condomini o è sufficiente la

maggioranza qualificata di cui al secondo comma dell'art.

1136 cod. civ.?

MASSIMA CONTRARIA AGLI INTERESSI DELL’ASSISTITO:

Norma di riferimento: art. 1136 cod. civ.

In tema di ripartizione delle spese condominiali, la mancanza di

tabelle millesimali applicabili in relazione alla spesa effettuata

consente all'assemblea di adottare, a titolo di acconto e salvo

conguaglio, tabelle provvisorie, per le quali è sufficiente che la

delibera sia assunta a maggioranza, essendo l'unanimità

necessaria soltanto per l'approvazione delle tabelle

definitive. Cass. civ., sez. II, 21 novembre 2006, n. 24670

MASSIMA FAVOREVOLE PER L’ASSISTITO E RISOLUTIVA:

Norma di riferimento: art. 1136 cod. civ.

Le tabelle millesimali non devono essere approvate con il

consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la

maggioranza qualificata di cui al secondo comma dell'art. 1136 c.c.

Cass. civ., sez. unite, 9 agosto 2010, n. 18477

CONCLUSIONI:

La pretesa della condomina Caia è infondata e destinata ad essere

rigettata poiché, per l’approvazione delle tabelle millesimali, non

occorre il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la

maggioranza qualificata di cui al secondo comma dell'art. 1136

c.c., per come del resto affermato anche dalla Corte di Cassazione

intervenuta recentemente, a Sezioni Unite, al fine di dirimere la

questione sorta tra le diverse Sezioni.

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Seconda esercitazione

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39

TRACCIA

Caia, dopo aver ricevuto l’ennesimo messaggio di posta elettronica da Tizio, essendole sgradita tale corrispondenza perché fonte di fastidio e, per certi aspetti, di turbamento, anche in ragione delle modalità pressanti e del contenuto impertinente delle e-mail, propone querela affinché venga punita una condotta reputata lesiva della propria tranquillità privata.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, premessi brevi cenni sul principio di legalità, rediga parere motivato, soffermandosi sulle problematiche sottese al caso in esame.

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40

Soluzione

INDIVIDUAZIONE ARTICOLI RIFERIMENTO:

Codice penale

Art. 1

Reati e pene: disposizione espressa di legge.

[I]. Nessuno può essere punito per un fatto che non sia

espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che

non siano da essa stabilite [25 II Cost.].

Art. 660

Molestia o disturbo alle persone.

[I]. Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col

mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo,

reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei

mesi o con l'ammenda fino a 516 euro [659, 688].

QUESTIONE PROBLEMATICA:

L'invio, mediante posta elettronica, di un messaggio lesivo

della dignità e del decoro del destinatario integra il reato di

cui all’art. 660 cod. pen.?

MASSIMA FAVOREVOLE ALL’ASSISTITO E RISOLUTIVA:

Norma di riferimento: art. 660 cod. civ.

Non integra la contravvenzione prevista e punita dall'art. 660 c.p.

l'invio, mediante posta elettronica, di un messaggio lesivo della

dignità e del decoro del destinatario, atteso che la predetta

fattispecie normativa può configurarsi solo se concorrono,

alternativamente, gli elementi circostanziali della condotta

del soggetto attivo, come tipizzati dalla predetta norma,

quali la pubblicità con cui si pongono in essere le molestie o

l'utilizzazione del telefono, quale mezzo del reato

contraddistinto dal carattere fortemente invasivo della

comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi,

se non disattivando l'apparecchio telefonico con

conseguente lesione della propria libertà di comunicazione.

Ciò premesso, l'invio di un messaggio tramite posta elettronica non

può essere sottoposto alla tutela penale prevista dall'art. 660 c.p.,

in quanto, a differenza del telefono, rappresentando una forma di

comunicazione asincrona, non implica un'immediata interazione tra

il mittente ed il destinatario con un'intrusione diretta del primo

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nella sfera delle attività del secondo tanto che la comunicazione si

potrà perfezionare solo se e quando il destinatario, connettendosi,

a sua volta, all'elaboratore e accedendo al servizio, andando a

consultare la propria casella di posta elettronica, proceda alla

lettura del messaggio. Ne deriva che, in similari ipotesi, in

ossequio al principio di legalità e di tipizzazione delle condotte

illecite, non è possibile espandere la tutela del bene protetto dalla

succitata norma penale, quale quello della tranquillità pubblica.

Cass. pen., sez. I, 17 giugno 2010, n. 24510

CONCLUSIONI:

La condotta di Tizio non integra alcun reato: l’art. 660 c.p. non

sanziona l'invio, mediante posta elettronica, di un messaggio lesivo

della dignità e del decoro del destinatario. La e-mail, a differenza

del telefono, rappresentando una forma di comunicazione

asincrona, non implica un'immediata interazione tra il mittente ed

il destinatario con un'intrusione diretta del primo nella sfera delle

attività del secondo tanto che la comunicazione si potrà

perfezionare solo se e quando il destinatario, connettendosi, a sua

volta, all'elaboratore e accedendo al servizio, andando a consultare

la propria casella di posta elettronica, proceda alla lettura del

messaggio. In similari ipotesi, pertanto, in ossequio al principio di

legalità e di tipizzazione delle condotte illecite, non è possibile

espandere la tutela del bene protetto dalla succitata norma penale,

quale quello della tranquillità pubblica, per come del resto

affermato anche di recente dalla giurisprudenza di legittimità (v.

Cass. pen., sez. I, 17 giugno 2010, n. 24510).

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Terza esercitazione

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43

TRACCIA

I coniugi Tizio e Caia scoprono che sull’immobile da loro acquistato grava una ipoteca pregiudizievole precedentemente iscritta a favore di un istituto bancario ma taciuta dal notaio che ha proceduto alla redazione dell'atto di trasferimento; la richiesta risarcitoria avanzata nei confronti dell’alienante Sempronio e del notaio Caio rimane senza esito, invocando, quest’ultimo, la limitazione di responsabilità ex art. 2236 c.c.

Assunte le vesti del difensore dei coniugi, il candidato rediga l’atto giudiziario ritenuto più opportuno, illustrando gli istituti e le problematiche sottesi alla fattispecie in esame.

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44

Soluzione

INDIVIDUAZIONE ARTICOLI RIFERIMENTO:

Codice civile

Art. 2236

Responsabilità del prestatore d'opera.

[I]. Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di

speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se

non in caso di dolo o di colpa grave [1176, 1218].

QUESTIONE PROBLEMATICA:

Il notaio può invocare la limitazione di responsabilità

prevista dall'art. 2236 c.c. in relazione all'inosservanza

dell'obbligo di consultare i registri immobiliari per la stipula

di un contratto di compravendita?

MASSIMA FAVOREVOLE ALL’ASSISTITO E RISOLUTIVA:

Norma di riferimento: art. 2236 cod. civ.

In relazione all'inosservanza dell'obbligo di consultare i registri

immobiliari per la stipula di un contratto di compravendita, il

notaio non può invocare la limitazione di responsabilità ex

art. 2236 c.c., perché tale norma trova applicazione solo con

riferimento alle ipotesi di imperizia, mentre l'inosservanza in

esame è riconducibile alle ipotesi di negligenza o imprudenza, per

violazione del dovere di normale diligenza professionale media.

Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 2011, n. 22398 ATTO:

Atto di citazione.

COMPETENZA: Tribunale.

DOMANDA: Accertamento inadempimento e risarcimento dei danni.

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45

Quarta esercitazione

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46

TRACCIA

Il Tribunale di Roma dichiara Tizio colpevole del reato di cui all’art. 73, primo e quarto comma, d.P.R. n. 309 del 1990 (perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, teneva nell’abitazione alcune piantine di cannabis destinate, secondo la stessa ammissione dell’imputato, a produrre sostanza stupefacente per esclusivo uso personale) e lo condanna alla di anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Tizio, soggetto incensurato, prospettando l’assenza di una idoneità della sostanza ad avere efficacia drogante (del resto neppure accertata nel corso del giudizio), in ragione dell’assenza di una maturazione delle piantine e, comunque, la dimensione ridotta (domestica) della coltivazione, si rivolge al proprio legale; il candidato, assuntene le vesti, rediga l’atto richiesto, soffermandosi sugli istituti e sulle problematiche sottese alla fattispecie posta al suo esame.

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47

Soluzione

INDIVIDUAZIONE ARTICOLI RIFERIMENTO:

d.P.R. n. 309/1990 (T.U. stupefacenti)

Art. 73

Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze

stupefacenti o psicotrope.

1. Chiunque, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, coltiva,

produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita,

cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia,

passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo

sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista

dall'articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con

la multa da euro 26.000 a euro 260.000.

1-bis. Con le medesime pene di cui al comma 1 è punito chiunque,

senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, importa, esporta,

acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente

detiene:

a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in

particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del

Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della

giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri -

Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, ovvero per

modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo

complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre

circostanze dell'azione, appaiono destinate ad un uso non

esclusivamente personale;

b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope

elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il quantitativo

prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono

diminuite da un terzo alla metà.

2. Chiunque, essendo munito dell'autorizzazione di cui all'articolo

17, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in

commercio le sostanze o le preparazioni indicate nelle tabelle I e II

di cui all'articolo 14, è punito con la reclusione da sei a ventidue

anni e con la multa da euro 26.000 a euro 300.000.

[2-bis. Le pene di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di

illecita produzione o commercializzazione delle sostanze chimiche

di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell'allegato I

al presente testo unico, utilizzabili nella produzione clandestina

delle sostanze stupefacenti o psicotrope previste nelle tabelle di cui

all'articolo 14.]

3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o

fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle

stabilite nel decreto di autorizzazione.

4. Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali

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ricompresi nella tabella II, sezioni A, B , C e D, limitatamente a

quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1

dell'articolo 14 e non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 17, si

applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà.

5. Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione

ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal

presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della

reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro

26.000.

5-bis. Nell'ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al

presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da

assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la

sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle

parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, su

richiesta dell'imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non

debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della

pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella

del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto

legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi

previste. Con la sentenza il giudice incarica l'Ufficio locale di

esecuzione penale esterna di verificare l'effettivo svolgimento del

lavoro di pubblica utilità. L'Ufficio riferisce periodicamente al

giudice. In deroga a quanto disposto dall'articolo 54 del decreto

legislativo 28 agosto 2000, n. 274, il lavoro di pubblica utilità ha

una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva

irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private

autorizzate ai sensi dell'articolo 116, previo consenso delle stesse.

In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del

lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dall'articolo

54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, su richiesta del

pubblico ministero o d'ufficio, il giudice che procede, o quello

dell'esecuzione, con le formalità di cui all'articolo 666 del codice di

procedura penale, tenuto conto dell'entità dei motivi e delle

circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con

conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale

provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che

non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire

la pena per non più di due volte.

6. Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro,

la pena è aumentata.

7. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà

a due terzi per chi si adopera per evitare che l'attività delittuosa

sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente

l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella sottrazione di

risorse rilevanti per la commissione dei delitti. QUESTIONE PROBLEMATICA:

Costituisce reato la coltivazione di piantine di cannabis non

idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto

rilevabile?

MASSIMA FAVOREVOLE ALL’ASSISTITO E RISOLUTIVA:

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49

Norma di riferimento: art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990

Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non

autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili

sostanze stupefacenti, anche quando realizzata per la destinazione

del prodotto ad uso personale, poiché: a) non è individuabile un

"nesso di immediatezza tra la coltivazione e l'uso personale", ed è

conseguentemente impossibile "determinare ex ante la potenzialità

della sostanza drogante ricavabile dalla coltivazione" (cfr. Corte

cost. n. 360 del 1995): la fattispecie in esame ha, infatti, natura di

reato di pericolo presunto, fondata sulle "esigenze di tutela della

salute collettiva", bene giuridico primario che legittima

sicuramente il legislatore ad anticiparne la protezione ad uno

stadio precedente il pericolo concreto; b) il fatto che, anche dopo

l'intervento normativo del 2006, gli artt. 73, comma 1-bis, e 75,

comma 1, D.P.R. n. 309 del 1990 non richiamino la condotta di

"coltivazione", lascia ritenere, nel rispetto delle garanzie di riserva

di legge e di tassatività, che il legislatore ha inteso attribuire a tale

condotta comunque e sempre una rilevanza penale; c) è arbitraria

la distinzione tra "coltivazione in senso tecnico-agrario" ovvero

"imprenditoriale" e "coltivazione domestica", non legittimata da

alcun riferimento normativo e superata dal rilievo che qualsiasi tipo

di "coltivazione" è caratterizzato dal dato essenziale e distintivo

rispetto alla "detenzione" di contribuire ad accrescere la quantità di

sostanza stupefacente esistente. Spetta peraltro al giudice

verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed

accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene

giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva; circostanza

riscontrabile soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione

non sia idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto

rilevabile. Cass. pen., sez. unite, 24 aprile 2008, n. 28605

ATTO:

Atto di appello.

COMPETENZA: Corte di Appello.

DOMANDA: In via principale: assoluzione perché il fatto non costituisce reato

(o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato).

In via subordinata: ritenuta l’ipotesi attenuata di cui al quinto

comma dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, applicarsi il minimo

della pena, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti

generiche e concessione dei benefici di legge (sospensione

condizionale della pena e non menzione).