I musei e la sfida della nuova cultura digitale

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I MUSEI E LA SFIDA DELLA NUOVA CULTURA DIGITALE di Alessandro Bollo Responsabile Ricerca e Consulenza della Fondazione Fitzcarraldo di cui è socio fondatore. Insegna al Politecnico di Torino ed è responsabile editoriale della rivista online Fizz, oltre il marketing culturale La fase attuale che i musei stanno vivendo, e in particolare quelli italiani, appare piuttosto complessa da descrivere a causa di una pluralità di forze e di fattori, spesso esterni al mondo museale, in cui risulta tutt’altro che scontato distinguere fenomeni contingenti e temporanei da implicazioni e cambiamenti di natura più profonda e strutturale. Diventa difficile rispondere, ad esempio, se il sistema museale in Italia negli ultimi vent’anni si sia rafforzato e consolidato o, al contrario, se si sia indebolito. Probabilmente sono vere entrambe le risposte. I musei sono cresciuti numericamente, sono diventati più accessibili e più moderni, sono stati oggetto di sollecitazioni e di processi di cambiamento che hanno ampliato il ruolo e la portata “sociale” delle loro azioni; si è proceduto, inoltre, ad un ripensamento dei criteri amministrativi e gestionali e dei comportamenti organizzativi per migliorarne l’efficienza dei processi e l’efficacia dei risultati 1 . Non tutto però è stato portato a effettivo compimento e alcune scelte che apparentemente testimoniavano della vitalità e del rafforzamento del sistema, si sono rivelate, nel tempo e alla prova dei fatti, la causa di effetti collaterali indesiderati che nessuno si era premurato di prevedere. La lunga stagione degli interventi volti alla costruzione, alla riapertura, al ripristino funzionale di musei grandi e piccoli lungo tutto il territorio nazionale, salutata con grande interesse dai media e dalla politica locale, sta producendo contraccolpi nella capacità di tenuta del sistema economico e gestionale, in particolare per quanto concerne gli aspetti della conservazione, della manutenzione e della gestione ordinaria. La politica degli investimenti infrastrutturali straordinari, non accompagnata da un altrettanto straordinario sforzo di individuazione e sperimentazione di nuovi modelli di governance e di gestione sta, cioè, rischiando di compromettere la sostenibilità economica (e quindi sociale) del sistema nel suo complesso. La crisi economica globale, la riduzione progressiva del finanziamento pubblico a supporto della cultura, le difficoltà nel coinvolgere i privati nel sostegno e nella valorizzazione non hanno fatto che acuire e catalizzare un processo che affonda le sue radici già a partire dagli anni ‘90 e che ora sembra essere arrivato ad “un punto di non ritorno”. Nell’ambito di questa prospettiva di forte evoluzione e cambiamento complessivi non si può non considerare un ulteriore elemento di discontinuità che sta avendo e avrà ripercussioni profonde sul sistema dei musei: l’imporsi di una nuova cultura digitale globale. Negli ultimi anni si è, infatti, assistito a un dirompente processo di tecnologizzazione degli ambiti domestici e lavorativi e, in particolar modo, negli usi e nelle pratiche legate al tempo libero. La convergenza tra Comunicazione e Informazione, i costi decrescenti della tecnologia sul fronte della produzione e del consumo, l'emergere delle economie della “coda lunga”, così come l’imporsi del web 2.0 sono solo alcuni tra i fenomeni più significativi a livello globale. Indubbiamente la «tecnologia sta cambiando il nostro modo di comunicare, di costruire spazi individuali e sociali, di partecipare, di apprendere, di essere creativi, di fruire di prodotti e esperienze culturali» (Bollo, 2010). Questi cambiamenti non possono, quindi, lasciare indifferenti i musei, in particolare quei musei che mettono il visitatore al centro della loro azione quotidiana e che ritengono che il loro ruolo e il loro senso sia di stare il più possibile dentro un “presente collettivo”, un presente in cui si candidino ad ascoltare, reagire, prendere una posizione rispetto a bisogni, istanze, domande molto differenziate che arrivano dalla collettività e dai singoli individui. Occorre, inoltre, considerare che in termini di accesso alle nuove tecnologie, nonostante permangano tuttora a livello complessivo condizioni non irrilevanti di digital divide (la cui incidenza è molto variabile a seconda del contesto nazionale e territoriale e della composizione sociale), si sta assistendo a un incremento costante nell’utilizzo di Internet da parte di categorie sempre più ampie di utenza. Se contassimo i video guardati su Youtube, le immagini condivise su Flickr, le notizie lette sui giornali online, i file musicali e le lezioni scientifiche ascoltate in streaming, i commenti personali e gli scambi di opinione e di informazioni su Facebook, su Twitter, nei blog, ogni giorni otterremmo cifre da capogiro. Si tratta di cambiamenti che riguardano inevitabilmente anche l’ambito dei consumi e delle pratiche artistiche e culturali. In Gran Bretagna, una ricerca commissionata dall’Arts Council of England sulle “digital audiences” e il loro rapporto con l’arte e la cultura rivela che più della metà della popolazione online usa i social network almeno una volta al mese e che circa un quarto afferma di condividere informazioni a proposito di eventi culturali con gli amici. Il 15% di coloro che usano regolarmente i social network commenta settimanalmente gli eventi artistici e culturali che ha visto o cui ha partecipato 2 . Facebook è diventato uno dei più importanti strumenti per raccogliere e condividere informazioni su arte 1 Per quanto riguarda il processo di miglioramento e di valutazione delle performance museali si rimanda alla tematica degli “Standard museali”, in particolare i "criteri tecnico-scientifici e standard per i musei" previsti all'Art. 150 del D.L. 112/98 e approvati con D.M. del 10 maggio 2001 costituiscono lo strumento per la costruzione dei progetti di trasferimento della gestione di musei e di altri beni culturali di proprietà dello Stato alle regioni, alle province ed ai comuni. Alla fase attuale i progetti di trasferimento a livello locale appaiono piuttosto difformi per tempi di realizzazione e modalità di applicazione. Per un approfondimento più ampio ed esaustivo sul rapporto tra il sistema museale italiano e l’attuale momento di crisi si rimanda a Donato F., Visser Travagli A. M., Il museo oltre la crisi. Dialogo tra museologia e management. 2 Fonte: Digital audiences: Engagement with arts and culture online, 2010, Arts Council. Riportando l’argomento al contesto italiano, nella ricerca di Fondazione Fitzcarraldo/Osservatorio Culturale del Piemonte, Indagine sul pubblico dei musei piemontesi (2009), Internet è la prima modalità per il reperimento delle informazioni indicata dal 52% dei rispondenti, seguita dagli articoli/recensioni su quotidiani al 43%

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Un articolo pubblicato nel 2011 sul sito di Economia della Cultura che fa il punto sulle opportunità offerte ai musei dagli strumenti digitali per avvicinare nuovo pubblico e migliorare l’offerta e la comunicazione.

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I MUSEI E LA SFIDA DELLA NUOVA CULTURA DIGITALE di Alessandro Bollo Responsabile Ricerca e Consulenza della Fondazione Fitzcarraldo di cui è socio fondatore. Insegna al Politecnico di Torino ed è responsabile editoriale della rivista online Fizz, oltre il marketing culturale La fase attuale che i musei stanno vivendo, e in particolare quelli italiani, appare piuttosto complessa da descrivere a causa di una pluralità di forze e di fattori, spesso esterni al mondo museale, in cui risulta tutt’altro che scontato distinguere fenomeni contingenti e temporanei da implicazioni e cambiamenti di natura più profonda e strutturale. Diventa difficile rispondere, ad esempio, se il sistema museale in Italia negli ultimi vent’anni si sia rafforzato e consolidato o, al contrario, se si sia indebolito. Probabilmente sono vere entrambe le risposte. I musei sono cresciuti numericamente, sono diventati più accessibili e più moderni, sono stati oggetto di sollecitazioni e di processi di cambiamento che hanno ampliato il ruolo e la portata “sociale” delle loro azioni; si è proceduto, inoltre, ad un ripensamento dei criteri amministrativi e gestionali e dei comportamenti organizzativi per migliorarne l’efficienza dei processi e l’efficacia dei risultati1. Non tutto però è stato portato a effettivo compimento e alcune scelte che apparentemente testimoniavano della vitalità e del rafforzamento del sistema, si sono rivelate, nel tempo e alla prova dei fatti, la causa di effetti collaterali indesiderati che nessuno si era premurato di prevedere. La lunga stagione degli interventi volti alla costruzione, alla riapertura, al ripristino funzionale di musei grandi e piccoli lungo tutto il territorio nazionale, salutata con grande interesse dai media e dalla politica locale, sta producendo contraccolpi nella capacità di tenuta del sistema economico e gestionale, in particolare per quanto concerne gli aspetti della conservazione, della manutenzione e della gestione ordinaria. La politica degli investimenti infrastrutturali straordinari, non accompagnata da un altrettanto straordinario sforzo di individuazione e sperimentazione di nuovi modelli di governance e di gestione sta, cioè, rischiando di compromettere la sostenibilità economica (e quindi sociale) del sistema nel suo complesso. La crisi economica globale, la riduzione progressiva del finanziamento pubblico a supporto della cultura, le difficoltà nel coinvolgere i privati nel sostegno e nella valorizzazione non hanno fatto che acuire e catalizzare un processo che affonda le sue radici già a partire dagli anni ‘90 e che ora sembra essere arrivato ad “un punto di non ritorno”. Nell’ambito di questa prospettiva di forte evoluzione e cambiamento complessivi non si può non considerare un ulteriore elemento di discontinuità che sta avendo e avrà ripercussioni profonde sul sistema dei musei: l’imporsi di una nuova cultura digitale globale. Negli ultimi anni si è, infatti, assistito a un dirompente processo di tecnologizzazione degli ambiti domestici e lavorativi e, in particolar modo, negli usi e nelle pratiche legate al tempo libero. La convergenza tra Comunicazione e Informazione, i costi decrescenti della tecnologia sul fronte della produzione e del consumo, l'emergere delle economie della “coda lunga”, così come l’imporsi del web 2.0 sono solo alcuni tra i fenomeni più significativi a livello globale. Indubbiamente la «tecnologia sta cambiando il nostro modo di comunicare, di costruire spazi individuali e sociali, di partecipare, di apprendere, di essere creativi, di fruire di prodotti e esperienze culturali» (Bollo, 2010). Questi cambiamenti non possono, quindi, lasciare indifferenti i musei, in particolare quei musei che mettono il visitatore al centro della loro azione quotidiana e che ritengono che il loro ruolo e il loro senso sia di stare il più possibile dentro un “presente collettivo”, un presente in cui si candidino ad ascoltare, reagire, prendere una posizione rispetto a bisogni, istanze, domande molto differenziate che arrivano dalla collettività e dai singoli individui. Occorre, inoltre, considerare che in termini di accesso alle nuove tecnologie, nonostante permangano tuttora a livello complessivo condizioni non irrilevanti di digital divide (la cui incidenza è molto variabile a seconda del contesto nazionale e territoriale e della composizione sociale), si sta assistendo a un incremento costante nell’utilizzo di Internet da parte di categorie sempre più ampie di utenza. Se contassimo i video guardati su Youtube, le immagini condivise su Flickr, le notizie lette sui giornali online, i file musicali e le lezioni scientifiche ascoltate in streaming, i commenti personali e gli scambi di opinione e di informazioni su Facebook, su Twitter, nei blog, ogni giorni otterremmo cifre da capogiro. Si tratta di cambiamenti che riguardano inevitabilmente anche l’ambito dei consumi e delle pratiche artistiche e culturali. In Gran Bretagna, una ricerca commissionata dall’Arts Council of England sulle “digital audiences” e il loro rapporto con l’arte e la cultura rivela che più della metà della popolazione online usa i social network almeno una volta al mese e che circa un quarto afferma di condividere informazioni a proposito di eventi culturali con gli amici. Il 15% di coloro che usano regolarmente i social network commenta settimanalmente gli eventi artistici e culturali che ha visto o cui ha partecipato2. Facebook è diventato uno dei più importanti strumenti per raccogliere e condividere informazioni su arte

1 Per quanto riguarda il processo di miglioramento e di valutazione delle performance museali si rimanda alla tematica degli “Standard museali”, in particolare i "criteri tecnico-scientifici e standard per i musei" previsti all'Art. 150 del D.L. 112/98 e approvati con D.M. del 10 maggio 2001 costituiscono lo strumento per la costruzione dei progetti di trasferimento della gestione di musei e di altri beni culturali di proprietà dello Stato alle regioni, alle province ed ai comuni. Alla fase attuale i progetti di trasferimento a livello locale appaiono piuttosto difformi per tempi di realizzazione e modalità di applicazione. Per un approfondimento più ampio ed esaustivo sul rapporto tra il sistema museale italiano e l’attuale momento di crisi si rimanda a Donato F., Visser Travagli A. M., Il museo oltre la crisi. Dialogo tra museologia e management. 2 Fonte: Digital audiences: Engagement with arts and culture online, 2010, Arts Council. Riportando l’argomento al contesto italiano, nella ricerca di Fondazione Fitzcarraldo/Osservatorio Culturale del Piemonte, Indagine sul pubblico dei musei piemontesi (2009), Internet è la prima modalità per il reperimento delle informazioni indicata dal 52% dei rispondenti, seguita dagli articoli/recensioni su quotidiani al 43%

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e cultura, secondo solo a Google e ai motori di ricerca. Sempre la stessa ricerca propone uno quadro di riferimento per classificare i benefici (e le relative azioni) derivanti dal coinvolgimento online con l’arte e la natura. L’interazione con i contenuti artistici e culturali in un ambiente digitale viene classificata in cinque categorie: • Accesso (access): ricerca delle informazioni, valutazione delle opportunità e delle alternative, pianificazione della visita e delle modalità di partecipazione; • Apprendimento (learn): acquisizione di nuove competenze e conoscenze, approfondimento di temi e nozioni precedentemente o susseguentemente la visita; • Esperienza (experience): utilizzo coinvolgente, interattivo e immersivo dei contenuti artistici e creativi online; • Condivisione (sharing): utilizzo di Internet per condividere contenuti, esperienze e opinioni; • Creazione (create): uso di Internet a supporto del processo creativo individuale e collettivo. Come si evince dal disegno successivo sono molteplici le modalità di interazione e le possibilità di utilizzo dell’ambiente digitale per finalità che, man mano che si sale dalla base al vertice della piramide, richiedono competenze e comportamenti online più sofisticati e livelli di coinvolgimento con gli argomenti e le istituzioni culturali vieppiù crescenti. Se l’accesso alle informazioni e la possibilità di selezionare contenuti di interesse rappresentano il “grado zero” del coinvolgimento online e le modalità più diffuse e comuni di interazione, la condivisione di contenuti e di opinioni e la co-generazione di materiale creativo e artistico originale riguardano un numero più ristretto di persone, caratterizzate da competenze digitali più elevate e maggiormente coinvolte e appassionate ai temi in oggetto. FIG. 1 - Piramide dei benefici ricercati nell’ambiente digitale in relazione ai contenuti artistici e culturali

Fonte: MTM London, Digital audiences: Engagement with arts and culture online

Venendo alla situazione dell’Italia, i dati Censis relativi al 2010 indicano che circa un italiano su due utilizza Internet e che gli utenti di Facebook stanno raggiungendo, nel nostro paese, quasi i 17.000.000, con una percentuale di poco superiore degli uomini (53%) rispetto alle donne3. Permane ancora una sensibile “distanza” con la maggior parte degli altri paesi europei in termini di accesso a Internet, di frequenza di utilizzo del web da casa e dal lavoro e di dotazione di banda larga che collocano il nostro paese negli ultimi posti della graduatoria europea per infrastrutturazione e partecipazione digitale. I musei nostrani sembrano aver accolto, in modo tutt’altro che lineare e non sempre consapevole, le sfide e le opportunità che l’evoluzione tecnologica e le nuove modalità comunicative comportano. Una recente indagini di Civita rivela che se il 51,9% dei musei è dotato di una presenza digitale su internet (nel 1998 era stimabile intorno al 15%), l’investimento medio annuo nelle tecnologie web si attesta attorno ai 2000 € l’anno4. Si tratta di una cifra assolutamente inadeguata, che testimonia della difficoltà a comprendere le reali potenzialità di Internet e di come l’Italia sembri scontare un ritardo ancora piuttosto marcato rispetto ad altri paesi (quelli anglosassoni in testa) sia per una minore sensibilità e conoscenza nei confronti delle nuove tecnologie sia per una maggiore distanza rispetto alla filosofia e ai capisaldi concettuali che sottendono la nuova cultura digitale. Esiste, inoltre, un oggettivo problema di competenze e di figure professionali, all’interno delle strutture museali, in grado di sviluppare “in casa” o di co-progettare identità digitali e soluzioni tecnologiche capaci di rispondere alle sempre più raffinate esigenze di informazione, di interazione e di conversazione su e a proposito dei musei5.

3 VincosBlog – Osservatorio su Facebook. I dati sono stati ricavati dalla piattaforma di Advertising di Facebook. 4 Galluzzi P., Valentino P. (a cura di), RAPPORTO CIVITA 2008. Galassia Web. La Cultura nella Rete, Giunti Editore, Firenze, 2009 5 Occorre rilevare, inoltre, che il tema delle competenze e delle conoscenze non riguarda esclusivamente l’ambito della progettazione e dell’implementazione delle nuove tecnologie digitali, ma anche altre problematiche che Internet rende ancora più cogenti, come, ad esempio, quelle inerenti il copyright e le policy in materia di diritto di utilizzo, di pubblicazione e di condivisione delle immagini coperte da diritti proprietari.

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Entrando più nello specifico può essere interessante una prima riflessione - costruita a partire da alcuni casi esemplari e dalle (poche) evidenze derivanti dai primi progetti di valutazione – sugli effetti, sulle opportunità e sui limiti dell’applicazione del cosiddetto web 2.06 alle “politiche del pubblico digitale e reale”. In particolare, si fa riferimento all’ampliamento dell’accesso ai contenuti artistici, scientifici e culturali, all’estensione dei canali di comunicazione e di ascolto dei pubblici, all’arricchimento degli strumenti e delle forme di mediazione all’interno del museo, al rafforzamento dell’esperienza e del portato educativo della visita, al consolidamento del senso di comunità e di appartenenza, alle nuove modalità di partecipazione e di creazione. Le esperienze più significative che si stanno sviluppando a livello internazionale ci raccontano, comunque, di un panorama in grande fermento, caratterizzato da progetti spesso fortemente interdisciplinari e capaci di coinvolgere le diverse funzioni dell’organizzazione museale (dalla curatela, alla ricerca, all’attività educativa, al marketing e alla comunicazione). Gli obiettivi che sottendono e motivano lo sviluppo di questi progetti digitali, pur nella loro eterogeneità, possono essere così sintetizzati: • Diversificazione e “alleggerimento” della comunicazione tradizionale; • Ampliamento della base sociale e intercettazione di pubblici nuovi; • Intensificazione dell’esperienza di visita; • Miglioramento delle capacità di ascolto e conversazione; • Costruzione di “comunità” digitali e reali; • Rafforzamento della partecipazione e della condivisione dei contenuti e delle idee; • Miglioramento dell’accessibilità alle collezioni e al patrimonio “nascosto” e “invisibile”. Relativamente al primo obiettivo, i nuovi strumenti digitali (siti web, presenza su i principali social network e sulle piattaforme di content sharing, applicazioni mobile, etc.), oltre a rappresentare nuovi e addizionali canali di comunicazione che vanno a integrare i sempre meno efficaci canali pubblicitari tradizionali, consentono una modalità più spontanea e diretta di relazione tra museo e utente. La comunicazione web, da questo punto di vista, rappresenta un indubbio vantaggio perché può sfruttare un duplice registro che utilizza congiuntamente e integra l’approccio “istituzionale” più formale e rigoroso del sito web ufficiale con i nuovi “ambienti sociali digitali” (blog, social network, in primis) in cui prevale, generalmente, una dimensione più spontanea, una maggiore libertà nella scelta dei contenuti testuali e audio-visivi e una logica di comunicazione “alla pari” tra istituzione e pubblico. Le logiche e gli stili comunicativi vengono quindi “alleggeriti”, spesso per guadagnare in efficacia nei confronti di pubblici nuovi: non solo i giovani (i cosiddetti “nativi digitali”), ma anche audience più trasversali, meno assidue e coinvolte nella vita delle istituzioni culturali. Rimanendo al concetto di “leggerezza” delle nuove modalità di comunicazione, una reale e perdurante efficacia si potrà ottenere se, facendo proprie le parole di Calvino nelle Lezioni Americane, si riuscirà a coniugare l’informalità e la spontaneità alla “precisazione e alla determinazione, […] non alla vaghezza, all’abbandono e al caso”. La natura intrinsecamente sociale e relazionale del “nuovo web” può consentire un salto di qualità nel rapporto tra pubblico e musei, a patto che i nuovi strumenti non vengano relegati esclusivamente all’ambito della comunicazione e del marketing. Il rischio, infatti, è che si utilizzino strumenti nuovi con logiche e approcci pensati per media più “vecchi” e sviluppati nell’ambito di paradigmi comunicativi ormai superati. Non è sufficiente, cioè, aprire una pagina su Facebook o su Twitter (sono ormai decine i musei italiani con un’identità digitale ufficiale sui principali social network) se poi la si usa come una semplice vetrina o brochure informativa e promozionale. A tale proposito, Kevin Bacon, il curatore del Royal Pavilion and Museums Brighton & Hove, acutamente osserva che « yet despite this promise, social network sites such as Facebook and Twitter are still predominantly used as marketing and public relations channels, occasionally providing question and answer type interactions between the public and the museum. But do these question and answer exchanges necessarily connote conversation and dialogue? Crucially, for communication to count as dialogue, it needs a third statement to be made in order to demonstrate that both parties are responsive»7. La vera sfida è, quindi, quella di progettare spazi di conversazione, luoghi in cui stimolare il dibattito e il confronto, provocare domande più che elargire risposte, coagulare le comunità attorno a temi e argomenti di interesse (non per forza strettamente e esclusivamente inerenti il museo o l’istituzione)8. Progettare un ambiente di conversazione digitale comporta un esercizio continuo di “manutenzione delle relazioni” che richiede l’attenzione e la cura del giardiniere oltre che l’inventiva e la creatività del buon comunicatore (e mediatore). Letto in termini più pragmatici e operativi questo aspetto rivela come, a fronte di costi piuttosto ridotti di implementazione e di avvio dei progetti Internet (siti

6 Per Web 2.0 si intende uno stato di evoluzione di Internet che, rispetto alla condizione precedente, si caratterizza per uno spiccato livello di interazione tra il sito e l’utente. Blog, forum, chat, sistemi quali Wikipedia, Youtube, Facebook, Twitter, Gmail, Wordpress, Trip advisor e le più recenti tecnologie di Syndication (RSS, tagging, folksonomy) rappresentano le più significative manifestazioni del Web 2.0. 7 In Scott Billings, Social Media Dialogue,Museum Next, http://www.museumnext.org/2010/blog/social-media-dialogue 8 Emblematico, sotto questo aspetto, il progetto Ask a Curator. Si è trattato di un’iniziativa internazionale realizzata in un giorno di settembre 2010 durante il quale i curatori di 300 musei nel mondo si sono messi a disposizione degli utenti della rete: attraverso una pagina Twitter si entrava in diretta connessione con il curatore, pronto a rispondere a domande libere sul museo e sulle collezioni che chiunque poteva porre (http://www.askacurator.com/). Occorre purtroppo segnalare come tra i 300 musei coinvolti uno solo fosse italiano: il Mart di Trento e Rovereto.

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web, presenza multicanale su social network e piattaforme di condivisione dei contenuti)9, le attività di gestione corrente siano fortemente consumatrici di tempo e richiedano competenze non improvvisate (preferibilmente interne all’organizzazione) ed espressamente dedicate. A tale proposito, una recente indagine condotta da Adrienne Fletcher dell’Università della Florida su un campione di 315 musei americani rivela che «[...] The majority of respondents report that they are currently using 1-2 staff members to work on their social media efforts for an average of 45 minutes a day». Un ulteriore aspetto che le nuove frontiere digitali consentono di affrontare con maggiore consapevolezza è quello dell’ascolto e della valutazione. I social network, da questo punto di vista, «rappresentano uno spazio di avvistamento e di conversazione assolutamente privilegiato perché permettono alle istituzioni di instaurare relazioni profonde e non banali con individui che chiedono attenzioni, scambio, interazione, e che in cambio possono restituire aspettative, motivazioni, entusiasmi e disaffezioni» (Bollo, 2010). Alla luce di queste considerazioni, appare evidente la necessità di individuare e sperimentare metriche nuove per valutare la portata e l’efficacia di queste nuove presenze digitali che vadano oltre il numero di fan e utenti, ma che siano in grado di rendere, in termini principalmente qualitativi, la vitalità, l’ampiezza e la ricchezza di tutte le conversazioni e le interazioni che animano gli ambienti digitali. L’altra grande sfida per i musei è quella della condivisione, della partecipazione, del coinvolgimento nella co-generazione di contenuti artistici e culturali10 da parte delle comunità di utenti online e “dal vivo”. Con maggiore evidenza nel contesto internazionale, i musei stanno iniziando a usare e valorizzare i contenuti generati dall’audience o ne stimolano la produzione per finalità molteplici, realizzando iniziative online e offline. Esemplari, a tale proposito, il progetto It’s time we met! del Metropolitan e la realizzazione dell’iniziativa promossa dal Victoria & Albert Museum chiamata “Wedding fashion”. Nel primo caso, alcune, tra le centinaia di fotografie realizzate dai visitatori all’interno del museo e pubblicate per motivi personali e con intenti amatoriali su Flickr, sono diventate, attraverso un concorso pubblico, la “parte visiva” della campagna pubblicitaria ufficiale lanciata in grande stile nel 200911. Nel caso del progetto “Wedding fashion”, il V&A Museum ha invitato gli utenti a contribuire alla realizzazione di un database di immagini di matrimoni che vengono uplodati sul sito, finalizzato alla realizzazione di una mostra temporanea dedicata ai vestiti da sposa e prevista per il 201312. Durante la mostra “Graffiti” realizzata dal Brooklyn Museum nel 2006, i visitatori furono invece invitati a realizzare sia dei graffiti virtuali utilizzando un’apposita applicazione online, sia dei disegni reali all’interno del museo inspirati al tema dei graffiti e le migliori opere (reali e virtuali) sono entrate a far parte della mostra e della sezione fotografica di Flickr, che tutt’ora testimonia del processo e dei suoi sorprendenti risultati in termini di persone coinvolte e di risultati artistici ottenuti. Come sempre avviene nei momenti di forte discontinuità e transizione diventa difficile valutare le implicazioni culturali, organizzative ed economiche, la prospettiva temporale, gli effetti collaterali più o meno indesiderati di prassi e soluzioni innovative nell’ambito di uno specifico settore; diventa difficile separare fenomeni contingenti da mutamenti strutturali e perduranti. La rapidità con cui i nuovi sistemi di comunicazione e di produzione di senso collettivo si impongono a livello globale non agevola, inoltre, una sedimentazione delle esperienze e la possibilità di confrontare costruttivamente le soluzioni adottate e i risultati ottenuti. La nuova cultura digitale pone alle istituzioni del patrimonio culturale una domanda di fondo che è anche una sfida: i musei sono pronti per una nuova e futura specie di visitatore, che sarà “geneticamente modificato” dall’esposizione continua e prolungata ai nuovi modelli di condivisione sociale dei significati e dell’informazione, di autorialità artistica, di partecipazione ai processi decisionali, di approvvigionamento e manipolazione dei prodotti della creatività artistica? Non rischia di essere riduttiva e obsoleta la definizione stessa di visitatore? BIBLIOGRAFIA Billings S., Social Conversations, in “Fizz.it, oltre il marketing culturale”, http://www.fizz.it Bollo A. (a cura di), I pubblici dei musei. Conoscenza e politiche, Franco Angeli, Milano, 2008 Bollo A., “Surfing and walking. I musei e le sfide del web 2.0”, in Fizz.it, oltre il marketing culturale, http://www.fizz.it Bonacini E., Il museo contemporaneo. Fra tradizione, marketing e nuove tecnologie, Aracne Editore, Milano, 2011 Censis, 9° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione. I media personali nell'era digitale, Roma, 2011 Calvo M., Ciotti F., Roncaglia G., Zela M.A., Internet 2004. Manuale per l’uso della rete, Laterza, Bari, 2003 Calvino I., Lezioni Americane, Mondadori, Milano, 2000 Donato F., Visser Travagli A. M., Il museo oltre la crisi. Dialogo tra museologia e management, Electa, Milano, 2010 Galluzzi P., Valentino P. (a cura di), RAPPORTO CIVITA 2008. Galassia Web. La Cultura nella Rete, Giunti Editore, Firenze, 2009

9 Occorre inoltre considerare che l’aumento di canali di contatto e la natura digitale dei contenuti (sito web, social networks, uffici turistici, editoria cartacea e online, radio, tv, ecc.) incide positivamente su spese e costi di gestione secondo le cosiddette “economie di replicazione”, che si basano sulla possibilità di poter replicare l’utilizzo di un medesimo contenuto, prodotto o servizio, adattandolo ai diversi media o canali di comunicazione/distribuzione. 10 Si parla, per l’appunto, di user generated content, per indicare quei materiali e contenuti disponibili sul web prodotti dagli utenti stessi attraverso una qualche forma di processo creativo e al di fuori delle pratiche e delle routine professionali. 11: http://www.metmuseum.org/metshare/timewemet 12 A due anni dall’apertura della mostra sono più di 1.000 le fotografie caricate sul sito web del Victoria & Albert. Http://www.vam.ac.uk/things-to-do/wedding-fashion/home

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Granelli A., Traclò F. (a cura di), Innovazione e cultura. Come le tecnologie digitali potenzieranno la rendita del nostro patrimonio culturale, IlSole24ore Libri, Milano, 2006 Istat, Cittadini e nuove tecnologie. Anno 2010, ISTAT; Roma, 2011 Levine R., Locke C., Searls D., Weinberger D., Cluetrain Manifesto. La fine del business as usual, Fazi Editore, 2001 MINERVA, Manuale per la qualità dei siti Web pubblici culturali, 2005, http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycriteria-i.htm MTM London, Consuming digital arts: understanding of and engagement with arts in the digital arena amongst the general public, Arts Council of England, 2010 Niccolucci V. F., Digital Applications for Tangible Cultural Heritage, Report on the State of the Union Policies, Practices and Developments in Europe, SOTU 2, Budapest, 2007, pp. 7-14