I I, - · PDF fileLe sei. I calzari chiodati d ... come la farfalla che in un tremito...
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Lo scorso mese di luglio, mentre la casitante brissaghese Nella Martinetti continuava la sua battaglia contro la malattia, abbiamo Iniziato la pubblicazionedi alcuni suoi racconti. La serie, purtroppo, si è interrotta bruscamente allaseconda puntata con la scomparsa dellanostra amica. Dopo i saluti e il ricordo, è ora tempo di tornare agli impegnipresi. Ecco quindi il terzo racconto che,come i precedenti e quelli che seguiran110, furono pubblicati oltre una trentinadi anni fa sul periodico «Terra ticinese».
Dalle grate delle cantine i fiati della grappa distillata di fresco invadonoil quartiere. li giorno è sfocato in coloripastello e la sera è scesa anche troppopresto, interrompendo i giochi nei cortilie smorzando i richiami nei campi. Le sei.I calzari chiodati d’un operaio che tornadal lavoro rompono il silenzio della piazza: poi più nulla, solo l’occhio luminosoduna vetrina su un vicolo, coi primi guanti di lana in bella vista.
Un ricordo d’estate, di gente di suoni,di lingue, di musiche, di fantasie,: ecco ilperché della mia malinconia. Mi sentocome l’erba svenata e gialla che ho vistorientrando da scuola ai bordi del fosso:come la farfalla che in un tremito d’ali.ubriaca di freddo mi muor in mano. Adistogliermi dai miei pensieri tristi, un fischio discreto da sotto il nespolo: mi chiamano, m’aspettano. Indosso un maglioncino, prendo il cartoccio di frittelle ancoracalde di forno e giù per le scale. Gli altrisono in gran forma: lo indovino dalle lorofacce divertite, dai loro lazzi, dalle loro risate sguaiate. E un buon umore contagioso per cui calzo la mia maschera d’allegriae munisco ai loro giochi mentre la collinaci alita in viso una fitta nebbia.
Si va a casa di Franco, a Noveledo, traBrissago e Incella: una manciata di rustici.di piazzette e fontane intoccate da secoli. Ci arriviamo seguendo i lampioni chedal piano. passo a passo, tesson sui fianchi della montagna una tenue ragnateladi luci. Al noslro passare chiassoso i con-
tadini s’affacciano alle porte smerigliale:le donne con un lembo di grembiule inpugno le mani umide dacquaio. E neivapori d’una minestra al prezzemolo per-corriamo l’ultima tratta che ci separa dalla mela, impressionati e impauriti dallebocche spalancate di alcune stalle in rovina Sulla scaletta di pietra. stretta nel suogolf color antracite. la mamma di Franco: icalzini di lana arrotolati sulle caviglie. Ungatto sfreccia via da sotto un cespuglio digerani secchi.
E di poche parole la Caterina, ma isuoi occhi arguti sono gioviali. Ci fa strada aprendo la porta su un bagliore difuoco. In un angolo, chino sull’incerata aquadri del tavolo, il Pepin alza in tralicelo sguardo, borbotta un saluto poi si rimette all’opera. Palpa, scarta, discerna eincide le castagne col temperino militare,prima di gettarLe nella padella sulla brace. Gli riempie il boccalino la Caterinasentenziando che «un goccetto di uno c’èper tuffi, anche se alla nostra ciò sarebbepiù giudizioso bere gazzosa: ma che no’?
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no in una sera mine quella . Bastanoquelle due dita di nostrano ad abbatterela barriera d’imbarazzo creatasi al nostroarrivo: ora anche il Pepin s’è fatto più loquace! Dimentica prest suoi ma niper andar dietro con la antasia alle suestorie di caccia, di lepri, di beccacce. distormi ai piedi del Ghiridone. I ragazzi glisi son fatti intorno e seguono esterrefatti.con mille «come e perché» il suo racconto. Noi invece ci tiriamo sotto la cappadel camino. capeggiati dalla Caterina cheimprovvisamente sfodera una brillante esimpatica originalità. Mentre pizzica leprime caldarroste nere di fumo e croccanti come foglie secche, butta là che anchelei sa sparare, anzi, che si venga su qualche pomeriggio e ci farà vedere come simira un barattolo di conserva a quindicimetri di distanza col doppietto! Al segna-
tatierugho generale. boiosl e aliarnati. cbuttiamo sui marroni fumanti, scottandoci e irnbrattandoci mani e guance di fuliggine. E un attimo di tregua poi a Francovien l’idea della fisarmonica!
Era di suo zio, sarà sfiatata ma benchele manchino due tasti funziona sempre aperfezione! Me la mette in braccio... Nonè che la sappia suonare da Dio, però quelpaio di accordi per accompagnare unacanzonetta nostrana. quelli riesco sen-,adubbio a cavarli da quel vecchio catenaccio! Se ne canta una. poi due, poi tre... Infine una voce concitata dalla strada interrompe la strofa della quarta. E La «ScIe»che — con ragione ci grida che lei, I’ ndomani, alle sei sarà già in fabbrica a fa siizigall*,~, a far sigari, che l’è mia sniorbiacome niinini”, non è spensierata come noigiovani, lei! E che L’è ora de daghen un
schiamazzi: roi si riLira suatteuiuusi deLLO
Fascio. Mortificati. torniamo a sedere: ioripongo svogliatamente il mio «soffiettoche si chiude sudi sé con un rantolo.
La baraonda ormai non ha più senso:anche noi siamo ripiombati di botto nella realtà: la nebbia della strada, chi ci staaspettando a casa, la scuola l’indomani.Bisogna andare. Lasciamo la Caterina colsuo ghiro fra le travi che non la fa dormire, il Pepin sempre più acceso in visodavanti al suo fiaschetto e Franco chesull’uscio schizza con una pila scherzosighirigori nel buio. E giù a wito spiano.bevendo a pieni polmoni la prima notted’autunno, rauca come le nostre voci, piùnera delle bruciate.
Nella Mani’ i etti
*ZigaIl sigari in dialetto brissaghese.
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