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XXVIII Convegno della Società Italiana di Scienza Politica
Perugia, 11-13 Settembre 2014
Panel 1.3 - I gruppi di interesse in Italia
I gruppi di interesse in sanità
di Marco Di Giulio e Federico Toth
ABSTRACT
Il paper tenta un’analisi dei principali gruppi d’interesse operanti in campo sanitario e della loro influenza
nei processi di policy. I gruppi – selezionati sulla base della loro rappresentatività e della loro visibilità
mediatica – vengono messi a confronto sulla base di diverse dimensioni: la struttura organizzativa, le
risorse organizzative di cui dispongono, le issues principali rispetto alle quali essi si mobilitano e –
soprattutto – le strategie di lobbying adottate (dirette o indirette).
Sulla base di queste dimensioni, è possibile ricostruire il network dei gruppi attivi nel settore sanitario: quali
coalizioni si formino tra gli attori in campo, e quali temi di policy siano motivo di contrapposizione. Allo
scopo di comprendere le effettive modalità di attivazione dei gruppi, vengono anche ricostruiti tre recenti
processi di policy making in campo sanitario, riguardanti in particolare la riorganizzazione delle cure
primarie, la riforma del governo clinico e la revisione della spesa farmaceutica.
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1. Introduzione
Il settore sanitario è di grande rilevanza per l’economia nazionale. La filiera della salute – che
comprende non solo la fornitura di prestazioni ambulatoriali e ospedaliere, ma anche tutto il
comparto farmaceutico e l’industria dei dispositivi medici – corrisponde infatti all’11,2% del
prodotto interno lordo italiano [Confindustria 2012]. Quella sanitaria risulta così la quarta filiera
produttiva più importante del paese, alle spalle di costruzioni, agricoltura e ICT [Ministero dello
Sviluppo economico 2012]. Nel comparto sanitario lavora oltre un milione e mezzo di lavoratori,
che salgono a 2,8 milioni se si considera anche l’indotto. Se queste sono le cifre, è facile intuire
quale groviglio di interessi – commerciali, professionali e politici – graviti attorno al mondo della
sanità, sia pubblica sia privata.
Prima di addentrarci nell’analisi dei principali gruppi d’interesse che operano nel settore sanitario, è
bene segnalare alcune particolarità che distinguono quest’ultimo da altri settori di policy.
Il lobbying autonomo. In questo articolo ci si occuperà soprattutto di gruppi d’interesse «collettivi»,
quali i sindacati, le associazioni di categoria, gli ordini professionali. Siamo però ben consapevoli
che, a fianco del lobbying «associativo», esistano anche soggetti capaci di attivarsi in forma
individuale. Caratteristica del settore sanitario è infatti la presenza di alcuni gruppi imprenditoriali
che, per la loro rilevanza economica (ma anche politica e mediatica), sono in grado di ottenere
visibilità e di tutelare i propri interessi in modo autonomo, senza dover cioè necessariamente
passare attraverso le rispettive associazioni di rappresentanza. E’ questo, ad esempio, il caso dei
maggiori gruppi ospedalieri privati (ma lo stesso discorso potrebbe valere anche per le aziende
farmaceutiche). In Italia – com’è noto – operano alcuni grandi network di strutture ospedaliere
private, tra cui il Gruppo Villa Maria (GVM) di Ettore Sansavini, il gruppo Garofalo, l’Humanitas
(che fa capo alla Techint di Gianfelice Rocca), il gruppo San Raffaele (di proprietà della famiglia
Angelucci), il gruppo Giomi, il gruppo KOS (controllato dalla CIR di Carlo De Benedetti), il
gruppo San Donato (della famiglia Rotelli). Questi gruppi imprenditoriali – ribattezzati anche «le
sette sorelle della sanità privata» [Bonfanti 2009] – risultano tutti affiliati all’Aiop (Associazione
italiana ospedalità privata, uno dei gruppi inclusi nella nostra ricerca). Viene però facile pensare che
questi gruppi tutelino i propri interessi servendosi anche di canali propri, slegati dalle iniziative
dell’Aiop (e in aggiunta a queste).
Il livello nazionale e le arene regionali. Un secondo tratto caratteristico del settore sanitario è
l’esistenza, a fianco dell’arena nazionale, anche di importanti arene decisionali a livello regionale.
E’ d’altronde risaputo che alle regioni, soprattutto a partire dai primi anni Novanta, sono attribuite
importanti competenze in materia sanitaria. Si dovrebbe anzi dire che la sanità rappresenta di gran
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lunga il principale ambito d’intervento regionale: ne è prova il fatto che le regioni a statuto
ordinario destinano alla sanità oltre l’83% del proprio budget [Corte dei conti 2013]. Molte
decisioni strategiche – che hanno importanti ricadute soprattutto sull’attività dei fornitori privati –
vengono assunte a livello regionale. Spetta ad esempio ai singoli governi regionali decidere in quale
misura coinvolgere i fornitori privati nell’erogazione delle cure, fissare i requisiti per
l’accreditamento delle strutture ospedaliere e ambulatoriali, determinare le tariffe per remunerare i
fornitori, decidere quante risorse destinare all’attività ospedaliera e quante invece alle cure
territoriali [Toth 2014]. In sanità, il livello regionale è insomma decisamente rilevante: non è allora
un caso che i gruppi selezionati per la nostra ricerca siano tutti organizzati anche su base regionale.
I gruppi selezionati per la ricerca. Ciò premesso, veniamo ai gruppi che sono stati oggetto specifico
della nostra ricerca. Tra quelli operanti in campo sanitario sono stati selezionati 11 gruppi
d’interesse particolarmente rilevanti1.
Nella selezione dei gruppi si è cercato di dare conto delle diverse componenti del mondo sanitario.
Quest’ultimo può essere infatti scomposto in almeno tre sotto-settori: quello delle professioni
sanitarie; quello delle aziende sanitarie e ospedaliere, sia pubbliche sia private; il comparto
farmaceutico.
In rappresentanza di quest’ultimo, sono state incluse nella nostra indagine sia Federfarma (la
federazione nazionale dei titolari di farmacia) sia Farmindustria (l’associazione delle case
farmaceutiche).
Come esponenti del mondo delle aziende sanitarie sono state individuate Fiaso (la federazione delle
aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche) e Aiop (l’associazione delle case di cura private).
In rappresentanza delle professioni sanitarie sono state innanzitutto selezionate la federazione degli
ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) e la federazione dei collegi infermieristici (Ipasvi).
Un po’ più problematica si è rivelata la scelta dei sindacati medici. Si tenga infatti presente che la
professione medica è tradizionalmente frammentata in una molteplicità di sigle sindacali tra loro
concorrenti. I sindacati medici si distinguono sulla base dell’orientamento ideologico, del setting
assistenziale (i medici ospedalieri possono essere divisi dagli specialisti ambulatoriali, che a loro
volta si distinguono dai medici di famiglia), del livello gerarchico (esiste ad esempio
un’associazione di soli primari), e soprattutto in base alla specializzazione medica esercitata
(esistono pertanto sindacati separati per i radiologi, i cardiologi, gli anestesisti, e così via). Tali
organizzazioni categoriali sono peraltro protagoniste di frequenti scissioni e fusioni: non è quindi
agevole orientarsi tra le decine di sigle diverse, così come non è facile individuare le organizzazioni
1 La rilevanza dei gruppi selezionati è confermata anche dal fatto che proprio questi undici gruppi risultano quelli più
frequentemente menzionati negli articoli inerenti tematiche di politica sanitaria pubblicati - nei due anni precedenti la
nostra ricerca - su Il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, la rivista Il Sole 24 Ore-Sanità e l’organo d’informazione
online Quotidiano Sanità.
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che siano davvero rappresentative di un determinato gruppo professionale. La nostra scelta è infine
caduta sui due sindacati maggiormente rappresentativi dei medici del Servizio Sanitario Nazionale,
ovvero Anaao-Assomed (20% delle deleghe) e Cimo-Asmd (11,8% delle deleghe). A fianco di
questi non poteva mancare la Cgil: la Cgil Funzione Pubblica è infatti – anche se di poco – il primo
sindacato dell’intero comparto della sanità pubblica, mentre la Cgil Medici risulta il quarto
sindacato tra i medici e veterinari del SSN. Oltre ai medici dipendenti del servizio sanitario
nazionale, sono stati considerati i medici di medicina generale: la scelta è inevitabilmente caduta
sulla Fimmg, che è di gran lunga il più rappresentativo dei sindacati dei medici di famiglia.
A completare la rosa dei gruppi selezionati per la ricerca, è stata anche inserita un’associazione di
consumatori, Cittadinanzattiva, che da tempo si batte per la tutela dei diritti dei pazienti.
2. La struttura organizzativa
In questo paragrafo verranno descritte le principali caratteristiche organizzative dei gruppi
selezionati. Come emerso dal paragrafo introduttivo, il settore sanitario è caratterizzato da un
elevato grado di complessità, che deriva essenzialmente dalla sua governance multilivello, dalla
presenza di erogatori di prestazioni sia pubblici che privati e, infine, dalla presenza di un elemento
professionale che caratterizza fortemente l'amministrazione della sanità. La strutturazione degli
interessi nel campo sanitario rispecchia naturalmente queste divisioni.
Partiamo dalla forma giuridica degli undici gruppi selezionati: sette sono associazioni e quattro
sono federazioni. Dei gruppi a struttura federale fanno parte l’Ipasvi e la Fnomceo che, è bene
sottolinearlo fin da subito, differiscono dagli altri nove gruppi in quanto organismi ad iscrizione
obbligatoria: nel nostro paese per esercitare la professione di medico e di odontoiatra è infatti
necessario essere iscritti all’ordine (Fnomceo), così come gli infermieri hanno l’obbligo d’iscrizione
al collegio Ipasvi2 della propria provincia.
La componente professionale del settore emerge chiaramente anche dalla natura della membership,
che, nella maggior parte dei casi, riguarda persone fisiche. E’ questo il caso, oltre ai già menzionati
Fnomceo e Ipasvi, delle associazioni sindacali dei medici come Cimo-Asmd, Anaao-Assomed, Cgil
Medici e Fimmg. Le divisioni tra i sindacati medici nascono sia da ragioni funzionali (la Fimmg
rappresenta ad esempio i soli medici di base, Cimo-Asmd i medici ospedalieri, Anaao-Assomed si
rivolge non solo ai medici ma anche alla dirigenza non medica), sia da diverse concezioni della
professione: più legata al pubblico impiego quella di Cgil Medici, maggiormente orientate a un'idea
di libera professione le piattaforme di Cimo-Asmd e Fimmg. Altri gruppi hanno come affiliati delle
2 La sigla sta per Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici d’Infanzia.
5
persone giuridiche: la Fiaso rappresenta le aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche, Farmindustria
(aderente a Confindustria) è l’associazione delle imprese farmaceutiche, l’Aiop rappresenta le case
di cura private, Federfarma è la federazione unitaria dei titolari di farmacia. Una membership mista
ha infine l’associazione Cittadinanzattiva, che vanta tra i suoi affiliati sia associazioni sia aderenti
individuali.
L'articolazione territoriale dei gruppi delinea un quadro piuttosto omogeneo, che dimostra come il
c.d. federalismo sanitario eserciti una forte influenza anche sull’organizzazione interna dei gruppi
d’interesse. La maggior parte dei gruppi selezionati sono infatti organizzati su base regionale. Tre
sono le eccezioni: Fnomceo e Ipasvi, che per legge sono organizzati su base provinciale (anche se
Ipasvi ha attivato dei coordinamenti regionali), e Farmindustria. Quest’ultima non dispone di alcuna
diramazione territoriale (né regionale, né provinciale): un dato coerente con le competenze relative
alla filiera del farmaco, saldamente in mano ad istituzioni nazionali come il Ministero della Salute e
l'Agenzia italiana del farmaco.
Tabella 1 – La struttura organizzativa
Gruppo Tipo Membership Sedi
regionali /
provinciali
n° organi
previsti
da
statuto
n°
componenti
dell’organo
esecutivo
n° uffici
della sede
nazionale
AIOP Associazione Case di cura private 21R 6 10 6
ANAAO-ASSOMED Associazione Medici e dirigenti
sanitari non medici
20R 8 16 2
CGIL MEDICI Associazione Medici 19R 3 6 5
CIMO-ASMD Associazione Medici, veterinari e
odontoiatri
20R 6 16 1
CITTADINANZATTIVA Associazione Aderenti individuali
e associazioni
federate
19R 7 14 9
FARMINDUSTRIA Associazione Imprese
farmaceutiche Assenti 7 12 20
FEDERFARMA Federazione Titolari di farmacia 18R, 102P 5 10 8
FIASO Federazione Aziende sanitarie e
ospedaliere
pubbliche
18R 6 8 4
FIMMG Associazione Medici di medicina
generale
20R 7 9 7
FNOMCEO Federazione
/Ordine
Medici e
odontoiatri
106P 4 18 13
IPASVI Federazione Infermieri 13R, 103P 4 7 6
Oltre alle variabili già discusse, la tabella 1 riporta tre ulteriori indicatori: il numero di organi
6
previsti dallo statuto di ciascun gruppo; l’ampiezza degli organi esecutivi (variamente denominati
«consiglio di presidenza», «esecutivo nazionale», «comitato centrale», «segreteria nazionale»); il
numero di uffici in cui è articolata la sede nazionale. La loro combinazione ci fornisce un'idea del
grado di complessità organizzativa dei gruppi analizzati. Non sembrano emergere differenze molto
nette. Si nota come la Cgil Medici disponga di una struttura più contenuta rispetto alle altre
organizzazioni, con solo tre organi previsti da statuto e una segreteria nazionale formata da 6
componenti; la spiegazione va ricercata nel fatto che questo sindacato costituisce un’articolazione
della più ampia realtà di Cgil Funzione Pubblica (alle cui strutture esso si appoggia). Anaao-
Assomed presenta il più alto numero di organi statutari (8) e un esecutivo nazionale di 16 elementi.
Farmindustria e Fnomceo sono invece le strutture che – da organigramma – prevedono il maggior
numero di uffici: rispettivamente 20 e 13. Sotto questo aspetto, particolarmente essenziale pare la
struttura interna di Cimo e Anaao, che hanno nella propria sede nazionale rispettivamente solo uno
e due uffici.
3. Le risorse organizzative
Oltre all’organigramma, è interessante indagare la quantità e la natura delle risorse di cui
dispongono i gruppi d’interesse. Come sottolineato in diversi studi [Grant 1989; Mahoney 2007], è
infatti presumibile che risorse quali l’ampiezza e le caratteristiche della membership, le dimensioni
dello staff e il budget annuale a disposizione dei singoli gruppi possano fare la differenza nella
capacità o meno di influenzare i policy makers.
Ragionando sulle risorse detenute dai gruppi d’interesse, vengono qui presi in considerazione i
seguenti indicatori: il numero complessivo di associati; il numero di funzionari stipendiati (tale dato
dà un'idea delle risorse umane e cognitive utilizzabili in modo continuativo da ciascun gruppo); le
entrate annue. Si è cercato inoltre di capire come queste risorse siano allocate dai gruppi in
relazione alle possibili strategie d'azione. Per far ciò si è verificata la presenza, nell’organigramma
di ciascun gruppo, di un ufficio stampa e di un ufficio esplicitamente addetto alle ‘relazioni
istituzionali’: per ogni gruppo vengono indicate le unità di personale assegnate a tali uffici. In tal
modo si è inteso fornire una prima, seppur impressionistica, idea di quanto ciascuna organizzazione
investa per la comunicazione e le relazioni esterne.
Partiamo dal numero degli associati, che solitamente viene considerato indicativo della rilevanza e
dell’influenza di una determinata organizzazione di rappresentanza; al di là del numero assoluto, è
rilevante valutare anche il grado di rappresentatività di un gruppo rispetto all’intera categoria cui
esso intende dare voce. L'analisi del numero assoluto di associati fornisce un'idea della forza dei
7
vari gruppi solo in relazione ai sindacati medici. Questo ambito è infatti l'unico, fra quelli qui
considerati, che faccia registrare una qualche competizione fra i gruppi. In particolare, Anaao-
Assomed, Cimo-Asmd e Cgil Medici si contendono lo stesso bacino professionale, composto
principalmente dai medici dipendenti del SSN. Fra questi tre gruppi, Anaao-Assomed fa registrare il
maggior numero di iscritti (20.700), mentre gli altri ne contano rispettivamente 8.600 (Cimo-Asmd)
e 8.000 (Cgil Medici).
Tabella 2 – Le risorse dei gruppi
Gruppo N° associati
N°
Funzionari
stipendiati
Entrate
annue
(in euro)
n° addetti
Relazioni Istituzionali
n° addetti
Comunicazione
AIOP 570 9 1.500.000 0 1
ANAAO-ASSOMED 20.700 35 5.000.000 5 2
CGIL MEDICI 8.000 130* n.d. 0 4*
CIMO-ASMD 8.600 5 n.d. 0 1
CITTADINANZATTIVA 107.000 57 2.380.000 2 4
FARMINDUSTRIA 190 24 n.d. 3 2
FEDERFARMA 16.000 21 4.800.000 3 2
FIASO 121 9 710.000 0 2
FIMMG 26.500 10 300.000 3 2
FNOMCEO 412.000 n.d. 2.500.000 0 3
IPASVI 419.000 8 4.000.000 0 3
Legenda: * il dato si riferisce a Cgil Funzione Pubblica e non solo a Cgil Medici.
La Fimmg è largamente dominante nella sua nicchia: ha oltre 26.000 iscritti e rappresenta oltre il
64% dei medici di famiglia (per quanto anch’essa debba fronteggiare la concorrenza di diverse sigle
sindacali non considerate nel nostro campione, come Snami e Smi). Fiaso conta circa 120 aziende
associate (tra Asl, aziende ospedaliere, Ircss, policlinici universitari) sulle oltre 230 operanti in
Italia. Mentre nel settore privato, Aiop rappresenta oltre 500 case di cura private (in Italia ve ne
sono circa 680), oltre ad alcune decine di Rsa e di centri di riabilitazione, sempre privati.
Farmindustria vanta circa 190 aziende associate (non solo imprese italiane, ma anche aziende
farmaceutiche straniere che operano nel nostro paese). Federfarma riunisce la quasi totalità delle
oltre 16.000 farmacie private convenzionate con il SSN.
Se guardiamo alle unità di personale di cui essi dispongono, tra i gruppi emergono differenze
sostanziali. La maggior parte di essi ha un organico – ci riferiamo alle persone impiegate nella sede
nazionale – di dimensioni ridotte, sotto le dieci unità di personale. Federfarma e Farmindustria ne
hanno circa una ventina. I gruppi con il maggior numero di funzionari stipendiati risultano essere
8
Anaao-Assomed (35) e Cittadinanzattiva (57).
E’ bene precisare che alcuni dei dati riportati nella tabella 2, relativi ai funzionari stipendiati, non
sono confrontabili con gli altri: il numero di funzionari indicato per la Cgil si riferisce all’intera Cgil
Funzione Pubblica e non alla sola Cgil Medici; anche per quanto riguarda Cittadinanzattiva, si tenga
conto che tale associazione si occupa della tutela dei consumatori in diversi settori, non solo in
campo sanitario.
Un dato molto significativo per valutare le risorse a disposizione dei singoli gruppi è il loro budget
annuale. Alcuni dei gruppi da noi intervistati hanno fornito tale dato, altri invece hanno preferito
non comunicarlo. Ma anche i gruppi che hanno indicato le proprie entrate, non è detto che abbiano
fornito la medesima voce di bilancio: i dati riportati nella tabella 2 sono insomma da prendere con
cautela. Dai dati a nostra disposizione, emergerebbero comunque profonde disparità tra i gruppi: da
un lato vi sono infatti attori – come Anaao, Ipasvi e Federfarma – che hanno un budget di almeno 4-
5 milioni di euro l’anno; dall’altro, vi sono gruppi con entrate assai meno cospicue, inferiori al
milione (Fiaso) o addirittura al mezzo milione di euro (Fimmg).
Veniamo infine alla presenza o meno di appositi uffici dedicati rispettivamente alle relazioni
istituzionali e alla comunicazione. Emerge come la maggior parte dei gruppi non preveda un ufficio
espressamente dedicato alle relazioni istituzionali. Ad avere un simile ufficio sono: Anaao-
Assomed (che dichiara di avere cinque persone preposte a quest'attività), Fimmg, Federfarma,
Farmindustria e Cittadinanzattiva. Molto diverso si presenta invece il quadro relativo alle attività di
comunicazione: tutti i gruppi dispongono di un ufficio stampa e di un sito internet regolarmente
aggiornato. In alcuni casi (Ipasvi, Cittadinanzattiva, Cgil Funzione Pubblica) l’organico dell’ufficio
stampa risulta più corposo, in altri casi è invece più ridotto: Cimo, ad esempio, ha un solo addetto
alla comunicazione; anche Aiop ha un solo addetto interno, che però è affiancato da un’agenzia
stampa esterna.
4. Temi e strategie di lobbying
Concentriamoci ora sulle strategie di lobbying messe in atto dai diversi gruppi d’interesse operanti
in campo sanitario. Si partirà dai temi cui i singoli gruppi sono sensibili, per poi ricostruire le
caratteristiche del policy network sanitario: alcune tematiche sono infatti condivise e suggeriscono
alleanze e attività congiunte tra diversi gruppi; altri temi sono invece motivo di contrapposizione.
Si cercherà inoltre di capire quali strategie adottino i gruppi per perorare le proprie istanze. E’
infatti presumibile che alcuni prediligano forme dirette di lobbying, mentre altri preferiscano il
lobbying indiretto.
9
4.1 Le issues rispetto a cui i gruppi si mobilitano
Partiamo dai temi che stanno a cuore ai singoli gruppi e su cui essi sono disposti ad attivarsi3. Come
emerge dalla lettura della tabella 3, buona parte delle issues cui i singoli gruppi si dimostrano
sensibili sono da considerarsi tipicamente categoriali. E’ d’altronde normale che ogni gruppo si
mobiliti a tutela degli interessi specifici dei propri associati: i gruppi d’interesse nascono proprio a
tale scopo. Sta dunque nella logica delle cose che – ad esempio – un sindacato come Anaao richieda
il rinnovo del contratto dei medici, che Fimmg (medici di medicina generale) e Federfarma (titolari
di farmacia) sollecitino il rinnovo delle rispettive convenzioni con il Servizio Sanitario Nazionale, o
che Aiop (case di cura private) proponga la revisione delle tariffe ospedaliere. Così come è del tutto
comprensibile che le case farmaceutiche facciano pressioni per accorciare i tempi d’immissione in
commercio dei nuovi medicinali, o che a proporre una complessiva riorganizzazione delle cure
primarie siano proprio i professionisti che ne risulterebbero maggiormente coinvolti (Fimmg).
Cittadinanzattiva si distingue, almeno in parte, dagli altri gruppi selezionati: se infatti questi ultimi
sono in larga misura espressione dei diversi soggetti «produttori» di servizi sanitari,
Cittadinanzattiva si ripropone invece di prendere le difese degli utenti; tale associazione è pertanto
particolarmente sensibile a tematiche quali le lunghe liste d’attesa, i disservizi a danno dei pazienti,
la tutela dei malati cronici e delle malattie rare, l’effettiva erogazione dei livelli essenziali di
assistenza.
A fianco delle rivendicazioni squisitamente categoriali, esistono anche temi che potremmo
considerare trasversali: temi che interessano cioè a più di un gruppo, e su cui più soggetti possono
quindi attivarsi congiuntamente. Un tema come quello della stabilizzazione dei lavoratori precari,
ad esempio, è stato oggetto di iniziative di sensibilizzazione e di forme pubbliche di protesta non
solo da parte della Cgil Funzione Pubblica, ma anche di Anaao, Cimo e Ipasvi.
Un fenomeno che è sempre più motivo di preoccupazione per i professionisti sanitari riguarda le
accuse di «malpractice» da parte dei pazienti: negli ultimi anni, sono infatti andati crescendo non
solo il numero delle denunce nei confronti del personale sanitario, ma anche l’entità media dei
risarcimenti [Ania 2014]; questo, a sua volta, ha determinato un’impennata dei premi assicurativi, a
carico sia dei singoli medici sia delle strutture sanitarie. Il problema è serio, e molte organizzazioni
di rappresentanza concordano sul fatto che il legislatore debba urgentemente porvi rimedio. A
chiedere una radicale riforma della disciplina della responsabilità professionale sono tutti i sindacati
medici (Anaao, Cgil Medici, Cimo, Fimmg), ma anche Fiaso e Fnomceo.
Tabella 3 – Il lobbying
Gruppo Issues Alleati Avversari n° audizioni
parlamentari
(anni 2009-
3 I dati su cui si basa il quarto paragrafo sono desunti dalle interviste effettuate ai responsabili dei gruppi d’interesse e
dalla rassegna stampa – in relazione alle annate 2012 e 2013 – dei principali quotidiani nazionali (Il Corriere della
Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, La Stampa), del periodico il Sole 24 Ore-Sanità e del sito online Quotidiano Sanità.
Il numero delle audizioni parlamentari è stato rilevato dai siti web di Camera e Senato.
10
2013)
Aiop Contro i tagli al SSN
Più risorse ai fornitori privati
Nuovi standard ospedalieri (contro riduzione posti
letto).
Tariffe ospedaliere (parità pubblico-privato)
Confindustria
Aris
Federanisap
Fiaso;
Cgil
5
Anaao-Assomed Rinnovo del contratto
Stabilizzazione dei lavoratori precari
Difesa del SSN contro i tagli
Riforma della responsabilità professionale
Coinvolgere i medici nella governance del sistema
No all’ampliamento delle competenze
infermieristiche
Fvm
Cgil Medici;
Cisl Medici
Cimo
Ipasvi 5
Cgil Medici Riforma della responsabilità professionale
Stabilizzazione lavoratori precari
Difesa del SSN contro i tagli
Riorganizzazione delle cure primarie
Favorevole all’ampliamento delle competenze
infermieristiche
Cisl Medici;
Anaao;
Cittadinanzattiva
Aiop 5
Cimo-Asmd Riforma del titolo V della Costituzione
Status giuridico del medico
No all’ampliamento delle competenze
infermieristiche
Riforma della responsabilità professionale
Fesmed;
Anpo;
Sumai;
Cittadinanzattiva
Cgil Medici
3
Cittadinanzattiva Difesa del SSN contro i tagli
Riduzione delle liste d’attesa e degli errori
Tutela delle malattie croniche e rare
Garanzia e aggiornamento dei LEA
Riorganizzazione della rete ospedaliera e delle cure
territoriali
Anaao;
Cgil Medici;
Ipasvi;
Fiaso
9
Farmindustria No ai tagli alla spesa farmaceutica
Libertà prescrittiva dei medici. Contro prescrizione
dei farmaci generici.
Accorciare i tempi di accesso dei nuovi farmaci
Accorciare i tempi di pagamento delle aziende
sanitarie
Assogenerici 10
Federfarma A favore della farmacia dei servizi
Remunerazione delle farmacie e rinnovo della
convenzione.
No alle liberalizzazioni
No ai tagli alle farmacie
Fofi
Sifo
Parafarmacie 4
Fiaso Responsabilità professionale e copertura
assicurativa
Difesa del SSN contro i tagli
Rilanciare l’aziendalizzazione
Agenas
Cittadinanzattiva
Censis
7
Fimmg Valorizzazione della professionalità del medico
Riorganizzazione delle cure primarie
Rinnovo della convenzione
Riforma del titolo V della Costituzione
Difesa del SSN contro i tagli
Sumai;
Fimp;
Anaao;
Cimo-Asmd
Snami;
Smi
6
Fnomceo Riforma della responsabilità professionale
Formazione del medico
15
Ipasvi Ampliamento delle competenze infermieristiche
Difesa del SSN contro i tagli
Stabilizzazione dei lavoratori precari
Cittadinanzattiva
Anaao;
Cimo
4
Emerge poi come diversi dei gruppi selezionati esprimano un giudizio apertamente negativo del
cosiddetto «federalismo sanitario»: come confermato anche in diverse occasioni pubbliche, i
rappresentanti di Anaao, Cimo, Fimmg, Cittadinanzattiva e Farmindustria si dichiarano preoccupati
delle disparità che si riscontrano tra una regione e l’altra, e reclamano una revisione del titolo V
11
della Costituzione che rafforzi le competenze del governo centrale. Dalle interviste effettuate
emerge anche una generale insoddisfazione riguardo alla governance a livello centrale. Il peso del
Ministero dell’Economia viene generalmente considerato eccessivo, a scapito del Ministero della
Salute.
Ma c’è un tema che – più degli altri – sembra mettere d’accordo tutti i gruppi: la salvaguardia del
Servizio Sanitario Nazionale e la necessità che esso sia adeguatamente finanziato. Seppure con
sfumature differenti, non c’è gruppo che non abbia criticato i recenti tagli al fondo sanitario
nazionale. Per chi conosce il nostro sistema sanitario, la cosa non sorprende più di tanto: in Italia
anche la sanità privata è infatti legata a doppio filo alle sorti del Servizio sanitario nazionale
[Mapelli 2012; Toth 2014]. I medici di famiglia e gli specialisti ambulatoriali, ad esempio, pur non
essendo dipendenti del SSN, intrattengono comunque con esso un rapporto di convenzione. Anche
la maggior parte delle case di cura private e le farmacie sono convenzionate con il servizio
pubblico. E l’ammontare della spesa farmaceutica – cui sono fortemente interessate sia Federfarma
sia Farmindustria – è calcolato in proporzione al fondo sanitario nazionale. Insomma, tutti i gruppi
– pazienti compresi – hanno un forte interesse che il servizio sanitario pubblico sia adeguatamente
finanziato: i tagli al fondo sanitario nazionale si ripercuotono infatti su tutti i comparti del settore
sanitario, nessuno escluso.
4.2 Il policy network: gruppi alleati e avversari
Ci sono naturalmente temi su cui i gruppi sono invece in contrapposizione tra loro. Ed è proprio su
questi temi più controversi che si formano coalizioni contrapposte, in base a cui un gruppo definisce
i propri alleati ed avversari (vedi tabella 3).
Alcune linee di frattura appaiono profonde e consolidate, in quanto rispecchiano le diverse visioni e
i valori di fondo dei singoli gruppi. Come si è già accennato in precedenza, i sindacati possono
essere distinti in base alla concezione che essi rivelano del ruolo del medico: soggetti come Cimo e
Fimmg insistono fortemente sulla natura professionale del medico e si considerano pertanto
antagonisti alla Cgil, che – a loro dire – assimila invece i medici agli altri dipendenti e dirigenti
pubblici. Prova ne è il fatto che la Cgil – nell’ambito di una complessiva riforma della medicina di
base – paventi la possibilità di far passare i medici di famiglia alle dipendenze del SSN; la Fimmg è
invece fortemente contraria.
L’associazione italiana dell’ospedalità privata (Aiop) ha pubblicato negli ultimi anni diversi
rapporti tesi a mostrare come gli ospedali privati italiani siano mediamente più efficienti dei loro
corrispettivi pubblici; in virtù di questo, Aiop chiede ai policy makers – nazionali e regionali – di
destinare una quota maggiore del budget sanitario proprio ai fornitori privati. Naturalmente la Fiaso,
che rappresenta le aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche, dissente su entrambi i punti. Contro un
12
aumento del ruolo dei fornitori privati convenzionati è anche la Cgil, che si è trovata in disaccordo
rispetto ad Aiop anche in occasione del recente rinnovo del contratto di settore.
Ormai da diversi anni si discute della possibilità di ampliare le competenze degli infermieri: tale
istanza è evidentemente prioritaria per Ipasvi, ed è vista con favore anche dalla Cgil Medici.
Decisamente contrari all’ampliamento delle competenze infermieristiche sono invece Anaao e
Cimo.
Nel corso delle interviste effettuate, è capitato che un gruppo indicasse un altro come avversario,
ma non viceversa; o che un gruppo venisse etichettato al tempo stesso sia avversario sia alleato. In
alcuni casi, i rapporti che intercorrono tra i gruppi sono ambivalenti: è facile infatti che due gruppi
si trovino d’accordo su alcune rivendicazioni, ma siano in contrasto su altre. Le definizioni di
«alleato» e di «avversario» finiscono quindi per essere legate a situazioni contingenti, e mutano a
seconda dello specifico tema all’ordine del giorno [Baumgartner e Leech 1998].
Si tenga presente che i gruppi hanno spesso due esigenze contrastanti. Da un lato, può convenire
distinguersi dagli altri gruppi e combattere alcune battaglie da soli, in modo anche da aumentare la
propria visibilità. Dall’altro, soprattutto su certe rivendicazioni, conviene invece stringere alleanze
con altri gruppi, in modo da presentarsi davanti all’opinione pubblica e ai decision makers
formando un fronte più ampio e maggiormente rappresentativo dell’intera categoria.
Non è d’altronde infrequente che i gruppi intraprendano iniziative comuni e formino delle
coalizioni [Schlozman e Tierney 1986]; tali coalizioni possono essere più o meno formalizzate, e
più o meno durature [Mattina 2010]. Anaao, Cimo e Cgil, ad esempio, prendono spesso
pubblicamente posizione utilizzando la comune insegna della «intersindacale medica», cui
partecipano – oltre a quelle appena menzionate – anche altre sigle sindacali (Sumai, Fesmed, Anpo,
Cisl, FVM, Aaroi, e altre ancora). Quattro gruppi, apparentemente scollegati tra loro, come Anaao,
Cimo, Federfarma e Cittadinanzattiva hanno invece recentemente istituito un «Tavolo per la
protezione e la qualità del SSN». Sempre di recente, Cittadinanzattiva e Farmindustria hanno
promosso un’iniziativa congiunta in materia di farmaci innovativi.
Come s’intuisce anche dagli ultimi esempi riportati (ma lo stesso emerge dalle interviste effettuate),
Cittadinanzattiva sembra essere il gruppo – tra quelli qui considerati – con il più ampio «potenziale
di coalizione»: essa partecipa infatti a molteplici iniziative congiunte e viene considerata da diversi
degli altri gruppi come un possibile partner con cui collaborare.
4.3 Strategie di lobbying diretto e indiretto
Per tutelare i propri interessi e per perorare le proprie istanze, i gruppi possono scegliere tra forme
dirette e indirette di lobbying [Binderkrantz 2005]. Le prime sono finalizzate ad avere un contatto
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diretto con i legislatori, al fine di far loro presente le preferenze del singolo gruppo. Rientrano
pertanto nel lobbying diretto gli incontri con il ministro, i sottosegretari, i singoli parlamentari.
Per lobbying indiretto si intendono invece le iniziative pubbliche mirate a sensibilizzare l’opinione
pubblica su determinati temi e a mostrare la capacità di mobilitazione dei singoli gruppi: le
manifestazioni pubbliche, le campagne di comunicazione, gli scioperi e le altre forme di protesta;
tali forme di mobilitazione sono da ritenersi indirette in quanto puntano a mettere pressione sui
legislatori attraverso il condizionamento dell’opinione pubblica.
Le audizioni parlamentari e i contatti diretti con i legislatori
Trattando delle forme di lobbying diretto, un interesse particolare rivestono le audizioni
parlamentari. Queste ultime, come confermano diverse ricerche [Schlozman e Tierney 1986;
Baumgartner e Leech 1998], sono tra le tattiche di lobbying più utilizzate dai gruppi di interesse:
esse consistono infatti in occasioni formalizzate in cui i gruppi hanno modo di presentare
direttamente ai legislatori le proprie istanze. E’ bene mettere subito in chiaro che, di per sé, l’essere
invitati a intervenire durante i lavori di una commissione parlamentare non è necessariamente
indicativo dell’influenza di un gruppo [Maloney et al. 1994; Mattina 2010]: alcuni soggetti
potrebbero essere chiamati spesso in parlamento ma vedere poi le proprie richieste sistematicamente
disattese; viceversa, un gruppo d’interesse potrebbe essere molto influente, ma non comparire mai
in parlamento. L’audizione parlamentare va allora considerata più che altro come un
riconoscimento che viene dato al gruppo: di rappresentare – agli occhi dei parlamentari – un
interlocutore legittimo e di essere portatore di interessi in qualche misura rilevanti; una sorta di
attestato di legittimità istituzionale.
Diamo dunque un’occhiata al numero di audizioni parlamentari cui i singoli gruppi d’interesse sono
stati invitati nel corso del quinquennio 2009-13. Emergono interessanti differenze.
Fnom-Ceo emerge di gran lunga come il gruppo più ascoltato, con 15 audizioni presso le
commissioni dei due rami del Parlamento. Hanno frequentato assiduamente le commissioni anche
Farmindustria e Cttadinanzattiva, rispettivamente 10 e 9 audizioni, mentre per Fiaso e Fimmg sono
state contate 7 e sei audizioni. Minore la frequenza rilevata per i sindacati medici: in questo caso si
può presumere che molte delle questioni oggetto delle audizioni, in particolare su questioni tecnico-
giuridiche riguardanti la professione, vengano assolte in maniera esclusiva dall’Ordine (Fnom-Ceo).
Se il numero delle audizioni parlamentari viene considerato – ma, ripetiamo, non è detto che lo sia –
un indicatore della rilevanza istituzionale di un gruppo e della sua «familiarità» con i decision
makers, si dovrebbe concludere che alcuni gruppi sono interlocutori privilegiati dei parlamentari,
altri gruppi lo sono meno.
Il numero sulle audizioni parlamentari può essere incrociato con un altro dato che abbiamo chiesto
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ai responsabili dei gruppi in apposite interviste: è stato loro domandato con quale frequenza il
gruppo ha avuto la possibilità, nel corso dei 12 mesi precedenti l’intervista, di contattare
direttamente il ministro della Salute, il rispettivo sottosegretario, e i membri delle commissioni
parlamentari che si occupano della materia sanitaria. Solo due gruppi, Cgil Medici e Ipasvi, hanno
dichiarato di non intrattenere rapporti «frequenti» con il ministro. Gli altri gruppi ci hanno invece
risposto di avere «spesso» un rapporto diretto con il ministro e, nella maggioranza dei casi, anche
con alcuni componenti delle commissioni parlamentari.
A proposito di commissioni parlamentari, si può mettere in luce un aspetto. La domanda principale
che è alla base di questa ricerca riguarda le modalità con cui i gruppi d’interesse prendono contatto
e interagiscono con i decisori politici, con il dichiarato intento di influenzarne le decisioni. Nel far
questo, alcuni gruppi professionali sembrano godere di un indiscutibile vantaggio.
Se guardiamo infatti alla professione dei parlamentari eletti nella XVII legislatura (insediatasi nel
Marzo 2013), scopriamo che in Senato siedono ben 27 medici, alla Camera dei Deputati 17: ciò
significa che su 945 eletti in parlamento, il 4,7% sono medici. Non sono tante le professioni che
possono vantare una rappresentanza parlamentare così nutrita.
Nelle precedenti legislature, la presenza di medici in parlamento era ancora superiore: considerando
le ultime sei legislature – dal 1994 in avanti, quella che viene comunemente chiamata la «Seconda
repubblica» – la percentuale di parlamentari medici è stata in media del 6,4%. Se si considera che in
Italia abbiamo circa 6 medici (iscritti all’albo, non tutti sono poi praticanti) ogni 1.000 abitanti, ciò
significa che in parlamento abbiamo una concentrazione di medici che è dieci volte superiore a
quella che riscontriamo nella società [Toth 2012].
Essere ben rappresentanti in assemblea potrebbe tuttavia non essere sufficiente: per tenere sotto
controllo l’intero processo legislativo, bisogna anche saper presidiare le commissioni parlamentari
che si occupano dei temi di proprio interesse. Al Senato, la commissione Igiene e Sanità è costituita
da 24 componenti: dieci di essi sono medici. Alla Camera, le iniziative di legge in materia sanitaria
sono invece di competenza della commissione Affari Sociali; quest’ultima si compone di 34
deputati, 17 dei quali – esattamente la metà – sono medici.
Conclusione: le audizioni e i contatti personali con i parlamentari saranno anche importanti, ma i
medici – essendo già presenti in massa in commissione – sembrano averne meno bisogno degli altri
gruppi.
L’arma dello sciopero e della manifestazione pubblica
Per esercitare pressione sui decision makers, alcuni gruppi fanno uso di forme indirette di lobbying,
ricorrendo a manifestazioni pubbliche di protesta e, in alcuni casi, allo sciopero. Tali forme di
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azione non hanno il solo scopo di veicolare il proprio dissenso; le manifestazioni pubbliche
ottengono visibilità mediatica, e servono anche a mostrare la vitalità di un gruppo e la sua capacità
di mobilitare i propri simpatizzanti [Gais e Walker 1991; Binderkrantz 2005].
Nel Giugno 2012 alcuni sindacati medici hanno proclamato una giornata nazionale di mobilitazione
in difesa della sanità pubblica: il cosiddetto «Sanità Day», cui hanno aderito Anaao, Cimo, Cgil
Medici e Fimmg. A qualche mese di distanza, il 27 Ottobre 2012, è stata organizzata a Roma
un’ulteriore manifestazione pubblica sempre in difesa del SSN: oltre ai sindacati (Anaao, Cimo,
Cgil, Fimmg) hanno dato la propria adesione anche Fnomceo, Cittadinanzattiva e Ipasvi. I sindacati
medici hanno poi proclamato uno sciopero nazionale nel Luglio 2013, per richiedere lo sblocco dei
contratti e la stabilizzazione dei medici precari; a tale sciopero hanno preso parte Anaao, Cimo e
Cgil Medici.
Oltre alle iniziative appena menzionate, Cimo-Asmd nel corso del biennio 2012-13 ha aderito a un
paio di altri scioperi (quello dei punti nascita nel Febbraio 2013, e quello dei medici ortopedici nel
Luglio 2013). Mentre la Cgil ha promosso nel Luglio del 2012 varie iniziative – in diverse città
italiane – per protestare contro i tagli al SSN, e nel Dicembre 2012 ha protestato contro Aiop per il
rinnovo del contratto della sanità privata.
Anche Federfarma si è mobilitata contro la spending review del governo Monti: nel Luglio 2012 è
stata attuata una serrata delle farmacie private di tutta Italia; sempre Federfarma, qualche mese
prima (nel Febbraio 2012), aveva minacciato uno sciopero (poi rientrato) contro le liberalizzazioni
paventate dal governo.
E’ forse superfluo constatare come a utilizzare lo strumento dello sciopero siano soprattutto le
organizzazioni sindacali. D’altronde, a gruppi come Ipasvi (i collegi degli infermieri), Fnomceo (gli
ordini dei medici) o Fiaso (le aziende sanitarie pubbliche), considerata la loro natura «istituzionale»,
la strada dello sciopero è di fatto preclusa. Ma anche soggetti come le case farmaceutiche e le
associazioni dei pazienti è difficile che possano ricorrere all’arma dello sciopero: tutt’al più essi
possono promuovere iniziative pubbliche (come nel caso di Cittadinanzattiva), o dichiarare lo «stato
di agitazione» del comparto (come ha fatto recentemente Farmindustria per protestare contro alcune
misure contenute nella legge di stabilità 2014).
4.4 La visibilità mediatica
Come si è visto in precedenza (tabella 2), i gruppi d’interesse investono molto nella comunicazione
esterna. La maggior parte dei gruppi ha infatti almeno un paio di unità di personale esclusivamente
dedicate all’ufficio stampa e comunicazione. Sarebbe interessante, a questo punto, capire quanto
queste strategie di comunicazione risultino efficaci.
Per saggiare la «visibilità mediatica» dei singoli gruppi possiamo utilizzare un semplice indicatore:
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quante volte negli ultimi due anni ogni gruppo è stato menzionato sugli organi di stampa. A tale
scopo, sono stati selezionati i principali quotidiani nazionali (Il Corriere della Sera, La Repubblica,
La Stampa, Il Sole 24 Ore), cui sono stati aggiunti due organi ritenuti di riferimento tra gli addetti ai
lavori, ovvero il settimanale Il Sole 24 Ore-Sanità e l’organo di informazione online Quotidiano
Sanità. La ricerca ha riguardato le intere annate 2012 e 2013.
Dai dati raccolti, emerge che i gruppi maggiormente citati sui quotidiani «generalisti» sono,
nell’ordine: Federfarma, Fimmg e Farmindustria; il gruppo meno citato è Fnomceo. Sui due giornali
specializzati (Il Sole 24 Ore-Sanità e Quotidiano Sanità) il gruppo più frequentemente menzionato
è invece la Cgil (tutta la Cgil FP, non solo Cgil Medici), seguita da Anaao, Federfarma e Fimmg; il
gruppo citato meno di frequente, in questo caso, è Aiop.
Anche qui, si potrebbe obiettare che essere presenti sui giornali non significhi necessariamente
avere influenza sui decision makers; è però innegabile che avere facile accesso ai media costituisce
un atout da cui i gruppi possono trarre grande vantaggio.
Va infine menzionato che alcuni gruppi riescono ad ottenere visibilità mediatica anche tramite la
pubblicazione di studi e rapporti di settore. Si può ad esempio citare il rapporto annuale di Aiop
«Ospedali & Salute»; tale pubblicazione è oggetto di periodiche critiche da parte dei vertici di
Fiaso, che contestano la definizione degli sprechi che, in quella sede, vengono imputati alle strutture
pubbliche. La federazione delle aziende sanitarie pubbliche, dal canto suo, cura numerose
pubblicazioni, fra cui i «libri bianchi della sanità», che invece tendono a valorizzare le esperienze
positive dell’ospedalità pubblica e a sottolinearne la fondamentale importanza ai fini del
raggiungimento degli standard minimi di efficacia del SSN. Vanno segnalati inoltre i rapporti
periodici sulle biotecnologie e sull’industria del farmaco pubblicati da Farmindustria. Mentre
Cittadinanzattiva pubblica da diversi anni il rapporto «PiT Salute» (che raccoglie ogni anno
migliaia di reclami e segnalazioni da parte dei pazienti) e a partire dal 2011 anche un rapporto
annuale sullo stato del federalismo sanitario. Tutte quelle appena menzionate sono pubblicazioni
che godono di larga diffusione tra gli addetti ai lavori: servono a segnalare problemi, ad avanzare
possibili soluzioni e soprattutto a diffondere dati cui anche i principali quotidiani «generalisti» – al
momento dell’uscita dei rapporti – danno solitamente grande risalto.
5. Processi decisionali
Ci concentriamo ora sul lobbying come parte integrante dei processi di policy. Verranno presi in
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considerazione tre iter legislativi del settore; per ognuno evidenzieremo le poste in gioco per i
gruppi interessati, cercando di valutare la loro influenza nel law making. L'analisi si concentra
quindi sull'agenda istituzionale e la sua traduzione in un atto normativo, tralasciando le non meno
importanti fasi che precedono la calendarizzazione e implementazione di un procedimento.
I primi due processi sono contenuti all'interno di uno stesso atto normativo. Si tratta del decreto
legge del 13 settembre 2012, n. 158, meglio noto come decreto Balduzzi, dal nome del ministro
allora in carica, e successivamente convertito in legge con modifiche (legge 8 novembre 2012, n.
189). In particolare verranno esaminate le posizioni e le interazioni fra i gruppi con riferimento agli
articoli 1 e 4 del testo. Il primo affronta il tema delle cure primarie, ovvero dell'organizzazione
territoriale dei servizi di medicina generale. Il secondo riguarda invece il c.d. governo clinico,
disciplinando alcuni aspetti della governance delle aziende ospedaliere. Il decreto Balduzzi si
inserisce in un dibattito più ampio e risalente nel tempo in merito ai temi della sostenibilità e
dell'efficacia del SSN. È sempre in questo contesto che si colloca il terzo processo che ha per
oggetto le norme volte al contenimento della spesa farmaceutica contenute all'articolo 15 del
decreto sulla revisione della spesa, varato nel luglio del 2012. In questo caso, oltre ai rappresentanti
dei medici e delle aziende sanitarie, sono coinvolte le organizzazioni di rappresentanza
dell'industria farmaceutica.
5.1 La riforma delle cure primarie
Uno dei punti caratterizzanti del DL Balduzzi riguarda l'organizzazione dei servizi socio-sanitari sul
territorio. L'articolo 1 del testo interviene direttamente sul decreto legislativo n. 502 del 1992. A
vent'anni di distanza dall'atto che avviò la riforma del SSN e dopo numerosi interventi di
“manutenzione istituzionale”, il governo Monti ha messo in agenda un intervento annunciato come
radicale cambiamento dei rapporti che intercorrono fra sistema ospedaliero e territorio. In
particolare, l'oggetto della disciplina sono le prestazioni fornite dai medici di medicina generale
(MMG); questa categoria comprende al suo interno i medici di famiglia, i pediatri di libera scelta e
la guardia medica; i medici di medicina generale possono accedere a questi diversi ruoli attraverso
specifiche graduatorie regionali e, successivamente, stipulando una convenzione con il SSN [Toth
2012]. Più in generale, l'intervento s’inserisce all'interno di un piano complessivo di ristrutturazione
dell'accesso alle cure, che punta a valorizzare organizzazioni decentrate che consentano il
decongestionamento degli ospedali. Questo processo è composto di numerosi interventi che toccano
il modo in cui la professione medica può essere esercitata sul territorio, incidendo sul maggiore o
minore grado di indipendenza dei medici.
Un primo aspetto molto discusso riguarda la possibilità per i medici di organizzarsi in forme
associate, siano esse a carattere mono o multi-professionale. L'idea di fondo è quella di superare il
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modello del medico di famiglia che lavora individualmente. In quest'ottica vanno le norme del
decreto che obbligano le costituende strutture associate a erogare servizi durante l'arco delle 24 ore.
I sindacati medici hanno inizialmente accolto con favore le innovazioni contenute nel decreto legge,
che in buona parte ribadivano principi già contenuti all'interno delle convenzioni stipulate negli anni
precedenti: questa la linea assunta da Fimmg nell’estate del 2012. Il principale sindacato dei medici
di base, infatti, poteva allora ritenersi soddisfatto della non obbligatorietà delle forme associative
previste. Il testo del decreto prevedeva infatti la possibilità di dar vita sia ad «Aggregazioni
funzionali territoriali» di medici – una forma di coordinamento fra medici di famiglia, i cui dettagli
operativi sono da definire in sede di contrattazione decentrata – così come ad «Unità complesse di
cure primarie», che invece prefigurano delle organizzazioni a struttura più rigida, a carattere multi-
professionale e con la presenza anche di personale dipendente dalle Asl. Fortemente contrari a
quest'ipotesi di riorganizzazione i medici aderenti allo Smi, sindacato che si distingue per il
mantenimento dell'assetto precedente, denunciando i tentativi di riorganizzazione come una
minaccia nei confronti del rapporto di fiducia fra medico e paziente. Sul fronte diametralmente
opposto si colloca la Cgil Medici, che ha criticato il decreto e le sue successive modifiche sino alla
conversione, per la scarsa cogenza delle norme concernenti la riorganizzazione dell'assistenza
territoriale. Nella proposta formulata dalla Cgil al ministro Balduzzi spicca la previsione
dell'obbligo di associazione per i medici di medicina generale4. Una prospettiva ugualmente critica,
ma da un diverso punto di vista, è quella di Ipasvi, che ha lamentato l'eccessiva attenzione sulla
figura del medico, senza dare risalto alle professionalità infermieristiche.
Altri punti salienti del decreto legge riguardano l'accesso alla professione ed il metodo di
retribuzione dei medici di base. Fino ad oggi, per accedere diversi ruoli in cui si suddivide la
medicina generale occorreva iscriversi a specifiche graduatorie stilate dalle regioni. Gli aspetti
specifici dei diversi ruoli – medico di famiglia, pediatra di libera scelta, guardia medica – erano
fissati da apposite convenzioni. Il DL Balduzzi ha aperto ad un superamento di quest'assetto
prevedendo la costituzione del c.d. «ruolo unico», cioè dell'unificazione dei diversi canali di
accesso alla professione. Per quanto l’introduzione del ruolo unico sia stata richiesta da pressoché
tutti i gruppi e dai governi regionali, le posizioni di questi attori divergono sensibilmente se si passa
a considerare gli aspetti più concreti di questa riorganizzazione. Per la Cgil Medici, infatti, il ruolo
unico è solo il primo passo per una progressiva estinzione delle differenze esistenti. In particolare,
questo gruppo ha insistito sul superamento dell’attuale servizio di guardia medica e sulla
progressiva parificazione dei professionisti impiegati in questo servizio ai medici di famiglia. Sul
fronte opposto, lo Smi, oltre a proporre numerosi addenda ai commi riguardanti la copertura da
parte di Stato e regioni delle spese a cui i medici potrebbero incorrere in caso di riorganizzazione
4 Cgil Medici, Assistenza continua h24 nel distretto socio-sanitario. La proposta della CGIL, p. 4.
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funzionale, si è contraddistinto per marcare ulteriormente la differenza fra medici di famiglia e di
guardia medica, proponendo esplicitamente per questi ultimi il passaggio ad un regime contrattuale
di dipendenza5.
Su entrambe le questioni, le posizioni dei medici si sono dovute confrontare – e in parte
ricompattare – dopo l'ingresso delle regioni nella partita degli emendamenti. I presidenti regionali si
sono infatti dichiarati profondamente insoddisfatti della prima versione del decreto, giudicata meno
avanzata, da un punto di vista dei modelli organizzativi, rispetto ad esperienze già in corso di
sperimentazione in alcune realtà. In seconda battuta, è stata aspramente criticata l'assenza di
previsioni di spesa per far fronte ai cambiamenti indicati. Il testo del primo articolo del DL Balduzzi
è stato così oggetto di un'agguerrita battaglia nelle commissioni. I primi tre commi del testo
attualmente in vigore sono stati aggiunti ex-novo e riscrivono in maniera sostanziale il riparto delle
competenze relativo all'organizzazione territoriale delle cure primarie. Le regioni hanno ottenuto un
ulteriore riconoscimento a normare in autonomia questo settore della filiera, senza tuttavia ottenere
lo sperato superamento dello strumento delle convenzioni regionali quale sede in cui definire le
modalità di attuazione delle previsioni legislative nazionali. Lo stesso discorso vale per il ruolo
unico, previsto dal testo in vigore, ma la cui definizione sarà oggetto di contrattazione nazionale e
decentrata. Anche il presidente di Fiaso, Giovanni Monchiero, ha criticato il rinvio alle convenzioni
come strumento di implementazione.
Questa vicenda non permette una conclusione definitiva circa l'influenza di ciascun gruppo. Nel
campo medico è possibile affermare che i gruppi con posizioni più “massimaliste” - Cgil Medici e
Smi – non abbiano ottenuto dal processo il risultato desiderato: i primi per difetto, i secondi per
eccesso di riforma. Più complesso il discorso per Fimmg. Si tratta infatti del sindacato medico più
numeroso che contiene al suo interno diverse componenti. Aver ribadito la centralità delle
convenzioni come sede di implementazione della riforma è senz'altro un risultato positivo, che
permette di continuare a spendere la propria influenza a livello locale. Di complessa valutazione la
partita delle regioni. Queste vedono ribadite le proprie potestà organizzative, anche se dovranno
accettare di condividere le proprie scelte con le sigle mediche. Saranno certamente più scontente le
regioni con politiche sanitarie più avanzate sul lato della programmazione dei servizi e della loro
organizzazione sul territorio, che hanno perso un'occasione per rafforzare alcuni dei processi già
avviati nel proprio territorio.
5.2 Il governo clinico
L'art. 4 del DL Balduzzi disciplina diversi aspetti che riguardano la governance delle aziende
5 Emendamenti Smi al DL 13 settembre 2012, n. 158. La gran parte degli emendamenti Smi non sono stati recepiti in
sede di conversione.
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sanitarie. Il tema più caldo è senz'altro quello dei criteri di nomina del direttore generale e dei
dirigenti di struttura complessa; hanno destato interesse anche le norme che intervengono sulla
valutazione dei dirigenti medici.
Se si prende il tema delle nomine, ad esempio, i gruppi con una preferenza più intensa sono quelli
che rappresentano i medici. In particolare Anaao-Assomed, Cgil Medici e Cimo-Asmd hanno da
sempre manifestato la volontà di depoliticizzare le nomine all'interno delle strutture ospedaliere, in
favore di una maggiore autonomia della professione; su questo fronte sono pertanto alleati contro le
regioni, che a loro volta cercano di ampliare le loro prerogative in tema di organizzazione.
Analogamente a quanto avvenuto per le cure primarie, la battaglia è avvenuta fra settembre e
novembre del 2012. Anche in questo caso il testo del decreto aveva incontrato un accoglienza
prevalentemente positiva da parte dei sindacati medici. Nelle settimane seguenti la prima stesura del
decreto, infatti, il presidente di Anaao-Assomed, Costantino Troise, ha dichiarato di apprezzare la
nuova procedura per la nomina dei DG, che prevedeva la scelta da un elenco di idonei, aggiornato
periodicamente da “una commissione costituita in prevalenza da esperti indicati da qualificate
istituzioni scientifiche indipendenti dalla regione medesima”6, manifestando però apprensione
riguardo alla certa mobilitazione delle regioni sulla questione. Posizioni analoghe sono state
espresse da Riccardo Cassi di Cimo-Asmd e Massimo Cozza di Cgil Medici7. Anche Amedeo
Bianco, presidente di Fnomceo, ha manifestato il suo supporto alle norme volte a ridurre la
discrezionalità delle regioni in tema di nomine8. Il pressing dei governi regionali è stato in effetti
all'altezza dei timori dei medici, tanto che la riscrittura del testo del decreto in sede di conversione
ha rimesso nella piena disponibilità delle regioni le nomine sui DG, che avvengono ora “secondo
modalità e criteri individuati dalla regione, da parte di una commissione costituita dalla regione
medesima”9. Nel testo finale, scompare anche la norma sul limite dei 65 anni per l'incarico di DG,
che era stata criticata da Fiaso.
Altro tema oggetto di intensa attività di lobbying riguarda la facoltà delle aziende ospedaliere e
segnatamente dei direttori generali di affidare incarichi a tempo determinato sia per funzioni di
carattere strategico che per ruoli dirigenziali. Tale possibilità è stata introdotta dalla riforma Bindi,
nel 1999, all'insegna di un'impostazione managerialista che ha costituito uno dei cleavage che
separano Cimo-Asmd – fortemente critico – da Anaao-Assomed, che sposò allora il disegno, ma
che ha progressivamente rivisto le proprie posizioni10. Nel luglio del 2012, quando il DL Balduzzi
era ancora in fase di elaborazione, la spending review (Dl 95/2012) sospese improvvisamente la
possibilità di ricorrere a contratti a tempo determinato da parte delle aziende ospedaliere. Nella sua 6 DL 13 settembre 2012, n. 158, art. 3 c. 1 (a). 7 “Decretone, critiche dei sindacati alle prime proposte delle Regioni”, Sole 24 Ore – Sanità, 3 settembre 2012. 8 B. Gobbi, “Risposte all'impasse del SSN”, Sole 24 Ore – Sanità, 25 set.-1 ott. 2012. 9 DL 13 settembre 2012, n. 158, art. 3 c. 1 (a), modificato in sede di conversione dalla Legge 8 novembre 2012, n. 189. 10 Intervista a Riccardo Cassi, Presidente Cimo-Asmd.
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stesura originaria, il DL Balduzzi non prevedeva norme intese ad incidere su questi aspetti, tuttavia
la legge di conversione ha recepito degli emendamenti che rendono possibile il ricorso a queste
forme di impiego. Nello specifico sono stati inseriti dei tetti massimi – espressi in punti percentuali
della pianta organica – di personale medico assumibile in queste modalità, andando incontro alle
richieste di Fiaso, che ha mantenuto una valutazione positiva di questa esperienza11.
In questo processo le regioni escono senza dubbio vincitrici e con loro Fiaso. Le prime hanno
mantenuto un elevato livello di discrezionalità nella delicata partita sulle nomine dei DG, mentre le
aziende sanitarie possono continuare a gestire il personale con margini di flessibilità.
5.3 Il contenimento della spesa farmaceutica
Nell'estate del 2012, il governo Monti ha varato il decreto legge n. 95 contenente “Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”, meglio noto
come spending review. La filosofia di fondo era quella di contenere i costi delle amministrazioni
pubbliche di cui, come noto, quelli relativi al SSN rappresentano una delle voci più consistenti. Le
nuove norme vanno a incidere sull'articolo 5 del Decreto n. 159 del 2007, rivedendo al ribasso i tetti
di spesa pubblica impiegata nell'acquisto di farmaci. Questa voce ha sostanzialmente due
componenti: la prima è data dall'acquisto di prodotti da parte delle strutture del SSN; la seconda è
invece una spesa indiretta e costituisce un sussidio che copre le spese per i prodotti farmaceutici
convenzionati acquistabili dai cittadini su prescrizione medica.
Per far fronte a questi tagli, la revisione della spesa ha scommesso sui possibili risparmi che
possono crearsi da una più stringente regolamentazione della spesa farmaceutica dal maggiore
utilizzo dei farmaci generici. Le misure che sono state maggiormente dibattute hanno infatti
riguardato “gli sconti” che lo Stato impone a farmacie convenzionate ed aziende produttrici. Per le
prime, gli sconti sono stati innalzati dall'1,85% al 3,65%; raddoppiati anche gli sconti a carico delle
aziende produttrici, che raggiungono il 6%. Per le case farmaceutiche si è poi introdotto l'obbligo a
pagare di tasca propria per eventuali sforamenti dei budget regionali per gli acquisti di farmaci.
Come prevedibile, tali misure hanno sin da subito scatenato feroci polemiche. Sul piede di guerra
Farmindustria e Federfarma. Entrambe le organizzazioni hanno sottolineato gli impatti negativi che
il provvedimento avrebbe avuto sulla filiere produttiva in termini occupazionali e, nel caso dei
produttori riuniti in Farmindustria, del potenziale di innovazione legato alla redditività generata dal
settore. I farmacisti, dal canto loro, hanno dato corpo alle loro proteste denunciando l'iniquità dei
tagli alla spesa farmaceutica: questi – a detta della presidente di Federfarma, Annarosa Racca – non
toccano gli acquisti di Asl e Ao – per le quali anzi sono possibili degli aumenti – mentre incidono
11 G. Monchiero, “Dalle cure primarie alla “terna”: cosa chiedono i direttori generali”, Sole 24 Ore – Sanità, 2-8 ottobre
2012.
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sulla spesa territoriale, che sarebbe invece da considerarsi “sotto controllo”12. A sostegno di
Farmindustria sono scese in campo le federazioni Cgil, Cisl e Uil del settore chimico e si è aggiunta
Federcongressi (l'associazione che dal 2004 rappresenta le imprese dedite alla convegnistica ed
all'organizzazione di eventi), che ha esortato il Governo “a riconsiderare ogni eventuale impatto
della spending review sull'industria farmaceutica, perché una dura reazione come quella che oggi
temiamo da parte di Farmindustria genererebbe un danno incalcolabile sia sull'industria
congressuale sia sull'indotto”13. Questo ampio e variegato schieramento ha trovato una sponda
importante nella dodicesima commissione del Senato – Igiene e Sanità – che ha espresso un parere
critico nei confronti del decreto, condizionando la sua approvazione alla recezione di misure in
grado di attenuare l'impatto sul tessuto industriale di riferimento e l'indotto da esso generato14.
Supporto all'azione del Governo è invece arrivato dal presidente di Assogenerici, Giorgio Foresti,
che ha sposato la logica del decreto, calcolando in 400 milioni di euro i risparmi annuali per le casse
pubbliche che potrebbero venire dalla diminuzione del 10% del costo dei farmaci e dall'aumento del
mercato dei generici.
La conversione del decreto è avvenuta il 7 agosto 2012. Sia Federfarma che Farmindustria sono
riuscite a contenere i danni. La mobilitazione di Federfarma ha avuto come effetto maggiormente
visibile una riduzione al 2,25% dello sconto da effettuare, anziché del 3,65% previsto dalla prima
stesura del decreto. Per le industrie lo sconto passa dal 6 al 4%, ma Farmindustria ha visto aprirsi in
quest'occasione un nuovo ed imprevisto fronte di lobbying. Nella legge di conversione, infatti,
viene recepito un nuovo comma (l'11-bis), che impone l'obbligo per i medici di indicare sulla ricetta
soltanto il nome del principio attivo in luogo del nome commerciale del farmaco. Si è trattato di un
duro colpo per Farmindustria. L’associazione, su questa materia, ha incassato l'appoggio di Fimmg,
che ha manifestato insoddisfazione per l'incertezza che le nuove norme possono ingenerare nel
comportamento dei medici di base. In settembre, il Ministro dello Sviluppo Economico, Corrado
Passera, ha recepito l'insoddisfazione del settore farmaceutico, aprendo un apposito “tavolo” per
concertare misure atte al suo rilancio. In quell'occasione, il presidente di Farmindustria, Massimo
Scaccabarozzi, ha ribadito l'iniquità della norma sul “principio attivo”, che in un solo mese avrebbe
fatto perdere alle imprese rappresentate il 10% del mercato15. Tale comunione d'intenti si è presto
manifestata in una modifica dell'articolo 11-bis, inserita in un decreto omnibus di ottobre. Se nel
testo di agosto il medico era tenuto ad “indicare solo la denominazione del principio attivo
contenuto nel farmaco” e l'indicazione del brand diventava una facoltà accessoria e non vincolante,
nella nuova formulazione la discrezionalità del medico aumenta. Questi può infatti prescrivere il
12 “Spending Review: Federfarma, 20 mila posti a rischio”, Sole 24 Ore Sanità, 9 luglio 2012. 13 “Spending review: allarme Federcongressi per i tagli alle industrie del farmaco”, Sole 24Ore Sanità, 13 luglio 2012. 14 Parere della 12a Commissione Permanente – Igiene e Sanità, Disegno di legge AS 3396, Roma 19 luglio 2012. 15 R. Turno, Il Ministro Passera apre il tavolo sulla farmaceutica, il Sole 24 Ore, 13 settembre 2012.
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principio attivo (la parola “solo” è stata cassata) “oppure la denominazione di uno specifico
medicinale a base dello stesso principio attivo accompagnata dalla denominazione di
quest'ultimo” e, in questo caso, il farmacista sarà tenuto a prescrivere il farmaco indicato, salvo
indicazione diversa del paziente.
La lobby farmaceutica è, quasi per antonomasia, una fra le più influenti. Le vicende narrate ne
restituiscono un'immagine meno sulfurea. La revisione della spesa ha infatti messo in luce come gli
interessi costituiti attorno al particolare mercato dei farmaci possano essere toccati, anche in
maniera significativa. L'obbligo di prescrizione medica del principio attivo, inserito in sede di
conversione, senza che il dibattito sul provvedimento ne avesse dato notizia, suggerisce che la forza
specifica di un gruppo non impedisce l'approvazione di misure che, almeno teoricamente, vanno
incontro agli interessi diffusi. C'è però un'altra faccia della medaglia, che restituisce agli interessi
farmaceutici l'influenza cui sono associati. Sia Farmindustria che Federfarma sono infatti riuscite a
contenere l'entità degli sconti proclamati d'ufficio dallo Stato, mobilitando un fronte di interessi che
va dall'industria chimica alla convegnistica. Le norme sul principio attivo, poi, indicano la grande
resilienza di questo nocciolo di interessi, grazie ad un'alleanza con Fimmg fondata sulla libertà
prescrittiva del medico.
6. Conclusioni: insider e outsider
Nella letteratura sui gruppi d’interesse e sulle strategie di lobbying, viene ampiamente utilizzata la
distinzione tra «insider» e «outsider» [Grant 1989; Maloney et al. 1994; Page 1999].
Per «insider» s’intendono i gruppi che vengono consultati regolarmente dai governanti, in quanto
reputati maggiormente legittimi e rappresentativi; tali gruppi vantano una più stretta frequentazione
dei policy makers (nel nostro caso: il ministro e i componenti delle commissioni parlamentari), e
preferiscono forme di lobbying diretto alle manifestazioni pubbliche.
I gruppi «outsider» sono invece quelli che i legislatori non riconoscono come interlocutori
privilegiati: essi sono solitamente esclusi dalle consultazioni e hanno con il ministro e con i
parlamentari rapporti più sporadici. Occupando una posizione più defilata rispetto alle più
importanti sedi decisionali, tali gruppi puntano meno sul lobbying diretto; per farsi notare e per far
valere le proprie istanze gli outsider si affidano piuttosto alle iniziative pubbliche e alle
manifestazioni di piazza.
All’interno dei gruppi insider, Wyn Grant [1989] distingue poi tra gruppi «high profile» «low
profile»: i primi sono quelli che ricercano un’elevata visibilità pubblica e che figurano spesso sui
mass media; i gruppi low profile, al contrario, sono quelli che rifuggono un’eccessiva esposizione
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mediatica e preferiscono operare in modo più discreto. In molti casi, la scelta tra «alto» e «basso»
profilo deriva dalla natura del gruppo e della rispettiva membership: è infatti plausibile che un
gruppo che sia in competizione con altri e che sia alla ricerca di nuovi associati dia maggiore
visibilità alle proprie attività, anche per mostrarsi all’opinione pubblica come un gruppo vitale ed
intraprendente. Altri gruppi non hanno tale esigenza, e preferiscono condurre la propria attività di
lobbying senza darvi troppa pubblicità.
Applicare la dicotomia insider-outsider agli undici gruppi selezionati per questa ricerca non è
operazione agevole. Il motivo è semplice: la ricerca ha inteso selezionare solo gruppi che fossero
altamente influenti nel settore sanitario. Tutti gli undici gruppi selezionati sono quindi – per
definizione – «insider». Tutti questi gruppi sanno essere influenti nel rispettivo settore d’intervento.
Premesso questo, è però anche vero che i gruppi mettono in atto strategie differenti.
Alcuni gruppi adottano infatti la tipica strategia dell’insider. Tra questi ricadono sicuramente Fiaso,
Farmindustria e Cittadinanzattiva. Questi tre gruppi sono quelli più frequentemente invitati in
audizione, dichiarano di avere frequenti rapporti con i legislatori, e non ricorrono a manifestazioni
pubbliche come lo sciopero. A prediligere forme di lobbying diretto sono anche Fnomceo e Aiop:
essi intrattengono frequenti rapporti diretti col ministro, e non ricorrono a mobilitazioni di piazza.
Se guardiamo alla visibilità mediatica, è interessante notare come i gruppi insider appena
menzionati – con l’eccezione forse di Farmindustria – siano in prevalenza «low profile».
Altri gruppi intrattengono rapporti più sporadici con il ministro e i parlamentari, mentre investono
molte energie in strategie indirette di lobbying. Rientrano sicuramente in questa seconda categoria
sia Cimo sia Cgil Medici: Cimo è stato invitato solo tre volte in audizione nell’ultimo quinquennio;
la Cgil Medici dichiara di non avere rapporti frequenti con i legislatori; entrambi i gruppi si sono
però dimostrati molto attivi nell’organizzare scioperi e manifestazioni di protesta.
Vi sono tre gruppi che sembrano miscelare, in parti uguali, forme di lobbying diretto e indiretto.
Questi gruppi sono Anaao, Fimmg, Federfarma; proprio questi tre gruppi sono quelli che vantano la
maggiore esposizione mediatica.
Rimane infine da collocare Ipasvi. I collegi infermieristici pagano forse la tradizionale
subordinazione nei confronti della classe medica; a questo si aggiunga la natura “istituzionale” dei
collegi infermieristici, che impedisce loro di attuare forme di protesta particolarmente eclatanti
(questo competerà semmai ai sindacati degli infermieri). Fatto sta che, tra quelli qui considerati,
Ipasvi dà l’impressione di essere il gruppo meno inserito nel sistema. Seguendo la classificazione di
Grant [1989], Ipasvi potrebbe essere etichettato come un «potential insider», ovvero un gruppo che
pur essendo ancora – per molti versi – periferico utilizza strategie da insider in modo da acquisire
maggiore legittimità agli occhi dei legislatori. Non è un caso che i collegi Ipasvi abbiano salutato
con molto favore l’elezione in Senato, nel 2013, del proprio presidente nazionale, Annalisa
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Silvestro (chiedendole peraltro di conservare il doppio incarico): sperano così che la professione
infermieristica possa risultare più presente ed influente nelle sedi istituzionali che contano.
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