I gruppi di interesse in sanità - SISP · visibilità e di tutelare i propri interessi in modo...

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1 XXVIII Convegno della Società Italiana di Scienza Politica Perugia, 11-13 Settembre 2014 Panel 1.3 - I gruppi di interesse in Italia I gruppi di interesse in sanità di Marco Di Giulio e Federico Toth ABSTRACT Il paper tenta un’analisi dei principali gruppi d’interesse operanti in campo sanitario e della loro influenza nei processi di policy. I gruppi selezionati sulla base della loro rappresentatività e della loro visibilità mediatica vengono messi a confronto sulla base di diverse dimensioni: la struttura organizzativa, le risorse organizzative di cui dispongono, le issues principali rispetto alle quali essi si mobilitano e soprattutto le strategie di lobbying adottate (dirette o indirette). Sulla base di queste dimensioni, è possibile ricostruire il network dei gruppi attivi nel settore sanitario: quali coalizioni si formino tra gli attori in campo, e quali temi di policy siano motivo di contrapposizione. Allo scopo di comprendere le effettive modalità di attivazione dei gruppi, vengono anche ricostruiti tre recenti processi di policy making in campo sanitario, riguardanti in particolare la riorganizzazione delle cure primarie, la riforma del governo clinico e la revisione della spesa farmaceutica.

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XXVIII Convegno della Società Italiana di Scienza Politica

Perugia, 11-13 Settembre 2014

Panel 1.3 - I gruppi di interesse in Italia

I gruppi di interesse in sanità

di Marco Di Giulio e Federico Toth

ABSTRACT

Il paper tenta un’analisi dei principali gruppi d’interesse operanti in campo sanitario e della loro influenza

nei processi di policy. I gruppi – selezionati sulla base della loro rappresentatività e della loro visibilità

mediatica – vengono messi a confronto sulla base di diverse dimensioni: la struttura organizzativa, le

risorse organizzative di cui dispongono, le issues principali rispetto alle quali essi si mobilitano e –

soprattutto – le strategie di lobbying adottate (dirette o indirette).

Sulla base di queste dimensioni, è possibile ricostruire il network dei gruppi attivi nel settore sanitario: quali

coalizioni si formino tra gli attori in campo, e quali temi di policy siano motivo di contrapposizione. Allo

scopo di comprendere le effettive modalità di attivazione dei gruppi, vengono anche ricostruiti tre recenti

processi di policy making in campo sanitario, riguardanti in particolare la riorganizzazione delle cure

primarie, la riforma del governo clinico e la revisione della spesa farmaceutica.

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1. Introduzione

Il settore sanitario è di grande rilevanza per l’economia nazionale. La filiera della salute – che

comprende non solo la fornitura di prestazioni ambulatoriali e ospedaliere, ma anche tutto il

comparto farmaceutico e l’industria dei dispositivi medici – corrisponde infatti all’11,2% del

prodotto interno lordo italiano [Confindustria 2012]. Quella sanitaria risulta così la quarta filiera

produttiva più importante del paese, alle spalle di costruzioni, agricoltura e ICT [Ministero dello

Sviluppo economico 2012]. Nel comparto sanitario lavora oltre un milione e mezzo di lavoratori,

che salgono a 2,8 milioni se si considera anche l’indotto. Se queste sono le cifre, è facile intuire

quale groviglio di interessi – commerciali, professionali e politici – graviti attorno al mondo della

sanità, sia pubblica sia privata.

Prima di addentrarci nell’analisi dei principali gruppi d’interesse che operano nel settore sanitario, è

bene segnalare alcune particolarità che distinguono quest’ultimo da altri settori di policy.

Il lobbying autonomo. In questo articolo ci si occuperà soprattutto di gruppi d’interesse «collettivi»,

quali i sindacati, le associazioni di categoria, gli ordini professionali. Siamo però ben consapevoli

che, a fianco del lobbying «associativo», esistano anche soggetti capaci di attivarsi in forma

individuale. Caratteristica del settore sanitario è infatti la presenza di alcuni gruppi imprenditoriali

che, per la loro rilevanza economica (ma anche politica e mediatica), sono in grado di ottenere

visibilità e di tutelare i propri interessi in modo autonomo, senza dover cioè necessariamente

passare attraverso le rispettive associazioni di rappresentanza. E’ questo, ad esempio, il caso dei

maggiori gruppi ospedalieri privati (ma lo stesso discorso potrebbe valere anche per le aziende

farmaceutiche). In Italia – com’è noto – operano alcuni grandi network di strutture ospedaliere

private, tra cui il Gruppo Villa Maria (GVM) di Ettore Sansavini, il gruppo Garofalo, l’Humanitas

(che fa capo alla Techint di Gianfelice Rocca), il gruppo San Raffaele (di proprietà della famiglia

Angelucci), il gruppo Giomi, il gruppo KOS (controllato dalla CIR di Carlo De Benedetti), il

gruppo San Donato (della famiglia Rotelli). Questi gruppi imprenditoriali – ribattezzati anche «le

sette sorelle della sanità privata» [Bonfanti 2009] – risultano tutti affiliati all’Aiop (Associazione

italiana ospedalità privata, uno dei gruppi inclusi nella nostra ricerca). Viene però facile pensare che

questi gruppi tutelino i propri interessi servendosi anche di canali propri, slegati dalle iniziative

dell’Aiop (e in aggiunta a queste).

Il livello nazionale e le arene regionali. Un secondo tratto caratteristico del settore sanitario è

l’esistenza, a fianco dell’arena nazionale, anche di importanti arene decisionali a livello regionale.

E’ d’altronde risaputo che alle regioni, soprattutto a partire dai primi anni Novanta, sono attribuite

importanti competenze in materia sanitaria. Si dovrebbe anzi dire che la sanità rappresenta di gran

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lunga il principale ambito d’intervento regionale: ne è prova il fatto che le regioni a statuto

ordinario destinano alla sanità oltre l’83% del proprio budget [Corte dei conti 2013]. Molte

decisioni strategiche – che hanno importanti ricadute soprattutto sull’attività dei fornitori privati –

vengono assunte a livello regionale. Spetta ad esempio ai singoli governi regionali decidere in quale

misura coinvolgere i fornitori privati nell’erogazione delle cure, fissare i requisiti per

l’accreditamento delle strutture ospedaliere e ambulatoriali, determinare le tariffe per remunerare i

fornitori, decidere quante risorse destinare all’attività ospedaliera e quante invece alle cure

territoriali [Toth 2014]. In sanità, il livello regionale è insomma decisamente rilevante: non è allora

un caso che i gruppi selezionati per la nostra ricerca siano tutti organizzati anche su base regionale.

I gruppi selezionati per la ricerca. Ciò premesso, veniamo ai gruppi che sono stati oggetto specifico

della nostra ricerca. Tra quelli operanti in campo sanitario sono stati selezionati 11 gruppi

d’interesse particolarmente rilevanti1.

Nella selezione dei gruppi si è cercato di dare conto delle diverse componenti del mondo sanitario.

Quest’ultimo può essere infatti scomposto in almeno tre sotto-settori: quello delle professioni

sanitarie; quello delle aziende sanitarie e ospedaliere, sia pubbliche sia private; il comparto

farmaceutico.

In rappresentanza di quest’ultimo, sono state incluse nella nostra indagine sia Federfarma (la

federazione nazionale dei titolari di farmacia) sia Farmindustria (l’associazione delle case

farmaceutiche).

Come esponenti del mondo delle aziende sanitarie sono state individuate Fiaso (la federazione delle

aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche) e Aiop (l’associazione delle case di cura private).

In rappresentanza delle professioni sanitarie sono state innanzitutto selezionate la federazione degli

ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) e la federazione dei collegi infermieristici (Ipasvi).

Un po’ più problematica si è rivelata la scelta dei sindacati medici. Si tenga infatti presente che la

professione medica è tradizionalmente frammentata in una molteplicità di sigle sindacali tra loro

concorrenti. I sindacati medici si distinguono sulla base dell’orientamento ideologico, del setting

assistenziale (i medici ospedalieri possono essere divisi dagli specialisti ambulatoriali, che a loro

volta si distinguono dai medici di famiglia), del livello gerarchico (esiste ad esempio

un’associazione di soli primari), e soprattutto in base alla specializzazione medica esercitata

(esistono pertanto sindacati separati per i radiologi, i cardiologi, gli anestesisti, e così via). Tali

organizzazioni categoriali sono peraltro protagoniste di frequenti scissioni e fusioni: non è quindi

agevole orientarsi tra le decine di sigle diverse, così come non è facile individuare le organizzazioni

1 La rilevanza dei gruppi selezionati è confermata anche dal fatto che proprio questi undici gruppi risultano quelli più

frequentemente menzionati negli articoli inerenti tematiche di politica sanitaria pubblicati - nei due anni precedenti la

nostra ricerca - su Il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, la rivista Il Sole 24 Ore-Sanità e l’organo d’informazione

online Quotidiano Sanità.

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che siano davvero rappresentative di un determinato gruppo professionale. La nostra scelta è infine

caduta sui due sindacati maggiormente rappresentativi dei medici del Servizio Sanitario Nazionale,

ovvero Anaao-Assomed (20% delle deleghe) e Cimo-Asmd (11,8% delle deleghe). A fianco di

questi non poteva mancare la Cgil: la Cgil Funzione Pubblica è infatti – anche se di poco – il primo

sindacato dell’intero comparto della sanità pubblica, mentre la Cgil Medici risulta il quarto

sindacato tra i medici e veterinari del SSN. Oltre ai medici dipendenti del servizio sanitario

nazionale, sono stati considerati i medici di medicina generale: la scelta è inevitabilmente caduta

sulla Fimmg, che è di gran lunga il più rappresentativo dei sindacati dei medici di famiglia.

A completare la rosa dei gruppi selezionati per la ricerca, è stata anche inserita un’associazione di

consumatori, Cittadinanzattiva, che da tempo si batte per la tutela dei diritti dei pazienti.

2. La struttura organizzativa

In questo paragrafo verranno descritte le principali caratteristiche organizzative dei gruppi

selezionati. Come emerso dal paragrafo introduttivo, il settore sanitario è caratterizzato da un

elevato grado di complessità, che deriva essenzialmente dalla sua governance multilivello, dalla

presenza di erogatori di prestazioni sia pubblici che privati e, infine, dalla presenza di un elemento

professionale che caratterizza fortemente l'amministrazione della sanità. La strutturazione degli

interessi nel campo sanitario rispecchia naturalmente queste divisioni.

Partiamo dalla forma giuridica degli undici gruppi selezionati: sette sono associazioni e quattro

sono federazioni. Dei gruppi a struttura federale fanno parte l’Ipasvi e la Fnomceo che, è bene

sottolinearlo fin da subito, differiscono dagli altri nove gruppi in quanto organismi ad iscrizione

obbligatoria: nel nostro paese per esercitare la professione di medico e di odontoiatra è infatti

necessario essere iscritti all’ordine (Fnomceo), così come gli infermieri hanno l’obbligo d’iscrizione

al collegio Ipasvi2 della propria provincia.

La componente professionale del settore emerge chiaramente anche dalla natura della membership,

che, nella maggior parte dei casi, riguarda persone fisiche. E’ questo il caso, oltre ai già menzionati

Fnomceo e Ipasvi, delle associazioni sindacali dei medici come Cimo-Asmd, Anaao-Assomed, Cgil

Medici e Fimmg. Le divisioni tra i sindacati medici nascono sia da ragioni funzionali (la Fimmg

rappresenta ad esempio i soli medici di base, Cimo-Asmd i medici ospedalieri, Anaao-Assomed si

rivolge non solo ai medici ma anche alla dirigenza non medica), sia da diverse concezioni della

professione: più legata al pubblico impiego quella di Cgil Medici, maggiormente orientate a un'idea

di libera professione le piattaforme di Cimo-Asmd e Fimmg. Altri gruppi hanno come affiliati delle

2 La sigla sta per Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici d’Infanzia.

5

persone giuridiche: la Fiaso rappresenta le aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche, Farmindustria

(aderente a Confindustria) è l’associazione delle imprese farmaceutiche, l’Aiop rappresenta le case

di cura private, Federfarma è la federazione unitaria dei titolari di farmacia. Una membership mista

ha infine l’associazione Cittadinanzattiva, che vanta tra i suoi affiliati sia associazioni sia aderenti

individuali.

L'articolazione territoriale dei gruppi delinea un quadro piuttosto omogeneo, che dimostra come il

c.d. federalismo sanitario eserciti una forte influenza anche sull’organizzazione interna dei gruppi

d’interesse. La maggior parte dei gruppi selezionati sono infatti organizzati su base regionale. Tre

sono le eccezioni: Fnomceo e Ipasvi, che per legge sono organizzati su base provinciale (anche se

Ipasvi ha attivato dei coordinamenti regionali), e Farmindustria. Quest’ultima non dispone di alcuna

diramazione territoriale (né regionale, né provinciale): un dato coerente con le competenze relative

alla filiera del farmaco, saldamente in mano ad istituzioni nazionali come il Ministero della Salute e

l'Agenzia italiana del farmaco.

Tabella 1 – La struttura organizzativa

Gruppo Tipo Membership Sedi

regionali /

provinciali

n° organi

previsti

da

statuto

componenti

dell’organo

esecutivo

n° uffici

della sede

nazionale

AIOP Associazione Case di cura private 21R 6 10 6

ANAAO-ASSOMED Associazione Medici e dirigenti

sanitari non medici

20R 8 16 2

CGIL MEDICI Associazione Medici 19R 3 6 5

CIMO-ASMD Associazione Medici, veterinari e

odontoiatri

20R 6 16 1

CITTADINANZATTIVA Associazione Aderenti individuali

e associazioni

federate

19R 7 14 9

FARMINDUSTRIA Associazione Imprese

farmaceutiche Assenti 7 12 20

FEDERFARMA Federazione Titolari di farmacia 18R, 102P 5 10 8

FIASO Federazione Aziende sanitarie e

ospedaliere

pubbliche

18R 6 8 4

FIMMG Associazione Medici di medicina

generale

20R 7 9 7

FNOMCEO Federazione

/Ordine

Medici e

odontoiatri

106P 4 18 13

IPASVI Federazione Infermieri 13R, 103P 4 7 6

Oltre alle variabili già discusse, la tabella 1 riporta tre ulteriori indicatori: il numero di organi

6

previsti dallo statuto di ciascun gruppo; l’ampiezza degli organi esecutivi (variamente denominati

«consiglio di presidenza», «esecutivo nazionale», «comitato centrale», «segreteria nazionale»); il

numero di uffici in cui è articolata la sede nazionale. La loro combinazione ci fornisce un'idea del

grado di complessità organizzativa dei gruppi analizzati. Non sembrano emergere differenze molto

nette. Si nota come la Cgil Medici disponga di una struttura più contenuta rispetto alle altre

organizzazioni, con solo tre organi previsti da statuto e una segreteria nazionale formata da 6

componenti; la spiegazione va ricercata nel fatto che questo sindacato costituisce un’articolazione

della più ampia realtà di Cgil Funzione Pubblica (alle cui strutture esso si appoggia). Anaao-

Assomed presenta il più alto numero di organi statutari (8) e un esecutivo nazionale di 16 elementi.

Farmindustria e Fnomceo sono invece le strutture che – da organigramma – prevedono il maggior

numero di uffici: rispettivamente 20 e 13. Sotto questo aspetto, particolarmente essenziale pare la

struttura interna di Cimo e Anaao, che hanno nella propria sede nazionale rispettivamente solo uno

e due uffici.

3. Le risorse organizzative

Oltre all’organigramma, è interessante indagare la quantità e la natura delle risorse di cui

dispongono i gruppi d’interesse. Come sottolineato in diversi studi [Grant 1989; Mahoney 2007], è

infatti presumibile che risorse quali l’ampiezza e le caratteristiche della membership, le dimensioni

dello staff e il budget annuale a disposizione dei singoli gruppi possano fare la differenza nella

capacità o meno di influenzare i policy makers.

Ragionando sulle risorse detenute dai gruppi d’interesse, vengono qui presi in considerazione i

seguenti indicatori: il numero complessivo di associati; il numero di funzionari stipendiati (tale dato

dà un'idea delle risorse umane e cognitive utilizzabili in modo continuativo da ciascun gruppo); le

entrate annue. Si è cercato inoltre di capire come queste risorse siano allocate dai gruppi in

relazione alle possibili strategie d'azione. Per far ciò si è verificata la presenza, nell’organigramma

di ciascun gruppo, di un ufficio stampa e di un ufficio esplicitamente addetto alle ‘relazioni

istituzionali’: per ogni gruppo vengono indicate le unità di personale assegnate a tali uffici. In tal

modo si è inteso fornire una prima, seppur impressionistica, idea di quanto ciascuna organizzazione

investa per la comunicazione e le relazioni esterne.

Partiamo dal numero degli associati, che solitamente viene considerato indicativo della rilevanza e

dell’influenza di una determinata organizzazione di rappresentanza; al di là del numero assoluto, è

rilevante valutare anche il grado di rappresentatività di un gruppo rispetto all’intera categoria cui

esso intende dare voce. L'analisi del numero assoluto di associati fornisce un'idea della forza dei

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vari gruppi solo in relazione ai sindacati medici. Questo ambito è infatti l'unico, fra quelli qui

considerati, che faccia registrare una qualche competizione fra i gruppi. In particolare, Anaao-

Assomed, Cimo-Asmd e Cgil Medici si contendono lo stesso bacino professionale, composto

principalmente dai medici dipendenti del SSN. Fra questi tre gruppi, Anaao-Assomed fa registrare il

maggior numero di iscritti (20.700), mentre gli altri ne contano rispettivamente 8.600 (Cimo-Asmd)

e 8.000 (Cgil Medici).

Tabella 2 – Le risorse dei gruppi

Gruppo N° associati

Funzionari

stipendiati

Entrate

annue

(in euro)

n° addetti

Relazioni Istituzionali

n° addetti

Comunicazione

AIOP 570 9 1.500.000 0 1

ANAAO-ASSOMED 20.700 35 5.000.000 5 2

CGIL MEDICI 8.000 130* n.d. 0 4*

CIMO-ASMD 8.600 5 n.d. 0 1

CITTADINANZATTIVA 107.000 57 2.380.000 2 4

FARMINDUSTRIA 190 24 n.d. 3 2

FEDERFARMA 16.000 21 4.800.000 3 2

FIASO 121 9 710.000 0 2

FIMMG 26.500 10 300.000 3 2

FNOMCEO 412.000 n.d. 2.500.000 0 3

IPASVI 419.000 8 4.000.000 0 3

Legenda: * il dato si riferisce a Cgil Funzione Pubblica e non solo a Cgil Medici.

La Fimmg è largamente dominante nella sua nicchia: ha oltre 26.000 iscritti e rappresenta oltre il

64% dei medici di famiglia (per quanto anch’essa debba fronteggiare la concorrenza di diverse sigle

sindacali non considerate nel nostro campione, come Snami e Smi). Fiaso conta circa 120 aziende

associate (tra Asl, aziende ospedaliere, Ircss, policlinici universitari) sulle oltre 230 operanti in

Italia. Mentre nel settore privato, Aiop rappresenta oltre 500 case di cura private (in Italia ve ne

sono circa 680), oltre ad alcune decine di Rsa e di centri di riabilitazione, sempre privati.

Farmindustria vanta circa 190 aziende associate (non solo imprese italiane, ma anche aziende

farmaceutiche straniere che operano nel nostro paese). Federfarma riunisce la quasi totalità delle

oltre 16.000 farmacie private convenzionate con il SSN.

Se guardiamo alle unità di personale di cui essi dispongono, tra i gruppi emergono differenze

sostanziali. La maggior parte di essi ha un organico – ci riferiamo alle persone impiegate nella sede

nazionale – di dimensioni ridotte, sotto le dieci unità di personale. Federfarma e Farmindustria ne

hanno circa una ventina. I gruppi con il maggior numero di funzionari stipendiati risultano essere

8

Anaao-Assomed (35) e Cittadinanzattiva (57).

E’ bene precisare che alcuni dei dati riportati nella tabella 2, relativi ai funzionari stipendiati, non

sono confrontabili con gli altri: il numero di funzionari indicato per la Cgil si riferisce all’intera Cgil

Funzione Pubblica e non alla sola Cgil Medici; anche per quanto riguarda Cittadinanzattiva, si tenga

conto che tale associazione si occupa della tutela dei consumatori in diversi settori, non solo in

campo sanitario.

Un dato molto significativo per valutare le risorse a disposizione dei singoli gruppi è il loro budget

annuale. Alcuni dei gruppi da noi intervistati hanno fornito tale dato, altri invece hanno preferito

non comunicarlo. Ma anche i gruppi che hanno indicato le proprie entrate, non è detto che abbiano

fornito la medesima voce di bilancio: i dati riportati nella tabella 2 sono insomma da prendere con

cautela. Dai dati a nostra disposizione, emergerebbero comunque profonde disparità tra i gruppi: da

un lato vi sono infatti attori – come Anaao, Ipasvi e Federfarma – che hanno un budget di almeno 4-

5 milioni di euro l’anno; dall’altro, vi sono gruppi con entrate assai meno cospicue, inferiori al

milione (Fiaso) o addirittura al mezzo milione di euro (Fimmg).

Veniamo infine alla presenza o meno di appositi uffici dedicati rispettivamente alle relazioni

istituzionali e alla comunicazione. Emerge come la maggior parte dei gruppi non preveda un ufficio

espressamente dedicato alle relazioni istituzionali. Ad avere un simile ufficio sono: Anaao-

Assomed (che dichiara di avere cinque persone preposte a quest'attività), Fimmg, Federfarma,

Farmindustria e Cittadinanzattiva. Molto diverso si presenta invece il quadro relativo alle attività di

comunicazione: tutti i gruppi dispongono di un ufficio stampa e di un sito internet regolarmente

aggiornato. In alcuni casi (Ipasvi, Cittadinanzattiva, Cgil Funzione Pubblica) l’organico dell’ufficio

stampa risulta più corposo, in altri casi è invece più ridotto: Cimo, ad esempio, ha un solo addetto

alla comunicazione; anche Aiop ha un solo addetto interno, che però è affiancato da un’agenzia

stampa esterna.

4. Temi e strategie di lobbying

Concentriamoci ora sulle strategie di lobbying messe in atto dai diversi gruppi d’interesse operanti

in campo sanitario. Si partirà dai temi cui i singoli gruppi sono sensibili, per poi ricostruire le

caratteristiche del policy network sanitario: alcune tematiche sono infatti condivise e suggeriscono

alleanze e attività congiunte tra diversi gruppi; altri temi sono invece motivo di contrapposizione.

Si cercherà inoltre di capire quali strategie adottino i gruppi per perorare le proprie istanze. E’

infatti presumibile che alcuni prediligano forme dirette di lobbying, mentre altri preferiscano il

lobbying indiretto.

9

4.1 Le issues rispetto a cui i gruppi si mobilitano

Partiamo dai temi che stanno a cuore ai singoli gruppi e su cui essi sono disposti ad attivarsi3. Come

emerge dalla lettura della tabella 3, buona parte delle issues cui i singoli gruppi si dimostrano

sensibili sono da considerarsi tipicamente categoriali. E’ d’altronde normale che ogni gruppo si

mobiliti a tutela degli interessi specifici dei propri associati: i gruppi d’interesse nascono proprio a

tale scopo. Sta dunque nella logica delle cose che – ad esempio – un sindacato come Anaao richieda

il rinnovo del contratto dei medici, che Fimmg (medici di medicina generale) e Federfarma (titolari

di farmacia) sollecitino il rinnovo delle rispettive convenzioni con il Servizio Sanitario Nazionale, o

che Aiop (case di cura private) proponga la revisione delle tariffe ospedaliere. Così come è del tutto

comprensibile che le case farmaceutiche facciano pressioni per accorciare i tempi d’immissione in

commercio dei nuovi medicinali, o che a proporre una complessiva riorganizzazione delle cure

primarie siano proprio i professionisti che ne risulterebbero maggiormente coinvolti (Fimmg).

Cittadinanzattiva si distingue, almeno in parte, dagli altri gruppi selezionati: se infatti questi ultimi

sono in larga misura espressione dei diversi soggetti «produttori» di servizi sanitari,

Cittadinanzattiva si ripropone invece di prendere le difese degli utenti; tale associazione è pertanto

particolarmente sensibile a tematiche quali le lunghe liste d’attesa, i disservizi a danno dei pazienti,

la tutela dei malati cronici e delle malattie rare, l’effettiva erogazione dei livelli essenziali di

assistenza.

A fianco delle rivendicazioni squisitamente categoriali, esistono anche temi che potremmo

considerare trasversali: temi che interessano cioè a più di un gruppo, e su cui più soggetti possono

quindi attivarsi congiuntamente. Un tema come quello della stabilizzazione dei lavoratori precari,

ad esempio, è stato oggetto di iniziative di sensibilizzazione e di forme pubbliche di protesta non

solo da parte della Cgil Funzione Pubblica, ma anche di Anaao, Cimo e Ipasvi.

Un fenomeno che è sempre più motivo di preoccupazione per i professionisti sanitari riguarda le

accuse di «malpractice» da parte dei pazienti: negli ultimi anni, sono infatti andati crescendo non

solo il numero delle denunce nei confronti del personale sanitario, ma anche l’entità media dei

risarcimenti [Ania 2014]; questo, a sua volta, ha determinato un’impennata dei premi assicurativi, a

carico sia dei singoli medici sia delle strutture sanitarie. Il problema è serio, e molte organizzazioni

di rappresentanza concordano sul fatto che il legislatore debba urgentemente porvi rimedio. A

chiedere una radicale riforma della disciplina della responsabilità professionale sono tutti i sindacati

medici (Anaao, Cgil Medici, Cimo, Fimmg), ma anche Fiaso e Fnomceo.

Tabella 3 – Il lobbying

Gruppo Issues Alleati Avversari n° audizioni

parlamentari

(anni 2009-

3 I dati su cui si basa il quarto paragrafo sono desunti dalle interviste effettuate ai responsabili dei gruppi d’interesse e

dalla rassegna stampa – in relazione alle annate 2012 e 2013 – dei principali quotidiani nazionali (Il Corriere della

Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, La Stampa), del periodico il Sole 24 Ore-Sanità e del sito online Quotidiano Sanità.

Il numero delle audizioni parlamentari è stato rilevato dai siti web di Camera e Senato.

10

2013)

Aiop Contro i tagli al SSN

Più risorse ai fornitori privati

Nuovi standard ospedalieri (contro riduzione posti

letto).

Tariffe ospedaliere (parità pubblico-privato)

Confindustria

Aris

Federanisap

Fiaso;

Cgil

5

Anaao-Assomed Rinnovo del contratto

Stabilizzazione dei lavoratori precari

Difesa del SSN contro i tagli

Riforma della responsabilità professionale

Coinvolgere i medici nella governance del sistema

No all’ampliamento delle competenze

infermieristiche

Fvm

Cgil Medici;

Cisl Medici

Cimo

Ipasvi 5

Cgil Medici Riforma della responsabilità professionale

Stabilizzazione lavoratori precari

Difesa del SSN contro i tagli

Riorganizzazione delle cure primarie

Favorevole all’ampliamento delle competenze

infermieristiche

Cisl Medici;

Anaao;

Cittadinanzattiva

Aiop 5

Cimo-Asmd Riforma del titolo V della Costituzione

Status giuridico del medico

No all’ampliamento delle competenze

infermieristiche

Riforma della responsabilità professionale

Fesmed;

Anpo;

Sumai;

Cittadinanzattiva

Cgil Medici

3

Cittadinanzattiva Difesa del SSN contro i tagli

Riduzione delle liste d’attesa e degli errori

Tutela delle malattie croniche e rare

Garanzia e aggiornamento dei LEA

Riorganizzazione della rete ospedaliera e delle cure

territoriali

Anaao;

Cgil Medici;

Ipasvi;

Fiaso

9

Farmindustria No ai tagli alla spesa farmaceutica

Libertà prescrittiva dei medici. Contro prescrizione

dei farmaci generici.

Accorciare i tempi di accesso dei nuovi farmaci

Accorciare i tempi di pagamento delle aziende

sanitarie

Assogenerici 10

Federfarma A favore della farmacia dei servizi

Remunerazione delle farmacie e rinnovo della

convenzione.

No alle liberalizzazioni

No ai tagli alle farmacie

Fofi

Sifo

Parafarmacie 4

Fiaso Responsabilità professionale e copertura

assicurativa

Difesa del SSN contro i tagli

Rilanciare l’aziendalizzazione

Agenas

Cittadinanzattiva

Censis

7

Fimmg Valorizzazione della professionalità del medico

Riorganizzazione delle cure primarie

Rinnovo della convenzione

Riforma del titolo V della Costituzione

Difesa del SSN contro i tagli

Sumai;

Fimp;

Anaao;

Cimo-Asmd

Snami;

Smi

6

Fnomceo Riforma della responsabilità professionale

Formazione del medico

15

Ipasvi Ampliamento delle competenze infermieristiche

Difesa del SSN contro i tagli

Stabilizzazione dei lavoratori precari

Cittadinanzattiva

Anaao;

Cimo

4

Emerge poi come diversi dei gruppi selezionati esprimano un giudizio apertamente negativo del

cosiddetto «federalismo sanitario»: come confermato anche in diverse occasioni pubbliche, i

rappresentanti di Anaao, Cimo, Fimmg, Cittadinanzattiva e Farmindustria si dichiarano preoccupati

delle disparità che si riscontrano tra una regione e l’altra, e reclamano una revisione del titolo V

11

della Costituzione che rafforzi le competenze del governo centrale. Dalle interviste effettuate

emerge anche una generale insoddisfazione riguardo alla governance a livello centrale. Il peso del

Ministero dell’Economia viene generalmente considerato eccessivo, a scapito del Ministero della

Salute.

Ma c’è un tema che – più degli altri – sembra mettere d’accordo tutti i gruppi: la salvaguardia del

Servizio Sanitario Nazionale e la necessità che esso sia adeguatamente finanziato. Seppure con

sfumature differenti, non c’è gruppo che non abbia criticato i recenti tagli al fondo sanitario

nazionale. Per chi conosce il nostro sistema sanitario, la cosa non sorprende più di tanto: in Italia

anche la sanità privata è infatti legata a doppio filo alle sorti del Servizio sanitario nazionale

[Mapelli 2012; Toth 2014]. I medici di famiglia e gli specialisti ambulatoriali, ad esempio, pur non

essendo dipendenti del SSN, intrattengono comunque con esso un rapporto di convenzione. Anche

la maggior parte delle case di cura private e le farmacie sono convenzionate con il servizio

pubblico. E l’ammontare della spesa farmaceutica – cui sono fortemente interessate sia Federfarma

sia Farmindustria – è calcolato in proporzione al fondo sanitario nazionale. Insomma, tutti i gruppi

– pazienti compresi – hanno un forte interesse che il servizio sanitario pubblico sia adeguatamente

finanziato: i tagli al fondo sanitario nazionale si ripercuotono infatti su tutti i comparti del settore

sanitario, nessuno escluso.

4.2 Il policy network: gruppi alleati e avversari

Ci sono naturalmente temi su cui i gruppi sono invece in contrapposizione tra loro. Ed è proprio su

questi temi più controversi che si formano coalizioni contrapposte, in base a cui un gruppo definisce

i propri alleati ed avversari (vedi tabella 3).

Alcune linee di frattura appaiono profonde e consolidate, in quanto rispecchiano le diverse visioni e

i valori di fondo dei singoli gruppi. Come si è già accennato in precedenza, i sindacati possono

essere distinti in base alla concezione che essi rivelano del ruolo del medico: soggetti come Cimo e

Fimmg insistono fortemente sulla natura professionale del medico e si considerano pertanto

antagonisti alla Cgil, che – a loro dire – assimila invece i medici agli altri dipendenti e dirigenti

pubblici. Prova ne è il fatto che la Cgil – nell’ambito di una complessiva riforma della medicina di

base – paventi la possibilità di far passare i medici di famiglia alle dipendenze del SSN; la Fimmg è

invece fortemente contraria.

L’associazione italiana dell’ospedalità privata (Aiop) ha pubblicato negli ultimi anni diversi

rapporti tesi a mostrare come gli ospedali privati italiani siano mediamente più efficienti dei loro

corrispettivi pubblici; in virtù di questo, Aiop chiede ai policy makers – nazionali e regionali – di

destinare una quota maggiore del budget sanitario proprio ai fornitori privati. Naturalmente la Fiaso,

che rappresenta le aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche, dissente su entrambi i punti. Contro un

12

aumento del ruolo dei fornitori privati convenzionati è anche la Cgil, che si è trovata in disaccordo

rispetto ad Aiop anche in occasione del recente rinnovo del contratto di settore.

Ormai da diversi anni si discute della possibilità di ampliare le competenze degli infermieri: tale

istanza è evidentemente prioritaria per Ipasvi, ed è vista con favore anche dalla Cgil Medici.

Decisamente contrari all’ampliamento delle competenze infermieristiche sono invece Anaao e

Cimo.

Nel corso delle interviste effettuate, è capitato che un gruppo indicasse un altro come avversario,

ma non viceversa; o che un gruppo venisse etichettato al tempo stesso sia avversario sia alleato. In

alcuni casi, i rapporti che intercorrono tra i gruppi sono ambivalenti: è facile infatti che due gruppi

si trovino d’accordo su alcune rivendicazioni, ma siano in contrasto su altre. Le definizioni di

«alleato» e di «avversario» finiscono quindi per essere legate a situazioni contingenti, e mutano a

seconda dello specifico tema all’ordine del giorno [Baumgartner e Leech 1998].

Si tenga presente che i gruppi hanno spesso due esigenze contrastanti. Da un lato, può convenire

distinguersi dagli altri gruppi e combattere alcune battaglie da soli, in modo anche da aumentare la

propria visibilità. Dall’altro, soprattutto su certe rivendicazioni, conviene invece stringere alleanze

con altri gruppi, in modo da presentarsi davanti all’opinione pubblica e ai decision makers

formando un fronte più ampio e maggiormente rappresentativo dell’intera categoria.

Non è d’altronde infrequente che i gruppi intraprendano iniziative comuni e formino delle

coalizioni [Schlozman e Tierney 1986]; tali coalizioni possono essere più o meno formalizzate, e

più o meno durature [Mattina 2010]. Anaao, Cimo e Cgil, ad esempio, prendono spesso

pubblicamente posizione utilizzando la comune insegna della «intersindacale medica», cui

partecipano – oltre a quelle appena menzionate – anche altre sigle sindacali (Sumai, Fesmed, Anpo,

Cisl, FVM, Aaroi, e altre ancora). Quattro gruppi, apparentemente scollegati tra loro, come Anaao,

Cimo, Federfarma e Cittadinanzattiva hanno invece recentemente istituito un «Tavolo per la

protezione e la qualità del SSN». Sempre di recente, Cittadinanzattiva e Farmindustria hanno

promosso un’iniziativa congiunta in materia di farmaci innovativi.

Come s’intuisce anche dagli ultimi esempi riportati (ma lo stesso emerge dalle interviste effettuate),

Cittadinanzattiva sembra essere il gruppo – tra quelli qui considerati – con il più ampio «potenziale

di coalizione»: essa partecipa infatti a molteplici iniziative congiunte e viene considerata da diversi

degli altri gruppi come un possibile partner con cui collaborare.

4.3 Strategie di lobbying diretto e indiretto

Per tutelare i propri interessi e per perorare le proprie istanze, i gruppi possono scegliere tra forme

dirette e indirette di lobbying [Binderkrantz 2005]. Le prime sono finalizzate ad avere un contatto

13

diretto con i legislatori, al fine di far loro presente le preferenze del singolo gruppo. Rientrano

pertanto nel lobbying diretto gli incontri con il ministro, i sottosegretari, i singoli parlamentari.

Per lobbying indiretto si intendono invece le iniziative pubbliche mirate a sensibilizzare l’opinione

pubblica su determinati temi e a mostrare la capacità di mobilitazione dei singoli gruppi: le

manifestazioni pubbliche, le campagne di comunicazione, gli scioperi e le altre forme di protesta;

tali forme di mobilitazione sono da ritenersi indirette in quanto puntano a mettere pressione sui

legislatori attraverso il condizionamento dell’opinione pubblica.

Le audizioni parlamentari e i contatti diretti con i legislatori

Trattando delle forme di lobbying diretto, un interesse particolare rivestono le audizioni

parlamentari. Queste ultime, come confermano diverse ricerche [Schlozman e Tierney 1986;

Baumgartner e Leech 1998], sono tra le tattiche di lobbying più utilizzate dai gruppi di interesse:

esse consistono infatti in occasioni formalizzate in cui i gruppi hanno modo di presentare

direttamente ai legislatori le proprie istanze. E’ bene mettere subito in chiaro che, di per sé, l’essere

invitati a intervenire durante i lavori di una commissione parlamentare non è necessariamente

indicativo dell’influenza di un gruppo [Maloney et al. 1994; Mattina 2010]: alcuni soggetti

potrebbero essere chiamati spesso in parlamento ma vedere poi le proprie richieste sistematicamente

disattese; viceversa, un gruppo d’interesse potrebbe essere molto influente, ma non comparire mai

in parlamento. L’audizione parlamentare va allora considerata più che altro come un

riconoscimento che viene dato al gruppo: di rappresentare – agli occhi dei parlamentari – un

interlocutore legittimo e di essere portatore di interessi in qualche misura rilevanti; una sorta di

attestato di legittimità istituzionale.

Diamo dunque un’occhiata al numero di audizioni parlamentari cui i singoli gruppi d’interesse sono

stati invitati nel corso del quinquennio 2009-13. Emergono interessanti differenze.

Fnom-Ceo emerge di gran lunga come il gruppo più ascoltato, con 15 audizioni presso le

commissioni dei due rami del Parlamento. Hanno frequentato assiduamente le commissioni anche

Farmindustria e Cttadinanzattiva, rispettivamente 10 e 9 audizioni, mentre per Fiaso e Fimmg sono

state contate 7 e sei audizioni. Minore la frequenza rilevata per i sindacati medici: in questo caso si

può presumere che molte delle questioni oggetto delle audizioni, in particolare su questioni tecnico-

giuridiche riguardanti la professione, vengano assolte in maniera esclusiva dall’Ordine (Fnom-Ceo).

Se il numero delle audizioni parlamentari viene considerato – ma, ripetiamo, non è detto che lo sia –

un indicatore della rilevanza istituzionale di un gruppo e della sua «familiarità» con i decision

makers, si dovrebbe concludere che alcuni gruppi sono interlocutori privilegiati dei parlamentari,

altri gruppi lo sono meno.

Il numero sulle audizioni parlamentari può essere incrociato con un altro dato che abbiamo chiesto

14

ai responsabili dei gruppi in apposite interviste: è stato loro domandato con quale frequenza il

gruppo ha avuto la possibilità, nel corso dei 12 mesi precedenti l’intervista, di contattare

direttamente il ministro della Salute, il rispettivo sottosegretario, e i membri delle commissioni

parlamentari che si occupano della materia sanitaria. Solo due gruppi, Cgil Medici e Ipasvi, hanno

dichiarato di non intrattenere rapporti «frequenti» con il ministro. Gli altri gruppi ci hanno invece

risposto di avere «spesso» un rapporto diretto con il ministro e, nella maggioranza dei casi, anche

con alcuni componenti delle commissioni parlamentari.

A proposito di commissioni parlamentari, si può mettere in luce un aspetto. La domanda principale

che è alla base di questa ricerca riguarda le modalità con cui i gruppi d’interesse prendono contatto

e interagiscono con i decisori politici, con il dichiarato intento di influenzarne le decisioni. Nel far

questo, alcuni gruppi professionali sembrano godere di un indiscutibile vantaggio.

Se guardiamo infatti alla professione dei parlamentari eletti nella XVII legislatura (insediatasi nel

Marzo 2013), scopriamo che in Senato siedono ben 27 medici, alla Camera dei Deputati 17: ciò

significa che su 945 eletti in parlamento, il 4,7% sono medici. Non sono tante le professioni che

possono vantare una rappresentanza parlamentare così nutrita.

Nelle precedenti legislature, la presenza di medici in parlamento era ancora superiore: considerando

le ultime sei legislature – dal 1994 in avanti, quella che viene comunemente chiamata la «Seconda

repubblica» – la percentuale di parlamentari medici è stata in media del 6,4%. Se si considera che in

Italia abbiamo circa 6 medici (iscritti all’albo, non tutti sono poi praticanti) ogni 1.000 abitanti, ciò

significa che in parlamento abbiamo una concentrazione di medici che è dieci volte superiore a

quella che riscontriamo nella società [Toth 2012].

Essere ben rappresentanti in assemblea potrebbe tuttavia non essere sufficiente: per tenere sotto

controllo l’intero processo legislativo, bisogna anche saper presidiare le commissioni parlamentari

che si occupano dei temi di proprio interesse. Al Senato, la commissione Igiene e Sanità è costituita

da 24 componenti: dieci di essi sono medici. Alla Camera, le iniziative di legge in materia sanitaria

sono invece di competenza della commissione Affari Sociali; quest’ultima si compone di 34

deputati, 17 dei quali – esattamente la metà – sono medici.

Conclusione: le audizioni e i contatti personali con i parlamentari saranno anche importanti, ma i

medici – essendo già presenti in massa in commissione – sembrano averne meno bisogno degli altri

gruppi.

L’arma dello sciopero e della manifestazione pubblica

Per esercitare pressione sui decision makers, alcuni gruppi fanno uso di forme indirette di lobbying,

ricorrendo a manifestazioni pubbliche di protesta e, in alcuni casi, allo sciopero. Tali forme di

15

azione non hanno il solo scopo di veicolare il proprio dissenso; le manifestazioni pubbliche

ottengono visibilità mediatica, e servono anche a mostrare la vitalità di un gruppo e la sua capacità

di mobilitare i propri simpatizzanti [Gais e Walker 1991; Binderkrantz 2005].

Nel Giugno 2012 alcuni sindacati medici hanno proclamato una giornata nazionale di mobilitazione

in difesa della sanità pubblica: il cosiddetto «Sanità Day», cui hanno aderito Anaao, Cimo, Cgil

Medici e Fimmg. A qualche mese di distanza, il 27 Ottobre 2012, è stata organizzata a Roma

un’ulteriore manifestazione pubblica sempre in difesa del SSN: oltre ai sindacati (Anaao, Cimo,

Cgil, Fimmg) hanno dato la propria adesione anche Fnomceo, Cittadinanzattiva e Ipasvi. I sindacati

medici hanno poi proclamato uno sciopero nazionale nel Luglio 2013, per richiedere lo sblocco dei

contratti e la stabilizzazione dei medici precari; a tale sciopero hanno preso parte Anaao, Cimo e

Cgil Medici.

Oltre alle iniziative appena menzionate, Cimo-Asmd nel corso del biennio 2012-13 ha aderito a un

paio di altri scioperi (quello dei punti nascita nel Febbraio 2013, e quello dei medici ortopedici nel

Luglio 2013). Mentre la Cgil ha promosso nel Luglio del 2012 varie iniziative – in diverse città

italiane – per protestare contro i tagli al SSN, e nel Dicembre 2012 ha protestato contro Aiop per il

rinnovo del contratto della sanità privata.

Anche Federfarma si è mobilitata contro la spending review del governo Monti: nel Luglio 2012 è

stata attuata una serrata delle farmacie private di tutta Italia; sempre Federfarma, qualche mese

prima (nel Febbraio 2012), aveva minacciato uno sciopero (poi rientrato) contro le liberalizzazioni

paventate dal governo.

E’ forse superfluo constatare come a utilizzare lo strumento dello sciopero siano soprattutto le

organizzazioni sindacali. D’altronde, a gruppi come Ipasvi (i collegi degli infermieri), Fnomceo (gli

ordini dei medici) o Fiaso (le aziende sanitarie pubbliche), considerata la loro natura «istituzionale»,

la strada dello sciopero è di fatto preclusa. Ma anche soggetti come le case farmaceutiche e le

associazioni dei pazienti è difficile che possano ricorrere all’arma dello sciopero: tutt’al più essi

possono promuovere iniziative pubbliche (come nel caso di Cittadinanzattiva), o dichiarare lo «stato

di agitazione» del comparto (come ha fatto recentemente Farmindustria per protestare contro alcune

misure contenute nella legge di stabilità 2014).

4.4 La visibilità mediatica

Come si è visto in precedenza (tabella 2), i gruppi d’interesse investono molto nella comunicazione

esterna. La maggior parte dei gruppi ha infatti almeno un paio di unità di personale esclusivamente

dedicate all’ufficio stampa e comunicazione. Sarebbe interessante, a questo punto, capire quanto

queste strategie di comunicazione risultino efficaci.

Per saggiare la «visibilità mediatica» dei singoli gruppi possiamo utilizzare un semplice indicatore:

16

quante volte negli ultimi due anni ogni gruppo è stato menzionato sugli organi di stampa. A tale

scopo, sono stati selezionati i principali quotidiani nazionali (Il Corriere della Sera, La Repubblica,

La Stampa, Il Sole 24 Ore), cui sono stati aggiunti due organi ritenuti di riferimento tra gli addetti ai

lavori, ovvero il settimanale Il Sole 24 Ore-Sanità e l’organo di informazione online Quotidiano

Sanità. La ricerca ha riguardato le intere annate 2012 e 2013.

Dai dati raccolti, emerge che i gruppi maggiormente citati sui quotidiani «generalisti» sono,

nell’ordine: Federfarma, Fimmg e Farmindustria; il gruppo meno citato è Fnomceo. Sui due giornali

specializzati (Il Sole 24 Ore-Sanità e Quotidiano Sanità) il gruppo più frequentemente menzionato

è invece la Cgil (tutta la Cgil FP, non solo Cgil Medici), seguita da Anaao, Federfarma e Fimmg; il

gruppo citato meno di frequente, in questo caso, è Aiop.

Anche qui, si potrebbe obiettare che essere presenti sui giornali non significhi necessariamente

avere influenza sui decision makers; è però innegabile che avere facile accesso ai media costituisce

un atout da cui i gruppi possono trarre grande vantaggio.

Va infine menzionato che alcuni gruppi riescono ad ottenere visibilità mediatica anche tramite la

pubblicazione di studi e rapporti di settore. Si può ad esempio citare il rapporto annuale di Aiop

«Ospedali & Salute»; tale pubblicazione è oggetto di periodiche critiche da parte dei vertici di

Fiaso, che contestano la definizione degli sprechi che, in quella sede, vengono imputati alle strutture

pubbliche. La federazione delle aziende sanitarie pubbliche, dal canto suo, cura numerose

pubblicazioni, fra cui i «libri bianchi della sanità», che invece tendono a valorizzare le esperienze

positive dell’ospedalità pubblica e a sottolinearne la fondamentale importanza ai fini del

raggiungimento degli standard minimi di efficacia del SSN. Vanno segnalati inoltre i rapporti

periodici sulle biotecnologie e sull’industria del farmaco pubblicati da Farmindustria. Mentre

Cittadinanzattiva pubblica da diversi anni il rapporto «PiT Salute» (che raccoglie ogni anno

migliaia di reclami e segnalazioni da parte dei pazienti) e a partire dal 2011 anche un rapporto

annuale sullo stato del federalismo sanitario. Tutte quelle appena menzionate sono pubblicazioni

che godono di larga diffusione tra gli addetti ai lavori: servono a segnalare problemi, ad avanzare

possibili soluzioni e soprattutto a diffondere dati cui anche i principali quotidiani «generalisti» – al

momento dell’uscita dei rapporti – danno solitamente grande risalto.

5. Processi decisionali

Ci concentriamo ora sul lobbying come parte integrante dei processi di policy. Verranno presi in

17

considerazione tre iter legislativi del settore; per ognuno evidenzieremo le poste in gioco per i

gruppi interessati, cercando di valutare la loro influenza nel law making. L'analisi si concentra

quindi sull'agenda istituzionale e la sua traduzione in un atto normativo, tralasciando le non meno

importanti fasi che precedono la calendarizzazione e implementazione di un procedimento.

I primi due processi sono contenuti all'interno di uno stesso atto normativo. Si tratta del decreto

legge del 13 settembre 2012, n. 158, meglio noto come decreto Balduzzi, dal nome del ministro

allora in carica, e successivamente convertito in legge con modifiche (legge 8 novembre 2012, n.

189). In particolare verranno esaminate le posizioni e le interazioni fra i gruppi con riferimento agli

articoli 1 e 4 del testo. Il primo affronta il tema delle cure primarie, ovvero dell'organizzazione

territoriale dei servizi di medicina generale. Il secondo riguarda invece il c.d. governo clinico,

disciplinando alcuni aspetti della governance delle aziende ospedaliere. Il decreto Balduzzi si

inserisce in un dibattito più ampio e risalente nel tempo in merito ai temi della sostenibilità e

dell'efficacia del SSN. È sempre in questo contesto che si colloca il terzo processo che ha per

oggetto le norme volte al contenimento della spesa farmaceutica contenute all'articolo 15 del

decreto sulla revisione della spesa, varato nel luglio del 2012. In questo caso, oltre ai rappresentanti

dei medici e delle aziende sanitarie, sono coinvolte le organizzazioni di rappresentanza

dell'industria farmaceutica.

5.1 La riforma delle cure primarie

Uno dei punti caratterizzanti del DL Balduzzi riguarda l'organizzazione dei servizi socio-sanitari sul

territorio. L'articolo 1 del testo interviene direttamente sul decreto legislativo n. 502 del 1992. A

vent'anni di distanza dall'atto che avviò la riforma del SSN e dopo numerosi interventi di

“manutenzione istituzionale”, il governo Monti ha messo in agenda un intervento annunciato come

radicale cambiamento dei rapporti che intercorrono fra sistema ospedaliero e territorio. In

particolare, l'oggetto della disciplina sono le prestazioni fornite dai medici di medicina generale

(MMG); questa categoria comprende al suo interno i medici di famiglia, i pediatri di libera scelta e

la guardia medica; i medici di medicina generale possono accedere a questi diversi ruoli attraverso

specifiche graduatorie regionali e, successivamente, stipulando una convenzione con il SSN [Toth

2012]. Più in generale, l'intervento s’inserisce all'interno di un piano complessivo di ristrutturazione

dell'accesso alle cure, che punta a valorizzare organizzazioni decentrate che consentano il

decongestionamento degli ospedali. Questo processo è composto di numerosi interventi che toccano

il modo in cui la professione medica può essere esercitata sul territorio, incidendo sul maggiore o

minore grado di indipendenza dei medici.

Un primo aspetto molto discusso riguarda la possibilità per i medici di organizzarsi in forme

associate, siano esse a carattere mono o multi-professionale. L'idea di fondo è quella di superare il

18

modello del medico di famiglia che lavora individualmente. In quest'ottica vanno le norme del

decreto che obbligano le costituende strutture associate a erogare servizi durante l'arco delle 24 ore.

I sindacati medici hanno inizialmente accolto con favore le innovazioni contenute nel decreto legge,

che in buona parte ribadivano principi già contenuti all'interno delle convenzioni stipulate negli anni

precedenti: questa la linea assunta da Fimmg nell’estate del 2012. Il principale sindacato dei medici

di base, infatti, poteva allora ritenersi soddisfatto della non obbligatorietà delle forme associative

previste. Il testo del decreto prevedeva infatti la possibilità di dar vita sia ad «Aggregazioni

funzionali territoriali» di medici – una forma di coordinamento fra medici di famiglia, i cui dettagli

operativi sono da definire in sede di contrattazione decentrata – così come ad «Unità complesse di

cure primarie», che invece prefigurano delle organizzazioni a struttura più rigida, a carattere multi-

professionale e con la presenza anche di personale dipendente dalle Asl. Fortemente contrari a

quest'ipotesi di riorganizzazione i medici aderenti allo Smi, sindacato che si distingue per il

mantenimento dell'assetto precedente, denunciando i tentativi di riorganizzazione come una

minaccia nei confronti del rapporto di fiducia fra medico e paziente. Sul fronte diametralmente

opposto si colloca la Cgil Medici, che ha criticato il decreto e le sue successive modifiche sino alla

conversione, per la scarsa cogenza delle norme concernenti la riorganizzazione dell'assistenza

territoriale. Nella proposta formulata dalla Cgil al ministro Balduzzi spicca la previsione

dell'obbligo di associazione per i medici di medicina generale4. Una prospettiva ugualmente critica,

ma da un diverso punto di vista, è quella di Ipasvi, che ha lamentato l'eccessiva attenzione sulla

figura del medico, senza dare risalto alle professionalità infermieristiche.

Altri punti salienti del decreto legge riguardano l'accesso alla professione ed il metodo di

retribuzione dei medici di base. Fino ad oggi, per accedere diversi ruoli in cui si suddivide la

medicina generale occorreva iscriversi a specifiche graduatorie stilate dalle regioni. Gli aspetti

specifici dei diversi ruoli – medico di famiglia, pediatra di libera scelta, guardia medica – erano

fissati da apposite convenzioni. Il DL Balduzzi ha aperto ad un superamento di quest'assetto

prevedendo la costituzione del c.d. «ruolo unico», cioè dell'unificazione dei diversi canali di

accesso alla professione. Per quanto l’introduzione del ruolo unico sia stata richiesta da pressoché

tutti i gruppi e dai governi regionali, le posizioni di questi attori divergono sensibilmente se si passa

a considerare gli aspetti più concreti di questa riorganizzazione. Per la Cgil Medici, infatti, il ruolo

unico è solo il primo passo per una progressiva estinzione delle differenze esistenti. In particolare,

questo gruppo ha insistito sul superamento dell’attuale servizio di guardia medica e sulla

progressiva parificazione dei professionisti impiegati in questo servizio ai medici di famiglia. Sul

fronte opposto, lo Smi, oltre a proporre numerosi addenda ai commi riguardanti la copertura da

parte di Stato e regioni delle spese a cui i medici potrebbero incorrere in caso di riorganizzazione

4 Cgil Medici, Assistenza continua h24 nel distretto socio-sanitario. La proposta della CGIL, p. 4.

19

funzionale, si è contraddistinto per marcare ulteriormente la differenza fra medici di famiglia e di

guardia medica, proponendo esplicitamente per questi ultimi il passaggio ad un regime contrattuale

di dipendenza5.

Su entrambe le questioni, le posizioni dei medici si sono dovute confrontare – e in parte

ricompattare – dopo l'ingresso delle regioni nella partita degli emendamenti. I presidenti regionali si

sono infatti dichiarati profondamente insoddisfatti della prima versione del decreto, giudicata meno

avanzata, da un punto di vista dei modelli organizzativi, rispetto ad esperienze già in corso di

sperimentazione in alcune realtà. In seconda battuta, è stata aspramente criticata l'assenza di

previsioni di spesa per far fronte ai cambiamenti indicati. Il testo del primo articolo del DL Balduzzi

è stato così oggetto di un'agguerrita battaglia nelle commissioni. I primi tre commi del testo

attualmente in vigore sono stati aggiunti ex-novo e riscrivono in maniera sostanziale il riparto delle

competenze relativo all'organizzazione territoriale delle cure primarie. Le regioni hanno ottenuto un

ulteriore riconoscimento a normare in autonomia questo settore della filiera, senza tuttavia ottenere

lo sperato superamento dello strumento delle convenzioni regionali quale sede in cui definire le

modalità di attuazione delle previsioni legislative nazionali. Lo stesso discorso vale per il ruolo

unico, previsto dal testo in vigore, ma la cui definizione sarà oggetto di contrattazione nazionale e

decentrata. Anche il presidente di Fiaso, Giovanni Monchiero, ha criticato il rinvio alle convenzioni

come strumento di implementazione.

Questa vicenda non permette una conclusione definitiva circa l'influenza di ciascun gruppo. Nel

campo medico è possibile affermare che i gruppi con posizioni più “massimaliste” - Cgil Medici e

Smi – non abbiano ottenuto dal processo il risultato desiderato: i primi per difetto, i secondi per

eccesso di riforma. Più complesso il discorso per Fimmg. Si tratta infatti del sindacato medico più

numeroso che contiene al suo interno diverse componenti. Aver ribadito la centralità delle

convenzioni come sede di implementazione della riforma è senz'altro un risultato positivo, che

permette di continuare a spendere la propria influenza a livello locale. Di complessa valutazione la

partita delle regioni. Queste vedono ribadite le proprie potestà organizzative, anche se dovranno

accettare di condividere le proprie scelte con le sigle mediche. Saranno certamente più scontente le

regioni con politiche sanitarie più avanzate sul lato della programmazione dei servizi e della loro

organizzazione sul territorio, che hanno perso un'occasione per rafforzare alcuni dei processi già

avviati nel proprio territorio.

5.2 Il governo clinico

L'art. 4 del DL Balduzzi disciplina diversi aspetti che riguardano la governance delle aziende

5 Emendamenti Smi al DL 13 settembre 2012, n. 158. La gran parte degli emendamenti Smi non sono stati recepiti in

sede di conversione.

20

sanitarie. Il tema più caldo è senz'altro quello dei criteri di nomina del direttore generale e dei

dirigenti di struttura complessa; hanno destato interesse anche le norme che intervengono sulla

valutazione dei dirigenti medici.

Se si prende il tema delle nomine, ad esempio, i gruppi con una preferenza più intensa sono quelli

che rappresentano i medici. In particolare Anaao-Assomed, Cgil Medici e Cimo-Asmd hanno da

sempre manifestato la volontà di depoliticizzare le nomine all'interno delle strutture ospedaliere, in

favore di una maggiore autonomia della professione; su questo fronte sono pertanto alleati contro le

regioni, che a loro volta cercano di ampliare le loro prerogative in tema di organizzazione.

Analogamente a quanto avvenuto per le cure primarie, la battaglia è avvenuta fra settembre e

novembre del 2012. Anche in questo caso il testo del decreto aveva incontrato un accoglienza

prevalentemente positiva da parte dei sindacati medici. Nelle settimane seguenti la prima stesura del

decreto, infatti, il presidente di Anaao-Assomed, Costantino Troise, ha dichiarato di apprezzare la

nuova procedura per la nomina dei DG, che prevedeva la scelta da un elenco di idonei, aggiornato

periodicamente da “una commissione costituita in prevalenza da esperti indicati da qualificate

istituzioni scientifiche indipendenti dalla regione medesima”6, manifestando però apprensione

riguardo alla certa mobilitazione delle regioni sulla questione. Posizioni analoghe sono state

espresse da Riccardo Cassi di Cimo-Asmd e Massimo Cozza di Cgil Medici7. Anche Amedeo

Bianco, presidente di Fnomceo, ha manifestato il suo supporto alle norme volte a ridurre la

discrezionalità delle regioni in tema di nomine8. Il pressing dei governi regionali è stato in effetti

all'altezza dei timori dei medici, tanto che la riscrittura del testo del decreto in sede di conversione

ha rimesso nella piena disponibilità delle regioni le nomine sui DG, che avvengono ora “secondo

modalità e criteri individuati dalla regione, da parte di una commissione costituita dalla regione

medesima”9. Nel testo finale, scompare anche la norma sul limite dei 65 anni per l'incarico di DG,

che era stata criticata da Fiaso.

Altro tema oggetto di intensa attività di lobbying riguarda la facoltà delle aziende ospedaliere e

segnatamente dei direttori generali di affidare incarichi a tempo determinato sia per funzioni di

carattere strategico che per ruoli dirigenziali. Tale possibilità è stata introdotta dalla riforma Bindi,

nel 1999, all'insegna di un'impostazione managerialista che ha costituito uno dei cleavage che

separano Cimo-Asmd – fortemente critico – da Anaao-Assomed, che sposò allora il disegno, ma

che ha progressivamente rivisto le proprie posizioni10. Nel luglio del 2012, quando il DL Balduzzi

era ancora in fase di elaborazione, la spending review (Dl 95/2012) sospese improvvisamente la

possibilità di ricorrere a contratti a tempo determinato da parte delle aziende ospedaliere. Nella sua 6 DL 13 settembre 2012, n. 158, art. 3 c. 1 (a). 7 “Decretone, critiche dei sindacati alle prime proposte delle Regioni”, Sole 24 Ore – Sanità, 3 settembre 2012. 8 B. Gobbi, “Risposte all'impasse del SSN”, Sole 24 Ore – Sanità, 25 set.-1 ott. 2012. 9 DL 13 settembre 2012, n. 158, art. 3 c. 1 (a), modificato in sede di conversione dalla Legge 8 novembre 2012, n. 189. 10 Intervista a Riccardo Cassi, Presidente Cimo-Asmd.

21

stesura originaria, il DL Balduzzi non prevedeva norme intese ad incidere su questi aspetti, tuttavia

la legge di conversione ha recepito degli emendamenti che rendono possibile il ricorso a queste

forme di impiego. Nello specifico sono stati inseriti dei tetti massimi – espressi in punti percentuali

della pianta organica – di personale medico assumibile in queste modalità, andando incontro alle

richieste di Fiaso, che ha mantenuto una valutazione positiva di questa esperienza11.

In questo processo le regioni escono senza dubbio vincitrici e con loro Fiaso. Le prime hanno

mantenuto un elevato livello di discrezionalità nella delicata partita sulle nomine dei DG, mentre le

aziende sanitarie possono continuare a gestire il personale con margini di flessibilità.

5.3 Il contenimento della spesa farmaceutica

Nell'estate del 2012, il governo Monti ha varato il decreto legge n. 95 contenente “Disposizioni

urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”, meglio noto

come spending review. La filosofia di fondo era quella di contenere i costi delle amministrazioni

pubbliche di cui, come noto, quelli relativi al SSN rappresentano una delle voci più consistenti. Le

nuove norme vanno a incidere sull'articolo 5 del Decreto n. 159 del 2007, rivedendo al ribasso i tetti

di spesa pubblica impiegata nell'acquisto di farmaci. Questa voce ha sostanzialmente due

componenti: la prima è data dall'acquisto di prodotti da parte delle strutture del SSN; la seconda è

invece una spesa indiretta e costituisce un sussidio che copre le spese per i prodotti farmaceutici

convenzionati acquistabili dai cittadini su prescrizione medica.

Per far fronte a questi tagli, la revisione della spesa ha scommesso sui possibili risparmi che

possono crearsi da una più stringente regolamentazione della spesa farmaceutica dal maggiore

utilizzo dei farmaci generici. Le misure che sono state maggiormente dibattute hanno infatti

riguardato “gli sconti” che lo Stato impone a farmacie convenzionate ed aziende produttrici. Per le

prime, gli sconti sono stati innalzati dall'1,85% al 3,65%; raddoppiati anche gli sconti a carico delle

aziende produttrici, che raggiungono il 6%. Per le case farmaceutiche si è poi introdotto l'obbligo a

pagare di tasca propria per eventuali sforamenti dei budget regionali per gli acquisti di farmaci.

Come prevedibile, tali misure hanno sin da subito scatenato feroci polemiche. Sul piede di guerra

Farmindustria e Federfarma. Entrambe le organizzazioni hanno sottolineato gli impatti negativi che

il provvedimento avrebbe avuto sulla filiere produttiva in termini occupazionali e, nel caso dei

produttori riuniti in Farmindustria, del potenziale di innovazione legato alla redditività generata dal

settore. I farmacisti, dal canto loro, hanno dato corpo alle loro proteste denunciando l'iniquità dei

tagli alla spesa farmaceutica: questi – a detta della presidente di Federfarma, Annarosa Racca – non

toccano gli acquisti di Asl e Ao – per le quali anzi sono possibili degli aumenti – mentre incidono

11 G. Monchiero, “Dalle cure primarie alla “terna”: cosa chiedono i direttori generali”, Sole 24 Ore – Sanità, 2-8 ottobre

2012.

22

sulla spesa territoriale, che sarebbe invece da considerarsi “sotto controllo”12. A sostegno di

Farmindustria sono scese in campo le federazioni Cgil, Cisl e Uil del settore chimico e si è aggiunta

Federcongressi (l'associazione che dal 2004 rappresenta le imprese dedite alla convegnistica ed

all'organizzazione di eventi), che ha esortato il Governo “a riconsiderare ogni eventuale impatto

della spending review sull'industria farmaceutica, perché una dura reazione come quella che oggi

temiamo da parte di Farmindustria genererebbe un danno incalcolabile sia sull'industria

congressuale sia sull'indotto”13. Questo ampio e variegato schieramento ha trovato una sponda

importante nella dodicesima commissione del Senato – Igiene e Sanità – che ha espresso un parere

critico nei confronti del decreto, condizionando la sua approvazione alla recezione di misure in

grado di attenuare l'impatto sul tessuto industriale di riferimento e l'indotto da esso generato14.

Supporto all'azione del Governo è invece arrivato dal presidente di Assogenerici, Giorgio Foresti,

che ha sposato la logica del decreto, calcolando in 400 milioni di euro i risparmi annuali per le casse

pubbliche che potrebbero venire dalla diminuzione del 10% del costo dei farmaci e dall'aumento del

mercato dei generici.

La conversione del decreto è avvenuta il 7 agosto 2012. Sia Federfarma che Farmindustria sono

riuscite a contenere i danni. La mobilitazione di Federfarma ha avuto come effetto maggiormente

visibile una riduzione al 2,25% dello sconto da effettuare, anziché del 3,65% previsto dalla prima

stesura del decreto. Per le industrie lo sconto passa dal 6 al 4%, ma Farmindustria ha visto aprirsi in

quest'occasione un nuovo ed imprevisto fronte di lobbying. Nella legge di conversione, infatti,

viene recepito un nuovo comma (l'11-bis), che impone l'obbligo per i medici di indicare sulla ricetta

soltanto il nome del principio attivo in luogo del nome commerciale del farmaco. Si è trattato di un

duro colpo per Farmindustria. L’associazione, su questa materia, ha incassato l'appoggio di Fimmg,

che ha manifestato insoddisfazione per l'incertezza che le nuove norme possono ingenerare nel

comportamento dei medici di base. In settembre, il Ministro dello Sviluppo Economico, Corrado

Passera, ha recepito l'insoddisfazione del settore farmaceutico, aprendo un apposito “tavolo” per

concertare misure atte al suo rilancio. In quell'occasione, il presidente di Farmindustria, Massimo

Scaccabarozzi, ha ribadito l'iniquità della norma sul “principio attivo”, che in un solo mese avrebbe

fatto perdere alle imprese rappresentate il 10% del mercato15. Tale comunione d'intenti si è presto

manifestata in una modifica dell'articolo 11-bis, inserita in un decreto omnibus di ottobre. Se nel

testo di agosto il medico era tenuto ad “indicare solo la denominazione del principio attivo

contenuto nel farmaco” e l'indicazione del brand diventava una facoltà accessoria e non vincolante,

nella nuova formulazione la discrezionalità del medico aumenta. Questi può infatti prescrivere il

12 “Spending Review: Federfarma, 20 mila posti a rischio”, Sole 24 Ore Sanità, 9 luglio 2012. 13 “Spending review: allarme Federcongressi per i tagli alle industrie del farmaco”, Sole 24Ore Sanità, 13 luglio 2012. 14 Parere della 12a Commissione Permanente – Igiene e Sanità, Disegno di legge AS 3396, Roma 19 luglio 2012. 15 R. Turno, Il Ministro Passera apre il tavolo sulla farmaceutica, il Sole 24 Ore, 13 settembre 2012.

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principio attivo (la parola “solo” è stata cassata) “oppure la denominazione di uno specifico

medicinale a base dello stesso principio attivo accompagnata dalla denominazione di

quest'ultimo” e, in questo caso, il farmacista sarà tenuto a prescrivere il farmaco indicato, salvo

indicazione diversa del paziente.

La lobby farmaceutica è, quasi per antonomasia, una fra le più influenti. Le vicende narrate ne

restituiscono un'immagine meno sulfurea. La revisione della spesa ha infatti messo in luce come gli

interessi costituiti attorno al particolare mercato dei farmaci possano essere toccati, anche in

maniera significativa. L'obbligo di prescrizione medica del principio attivo, inserito in sede di

conversione, senza che il dibattito sul provvedimento ne avesse dato notizia, suggerisce che la forza

specifica di un gruppo non impedisce l'approvazione di misure che, almeno teoricamente, vanno

incontro agli interessi diffusi. C'è però un'altra faccia della medaglia, che restituisce agli interessi

farmaceutici l'influenza cui sono associati. Sia Farmindustria che Federfarma sono infatti riuscite a

contenere l'entità degli sconti proclamati d'ufficio dallo Stato, mobilitando un fronte di interessi che

va dall'industria chimica alla convegnistica. Le norme sul principio attivo, poi, indicano la grande

resilienza di questo nocciolo di interessi, grazie ad un'alleanza con Fimmg fondata sulla libertà

prescrittiva del medico.

6. Conclusioni: insider e outsider

Nella letteratura sui gruppi d’interesse e sulle strategie di lobbying, viene ampiamente utilizzata la

distinzione tra «insider» e «outsider» [Grant 1989; Maloney et al. 1994; Page 1999].

Per «insider» s’intendono i gruppi che vengono consultati regolarmente dai governanti, in quanto

reputati maggiormente legittimi e rappresentativi; tali gruppi vantano una più stretta frequentazione

dei policy makers (nel nostro caso: il ministro e i componenti delle commissioni parlamentari), e

preferiscono forme di lobbying diretto alle manifestazioni pubbliche.

I gruppi «outsider» sono invece quelli che i legislatori non riconoscono come interlocutori

privilegiati: essi sono solitamente esclusi dalle consultazioni e hanno con il ministro e con i

parlamentari rapporti più sporadici. Occupando una posizione più defilata rispetto alle più

importanti sedi decisionali, tali gruppi puntano meno sul lobbying diretto; per farsi notare e per far

valere le proprie istanze gli outsider si affidano piuttosto alle iniziative pubbliche e alle

manifestazioni di piazza.

All’interno dei gruppi insider, Wyn Grant [1989] distingue poi tra gruppi «high profile» «low

profile»: i primi sono quelli che ricercano un’elevata visibilità pubblica e che figurano spesso sui

mass media; i gruppi low profile, al contrario, sono quelli che rifuggono un’eccessiva esposizione

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mediatica e preferiscono operare in modo più discreto. In molti casi, la scelta tra «alto» e «basso»

profilo deriva dalla natura del gruppo e della rispettiva membership: è infatti plausibile che un

gruppo che sia in competizione con altri e che sia alla ricerca di nuovi associati dia maggiore

visibilità alle proprie attività, anche per mostrarsi all’opinione pubblica come un gruppo vitale ed

intraprendente. Altri gruppi non hanno tale esigenza, e preferiscono condurre la propria attività di

lobbying senza darvi troppa pubblicità.

Applicare la dicotomia insider-outsider agli undici gruppi selezionati per questa ricerca non è

operazione agevole. Il motivo è semplice: la ricerca ha inteso selezionare solo gruppi che fossero

altamente influenti nel settore sanitario. Tutti gli undici gruppi selezionati sono quindi – per

definizione – «insider». Tutti questi gruppi sanno essere influenti nel rispettivo settore d’intervento.

Premesso questo, è però anche vero che i gruppi mettono in atto strategie differenti.

Alcuni gruppi adottano infatti la tipica strategia dell’insider. Tra questi ricadono sicuramente Fiaso,

Farmindustria e Cittadinanzattiva. Questi tre gruppi sono quelli più frequentemente invitati in

audizione, dichiarano di avere frequenti rapporti con i legislatori, e non ricorrono a manifestazioni

pubbliche come lo sciopero. A prediligere forme di lobbying diretto sono anche Fnomceo e Aiop:

essi intrattengono frequenti rapporti diretti col ministro, e non ricorrono a mobilitazioni di piazza.

Se guardiamo alla visibilità mediatica, è interessante notare come i gruppi insider appena

menzionati – con l’eccezione forse di Farmindustria – siano in prevalenza «low profile».

Altri gruppi intrattengono rapporti più sporadici con il ministro e i parlamentari, mentre investono

molte energie in strategie indirette di lobbying. Rientrano sicuramente in questa seconda categoria

sia Cimo sia Cgil Medici: Cimo è stato invitato solo tre volte in audizione nell’ultimo quinquennio;

la Cgil Medici dichiara di non avere rapporti frequenti con i legislatori; entrambi i gruppi si sono

però dimostrati molto attivi nell’organizzare scioperi e manifestazioni di protesta.

Vi sono tre gruppi che sembrano miscelare, in parti uguali, forme di lobbying diretto e indiretto.

Questi gruppi sono Anaao, Fimmg, Federfarma; proprio questi tre gruppi sono quelli che vantano la

maggiore esposizione mediatica.

Rimane infine da collocare Ipasvi. I collegi infermieristici pagano forse la tradizionale

subordinazione nei confronti della classe medica; a questo si aggiunga la natura “istituzionale” dei

collegi infermieristici, che impedisce loro di attuare forme di protesta particolarmente eclatanti

(questo competerà semmai ai sindacati degli infermieri). Fatto sta che, tra quelli qui considerati,

Ipasvi dà l’impressione di essere il gruppo meno inserito nel sistema. Seguendo la classificazione di

Grant [1989], Ipasvi potrebbe essere etichettato come un «potential insider», ovvero un gruppo che

pur essendo ancora – per molti versi – periferico utilizza strategie da insider in modo da acquisire

maggiore legittimità agli occhi dei legislatori. Non è un caso che i collegi Ipasvi abbiano salutato

con molto favore l’elezione in Senato, nel 2013, del proprio presidente nazionale, Annalisa

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Silvestro (chiedendole peraltro di conservare il doppio incarico): sperano così che la professione

infermieristica possa risultare più presente ed influente nelle sedi istituzionali che contano.

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