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I GIOVANI ALL’UNIVERSITA’ LA PERVERSA FORBICE FRA MITI E BISOGNI di Giuseppe LIMONE Entrare nel disagio dei giovani all’Università è navigare in un arcipelago di ‘vissuti’ di cui è certamente difficile delineare l’insieme in poche righe, ma in cui è necessario guardare. Il giovane avviato all’Università, infatti, – il giovane reale, non quello pubblicizzato dai rotocalchi di maniera – si scopre ben presto catturato nella forbice fra due contraddizioni. La prima: fra ciò che gli si chiede e ciò che trova; la seconda: fra ciò che si aspetta e ciò che realmente gli si dà. Ciò significa che il giovane, entrando nel mondo dell’Università – un mondo pur così ricco di prospettive e di sollecitazioni –, si trova avvitato nel conflitto fra la condizione generica di aspirante al duplice mondo del lavoro e della classe dirigente e la condizione specifica in cui trova di fatto negati molti strumenti per realizzarne il percorso. Innanzitutto, nonostante le fantasmagorie della civiltà informatica e massmediale, questo giovane trova che gli mancano strumenti e strutture o che, nella migliore delle ipotesi, l’affollamento ne rende impraticabile la funzione. Troppo spesso mancano trasporti, mense, residenze, luoghi di confronto informale all’interno delle strutture predisposte dall’Università. Mancano sale di lettura, sale informatiche, possibilità immediate di accesso ai libri e alle biblioteche. Si trova davanti a Biblioteche che aprono troppo tardi e chiudono troppo presto. Biblioteche che non comprano libri o li comprano troppo tardi. Biblioteche che non orientano, ma respingono. Si trova nella difficoltà estrema di avvalersi di collegamenti informatici, di collegamenti multimediali – finanche di fotocopiatrici –, di sale di conversazione e d’incontro. Il ragazzo, avviatosi all’Università, incontra scarse occasioni di tutorato e di orientamento. Salvo eccezioni, egli trova scarse occasioni di rapporto personalizzato col docente. Egli entra nell’Università come individuo e si ritrova come pedina. Rischia di trovarsi selezionato non sulle capacità intellettuali ma sulle attitudini al disagio. Gli mancano i luoghi essenziali in cui fare comunità. Veniamo all’altro aspetto della contraddizione. Il giovane si aspetta dall’Università, e l’Università avrebbe il dovere di dargli, due cose. L’inserimento nel mondo del lavoro e una formazione critica complessiva, che sia in grado di renderlo cittadino capace e dotato, futuro interpetre dei ruoli della classe dirigente. Ebbene, l’Università è ben lungi dal dare tutto questo, anche se sforzi in questa direzione, in alcuni casi, ci sono. Il giovane si aspetta che l’Università offra frequenti stages di formazione – e questo manca o è riservato a pochi, privilegiati e/o fortunati. Il giovane si aspetta che ci siano borse di studio atte a sostenere i volenterosi, a non allargare la distanza fra i ricchi e i poveri – e tutto questo manca. Ma soprattutto il giovane si aspetta che l’Università sia un luogo in cui l’informazione importante per lui circoli in modo ‘libero da

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I GIOVANI ALL’UNIVERSITA’ LA PERVERSA FORBICE FRA MITI E BISOGNI di Giuseppe LIMONE

Entrare nel disagio dei giovani all’Università è navigare in un arcipelago di ‘vissuti’ di cui è certamente difficile delineare l’insieme in poche righe, ma in cui è necessario guardare. Il giovane avviato all’Università, infatti, – il giovane reale, non quello pubblicizzato dai rotocalchi di maniera – si scopre ben presto catturato nella forbice fra due contraddizioni. La prima: fra ciò che gli si chiede e ciò che trova; la seconda: fra ciò che si aspetta e ciò che realmente gli si dà.

Ciò significa che il giovane, entrando nel mondo dell’Università – un mondo pur così ricco di prospettive e di sollecitazioni –, si trova avvitato nel conflitto fra la condizione generica di aspirante al duplice mondo del lavoro e della classe dirigente e la condizione specifica in cui trova di fatto negati molti strumenti per realizzarne il percorso.

Innanzitutto, nonostante le fantasmagorie della civiltà informatica e massmediale, questo giovane trova che gli mancano strumenti e strutture o che, nella migliore delle ipotesi, l’affollamento ne rende impraticabile la funzione. Troppo spesso mancano trasporti, mense, residenze, luoghi di confronto informale all’interno delle strutture predisposte dall’Università. Mancano sale di lettura, sale informatiche, possibilità immediate di accesso ai libri e alle biblioteche. Si trova davanti a Biblioteche che aprono troppo tardi e chiudono troppo presto. Biblioteche che non comprano libri o li comprano troppo tardi. Biblioteche che non orientano, ma respingono. Si trova nella difficoltà estrema di avvalersi di collegamenti informatici, di collegamenti multimediali – finanche di fotocopiatrici –, di sale di conversazione e d’incontro. Il ragazzo, avviatosi all’Università, incontra scarse occasioni di tutorato e di orientamento. Salvo eccezioni, egli trova scarse occasioni di rapporto personalizzato col docente. Egli entra nell’Università come individuo e si ritrova come pedina. Rischia di trovarsi selezionato non sulle capacità intellettuali ma sulle attitudini al disagio. Gli mancano i luoghi essenziali in cui fare comunità.

Veniamo all’altro aspetto della contraddizione. Il giovane si aspetta dall’Università, e l’Università avrebbe il dovere di dargli, due cose. L’inserimento nel mondo del lavoro e una formazione critica complessiva, che sia in grado di renderlo cittadino capace e dotato, futuro interpetre dei ruoli della classe dirigente. Ebbene, l’Università è ben lungi dal dare tutto questo, anche se sforzi in questa direzione, in alcuni casi, ci sono. Il giovane si aspetta che l’Università offra frequenti stages di formazione – e questo manca o è riservato a pochi, privilegiati e/o fortunati. Il giovane si aspetta che ci siano borse di studio atte a sostenere i volenterosi, a non allargare la distanza fra i ricchi e i poveri – e tutto questo manca. Ma soprattutto il giovane si aspetta che l’Università sia un luogo in cui l’informazione importante per lui circoli in modo ‘libero da

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dominio’ e si accorge invece che essa – l’informazione che conta – è sempre più riservata a corridoi e a canali privilegiati. Non si parla, poi, dei disagi incredibili degli svantaggiati per handicap.

Certo, la condizione migliore per un giovane che si avvia al mondo del lavoro, al mondo della formazione intellettuale e civica e – perché no? – alla ricerca sarebbe l’esistenza di ‘campus’ aperti alla fruizione di tutti – ma tutto questo – forse – significherebbe chiedere ‘troppo’: quel ‘troppo’ che è l’essenziale. Quante risorse lo Stato investe per la ricerca? Nonostante tutte le blaterazioni europeiste, ancora troppo poche. Occorrerebbe – contro tutte le leggi finanziarie – collocare a riserva costituzionale di bilancio statale i fondi per la ricerca pubblica e per l’Università, in modo che nessun governo, di nessun colore, possa violarne il minimo garantito. E, per far questo, occorrerebbe una battaglia studentesca e giovanile, di livello europeo, per vincolare le Istituzioni e per costringere le Istituzioni ad autovincolarsi. E invece l’Università va, dal punto di vista della costituzionale apertura ai ‘capaci e meritevoli’, in senso opposto. Essa, se si osserva bene il trend in cui marcia, diventerà sempre più luogo per figli di danarosi e di privilegiati, in grado di mantenere la prole agli studi per la riproduzione del proprio ceto. Si pensi a quanto costeranno i master di specializzazione e a come saranno distribuite le borse di studio. Troppo spesso le dichiarazioni enfatiche di ‘adeguamento all’Europa’ sono soltanto strumenti mimetici per nascondere intenzioni strumentali e peggiorative, che dimenticano le diverse strutture complessive in cui opera l’ ‘Europa’.

Ma tutto questo, ove se ne assuma lucida consapevolezza civile, non è un destino, perché cambiarlo è nella mente e nella determinazione di tutti coloro che hanno veramente a cuore l’Università: e può essere nella mente e nella capacità critica di tutti quei giovani che, capendolo, avranno la determinazione e la forza per pretendere un’inversione di tendenza. Certo, il sistema massmediatico – troppo spesso – alleva, còccola e seleziona ragazzi acritici, disattenti, mielosi, incapaci di capire, irrimediabilmente persi nel giorno per giorno, nel gioco fatato e falso delle loro mille vetrine – là dove credono di comprare il mondo e vendono soltanto la propria dignità. Certo, occorre saper reagire CON FORZA a chi ci propone – anche paludati esperti lo fanno – una concezione e una pratica fondate sulla SEPARAZIONE fra valori umanistici e professionalità (anche allo scopo di celebrare la seconda per seppellire di retorica i primi). Sono gli apprendisti stregoni del nulla, pur osannati e pluridecorati, che hanno già concorso a produrre, come ‘civiltà’, una locomotiva inarrestabile e iperveloce senza conduttori. Occorre saper rifiutare il dolce avvelenato delle narcòsi a rate e imboccare invece la strada – personale e sociale – del crescere. Ma è proprio questa la partita del futuro. Che potrà essere vinta o persa se i giovani sapranno, o non sapranno, vivere l’emozione del pensiero, la ricchezza della fantasia, l’avventura della formazione vera, anche dura, il culto dei valori civili e la critica militante della solidarietà.

GIUSEPPE LIMONE Professore di Filosofia del Diritto e della Politica presso la

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Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli