I Far morire non è mai una cura · l'alimentazione. Far morire non è mai una cura Dato che tutto...

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Giovedì, 26 febbraio 2009 Avvenire 3 Liberi di deridere sì, ma non per l'eutanasia www.awenireonline.it\vita Hi Aramìnì b lettera II medico assiste, non elimina S ono un medico di 60 anni che per 35 anni ha svolto la sua attività professiona- le in reparti di me- dicina interna di al- cuni ospedali di Pavia e pro- vincia. Nella mia attività la- vorativa mi sono trovato di fronte a parecchi casi di pa- zienti in fase preterminale o terminale e li ho affrontati insieme ai familiari rispet- tando sempre la volontà dei pazienti stessi, senza però inficiare il Giuramento ip- pocratico. Per quanto ri- guarda il caso Englaro, la classe medica si è divisa su due fronti come è accaduto all'interno della popolazio- ne. È presente una compo- nente che ritiene che ciò che è stato fatto ad Eluana sia stato un atto dovuto e un'al- tra componente, di cui fac- cio parte anch'io, che ritie- ne che sia stato un atto eu- tanasico, poiché il non nu- trire e non idratare il pa- ziente è da noi ritenuto un vero e proprio atto di euta- nasia, per di più non tanto dolce. . C onfrontandomi con di- versi colleghi mi per- metto di segnalare un altro punto che non è mai stato affrontato sui giorna- li, per rispetto nei confron- ti del papa di Eluana. Molti di noi si chiedono perché il padre non abbia voluto por- tare a casa la figlia e non l'ab- bia assistita a domicilio, de- cidendo come comportarsi nei suoi confronti. Tengo a precisare che ci sono all'an- no migliaia e migliaia di ca- si in Italia in cui i familiari decidono di portare al pro- prio domicilio il paziente con patologia irreversibile senza creare dibattiti sui mass media. A questo pun- to è imperativo che si pon- ga in atto una legge sulla di- chiarazione anticipata, an- che se personalmente la ri- tengo il minore dei mali e non vorrei che potesse dare adito a futuri scenari in cui i fragili, i disabili, gli anzia- ni con Alzheimer, i pazien- ti con patologie croniche de- generative possano essere "eliminati" nei casi in cui non ci sia al loro fianco un familiare che si faccia carico delle loro sofferenze. Resta comunque fondamentale il rapporto di fiducia tra me- dico e paziente, per poter af- frontare al meglio tale te- matica, convinti che il pa- ziente-parente necessita di una dimensione relaziona- le e sociale oltre che tecnico- professionale. Termino que- ste poche righe citando an- ch'io ciò che ha detto un lai- co non cattolico medico co- me Jannacci: "Speriamo in una carezza del Nazareno" per alleviare questa ferita e- sistenziale di tutti noi. Giovanni Belloni, presidente Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi Odontoiatri della Lombardia Presidente Ordine Prov.le Medici Chirurghi e Odontoiatri di Pavia 1 disegno di legge relativo al cosiddetto testamento biologico è approdato tra molte polemiche nell'aula del Senato. La ragione della discordia va cercata nel tentativo di alcune forze politiche di introdurre, per mezzo del testamento biologico, forme più o meno esplicite di eutanasia. In tal modo si è determinato un grave inquinamento del dibattito sullo strumento giuridico delle direttive anticipate che, se fatto bene, potrebbe avere una qualche utilità. Il testo licenziato dalla Commissione Sanità segue la Convenzione sulla Bioetica di Oviedo che all'articolo 9 afferma esplicitamente che le volontà del malato debbono essere prese in considerazione, ma che esse non hanno un valore vincolante per i medici. Quindi il testo non è il solito prodotto "oscurantista clericale", ma in linea con il principale documento europeo sulla bioetica. •f •f - . I mportante è poi chiarire che cosa voglia effettivamente la gente. Secondo i radicali, Augias e i compagni della Consulta di bioetica, sembra che gli italiani siano tutti in fila per rifiutare le cure mediche. Si tratta di chiacchiere. Perché gli studi di accreditate istituzioni scientifiche quali l'Istituto tumori di Milano hanno rivelato ciò che le persone comuni chiedono veramente: non vogliono soffrire inutilmente e vogliono essere accompagnati alla morte in modo degno di una persona umana, quindi con le cure antidolore, le cure palliative nel loro complesso, comprendenti anche l'attenzione dei servizi sociali alla propria famiglia. La medicina palliativa, vera rivoluzione della nostra epoca (ribadiamo che è scandaloso che non sia ancora sufficientemente applicata) ha mostrato che si può trattare adeguatamente il dolore delle persone che soffrono, senza bisogno di uccidere nessuno. Abbiamo gli strumenti per venire incontro ai bisogni delle persone, usiamoli bene e rendiamoli velocemente disponibili a tutti. Una prima conclusione è perciò che non c'è alcuna richiesta di eutanasia tra la gente normale. Essa deriva solo da posizioni ideologiche che una piccolissima minoranza vuole imporre a tutti. // disegno di legge Calabrò sul testamento biologico in discussione al Senato, secondo i radicali, Augias e Beppino Englaro sarebbe il prodotto del solito "oscurantismo clericale", animato da scarso rispetto per l'autonomia del paziente e sordo alle richieste diffuse dèlia gente, schierata a favore dell'eutanasia. Ma le cose stanno davvero così? L'esperienza - laica - di altri Paesi dice il contrario introdurre il progetto eutanasico attraverso il più soffice motto "nessuno deve decidere per me" oppure "Io voglio essere padrone della mia vita", con l'invito a dettare indicazioni precise ai «Studium»: laicità e morte assistita «In margine al caso Elua- na: riflessioni giuridiche e morali sul vivere e sul mo- rire» è il titolo di un lun- go approfondimento con- tenuto nell'ultimo nume- ro di Studium, il bimestra- le di cultura diretto da Giuseppe Lazzaro. A trat- tare il caso drammatico e le ricadute che esso ha a- vuto anche sul dibattito - sempre così acceso in Ita- lia - su laicità e laicismo, sono il gesuita Piersandro Vanzan e Carla D'Agosti- no Ungaretti. medici su ciò che dovrebbero fare o non fare di fronte a specifiche situazioni di malattia terminale, in particolare si vorrebbe introdurre la possibilità di rifiutare anche l'alimentazione e l'idratazione del malato, realizzando così una vera forma di eutanasia. Diventa chiaro perciò il motivo per cui si parla giustamente di strategia del cavallo di Troia a proposito del testamento biologico. Sulla questione della libertà personale che sarebbe maggiore se potessimo rifiutare tutte le cure (ma l'alimentazione e l'idratazione, anche se somministrate con qualche ausilio, non sono cure mediche!), l'esperienza olandese ha mostrato, con una chiarezza che non ammette repliche, che la libertà delle persone, lungi dall'essere stata incrementata per mezzo delle scelte eutanasiche, è stata consegnata nelle mani dei medici che sono sempre più i veri decisoli. I noltre l'esperienza della vita ci dice che le prospettive cambiano quando la morte ti guarda negli occhi. Ascoltiamo la dottoressa Sylvie Menard: «Quando la diagnosi di una malattia dalla quale non si può guarire viene scritta sotto il tuo nome, allora non pensi più all'eutanasia, ad abbreviare la tua vita prima del tempo. Tutto si ribalta, valori e convinzioni. Anche se prima, quando avevi il dono della salute, credevi che • fosse un diritto e una tua libertà avere una morte degna che abbreviasse le sofferenze. Dopo, invece, vuoi viverla fino alla fine, la tua esistenza. Vuoi aggrapparti a ogni minuto». Questo ci dice che la libertà dell'uomo non è un fatto astratto, programmabile una volta per sempre in un contesto di gelida solitudine. Infine, la Costituzione, così spesso impropriamente citata nel suo articolo 32, garantisce correttamente dall'uso improprio delle cure mediche, mentre non garantisce affatto il diritto di morire, come accadrebbe se si potessero rifiutare cori superficialità l'idratazione e l'alimentazione. Far morire non è mai una cura D ato che tutto ciò è ben noto ai sostenitori dell'eutanasia, essi stanno cercando di e/: e E e D iverse affermazioni riportate di recente dai quotidiani mi sem- brano discutibili. Cominciano con Angelo Panebianco per il quale «la sacralità della vita è un concetto privo di senso per chi non crede in Dio" (Corriere della se- ra, 23 febbraio). Ora, è vero che non si può parlare di qualcosa di sacro se non esiste il divino. Ma per sostenere che non si deve uccidere (salvo il caso del- la legittima difesa e dell'azione milita- re) si può fare leva sulla "dignità" del- la vita umana. E questa può essere de- lucidata (si vedano diversi articoli su Avvenire) senza fare riferimento a Dio. l i ncora, secondo Silvio Viale, «le cu- t l r e palliative, se ben condotte, non • «sono così lontane da una terapia eu- tanasica» (sempre Corriere della sera, 24 febbraio). Ora, è vero che alcune cure palliative possono cagionare la morte di un malato, ma c'è una differenza cru- ciale tra queste cure e l'eutanasia. In- fatti, quando io sommistro delle cure palliative per ottenere la cessazione o l'alleviamento della sofferenza di un malato, non voglio l'accelerazione del- la morte del malato, bensì, a volte, la provoco, in certi casi consapevolmente, come effetto collaterale, che non è da me voluto né come fine, né come mez- zo. In schema: somministrazione delle terapie - cessazione della sofferenza - II dibattito sull'eutanasia e sul fine vita è stato spesso deformato da dichiarazioni fuorvianti. Eccole raccolte, analizzate e smontate morte. Un effetto collaterale è appunto quello che non voglio né come fine, né come mezzo. Ad esempio, la chemiote- rapia comporta le vertigini, la spossatez- za, ecc? Questi effetti sono negativi, ma io posso scegliere di somministrare la chemioterapia a un malato, purché sia l'unico modo per guarirlo e purché ci sia una proporzionalità (a volte assai diffi- cile da calcolare) tra gli effetti negativi e quelli positivi (guarire o contenere la ma- lattia). Invece, realizzo un'eutanasia se pratico un intervento con cui voglio la morte del malato come mezzo per far cessare le sue sofferenze. In schema: rea- lizzazione di un intervento - morte - ces- sazione della sofferenza. Dunque, in en- trambi i casi il risultato finale è identico, ma l'azione con cui si giunge a questo ri- sultato è diversa: la prima non vuole la morte di un essere umano, la seconda in- vece sì. Non è dunque eutanasica, per e- sempio, una sedazione che vuoi far ter- minare le sofferenze di un malato e che cagiona come effetto collaterale la sua morte; mentre è eutanasica una sedazio- ne che vuoi produrre la morte del mala- to, sia pure per non farlo più soffrire. A nalogicamente, secondo Beppino Englaro «dire no ad una terapia sal- vavita non ha niente a che vedere con l'eutanasia. Una cosa è chiedere un'iniezione letale, un'altra chiedere di lasciarsi morire: l'ha chiesto anche Gio- vanni Paolo II» (Corriere della sera, 22 febbraio). In realtà bisogna di nuovo distinguere. C'è una differenza morale decisiva tra la cessazione delle terapie nel caso del rifiuto dell'accanimento terapeutico e quella che configura un'eutanasia. Ad esempio, non com- pio eutanasia se sospendo delle tera- pie in se stesse (eccessivamente) dolo- rose, per ottenere la cessazione-alle- viamento della sofferenza, e non vo- glio in alcun modo l'accelerazione del- la morte del malato, bensì la determi- no, anche consapevolmente, come ef- fetto collaterale, non voluto né come fi- ne, né come mezzo; compio invece li- na eutanasia se interrompo le terapie perché voglio la morte del malato co- me mezzo per ottenere la fine delle sue sofferenze, che non sono determinate dalla terapie stesse. Se non vogliamo parlare di eutanasia, resta il fatto che si tratta di un'azione volutamente uccisi- va, che è gravemente malvagia. Quan- to a Giovanni Paolo II, egli chiese di non subire accanimento terapeutico, perché ciò che gli venne prospettato sa- rebbe stato particolarmente doloroso in sé e inutile. 4. i C 'e 1 Ehiana, quelle sentenze in contraddizione 66 uando ormai si sperava che dopo il tragico epilogo della drammatica esistenza di Elua- na, si aprisse un momento di silenziosa meditazione e di pa- cata riflessione, la manifesta- zione di Piazza Farnese a Ro- ma e, soprattutto, una partecipazione, anche televisiva che ci si augurava non vi fosse, hanno riaperto il "caso", alimentando le perplessità di quanti avevano temuto che una triste situazione personale e fa- miliare tendesse a trasformarsi in un fatto politico, o comun- que strumentalizzato per conseguire risultati politici. Stando così le cose, non sembra inopportuno proporre, paca- tamente e senza volersi inserire nella polemica politica, che non ci appartiene, alcune riflessioni. La dialettica - o polemica - che ha caratterizzato i giorni cru- ciali della vicenda si è fondata su alcuni equivoci. Si è affermato - per legittimare la posizione, per così dire, in- terventista - che essa trovava fondamento nel decreto della Cor- te di Appello di Milano - emesso sulla base della nota senten- za della Corte di Cassazione - che, essendo passato in giudi- cato, sarebbe divenuto intangibile. In realtà, nessun giudicato ha definito l'iter processuale: infatti, l'articolo 742 del codice di procedura civile testualmente dispone che «i decreti posso- no essere in ogni tempo modificati o revocati». Dunque, evo- care l'autorità del giudicato è stato improprio e suscita per- plessità che autorevoli giuristi che hanno trattato il tema non abbiano tenuto conto dell'ari. 742 del codice di procedura ci- vile. Sulla base di questa - quantomeno dubbia - premessa, si è ne- gata legittimità all'ipotizzato intervento del legislatore per da- re diversa soluzione al problema, affermandosi che da tale in- tervento si sarebbe determinato un potenziale conflitto con la magistratura. Anche questa indicazione si fonda su di un equivoco: infatti, il nostro ordinamento prevede un istituto - interpretazione au- tentica della legge - che legittima il legislatore ordinario ad in- tervenire per definire la portata di una disposizione di legge, proprio quando la interpretazione giurisprudenziale si presenti Nel codice penale è già sanzionato l'omicidio del consenziente e l'aiuto al suicidio. Due punti, tra tanti, che la magistratura non ha voluto tenere in considerazione e che hanno condizionato da subito l'intera vicenda contraddittoria, ovvero non condivisibile. Chi è aduso all'analisi della giurisprudenza sa bene che anche di recente il legislatore è intervenuto per "correggere" indirizzi giurisprudenziali ritenuti non conformi al sistema ordina- mentale, ovvero ad esigenze di giustizia. Infine, si è evocata l'autorità della Corte Costituzionale per af- fermare che l'indirizzo seguito dalla Corte di Appello di Mila- no e, prima ancora, dalla Corte di Cassazione, avrebbe trovato in quella sede conferma. I n realtà, la Corte Costituzionale si è limitata ad osservare che la Corte di Cassazione non aveva travalicato i limiti di quel- la che viene definita "funzione nomofilattica". Ma vi è di più: si legge nella ordinanza della Corte Costituzionale testualmente che «la vicenda processuale che ha originato il presente giudi- zio non appare ancora esaurita, e, d'altra parte, il Parlamento può in qualsiasi momento adottare una specifica norrnativa della materia»: dunque, la chiara indicazione della Corte Co- stituzionale è nel senso che non si è formato alcun giudicato e che, comunque, restava nella sovrana valutazione del Parla- mento di intervenire o meno. Sgombrato il campo dagli equivoci che hanno caratterizzato la polemica, soprattutto politica, ed hanno comportato una cer- ta disinformazione dell'opinione pubblica, resta aperto il pro- blema di fondo: che, si badi bene, nel caso di cui ci si occupa, non è tanto quello della pretesa libertà di scelta in ordine alla conclusione della propria vita, quanto piuttosto quello del se debba richiedersi, per l'esercizio di tale pretesa libertà, una ma- nifestazione esplicita ed informata di volontà, riservata in via esclusiva al soggetto. Sul punto sembra doversi lasciare la parola alla Corte di Cas- sazione, che, con sentenza 15 settembre 2008, n. 23676, ha e- nunciato il principio secondo cui il soggetto che intenda disporre in ordine alle terapie cui è sottoposto «deve esprimere una vo- lontà non astrattamente ipotetica ma concretamente accertata, un'intenzione non meramente programmatica ma affatto spe- cifica, una cognizione dei fatti non soltanto ideologica ma frut- to di informazioni specifiche in ordine alla propria situazione sanitaria, un giudizio e non una precomprensione». D unque, vi è una evidente divaricazione tra larichiamatasen- tenza della Corte di Cassazione e quella che ha aperto, per così dire la "soluzione" del caso Eluana. Certo, non vi è ragione di scandalo se vi siano pronunce di- vergenti, anche nell'ambito del Supremo Collegio; tuttavia, non può non emergere qualche perplessità, in considerazione del- la delicatezza della materia e della conseguente esigenza di u- niformità di indirizzi giurisprudenziali. Nasce, a questo punto, una ulteriore perplessità in ordine alla sentenza della Corte di Cassazione relativa al caso Eluana: sem- brerebbe, infatti, che, nella ricostruzione del sistema normati- vo ordinamentale operata dalla Corte di Cassazione, non sia stato dato adeguato rilievo all'art. 5 del cpdice civile, che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo che determinino al- terazioni permanenti di funzioni vitali; all'art. 579 del codice penale, che sanziona l'omicidio del consenziente; all'art. 580 dello stesso codice, che sanziona l'istigazione o l'aiuto al suici- dio; all'art. 583 bis del codice penale, che sanziona le pratiche di mulilazione degli organi genitali femminili, pur nella con- sapevolezza che tali mulilazioni possano essere determinate da adesione a aedo religioso, che trova garanzia nella Costitu- zione. Forse, se si fosse data maggiore attenzione alle indicate dispo- sizioni e, soprattutto, ai principi che vi stanno alla base, si sa- rebbe potuta definire altrimenti la vicenda. Spetterà al legislatore ordinario intervenire, definendo in mo- do univoco l'ambito di operatività dell'art. 32 della Costituzione, nel più generale contesto espresso dall'art. 2 della stessa Costi- tuzione, che garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, tra i qua- li è certi preminente il diritto alla vita. ..-,-.• •. * Presidente del Forum delle Associazioni Familiari

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Giovedì, 26 febbraio 2009 Avvenire 3

Liberi di deridere sì, ma non per l'eutanasia

www.awenireonline.it\vita

Hi Aramìnì

b letteraII medicoassiste,non elimina

Sono un medico di60 anni che per 35anni ha svolto la suaattività professiona-le in reparti di me-dicina interna di al-

cuni ospedali di Pavia e pro-vincia. Nella mia attività la-vorativa mi sono trovato difronte a parecchi casi di pa-zienti in fase preterminale oterminale e li ho affrontatiinsieme ai familiari rispet-tando sempre la volontà deipazienti stessi, senza peròinficiare il Giuramento ip-pocratico. Per quanto ri-guarda il caso Englaro, laclasse medica si è divisa sudue fronti come è accadutoall'interno della popolazio-ne. È presente una compo-nente che ritiene che ciò cheè stato fatto ad Eluana siastato un atto dovuto e un'al-tra componente, di cui fac-cio parte anch'io, che ritie-ne che sia stato un atto eu-tanasico, poiché il non nu-trire e non idratare il pa-ziente è da noi ritenuto unvero e proprio atto di euta-nasia, per di più non tantodolce. .

Confrontandomi con di-versi colleghi mi per-metto di segnalare un

altro punto che non è maistato affrontato sui giorna-li, per rispetto nei confron-ti del papa di Eluana. Moltidi noi si chiedono perché ilpadre non abbia voluto por-tare a casa la figlia e non l'ab-bia assistita a domicilio, de-cidendo come comportarsinei suoi confronti. Tengo aprecisare che ci sono all'an-no migliaia e migliaia di ca-si in Italia in cui i familiaridecidono di portare al pro-prio domicilio il pazientecon patologia irreversibilesenza creare dibattiti suimass media. A questo pun-to è imperativo che si pon-ga in atto una legge sulla di-chiarazione anticipata, an-che se personalmente la ri-tengo il minore dei mali enon vorrei che potesse dareadito a futuri scenari in cuii fragili, i disabili, gli anzia-ni con Alzheimer, i pazien-ti con patologie croniche de-generative possano essere"eliminati" nei casi in cuinon ci sia al loro fianco unfamiliare che si faccia caricodelle loro sofferenze. Restacomunque fondamentale ilrapporto di fiducia tra me-dico e paziente, per poter af-frontare al meglio tale te-matica, convinti che il pa-ziente-parente necessita diuna dimensione relaziona-le e sociale oltre che tecnico-professionale. Termino que-ste poche righe citando an-ch'io ciò che ha detto un lai-co non cattolico medico co-me Jannacci: "Speriamo inuna carezza del Nazareno"per alleviare questa ferita e-sistenziale di tutti noi.

Giovanni Belloni,presidente

Federazione Regionaledegli Ordini dei MediciChirurghi Odontoiatri

della LombardiaPresidente Ordine

Prov.le Medici Chirurghie Odontoiatri di Pavia

• 1 disegno di legge relativo alcosiddetto testamentobiologico è approdato tramolte polemiche nell'aula delSenato. La ragione delladiscordia va cercata nel

tentativo di alcune forze politichedi introdurre, per mezzo deltestamento biologico, forme più omeno esplicite di eutanasia. In talmodo si è determinato un graveinquinamento del dibattito sullostrumento giuridico delle direttiveanticipate che, se fatto bene,potrebbe avere una qualcheutilità. Il testo licenziato dallaCommissione Sanità segue laConvenzione sulla Bioetica diOviedo che all'articolo 9 affermaesplicitamente che le volontà delmalato debbono essere prese inconsiderazione, ma che esse nonhanno un valore vincolante per imedici. Quindi il testo non è ilsolito prodotto "oscurantistaclericale", ma in linea con ilprincipale documento europeosulla bioetica.

•f•f - .

Importante è poi chiarire checosa voglia effettivamente lagente. Secondo i radicali, Augias

e i compagni della Consulta dibioetica, sembra che gli italianisiano tutti in fila per rifiutare lecure mediche. Si tratta dichiacchiere. Perché gli studi diaccreditate istituzioni scientifichequali l'Istituto tumori di Milanohanno rivelato ciò che le personecomuni chiedono veramente: nonvogliono soffrire inutilmente evogliono essere accompagnati allamorte in modo degno di unapersona umana, quindi con lecure antidolore, le cure palliativenel loro complesso, comprendentianche l'attenzione dei servizisociali alla propria famiglia. Lamedicina palliativa, verarivoluzione della nostra epoca(ribadiamo che è scandaloso chenon sia ancora sufficientementeapplicata) ha mostrato che sipuò trattare adeguatamente ildolore delle persone chesoffrono, senza bisogno diuccidere nessuno. Abbiamo glistrumenti per venire incontro aibisogni delle persone, usiamolibene e rendiamoli velocementedisponibili a tutti. Una primaconclusione è perciò che non c'èalcuna richiesta di eutanasia trala gente normale. Essa derivasolo da posizioni ideologicheche una piccolissima minoranzavuole imporre a tutti.

// disegno di legge Calabròsul testamento biologicoin discussione al Senato,secondo i radicali, Augiase Beppino Englaro sarebbeil prodotto del solito"oscurantismo clericale",animato da scarso rispettoper l'autonomiadel paziente e sordo allerichieste diffuse dèlia gente,schierata a favoredell'eutanasia. Ma le cosestanno davvero così?L'esperienza - laica - dialtri Paesi dice il contrario

introdurre il progetto eutanasicoattraverso il più soffice motto"nessuno deve decidere per me"oppure "Io voglio essere padronedella mia vita", con l'invito adettare indicazioni precise ai

«Studium»: laicitàe morte assistita

«In margine al caso Elua-na: riflessioni giuridiche emorali sul vivere e sul mo-rire» è il titolo di un lun-go approfondimento con-tenuto nell'ultimo nume-ro di Studium, il bimestra-le di cultura diretto daGiuseppe Lazzaro. A trat-tare il caso drammatico ele ricadute che esso ha a-vuto anche sul dibattito -sempre così acceso in Ita-lia - su laicità e laicismo,sono il gesuita PiersandroVanzan e Carla D'Agosti-no Ungaretti.

medici su ciò che dovrebbero fareo non fare di fronte a specifichesituazioni di malattia terminale,in particolare si vorrebbeintrodurre la possibilità dirifiutare anche l'alimentazione e

l'idratazione del malato,realizzando così una vera formadi eutanasia. Diventa chiaroperciò il motivo per cui si parlagiustamente di strategia delcavallo di Troia a proposito deltestamento biologico. Sullaquestione della libertà personaleche sarebbe maggiore sepotessimo rifiutare tutte le cure(ma l'alimentazione el'idratazione, anche sesomministrate con qualcheausilio, non sono cure mediche!),l'esperienza olandese hamostrato, con una chiarezza chenon ammette repliche, che lalibertà delle persone, lungidall'essere stata incrementata permezzo delle scelte eutanasiche, èstata consegnata nelle mani deimedici che sono sempre più i veridecisoli.

Inoltre l'esperienza della vita cidice che le prospettivecambiano quando la morte ti

guarda negli occhi. Ascoltiamo ladottoressa Sylvie Menard:

«Quando la diagnosi di unamalattia dalla quale non si puòguarire viene scritta sotto il tuonome, allora non pensi piùall'eutanasia, ad abbreviare la tuavita prima del tempo. Tutto siribalta, valori e convinzioni.Anche se prima, quando avevi ildono della salute, credevi che •fosse un diritto e una tua libertàavere una morte degna cheabbreviasse le sofferenze. Dopo,invece, vuoi viverla fino alla fine,la tua esistenza. Vuoi aggrappartia ogni minuto». Questo ci diceche la libertà dell'uomo non è unfatto astratto, programmabile unavolta per sempre in un contesto digelida solitudine. Infine, laCostituzione, così spessoimpropriamente citata nel suoarticolo 32, garantiscecorrettamente dall'uso impropriodelle cure mediche, mentre nongarantisce affatto il diritto dimorire, come accadrebbe se sipotessero rifiutare corisuperficialità l'idratazione el'alimentazione.

Far morire non è mai una cura

Dato che tutto ciò è ben notoai sostenitori dell'eutanasia,essi stanno cercando di

e/:eE

e

Diverse affermazioni riportate direcente dai quotidiani mi sem-brano discutibili. Comincianocon Angelo Panebianco per ilquale «la sacralità della vita èun concetto privo di senso per

chi non crede in Dio" (Corriere della se-ra, 23 febbraio). Ora, è vero che non sipuò parlare di qualcosa di sacro se nonesiste il divino. Ma per sostenere chenon si deve uccidere (salvo il caso del-la legittima difesa e dell'azione milita-re) si può fare leva sulla "dignità" del-la vita umana. E questa può essere de-lucidata (si vedano diversi articoli suAvvenire) senza fare riferimento a Dio.

l i ncora, secondo Silvio Viale, «le cu-t l r e palliative, se ben condotte, non• «sono così lontane da una terapia eu-tanasica» (sempre Corriere della sera, 24febbraio). Ora, è vero che alcune curepalliative possono cagionare la mortedi un malato, ma c'è una differenza cru-ciale tra queste cure e l'eutanasia. In-fatti, quando io sommistro delle curepalliative per ottenere la cessazione ol'alleviamento della sofferenza di unmalato, non voglio l'accelerazione del-la morte del malato, bensì, a volte, laprovoco, in certi casi consapevolmente,come effetto collaterale, che non è dame voluto né come fine, né come mez-zo. In schema: somministrazione delleterapie - cessazione della sofferenza -

II dibattito sull'eutanasia e sul finevita è stato spesso deformato dadichiarazioni fuorvianti. Eccoleraccolte, analizzate e smontate

morte. Un effetto collaterale è appuntoquello che non voglio né come fine, nécome mezzo. Ad esempio, la chemiote-rapia comporta le vertigini, la spossatez-za, ecc? Questi effetti sono negativi, maio posso scegliere di somministrare lachemioterapia a un malato, purché sial'unico modo per guarirlo e purché ci siauna proporzionalità (a volte assai diffi-cile da calcolare) tra gli effetti negativi equelli positivi (guarire o contenere la ma-lattia). Invece, realizzo un'eutanasia sepratico un intervento con cui voglio lamorte del malato come mezzo per farcessare le sue sofferenze. In schema: rea-lizzazione di un intervento - morte - ces-sazione della sofferenza. Dunque, in en-trambi i casi il risultato finale è identico,ma l'azione con cui si giunge a questo ri-sultato è diversa: la prima non vuole lamorte di un essere umano, la seconda in-vece sì. Non è dunque eutanasica, per e-sempio, una sedazione che vuoi far ter-minare le sofferenze di un malato e checagiona come effetto collaterale la suamorte; mentre è eutanasica una sedazio-ne che vuoi produrre la morte del mala-to, sia pure per non farlo più soffrire.

Analogicamente, secondo BeppinoEnglaro «dire no ad una terapia sal-vavita non ha niente a che vedere

con l'eutanasia. Una cosa è chiedereun'iniezione letale, un'altra chiedere dilasciarsi morire: l'ha chiesto anche Gio-vanni Paolo II» (Corriere della sera, 22febbraio). In realtà bisogna di nuovodistinguere. C'è una differenza moraledecisiva tra la cessazione delle terapienel caso del rifiuto dell'accanimentoterapeutico e quella che configuraun'eutanasia. Ad esempio, non com-pio eutanasia se sospendo delle tera-pie in se stesse (eccessivamente) dolo-rose, per ottenere la cessazione-alle-viamento della sofferenza, e non vo-glio in alcun modo l'accelerazione del-la morte del malato, bensì la determi-no, anche consapevolmente, come ef-fetto collaterale, non voluto né come fi-ne, né come mezzo; compio invece li-na eutanasia se interrompo le terapieperché voglio la morte del malato co-me mezzo per ottenere la fine delle suesofferenze, che non sono determinatedalla terapie stesse. Se non vogliamoparlare di eutanasia, resta il fatto che sitratta di un'azione volutamente uccisi-va, che è gravemente malvagia. Quan-to a Giovanni Paolo II, egli chiese dinon subire accanimento terapeutico,perché ciò che gli venne prospettato sa-rebbe stato particolarmente dolorosoin sé e inutile.

4.

iC'e

1

Ehiana, quelle sentenze in contraddizione

66uando ormai si sperava chedopo il tragico epilogo delladrammatica esistenza di Elua-na, si aprisse un momento disilenziosa meditazione e di pa-cata riflessione, la manifesta-zione di Piazza Farnese a Ro-

ma e, soprattutto, una partecipazione,anche televisiva che ci si augurava non

vi fosse, hanno riaperto il "caso", alimentando le perplessità diquanti avevano temuto che una triste situazione personale e fa-miliare tendesse a trasformarsi in un fatto politico, o comun-que strumentalizzato per conseguire risultati politici.Stando così le cose, non sembra inopportuno proporre, paca-tamente e senza volersi inserire nella polemica politica, chenon ci appartiene, alcune riflessioni.La dialettica - o polemica - che ha caratterizzato i giorni cru-ciali della vicenda si è fondata su alcuni equivoci.Si è affermato - per legittimare la posizione, per così dire, in-terventista - che essa trovava fondamento nel decreto della Cor-te di Appello di Milano - emesso sulla base della nota senten-za della Corte di Cassazione - che, essendo passato in giudi-cato, sarebbe divenuto intangibile. In realtà, nessun giudicatoha definito l'iter processuale: infatti, l'articolo 742 del codicedi procedura civile testualmente dispone che «i decreti posso-no essere in ogni tempo modificati o revocati». Dunque, evo-care l'autorità del giudicato è stato improprio e suscita per-plessità che autorevoli giuristi che hanno trattato il tema nonabbiano tenuto conto dell'ari. 742 del codice di procedura ci-vile.

Sulla base di questa - quantomeno dubbia - premessa, si è ne-gata legittimità all'ipotizzato intervento del legislatore per da-re diversa soluzione al problema, affermandosi che da tale in-tervento si sarebbe determinato un potenziale conflitto con lamagistratura.Anche questa indicazione si fonda su di un equivoco: infatti, ilnostro ordinamento prevede un istituto - interpretazione au-tentica della legge - che legittima il legislatore ordinario ad in-tervenire per definire la portata di una disposizione di legge,proprio quando la interpretazione giurisprudenziale si presenti

Nel codice penale è già sanzionato l'omicidiodel consenziente e l'aiuto al suicidio. Duepunti, tra tanti, che la magistratura nonha voluto tenere in considerazione e chehanno condizionato da subito l'intera vicenda

contraddittoria, ovvero non condivisibile.Chi è aduso all'analisi della giurisprudenza sa bene che anchedi recente il legislatore è intervenuto per "correggere" indirizzigiurisprudenziali ritenuti non conformi al sistema ordina-mentale, ovvero ad esigenze di giustizia.Infine, si è evocata l'autorità della Corte Costituzionale per af-fermare che l'indirizzo seguito dalla Corte di Appello di Mila-no e, prima ancora, dalla Corte di Cassazione, avrebbe trovatoin quella sede conferma.

In realtà, la Corte Costituzionale si è limitata ad osservare chela Corte di Cassazione non aveva travalicato i limiti di quel-la che viene definita "funzione nomofilattica". Ma vi è di più:

si legge nella ordinanza della Corte Costituzionale testualmenteche «la vicenda processuale che ha originato il presente giudi-zio non appare ancora esaurita, e, d'altra parte, il Parlamentopuò in qualsiasi momento adottare una specifica norrnativadella materia»: dunque, la chiara indicazione della Corte Co-stituzionale è nel senso che non si è formato alcun giudicato eche, comunque, restava nella sovrana valutazione del Parla-mento di intervenire o meno.Sgombrato il campo dagli equivoci che hanno caratterizzato lapolemica, soprattutto politica, ed hanno comportato una cer-ta disinformazione dell'opinione pubblica, resta aperto il pro-blema di fondo: che, si badi bene, nel caso di cui ci si occupa,non è tanto quello della pretesa libertà di scelta in ordine allaconclusione della propria vita, quanto piuttosto quello del sedebba richiedersi, per l'esercizio di tale pretesa libertà, una ma-nifestazione esplicita ed informata di volontà, riservata in viaesclusiva al soggetto.Sul punto sembra doversi lasciare la parola alla Corte di Cas-sazione, che, con sentenza 15 settembre 2008, n. 23676, ha e-

nunciato il principio secondo cui il soggetto che intenda disporrein ordine alle terapie cui è sottoposto «deve esprimere una vo-lontà non astrattamente ipotetica ma concretamente accertata,un'intenzione non meramente programmatica ma affatto spe-cifica, una cognizione dei fatti non soltanto ideologica ma frut-to di informazioni specifiche in ordine alla propria situazionesanitaria, un giudizio e non una precomprensione».

Dunque, vi è una evidente divaricazione tra la richiamata sen-tenza della Corte di Cassazione e quella che ha aperto, percosì dire la "soluzione" del caso Eluana.

Certo, non vi è ragione di scandalo se vi siano pronunce di-vergenti, anche nell'ambito del Supremo Collegio; tuttavia, nonpuò non emergere qualche perplessità, in considerazione del-la delicatezza della materia e della conseguente esigenza di u-niformità di indirizzi giurisprudenziali.Nasce, a questo punto, una ulteriore perplessità in ordine allasentenza della Corte di Cassazione relativa al caso Eluana: sem-brerebbe, infatti, che, nella ricostruzione del sistema normati-vo ordinamentale operata dalla Corte di Cassazione, non siastato dato adeguato rilievo all'art. 5 del cpdice civile, che vietagli atti di disposizione del proprio corpo che determinino al-terazioni permanenti di funzioni vitali; all'art. 579 del codicepenale, che sanziona l'omicidio del consenziente; all'art. 580dello stesso codice, che sanziona l'istigazione o l'aiuto al suici-dio; all'art. 583 bis del codice penale, che sanziona le pratichedi mulilazione degli organi genitali femminili, pur nella con-sapevolezza che tali mulilazioni possano essere determinateda adesione a aedo religioso, che trova garanzia nella Costitu-zione.Forse, se si fosse data maggiore attenzione alle indicate dispo-sizioni e, soprattutto, ai principi che vi stanno alla base, si sa-rebbe potuta definire altrimenti la vicenda.Spetterà al legislatore ordinario intervenire, definendo in mo-do univoco l'ambito di operatività dell'art. 32 della Costituzione,nel più generale contesto espresso dall'art. 2 della stessa Costi-tuzione, che garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, tra i qua-li è certi preminente il diritto alla vita. ..-,-.• •.

* Presidente del Forum delle Associazioni Familiari