I documenti che abbiamo esaminato recano tutti la data ... COOSIMO DE NITTO/Pagine da... · I...

17
I documenti dell’archivio storico di San Donato recano tutti la data 1945, anno in cui la guerra terminò, ma ci raccontano, indirettamente, di drammi e tragedie avvenuti nei mesi precedenti. Le persone vissute in quel periodo, oltre alla perdita dei loro cari, ai danni e alla distruzione delle infrastrutture, dovettero affrontare un lungo periodo di povertà e carestia come emerge anche dalle varie testimonianze dei nostri nonni, e dei nostri padri che, a malincuore, quasi con pudore raccontano solo pochi frammenti delle difficoltà vissute. Malgrado siano trascorsi tanti anni, questi documenti rappresentano la resistenza quotidiana di chi ha vissuto in quei tempi bui ed oggi diventano monito per tutti noi. Questa è una lettera inviata al sindaco di San Donato da una signora. Reca la data ,Napoli 10 agosto 1945, ed il protocollo di arrivo in San Donato il 16 agosto 1945, n° 2047. Il documento evidenzia il problema che la signora ha avuto nell’inviare il suo foglio di via al Sindaco di S. Donato e la necessità di fermarsi a Napoli, sia per ragioni economiche, sia perché conosceva già la città. La signora chiede al Sindaco di capire le difficoltà a causa delle quali non poteva e non voleva raggiungere il paese. La lettera presenta una grafia incerta e svariati errori ortografici e di linguaggio e qualche parola in lingua straniera (francese) Sembra essere stata scritta di getto, con un pennino che lasciava traccia d’inchiostro sparso, come lacrime che sci volano sul viso, ma la signora dimostra tutto il suo coraggio e la sua determinazione nell’affrontare le difficoltà del momento. E’ una donna sola e si comprende che la guerra l’ha segnata con diversi patmlenti. Quella che trapela dalla lettera è la difficoltà a ricominciare una nuova vita, nel dopoguerra. vi erano carenze di mezzi di trasporto, la vita era cara ed era difficile trovare da mangiare e trovare alloggio.

Transcript of I documenti che abbiamo esaminato recano tutti la data ... COOSIMO DE NITTO/Pagine da... · I...

I documenti dell’archivio storico di San Donato recano tutti la data 1945, anno in cui la guerra terminò, ma ci raccontano, indirettamente, di drammi e tragedie avvenuti nei mesi precedenti. Le persone vissute in quel periodo, oltre alla perdita dei loro cari, ai danni e alla distruzione delle infrastrutture, dovettero affrontare un lungo periodo di povertà e carestia come emerge anche dalle varie testimonianze dei nostri nonni, e dei nostri padri che, a malincuore, quasi con pudore raccontano solo pochi frammenti delle difficoltà vissute. Malgrado siano trascorsi tanti anni, questi documenti rappresentano la resistenza quotidiana di chi ha vissuto in quei tempi bui ed oggi diventano monito per tutti noi.

Questa è una lettera inviata al sindaco di San Donato da una signora. Reca la data ,Napoli 10 agosto 1945, ed il protocollo di arrivo in San Donato il 16 agosto 1945, n° 2047. Il documento evidenzia il problema che la signora ha avuto nell’inviare il suo foglio di via al Sindaco di S. Donato e la necessità di fermarsi a Napoli, sia per ragioni economiche, sia perché conosceva già la città. La signora chiede al Sindaco di capire le difficoltà a causa delle quali non poteva e non voleva raggiungere il paese. La lettera presenta una grafia incerta e svariati errori ortografici e di linguaggio e qualche parola in lingua straniera (francese) Sembra essere stata scritta di getto, con un pennino che lasciava traccia d’inchiostro sparso, come lacrime che sci volano sul viso, ma la signora dimostra tutto il suo coraggio e la sua determinazione nell’affrontare le difficoltà del momento. E’ una donna sola e si comprende che la guerra l’ha segnata con diversi patmlenti. Quella che trapela dalla lettera è la difficoltà a ricominciare una nuova vita, nel dopoguerra. vi erano carenze di mezzi di trasporto, la vita era cara ed era difficile trovare da mangiare e trovare alloggio.

La deportazione degli ebrei avvenuta durante la seconda guerra mondiale è stato un dramma che ha coinvolto milioni di persone e che ha segnato un’epoca. I deportati venivano rinchiusi nei Lager in cui l’uomo era ridotto ad atomo obbediente, a macchina biologica, separata, isolata, deprivata dalle sue caratteristiche di umanità. Una umanità di uomini “altri”, in cui nessuno poteva dire “io”, perché ognuno era estraneo a sè e ad ogni altro. Una comunità di estranei accomunati da una silenziosa obbedienza, da un lavoro senza scopo e da un destino di morte. Nelle pagine seguenti sono raggruppate le richieste sulla ricerca di ebrei che erano stati internati nel comune di S. Donato e poi deportati nei campi di sterminio. le comunicazioni vanno dal 2aprile al 22 ottobre del 1945. Da queste richieste è evidente la sofferenza non solo per i patimenti subiti nei luoghi di concentramento, ma anche per la difficoltà a ricostruire i propri affetti dispersi. La solitudine e l’angoscia continuavano anche dopo aver ottenuto la libertà. La lettera che ci ha maggiormente colpito, è quella del signor Leone che è ringrazia i sandonatesi che lo hanno. il nostro pensiero va a tutti coloro che, nel loro piccolo, hanno contribuito a riscattare gli orrori della guerra e del razzismo attraverso la solidarietà con i più deboli. Prima delle immagini, però, alcune notizie storiche.

L’INTERNAMENTO DEGLI EBREI STRANIERI L'ingresso ed il soggiorno in Italia degli ebrei provenienti da paesi dove era in vigore la discriminazione razziale, erano stati per lungo tempo consentiti da Mussolini. Persino dopo l'ascesa al potere del nazismo, quando col repentino inizio della persecuzione molti ebrei cominciarono ad abbandonare la Germania, tale situazione venne mantenuta"a condizione che non si trattasse di persone che avessero attivamente operato in partiti politici contrari al fascismo" ed ostentata dal duce quale dimostrazione della "universalità di Roma" e della propria "superiorità culturale" nei confronti di Hitler che, invece, perseguitava gli ebrei. Con l'inasprirsi della persecuzione nazista e l'estendersi della legislazione razziale di Norimberga ai paesi caduti sotto il giogo del regime hitleriano, l'emigrazione ebraica verso l'Italia proseguì sempre più numerosa. Ma la situazione dei profughi, sino ad allora abbastanza buona, cambiò improvvisamente nell'autunno del 1938, quando anche in Italia venne emanata la legislazione razziale. Il decreto legge 7 Settembre 1938 n. 1381 (Provvedimenti nei confronti di ebrei stranieri) e quello n. 1728 del 17 Novembre successivo (Provvedimenti per la difesa della razza italiana), stabilivano che tutti gli ebrei stranieri entrati nel regno posteriormente al 1 Gennaio 1919 dovessero lasciare il paese entro sei mesi, pena l'espulsione. Al tempo stesso venivano revocate tutte le cittadinanze italiane concesse ad ebrei dopo il 1 Gennaio 1919. Trascorsi i sei mesi concessi dalla legge, essendo tutt'altro che facile trovare una nazione disposta ad accoglierli, non tutti gli ebrei, in effetti, erano riusciti a lasciare l'Italia, ed altri addirittura vi erano ancora giunti. Tuttavia la minacciata espulsione non venne attuata, seppure il decreto del 7 Settembre restasse giuridicamente in vigore. Le prime tracce dell'inclusione degli ebrei stranieri, tra coloro che dovevano essere internati, si trovano in un telegramma che il Ministro dell'interno inviò ai prefetti il 20 Maggio 1940. Pochi giorni dopo, lo stesso Ministero, rivolgendosi al Dicastero degli Affari Esteri, affermava che "gli ebrei stranieri residenti in Italia o precisamente quelli che vi sono venuti con pretesti, inganno o mezzi illeciti" dovessero essere considerati "appartenenti a stati nemici". Il suggerimento venne accolto dal Ministero degli Esteri, il quale però avanzò l'opportunità di escludere dal provvedimento gli ebrei cittadini di stati neutrali. Raggiunto l'accordo sulle "caratteristiche" degli ebrei da internare, il 15 Giugno 1940 il capo della polizia emanò l'ordine di arresto per gli ebrei stranieri "appartenenti a Stati che fanno politica razziale" e per gli apolidi compresi tra i diciotto e i sessanta anni tutti etichettati come "elementi indesiderabili imbevuti di odio contro i regimi totalitari". Alle donne e ai bam- bini veniva intimato di recarsi, entro un lasso di tempo stabilito, alla prefettura della provincia destinata al loro "internamento libero", che consisteva nel domicilio coatto, in appositi comuni. Una successiva circolare del Ministero dell'interno precisava che non erano da arrestare gli ebrei stranieri immigrati prima del 1919; particolare questo che confermava esplicitamente che gli ebrei che si intendeva internare erano quelli stessi che erano stati colpiti dal decreto di espulsione del 1938. La retata degli arresti venne messa in atto dalla polizia e dai carabinieri delle grandi città, dove in genere gli ebrei stranieri risiedevano. Gli agenti, dopo aver notificato il provvedimento - che il più delle volte non era neppure scritto, ma comunicato a voce - conducevano i malcapitati nelle guardine delle varie questure e quindi, dopo ore ed ore di attesa trascorse senza cibo, li avviavano nelle carceri. Nelle celle gli ebrei vivevano in condizioni igieniche terribili, ma il loro tor-mento maggiore era il timore di vedersi riconsegnare alle autorità naziste. Dopo una ventina di giorni trascorsi in carcere, trattati come delinquenti comuni, essi venivano condotti alle stazioni ferroviarie per essere inviati nei "campi di concentramento" o nei comuni appositamente individuati, dove l"'internamento libero" equivaleva pressoché al confino di polizia.

GLI EBREI INTERNATI A SAN DONATO

Dalla testimonianza dei coniugi Tenenbaum, internati a San Donato e sopravvissuti grazie all’aiuto ricevuto.Il soggiorno obbligato, di norma era scelto tra i comuni che sono terminali di strade – Perciò fu scelto il comune di San Donato. Per un certo periodo a San Donato ci sono solo donne internate: ebree, ma anche non ebree, tutte, comunque, appartenenti a nazioni in guerra contro la Germania ed Italia, tra cui una decina di jugoslave, quasi tutte partigiane. I confinati sono costretti a vivere il cosiddetto “internamento libero”, nel senso che si alloggiava in abitazioni private. Erano gli stessi internati a pagarsi il fitto di casa anche se poi ricevevano un sussidio dal governo che si aggirava sulle 50 lire mensili per la camera, 8 lire al giorno per il capofamiglia, 5 per la moglie e via di seguito.

C’era l’obbligo di una visita quotidiana alla caserma dei carabinieri per dire:”Non siamo scappati, siamo sempre qua’e c’era l’obbligo di non potere assolutamente uscire dal territorio comunale. Infine, non si potevano avere rapporti con la popolazione locale.

Dopo l’8 settembre, per via della rabbia dei tedeschi, anche per gli intemati di San Donato Val Comino la vita diventa più dura: si è costretti a lasciare il paese ed a salire in montagna

Nell’aprile del 1944 una delle internate, che si recava spesso a Roma a vendere l’olio alla borsa nera, viene catturata dai tedeschi. Dopo essere stata interrogata, le danno l’incarico di dire agli altri internati di recarsi presso il comando per ritirare i documenti dal momento che ognuno doveva avere una carta d’identità bilingue, in tedesco ed in italiano. A quelli che si presentano, una volta declinate le generalità, viene detto di tornare tra otto giorni. E così fanno. Tornano tutti tranne due coppie polacche, che avevano sentito puzzo di bruciato e avevano visto bene. i tedeschi catturano tutti quelli che si presentarono e molti di loro non sono tornati più. In “Linea Gustav” di Costantino Jadecola – Centro studi sorani V.Patriarca - Sora

La Croce Rossa Inglese chiede notizie della signora Margarete Bloch ,internata nel comune di San Donato

Si comunica la deportazione della suddetta signora da parte dei tedeschi nel maggio del 1944.

Presso il Comune di San Donato vi erano ancora dei bagagli?

Lettera inviata dalla Polonia dal signor Leone il quale ringrazia tutti i cittadini che gli avevano offerto aiuto all’epoca dell’internamento a San Donato.

La signora Geltrude Adler dopo il suo rientro in Italia chiede al Podestà (sindaco) di San Donato se ha notizie di suo marito.e una certificazione del suo periodo di internamento

Il Comune di San Donato Val di Comino risponde che non vi sono più internati.

La signora Geltrude Adler chiede ancora notizie del marito, comunicando un nuovo recapito.

Notizie storiche e commenti sulla tragedia iniziata con le leggi razziali del 1938 e culminata con lo sterminio degli ebrei nei lager si trovano in un’altra parte i questo lavoro. Nella pagina successiva aggiungiamo un documento che fa riferimento ad un’altra delle tragedie della guerra: la spedizione in Russia e la successiva ritirata.

All'invasione tedesca dell’Unione Sovietica presero parte, oltre a truppe romene ungheresi, slovacche, fìnlandesi e di volontari spagnoli, anche unità italiane. Si trattò dapprima di un corpo d’armata di circa 62.000 uomini, denominato "Corpo di Spedizione Italiano in Russia" (CSIR), al comando del generale Messe, che venne poi integrato con altre unità sino a raggiungere nel momento di massimo impegno l’entità di un’armata di 230.000 uomini (VIII armata o ARMIR, Armata Italiana Russia), al comando del generale Gariboldi. Dotati di scarsissimi mezzi (per i trasporti solamente 55 carri leggeri e 380 pezzi anticarro, in grado di scalfire appena le pesanti corazze dei carri armati), del tutto impreparati, malamente equipaggiati, questi soldati, impegnati sul Don, subirono lo sfondamento del fronte tra il dicembre ‘42 e il gennaio ‘43: nella ritirata che ne seguì, nel corso della quale i “camerati tedeschi” si rifiutarono di fornire loro i mezzi di trasporto necessari per porsi in salvo, furono decimati, oltre che dai combattimenti, dal freddo intensissimo dell’inverno russo.

Dei 230 mila soldati mandati in Russia, poco più della metà fece ritorno a casa. Gli altri furono uccisi durante i contrattacchi russi o finirono prigionieri e in buona parte morirono nei campi. In quegli anni di caos, con i russi che a loro volta lamentavano milioni di morti, i caduti venivano seppelliti dove capitava. E in molti casi i registri sono andati perduti.

Dalla sezione P.C.I. Ostiense il documento datato 19 gennaio 1945 informa il Comune di San Donato che radio Mosca nell’elencare gli italiani prigionieri di guerra in Russia, ha nominato un Rufo Antonio di San Donato. Poiché non si conosceva il recapito della famiglia ,si dava la notizia al Comune di San Donato perché la informasse. Questo documento ci ha fatto pensare ai tanti uomini costretti a partire e ad essere coinvolti nelle sanguinose battaglie e alla speranza delle famiglie di ottenere una qualsiasi notizia dei dispersi o almeno la possibilità di sapere dove fosse sepolto il corpo dei loro cari. Molte, però, non si sono ancora arrese. Infatti a San Giovanni Incarico appena venti giorni fa il corpo di un soldato morto in Slovenia è stato dopo varie ricerche, trovato nel cimitero di Bari e ricondotto al paese nativo,dove è stato accolto con tutti gli onori dovuti e con la partecipazione dei cittadini.

Circolare del Ministero Assistenza Postbellica che invita i Comuni a stilare gli elenchi di dati personali dei deportati, reduci, ex prigionieri, ecc, per le eventuali richieste di sussidi. Leggendola si capisce come il compito del ministero non fosse semplice; soprattutto si sono avute molte difficoltà nel compilare gli elenchi dei morti e dei dispersi.

I documenti che seguono sono diverse richieste per l’ avvio della ricostruzione e mostrano l’urgenza di ripristinare il normale svolgimento della vita quotidiana dei cittadini. Per tornare alla normalità bisognava ricostruire tutti i settori, primo tra tutti quelli della comunicazione. Ma ancora più essenziale è il ritorno alla libertà di pensiero. di parola, che la dittatura prima e la guerra dopo avevano invece tolto. E che ci è stato restituito dal sacrificio di tanti che sono morti proprio per non rinuciare ai loro ideali.

Si ricomincia a fare politica

Il Commissario prefettizio sollecita il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni perchè riattivi il servizio telegrafico. Per circa 8 mesi di guerra il territorio ha subito requisizioni e saccheggi, quindi il Comune non può sostenere le spese di ricostruzione.

Sul ripristino regolare del servizio pubblico ostacolato dal comportamento della ditta concessionaria.

Comunicazione della Legione Carabinieri con le disposizioni inerenti le armi abusivamente detenute.

Osservazioni e commenti eseguiti da

Classe III C – corso serale Classe III D – corso serale

Classe V D – corso serale

“ Spesso il male di vivere ho incontrato “

di Eugenio Montale Spesso il male di vivere ho incontrato

Era il rivo strozzato che gorgoglia Era l’incartocciarsi della foglia

Riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi fuori dal prodigio Che schiude la divina Indifferenza:

Era la statua nella sonnolenza Del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levava.

Quando Eugenio Montale nella poesia sopra riportata parla di “ divina Indifferenza” non possiamo fare a meno di pensare – con quella libertà di interpretazione che la poesia ci consente - allo sterminio degli Ebrei, allo scientifico annientamento del popolo ebraico, messo in atto dai tedeschi. Hitler aveva ben studiato ed organizzato lo sterminio di questo popolo ed i popoli europei sono stati a lungo indifferenti a questi avvenimenti. Ora si cerca di farne restare vivo il ricordo nelle menti dei giovani, celebrando - il 27 gennaio – la memoria di quel giorno del 1945 in cui i soldati russi sfondarono i cancelli di Auschwitz e per primi videro l’inferno e trovarono le prove del più crudele delitto commesso dall’uomo. Ma è veramente necessario ricordare? Invece di ricordare, non ere forse meglio evitare? Però Montale, quando ci ricorda che “il falco alto levava”, ci fa pensare alla libertà. Ma per i deportati che sono riusciti a sopravvivere, “il male di vivere che hanno incontrato” resterà nelle loro anime per sempre: il dolore fisico, gli stupri ed esperimenti sulle giovani donne, i forni crematori, le camere a gas, la vergogna, l’impotenza hanno lacerato la loro anima per sempre. Gli ebrei vittime dell’olocausto furono 6 milioni, in Italia si contano 40 mila deportati non più tornati dai lager. Tra i sopravvissuti fortunati, se così si può dire, c’è Primo Levi, un grande scrittore che con le sue testimonianze ci ha fatto carpire che il dolore interiore è indimenticabile, al punto da portarlo alla sua decisione finale: il suicidio. Parafrasando Cartesio si potrebbe dire: soffro quindi esisto. Non nasciamo forse con dolore? Eppure la madre che stringe il suo bambino sulla striscia di Gaza con sottofondo di colpi di cannoni lo culla, certamente non vuole soffrire, la madre che piange il figlio morto rappresentato da Michelangelo nella sua Pietà, certamente non vuole soffrire, la Capra semita che si affraterna a Saba nel dolore certamente non vuole soffrire. Ma è proprio dal dolore che nasce la necessità del ricordo ed è terapeutico al nostro corpo e alle nostre coscienze. Basti pensare come il dolore funga da campanello d’allarme nel nostro organismo e ci avverta che qualcosa non va e di conseguenza ci porta a cercare le cause. Lo stesso effetto, lo stesso scopo terapeutico e catartico ha sulle nostre anime sul nostro intelletto. Il dolore è parte di ciascuno di noi della nostra storia ma è anche motivo di contatto con il resto dell’umanità . Ma, come per il corpo, esso deve essere strumento per “guarire” le nostre coscienze. Attraverso di esso l’umanità deve fabbricare mattoni che edifichino un mondo diverso, un mondo che sia basato sul ricordo, sulla memoria collettiva e personale, ma solo avendo un presente migliore si prospetta il futuro!

Rosalba D’Arpino, per la classe V C