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I determinanti della salute

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I determinanti della salute

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1.1.1 Introduzione

Il fenomeno dell’inquinamento atmo-sferico è connesso al modello di svi-luppo economico e sociale. Le diversetipologie di combustione utilizzate perautotrazione, per attività domestiche eper la produzione industriale dannoluogo ad una serie di inquinanti diinteresse tossicologico che destanomolta preoccupazione a causa dell’ele-vato numero di persone esposte,soprattutto in aree urbane. L’inqui-namento atmosferico urbano infattirappresenta oggi il problema principa-le sia dal punto di vista ambientale chesanitario, considerato che gran partedella popolazione vive nelle zoneurbane ed in esse si concentrano lagran parte delle attività antropichepotenzialmente inquinanti. Il rapportodel 2007 sullo Stato di Salute nel-l’Unione Europea, relativo al Pro-gramma di Azione Comunitaria inSalute Pubblica, ha evidenziato chel’inquinamento atmosferico, soprat-tutto in relazione al particolato fine, èil fattore ambientale responsabile delpiù alto impatto sanitario per il nume-ro di casi di malattia e di decessi. Ilrapporto indica che in molte cittàeuropee, circa il 90% della popolazio-ne è esposta a livelli di inquinamentoatmosferico superiori ai livelli massimiindicati dalle linee guide dell’OMSsulla qualità dell’aria e recenti stimemostrano che circa 20 milioni di per-sone accusano ogni giorno sintomi

respiratori associati con l’inquinamen-to atmosferico causato dal traffico vei-colare urbano e dagli impianti diriscaldamento.

La letteratura scientifica disponibileè oggi ricca di studi che evidenziano ilruolo dell’inquinamento dell’aria co-me determinante della salute umana.La ricerca infatti è in grado di docu-mentare un ampio spettro di effettisulla salute, acuti e cronici, che vannodai sintomi respiratori, alla morbositàe alla mortalità per cause cardiologi-che, respiratorie e al tumore al polmo-ne. Questi esiti sanitari si riferiscono alivelli di concentrazione a cui general-mente sono esposte popolazioni urba-ne in ogni parte del mondo, sia inpaesi sviluppati che in via di sviluppo.

Tale progresso conoscitivo consenteoggi lo sviluppo di programmi diricerca basati su approcci innovativi emultidisciplinari che prevedono l’inte-razione degli epidemiologi con chimi-ci, fisici, meteorologi, tossicologi, bio-logi molecolari e medici clinici.

Anche in Italia, la ricerca epidemio-logica sugli effetti sanitari dell’inqui-namento atmosferico ha registratorilevanti miglioramenti qualitativi.Importanti esempi sono rappresentatidai progetti multicentrici condottinegli ultimi anni, quali SIDRIA “Studiitaliani sui disturbi respiratori nell’in-fanzia”; APHEA “Air Pollution andHealth: a European Approach”;MISA “Metanalisi italiana degli studisugli effetti a breve termine dell’inqui-

Ambiente

1.1 Aria atmosferica

namento atmosferico”; SISTI “StudioItaliano sulla Suscettibilità agli effettidella Temperatura e dell’Inquinamen-to atmosferico”. I risultati di questistudi hanno evidenziato effetti sullasalute che per frequenza ed intensità, eper le concentrazioni di inquinanti acui si riferiscono, sono confrontabili aquelli ottenuti da studi analoghi con-dotti in altri paesi europei e negli altricontinenti.

Grazie alla solida evidenza scientifi-ca ora disponibile e alla buona qualitàdelle reti di monitoraggio ambientale,che forniscono misure giornalieredegli inquinanti, è possibile valutare,sempre con minore incertezza, l’im-patto sanitario dell’inquinamento del-l’aria sulle popolazioni urbane. InItalia la valutazione più recente è statacondotta sulla popolazione residentenelle 13 principali città, basandosi suidati di monitoraggio atmosferico rela-tivi al periodo 2002–2004. Lo studioha stimato che il solo rispetto del valo-re di concentrazione di 40 µg/m3 per ilPM10, fissato dalla Direttiva europeadel 1999, avrebbe potuto comportareuna riduzione di 3.321 decessi attri-buibili al PM10 e avrebbe inoltrepotuto consentire una riduzione del9,5% delle ospedalizzazioni per bron-chiti acute nei bambini sotto i 15 anni.La quantificazione degli effetti è note-volmente maggiore se si consideracome valore di riferimento 20 µg/m3,livello che era previsto raggiungereentro il 2010 ma che appare ora moltolontano visto che non è stato ripropo-sto nella recente Direttiva 2008/50/CE.Stime di impatto rilevanti, sebbeneinferiori a quelle del particolato,riguardano l’esposizione ad ozono:oltre 500 decessi, pari allo 0,6% deltotale e corrispondenti a circa 6.000anni di vita persi, sono attribuibili aconcentrazioni di ozono superiori a75µg/m3 nelle 13 città italiane.Tra ipiù recenti progetti di ricerca multi-centrici a livello nazionale va menzio-nato il progetto EPIAIR, “Inquina-mento Atmosferico e Salute: Sorve-

glianza Epidemiologica ed Interventidi Prevenzione” del CCM (Centronazionale per la prevenzione e il con-trollo delle malattie) del Ministero delLavoro, della Salute e delle PoliticheSociali avviato nel 2007. Il progettoha valutato l’impatto dell’inquina-mento atmosferico sulla mortalità in10 città italiane (Milano, Mestre,Torino, Bologna, Firenze, Pisa, Roma,Taranto, Cagliari e Palermo) nel perio-do 2001-2005. I risultati sono relativialla associazione tra inquinamentoatmosferico da polveri (PM10) e gas(NO2 ed ozono) e mortalità per tuttele cause naturali (esclusi cioè gli inci-denti e le altre cause violente), le causecardiache, cerebrovascolari e respira-torie nel breve periodo. Il rapporto ap-profondisce anche alcuni temi scienti-fici su cui è incentrata l’attenzione alivello internazionale: la latenza tem-porale (lag) tra esposizione ed effetto,l’impatto di più inquinanti, l’identifi-cazione delle caratteristiche individua-li di tipo sociale, demografico e clinicoche individuano i gruppi di popolazio-ne maggiormente sensibili agli effettidell’inquinamento atmosferico.

1.1.2 Rappresentazione dei dati

Lo stato della qualità dell’aria è unadelle emergenze ambientali che piùpreoccupa gli amministratori locali ecentrali e che coinvolge quotidiana-mente tutti i cittadini. Gli inquinantipiù critici per le elevate concentrazio-ni presenti in atmosfera sono PM10,NO2 e O3. La situazione dell’inquina-mento dell’aria nelle principali cittàitaliane, così come documentata nel-l’Annuario dei dati ambientali del2007 dell’APAT (Agenzia per la Pro-tezione dell’Ambiente e per i ServiziTecnici) e dai risultati del progettoEPIAIR non è positiva. In Italia, nel2006, il 61% delle stazioni di monito-raggio per il PM10 ha disatteso ilvalore limite giornaliero; nell’estatedel 2007, invece, il 93% delle stazioni

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di monitoraggio per l’ozono ha regi-strato superamenti del livello di riferi-mento per la protezione della saluteumana. Tenendo conto della evidentedifferenza di densità di monitoraggiotra il Nord e il Sud Italia (maggiore alNord e minore al Sud), le città del-l’area padana rispetto alle città delresto d’Italia “consumano” più velo-cemente i 35 giorni di superamentodei 50 µg/m3 per il PM10 consentiti

dalla legge. Considerando i limiti nor-mativi esistenti, che vedevano valorilimite di media annuale per il PM10da rispettare al 2005 di 40 µg/m3, lostudio EPIAIR (Tabella 1) mostra chemolte città si situano al di sopra diquesto limite: Milano (media di 51,5µg/m3), Mestre (media di 48 µg/m3),Torino (media di 53,9 µg/m3),Bologna (42,5 µg/m3), Taranto (mediadi 50,3 µg/m3), altre sono di poco

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NO2 μμg/m3 PM10 μμg/m3

media giornaliera media giornaliera

media (dev st) 50° 90° pct media (dev st) 50° pct 90° pctMilano 59 (23) 57 88 52 (32) 43 95

Mestre-Venezia 38 (14) 36 58 48a (33)a 39a 88a

Torino 66 (20) 64 92 55a (34)a 44a 102a

Bologna 52 (18) 50 75 43a (25)a 36a 76a

Firenze 46 (19) 44 68 38 (18) 35 61

Pisa 30 (11) 29 45 34 (15) 31 53

Roma 62 (16) 62 82 39 (16) 37 59

Taranto 26 (11) 24 41 50b (21)b 48b 81b

Cagliari 34 (16) 33 54 32 (12) 30 48

Palermo 52 (16) 51 74 35 (19) 32 52

O3 μμg/m3 CO mg/m3

massimo giornaliero massimo giornaliero delle medie mobili delle medie mobili

su otto ore su otto ore

media (dev st) 50° 90° pct media (dev st) 50° pct 90° pctMilano 91 (34) 89 138 1,9 (1.0) 1,7 3,3

Mestre-Venezia 91 (30) 88 131 1 (0.6) 0,8 1,8

Torino 115 (39) 113 170 2,1 (1.1) 1,8 3,6

Bologna 91 (31) 89 131 1,2 (0.6) 1 2

Firenze 96 (24) 96 125 1,3 (0.7) 1,1 2,4

Pisa 99 (21) 99 127 1,7 (1.1) 1,4 3,1

Roma 105 (25) 103 140 1,8 (1.0) 1,6 2,9

Taranto 78 (21) 78 104 1,5 (0.5) 1,4 2,1

Cagliari 81c (19)c 79c 108c 1 (0.5) 0,9 1,6

Palermo 87 (18) 86 111 1,8 (1.1) 1,6 3,3

a: Periodo 2002-2005b: Periodo 2001-2004c: Periodo 2003-2005

Quando i dati non sono distribuiti in modo normale, è opportuno affiancare ai valori di media e deviazione standard i valori di alcunipercentili, per evidenziare meglio la fluttuazione dei dati. La rappresentazione del 90° percentile permette inoltre di valutare le concen-trazioni osservate rispetto a specifici valori soglia fissati dalla normativa; ad esempio il 90° percentile per il PM10 nei confronti del valo-re limite di 24 ore per la protezione della salute umana, di 50 μg/m3, da non superare più di 35 volte l’anno.

Tabella 1 – Statistiche descrittive degli indicatori elaborati per gli anni disponibili nel periodo 2001-2005 (perl’ozono le elaborazioni riguardano i semestri aprile-settembre). Progetto EPIAIR, CCM (Ref 2)

sotto il limite: Roma (39,4 µg/m3),Firenze (38,2 µg/m3). La situazione èaltrettanto preoccupante per il biossi-do di azoto. La concentrazione diozono ha avuto caratteristiche diversenegli anni e nel 2003 le elevate tempe-rature si sono associate a livelli diozono critici. Rispetto al valore mediocalcolato per città per gli anni disponi-bili nel quinquennio 2001-2005, si èavuto nella stagione calda dell’anno2003 un incremento medio delle con-centrazioni di ozono del 13%. Varimarcato peraltro che il limite norma-tivo è da considerare come valoresoglia di contenimento del danno, noncome limite di protezione della salute,non essendoci dimostrazione di unvalore soglia in letteratura che si siadimostrato in grado di proteggere lasalute umana.

Per quanto riguarda la concentra-zione numerica di particelle ultrafini(PUF), attualmente, tranne che per lacittà di Roma, in Italia non sonodisponibili serie temporali di significa-tiva durata. Nella stazione di rileva-mento romana dell’Istituto Superiore

di Sanità sono state infatti misurate leconcentrazioni di polveri fini (PM10 ePM2.5) e PUF fin dal 2001 (Figura 1).Benché nel corso del periodo di moni-toraggio sia stata osservata una conti-nua diminuzione della concentrazionenumerica di PUF, i valori assolutirestano ancora elevati se confrontaticon quelli riscontrati in altre città delnord Europa e in considerazione deipotenziali effetti sanitari negativi asso-ciati alle PUF. L’andamento delle con-centrazioni medie di PM10 e PM2.5nel corso degli anni 2000 è rimastoinvece relativamente stabile, malgradola diminuzione delle emissioni prima-rie e di precursori del particolatoatmosferico registrata dalle stimemodellistiche. D’altro canto, questasituazione è risultata comune a moltedelle maggiori città europee, come èstato evidenziato anche dall’AgenziaEuropea per l’Ambiente.

Il progetto EPIAIR ha esaminato276.205 residenti nelle 10 città, di etàuguale o superiore ai 35 anni, e decedu-ti nel comune di residenza nel periodo2001-2005. Per ogni soggetto sono

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Figura 1 – Concentrazioni di polveri fini (PM10 e PM2.5) e PUF presso la stazione di rilevamento dell’ISS (Roma,2002-08)

state acquisite informazioni sulla causadi morte, sul luogo del decesso, sullevariabili socio demografiche e sui rico-veri in ospedale nei due anni preceden-ti il decesso. Le concentrazioni giorna-liere degli inquinanti sono state raccol-te dalle strutture ambientali delle varieregioni attraverso le centraline fisse dimonitoraggio (centraline di back-ground). L’analisi statistica ha tenutoconto dei fattori temporali rilevanti,inclusi temperatura, umidità ed epide-mie influenzali. I risultati (Figura 2)sono espressi come incremento percen-tuale (%) per 10 µg/m3 di ciascuninquinante; l’analisi per l’O3 è stataristretta al solo semestre caldo. L’analisidella associazione inquinante-mortalitàè stata condotta prima in ciascunacittà, quindi le stime di impatto com-plessive sono state ottenute mediantemeta-analisi, dando conto della etero-geneità tra le città. La Tabella 2 riporta

i risultati per ogni inquinante e per lediverse cause di morte.

È stato riscontrato un effetto imme-diato del PM10 su tutte le cause dimorte esaminate, con latenze chevanno dal lag 0 per la mortalità cere-brovascolare, al lag 0-3 per la mortali-tà respiratoria. Le stime di associazionesono molto elevate (e statisticamentesignificative) per la mortalità respirato-ria (3,22%), coerenti (e statisticamentesignificative) per la mortalità naturale(1,33%) e quella cardiaca (1,25%);l’incremento è più contenuto (e nonstatisticamente significativo) per lamortalità cerebrovascolare (1,08%).

L’associazione tra NO2 e mortalitàpresenta valori omogenei per le variecause di morte, con effetti prolungati(lag 0-5) e molto evidenti per tutte lecause: gli incrementi percentuali dirischio variano da 3,48% per la mor-talità respiratoria a 2,09 per la morta-

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Figura 2 – Risultati meta-analitici per le 10 città italiane relativi all’associazione tra inquinamenti atmosferici emortalità per cause naturali. Progetto EPIAIR, CCM (Ref 2)

Inquinante Mortalità naturale Mortalità cardiaca Mortalità Mortalità respiratoriacerebrovascolare

Lag % IC 95% Lag % IC 95% Lag % IC 95% Lag % IC 95%PM10 (μg/m3) 0-2 0,80 (0,41;1,19) 0-2 1,14 (0,53;1,76) 0,00 0,62 (-0,44;1,70) 0-3 2,29 (1,03;3,58)

NO2 (μg/m3) 0-5 2,09 (0,96;3,24) 0-5 2,63 (1,53;3,75) 0-5 2,35 (-0,13;4,89) 1-5 3,48 (0,75;6,29)

O3 (μg/m3) 0-5 1,54 (0,92;2,15) 0-5 2,29 (1,09;3,50) 3-5 1,36 (0,09;2,64) 0-5 2,78 (0,29;5,34)

Tabella 2 – Risultati meta-analitici per le 10 città italiane relativi all’associazione tra inquinanti atmosferici e mor-talità (età 35+ anni), per causa del decesso e lag. Progetto EPIAIR, CCM (Ref 2)

I grafici riportano per ogni inquinante e per ogni lag gli incrementi percentuali di rischio (e gli intervalli di confidenza al 95%) corri-spondenti a variazioni di 10μg/m3 dell’inquinante – 2001-2005 (periodo aprile-settembre per l’ozono).

Sono riportati incrementi percentuali di rischio, ed intervalli di confidenza al 95%, corrispondenti a variazioni di 10μg/m3 dell’inqui-nante – 2001-2005 (periodo aprile-settembre per l’ozono).

lità naturale; anche la mortalità cere-brovascolare presenta incrementi ele-vati del 2,35%.

L’associazione tra ozono e mortalitàcausa-specifica mostra andamentisimili a quanto osservato per l’NO2,con latenze lunghe (0-5 giorni) pertutti i gruppi ad eccezione della morta-lità cerebrovascolare, per cui si osser-va un effetto ritardato (lag 3-5). Lestime d’effetto sono sempre elevate: sipassa da un incremento del rischiopari a 2,78% per la mortalità respira-toria, ad un incremento dell’1,36%,per la mortalità cerebrovascolare, constime intermedie del 2,29% per lecause cardiache e dell’1,54% per quel-le naturali.

L’analisi di EPIAIR ha consideratovari fattori di suscettibilità e ha messoin evidenza come le persone più anzia-ne (specie le donne per quanto riguar-da l’ozono) e quelle con particolariproblemi di salute (malattie cardiova-scolari e respiratorie) sono più vulne-rabili agli effetti dell’inquinamento. Irisultati dello studio evidenziano comel’inquinamento atmosferico, special-mente quello originato dal traffico vei-colare, rimanga il problema ambienta-le più rilevante per la salute pubblicanelle città italiane.

1.1.3 Esposizione e valutazione cri-tica dei dati

Come già indicato, gli inquinantipiù critici per le elevate concentrazio-ni presenti in atmosfera, nonostante ladiminuzione nelle emissioni registratanegli ultimi anni, continuano a esserel’ozono nei mesi estivi, il PM10 neimesi invernali e il biossido di azoto.Infatti, la riduzione delle emissioni dipolveri, NOx e composti organicivolatili non metanici (COVNM), regi-strata negli ultimi anni, sia a livelloeuropeo sia nazionale, non ha com-portato un miglioramento della quali-tà dell’aria a causa della complessitàdel fenomeno “inquinamento”, che

richiede non interventi di emergenzama misure integrate e di lungo perio-do. L’impatto sanitario dell’inquina-mento atmosferico non è trascurabile,considerando che gli inquinanti citatiraggiungono le concentrazioni più ele-vate nelle aree urbane dove la densitàdi abitanti è la più alta.

Sulla base di recenti stime circa il28% della popolazione europea èstata esposta nel 2005 per più di 35giorni a concentrazioni di PM10 supe-riori a 50 µg/m3. La probabilità disuperamenti del limite giornaliero di50 µg/m3 è maggiore del 75% neipaesi dell’Europa dell’Est e, in Italia,nell’intera pianura padana, mentre ècompresa tra il 50 e il 75% nelle areeurbanizzate della Spagna, Portogallo,Grecia, Italia, in alcuni paesi balcani-ci, Belgio e in Olanda. Complessi-vamente nei paesi dell’Unione Eu-ropea è stato stimato un numeromedio di morti premature pari a 830per milione di abitanti, che corrispon-de a 373.000 decessi prematuri nei 25paesi dell’Unione. Queste stime sonomolto simili a quelle fornite dal pro-gramma “Clean Air for Europe”(CAFE) dell’Unione Europea, che hacalcolato circa 348.000 morti prema-ture attribuibili alle emissioni antro-pogeniche di particolato primario edei suoi precursori nel 2000. Il pro-gramma CAFE ha anche stimato chein Italia alle emissioni di PM2.5 del2000 possa essere attribuibile una per-dita media di 8.6 mesi di attesa di vita(intervallo nei 15 paesi europei com-preso tra 3,1 in Finlandia e 13,6 inBelgio). Le politiche previste dallaComunità Europea per ridurre leemissioni di polveri sospese, se attua-te, potrebbero essere in grado dirisparmiare entro il 2020 3,2 mesi divita per i cittadini europei e 3,4 mesidi vita per la popolazione italiana.Complessivamente nei paesi dell’Unio-ne Europea si potrebbero evitare80.000 morti premature e risparmiarepiù di un milione di anni di vita, men-tre per l’Italia avremmo circa 12.000

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morti premature in meno e 170.000anni di vita in più. L’implementazionedelle politiche relative alla riduzionedelle emissioni determinerebbe ancheimportanti risparmi economici. NellaUE si stima un vantaggio monetarioannuo compreso tra i 58 e i 161miliardi di euro evitando la mortalitàprematura, mentre con la diminuzionedelle malattie dovute al particolatoatmosferico si risparmierebbero intor-no ai 29 miliardi di euro l’anno. InItalia le cifre relative oscillerebbero da9 a 23 miliardi di euro l’anno e fino a5 miliardi di euro l’anno, rispettiva-mente.

In questo contesto, un ulteriore ele-mento su cui riflettere è che nel 2008 icosti di combustibili e carburanti e larecessione economica hanno favoritouna contrazione del 3,8% nei consumipetroliferi rispetto al precedente anno,con punte di riduzione del 30% nellegrandi città. Viene stimato che la ridu-zione dei consumi ha comportato unrisparmio di mezzo milione di tonnella-te di anidride carbonica; inoltre neiprimi 5 mesi del 2008 si è avuta unadiminuzione del 10% del numero diimmatricolazioni delle auto e un aumen-to, soprattutto nelle maggiori aree urba-ne, dell’utilizzo del bus. Nel contempo siè notato un lieve incremento dei consu-mi di carburanti alternativi (metano eGPL) per effetto delle politiche attuatesia a livello regionale che nazionale.

Per quanto concerne i sistemi dirilevamento degli inquinanti atmosfe-rici, il numero di stazioni utilizzatecontinua a crescere negli anni, con unincremento di circa il 23% nel 2006rispetto all’anno precedente. Questoaumento, che ha interessato in parti-colar modo le regioni del sud Italia edelle isole maggiori, ha colmato par-zialmente la carenza di informazionirilevata in passato per queste aree.Con l’incremento del numero di sta-zioni che comunicano dati, sono cre-sciute anche le serie di dati che hannouna rappresentatività temporale con-forme ai criteri normativi: tutto ciò

indica un miglioramento dell’attivitàdi monitoraggio e della comunicazio-ne di informazioni dal livello locale aquello nazionale. Nonostante i miglio-ramenti registrati, le reti di monitorag-gio per la qualità dell’aria sono attual-mente oggetto di un processo diaggiornamento e revisione che vedecoinvolte le regioni, il Ministerodell’Ambiente e il sistema delle agen-zie ambientali in relazione alla necessi-tà di rendere il sistema conforme alleprescrizioni delle norme nazionali ecomunitarie vigenti. La razionalizza-zione delle reti di monitoraggio preve-de infatti variazioni nel numero, nellatipologia e collocazione delle stazionidi monitoraggio e l’introduzione dellamisura del PM2.5. In tale contestosarebbe auspicabile anche il monito-raggio della concentrazione numericadi particelle ultrafini (PUF), almenonelle reti esistenti delle principali cittàitaliane.

Il processo di aggiornamento con-sentirà dunque di disporre di informa-zioni più rappresentative, omogenee econfrontabili su tutto il territorio na-zionale, con maggiori dettagli sulle di-verse componenti del particolato.Inoltre, attualmente, il monitoraggioambientale e molti modelli di disper-sione degli inquinanti utilizzati nellevalutazioni d’impatto sono principal-mente finalizzati, come in tutta Eu-ropa, a monitorare la conformità coni valori limite stabiliti per legge. Inuovi indirizzi europei sollecitanoinvece un monitoraggio non più solofinalizzato alla compliance legislativama anche alla valutazione ed al moni-toraggio dell’esposizione della popola-zione e alla valutazione dell’efficaciadegli interventi ambientali adottati.

1.1.4 Indicazioni per la program-mazione

La situazione relativa all’inquina-mento atmosferico nel nostro Paeserisulta complessa e necessita di solu-

225Ambiente

zioni di intervento integrate su diversicampi, che devono riguardare l’ambi-to locale, regionale e nazionale. A taleproposito la Commissione Europea,nella Comunicazione “Verso una stra-tegia tematica sull’ambiente urbano”,indica, fra i settori prioritari nei qualiè possibile ottenere risultati significati-vi, il trasporto urbano sostenibile, lalogistica urbana, l’edilizia sostenibile,l’energia e la produzione sostenibile.

Le informazioni disponibili sullesorgenti di inquinamento rappresenta-no un importante elemento per identi-ficare le principali aree di interventodelle politiche sanitarie-ambientali. Atal riguardo una sostanziale riduzionenel carico di patologie potrebbe essereraggiunta attraverso politiche finaliz-zate alla riduzione delle emissioni dadue principali sorgenti: trasportourbano e produzione energetica, cherappresentano attualmente i due mag-giori fattori che contribuiscono alleemissioni primarie in Italia.

Per quanto riguarda il particolato,guadagni sulla salute possono essereottenuti riducendo le concentrazioniattraverso strategie diverse. Poichénon è dimostrata la presenza di alcu-na soglia nella relazione tra inquina-mento dell’aria e i suoi effetti nocivisulla salute, gli effetti dell’inquina-mento atmosferico diminuirannoproporzionalmente alla diminuzionedella concentrazione media, per tuttigli esiti sanitari considerati. Ciòsignifica che interventi di tipo diversoche producano la stessa diminuzionemedia della concentrazione annuaprodurranno lo stesso beneficio sani-tario. La combinazione di politicheche riducano il numero totale di vei-coli circolanti, favoriscano l’immis-sione nel mercato automobilistico diveicoli con emissioni minime e per-mettano la circolazione solo di veico-li a basso impatto inquinante, po-tranno avere un risultato tangibilesulle concentrazioni ambientali equindi sulla salute. In ambito urbano,le emissioni dei veicoli a motore

devono essere ridotte sostanzialmenteal minimo attraverso politiche chemirino a limitare in maniera drasticae generalizzata il trasporto privato,diminuiscano la dimensione mediadei veicoli per fluidificare il traffico,ed incentivino il trasporto pubblico.Nel quadro di un obiettivo generaledi riduzione delle emissioni, partico-lare attenzione dovrebbe essere dedi-cata a situazioni locali circostanziate.In particolare, le concentrazioni delPM10 e PM2.5 risultano generalmen-te maggiori nelle città settentrionali,rispetto a quelle dell’Italia centrale emeridionale. Queste differenze sonoprobabilmente dovute a differenzenel sistema dei trasporti, nelle attivitàindustriali, e nelle emissioni derivantidai sistemi di riscaldamento a livellocittadino e regionale insieme a fattoriclimatici. Ad esempio le città dellapianura padana hanno alte concen-trazioni di PM10 e PM2.5 a causa diintenso traffico urbano locale e regio-nale e intense attività industriali,combinate con condizioni climaticheche limitano la dispersione dell’inqui-namento. In queste circostanze leazioni intraprese da un comune perridurre le emissioni dei veicoli amotore probabilmente porteranno amodesti risultati. Sono necessarie,invece, iniziative intraprese a livelloregionale e nazionale, che consideri-no tutte le sorgenti emissive antropi-che (industriali e civili), per una ridu-zione degli inquinanti primari esecondari che consenta la diminuzio-ne dell’esposizione nella popolazioneed il conseguente miglioramentodella salute. È chiaro dunque che inconformità con quanto previsto dallanormativa vigente, le amministrazio-ni competenti in materia devono pre-sentare piani e programmi di risana-mento laddove sono stati registratisuperamenti dei limiti della qualitàdell’aria. Tali piani comprendonouna molteplicità di azioni strutturalie non, quali azioni sulla qualità e sultipo dei combustibili, sull’introduzio-

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ne di sistemi avanzati di abbattimen-to delle emissioni, azioni sul trafficoper una mobilità sostenibile, azionisugli impianti di riscaldamento, azio-ni sull’inquinamento industriale eazioni su attività agrozootecniche eutilizzo delle biomasse. Tali pianiavranno una loro credibilità e unapossibile riuscita solo se integrati sularga scala e se preceduti da valuta-zioni ex–ante della loro efficacia.

Per quanto riguarda l’ozono, i livel-li di fondo dell’inquinante sono inaumento. Strategie di abbattimentodei livelli di ozono dovrebbero pren-dere in considerazione l’intera estate, enon solo i giorni di picco, e riguarda-re provvedimenti che limitino i livellidei precursori prodotti dal traffico.

I risultati del programma di sorve-glianza EPIAIR, viste le documentatericadute dell’inquinamento sulla salu-te, giustificano ampiamente la sorve-glianza e il monitoraggio epidemiolo-gico continuo nelle città italiane comemezzo di valutazione periodico delServizio Sanitario Nazionale, utileanche come strumento di advocacyper le azioni nei confronti delle altreamministrazioni. Tale programmadeve essere continuo, basato su datiaffidabili e sottoposti a continui con-trolli di qualità, deve coinvolgere leistituzioni ambientali e sanitarie edeve fornire una fotografia aggiornatadella situazione nel nostro Paese.

Sul piano della ricerca scientifica,anche se le conoscenze acquisite suglieffetti dell’inquinamento sono molte-plici e consistenti, diversi aspettidevono essere ancora approfonditi. Atal riguardo il Programma Strategico“Ambiente e Salute”, relativo allaricerca finalizzata del Ministero delLavoro, Salute e Politiche Sociali, infase di realizzazione, comprende treprogetti di ricerca sull’inquinamentoatmosferico che hanno caratterenazionale e che riguardano aspettirilevanti quali: i) il ruolo del partico-lato ultrafine nei meccanismi patoge-netici degli effetti cardiorespiratori

prodotti dall’inquinamento urbano,ii) gli effetti a breve termine dell’in-quinamento atmosferico in aree urba-ne: particolato ultrafine, fattori disuscettibilità individuale, interazioneinquinamento-temperatura, iii) glieffetti a lungo termine dell’inquina-mento atmosferico in adulti e bambi-ni.

In conclusione, in relazione agliobiettivi del Protocollo di Kyoto e agliaccordi sui cambiamenti climatici, sisottolinea come interventi mirati allariduzione delle emissioni di gas serra(es. risparmio energetico) comportinoanche riduzioni delle emissioni inqui-nanti e si ritiene pertanto auspicabileche gli stessi siano perseguiti in viaprioritaria. Per minimizzare i costi diquesta azione è necessario quindidisporre di adeguati strumenti cono-scitivi e di stima che consentano divalutare, in modo preventivo, i costi ei benefici associati ai possibili inter-venti, assicurando una pianificazionesinergica e ottimale dal punto di vistadei costi, a livello nazionale, regionalee locale.

Bibliografia essenziale

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Relazione conclusiva della CommissioneNazionale Emergenza InquinamentoAtmosferico, 2006.

227Ambiente

1.2.1 Introduzione

I cittadini europei, compresi gli italia-ni, trascorrono in media più del 90% delloro tempo negli ambienti confinati nonindustriali (ambienti “indoor”), qualiabitazioni, uffici, scuole, edifici commer-ciali. La qualità dell’aria indoor dipendein parte dalla presenza di sorgenti inter-ne ed in parte dall’aria esterna (aria“outdoor”). I contaminanti outdoorhanno un vario grado di penetrazione(ad esempio per il PM2.5 il grado dipenetrazione è del 50-90%); gli inqui-nanti possono essere assorbiti dallesuperfici indoor o interagire con altriinquinanti, come i terpeni. È noto che gliambienti interni possono essere conta-minati da un vasto numero di agenti chi-mici, fisici e contaminanti biologici. Inpresenza di fonti interne di con-taminazione e bassi livelli di ricircolodell’aria, i livelli degli inquinanti indoorriscontrati possono essere significativa-mente elevati, anche di gran lunga supe-riori rispetto a quelli rilevati all’esterno,talvolta anche 10-20 volte maggiori,come nel caso della formaldeide.

La qualità dell’aria indoor è unimportante determinante di salute per iseguenti motivi: una larga parte dellapopolazione trascorre il proprio tempoin ambienti confinati e il tempo di espo-sizione all’inquinamento indoor è estesoalle ventiquattro ore (non al solo orariodi lavoro); la maggior parte delle esposi-zioni ambientali avvengono prevalente-mente negli ambienti indoor e l’esposi-zione indoor è dominante rispetto aquella outdoor, a prescindere dalla fontedegli inquinanti; il rischio espositivo,oltre a interessare una parte estesa dellapopolazione, risulta di particolare gravi-tà per alcuni gruppi più suscettibili,quali bambini, anziani, malati cronici,che trascorrono negli ambienti indooruna percentuale di tempo particolar-mente elevata; l’esposizione agli inqui-nanti presenti nell’aria indoor può esse-

re responsabile della comparsa di speci-fiche patologie o dell’aggravamento dipatologie preesistenti, in particolare ingruppi di soggetti ipersuscettibili; inquesti ultimi decenni, per vari motiviconcomitanti, si è assistito ad un rapidoscadimento della qualità complessivadell’aria di questi ambienti. L’inquina-mento indoor, inoltre, ha importantiimplicazioni sociali ed economiche. InEuropa il 4,6% delle morti per tutte lecause ed il 31% delle inabilità, DALY(Disability Adjusted Life Years), neibambini (da 0 a 4 anni di età) sono attri-buibili all’inquinamento indoor.

I bambini piccoli trascorrono lamaggior parte del loro tempo a casa ea scuola, per cui la qualità e la sicurez-za di questi ambienti è un fattoredeterminante per la loro salute. Nellemura domestiche più della metà deibambini europei sono regolarmenteesposti al fumo passivo; inoltre, alme-no il 15% dei bambini e degli adole-scenti vivono in case molto umide e incondizioni microclimatiche che contri-buiscono allo sviluppo e peggioramen-to delle crisi asmatiche.

I dati del Rapporto della Commis-sione indoor del Ministero del Lavoro,Salute e Politiche Sociali (1999), cheevidenziano la presenza in Italia dipatologie specifiche (es. asma, allergie,legionellosi ed alcune forme di cancro)e di situazioni di disagio sensorialenegli occupanti di abitazioni, uffici e diedifici pubblici, correlabili alla cattivaqualità dell’aria indoor, ha posto all’at-tenzione la necessità e l’urgenza di defi-nire a livello nazionale una strategiaper la tutela e la promozione della salu-te negli ambienti confinati.

1.2.2 Rappresentazione dei dati

Recentemente si sono conclusi dueprogetti europei, a cui hanno parteci-pato anche gruppi di ricerca italiani,

228 I determinanti della salute

1.2 Aria indoor

che si sono occupati della valutazionee gestione dell’impatto della qualitàdell’aria indoor sulla salute dellapopolazione europea: 1. Progetto EnVIE (“European Coor-

dination Action for Indoor AirQuality and Health Effects”) che haindividuato quali sono le principalipatologie causate o aggravate dal-l’esposizione a fattori di rischioindoor ed ha indicato quali strategieadottare per ridurne l’impatto sullasalute della popolazione europea.

2. Progetto europeo INDEX (“Criticalappraisal of the setting and imple-mentation of indoor exposure limitsin the UE”) che, sulla base di unprocesso di valutazione del rischio,ha identificato 14 composti chimicipotenzialmente presenti in ariaindoor che necessitano di una speci-fica regolamentazione.Lo scopo del progetto ENVIE è

stato quello di valutare l’impatto sullasalute dell’inquinamento indoor, intermini di patologie causate o aggra-vate dall’esposizione a fattori dirischio presenti nell’aria indoor e difornire indicazioni per una strategiaeuropea di prevenzione. Il progetto hasintetizzato i risultati ottenuti daglistudi condotti negli ultimi venti anni,con particolare riferimento a quantoemerso dalla ricerca effettuata a livel-lo europeo e internazionale da parte dienti di ricerca o di istituzioni qualil’Unione Europea e l’OrganizzazioneMondiale della Sanità. Di seguito sifornisce un’analisi sintetica dei risulta-ti del progetto relativamente alle prin-cipali patologie identificate.

Malattie allergiche e asma. Le ma-lattie allergiche respiratorie rappresen-tano patologie di comune riscontro, lacui incidenza sta aumentando in tuttaEuropa. L’asma colpisce la popolazio-ne adulta europea nella misura del 3-8%, mentre la prevalenza nella popo-lazione pediatrica è maggiore; unrecente studio multicentrico ha indica-to che la prevalenza di sintomatologiaasmatica nei bambini si colloca tra il

2,5% e il 37%. Nell’ambito degliambienti indoor, gli agenti responsabi-li dell’insorgenza e/o dell’aggravamen-to di malattie allergiche includono siaagenti microbici che chimici. Tra iprimi si annoverano gli allergeni pro-dotti dagli acari della polvere o prove-nienti da animali domestici, le endo-tossine prodotte da batteri gramnegati-vi, le spore e i frammenti fungini, lecellule batteriche e metaboliti microbi-ci. Tra le sostanze chimiche in grado discatenare un attacco di asma vi sono laformaldeide e composti aromatici e ali-fatici. Inoltre è noto che l’esposizioneal fumo è in grado di determinare lacomparsa di sintomatologia asmatica;anche il particolato ultrafine, cosìcome il fumo prodotto dalla combu-stione di legname e carburante rappre-senta un fattore di rischio. Vi sonosegnalazioni di una associazione tra lapatologia asmatica e l’esposizioneindoor a ftalati, a materie plastiche ingenerale ed a prodotti chimici risultan-ti dalla ozonolisi dei terpeni.

Tumore del polmone. In Europa iltumore del polmone rappresenta laprincipale causa di morte per cancro.La maggior parte dei casi di tumoredel polmone insorge in soggetti fuma-tori, tuttavia una quota non trascura-bile insorge anche in soggetti che nonhanno mai fumato. Tra le sostanzecancerogene presenti nell’aria indoorsono da segnalare il radon ed il fumodi tabacco. Il radon è considerato laseconda causa del tumore del polmo-ne. Un recente lavoro che ha valutato13 studi epidemiologici condotti inEuropa ha permesso di stimare checirca il 9% delle morti per tumore delpolmone può essere attribuito adesposizione domestica a radon. Ilfumo passivo è classificato come can-cerogeno del gruppo I dalla IARC.Uno studio recente ha indicato comelo 0,5% dei casi di tumore del polmo-ne nell’uomo ed il 4,6% dei casi ditumore nelle donne può essere ricon-dotto a esposizione a fumo passivo.Tra le cause di tumore del polmone

229Ambiente

devono essere anche annoverati i pro-dotti di combustione. I primi dati rela-tivi all’insorgenza di tumore del pol-mone in soggetti esposti a particolatorisalgono agli anni novanta; recentistudi indicano che un aumento delPM2.5 di 10 µg/m3 risulta associatoad un incremento di mortalità pertumore del polmone del 14%. Anchel’esposizione a prodotti di combustio-ne diesel può aumentare il rischio ditumore del polmone, così come l’espo-sizione a vapori di oli di cottura e aprodotti di combustione del carboneutilizzato per usi domestici.

Broncopneumopatia cronica ostrut-tiva (BPCO). Le stime attuali indicanonella BPCO la quinta causa della mor-bilità globale. Una recente revisionedella letteratura mondiale sulla BPCOconfluita nello European Lung WhiteBook indica in Europa una prevalenzadi BPCO rilevante dal punto di vistaclinico compresa tra il 4 e il 10% dellapopolazione adulta. Il fumo attivo è ilpiù importante fattore di rischio per losviluppo di BPCO. Si stima infatti checirca il 70% dei casi di BPCO sianoattribuibili al fumo di sigaretta, tutta-via una quota non trascurabile di casidi BPCO è stata messa in relazionecon altri fattori di rischio. Il fumo pas-sivo è stato associato ad aumentatorischio di sviluppo di BPCO, con unrischio relativo stimato nell’intervallo1,68-5,63. La combustione di biomas-se è stata ampiamente investigatacome fattore di rischio per BPCO inparticolare nei paesi in via di sviluppo;una revisione degli studi epidemiologi-ci nel mondo ha stimato il rischio diBPCO attribuibile a biomasse pari a1,8 negli uomini e pari a 3.2 nelledonne. Vi è inoltre evidenza che l’e-sposizione a lungo termine a muffe eumidità sia associata ad aumentatorischio di tosse o dispnea nell’adulto.

Infezioni delle vie respiratorie. Lacontaminazione microbica degliambienti indoor è frequente ed è ingrado di causare infezioni a caricodelle vie aeree soprattutto nei soggetti

ipersuscettibili. La via di trasmissionepiù comune è quella aerea, da personaa persona o da sorgente a persona.Molteplici sono le malattie infettiveche si possono contrarre in ambienteindoor, tra cui la tubercolosi, sindromiinfluenzali, nuove malattie come laSARS e la legionellosi. La legionellosiè prevalentemente sostenuta dallaLegionella pneumophila che è unmicroorganismo che utilizza comereservoir i sistemi acquatici, qualiimpianti di condizionamento, conden-satori, umidificatori, tubature dell’ac-qua (in quest’ultimo caso l’esposizioneavviene durante l’aerosolizzazioneprodotta durante l’utilizzo di acqua,come avviene nelle vasche di idromas-saggio, docce, sistemi di irrigazione,innaffiamento, etc). L’incidenza inEuropa è passata da 360 casi nel 2000a 765 nel 2005; casi letali sono fre-quenti soprattutto in soggetti anziani ein soggetti immunocompromessi.

Malattia cardiovascolare. La malat-tia cardiovascolare (MCV) rappresen-ta la principale causa di morte nelmondo industrializzato. Tra i fattoridi rischio indoor di MCV vi sono ilfumo passivo e l’esposizione a partico-lato ed a monossido di carbonio.L’esposizione a fumo passivo può esse-re responsabile dell’insorgenza didanno cardiovascolare e si stima che ilrischio ad esso attribuibile sia nellamisura del 25-30%. Molti studihanno dimostrato l’esistenza di unnesso tra l’esposizione a particolatooutdoor e la mortalità/morbilità car-diovascolare. Vi è anche evidenza chel’esposizione a particolato indoor siaassociata ad aumentato rischio dimalattia cardiovascolare; tuttaviaulteriori studi sono necessari, soprat-tutto per definire il ruolo della quotaultrafine. Oltre ad essere responsabiledi avvelenamenti acuti letali e di tossi-cità nei confronti dello sviluppo fetale,vi sono evidenze che l’esposizione abassi livelli di monossido di carbonio(CO) possa essere responsabile dell’in-sorgenza di malattia cardiovascolare.

230 I determinanti della salute

Livelli di CO tipicamente riscontratiin ambiente indoor sono associati ainsorgenza di effetti avversi in indivi-dui fisiologicamente stressati dall’eser-cizio fisico o da condizioni mediche,che li rendono più suscettibili ai bassilivelli di CO. I gruppi a rischio dieffetti avversi includono i bambini e isoggetti affetti da malattia cardiova-scolare, da BPCO e i soggetti anemici.

Disturbi irritativi, alterazione delcomfort (Sindrome dell’edificio mala-to). L’esposizione a inquinanti presen-ti nell’aria indoor può causare l’insor-genza di sintomatologia aspecifica,quale irritazione delle vie respiratorieo oculare, cefalea, affaticamento, alte-razione del comfort. È stato coniato iltermine di “sindrome dell’edificiomalato” per descrivere gli edifici in cuila maggior parte degli occupanti riferi-sce la comparsa di sintomatologiaaspecifica riconducibile alla perma-nenza al loro interno, senza che tutta-via possa essere posta una specificadiagnosi o riconosciuta una specificacausa. Recenti studi hanno dimostratoche gli effetti avversi della scarsa qua-lità dell’aria indoor si manifestanoanche in termini di ridotta resa lavora-tiva o scolastica. Le sostanze respon-sabili dell’insorgenza della sintomato-logia includono sostanze chimichequali i composti organici volatili, gliaerosol e il particolato; la presenza dialtri fattori ambientali quali rumore,vibrazioni, affollamento e fattori ergo-nomici inadeguati può svolgere unruolo concausale.

Il progetto INDEX ha avuto comeobiettivo l’identificazione dei compo-sti chimici presenti in aria indoor, peri quali è prioritario procedere a rego-lamentazione, al fine di limitare i ri-schi per la salute della popolazione. Lesostanze chimiche per cui è stata valu-tata come prioritaria la regolamenta-zione sono: formaldeide, monossidodi carbonio, biossido di azoto, benze-ne, naftalene. Per ciascuna di questesostanze, sulla base dei dati tossicolo-gici disponibili, sono stati suggeriti dei

limiti di esposizione necessari pergarantire l’assenza di comparsa dipatologie, oltre che le principali misu-re preventive. Le sostanze del secondogruppo includono composti chimici incui la regolamentazione assume uncarattere di priorità inferiore: acetal-deide; orto-, para- e meta-xilene,toluene, stirene. Infine il terzo gruppodi sostanze comprende quei compostiper i quali sono necessarie ulterioriricerche (ammoniaca; delta-limonenee alfa-pinene).

1.2.3 Esposizione e valutazione cri-tica dei dati

I risultati del progetto ENVIEhanno consentito di valutare le princi-pali patologie che possono essere cau-sate o aggravate dall’esposizione adaria indoor ed ha individuato i fattoridi rischio e le rispettive sorgenti pre-senti negli ambienti indoor. In partico-lare è emersa la necessità di prevenirel’esposizione a fumo passivo, a radon,a particolato di origine indoor e out-door, ad agenti biologici (microorga-nismi e allergeni) ed a composti orga-nici volatili. Un maggior rischio dicancro al polmone è stato associatoall’esposizione al fumo di tabaccoambientale (ETS) ed ai prodotti didecadimento del radon, contribuendoin modo significativo al rischio cance-rogeno complessivo della popolazionegenerale. Inoltre, altri dati dimostranoche l’inquinamento indoor può rap-presentare un importante cofattorenella genesi delle malattie cardiova-scolari e di altre malattie sistemiche, inconsiderazione del fatto che talimalattie hanno una frequenza elevatae quindi anche un piccolo aumentopercentuale del rischio può determina-re l’insorgenza di migliaia di nuovicasi a livello di popolazione.

Il progetto INDEX ha identificatoun gruppo di sostanze chimiche la cuiesposizione indoor, in base alla valuta-zione dei rischi sulla popolazione

231Ambiente

europea, deve essere regolamentata invia prioritaria (formaldeide, monossi-do di carbonio, biossido di azoto, ben-zene, naftalene, acetaldeide, orto-,para- e meta-xilene, toluene, stirene).

I due progetti di ricerca europeihanno indicato l’urgente necessità dicolmare il vuoto legislativo tuttora esi-stente in materia di qualità dell’ariaindoor e di fornire in breve tempoall’Europa un quadro legislativo diriferimento completo.

1.2.4 Indicazioni per la program-mazione

La riduzione del livello di inquina-mento indoor richiede la definizionedi politiche a livello europeo e nazio-nale e l’attuazione di misure preventi-ve da intraprendere sia livello indu-striale che individuale.

I due progetti ENVIE-INDEXhanno indicato che le politiche di pre-venzione per ridurre e contenere irischi correlati all’aria indoor dovreb-bero fondarsi sulla necessità di defini-re sia politiche generali, sia politichespecifiche, che regolamentino aspettisingoli che possono contribuire almiglioramento della qualità dell’ariaindoor.

In sintesi, gli interventi di sanitàpubblica proposti possono essere rag-gruppati come politiche generali e co-me politiche concernenti la costruzio-ne degli edifici, la ventilazione, i pro-dotti di consumo, gli aspetti di manu-tenzione degli edifici e comportamentidegli occupanti.

Per quanto riguarda le politichegenerali, è necessario diffondere infor-mazioni relative alla qualità dell’ariaindoor e ai rischi correlati insieme allemodalità per prevenirli. A livellocomunitario, appare necessario svilup-pare protocolli armonizzati di monito-raggio dell’aria, così come tecniche diindagine, tali da assicurare la possibi-lità di confronto dei dati. È necessarioattuare campagne di monitoraggio

degli effetti sulla salute, per verificarel’efficacia delle misure preventiveadottate. È, inoltre, utile definire lineeguida di esposizione ad inquinantiindoor, in particolare per abitazioni escuole. Un settore nel quale la norma-tiva sulla qualità dell’aria indoor puòessere introdotta pienamente è quellodella costruzione degli edifici. È neces-sario integrare le politiche sulla quali-tà dell’aria indoor con quelle dello svi-luppo urbano e soprattutto del consu-mo energetico degli edifici. In conside-razione del fatto che l’aria ambientalecondiziona l’aria indoor, è necessarioprivilegiare l’utilizzo di fonti energeti-che che minimizzino l’inquinamentodell’aria e progettare edifici a bassoconsumo energetico. A livello comuni-tario, è necessario disporre di proto-colli armonizzati per la valutazionedell’aria indoor e per l’etichettaturadei materiali di costruzione, di appa-recchiature e dei prodotti. Sempre inambito comunitario, è necessario svi-luppare linee guida per il controllodell’umidità e per abbattere la forma-zione di muffe, nell’ambito dellacostruzione, utilizzo e manutenzionedegli edifici. Per quanto riguarda l’ab-battimento dell’esposizione a radon, lemisure preventive da adottare preve-dono la costruzione di case con criteriradon-free, in particolare per quellecostruite nelle aree a maggior rischio(prone-areas). A livello europeo ènecessario sviluppare linee guida percontrollare l’esposizione a inquinantie umidità di origine indoor e outdoor.Un ulteriore aspetto da regolamentareè quello del ricambio dell’aria degliambienti indoor e del funzionamentodei sistemi di ventilazione/condiziona-mento, al fine di raggiungere un ade-guato ricambio e bonifica dell’aria. Ènecessario stabilire l’obbligo di verifi-ca dello stato di manutenzione degliimpianti. È inoltre opportuno bandirel’utilizzo di sistemi di combustionesenza adeguati sistemi di scarico,applicare alle stufe a gas adeguatisistemi di aspirazione, rendere obbli-

232 I determinanti della salute

gatorio l’utilizzo di sistemi di rileva-mento del monossido di carbonio.Risulta utile anche procedere a regola-mentazione della produzione e utilizzodei prodotti di consumo, con riferi-mento allo sviluppo, a livello comuni-tario, di protocolli standardizzati pertestare la qualità dell’aria indoor.

Infine, per quanto concerne le atti-vità di manutenzione degli edifici ed icomportamenti degli occupanti, ènecessario disporre di manuali di ispe-zione e manutenzione e sensibilizzarel’opinione pubblica nei confronti deicomportamenti volontari. In partico-lare, per quanto concerne il fumo pas-sivo, la normativa applicata in Europache bandisce o prevede restrizioni peril fumo nei luoghi di lavoro e nei luo-ghi pubblici è stata adottata nellamaggior parte dei paesi membri; tutta-via, per le abitazioni o altri ambientiindoor privati, misure preventive ana-loghe non sono state ancora sufficien-temente sviluppate. Per quest’ultimocaso, è possibile indire campagneinformative volte a sensibilizzarel’opinione pubblica sull’argomento,focalizzando l’attenzione sulla prote-zione dei rischi per la salute, in parti-colare dei bambini.

A livello internazionale si segnalache l’Organizzazione Mondiale dellaSanità sta predisponendo delle specifi-che “Linee guida per la qualità del-l’aria indoor”. Le linee guida si artico-leranno in sezioni inerenti singoliinquinanti, agenti microbiologici eprodotti di combustione.

A livello europeo la prevenzione edil controllo delle patologie correlateagli ambienti indoor sono obiettiviprioritari della Strategia per l’ambien-te e salute dell’Unione Europea. Lastrategia, denominata anche iniziativa“SCALE”(Science, Children, Aware-ness, Legal instrument, Evaluation),sostiene l’importanza di proteggereprima di tutto la salute dei bambinidalle minacce dell’ambiente, qualeinvestimento essenziale per assicurareun adeguato sviluppo umano ed eco-

nomico. Gli obiettivi della strategiasono sviluppati anche nel piano euro-peo d’azione per l’ambiente e la salute2004-2010, che ha costituito unimportante contributo alla IV Con-ferenza intergovernativa Ambiente eSalute, organizzata dall’OMS RegioneEuropa (Budapest giugno 2004). Iltema della prevenzione delle malattiecorrelate agli ambienti indoor trovariscontri tangibili anche nel NuovoProgramma d’azione comunitario nelcampo della sanità pubblica (2008-2013).

A livello Nazionale la Commissioneindoor (DM 8.4.1998) nel suo rappor-to ha evidenziato la presenza in Italiadi situazioni di rischio per la salute peri principali inquinanti presenti nel-l’aria interna. Ha definito le aree prio-ritarie di intervento e le indicazionitecniche per la realizzazione di un“Programma nazionale di prevenzioneindoor”. Sulla base di tali indicazionisono stati emanati i seguenti provvedi-menti in materia di inquinamentoindoor. � Accordo del 27 settembre 2001, tra

Ministro della Salute, Regioni eProvince Autonome, recante, G.U.del 27 novembre 2001, n. 276 S.G.,S.O. n. 252. Fornisce le linee diindirizzo tecnico indispensabili allarealizzazione del Programma Na-zionale di Prevenzione indoor eanalizza gli strumenti e le strategieai diversi livelli (governativo, regio-nale, locale) per la realizzazione delProgramma;

� Piano Nazionale Radon proponeuna serie di azioni, nel medio elungo periodo, per la riduzione delrischio associato all’esposizione alradon in Italia. Nel 2006 il Piano èstato parzialmente finanziato dalCentro di Prevenzione e Controllodelle Malattie (CCM) nell’ambitodel progetto “Avvio del Pianonazionale radon per la riduzionedel rischio di tumore polmonare inItalia”. Il progetto Pnr-Ccm rap-presenta quindi il primo stadio di

233Ambiente

realizzazione a livello regionale delPNR;

� Accordo del 5 ottobre 2006 recan-te Linee Guida per la definizione diprotocolli tecnici per la manuten-zione predittiva sugli impianti diclimatizzazione (GU n.256 del3.11.2006);

� Linee guida per prevenzione e con-trollo legionellosi del 4.4.2000 (GUdel 5.5.2000, SG n.103);

� Accordo del 13 gennaio 2005 tra ilMinistro della salute, le regioni e leP.A. di Trento e di Bolzano recan-te: Linea Guida recanti indicazionisulla legionellosi per i gestori distrutture turistico-recettive e ter-mali, (GU del 4 febbraio 2005 SGn. 28);

� Linee di indirizzo per la realizzazio-ne nelle scuole di un Programma diprevenzione per i fattori di rischioindoor per asma e allergia. [È incorso l’istruttoria per l’acquisizionedella veste giuridica di AccordoStato Regioni].Infine, il Ministero del Lavoro,

Salute e Politiche Sociali con la Legge3/03, art. 51 di tutela della salute deinon fumatori, ha inteso dare prioritàassoluta alle azioni impositive volte alla

prevenzione ed al controllo del fumopassivo negli ambienti chiusi, medianteuna più rigida applicazione della nor-mativa vigente sul divieto di fumo edisponendo controlli e norme sanzio-natorie più severe.

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234 I determinanti della salute

1.3.1 Introduzione

Nel passato decennio, l’obiettivoprioritario è stato il raggiungimento diuna copertura totale del territorio conun servizio di erogazione regolare peri bisogni della popolazione. La Legge36/94, (cosiddetta Legge Galli) si erariproposta di rinnovare il sistema sullabase di Ambiti Territoriali Ottimali(ATO), nel rispetto dell’unità di baci-no idrografico, con il superamentodella frammentazione delle gestioni, alfine di istituire i Servizi Idrici Integrati(SII), costituiti dall’insieme dei servizi

pubblici di captazione, adduzione edistribuzione di acqua ad usi civili, difognatura e di depurazione delleacque. Lo scopo fondamentale eraquello di superare una realtà estrema-mente frammentata, sia territorial-mente che in conseguenza dello spez-zettamento del ciclo idrico (acquedot-ti, fognatura e depurazione), con lapresenza di molteplici aziende pubbli-che di proprietà degli enti locali, ed ilraggiungimento, in ciascun ATO, diun servizio che, con adeguate dimen-sioni gestionali, potesse essere svoltosecondo criteri di efficienza, efficacia

1.3 Acqua

235Ambiente

ed economicità. A ciascun ATO, infat-ti, è demandato il compito della predi-sposizione di un Piano d’Ambito che,attraverso l’identificazione dei costitotali (gestione, manutenzione e inve-stimento) dell’intero SII, definisca ilfabbisogno infrastrutturale per con-sentire significativi investimenti.L’innovazione tecnologica è oltremo-do necessaria per fare fronte alle pro-blematiche che derivano dall’applica-zione delle Direttive Comunitarie, inmateria di qualità delle acque da distri-buire e di quelle da scaricare nel corpiidrici ricettori. Le grandi spinte in que-sto senso sono state proprio determina-te dal recepimento con il D.lgs 2 feb-braio 2001, n. 31, della Direttiva98/83/CE relativa alla qualità delleacque destinate al consumo umano e,con il D.lgs 3 aprile 2006, n. 152, dellaDirettiva 2000/60/CE relativa agliobiettivi di qualità. Quest’ultima haintrodotto importanti principi inmateria di tutela delle risorse e dellagestione di servizi idrici, fra i quali:l’uso solidale e la salvaguardia delleacque pubbliche per le generazionifuture; il risparmio e rinnovo dellarisorsa idrica nel rispetto del patrimo-nio idrico e dell’ambiente; la prioritàdell’uso della risorsa idrica per il con-sumo umano; l’unicità del ciclo inte-grato che comprende il servizio diacquedotto, di fognatura e di depura-zione per concentrare in questo artico-lato processo le capacità gestionali chedovranno garantire livelli di efficienzaed economicità; l’individuazione diuna nuova organizzazione dei serviziidrici basata su criteri idrografici eamministrativi.

1.3.2 Rappresentazione dei dati

Allo scopo di rappresentare sinteti-camente i dati più significativi, si èscelto di valutare alcuni differentiindicatori: presenza di Servizi IdriciIntegrati; qualità dell’acqua destinataal consumo umano; deroghe ai valori

di parametro; prelievi di acqua perscopo idropotabile.

Presenza di Servizi Idrici Integrati Le resistenze al cambiamento hanno

dilatato enormemente i tempi previstiper la sua attuazione e, solo in quest’ul-timo biennio (2007-2008), si è conclusala fase di insediamento su tutto il terri-torio nazionale degli ATO per la gestio-ne del SII. Da un’analisi dei dati dispo-nibili risulta che solo la metà degli ATOhanno completato il procedimento diaffidamento del servizio. Secondo l’ulti-mo annuario delle statistiche ambienta-li, pubblicato recentemente dall’Istat, eriferito al 31 dicembre 2007, la percen-tuale di popolazione residente in comu-ni in cui opera il gestore del SII è pari al60% della popolazione totale, con unaumento del 20,6% rispetto al 2005, econ l’esclusione del Trentino-Alto Adi-ge, dove la legge non si applica in forzadi una sentenza della Corte Costituzio-nale del 1994 (Figura 1).

Qualità dell’acqua destinata al consu-mo umano

L’indicatore “qualità dell’acqua de-stinata al consumo umano” è diventa-to sempre più rilevante nella valuta-zione dello stato sanitario di un paese.

La recente entrata in vigore del D.Lgs. 31/01 ha portato numerose inno-vazioni per quanto concerne i control-li analitici che devono essere effettuatied i relativi valori di parametro chenon devono essere superati per far sìche i servizi preposti possano emettereun giudizio di idoneità al consumoumano dell’acqua. In particolare sonostati modificati i parametri microbio-logici, indicatori di contaminazionefecale, coliformi fecali e streptococchi,con l’introduzione dei parametriEscherichia coli ed enterococchi, sicu-ramente più validi e significativi perindicare una contaminazione.L’allarme giunge, peraltro, da nuoveemergenze: nell’ultimo decennio sonostati scoperti almeno 35 agenti patoge-ni, nuovi o riemersi dopo lunghi anni

di inattività, con presenza di ceppimodificati ed altamente pericolosi,tutti trasmissibili attraverso l’acqua.Attualmente il livello conoscitivo/orga-nizzativo è tale da non consentireun’efficiente ed efficace correlazionetra patologie diagnosticate/denunciatee probabilità di correlazione con ilconsumo di acqua infetta, ma il pro-blema rappresenta una priorità nellapolitica sanitaria del nostro paese.

Per quanto concerne gli inquinantichimici, la nuova normativa pone par-ticolare attenzione agli inquinantiantropici e soprattutto ai pesticidi,fitosanitari e loro metaboliti. Propriol’introduzione di quest’ultima voce è ilrisultato di lunghi anni di studi chehanno rilevato la persistenza ed ilrischio di inquinamento di falde,anche profonde, da parte di prodottidi degradazione la cui presenza inge-nera doppie conseguenze: per prima, ilrischio di una tossicità intrinseca,spesso sconosciuta, della sostanza; perseconda, la probabilità che tali sostan-ze modifichino equilibri chimico-fisici

delle acque, alterando la capacità del-l’acqua stessa, per fenomeni di ossido-riduzione, di liberare elementi natura-li, presenti negli strati rocciosi attra-versati dalle acque, in quantità supe-riori al passato. Un esempio tipico diquesto fenomeno è dato dall’arsenico,la cui presenza, pur di origine natura-le, è andata aumentando per la presen-za di inquinanti antropici.

Inoltre, l’uso estensivo di fertilizzan-ti azotati per l’agricoltura e la mancan-za di protezione dai rifiuti azotati pro-venienti dagli allevamenti intensivi dianimali, rappresentano un grave pro-blema per la presenza di nitrati nelleacque a cui le nuove imposizioni nor-mative stanno cercando di porre limite.

Non deve inoltre essere sottovaluta-to il grado di inquinamento connessoa prodotti di degradazione derivantidai trattamenti di disinfezione e pota-bilizzazione delle acque, su cui lacomunità scientifica sta investendonotevoli risorse, sia per studi conosci-tivi relativi al fenomeno, sia per l’ela-borazione di tecniche alternative.

236 I determinanti della salute

Figura 1 – Percentuale di popolazione residente in comuni in cui opera il gestore del Servizio idrico integrato perregione al 31 dicembre 2007

FONTE DATI: Istat, Rilevazione Enti gestori dei servizi idrici 2007.

DerogheCon l’entrata in vigore del nuovo

disposto normativo e dei nuovi valoriparametrici più restrittivi, alla lucedella realtà geologica del territorio ita-liano, è stato necessario utilizzare inmaniera massiva l’istituto delle deroghesu ampie zone, in particolare per l’arse-nico, utilizzando come Valori MassimiAmmissibili i valori di parametro invigore precedentemente, considerandoche in alcune aree geografiche non erapossibile l’erogazione di acqua con altrimezzi congrui, ma soprattutto assicu-rando che la deroga non rappresentas-se un potenziale pericolo per la salute.

Infatti, i valori parametrici si basa-no sulle conoscenze scientifiche dispo-nibili, e, tenuto conto del principio diprecauzione, vengono scelti al fine digarantire che le acque destinate al con-sumo umano possano essere consuma-te in condizioni di sicurezza nell’interoarco della vita. L’esistenza o meno dieffetti sulla salute dipende, oltre chedalle specifiche sostanze in questione,dai valori di concentrazione e dalperiodo di superamento.

Le deroghe per il parametro arsenico,nel primo periodo di attuazione, hannoriguardato territori delle regioni Pie-monte, Lombardia, Trentino Alto A-dige, Toscana e Lazio, per una popola-zione complessiva, nel gennaio 2004, di1.430.000 unità. L’onerosità delle opereinfrastrutturali necessarie all’abbatti-mento non ha consentito una riduzionesignificativa della popolazione coinvol-ta, anche se, per i territori in deroga nelprimo triennio, si è passati da un valoremedio di concentrazione nell’acqua delparametro arsenico di 43mcg/l a unvalore medio di 18mcg/l (di poco supe-riore al valore obiettivo di 10mcg/l).Inoltre, all’interno delle medesimeregioni e anche in altri territori del cen-tro-sud, l’applicazione di metodiche dimonitoraggio più accurate, e soprattut-to il passaggio graduale delle piccolegestioni comunali a gestori di grandidimensioni (pubblici, privati o misti,spesso frutto di aggregazione e fusione

con le cosiddette mutiutilities), ha fattoemergere, nel corso del 2007 e 2008,realtà territoriali che in precedenza nonerano state individuate. A dicembre2008, la popolazione interessata risultadi circa 1.200.000 unità, ma va invecesottolineato che è stato significativa-mente ridotto il livello di arsenico pre-sente nell’acqua effettivamente erogatache, nei territori oggetto di deroga agennaio 2004, aveva un valore medio di43mcg/l, mentre attualmente presentaun valore medio di circa 20mcg/l.

Un discorso a parte va fatto per ilparametro “trialometani”, categoriadi sottoprodotti della disinfezione, peril quale, ad oggi, sono ancora in vigo-re deroghe che coinvolgono circa cin-que milioni di abitanti. La formazionedi trialometani (THM) nell’acqua èlegata alla reazione che si ha tra l’ipo-clorito, utilizzato come ossidante edisinfettante, e composti di originenaturale presenti nell’acqua in quanti-tà estremamente variabile, soprattuttoper acque di origine superficiale.

La risoluzione del problema passaattraverso una completa ristrutturazio-ne degli impianti di trattamento, elimi-nando l’uso di ipoclorito, introducen-do il biossido di cloro o la conversionein biologico. D’altro canto la Direttiva98/83/CE, sulla base degli orientamen-ti stabiliti dall’OMS per la qualità del-l’acqua potabile, e sul parere del comi-tato scientifico della Commissionedell’Unione Europea, ha fissato il valo-re del suddetto parametro in 100mcg/l,mentre in fase di recepimento, nel D.Lgs. 31/01 è stato introdotto un valoredi 30mcg/l, e le deroghe vengono fissa-te nell’ambito di un VMA di 80mcg/l.Ad oggi l’acqua erogata, ad es.dall’Acquedotto Pugliese, presentavalori medi di 45mcg/l, quindi menodella metà di quanto stabilito dallaDirettiva europea.

Prelievi di acqua a scopo idropotabileI dati più recenti, relativi al 31

dicembre 2007, raccolti per il rappor-to triennale all’UE, presentano un pre-

237Ambiente

lievo a scopo idropotabile dell’entitàdescritta nella Figura 2.

1.3.3 Valutazione critica dei dati

Analizzare i prelievi regionali dafonti superficiali e da fonti sotterraneerispetto al totale prelevato è importan-te, al fine di avere un quadro dellosfruttamento delle risorse idrichesuperficiali e sotterranee per questaspecifica destinazione d’uso. Da questeinformazioni ne deriva la valutazionein continuo tra il rapporto necessitàigienico sanitaria di acqua di buonaqualità ed equilibrio idrogeologico.

Infatti il progressivo deterioramentoqualitativo e quantitativo delle risorsespinge l’uomo ad utilizzare sempre più

le acque profonde di miglior qualità,mentre tali acque dovrebbero essereconservate come riserva strategica,visto anche il lungo periodo di rigene-razione che le caratterizza. L’abusoindiscriminato della captazione diacque sotterranee è un fenomeno diffu-so e crescente, soprattutto nelle aree incui insistono insediamenti umani,urbani e industriali, contribuendoanche alla desertificazione delle areecostiere e all’intrusione delle acquesalate nelle falde sotterranee.

1.3.4 Indicazioni per la program-mazione

La normativa specifica relativa allaprotezione dei corpi idrici sotterranei

238 I determinanti della salute

Figura 2 – Percentuale di acqua superficiale, invasi, laghi e fiumi, o costiera di transizione o sotterranea di ricari-ca artificiale nel triennio 2005-2007

FONTE DATI: ex Ministero della Salute. Rapporto triennale all’UE.

(Direttiva 2006/118/CE) è, al mo-mento, in fase di recepimento ed intempi brevi dovrebbe diventare ope-rativa sul territorio nazionale. Infatti,si tratta di un dispositivo di comple-tamento normativo fondamentale siaper la definizione degli standard diqualità ambientale, sia per la raziona-lizzazione dell’utilizzo delle risorseumane e finanziarie destinate al mo-nitoraggio.

Il problema dei costi relativi almonitoraggio è già da anni oggetto diattente valutazioni da parte di tutte leautorità sanitarie, e già, per le acquedestinate al consumo umano, il D.Lgs. 31/01 ha introdotto la facoltà chegli enti locali preposti ai controlli ana-litici delle acque possano ridurre lafrequenza di monitoraggio dei para-metri, sulla base di una conoscenzaapprofondita delle caratteristiche deipropri territori di competenza, com-prese le pressioni e gli impatti antropi-ci che potrebbero determinare rischi dideterioramento delle risorse.

Purtroppo, il ritardo nell’attuazionedei sistemi organizzativi per la gestionedei servizi idrici integrati, fa sì cheancora non sia stata raggiunta, sul ter-ritorio italiano, una significativa utiliz-zazione delle informazioni. Dai dati

trasmessi dalle regioni per il rapportotriennale all’UE relativo agli anni 2005-2006-2007, solo pochissime AziendeSanitarie Locali hanno applicato, nelcitato triennio, minime e/o sporadicheriduzioni di frequenza, sia per parame-tro sia per punto di prelievo.

È auspicabile che, anche con l’attua-zione della Direttiva 2006/118/CE,con l’interscambiabilità delle informa-zioni e con l’introduzione di piani dimonitoraggio mirato, si possa rag-giungere un sistema economicamentesostenibile, in grado di individuarepriorità di intervento e miglioramentodei livelli di conoscenza tra rischiambientali e rischi sanitari, allo scopodi invertire le tendenze di degradodegli ecosistemi acquatici e degli ecosi-stemi terrestri che ne dipendono.

Bibliografia essenziale Direttiva 2006/118/CE sulla protezione delle

acque sotterranee dall’inquinamento e daldeterioramento.

D. Lgs. 31/01, recepimento della Direttiva98/83/CE concernente la qualità delle acquedestinate al consumo umano.

D. Lgs. 152/06. Norme in materia ambientale.Legge 36/94, Disposizioni in materia di risorse

idriche.Istat. Annuario Statistiche Ambientali, 2

dicembre 2008.

239Ambiente

1.4.1 Radiazioni ionizzanti

Gas radon – Esposizione dei datiL’esposizione al radon ed ai suoi

prodotti di decadimento rappresentaun fattore di rischio accertato per iltumore polmonare (gruppo 1 dellaIARC - International Agency forResearch on Cancer). Le stime delrischio di tumore polmonare connessoall’esposizione al radon sono statebasate, fino a pochi anni fa, principal-mente sugli studi epidemiologici su

coorti di minatori di miniere sotterra-nee di uranio, caratterizzate da valorimolto alti di concentrazione di radon.I risultati così ottenuti sono stati estra-polati ai valori più bassi di concentra-zione di radon, riscontrabili nelle abi-tazioni e nei normali luoghi di lavoro,e sulla base di tali estrapolazioni moltiStati ed Organismi Internazionalihanno emanato norme o raccomanda-zioni per limitare l’esposizione alradon. In Italia, il D.Lgs 241/00, cheha recepito la Direttiva 29/96/Euratom

1.4 Radiazioni

modificando ed integrando il D.Lgs230/95, ha introdotto la regolamenta-zione dell’esposizione al radon nei luo-ghi di lavoro. Le incertezze connesseall’estrapolazione dei risultati deglistudi epidemiologici sui minatorihanno spinto ad effettuare studi epide-miologici (di tipo caso-controllo), pervalutare direttamente il rischio ditumore polmonare connesso all’esposi-zione al radon nelle abitazioni. Dati ivalori di esposizione generalmente piùbassi rispetto alle miniere, è necessarioanalizzare in modo combinato i dati dimolti studi per aumentarne la potenzastatistica. Negli ultimi quattro annisono stati pubblicati i risultati delleanalisi combinate di tutti i principalistudi epidemiologici di tipo caso-con-trollo condotti in Europa (13 studi,incluso uno effettuato in Italia), nelNord-America (7 studi) e in Cina (2studi). I risultati di questi studi epide-miologici hanno dimostrato che l’espo-sizione al radon nelle abitazioni au-menta in modo statisticamente signifi-cativo il rischio di tumore polmonare,e che tale aumento è proporzionale allivello di esposizione. In particolare,l’analisi combinata degli studi europeiha permesso di stimare che ad ogniincremento di 100 Bq/m3 di concen-trazione di radon media, corrispondeun incremento del rischio del 16%circa. Inoltre è stata evidenziata unaforte sinergia tra il radon ed il fumo disigaretta, a causa della quale il rischiodovuto all’esposizione al radon è mol-to più alto (circa 25 volte) per i fuma-tori che per i non fumatori. Anche peri non fumatori, comunque, vi è unincremento di rischio significativo.Una delle principali novità di tali ana-lisi è che il rischio aumenta in modostatisticamente significativo non soloper elevate esposizioni al radon, maanche per esposizioni prolungate aconcentrazioni di radon medio-basse,che non superano i 200 Bq/m3. Diconseguenza, i casi di morte per cancropolmonare attribuibili al radon inItalia sono circa 3.000 (da 1.000 a

5.500) all’anno, la maggioranza deiquali tra i fumatori a causa degli effet-ti sinergici di radon e fumo.

Gas radon - Indicazioni per la pro-grammazione

Sulla base di questi risultati si stan-no sviluppando a livello sia nazionale(in diversi Paesi, tra cui il Canada, laGermania, il Regno Unito) che inter-nazionale (nelle raccomandazioni diorganismi internazionali, in particola-re dell’Organizzazione Mondiale dellaSanità) nuovi approcci finalizzati aridurre i rischi connessi all’esposizioneal radon. Tali approcci non sono piùincentrati esclusivamente sulla ridu-zione dei valori più elevati di concen-trazione di radon nelle abitazioni e neiluoghi di lavoro, ma considerano giu-stificati anche interventi (incluso quel-li normativi) finalizzati alla riduzionedi concentrazioni di radon medio-basse, tenendo conto anche del rap-porto costo/efficacia.

Una delle strategie di intervento conmigliore rapporto costo/efficacia con-siste nell’introdurre in fase di costru-zione per i nuovi edifici (e non soloper quelli situati in zone a maggiorepresenza di radon) semplici accorgi-menti costruttivi che riducano l’in-gresso del radon e che facilitino (e ren-dano più efficace) l’eventuale successi-va installazione di sistemi attivi diriduzione della concentrazione diradon. L’adozione di tali accorgimentiin fase di cantiere ha un costo general-mente molto limitato, sostanzialmentetrascurabile rispetto al costo comples-sivo dell’edificio, ed ha solitamente uneffetto positivo anche in relazioneall’isolamento dall’umidità del terre-no. Questa strategia, già adottata inpassato da alcuni Paesi quali l’Irlanda,si sta ora diffondendo come uno deisistemi più efficaci per ridurre il nume-ro complessivo di effetti sanitari attri-buibili al radon. Ad esempio, l’HealthProtection Agency (UK) ha raccoman-dato nel maggio di quest’anno l’esten-sione a tutti gli edifici di nuova costru-

240 I determinanti della salute

zione del livello base di protezione(cioè la posa di una membrana imper-meabile al radon), prima non richiestonelle zone a bassa probabilità di alteconcentrazioni di radon.

Una tale strategia di prevenzioneandrebbe applicata in Italia il primapossibile, in quanto ogni edificio dinuova costruzione realizzato senza que-ste tecniche preventive potrà aver biso-gno, soprattutto nelle zone a maggiorepresenza di radon, di un successivointervento di mitigazione, che avrà uncosto più elevato ed un’efficacia inferio-re, ad edificio già costruito. In partico-lare, negli strumenti urbanistici (piani dicoordinamento, PRG, regolamenti edi-lizi, ecc.) di tutti gli enti preposti allapianificazione e controllo del territorio(in particolare le amministrazionicomunali) andrebbe introdotta la pre-scrizione per i nuovi edifici di adottaresemplici ed economici accorgimenticostruttivi, finalizzati alla riduzione del-l’ingresso di radon ed a facilitare l’in-stallazione di sistemi di rimozione delradon che si rendessero necessari suc-cessivamente alla costruzione dell’edifi-cio. Analoghe prescrizioni dovrebberoessere adottate per quegli edifici sogget-ti a lavori di ristrutturazione o manu-tenzione straordinaria, che coinvolganoin modo significativo le parti a contattocon il terreno (attacco a terra).

Per ridurre il rischio di tumore pol-monare in Italia, il Ministero delLavoro, Salute e Politiche Sociali -CCM ha affidato all’ISS la realizzazio-ne del Piano nazionale radon, predi-sposto nel 2002 da un’apposita com-missione del Ministero del Lavoro,Salute e Politiche Sociali con esperti didiversi enti ed amministrazioni, nazio-nali e regionali. Il primo progetto delCCM (“Avvio del Piano NazionaleRadon per la riduzione del rischio ditumore polmonare in Italia”, termineprevisto 31/12/2009) include alcunedelle azioni previste dal PianoNazionale, selezionate in modo dapermettere l’avvio complessivo delpiano medesimo. In particolare, il pro-

getto prevede l’istituzione dell’archi-vio nazionale radon, lo sviluppo dellamappatura delle concentrazioni diradon negli edifici, la valutazione deirischi associati all’esposizione e la pro-duzione di adeguamenti normativi elinee guida.

1.4.2 Radiazioni non ionizzanti

Radiazione ultravioletta – Esposizio-ne dei dati

L’esposizione eccessiva alle radiazio-ni ultraviolette (UV) è in grado di acce-lerare molti processi degenerativi acarico sia della cute (melanomi, carci-nomi spinocellulari e basaliomi, non-ché invecchiamento precoce del tessutocutaneo), sia dell’occhio, anche conmanifestazioni patologiche precoci. Ilsole rappresenta certamente la fontenaturale più significativa di esposizio-ne agli UV, anche se negli ultimi annisono andate grandemente aumentandosorgenti artificiali di radiazione ultra-violetta, come le lampade abbronzanti.Secondo la IARC, la radiazione solareè compresa fra i cancerogeni certi(gruppo 1), mentre le radiazioni UV ditipo A, B e C, così come l’esposizionealle lampade e ai lettini solari per l’ab-bronzatura artificiale, sono considera-te cancerogeni probabili (gruppo 2A). Idanni da esposizione agli UV sonodocumentati, anche se in misuraincompleta o parziale, soltanto per leneoplasie cutanee correlate o correla-bili con l’esposizione a queste radiazio-ni. Il numero di individui che si amma-la di melanoma è purtroppo in cresci-ta, anche se non si può escludere unacomponente legata a possibile sovra-diagnosi. In Italia ogni anno muoionocirca 1.500 persone a causa di questaneoplasia della cute e circa 7.000 per-sone ne ricevono una prima diagnosi.Fonti Istat (2005 – 2006) rivelano chela mortalità per melanoma aumentadell’1,5% annuo (nel 2000 il melano-ma ha fatto registrare un aumento didecessi pari al 19,9% negli uomini in

241Ambiente

una fascia d’età compresa tra i 15-39anni) e l’incidenza dello stesso è al+10% annuo. Le stesse fonti definisco-no il melanoma il tumore con la piùalta dinamica oggi conosciuta. La velo-cità di crescita corrisponde a quasi unraddoppio (100%) del tasso ogni diecianni. Purtroppo non si riscontra nessu-na flessione in questa tendenza allacrescita sistematica dell’incidenza delmelanoma.

Come nella maggior parte dei Paesieuropei, le scarne norme italiane nonprevedono il rispetto di limiti di espo-sizione specifici. Nell’esercizio praticodella protezione, i limiti raccomandatidalla Commissione internazionale perla protezione dalle radiazioni nonionizzanti (ICNIRP) sono, di norma, iriferimenti d’obbligo. Per quantoriguarda l’esposizione professionale, sitratta di un problema sottovalutato,nonostante le attività occupazionalioutdoor possano implicare esposizionisignificative soprattutto in particolariperiodi dell’anno.

Radiazione ultravioletta - Indicazioniper la programmazione

I programmi di informazione ed e-ducazione sanitaria già avviati, do-vrebbero essere integrati tenendo contodella necessità di cambiare i concettiradicati nella popolazione che collega-no l’esposizione al sole al benessere el’abbronzatura alla buona salute, ren-dendola consapevole che l’esposizioneal sole può costituire un rischio per lasalute, ed informare sui rischi che com-porta l’utilizzo abituale delle lampadeabbronzanti. Tale progetto potrebbeconcretizzarsi obbligando i gestori dei“solarium”, con apposita legge, adinserire in tutti i centri abbronzanti unmanifesto che evidenzi i rischi connessiall’esposizione dei raggi UVA e UVBdelle lampade abbronzanti ed un mani-festo in cui siano visibili quali tipologiedi nei siano pericolosi e soggetti ad uncontrollo specialistico.

È necessario fornire informazioniriguardanti le caratteristiche fenotipi-

che dei soggetti a maggior rischio; chipresenta caratteristiche come carna-gione, capelli ed occhi chiari presentainfatti un’incidenza di melanoma piùelevata. È altresì indispensabile infor-mare sui tempi di una corretta esposi-zione solare in relazione alle propriecaratteristiche fenotipiche, e sullecaratteristiche delle protezioni solaricontenenti soli filtri UVB (che riducen-do il rischio delle scottature favorisco-no esposizioni prolungate agli UVAche potrebbero aumentare il rischio ditumori cutanei) in attinenza allaRaccomandazione 2006/647/CE, edinformare altresì che il fattore di pro-tezione dei prodotti solari è inefficacese inferiore a 20. Si deve incrementarel’informazione rivolta ai genitoririguardo la pericolosità di esporre alleradiazioni solari UV i bambini (0-14anni) nelle fasce orarie 11-16. Le fre-quenti scottature solari, soprattuttonel periodo infantile, aumentanoinfatti le possibilità di sviluppare ilmelanoma, e nei bambini è cruciale lanecessità di utilizzare creme solari adaltissima protezione.

La familiarità, cioè la presenza dellastessa malattia in altri membri dellafamiglia, è un ulteriore criterio signifi-cativo per una più adeguata prevenzio-ne. Lo studio e l’analisi della storia cli-nica in ogni singola famiglia permette-rebbe di definire il rischio di ricorrenzaper melanoma tra i diversi membridella famiglia, e l’attuazione di testgenetici mirati consentirebbe l’identifi-cazione degli individui predisposti allacomparsa di questo particolare tumore.

Sul versante della prevenzione occu-pazionale, è necessario che il “sistemaistituzionale”, di cui al Titolo I del D.Lgs. 81/08, trasferisca ai datori dilavoro il concetto che l’esposizione allaradiazione solare deve essere conside-rata un rischio per i lavoratori outdo-or, e come tale deve rientrare nellavalutazione dei rischi: vanno quindimesse in atto le misure di prevenzionedisponibili per ridurre il rischio da UV,inclusa l’informazione ai lavoratori e

242 I determinanti della salute

la formazione sui comportamenti cor-retti per ridurre l’esposizione.

Campi elettromagnetici – Esposizionedei dati

Esiste una diffusa preoccupazionenel pubblico per i possibili effetti noci-vi per la salute dell’esposizione a campielettromagnetici, sia a frequenze estre-mamente basse (ELF, in primo luogo lafrequenza di 50 Hz della corrente elet-trica) sia alle frequenze più elevate(radiofrequenze, RF). Peraltro, lo svi-luppo di nuove tecnologie e la conse-guente moltiplicazione delle sorgentipone continuamente nel pubbliconuovi interrogativi, che richiederebbe-ro risposte chiare e tempestive. Un pos-sibile ruolo cancerogeno dei campimagnetici ELF è stato suggerito solo inrelazione alla leucemia infantile. Perquesta patologia alcuni studi epidemio-logici hanno evidenziato un’associazio-ne statisticamente significativa. Aibambini in studio esposti a livelli dicampo magnetico superiori a 0,4 µTera associato un rischio doppio di con-trarre la leucemia rispetto a quelli espo-sti a meno di 0,1 µT. In contrasto con irisultati epidemiologici, la ricerca dilaboratorio su animali esposti in condi-zioni controllate o su sistemi cellularinon ha fornito elementi a sostegnodella cancerogenicità dei campi magne-tici ELF, né ha permesso di individuaredei meccanismi biofisici che possanospiegare un ruolo dei campi magneticiELF nella cancerogenesi. Nel 2001 laIARC ha classificato i campi magneticiELF nel gruppo 2B possibilmente can-cerogeno per l’uomo. Nel 2007,l’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) ha pubblicato la monografia“Extremely Low Frequency Fields”relativa a tutte le possibili conseguenzesanitarie delle esposizioni a campi elet-trici e magnetici ELF. In merito aitumori, l’OMS ha confermato le valu-tazioni già espresse dalla IARC, e haconcluso che per i tumori infantilidiversi dalla leucemia, e per i tumorinegli adulti, le evidenze scientifiche a

favore dell’ipotesi di un’associazionecon l’esposizione a campi magneticiELF sono molto più deboli che per laleucemia infantile. Per quanto riguardale conoscenze relative a patologie qualidepressione, suicidi, malattie cardiova-scolari, disfunzioni riproduttive, malat-tie dello sviluppo, modificazioni immu-nologiche, effetti neurocomportamen-tali e malattie neurodegenerative,l’OMS ha concluso che le evidenzescientifiche a favore di un’associazionecon l’esposizione a campi magneticiELF sono di nuovo molto più deboliche per la leucemia infantile. Volendoquantificare la dimensione dell’ipoteti-co rischio, se veramente i campi magne-tici ELF fossero cancerogeni, su 49.000nuovi casi di leucemia infantile stimatinel 2000 in tutto il mondo, da 100 a2.400 casi potrebbero essere attribuibi-li ai campi magnetici a 50/60 Hz.Secondo stime relative alla situazioneitaliana, non più di 1 caso di leucemiainfantile, su circa 400 che si verificanoogni anno, potrebbe essere attribuitoall’esposizione ai campi magneticigenerati dalle linee elettriche.

Sul versante delle RF, sulla base divari studi epidemiologici condotti su uti-lizzatori di telefoni cellulari, su soggettiesposti in ambito lavorativo, o su popo-lazioni residenti in prossimità di impian-ti trasmettitori, non vi sono evidenzeconvincenti di incremento del rischio ditumori. Inoltre, numerosi studi condottisu animali non hanno accertato alcunruolo dei campi a radiofrequenza nellosviluppo del cancro, né da soli né inassociazione a cancerogeni noti.

Esiste infine il tema della cosiddettaipersensibilità elettromagnetica. Esi-stono soggetti che presentano o lamen-tano sintomi soggettivi, attribuitiall’esposizione sia a ELF che RF, comedisturbi del sonno, affaticamento,stress, formicolii sul viso, sensazione dibruciore della pelle, eruzioni cutanee,dolori muscolari, bruciore agli occhi,disordini dell’apparato digerente. Sonostati effettuati numerosi esperimenti incondizioni controllate, ed è emerso

243Ambiente

chiaramente che, fatte salve pocheeccezioni, questi sintomi sono reali main nessun caso vi è correlazione tra lasintomatologia accusata e l’esposizio-ne a campi elettromagnetici, ma piut-tosto con la percezione che il soggettoha della sussistenza o meno. Coeren-temente, l’OMS, data l’assenza di spe-cifici criteri diagnostici e di qualsiasievidenza scientifica di una relazionecausa-effetto, ha raccomandato diindicare il fenomeno non come iper-sensibilità ai campi elettromagnetici,ma come intolleranza idiopaticaambientale attribuita (dal portatore) aicampi elettromagnetici, inserendolonel contesto più ampio dell’intolleran-za idiopatica ambientale, una sindro-me che comprende diverse condizionicome la sensibilità ad agenti chimici ela stanchezza cronica.

Campi elettromagnetici - Indicazioniper la programmazione

La diffusa preoccupazione sui rischiattribuiti ai campi elettromagnetici, chein alcune situazioni assume livello divero e proprio allarme, ha contribuito acreare notevoli tensioni sociali, conimportanti conseguenze politiche, eco-nomiche e sanitarie, queste ultime lega-te alla considerazione che l’ansia, tantopiù se ingiustificata o esagerata, costi-tuisce un attacco alla salute. È quindi dinuovo cruciale il ruolo della comunica-zione. Il Ministero del Lavoro, Salute ePolitiche Sociali, riconoscendo l’impor-tanza di una corretta informazione ecomunicazione nel settore della tuteladagli effetti sulla salute dei campi elet-tromagnetici, ha quasi completato conil CCM il progetto “Salute e campi elet-tromagnetici (CAMELET)”. Il proget-to, di durata triennale, è stato sviluppa-to dall’Istituto Superiore di Sanità edha avuto come obiettivo la creazionepresso il CCM di una struttura di rico-nosciuta competenza per la valutazionedei dati scientifici, la stima dei rischisanitari e la relativa comunicazione alpubblico. Tra i principali risultati figu-rano la raccolta e traduzione di docu-

menti internazionali, la predisposizionedi opuscoli e fogli informativi e la rea-lizzazione del sito web www.iss.it/elet.Molto rimane da fare però in termini dicampagne attive di comunicazione.

Per quanto riguarda l’intolleranzaidiopatica ambientale attribuita aicampi elettromagnetici, l’OMS racco-manda ai medici di concentrarsi sulquadro clinico, e non sul bisogno che lapersona avverte di ridurre o eliminare icampi elettromagnetici dal luogo dilavoro o dall’abitazione. In particolare,l’OMS raccomanda una valutazionemedica e psicologica al fine di identifi-care e curare eventuali condizioni spe-cifiche, che potrebbero essere responsa-bili dei sintomi, ed un esame dei fattoriambientali ed ergonomici che potreb-bero ai medesimi contribuire. Alle isti-tuzioni governative, l’OMS raccoman-da di fornire un’informazione mirataed equilibrata sui potenziali rischi sani-tari dei campi elettromagnetici, che, tral’altro, chiarisca nettamente la mancan-za di qualunque base scientifica per uncollegamento tra ipersensibilità edesposizione ai campi elettromagnetici.

Va infine segnalato che diversi studiepidemiologici hanno concordementeindicato un significativo aumento(fino a 4) di incidenti stradali legatoall’uso del telefono cellulare durantela guida. Gli stessi studi non indicanodifferenze tra l’uso del telefono inmano e quello a mani libere (in vivavoce o con l’auricolare) e numerosiricercatori ed enti protezionistici rac-comandano di scoraggiare fortementel’uso del telefono cellulare alla guida,in qualunque condizione. L’intro-duzione di restrizioni nei confrontidell’uso del cellulare durante la guidain qualsiasi condizione, incluso l’uti-lizzo di sistemi in viva voce, portereb-be quindi un beneficio certo in terminidi sanità pubblica.

Bibliografia essenziale Darby S, Hill D, Auvinen A, et al. Radon in

homes and lung cancer risk: collaborativeanalysis of individual data from 13

244 I determinanti della salute

1.5.1 Introduzione

Le fonti principali di rumoreambientale includono il traffico aereo,il traffico stradale, il traffico ferrovia-rio, le industrie, i lavori pubblici, lavo-ri di edilizia e il quartiere. Le fontiprincipali di rumore negli ambientiinterni sono i sistemi di ventilazione,le macchine da lavoro, gli elettrodo-mestici.

Il rumore ambientale è definitocome il rumore emesso da tutte lefonti eccetto quello emesso sul luogodi lavoro industriale.

Nell’Unione Europea, circa il 40%della popolazione è esposto a trafficostradale, che equivale ad un livello diesposizione che supera i 55dB(A). Il20% della popolazione è esposto alivelli che superano i 65dBA.

Contrariamente ad altre polluzioniambientali, l’esposizione a rumoretende ad aumentare.

Riguardo all’esposizione lavorati-va, già nel 1986, l’Unione Europeaha regolamentato la materia con laprima Direttiva Europea sul rumore86/188/CEE, che stabiliva valori limi-te di esposizione e una serie di obbli-ghi per i datori di lavoro ad essi corre-lati. Recentemente, con l’emanazionedella seconda Direttiva Europea sulrumore 2003/10/CE, sono stati abbas-sati i valori limite di esposizione esono stati ridefiniti gli obblighi deidatori di lavoro, vista la persistenzadel problema a livello comunitario.

In materia di rumore ambientale,nel 1993 il Quinto Programma d’A-zione per l’Ambiente della ComunitàEuropea affrontava per la prima voltatale problema e stabiliva una serie diazioni da realizzare entro il 2000, alfine di limitare l’esposizione al rumoredei cittadini dell’Unione. Recente-mente, è stata varata la prima Di-rettiva comunitaria sul rumore am-bientale, la “Direttiva 2002/49/CE delParlamento Europeo e del Consigliodel 25 giugno 2002 relativa alla deter-minazione e alla gestione del rumoreambientale”. Tale Direttiva è statarecepita in Italia dal D. Lgs. 195/05.

1.5.2 Presentazione dei dati

Esposizione al rumore negli ambientidi lavoro.

Fino al 2006, data di abrogazionedel D. Lgs. 277/91, sono pervenutiall’ISPESL più di 6000 documenti diauto notifica, trasmessi da altrettanteaziende sparse sul territorio nazionale,contenenti informazioni sui valori diesposizione personale a rumore deipropri dipendenti. Come risultato, piùdi 41.000 addetti risultavano esposti aun livello personale giornaliero alrumore (LEP,d) superiore a 90 dB(A),e più di 12.000 esposti a un LEP,dinferiore a 90 dB(A), per un totale dipiù di 53.000 addetti esposti a livellidi rumore superiori a 80 dB(A). Il datorelativo alle auto notifiche pervenute,

European case-control studies. Br. Med. J.330, 223–226, 2005.

Environmental Health Criteria 238 (2007):Extremely Low Frequency (ELF) Fields.WHO, Geneva, Switzerland, ISBN 978-92-4-157238-5. http://www.who.int/peh-emf/publications/elf_ehc/en/index.html.

Istituto Superiore di Sanità. Sito tematico“Buon senso al sole”. www.iss.it/site/sole.

WHO - Promemoria n.296. Dicembre 2005.Campi Elettromagnetici e Salute Pubblica -Ipersensibilità ai Campi Elettromagnetici.www.who. int /peh-emf/publ icat ions/facts/ehs_fs_296_italian(2).pdf.

WHO - The International Radon Project (IRP).WHO Initiative to Reduce Lung CancerRisk around the World. www.who.int/ioni-zing_radiation/env/radon/en/.

245Ambiente

1.5 Rumore

corretto per una serie di fattori, porta-va ad ipotizzare all’epoca che la popo-lazione effettiva di lavoratori esposti apiù di 90 dB(A) di LEP,d fosse pari adalmeno 100.000 unità.

Dal punto di vista degli effetti sullasalute, purtroppo, il rumore costitui-sce ancora oggi la causa di tecnopatiadenunciata all’INAIL con maggiorefrequenza, con un’incidenza percen-tuale media, prendendo a riferimentogli anni nei quali si dispone di dati suf-ficientemente sedimentati, dell’ordinedel 24% sul totale dei casi di malattieprofessionali denunciate. Negli ulti-mi anni statisticamente consolidati(2001-2006), all’INAIL sono pervenu-te circa 46.000 denunce di ipoacusiaprofessionale, di cui circa il 12% sonostate riconosciute e indennizzate. Danotare inoltre che il dato delle ipoacu-sie non tabellate denunciate negli ulti-mi anni sopravanza quello delle ipoa-cusie tabellate.

Complessivamente, in Italia nel2002 erano presenti circa 134.000titolari di rendita di inabilità perma-nente da ipoacusia e sordità da rumo-re, pari al 56% del totale delle renditeerogate dall’INAIL. Il grado medio digravità di queste ipoacusie era del24,2% e l’età media dei titolari di ren-dita era circa 64 anni.

Per quanto riguarda gli effetti cosid-detti extra-uditivi del rumore, non esi-stono al momento dati attendibilisulla esposizione dei lavoratori e suirelativi effetti sulla salute intesa nellasua accezione più ampia di benesserepsico-fisico. Tuttavia, è certo che ilrumore è una delle cause maggiore didiscomfort e di stress sul lavoro, inparticolare in termini di ridotta effi-cienza, di perdita di concentrazione, diconflittualità e di aggressività nei rap-porti interpersonali nel luogo di lavo-ro.

A dimostrazione della pericolositàsociale del rumore anche in Europa, laCommissione Europea nel 2005 hadedicato la settimana europea sullasalute e sicurezza nei luoghi di lavoro

al rumore, sviluppando numerose ini-ziative di informazione e di comunica-zione, volte a sensibilizzare l’opinionepubblica nei confronti di questo agen-te di rischio.

Esposizione al rumore della popola-zione generale

Numerosi studi definiscono ilrumore come la quinta fonte di preoc-cupazione per l’ambiente locale dopoil traffico, l’inquinamento atmosferi-co, la salvaguardia del paesaggio, lagestione dei rifiuti, ma l’unica per laquale vi era stato un aumento di pro-teste da parte del pubblico dal 1992.

L’ OMS ha pubblicato nel 2000 unaDirettiva sul rumore e nel 2009 unaDirettiva sulle raccomandazioni aesposizione notturna da rumore.

Nell’Unione Europea circa il 40%della popolazione è esposto a trafficostradale, che equivale ad un livello diesposizione che supera i 55dBA. Il20% della popolazione è esposto alivelli che superano i 65dBA.

Effetti del rumore sulla saluteL’inquinamento acustico è stato ini-

zialmente trascurato in ambito comu-nitario, in quanto giudicato meno im-portante di altre problematiche am-bientali, quali l’inquinamento atmo-sferico, l’inquinamento delle acque, lagestione dei rifiuti; tale percezione èstata certamente favorita dalla naturadegli effetti dell’inquinamento da ru-more, che sono poco evidenti, subdo-li, non eclatanti, come invece accadeper le conseguenze di altre forme diinquinamento ambientale.

L’eccessiva esposizione al rumoreprovoca numerosi effetti sulla salute.

Effetti psicofisiologici Il rumore interagisce con il benesse-

re sia fisico sia mentale. Il rumore agi-sce come elemento di stress e, cometale, può attivare diversi sistemi fisio-logici, provocando modificazioni qualiaumento della pressione sanguigna edel ritmo cardiaco e vasocostrizione.

246 I determinanti della salute

� Annoyance ed effetti comporta-mentali.Con il termine annoyance si intende

il fastidio causato dall’esposizione arumore.

Il fastidio è il più studiato effetto delrumore. Il fastidio del rumore puòessere considerato come un problemadi salute. Normalmente è misuratotramite surveys ed esistono curve dirisposta all’esposizione che sono inter-nazionalmente riconosciute.

Tra gli effetti della sovraesposizioneal rumore si identificano:

�interferenze con il comportamen-to sociale (comportamenti diaggressività, di protesta e diimpotenza);

�modifica del discorso di comuni-cazione;

�disturbi del sonno e di tutte le sueconseguenze a lungo e breve ter-mine;

�effetti cardiovascolari; �ridotte prestazioni lavorative e

scolastiche;�dolore e difficoltà fisica all’ascol-

to;�effetti di disturbo del sonno.Il disturbo del sonno è considerato

uno dei più importanti effetti delrumore ambientale sulla salute, oltreche uno degli effetti più facilmentemisurabili. I disturbi del sonno riferitisono: difficoltà ad addormentarsi, alte-razioni della profondità o della struttu-ra del sonno e dei risvegli. Altri effettifisiologici indotti dall’esposizione arumore durante il sonno sono le rea-zioni di tipo vegetativo, quali aumentodella pressione sanguigna, aumento delritmo cardiaco, vasocostrizione, cam-biamenti nella respirazione e aritmiacardiaca, movimenti del corpo.

Interferenza con il comportamentosociale e con le modalità di comunica-zione

Questi effetti sono osservati soprat-tutto nei bambini. Il rumore che inter-ferisce con la comunicazione parlata èil segnale più importante.

� Interferenza con il comportamentosociale e con le modalità di comu-nicazione.Questi effetti sono osservati soprat-

tutto nei bambini. Il rumore che inter-ferisce con la comunicazione parlata èil segnale più importante.

L’eloquio parlato è normalmenteintelligibile in un ambiente con rumo-re di fondo di circa 35 dB(A) e puòessere compreso discretamente in unambiente con rumore di fondo di circa50-55 dB(A). I problemi insorgonoquando il rumore ambientale è ugualeo maggiore di 60 dB(A) (ciò corri-sponde al rumore da traffico che giun-ge dalle finestre lievemente aperte).Effetti ultimi di questa esposizionesono un anomalo sviluppo delle capa-cità linguistiche, dell’acquisizionedelle capacità di lettura, sia nellaprima infanzia sia nella scuola prima-ria. Questi effetti sono maggiori neibambini che hanno già di base proble-mi di udito o che vivono in famigliaproblemi nella lingua parlata (ad es.famiglie di migranti).

A livello europeo è stata posta par-ticolare attenzione agli effetti delrumore sulla salute dei bambini.

Nel 2001 è stato pubblicato il docu-mento dal titolo “Health effects ofnoise on children and perception ofthe risk of noise”. Tale studio eviden-zia come i bambini siano le prime vit-time dell’esposizione a rumore e comei disturbi dell’apprendimento e del lin-guaggio compromettano le perfor-mance future dei bambini.

Effetti sulle prestazioniIl rumore interagisce con lo svolgi-

mento di attività, sulla produttività,sul rendimento, sull’attenzione e sul-l’apprendimento. L’esposizione a ru-more interferisce, in particolare, con icompiti di tipo cognitivo, o che richie-dono attenzione ai dettagli o a molte-plici fattori. Questi effetti si riscontra-no in modo particolare in alcuni con-testi quali le scuole, colpendo in parti-colare i docenti e gli studenti.

247Ambiente

Una menzione particolare meritanoi locali danzanti, oggetto di specificaattività di normazione per quantoriguarda i livelli di rumore all’interno.

I livelli massimi riscontrati all’inter-no dei locali oggetto dell’indagine(oltre 20 su tutto il territorio naziona-le, diversi per dimensione e tipologia)sono sempre stati superiori a 106dB(A), con valori che hanno raggiuntoanche i 120 dB(A). La più recente in-dagine sul tema è stata realizzata nel2008 dall’ISPESL, e ha dimostrato co-me siano ampiamente superati sia ilimiti di esposizione di legge dei fre-quentatori che quelli dei lavoratoridelle discoteche.

Per quanto riguarda il rumore urba-no, numerosi studi condotti alla finedegli anni ’90 su un campione di 10città hanno dimostrato che durante leore notturne il 27% della popolazioneè esposto a rumore superiore ai 55dB(A), invece durante le ore diurne il34% della popolazione è esposto avalori di rumore superiori ai 65 dB(A).

In occasione della “Giornata euro-pea: in città senza la mia auto”, che sisvolge il 22 settembre di ogni anno,vengono effettuati controlli a campio-ne sull’esposizione al rumore nellecittà. Da queste campagne di misura-zione di rumore sono emersi valori,nel tessuto urbano, compresi tra 64 e72 dB(A).

1.5.3 Valutazione critica

Ambienti di lavoroIn Italia, a più di venti anni dall’ema-

nazione della prima Direttiva sul rumo-re 86/188/CEE, che per la prima voltaregolamentava la materia in Europa,particolare preoccupazione desta l’au-mento, in controtendenza con l’anda-mento delle ipoacusie professionali tota-li nell’industria e in agricoltura, delleipoacusie non tabellate nel settore delterziario, che costituisce oramai il primosettore produttivo in termini di prodot-to interno lordo e di occupazione.

Ambienti di vitaL’inquinamento acustico ambientale

è un problema di non facile soluzione.Gli interventi del legislatore di rece-

pimento delle direttive comunitariedevono affiancarsi sempre più ad azio-ni a livello locale con coinvolgimentodi vari soggetti ed istituzioni (ad es.gestori del trasporto locale).

Deve far riflettere il dato sulle zoniz-zazioni acustiche, che evidenzia unapercentuale di territorio zonizzato chea livello di singola regione è inferiore al30%, mentre sulle media nazionalescende ad un valore intorno al 5%.

1.5.4 Indicazioni per la program-mazione

Popolazione lavorativaAl fine di ridurre il rischio di espo-

sizione professionale al rumore e lerelative conseguenze economiche esanitarie che ne derivano, andrebberomesse in atto le seguenti azioni:1. migliorare gli standard di sicurezza e

tutela aziendali tramite una più corret-ta e puntuale applicazione della vigen-te legislazione. In tale direzione vannole Linee guida e le buone prassi per lavalutazione e la gestione del rischiorumore negli ambienti di lavoro;

2. incrementare l’azione di prevenzio-ne e di vigilanza a livello territoria-le sulla corretta applicazione dellavigente legislazione in materia, inparticolare destinando almeno l’1%del personale sanitario e delle risor-se finanziarie delle ASL alla vigilan-za e alla prevenzione;

3. attuare una politica di incentivazionee di sostegno alle aziende che voglio-no attuare interventi di riduzionedella rumorosità negli ambienti dilavoro. A titolo di esempio può esse-re citato il fondo di 600 miliardi diLire stanziato dall’INAIL per il trien-nio 1999-2001, per finanziare i pro-grammi di adeguamento alla norma-tiva di sicurezza delle piccole impresee degli artigiani: per quanto riguarda

248 I determinanti della salute

il rischio rumore, in particolare, imacrosettori produttivi sui qualidovrebbero essere indirizzati i mag-giori sforzi sono quello metalmecca-nico, quello edile e quello estrattivo.

4. potenziare l’attività di ricerca fina-lizzata alla individuazione e allamessa a punto di soluzioni tecnolo-giche innovative e a basso costo perla bonifica e il controllo del rumore.

Popolazione generaleAl fine di ridurre il rischio di esposi-

zione al rumore della popolazione e lerelative conseguenze economiche, sanita-rie e ambientali che ne derivano, andreb-bero messe in atto le seguenti azioni:1. riorganizzare le informazioni in ma-

teria di controllo dei livelli di rumo-re nell’ambiente, al fine di caratte-rizzare le diverse sorgenti inquinan-ti per costruire le conoscenze sullostato dell’ambiente;

2. stimolare le Amministrazioni a pro-cedere, secondo quanto previstodalla norma, in materia di classifi-cazione acustica del territorio;

3. obbligare i soggetti interessati, siapubblici che privati, a programmare

e attuare le azioni di risanamentopreviste e imposte dalle norme;

4. sviluppare programmi di informa-zione e sensibilizzazione della cittadi-nanza, sin dalle fasi della formazionescolastica, attraverso strumenti dicomunicazione semplici e immediati;

5. potenziare l’attività di ricerca fina-lizzata alla individuazione e allamessa a punto di soluzioni mitigati-ve/migliorative sia di tipo tecnologi-co sia urbanistico, sia di pianifica-zione del territorio.

Bibliografia essenziale INAIL. Rapporto Statistico 2007, Roma 2008.ISPESL. Atti del Convegno “Acustica e

ambienti scolastici – La fatica di imparare einsegnare”, Roma 2008.

ISPESL. Linee guida per la valutazione delrischio rumore negli ambienti lavorativi,Roma 2000.

Ministero dell’Ambiente, Relazione sullo Statodell’Ambiente, Roma 2001.

National Institute of Pubblic Health-Denmark. Health effects of noise on chil-dren and perception of the risk of noise,Copenhagen 2001.

WHO. Guidelines for noise exposure, Geneva2000.

WHO. Night Noise Guidelines Geneva 2009.

249Ambiente

1.6.1 Introduzione

Il modello di crescita economicaadottato nei Paesi maggiormente in-dustrializzati ha comportato un forteaumento dei consumi e dell’urbanizza-zione, con conseguente aumento dellaproduzione di rifiuti e una sempremaggiore difficoltà a individuare areedestinate al loro regolare smaltimento.

Al fine di minimizzare le conseguen-ze negative sull’ambiente e sull’uomoderivanti dalla produzione e gestionedei rifiuti, la normativa europea preve-de, in via prioritaria, la prevenzione e lariduzione della loro produzione e noci-vità, prescrivendo il riutilizzo, il rici-

claggio e il recupero di materia primasecondaria come modalità tese a ridur-re il più possibile il ricorso allo smalti-mento finale. Lo smaltimento, effettua-to in condizioni di sicurezza, dovrebbecostituire infatti la fase residuale dellagestione dei rifiuti, previa verifica dellaimpossibilità tecnica ed economica diesperire le operazioni di recupero.

1.6.2 Rifiuti solidi urbani (RSU)

Dati di Produzione Le indicazioni giuridiche europee,

recepite nella normativa nazionale,non hanno fino ad oggi inciso su

1.6 Rifiuti

quanto risulta accadere nella realtà: siassiste infatti ad un costante aumentonella produzione dei rifiuti. Il quanti-tativo di rifiuti urbani prodotti su basenazionale nel 2006 è stato di 32,5milioni di tonnellate, con un incre-mento del 2,5% rispetto al 2005 (circa860 mila tonnellate in più).

Nell’arco temporale che va dall’an-no 1996 al 2006, la produzione nazio-nale di rifiuti è cresciuta di oltre il25% (6,5 milioni di tonnellate), conun tasso di produzione medio annuodi +2,3%, (nel triennio 2001–2003 lacrescita era pari all’1,2%, nel periodo2004-2006 l’aumento è passato al2,7%). Tale crescita ha riguardatotutte le aree geografiche: in particola-re per il 2006 si è avuto un aumentorispetto al 1996 pari al 26,4% alNord, 36,8% al Centro e 16,9% alSud.

La produzione media annuale dirifiuti urbani rapportata per singoloabitante, relativa al periodo 2002-2006, è pari a 619 kg al Centro, 532kg al Nord e circa 489 kg al Sud.

La raccolta differenziata, cioè laraccolta per frazioni merceologicheomogenee, è strumento indispensabileper garantire il recupero dei rifiuti; nel2006 essa ha raggiunto come medianazionale un valore percentuale del25,8% della produzione totale deirifiuti solidi urbani, in aumento rispet-

to al dato del 2005 (24,2%), ma net-tamente inferiore agli obiettivi di recu-pero fissati dalla Legge finanziaria2007, che prevede almeno il 50%entro il 31 dicembre 2009, mentrel’obiettivo fissato per il 2007 era del40%. Si riscontra, inoltre, una notevo-le differenza tra le diverse aree geogra-fiche: il Nord che raggiunge il 40%, ilCentro e il Sud, con valori del 20% edel 10%, che risultano ancora lontanidall’obiettivo.

Sistemi di trattamento e di smaltimentoNel quinquennio 2002-2006 lo

smaltimento in discarica è passato dal59,5% al 47,9% (la flessione del 2006rispetto al 2005 è stata dello 0,7%).Tale sistema di smaltimento si attesta,comunque, al primo posto come formadi gestione dei rifiuti solidi urbani(Figura 1). Inoltre, i rifiuti stoccati inCampania sotto forma di “ecoballe”nel quadriennio 2002-2005, per il pro-trarsi di tale stato, sono da considerar-si come smaltiti in discarica e andreb-bero quindi sommati a questo dato.

La modalità di incenerimento faregistrare una tendenza costante allacrescita fino al 2005, con un valoremedio annuo percentuale, rispetto allatotalità dei rifiuti prodotti, di circa il10%, mentre nel 2006 si è registratauna riduzione dello 0,1% rispettoall’anno precedente.

250 I determinanti della salute

Figura 1 – Grafico delle differenti tipologie di gestione dei rifiuti urbani nel periodo 2002-2006

FONTE: APAT. Anno 2007.

L’adozione di altre forme di gestio-ne dei rifiuti risulta piuttosto stabile;in particolare il trattamento meccani-co biologico, in grado di ottenererecupero di materia dai rifiuti, presen-ta, negli anni considerati, un incorag-giante incremento di circa il 6%. Lapercentuale di rifiuti avviati alla dige-stione anaerobica risulta essere trascu-rabile fino al 2004, e solo dal 2005 siregistra uno 0,2% che cresce fino a0,4% nel 2006.

1.6.3 Rifiuti speciali (RS)

Dati di produzione Sono definiti speciali i rifiuti: pro-

dotti dalle attività agricole e agroindu-striali, quelli provenienti dalle attivitàdi demolizione, costruzione e scavo, irifiuti da lavorazioni industriali, dalavorazioni artigianali, da attivitàcommerciali, da attività di servizio, daltrattamento dei rifiuti stessi, da attivitàsanitarie, quelli provenienti da veicolia motore, da macchinari e apparec-chiature deteriorate o obsolete.

I rifiuti speciali in base alla loroprovenienza e natura sono distinti inspeciali non pericolosi e rifiuti speciali

pericolosi, questi ultimi una minimaparte rispetto al totale (Figura 2).

I rifiuti connessi alle attività di de-molizione costruzione e scavo (C&D)sono largamente rappresentati: nel 2005sono stati pari a 45,9 milioni di tonnel-late; questi rifiuti risultano solitamenteappartenere alla categoria di rifiuti spe-ciali non pericolosi, poche sono le ecce-zioni tra queste, ad esempio il materialecontenente amianto (coperture in “eter-nit” rimosse). Nello stesso anno i rifiutispeciali provenienti dalle restanti attivi-tà sono stati circa 107 milioni di tonnel-late, tra questi 55,6 milioni tonnellate inon pericolosi e poco più di 5,9 milionidi tonnellate i rifiuti pericolosi.

Escludendo i rifiuti da costruzione edemolizione, circa il 75% della produ-zione totale di rifiuti speciali provieneda attività di tipo industriale. Riman-gono non determinati, perché non i-dentificati da codice Istat, attività ocodice CER, circa 121.000 tonnellatedi rifiuti speciali.

Così come per i rifiuti urbani, siregistra un aumento nella produzione,sia dei non pericolosi che di quelliclassificati pericolosi, come si eviden-zia in Figura 2.

La leggera flessione per i non perico-

251Ambiente

Figura 2 – Produzione di rifiuti speciali su base nazionale

FONTE: APAT. Anno 2007.

losi evidenziata dal 2004 al 2005 è cor-relata all’esonero dall’obbligo da partedei produttori della dichiarazioneMUD (Modello Unico di Dichiarazioneambientale), mentre nel medesimo arcotemporale si registra un incremento deirifiuti speciali pericolosi dell’8,6%.

L’analisi per aree geografiche eviden-zia una maggiore produzione di rifiutispeciali nelle regioni del Nord Italia,mentre per il Centro e il Sud i valorisono nettamente inferiori. In particola-re, nel 2005 al Nord sono stati prodot-ti il 62,1% dei rifiuti speciali totali, il16,7% al Centro e il 21,2% al Sud.

Sistemi di trattamento e di smaltimentoNel 2005 la percentuale di rifiuti spe-

ciali sottoposti a trattamenti di recupe-ro è stata di circa il 60% del totale deirifiuti gestiti, mentre il rimanente 40% èstato avviato allo smaltimento.

Nella Figura 3 è riportato l’andamen-to delle quantità di rifiuti speciali gestitimediante modalità di recupero, nelperiodo 2003–2005. La quantità dirifiuti speciali avviata a operazioni direcupero nel 2005 risulta incrementatadell’ 8,7% rispetto al 2004, che equiva-le in termini assoluti a 5 milioni di ton-nellate. Una parte non trascurabile di

tale aumento è dovuta all’incrementodelle quantità di rifiuti speciali trattatisecondo l’operazione di recupero classi-ficata come R5 “recupero di altresostanze inorganiche”, intendendo peraltre sostanze quelle diverse dai metalli.

I rifiuti trattati secondo tale modali-tà di recupero sono prevalentementecostituiti da rifiuti derivanti da attivi-tà di costruzione e demolizione, sotto-posti a trattamento in impianti difrantumazione, utilizzati nelle attivitàdi ripristino ambientale e/o nei proces-si produttivi legati all’industria dellecostruzioni o in opere di ricostruzionedel manto stradale.

Le altre operazioni di recupero rap-presentate sono R1 recupero di ener-gia, R3 recupero di sostanze organi-che, comprese le operazioni che porta-no alla produzione di compost, R4recupero di metalli. Le operazioni R10e R12 non sono vere e proprie formedi recupero, ma riguardano lo stoc-caggio e il deposito preliminari, fina-lizzati ai predetti recuperi.

Per quanto riguarda lo smaltimento,la quantità di rifiuti speciali smaltitidal 2004 al 2005, ha avuto un incre-mento di circa il 3,7%, corrispondentein termini assoluti a 1,3 milioni di ton-

252 I determinanti della salute

Figura 3 – Modalità di recupero dei rifiuti speciali nel periodo 2003-2005

FONTE: APAT. Anno 2007.

nellate (Figura 4). Il deposito definitivoin discarica (D1) rappresenta la formapiù utilizzata, circa il 52% del totale, il3% circa è smaltito per incenerimento(D10), per il restante 45% vengonoindicati trattamenti preliminari, chepoi esitano nelle suddette modalità. Sinota come la modalità di smaltimentomediante incenerimento, pur essendoutilizzata in misura nettamente ridottarispetto alle altre forme di smaltimen-to, abbia subito un incremento di circail 30% nel triennio 2003-2005.

1.6.4 I Rifiuti Sanitari, produzionee gestione

I rifiuti derivanti da attività sanita-rie, detti in breve “sanitari”, classifica-ti dalla normativa ambientale (D. Lgs.152/06) tra i rifiuti speciali, sono nor-mati dal DPR 15 luglio 2003, n. 254:“Regolamento recante disciplina dellagestione dei rifiuti sanitari”.

Sono quelli prodotti da strutturesanitarie pubbliche e private che svolgo-no attività medica e veterinaria di pre-venzione, di diagnosi, di cura, di riabili-tazione e di ricerca ed erogano presta-zioni, di cui alla Legge 833/78. Pur

essendo classificati tutti come speciali,in base alle loro caratteristiche di rischiosono ulteriormente distinti in pericolosia rischio infettivo (i più rappresentati),pericolosi a rischio chimico (ad esem-pio: i medicinali citotossici, i residui diamalgama dentale, le soluzioni di fis-saggio e sviluppo della radiologia), nonpericolosi (la gran parte dei farmaci sca-duti), e assimilati agli urbani (vetro, pla-stica, carta, residui di cibo).

Si vuole segnalare che a livello euro-peo non sono definite le caratteristicheche rendono un rifiuto pericoloso arischio infettivo; infatti nella Direttiva91/689 /CEE (allegato III) la definizio-ne del pericolo H9 “infettivo” è laseguente: “sostanze contenenti mi-crorganismi vitali o loro tossine, cono-sciute o ritenute per buoni motivi comecause di malattie nell’uomo o in altriorganismi viventi”. L’Italia invece, nelDPR 15 luglio 2003, n. 254, ha speci-ficato quali siano i rifiuti sanitari daconsiderare sempre pericolosi a rischioinfettivo e quali siano le condizioni cli-niche e i liquidi biologici che devonofar ritenere e classificare un rifiuto co-me pericoloso infettivo, fornendoquindi un utile strumento sia agli ope-ratori che agli Organismi di controllo.

253Ambiente

Figura 4 – Modalità di smaltimento dei rifiuti speciali nel periodo 2003-2005

FONTE: APAT. Anno 2007.

I rifiuti radioattivi prodotti dagli o-spedali non afferiscono al predetto DPRma sono assoggettati ad altra specificanormativa di recepimento delle direttivein materia di radiazioni ionizzanti.

I dati di produzione dei rifiuti sani-tari riportano un range molto ampio:da 1 kg/degente/giorno a 13 /kg/degen-te giorno; si tratta di una produzionevariabile non solo da Ospedale adOspedale ma anche in funzione deiperiodi (con riduzione nei giorni festi-vi) e della tipologia di Unità Operativa.

Nelle analisi dei dati non sono con-teggiati gli assimilati agli urbani perchégestiti dal circuito urbano, né i rifiutiradioattivi gestiti con circuito separato.

Un dato medio nazionale di produ-zione, relativo al 1997, è il seguente:rifiuti pericolosi a rischio infettivo1,02 kg/degente/giorno, rifiuti perico-losi a rischio chimico 0,13 kg/degen-te/giorno, rifiuti farmaceutici non peri-colosi 0,13 kg/degente/giorno, totaleproduzione 1,16 kg/degente/giorno.

Per il confronto dei dati ed il moni-toraggio di produzione all’internodegli ospedali è opportuno aggregarele unità operative ospedaliere in tretipologie: reparti di degenza, reparti diterapia intensiva e gruppi operatori,ed effettuare l’analisi dei dati all’inter-no della singola tipologia.

In questo caso i dati medi di produ-zione per i rifiuti pericolosi infettivi,sempre riferiti a degente giorno o postoletto occupato, sono i seguenti: reparti didegenza da meno di 0,2 kg/degente/gior-no, per reparti quali oculistica, pedia-tria, cardiologia e gastroenterologia, a0,5 kg per i reparti chirurgici. Per le tera-pie intensive il valore è decisamentesuperiore: dialisi 1-2 kg/degente/giorno,cardiochirurgia 3-5 kg/degente/giorno,rianimazione 5-6 kg/degente/giorno.

Per i gruppi operatori è necessariofare riferimento al numero di interventi;il valore medio di produzione è2/kg/intervento, vi è però una notevolevariabilità in base alle specialità: da0,5/kg/intervento per l’oculistica a oltre10 /kg/intervento per la cardiochirurgia.

Relativamente allo smaltimento, irifiuti sanitari pericolosi a rischio infet-tivo (la quasi totalità dei rifiuti perico-losi) devono essere obbligatoriamentesmaltiti mediante termodistruzione inimpianti autorizzati, tutte le operazio-ni di caricamento al forno devonoavvenire senza manipolazione diretta,lo smaltimento in discarica è infattivietato dalla Direttiva 1999/31/CE.

Per i rifiuti infettivi può essere effet-tuata la sterilizzazione, secondo le preci-se regole tecniche dettate dal sopraccita-to Regolamento DPR 254/2003; tra essiperò ve ne sono alcuni per i quali la ste-rilizzazione risulta inopportuna perchél’incenerimento è sempre obbligatorio.

I rifiuti infettivi sempre da termodi-struggere sono: gli organi e parti ana-tomiche non riconoscibili (le partianatomiche riconoscibili seguonoaltra normativa) e i piccoli animali daesperimento; si segnala che le carcassedegli animali da esperimento didimensioni medie e grandi seguonoinvece la normativa veterinaria (Rego-lamento europeo n. 1774/2002).

A seguito del procedimento di steri-lizzazione, il rifiuto pericoloso infetti-vo cambia di classificazione potendoassumere la qualifica di CDR (combu-stibile derivato da rifiuto) o di rifiutourbano, con la differente connessaprocedura di smaltimento, ai sensidella vigente normativa.

Va infine ricordato che per la tuteladella salute e dell’ambiente deve esseregarantita la corretta classificazione,indispensabile per la conseguente proce-dura di smaltimento, ed inoltre, là dovepossibile, anche nelle strutture sanitariedeve essere incentivata ed effettuata unaraccolta per tipologie omogenee, indi-spensabile per il recupero di materia.

1.6.5 Valutazione critica

I dati illustrati indicano una inequi-vocabile tendenza all’aumento dellaproduzione dei rifiuti, sia urbani chespeciali. La produzione di rifiuti solidi

254 I determinanti della salute

urbani ha, infatti, subito un incremen-to medio annuo del 2,3%, mostrandoun aumento del 25% dal 1996 al2006, mentre nel caso dei rifiuti spe-ciali si è registrato, nel triennio2003–2005, un incremento della loroproduzione del 7%, con una tendenzaall’aumento costante per i rifiuti spe-ciali pericolosi nel periodo 2000-2005.

La tendenza all’aumento di produ-zione non è solo italiana ma riguardatutta l’Europa, è correlata infattiall’aumento della ricchezza e del red-dito disponibile dei consumatori.

Confrontando i dati di produzionepro-capite annua dei rifiuti urbanidell’Italia con gli altri Paesi Europei,notiamo che l’Italia, per il 2006, con ilsuo valore medio di 548kg/perso-na/anno è più virtuosa nella produzio-ne rispetto ad altri Paesi quali Irlanda(804kg/persona/anno), Danimarca(737kg/persona/anno), Lussemburgo(702kg/persona/anno), Paesi Bassi(625kg/persona/anno), Austria (617kg/persona/anno), Spagna (583kg/per-sona/anno) e Germania (566kg/perso-na/anno).

Nell’Europa dei 15, più virtuosi dinoi nella produzione dei rifiuti urbanirisultano Portogallo (435kg/persona/anno), Grecia (443kg/persona/anno),Belgio (475kg/persona/anno), Finlan-dia (488kg/persona/anno) e Svezia(497kg/persona/anno).

I nuovi Paesi membri dell’UnioneEuropea (UE 10: Rep. Ceca, Cipro,Estonia, Lettonia, Lituania, Malta,Polonia, Slovacchia, Slovenia, Un-gheria), escludendo Cipro e Malta suiquali grava la produzione di rifiutiderivante dai turisti, si attestano suvalori decisamente inferiori, da menodi 300kg/persona/anno per Polonia eRepubblica Slovacca, a 468kg/perso-na/anno dell’Ungheria.

Uno spiraglio in Europa si puòintravedere nella produzione dei rifiutidi imballaggio: anche per questi rifiutic’è stato un costante aumento (in par-ticolare nel periodo 1997-2006 la cre-scita è stata dell’ordine del 21,6%);

però, osservando la produzione degliultimi anni, alcuni Stati sembrano averstabilizzato la produzione come nelcaso di Austria, Belgio, Francia eGrecia, mentre altri quali Danimarca eSvezia hanno avuto nell’ultimo announa flessione nella produzione che fasperare in una inversione di tendenza.

Relativamente alla gestione dei rifiu-ti in Europa si nota che per molti Paesidell’Unione Europea dei 15, in partico-lare per Germania, Paesi Bassi, Dani-marca, Svezia, Belgio ed Austria, il ri-corso allo smaltimento in discarica èinferiore al 10%, mentre per la mag-gior parte dei nuovi Paesi membridell’Unione Europea tale sistema di ge-stione rappresenta la principale fonte dismaltimento, con valori superiori al-l’80%; l’Italia, come si è visto, si ponein situazione intermedia tra i due fronti.

Relativamente a quali possano esseregli effetti sulla salute dello smaltimentodei rifiuti, effettuato ai sensi dellavigente normativa, non è facile giunge-re ad una esaustiva quantificazione.

Gli studi epidemiologici sinora con-dotti non consentono di stimare consufficiente accuratezza i rischi per lepopolazioni residenti in prossimità diimpianti di trattamento e di smaltimen-to di rifiuti. L’accertamento e la valuta-zione dell’esposizione a sostanze poten-zialmente dannose per la salute umana,nonché la registrazione degli effetti bio-logici, risulta piuttosto complessa, datala composizione eterogenea dei rifiuti,che comprende miscele complesse dicomposti chimici, agenti fisici e biologi-ci. Inoltre, la potenziale tossicità di ogniagente può variare con il tempo e ilmezzo di diffusione. D’altra parte, perle ragioni sopra esposte, risulta presso-ché impossibile quantificare il contri-buto delle attività di trattamento esmaltimento dei rifiuti alla contamina-zione dei differenti comparti ambienta-li e conseguentemente il relativo impat-to sulla salute umana.

Tuttavia, nell’ambito della letteratu-ra internazionale e tra le istituzioniscientifiche operanti nel settore, si rac-

255Ambiente

comanda l’approfondimento deglistudi sul possibile rischio di effettiavversi nelle popolazioni residenti inprossimità di impianti di smaltimentodei rifiuti, in particolare discariche eimpianti di incenerimento. Tali studidovrebbero comunque prendere inconsiderazione la presenza di altri fat-tori di rischio presenti sul territorio.

1.6.6 Indicazioni per la program-mazione

Una politica di gestione dei rifiuti,compatibile con la tutela della salutepubblica e dell’ambiente, deve tenderealla riduzione, all’origine, della quan-tità e pericolosità dei rifiuti prodotti eal controllo quali-quantitativo deglistessi. Tale obiettivo richiede uno sfor-zo di volontà istituzionale, in quantol’attuale politica dei consumi è per suanatura contraria alla riduzione dellaproduzione dei rifiuti.

Occorrerebbe ritornare ad unmodello industriale basato sul riciclo eriutilizzo: il ritiro delle bottiglie invetro con la restituzione della cauzio-ne, l’incentivazione della riparazionedei prodotti di consumo, che oggi ven-gono solitamente alienati perché dettariparazione risulta economicamentenon conveniente, l’eliminazione degli

imballaggi superflui atti a rendere l’ar-ticolo (dai cioccolatini ai giocattoli)solo più attraente per la vendita.

È necessario quindi che le Autoritàcompetenti trovino i mezzi atti adindirizzare in tal senso il sistema pro-duttivo industriale, operazione diffici-le ma quanto mai opportuna.

Risulta inoltre importante sviluppa-re e aggiornare le conoscenze tecnico-scientifiche al fine di migliorare i pro-cessi tecnologici industriali, minimiz-zando la produzione e la pericolositàdei rifiuti, implementando i processi direcupero e, nel rispetto della salute edell’ambiente, di autosmaltimento.

Va inoltre incentivata la ricerca rela-tiva agli aspetti tossicologici del desti-no ambientale delle sostanze presentinei rifiuti, della loro capacità di persi-stenza nelle matrici ambientali nonchédella loro tendenza al bioaccumulo.

Bibliografia essenziale Foschini F, Laraia R. Rapporto Rifiuti APAT

2008. Lanz AM, Santini AF, Adella L, et al. Rapporto

Rifiuti APAT 2007.Musumeci L. Istituto Superiore di Sanità

Rapporto ISTISAN 04/05: “Valutazione delrischio sanitario e ambientale nello smalti-mento dei rifiuti urbani e pericolosi”.

Simeone MG, Lepore A, Nappi P, et al.Rapporto APAT 33/2003 “Il sistema di con-tabilità dei rifiuti sanitari: una indagineconoscitiva” .

256 I determinanti della salute

1.7.1 Introduzione

La conoscenza del cambiamento cli-matico globale ovvero lo studio e la pre-dittività dei fenomeni climatici e meteo-rologici è una sfida scientifica comples-sa, ma altrettanto complessa è la gestio-ne, sia a livello globale che nazionale,della risposta istituzionale. La sua rea-lizzazione prevede sia le politiche dimitigazione, tese alla riduzione delleemissioni, che devono confrontarsi con

la domanda sociale di energia, trasportoe sviluppo tecnologico, sia le politiche ele strategie nazionali/ regionali di adat-tamento. Queste ultime, finalizzate alimitare gli impatti (sull’ambiente e lasalute) di eventi climatici avversi, inve-stono le capacità tecniche e gestionalidei sistemi di prevenzione e risposta alleemergenze per adattarsi, appunto, ainuovi scenari e contesti ambientali sucui si deve intervenire. La vulnerabilitàsociale, intesa come l’insieme dei poten-

1.7 Clima

ziali danni diretti e indiretti alla salute,al tessuto sociale ed economico, è il corebusiness delle politiche di adattamento.Essa dipende da integrità e disponibilitàdi acqua, suolo fertile, stabilità dei terri-tori ed insediamenti sicuri. Pertanto, ilprimo passo per realizzare una efficacepolitica di adattamento è lo studio, e lacomprensione e valutazione delle vulne-rabilità ambientali, territoriali, socio-sanitarie e produttive. Lo scenario futu-ro che i meteorologi prospettano per ilperiodo che va dal 1999 al 2100, è quel-lo di una temperatura media globale chenel nostro pianeta potrebbe aumentaresensibilmente, per cause dovute alle atti-vità umane, con un incremento della fre-quenza dei fenomeni estremi.

Gli effetti degli eventi meteorologiciestremi, come le ondate di calore e lealluvioni, possono essere particolar-mente devastanti quando colpisconogruppi di popolazioni di per sé già vul-nerabili come bambini, anziani, disa-bili, minoranze etniche e indigenti, iquali, a causa delle loro ristrettezzesociali, politiche ed economiche, sitrovano ad avere particolari esigenzesanitarie. Questi gruppi, pertanto,saranno i più colpiti e potrebbero averbisogno di particolare attenzione nonsolo nelle fasi di emergenza, ma anchenelle fasi di ricostruzione, in caso dialluvioni o altri disastri naturali.L’esperienza dell’ondata di calore ano-malo dell’estate 2003 dimostra lanecessità di prevedere in anticipo ade-guati piani di prevenzione per affron-tare l’emergenza e la necessità di effet-tuare una valutazione complessivamultidisciplinare degli effetti del cam-biamento sulla salute.

1.7.2 Rappresentazione dei dati

Le tendenze climatiche in attoÈ ormai condiviso che le modifica-

zioni dell’atmosfera indotte da attivi-tà antropiche, quali il rilascio di gasad effetto serra e aerosol, hanno lar-gamente contribuito al rapido cam-

biamento climatico in atto, cioè aduna rapida e significativa variazionedella concentrazione delle costantimeteorologiche e climatiche attese,quali ad esempio temperature terrestrie del mare, precipitazioni, venti. Talevariazione, la cui velocità di realizza-zione si discosta dai modelli tempora-li osservati nelle ere precedenti, riflet-te le variazioni dello stato medio delsistema atmosfera-oceano-superficieterrestre, che si manifesta in modifica-zioni dei modelli globali di circolazio-ne atmosferica e oceanica, influendoanche su caratteristiche quali frequen-za, tipo ed intensità di eventi meteo-rologici avversi (anomalie termiche,alluvioni e tempeste, siccità) delle re-gioni continentali e su scala naziona-le, di cui son ben noti a livello localegli impatti ambientali e gli effetti sullasalute e sui sistemi socio-economici.Lo stesso Libro verde dell’UnioneEuropea in tema di adattamento, delgiugno 2007 recita: “... il mutamentodel clima avrà effetti diretti e indirettisulla salute umana e animale. Tra irischi principali da valutare vi sonogli effetti di fenomeni meteorologiciestremi e l’aumento delle malattieinfettive...”. Di fatto, eventi meteoro-logici avversi, tra cui uragani, siccità,alluvioni e inondazioni, ondate dicalore e di gelo sono aumentate note-volmente negli ultimi vent’anni, nonsolo in termini numerici ma anched’intensità, sia a livello mondiale chenella Regione Continentale Europea.

Effetti sulla saluteIl data base di riferimento per la

valutazione della vulnerabilità socialeconseguente agli eventi disastrosi,l’EM-DAT, Emergency Disaster, gestitodal Centre for Research on the Epide-miology of Disasters (CRED) – Centrocollaborativo dell’OMS dell’Universitàdi Louvain, definisce gli eventi comedisastrosi, allorquando si verifica unadelle seguenti circostanze:a) 10 o più persone riportate come de-

cedute,

257Ambiente

b) 100 o più persone colpite,c) dichiarazione di uno stato d’emer-

genza,d) richiesta di assistenza internaziona-

le.Nelle Figure 1 e 2 sono evidenziati

trend e numero di eventi disastrosi disiccità, alluvioni, temperature estreme,registrati a livello mondiale e nellaRegione Europea nel periodo 1980-2008. Questi eventi, oltre a causarecentinaia di migliaia di vittime, hannocolpito circa 25 milioni di persone in“maniera globale”, inclusa anche lanecessità di assistenza medica e dibisogni primari come acqua, cibo eriparo.

Per quanto riguarda le temperatureestreme, dal 1987 al 2006, il data basedel CRED ha registrato a livello mon-diale 286 eventi disastrosi, di cui 181

ondate di freddo e 105 ondate di calo-re. La maggioranza di questi eventi(72%) è avvenuta nell’ultima decade.L’analisi dei dati mostra non solo unaumento nella loro ricorrenza, maanche nella loro magnitudo: sette dei10 eventi più mortali degli ultimi ven-t’anni sono avvenuti tra il 2002 e il2006.

L’Europa è risultata la regione mon-diale più colpita: 45% delle ondate digelo e 46% delle ondate di calore.Dalla comparazione tra le diverseRegioni Continentali risulta che lastima dei dati di mortalità, correlataalle temperature estreme (periodo1986-2006), è indicativa di un caricoeuropeo del 35% di decessi attribuibi-li al freddo e di circa il 90% di quelliattribuibili agli innalzamenti termiciprotratti. Aumento della temperatura,

258 I determinanti della salute

Figura 1 – Numero eventi disastrosi* nel mondo: alluvioni, siccità, temperature estreme (1980-2008)

* per la definizione di disastro è necessario che si realizzi almeno uno dei seguenti criteri:– 10 o più vittime;– almeno 100 persone colpite;– dichiarazione di uno stato d’emergenza;– richiesta assistenza internazionale.FONTE: EM-DAT database CRED Centre for Research on the Epidemiology of Disasters - Universitè Catholique de Louvain Adat-tamento ISPRA.

alterazioni del ciclo dell’acqua, l’alter-nanza di siccità e piogge intense, alte-razioni della biodiversità che accom-pagnano i cambiamenti climatici,influenzeranno l’insorgenza e la distri-buzione di malattie infettive emergen-ti e riemergenti veicolate da acqua ecibo contaminati e da vettori. NegliStati Uniti il budget per la ricercanazionale (National Institutes ofHealth) su malattie infettive emergen-ti è stato quadruplicato negli ultimidieci anni (circa 2 miliardi di dollarisolo per l’anno 2005. In Europa (Italiacompresa), l’aumento osservato deicasi di malattie infettive clima-sensibi-li da vettori (Tick borne encefalitis;Febbre del Nilo Occidentale, Chi-

kungunja, Leishmania), contamina-zione di alimenti (salmonellosi) eacqua (criptosporidium), ha sollecita-to il Centro Europeo per il Controllodelle malattie infettive (EuropeanCDC) ad avviare programmi di colla-borazione con l’Agenzia AmbientaleEuropea, il Joint Research Centre(JRC) della Commissione Europea el’OMS per facilitare una strategia inte-grata di mitigazione, controllo e diadattamento a tali rischi emergenti.

Le anomalie termiche, intese comeaumento delle notti tropicali e deigiorni estivi, e diminuzione dei giornidi gelo, sono divenute un fenomenocrescente negli ultimi vent’anni anchein Italia. Esse incidono sull’aumento

259Ambiente

Figura 2 – Numero eventi disastrosi* nella Regione ONU/ ECE: alluvioni, siccità, temperature estreme (1980-2008)

* per la definizione di disastro è necessario che si realizzi almeno uno dei seguenti criteri:– 10 o più vittime;– almeno 100 persone colpite;– dichiarazione di uno stato d’emergenza;– richiesta assistenza internazionale.FONTE: EM-DAT database CRED Centre for Research on the Epidemiology of Disasters - Universitè Catholique de Louvain Adat-tamento ISPRA.

della durata delle stagioni polliniche,nonché sulla tipologia e distribuzionegeografica dei pollini. Ci si attendequindi un aumento della popolazioneaffetta da forme allergiche e, per l’as-sociazione di altri fattori ambientaliclima correlati, quali l’aumento del-l’ozono e dell’intensità dei venti nellearee urbane, anche un aumento delnumero degli episodi acuti.

Una prima analisi italiana dei rischiper la salute e della vulnerabilitàambientale da cambiamenti climatici èstata effettuata nel 2007 dall’OMS, incollaborazione con l’Agenzia per laProtezione dell’Ambiente e per iServizi Tecnici (APAT) (attuale ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione ela Ricerca Ambientale) ed è disponibi-le sul sito www.apat.gov.it.

Ondate di caloreLe evidenze epidemiologiche ad oggi

disponibili suggeriscono che le ondatedi calore e le elevate temperaturehanno un effetto significativo sullamortalità, con un tempo di latenzamolto breve (da uno a tre giorni).Recenti studi hanno evidenziato unariduzione del numero di decessi neigiorni successivi a quelli in cui si osser-va un eccesso di mortalità, per un feno-meno di compensazione detto “effettoharversting”. L’entità di tale fenomenoè un aspetto che dovrà essere chiaritoin studi futuri. Il rischio di mortalitàdurante le ondate di calore è risultatoparticolarmente elevato tra le personeanziane, tra i soggetti con patologie acarico dell’apparato respiratorio e car-diovascolare e tra le fasce di popolazio-ne di basso livello socioeconomico. InItalia, in uno studio multicentrico,commissionato dal Dipartimento dellaprotezione Civile, per la caratterizza-zione dei soggetti a maggior rischio didecesso a seguito dell’esposizione atemperature ambientali eccezionalmen-te elevati, i decessi osservati nell’estatedel 2003 a Bologna, Milano, Roma eTorino sono stati confrontati con unperiodo di riferimento precedente. I

risultati preliminari, città specifici,indicano che le seguenti condizionimorbose aumentano significativamenteil rischio di morte in occasione delleondate di calore: malattie metabolichee delle ghiandole endocrine, disturbipsichici e malattie neurologiche, malat-tie cardiovascolari e cerebrovascolari,malattie polmonari croniche, malattiedel fegato e insufficienza renale. Nellestesse quattro città, in una recente ana-lisi di Stafoggia ed altri autori, condisegno case-crossover della mortalitàestiva, nel periodo 1998-2003, è emer-so che, tra le condizioni cliniche pre-gresse analizzate, i disturbi psichici(70%, IC=39-109%), la depressione(71%, IC=23-138%), i disturbi dellaconduzione cardiaca (77%, IC=38-127%) e i disturbi circolatori dell’ence-falo (46%, IC=33-61%), sono conside-rabili fattori che incrementano la vul-nerabilità; nell’analisi città-specifica, ildiabete e l’obesità sono state riscontra-te come condizioni aggiuntive di mag-giore suscettibilità, mentre nel com-plesso un basso livello socioeconomicoè risultato essere un modificatore d’ef-fetto debole. Le evidenze epidemiologi-che indicano, inoltre, che l’abitare ingrandi aree urbane espone la popola-zione a maggior rischio, rispetto a quel-la che vive in un ambiente suburbano orurale, per alcune condizioni che pos-sono potenziare l’effetto di condizioniclimatiche oppressive, quali l’effettodell’isola di calore urbana: riduzionedella ventilazione, maggiore concentra-zione di presidi meccanici che generanocalore, maggiore densità della popola-zione, condizioni abitative sfavorevoli,maggior livello di inquinamento atmo-sferico.

Scenari futuriIl IV Rapporto del Comitato In-

tergovernativo per i CambiamentiClimatici o IPCC (IntergovernmentalPanel on Climate Change) del 2007 haevidenziato che “anche se le concen-trazioni di gas serra si stabilizzassero,il riscaldamento antropogenico e l’in-

260 I determinanti della salute

nalzamento del livello del mare conti-nuerebbero per centinaia di anni acausa delle scale di tempo associate aiprocessi climatici e ai feedback”.L’adattamento è, quindi, più cheurgente. I lavori dell’IPCC, in partico-lare del Working Group II, che, per gliaspetti sanitari, ha visto la piena par-tecipazione e leadership dell’OMS,Regione Europea, sono stati propriodedicati alla capacità di adattamento ealla vulnerabilità dei sistemi naturali eumani ai cambiamenti climatici eall’analisi globale del carico dellepotenziali conseguenze sulla salute, didanni diretti, malattie, decessi prema-turi e rischi emergenti e riemergenti.Le proiezioni climatiche future perl’area mediterranea indicano che ilcambiamento climatico a lungo termi-ne avrà effetti sulla produzione dicibo, sulla disponibilità di acqua, dipozzi sicuri, sui livelli di temperaturaambiente. In particolare, ci si aspettache aumenti l’incidenza delle malattieveicolate sia dall’acqua che dagli ali-menti. I cambiamenti del clima, com-binati al modo con cui vengono pro-dotti, distribuiti e consumati i cibi,possono potenzialmente influenzare leinfezioni alimentari nel prossimo seco-lo. Casi di malattie veicolate dagli ali-menti posso essere associate ad eventimeteorologici estremi, poiché pioggiae inondazioni possono favorire la dis-seminazione di patogeni.

1.7.3 Esposizione e valutazione deidati

Le valutazioni di impatto dei cam-biamenti climatici in atto investonoun ampio spettro di aspetti: gli effettidiretti degli eventi estremi, l’effettodel riscaldamento globale sui trendsstagionali delle principali cause dimalattia e mortalità, specialmente neigruppi vulnerabili, le esposizioniambientali nei vari comparti ambien-tali (impatto del riscaldamento glo-bale sull’inquinamento di aria, acque

e suolo); gli effetti sul ciclo dell’ac-qua, sulle precipitazioni e valutazionedelle risorse idriche disponibili (perusi igienici, irrigui e potabili), nonchèl’effetto del riscaldamento globale suiprocessi di trasporto di virus e batte-ri (vector borne diseases) e stima del-l’incidenza di queste malattie. L’au-mento della frequenza e dell’intensitàdegli eventi meteorologici estremi in-fluenzerà la salute dell’uomo e, se as-sociati agli altri recenti processi dicambiamento ambientale globale (ur-banizzazione, diminuzione dell’ozo-no stratosferico, perdita della biodi-versità, degradazione dei suoli, dimi-nuzione degli approvvigionamenti diacqua potabile), i potenziali effettisulla salute saranno ancora più gravi.

Ai cambiamenti climatici è attribui-to anche un certo anticipo della sta-gione pollinica primaverile nell’emi-sfero nord. Il verificarsi di modifica-zioni nella distribuzione spaziale dellespecie polliniche naturali autoctone,così come l’introduzione di nuove spe-cie allergeniche, fa prevedere unaumento della sensibilizzazione insoggetti geneticamente predisposti.

Per quanto riguarda le ondate dicalore, nell’effettuare le valutazionidi impatto sulla salute occorre tenerconto di fattori demografici, sociali,urbanistici, di inquinamento atmo-sferico e di organizzazione dei servizisociali e sanitari, in quanto rappre-sentano importanti modificatori dieffetto. L’invecchiamento della popo-lazione italiana, la maggiore frequen-za di malattie croniche, assieme alladrastica diminuzione del ruolo tutela-re della famiglia nei confronti dellepersone fragili, fanno temere che neiprossimi anni nel nostro Paese sipotrà verificare un sensibile aumentodella frazione della popolazionesuscettibile agli effetti delle ondate dicalore. La disponibilità di elenchi deisoggetti suscettibili alle ondate dicalore, basati su dati epidemiologici,costituisce quindi uno strumentonecessario di cui devono dotarsi i

261Ambiente

piani di prevenzione locali, per orien-tare gli interventi sociali e sanitari neiconfronti dei gruppi di popolazione arischio più elevato. Sono, pertanto,necessari ulteriori studi per indivi-duare e caratterizzare le condizioniche conferiscono una maggiore vul-nerabilità alle ondate di calore, unobiettivo molto rilevante da un puntodi vista di sanità pubblica, per mette-re in atto programmi mirati di pre-venzione.

1.7.4 Indicazioni per la program-mazione

Le evidenze scientifiche attualmentedisponibili e le esperienze internazio-nali suggeriscono di promuovere unavisione più ampia delle problematichecorrelate ai cambiamenti climatici e diconsiderare le questioni più complesseed emergenti con un approccio strate-gico integrato. In sostanza, la strategiadi prevenzione deve comprendere tra isuoi obiettivi, oltre alle misure di miti-gazione, anche le misure di adatta-mento ai cambiamenti climatici. Dalmomento che le esperienze di questiultimi anni hanno dimostrato che unbilancio reale dell’impatto dei cambia-menti climatici sulla salute deve tenerconto degli impatti negativi e positiviper la comunità (es. il bilancio tra imorti in meno da basse temperatureed i morti in più da ondate di calore) edelle variabilità esistenti tra una regio-ne e l’altra e nella stessa regione trauna città e l’altra, è fondamentale con-siderare nelle valutazioni di impattosulla salute il contributo di più fattoriche influiscono sulla salute: le condi-zioni socio ambientali, l’educazione, iservizi, la prevenzione e lo sviluppoeconomico, dai quali dipende il poten-ziale di adattamento della comunità edei suoi gruppi e/o il loro grado di vul-nerabilità. In aggiunta a quanto si stagià facendo per la sorveglianza attivadei danni da caldo, la strategia diadattamento nella programmazione

sanitaria nazionale e regionale devemirare a individuare misure efficaciper ridurre la vulnerabilità del tessutosociale e azioni di contenimento perfronteggiare i potenziali impatti daondate di calore e di gelo e gli impattilegati alla qualità delle acque, deglialimenti, dell’aria e del suolo. In sinte-si, nell’ambito della gestione globaledel rischio sanitario indotto dai cam-biamenti climatici, le politiche di adat-tamento devono includere il rafforza-mento dei sistemi sanitari e sociali e larealizzazione di sinergie tra i sistemiambientali e sanitari di prevenzione,che consentano:� l’analisi delle vulnerabilità e azioni

adattative sui fattori determinanti,che incidono sulla variazione dellafrequenza e delle caratteristiche delrischio sanitario indotto dai cam-biamenti climatici;

� la prevenzione e mitigazione delrischio sanitario da vettori ambien-tali, attraverso la sinergia tra i siste-mi di early warning ambientale esanitario;

� la condivisione di esempi di bestpractice su come organizzare unarisposta per fronteggiare l’emergen-za definendo ruoli, compiti eresponsabilità ai vari livelli;

� la realizzazione di un sistema dimonitoraggio che mediante indagi-ni epidemiologiche consenta di rile-vare l’impatto che i cambiamentidel clima hanno sulla salute e met-tere a punto modelli in grado di sti-mare l’impatto complessivo (effettidiretti e indiretti) dei cambiamentiprevisti per il prossimo futuro,tenendo presenti anche fattori eco-nomico-sociali;

� lo sviluppo di attività di informa-zione circa i rischi sulla salute dieventi climatici estremi o inusuali ela messa a punto di piani di inter-vento e protezione in caso di eventicatastrofici dovuti al clima;

� la valutazione, attraverso opportu-no monitoraggio, dell’efficaciadelle strategie di risposta adottate;

262 I determinanti della salute

263Ambiente

� l’integrazione continua delle pro-blematiche dell’adattamento dellasalute ai cambiamenti climatici glo-balmente, in tutte le politiche sani-tarie e nei settori non sanitari.Per approfondire l’analisi dell’im-

patto complessivo del cambiamentoclimatico avvenuto in questi ultimidecenni, è opportuno creare gruppi distudio multidisciplinari (settori sanità,ambiente, energia, trasporto, industriae agricoltura) e collaborare con i cli-matologi e i progettisti urbani, perpreparare le comunità e le città adaffrontare le crescenti minacce delclima che cambia.

Ondate di calore L’esperienza sviluppata in diverse

città americane ha evidenziato che leondate di calore e le loro conseguenzesulla salute possono essere previste inanticipo, attraverso l’attivazione disistemi di previsione e allarme. Talisistemi, integrati con specifiche misuredi prevenzione mirate ai gruppi più vul-nerabili, possono ridurre le conseguen-ze delle ondate di calore, coniugandoequità ed efficacia. Dal momento chenel corso di una stagione estiva le primeondate di calore sono quelle che deter-minano un maggiore impatto sullamortalità, occorre pianificare precoce-mente (prima dell’estate) efficaci inter-venti di prevenzione a livello nazionalee locale. Nel programmare gli interven-ti che possono essere efficaci nel preve-nire gli effetti del caldo sulla salute, ècruciale che essi siano calibrati in baseal livello di rischio previsto da un siste-ma di previsione/allarme, a partiredalle condizioni climatiche giornaliere,e che siano indirizzati ai sottogruppi amaggior rischio. Per valutare l’efficaciadegli interventi di prevenzione messi inatto durante la stagione estiva, si rendeindispensabile la contemporanea sorve-glianza degli esiti sanitari (mortalitàgiornaliera, ricoveri in Pronto soccor-so). Di qui l’importanza di promuovereanche iniziative integrate di informa-zione, sensibilizzazione ed educazione

costante degli operatori, dei responsa-bili istituzionali e dei cittadini, versopratiche sostenibili per l’ambiente e lasalute.

Orientamenti internazionali Il Protocollo di Kyoto, entrato in

vigore nel febbraio 2005, consideral’adattamento ai cambiamenti climati-ci come una necessità a livello nazio-nale (artt. 4.1b e 4.1e). Nell’ambitodella Unfccc (Convenzione quadrodelle Nazioni Unite sui cambiamentiClimatici) è stato approvato nel 2006il Nairobi Work Programme onImpacts, Vulnerability and Adaptationto Climate Change.

Nell’ambito della 61° AssembleaMondiale sulla Salute (24 Maggio2008), l’OMS ha indicato il tema Climae Salute come campo d’azione priorita-rio. La Regione Europea dell’OMS hadato avvio a numerose collaborazioni,progetti e attività documentale sul-l’adattamento, intervenendo su tutti iprocessi europei e paneuropei (http://www.euro.who.int/ globalchange). Unimportante riferimento ai fini della defi-nizione di strategie di adattamento insanità pubblica è lo studio Europeodell’OMS CASHh - “Climate changeand Adaptation Strategies for Humanhealth”, che evidenzia come anche inItalia si possano identificare cinque areeprioritarie di sanità pubblica da svilup-pare o implementare, per rafforzare lacapacità di contrastare gli effetti delcambiamento climatico sulla salute:sistemi di sorveglianza e risposta rapi-da, sistemi di valutazione e mo-nitoraggio, ricerca scientifica ed epide-miologica, politiche ambientali specifi-che, sistemi di informazione integratied, infine, la programmazione di servizisanitari efficienti. Il tema dell’adatta-mento sarà parte integrante anche delprogramma della prossima Conferenceof the Parties di Copenhagen 2009.Nell’aprile 2009 è atteso il Libro Biancosull’adattamento della CommissioneEuropea che, in applicazione del LibroVerde del 2007, indicherà le azioni prio-

264 I determinanti della salute

ritarie da intraprendersi a livello gover-nativo. Infine, la V Conferenza Ministe-riale Ambiente e Salute, che sarà ospi-tata in Italia il prossimo febbraio 2010,vede tra le priorità la costruzione diun’azione integrata ambiente e salute asupporto delle politiche di adattamento.

L’impegno nazionale

Sistemi di sorveglianza e risposta rapi-da delle malattie infettive

Il cambiamento climatico in atto hafavorito anche nel nostro paese il dif-fondersi di malattie infettive nuove oscomparse, come la malaria e recente-mente alcune malattie virali come laChikungunya. Grazie al supporto delCCM, recentemente è stata miglioratae adeguata la capacità diagnostica deisistemi correnti di sorveglianza dellemalattie infettive (in vigore dal 1990)e di sorveglianze speciali.

Programma nazionale di prevenzionedegli effetti sulla salute delle ondate dicalore

In Italia, per limitare l’impatto sullasalute delle ondate di calore è statopromosso, a partire dall’estate 2004,un programma nazionale di preven-zione volto, da una parte, ad affinare imetodi di previsione/allarme dei rischie, dall’altra, a sviluppare a livello loca-le piani operativi di prevenzione e dirisposta rapida, mirati verso i sotto-gruppi di popolazione a rischio. Puntiforti del programma promosso dalMinistero del Lavoro, Salute ePolitiche Sociali e dal CCM sono: lacostruzione di una rete di relazionitecnico-scientifiche per accedere alleconoscenze più aggiornate nell’ambitospecifico delle ondate di calore e sele-zionare le buone pratiche da proporrealle regioni sotto forma di linee guidao best practices; condivisione e valo-

rizzazione di tutte le esperienze e leiniziative già avviate e applicate consuccesso a livello locale. Una parteimportante del programma è statorivolto alla diffusione in tutto il terri-torio nazionale di Sistemi di allarmecittà specifici (Heat Health WatchWarning Systems - HHWWS), in gra-do di prevedere con anticipo il verifi-carsi di condizioni meteorologiche arischio per la salute della popolazioneed all’identificazione degli anziani fra-gili, che sono il vero bersaglio degliinterventi, attraverso la costruzione alivello territoriale dell’anagrafe dellafragilità. Un’attenzione particolare èstata dedicata anche alla informazionee comunicazione a tutta la comunitàed ai cittadini in particolare. Per attua-re questa strategia, dal 2004 in Italia èattivo il progetto nazionale “Valuta-zione degli effetti del clima sulla salu-te e sistema nazionale di allarme per laprevenzione dell’impatto delle ondatedi calore” del Dipartimento della Pro-tezione Civile ed il “Piano Operativoper la Prevenzione degli Effetti delCaldo sulla Salute” sviluppato nel-l’ambito dell’attività del CCM. Tuttele iniziative sviluppate in Italia sonoconsultabili sul sito http://www.ccm-network.it/

Bibliografia essenziale Commissione Europea. L’adattamento ai cam-

biamenti climatici in Europa – quali possibi-lità di intervento per l’UE - COM(2007)354 definitivo).

EM-DAT, CRED CRUNCH Issue No. 9“Disaster Data: A Balanced Perspective”,June 2007.

Emerg Infect Dis. 2005; 11 (4): 519-525.©2005 Centers for Disease Control andPrevention (CDC).

European CDC “Meeting Report, Environ-mental change and infectious diseaseStockholm, 29-30 March 2007.

WHO, Sixty-First World Health AssemblyWHA61.19, May 2008.

2.1.1 Introduzione

Negli ultimi anni, le malattie croni-che sono arrivate a costituire la princi-pale causa della mortalità in Europa(77%) e la mancanza di attività fisicaè un fattore di rischio per lo sviluppodi varie malattie croniche. L’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità(OMS), stima che 1,9 milioni dellemorti globali possano essere imputateall’inattività fisica; nel 2002, in Italia,le morti attribuibili all’inattività fisicasono state pari al 5% del totale (circa28.000 persone per anno), mentre perla stessa causa ammontano al 3,1% glianni di vita in buona salute persi perinvalidità e morte prematura (DALY).L’esistenza di una relazione tra attivitàfisica/stato nutrizionale, stato di salu-te e alcune malattie cronico-degenera-tive è, peraltro, riconosciuto da sem-pre. Per contro, la nostra società stadiventando sempre più promotrice diun “ambiente obesogenico”, intenden-do con questo termine l’ambiente cherende difficile per gli individui lo svol-gimento di una regolare attività fisicae l’accesso ad un’alimentazione sana.Un ambiente che è il risultato dell’in-terazione di tutti i fattori (contesto divita, opportunità, condizioni) che pro-muovono l’obesità negli individui enella popolazione e che agiscono sullecomunità, quali il marketing dei pro-dotti alimentari, le politiche agricole,la pianificazione urbanistica, le politi-che scolastiche e dei trasporti.

Va anche ricordato come l’equili-brio di un regime dietetico sia sempreda valutarsi nell’ambito più generaledello stile di vita della persona, parti-colarmente per quel che riguarda ildispendio energetico dell’organismo:uno stile di vita sedentario dovrà,infatti, prevedere l’introduzione di unnumero di calorie proporzionalmenteinferiore rispetto ad uno fisicamentepiù attivo.

In tutta Europa, peraltro, la mag-gior parte della popolazione adultasegue diete nutrizionalmente scorretteed è fisicamente inattiva. La maggiorparte degli adulti, infatti, non svolgeun’attività fisica sufficiente per mante-nere un livello di salute ottimale, eun’ampia fascia della popolazioneconsuma troppi alimenti e bevande adalta densità energetica e scarso poterenutrizionale, nonché una quantitàinsufficiente di frutta e verdura.Alcuni gruppi sociali sono, infine, par-ticolarmente vulnerabili alle influenzedell’ambiente. I soggetti a basso livel-lo socio-economico si trovano adaffrontare limiti strutturali, sociali,organizzativi, finanziari e di altrogenere per poter adottare consapevol-mente scelte di vita sane.

La pratica dell’attività fisica tendead essere associata ad altri tipi di com-portamenti salutari come il mangiaresano e il non fumare e può essereadottata per indurre ulteriori cambia-menti nello stile di vita. Si tratta, rias-sumendo, di un comportamento che

Stili di vita

2.1 Attività fisica

2

266 I determinanti della salute

produce ricadute così positive sullostato di salute della popolazione gene-rale - senza presentare controindica-zioni - da meritare d’occupare unposto centrale in ogni futura pianifica-zione sanitaria strategica.

L’OMS raccomanda un minimo di30 minuti di attività fisica moderata(che include ma non si limita allosport) al giorno per gli adulti e di 60minuti per i bambini. Le autorità pub-bliche e le organizzazioni private degliStati membri dovrebbero tutte contri-buire al raggiungimento di quest’o-biettivo, ma gli studi più recenti mo-strano in genere l’assenza di progressidegni di nota.

2.1.2 I dati

Soltanto negli ultimi anni si sonoiniziate a raccogliere informazioniscientifiche comparabili sui livelli diattività fisica nella Regione Europea,tanto da consentire una valutazioneaffidabile delle tendenze riguardo lapratica dell’attività fisica.

Nel nostro Paese, secondo i datiIstat relativi al 2008, in Italia quasi il22% della popolazione di età ugualeo superiore ai 3 anni dichiara di pra-ticare, nel tempo libero, uno o piùsport con continuità, il 10% circa inmodo saltuario. Il 27,7% delle per-sone dichiara di svolgere qualcheattività fisica, come fare passeggiateper almeno due chilometri, nuotare eandare in bicicletta, pur non prati-cando un’attività sportiva. Nellastessa fascia d’età si rileva anche cheil 40,2% degli intervistati non prati-ca né attività sportiva né attività fisi-ca nel tempo libero; la sedentarietà èpiù frequente tra le donne (45%,contro il 35,3% degli uomini).

Mentre lo sport sembra essereun’attività prettamente giovanile emaschile (le quote più alte di sportivisi riscontrano nella fascia d’età tra i 6e i 17 anni, in particolare tra i maschidi 11-14 anni con il 64%), con l’au-

mentare dell’età diminuisce l’interesseper lo sport e aumenta quello per l’at-tività fisica, soprattutto da parte dellapopolazione femminile (29,2% delledonne contro il 26% degli uomini).

A partire dai 25 anni, infatti, la per-centuale di persone che svolgono attivi-tà fisica aumenta in modo continuofino ai 64 anni, per poi diminuire pro-gressivamente tra le persone anziane; inquesta fascia d’età si riscontrano le per-centuali più alte di sedentarietà, spe-cialmente tra le donne (più del 55%).

Da un’analisi territoriale dei dati, siriscontra una netta differenziazioneriguardo alla pratica di attività sporti-va e fisica tra le Regioni del Nord equelle del Sud (32,2% al Nord e22,3% nel Mezzogiorno).

Questo dato viene sostanzialmenteconfermato da quanto emerso dalsistema di sorveglianza “PASSI”(Progressi delle Aziende sanitarie perla salute in Italia), sistema continuo disorveglianza della popolazione italia-na adulta (18–69 anni) sui principalifattori di rischio comportamentali(sedentarietà, scorretta alimentazione,fumo, alcol, rischio cardiovascolare,sicurezza domestica, screening oncolo-gici, ecc.), affidato all’Istituto Su-periore di Sanità (Centro Nazionale diEpidemiologia, Sorveglianza e Promo-zione della Salute - CNESPS) dalMinistero del Lavoro, Salute ePolitiche Sociali (Centro nazionale perla prevenzione e il Controllo delleMalattie - CCM).

La prevalenza dei sedentari registra-ta nella P.A. di Bolzano è del 7% circa,contro il 44% circa registrato inCampania (Figura 1).

Riguardo allo stato nutrizionale delcampione, infine, i dati PASSI, simil-mente a quanto rilevato dall’Istat, evi-denziano una percentuale di adulti insovrappeso pari al 32% e di obesi pariall’11%.

Il fenomeno non risparmia i bambi-ni, con una prevalenza media tra le piùalte in Europa, con percentuali più ele-vate al sud. Questi ultimi dati devono

267Stili di vita

particolarmente preoccupare, in quan-to è dimostrato che un bambino obesoha elevate probabilità di essere obesoanche da adulto.

Per quel che riguarda l’infanzia el’adolescenza, i dati disponibili fino adoggi, pur evidenziando la presenza diun problema relativamente alla scarsapratica di attività sportiva e fisica daparte dei nostri ragazzi, a vantaggio diabitudini sedentarie (TV e videogio-chi), risultavano spesso lacunosi, rac-colti in modo non uniforme (quandonon riferiti dai genitori) e, quindi, nonutilizzabili a fini programmatori e pereffettuare confronti a livello nazionalee internazionale.

Per avere un quadro aggiornato delfenomeno tra i bambini italiani e perrispondere, inoltre, al bisogno informa-tivo dell’OMS, il Ministero del Lavoro,Salute e Politiche Sociali/CCM, nel2007, ha affidato all’ISS/CNESPS ilcoordinamento del progetto “Sistemadi indagini sui rischi comportamentaliin età 6-17 anni”. Tale progetto èattuato in stretta collaborazione con leRegioni, il Ministero dell’Istruzionedell’Università e della Ricerca, l’IstitutoNazionale della Nutrizione (INRAN)ed alcune Istituzioni Universitarie.

Obiettivo del progetto è mettere apunto un sistema di sorveglianza a

livello nazionale che permetta la rac-colta dei dati nelle scuole, che siasostenibile nel tempo per il sistemasanitario e per la Scuola ed efficace nelguidare la programmazione degliinterventi di sanità pubblica. Il proget-to è diviso in 2 fasi, la prima dellequali si è svolta nel 2008. Tale indagi-ne, denominata “OKkio alla salute”,ha reso possibile la raccolta di datiriguardanti, tra l’altro, informazionisull’attività fisica svolta e sui compor-tamenti sedentari.

I dati raccolti sull’attività fisica pra-ticata e sul tempo trascorso davantialla televisione o ai videogiochi sonosconfortanti: 1 bambino su 4 praticasport per non più di un’ora a settima-na e il 26% non ha fatto attività fisicail giorno precedente l’indagine. Inol-tre, la metà circa dei bambini ha la TVin camera e la guarda per 3 o più oreal giorno (Figura 2).

Inoltre, il 53% delle madri di figlifisicamente poco attivi ritiene che ilproprio figlio svolga un’attività moto-ria sufficiente.

Infine, solo 1 scuola su 3 ha avviatoiniziative favorenti una sana alimenta-zione e l’attività motoria, con il coin-volgimento dei genitori.

La prevalenza di sovrappeso ed obe-sità, infine, è risultata molto elevata: a

Figura 1 – Persone sedentarie per pool Regioni PASSI 2007 (%, IC 95%)

268 I determinanti della salute

livello nazionale il 23,6% dei bambinirisulta sovrappeso e il 12,3% obeso.

2.1.3 Indicazioni per la program-mazione

Perché alcune persone sono più atti-ve ed altre meno? La probabilità che unindividuo, un gruppo di persone oun’intera comunità siano fisicamenteattivi dipende da un complessa gammadi fattori che vanno dal macroambien-te – le condizioni socioeconomichegenerali, culturali e ambientali – almicroambiente – le condizioni chefavoriscono l’attività fisica nell’ambien-te in cui si vive e lavora, incluso il soste-gno offerto dalle norme sociali e dallecomunità locali – fino a fattori indivi-duali, come ad esempio l’atteggiamentopersonale verso l’attività fisica, la fidu-cia nelle proprie capacità di essere atti-vi o la consapevolezza delle opportuni-tà per esserlo nella vita quotidiana.

Intervenire su alcuni condizioni sfa-vorenti l’attività fisica (ad esempio le

condizioni climatiche se si pensa almacroambiente o la predisposizione ge-netica se si considerano le condizioniindividuali), modificandole, è difficile oimpossibile. Tuttavia, si può mettere inatto una combinazione di interventi abreve e lungo termine per influenzare ilresto dei fattori. La concertazione diquesti interventi al fine di delineare unastrategia in questa materia dovrebberappresentare una delle priorità essen-ziali degli organi decisori.

La promozione dell’attività fisica de-ve basarsi su interventi che tenganoconto dello stato di salute generale dellapopolazione, piuttosto che indirizzarsisolo verso gruppi ad elevato rischio.Incrementare le opzioni che consentonodi praticare l’attività fisica per tutti eattrezzare ed orientare il territorio inquesta direzione offre maggiori possibi-lità di migliorare le condizioni di salutedi un gran numero di persone, rispettoalla messa in atto di programmi rivoltisolo a piccoli gruppi.

Sulla base di quanto sopra, apparenecessario, oltre che continuare a

Figura 2 – Attività fisica e sedentarietà tra i bambini intervistati

FONTE: OKkio alla Salute.

269Stili di vita

monitorare il fenomeno per consentirela costruzione di trend temporali e lavalutazione dei risultati di salute, pro-grammare interventi di sanità pubbli-ca che possano risultare incisivi nellevarie fasce d’età e nelle diverse condi-zioni socio-economiche.

Tali azioni, tuttavia, per raggiungeregli obiettivi che si propongono, devonoprevedere il coinvolgimento attivo di set-tori della società esterni al sistema sanita-rio. Si tratta, infatti, di un problema disanità pubblica la cui soluzione non puòessere demandata esclusivamente al siste-ma sanitario, ma che necessita di inter-venti che siano il più possibile trasversalie intersettoriali, con il coinvolgimento dimolti altri soggetti istituzionali e dellasocietà civile (Ministeri, Comuni, Pro-vince, Associazioni Professionali e dicategoria, Associazioni dei consumatori,produttori di alimenti, pubblicitari, massmedia, ecc.) così come raccomandatodall’Unione Europea (UE) e dall’OMS.

Sulla base di tali premesse, infatti,l’OMS, nel 2006, ha elaborato una“Strategia Globale su Dieta, AttivitàFisica e Salute”, con una serie di rac-comandazioni per i Governi e per tuttele parti in causa, e, proprio nell’otticadelle politiche intersettoriali, ha defi-nito una strategia di contrasto allemalattie non trasmissibili (GainingHealth, the European Strategy for thePrevention and Control of Non-com-municable Diseases - OMS ufficio Re-gionale per l’Europa, 2006) ed appro-vato la European Charter on counte-racting obesity (Conferenza Intermini-steriale di Istanbul - 15 novembre2006), che impegnano fortemente iPaesi europei dell’OMS.

La nutrizione e l’attività fisica, inol-tre, rientrano tra le “priorità chiave”nelle politiche di sanità pubblicadell’UE (Programma di azione 2003-2008) e sono oggetto del Green paperdella Commissione Europea, Promo-ting healthy diets and physical activi-ty: a European dimension for the pre-vention of overweight, obesity andchronic diseases del 2005.

In tali documenti, infatti, si esortanoi decisori a seguire un approccio inter-settoriale per l’attuazione di interventiche modifichino i comportamenti nonsalutari, raccomandando interventi ditipo comportamentale (per modificarelo stile di vita individuale) e sociale(per creare condizioni ambientali atte acambiare i comportamenti individualie a mantenerli nel tempo).

L’Italia, seguendo gli orientamentidell’OMS e dell’UE, ha già avviato unpercorso di definizione di strategie edi attivazione di iniziative con ilPiano Nazionale della Prevenzione(PNP) 2005-2007, prorogato al 2008e con alcuni progetti sostenuti dalCCM volti a promuovere l’attivitàfisica in tutte le fasce d’età dellapopolazione.

Nell’ambito del PNP, in particolare,sulla base di linee programmatiche ela-borate dal Ministero del Lavoro,Salute e Politiche Sociali, tutte leRegioni hanno definito ed attivato spe-cifici progetti all’interno di aree diintervento condivise e ritenute priori-tarie (dall’allattamento al seno, allaristorazione collettiva, alla promozio-ne dell’attività fisica, alla pubblicità).

Le attività del Piano si sono conclu-se il 31 dicembre 2008, ed è attual-mente in via di elaborazione la propo-sta di rinnovo per un altro triennio.

Nell’ambito dei progetti CCM, sievidenziano:� l’accordo con l’IRCSS Istituto Na-

zionale Tumori di Milano, denomi-nato “La Comunità dei Promotoriper la prevenzione alimentare e con-tro la sedentarietà”, che ha comeobiettivo promuovere la collabora-zione tra sanità pubblica, mondodella ricerca e organizzazioni di cit-tadini per una efficace attivazionedelle strategie avviate dal CCMcontro l’obesità e per la promozio-ne dell’attività fisica;

� l’accordo con la Regione Emilia Ro-magna, denominato “Promozionedell’attività fisica - Azioni per unavita in salute”, con l’obiettivo di

270 I determinanti della salute

individuare, avvalendosi anche dellacollaborazione di altri Enti, Orga-nizzazioni e Associazioni, le cono-scenze e i mezzi/strumenti di inter-vento sui determinanti ambientali,sui comportamenti individuali e sul-l’area della politica del governo cli-nico del Sistema Sanitario Nazio-nale, capaci di accrescere la diffusio-ne dell’attività fisica nella popola-zione;

� l’accordo con la Regione FriuliVenezia Giulia denominato “Buonepratiche per l’alimentazione e l’atti-vità fisica in età prescolare: promo-zione e sorveglianza”, che intendeproporre lo sviluppo di un “kit” dafornire agli operatori sanitari coin-volti (in particolare i Pediatri diLibera Scelta), per affrontare il pro-blema del sovrappeso e dell’obesitànei bambini di età prescolare dalpunto di vista dello sviluppo distrumenti per la promozione e lasorveglianza di buone pratiche.Nella scia delle politiche intersettoria-

li promosse dal PNP, inoltre, nel 2007 èstato avviato il programma “Guada-gnare Salute: rendere facili le scelte salu-tari”(DPCM del 4 maggio 2007).

La grande novità di GuadagnareSalute è la ricerca di sinergie tra diversiMinisteri, finalizzata a dare maggior cre-dibilità ai messaggi da veicolare, a con-solidare il rapporto tra cittadini e istitu-zioni, ad assicurare un’informazioneunivoca. Per favorire il sistema di allean-ze operative e la creazione di reti funzio-nali a livello locale, con DM 26 aprile2007 è stata istituita, presso il Ministerodel Lavoro, Salute e Politiche Sociali, la“Piattaforma nazionale sull’alimentazio-ne, l’attività fisica e il tabagismo”, con ilcompito di formulare proposte e pro-muovere iniziative finalizzate a favorirenella popolazione l’adozione di abitudi-ni alimentari corrette e di uno stile divita attivo, a contrastare l’abuso di alcole a ridurre il tabagismo.

Guadagnare Salute si articola in 4specifici programmi:A. Guadagnare salute rendendo più

facile una dieta più salubre (ali-mentazione);

B. Guadagnare salute rendendo piùfacile muoversi e fare attività fisica(attività fisica);

C. Guadagnare salute rendendo piùfacile esseri liberi dal fumo (lotta alfumo e ad altre dipendenze);

D. Guadagnare salute rendendo piùfacile evitare l’abuso di alcol (lottaall’abuso di alcol).Una serie complessa di attività, fina-

lizzate alla promozione di corretti stilidi vita, sono state avviate anche graziealle Intese siglate tra il Ministero dellaSalute e altri Dicasteri nell’ambito diGuadagnare Salute.

Protocollo d’Intesa con il Ministerodelle Politiche Giovanili

Alcuni progetti sviluppati nell’am-bito dell’Intesa derivano dalla consta-tazione che, mentre lo stile di vitadegli adolescenti è spesso caratterizza-to da un’insufficiente attività fisica eda un’alimentazione non equilibrata,esiste la necessità di favorire fra i gio-vani un rapporto equilibrato con l’im-magine corporea, di promuoveremodelli estetici positivi e di contrasta-re quei fattori socio-culturali implicatinell’insorgenza e nella diffusione deidisturbi del comportamento alimenta-re (anoressia, bulimia, obesità psico-gena e altri disordini alimentari).

Sempre nell’ambito di GuadagnareSalute, sono state, inoltre, attivate varieazioni volte a promuovere l’offerta dialimenti salutari da parte dell’industriaalimentare, della distribuzione di ali-menti e della ristorazione collettiva.

Infine, nell’ambito delle iniziative perla prevenzione dell’obesità e nell’ambi-to del programma “Guadagnare salu-te”, il CCM ha promosso la traduzionedi due pubblicazioni dell’OMS sull’atti-vità fisica, “Physical activity and healthin Europe – Evidence for action” e“Promoting physical activity and activeliving in urban environments – the roleof local governments”.

271Stili di vita

Tutte le informazioni relative al CCM,a Guadagnare Salute e alle progettualitàavviate sono reperibili sui siti www.mini-sterosalute.it e www.ccm-network.it.

Bibliografia essenziale Istat. Annuario statistico italiano 2008.

Capitolo 3: Sanità e salute. www.istat.it/dati/catalogo/20081112_00/

Istat. Indagine Multiscopo sulle Famiglie“Aspetti della vita quotidiana”. Anno 2007.www.istat.it/dati/catalogo/20090312_00/

Report OKkio alla salute.Report PASSI 2007. www.epicentro.iss.it/

passi/.

2.2.1 Introduzione

Il tabacco provoca più decessi dialcol, aids, droghe, incidenti stradali,omicidi e suicidi messi insieme. Quasi5 milioni di persone sono uccise ognianno nel mondo da malattie fumo-correlate. Nel 20° secolo si stima chesiano morte cento milioni di persone acausa del tabacco, mentre, se conti-nuano gli attuali trend, per il 21° seco-lo la stima è di un miliardo di personemorte a causa del tabacco. L’epidemiadel tabacco è una delle più grandi sfidedi sanità pubblica della storia. L’OMSha definito il fumo di tabacco come“la più grande minaccia per la salutenella Regione Europea”. Le morti e lemalattie fumo-correlate, tuttavia,sono interamente prevedibili e preve-nibili: si conosce, infatti, esattamentecosa provoca l’uso di tabacco, come equanto uccide, cosa danneggia e comefare per evitare tutto ciò.

2.2.2 Rappresentazione dei dati

a) Mortalità da “fumo” in ItaliaSi stima che siano attribuibili al

fumo di tabacco in Italia dalle 70.000alle 83.000 morti l’anno. Oltre il 25%di questi decessi è compreso tra i 35 edi 65 anni di età. Il tabacco è una causanota o probabile di almeno 25 malat-tie, tra le quali broncopneumopatiecroniche ostruttive ed altre patologiepolmonari croniche, cancro del pol-mone e altre forme di cancro, cardio-

patie, vasculopatie. Negli uomini ilfumo è responsabile del 91% di tuttele morti per cancro al polmone, e nelledonne del 55% dei casi, per un totaledi circa 30 mila morti l’anno.

È interessante sottolineare che, nelcorso degli ultimi vent’anni, in Italia siè registrata una diminuzione sia diincidenza che di mortalità per cancroal polmone solo tra gli uomini. Untrend opposto si osserva infatti per ledonne (con un’accelerazione dal 1990per le più giovani).

Nel dettaglio, la mortalità maschileper tumore polmonare è diminuita dicirca il 2,6%, mentre quella femminile èaumentata dell’1%. Infatti, anche se nel2005 sono morte più donne per tumorealla mammella (8.505 decessi) che pertumore al polmone (5.523 decessi), lamortalità per carcinoma polmonare hasuperato abbondantemente quella pertumore allo stomaco (3.070 decessi),divenendo la terza causa di morte nel-l’ambito delle patologie tumorali, dopomammella e colon-retto.

b) Prevalenza dei fumatori in ItaliaIl fumo attivo rimane la principale

causa di morbosità e mortalità preve-nibile nel nostro Paese, come in tuttoil mondo occidentale, anche se gli ulti-mi dati confermano quanto osservatodall’analisi del trend storico degli anniprecedenti, secondo cui negli ultimi 50anni si assiste ad una graduale diminu-zione dei fumatori.

Secondo l’Istat, che ogni anno rac-coglie i dati sulla prevalenza dei

2.2 Abitudine al fumo

fumatori adulti (>14 anni), dopol’entrata in vigore, nel 2005, del-l’art. 51 “Tutela della salute dei nonfumatori” della Legge 3/03 (cosid-detta Legge Sirchia), si è assistito aduna diminuzione della prevalenza.Nel 2008, tuttavia, si è osservato unlieve incremento nei maschi, e unapiccola diminuzione tra le femmine(Figura 1).

L’indagine DOXA del 2008 – pro-mossa dall’ISS/Osservatorio Fumo,Alcol e Droghe (OSSFAD) - registrauna riduzione complessiva di 1,5punti percentuali rispetto all’annoprecedente nella prevalenza dei fuma-tori, passata dal 23,5% al 22% (pari a11,2 milioni di persone). Da questaindagine risulta che la diminuzione èdella stessa entità sia per gli uominiche per le donne. Gli uomini fumatorisono passati dal 27,9% del 2007 al26,4% del 2008, mentre le fumatricisono scese dal 19,3% del 2007 al17,9% del 2008.

Le classi di età in cui si registranopercentuali più elevate di fumatori

sono quelle dei 25-44 anni e dei 45-64anni, rispettivamente con una preva-lenza del 26,4% e del 25,9%, mentretra gli ultra sessantacinquenni laquota di fumatori è sensibilmente infe-riore: 7,8%.

La più alta percentuale di fumatorisi osserva nell’Italia del sud e nelleisole (25,2%), seguono in ordinedecrescente il centro Italia (22,9%), eil nord (19,1%). Le differenze di gene-re nell’abitudine al fumo risultanomolto marcate nell’Italia Meridionaledove, a fronte di una quota elevata difumatori tra gli uomini (28,9%), siosserva la più bassa percentuale difumatrici tra le donne (12,7%).

L’Indagine multiscopo dell’Istat(2007) riporta, inoltre, il dato cheriguarda il rapporto tra fumatori elivello di istruzione, che si differenziasecondo il genere e le fasce d’età: negliuomini la quota dei fumatori aumentaal decrescere del titolo di studio conse-guito (laureati = 21,9% e diplomamedia inferiore = 31,7%), mentre nelledonne più è alto il livello di istruzione,

272 I determinanti della salute

Figura 1 – Prevalenza dei fumatori per sesso – Anni 1980-2008

FONTE: Istat - Annuario Statistico Italiano, Anno 2008.

273Stili di vita

più si innalza anche la percentualedelle fumatrici (laureate = 14,3% ediploma media inferiore = 4,3%).

Il numero medio di sigarette fumateal giorno oscilla intorno alle 15 perquasi la metà dei fumatori (48,2%).

c) Giovani e fumo La diffusione dell’abitudine al

fumo è ancora troppo alta, soprattut-to tra i giovani (nel 2008, secondo lerilevazioni dell’Istat, nella fascia d’età20-24 anni, i fumatori sono il 27,9%(35,0% maschi e 20,2% femmine)(Figura 2).

d) Tentativi di smettere di fumareNell’ultima indagine DOXA (2008)

gli ex fumatori, cioè le persone chehanno provato a smettere e ci sonoriuscite, sono aumentati rispettoall’anno precedente, passando dal17,5% al 18,4%. Nell’ultimo anno sistima che hanno smesso di fumare piùdi 560.000 fumatori.

I motivi principali cha hanno con-vinto i fumatori a smettere sono stret-tamente legati alla sfera sanitaria: il38,5% ha smesso per reali problemi disalute ed il 40% per una maggiore

consapevolezza dei danni che il fumoprovoca.

Questo aspetto sembra indicare unpositivo effetto dell’attività di preven-zione e informazione svolta da tutte leIstituzioni interessate nel contrastare ilfenomeno del tabagismo, aumentandoil livello di consapevolezza e la moti-vazione dei fumatori a smettere.

Le strade seguite dalle persone perriuscire a smettere di fumare sono:� autodeterminazione (93,4%);� aiuto del medico (2,7%);� terapie non convenzionali (0,9%); � assunzione di farmaci (0,8%); � gruppi di auto-aiuto (0,5%) o altro

metodo (1,9%). Dal rapporto Istat si riscontra, inol-

tre, che negli ultimi anni le donne chehanno avuto un figlio sono più sensi-bili al problema del fumo. Infatti,diminuisce la quota di quante fumanoin gravidanza: dal 9,2% nel 1999-2000 si passa al 6,5% nel 2005 (Istat,2007).

Il Sistema di Sorveglianza PASSI(Progressi delle Aziende Sanitarie per laSalute in Italia) – promosso dalMinistero del Lavoro, Salute e PoliticheSociali/CCM in collaborazione con

Figura 2 – Prevalenza dei fumatori di età 20-24 per sesso – Anni 2003-2008

FONTE: Istat - Annuario Statistico Italiano, Anno 2008.

l’ISS ed attivato in tutte le Regioni,indaga diversi aspetti riguardanti per-cezione della salute e comportamenti arischio, tra cui l’abitudine al fumo. Daidati del 2007, su un campione di circa21.500 persone di età 18-69 anni inter-vistate telefonicamente, emerge checirca il 40% delle persone che fumanoha tentato di smettere negli ultimi 12mesi ma, di questi, oltre l’80% ha falli-to il tentativo. Circa il 60% dei fuma-tori dichiara di aver ricevuto, nell’ulti-mo anno, il consiglio di smettere da unmedico; l’analisi dei dati evidenzia chericevere tale consiglio favorisce il tenta-tivo di smettere, ma fra chi ci riescequasi il 95% lo fa da solo. Il ricorsoalle ASL per corsi/programmi di soste-gno alla disassuefazione è ancora mar-ginale. Tuttavia, nel 2007 i centri anti-fumo censiti dall’ISS/OSSFAD sonostati 362 di cui 267 afferenti al ServizioSanitario Nazionale (SSN) e 95 allaLega Italiana per la Lotta contro iTumori (LILT); se si confrontano i datidel 2007 con quelli del 2001, si osservaun incremento nel numero dei centriantifumo pari al 56,1%, a confermache in questi anni tutte le Regioni e ingenerale le Istituzioni hanno collabora-to e lavorato affinché si sviluppasseulteriormente sul territorio una rete disupporto e di aiuto per coloro chevogliono intraprendere un percorso persmettere di fumare.

2.2.3 Esposizione e valutazione cri-tica dei dati

La tutela dal fumo passivo: la Legge3/03 (“Legge Sirchia”)

L’Italia è stata il primo “grande”Paese europeo ad approvare una leggeper la protezione dei non fumatori dalfumo passivo, applicando un divietodi fumo generalizzato nei luoghi chiu-si, pubblici e privati. Norvegia eIrlanda l’hanno preceduta di pochimesi, altre 12 nazioni europee l’hannoseguita e presa a modello. La “smokefree policy” italiana è il primo esem-

pio di una strategia valutata nel nostroPaese. La Legge 3/03 è la prima leggecostantemente accompagnata nellasua implementazione da attività dimonitoraggio della applicazione e divalutazione dei risultati.

Tale impegno è stato riconosciuto alivello internazionale: nel settembre2007 l’Italia ha ottenuto, infatti, un pre-stigioso riconoscimento internazionaleda parte della “Global Smoke-free par-tnership” (Associazione di enti e societàscientifiche mondiali che si occupano diprevenzione oncologica) per “l’ottimolavoro di preparazione, applicazione emonitoraggio della normativa sul divie-to di fumo quale politica efficace per latutela dei non fumatori e la promozionedella salute pubblica”.

a) Monitoraggio della legge nei luo-ghi di lavoro pubblici e privatiPer monitorare la promozione del-

l’applicazione della Legge 3/03, ilMinistero del Lavoro, Salute e PoliticheSociali /CCM promuove, affidandone ilcoordinamento alla Regione delVeneto, alcuni progetti a caratterenazionale, per la prevenzione del taba-gismo ed il sostegno alla Legge 3/03nelle regioni Italiane. Il primo progetto,tra la fine del 2006 e la metà del 2007,ha coinvolto i Dipartimenti diPrevenzione delle ASL nel monitorag-gio della legge, sia in uffici Comunaliche in ambienti di lavoro privati.

Il personale di 13 Dipartimenti diPrevenzione di 9 Regioni ha ispeziona-to, complessivamente, 2.431 locali diuffici comunali, con i seguenti risultati:� nel 70% dei locali erano affissi i

cartelli regolamentari di divieto difumo;

� nel 98% non sono state trovatepersone che fumavano;

� nel 95% degli uffici monitorati nonvi era odore di fumo.Il personale di 33 Dipartimenti di

Prevenzione di 10 Regioni ha, invece,ispezionato 3.828 locali in 863 azien-de e imprese produttive, dove:� solo nel 50% dei locali visitati

274 I determinanti della salute

275Stili di vita

erano affissi i cartelli regolamenta-ri di divieto di fumo;

� nel 95% non sono state trovatepersone che fumavano;

� nell’89% dei locali monitorati nonè stato rilevato odore di fumo.Anche i dati per il 2007 del Sistema

di sorveglianza PASSI indicano che,per quanto riguarda il rispetto dellalegge anti-fumo, circa il 90% degliintervistati ritiene che il divieto difumare venga rispettato sempre oquasi sempre, sia sul luogo di lavoroche nei locali pubblici.

b) Ispezioni dei NASA partire dal 2005, su mandato del

Ministro della Salute, il Comando deiCarabinieri per la Salute- NAS condu-ce controlli a campione in tutto il terri-torio nazionale, in diverse tipologie dilocali in cui si applica il divieto. Nel2008 il Comando carabinieri per laSalute ha effettuato 2.401 ispezioniche hanno portato ad elevare 138 san-zioni (5,7%): 52 a persone che fuma-vano dove vietato (2,2%) e 86 permancata o errata affissione del divietoo locali per fumatori non a norma(3,5%). Nel 2007 i controlli eranostati 3.263 tra i mesi di aprile e novem-bre; le infrazioni contestate sono dimi-nuite dall’ 8% al 5,7%, la percentualedelle multe elevate a chi fumava dovenon era permesso è passata dal 2,8%al 2,2% e quella delle multe relativealle irregolarità di affissione dei divietiè passata dal 5,2% al 3,5%.

c) Impatto sulla saluteIl fumo passivo è un fattore di

rischio conosciuto anche per l’infartoacuto del miocardio, e diversi studiscientifici stanno ormai consolidandol’evidenza dell’efficacia dei divieti difumo sull’andamento dei ricoveri ospe-dalieri per tale patologia. In Italia sonostati condotti quattro studi (uno pro-mosso dal Ministero del Lavoro,Salute e Politiche Sociali in collabora-zione con Piemonte, Friuli VeneziaGiulia, Lazio e Campania, due dal-

l’Università di Torino, il quarto dallaASL Roma E). Tutti questi lavori mo-strano una riduzione degli eventi coro-narici acuti tra il 2004 e il 2005 (primae dopo l’applicazione della legge) convalori che vanno dal 5% tra i minori di70 anni dello studio su tutta l’Italia, al-13% tra la popolazione in età 40-64anni dello studio promosso dalMinistero del Lavoro, Salute ePolitiche Sociali in quattro Regioni, al-11% tra i minori di 60 anni dello stu-dio dell’Università di Torino sulPiemonte, e al -11% dello studio dellaASL RME tra la popolazione di età 35-64 anni. Questi dati sono coerentianche con quanto rilevato in altri studicondotti in altre parti del mondo(Irlanda -14% e New York -8%).

d) Qualità dell’ariaNell’ambito del programma di

Prevenzione delle Aziende SanitarieLocali a sostegno della Legge 3/03 egrazie alla collaborazione con il Centroper lo Studio e la PrevenzioneOncologica – CSPO - della RegioneToscana, è stato condotto un progettodi ricerca con lo scopo di confrontare lasituazione prima e dopo due anni l’en-trata in vigore della Legge 3/03, attra-verso la misurazione della concentra-zione di nicotina in ambienti di ristora-zione in Italia (paese di intervento) e inAustria (paese di controllo in cui nonesisteva la legge che vietava il fumo neilocali pubblici). I risultati hanno con-fermato che il livello di concentrazionedi nicotina è diminuito notevolmente inItalia dopo due anni dall’entrata invigore della legge, rispetto a quellomisurato nei locali di ristoro austriaci,che rimaneva pressoché costante.

e) Vendita di sigaretteUn altro dato importante è la dimi-

nuzione delle vendite di sigarette paria circa il 7% in meno nel 2008 rispet-to al 2004. Sebbene nel 2006 si siaverificata una ripresa delle venditerispetto al 2005, l’andamento in dimi-nuzione delle vendite a partire dal

2002 è stato mantenuto, con un calomedio dell’1,6% ogni anno. Nel 2008c’è stata una diminuzione dell’1%rispetto al 2007.

È da notare, tuttavia, un notevoleaumento (+89% tra il 2004 e il 2008)delle vendite di tabacco trinciato (perle sigarette ‘fai da te’), che rappresen-ta, per altro, poco più dell’1% delmercato (Tabella 1 e Figura 3).

2.2.4 Indicazione per la program-mazione

La legge per la protezione dal fumopassivo ha dimostrato di essere unostrumento efficace di tutela e promozio-ne della salute pubblica, ma è necessario

mantenere costante l’attività di monito-raggio dell’applicazione e di informa-zione e sensibilizzazione della popola-zione sui rischi dell’esposizione attiva epassiva al fumo, anche attraverso ade-guate campagne di comunicazione.

La Convenzione quadro OMS per ilControllo del Tabacco, che rappresentail primo trattato internazionale inmateria di tutela della salute, approva-to dall’Assemblea mondiale della salutenel maggio del 2003, fornisce lineeguida globali per la definizione di misu-re di contrasto al tabagismo. L’Italia haratificato la Convenzione con la Legge75/08 e, pertanto, ha partecipato per laprima volta come Stato “Parte dellaConvenzione” alla III Conferenza delle

276 I determinanti della salute

Tabella 1 – Vendita dei prodotti del tabacco nel periodo 2004-2008

Vendite (kg) diff2004 2005 2006 2007 2008 2008/2004

Sigarette 98.846.407 92.822.300 93.807.356 92.821.304 91.978.759 -6,9%Fiuti 12.219 11.398 11.724 12.065 13.069 +7%

Trinciati 658.579 777.203 855.628 1.014.124 1.247.445 +89,4%

Sigari 667.697 645.200 694.348 743.284 765.197 +14,7%

Sigaretti 424.158 429.835 479.343 512.599 539.946 +27,3%

Totale 100.609.061 94.685.936 95.848.400 95.103.376 94.545.136 -6%

FONTE: Agenzia Autonoma Monopoli di Stato.

Figura 3 – Vendita di sigarette nel periodo 2004-2008

FONTE: Agenzia Autonoma Monopoli di Stato.

277Stili di vita

Parti, che si è svolta a Durban (SudAfrica) nel novembre 2008.

Nel corso della Conferenza sono statidefiniti ed approvati documenti impor-tanti per favorire l’attuazione delle misu-re previste dal trattato. In particolare,sono state approvate linee guida perimplementare restrizioni a pubblicità esponsorizzazioni da parte delle industriedel tabacco, migliorare l’efficacia delleavvertenze sanitarie sulle confezioni,favorendo l’adozione anche di foto edisegni esplicativi delle avvertenze. Sonostati approvati altri documenti sulla pro-mozione dell’educazione e dell’informa-zione sui danni alla salute provocati dalfumo di tabacco, sulle strategie per favo-rire la cessazione, sulla definizione di unprotocollo per il controllo del contrab-bando e del traffico illecito.

L’implementazione della Conven-zione, sulla base delle indicazioni emer-se anche a Durban, consentirà, rappor-tandosi con altre Amministrazionicoinvolte, di sviluppare nuovi interven-ti ed azioni efficaci di contrasto al taba-gismo, per il conseguimento dell’obiet-

tivo generale del trattato: “proteggerele generazioni presenti e future dalleconseguenze del consumo di tabacco edall’esposizione al fumo”.

Si rimanda al capitolo della sezione“Le risposte attuali del SSN” per unapprofondimento delle attività giàprogrammate per la tutela dai danniprovocati dal fumo nell’ambito delprogramma “Guadagnare Salute”.

Bibliografia essenziale Galeone D, Laurendi G, Vasselli S, et al.: Pre-

liminary effetcts of Italy’s ban on smokingin enclosed public places. Tobacco Control2006; 15:143.

Gorini G, Chelllini E, Galeone D. What happe-ned in Italy? A brief summary of studiesconducted in Italy to evaluate the impact ofthe smokingban. Annaly of Oncology,2007.

Gruppo tecnico PASSI: SISTEMA DI SORVE-GLIANZA PASSI – Rapporto Nazionale2007.

ISS/OSSFAD: Il Fumo in Italia, Rapporto Doxa2008.

Istat. Indagine multiscopo “Aspetti della vitaquotidiana”, Anno 2005 - Annuario Sta-tistico Italiano, Anno 2008.

2.3.1 Introduzione

Una buona nutrizione – ovvero unregime dietetico adeguato ed equili-brato – e la pratica regolare di eserci-zio fisico sono le chiavi per una buonasalute.

Un regime dietetico equilibrato sipropone di raggiungere due obiettiviprincipali:1. garantire un apporto di nutrienti

ottimale per soddisfare il fabbiso-gno dell’organismo;

2. prevenire condizioni di carenza o dieccesso di nutrienti.A questi obiettivi se ne può, inoltre,

aggiungere un terzo, che prevede l’in-troduzione di determinati alimenti enutrienti a scopo protettivo e/o pre-

ventivo nei confronti di determinatecondizioni patologiche: pensiamo, adesempio, al sale iodato per le patologietiroidee, agli acidi grassi omega 3 e 6per il cardiorischio, all’acido folicoper la spina bifida, a probiotici e pre-biotici per l’equilibrio della flora inte-stinale.

Il non raggiungimento di uno di taliobiettivi comporta un rischio aumen-tato di sviluppare condizioni patologi-che che si riflettono su qualità e dura-ta della vita delle persone.

L’esistenza di una relazione tra ali-mentazione, stato di salute e alcunemalattie cronico-degenerative è, peral-tro, riconosciuto da sempre. È bennoto, in particolare, il legame esisten-te tra alimentazione e sviluppo di

2.3 Abitudini alimentari

malattie cardiovascolari, tumori, dia-bete mellito, sovrappeso e obesità.Quest’ultima condizione, poi, oltre aessere causa diretta di riduzione dellaqualità della vita per le persone che nesono affette, rappresenta essa stessaun fattore di rischio per lo sviluppo dimalattie cardiovascolari, tumori e dia-bete.

Va anche ricordato come l’equili-brio di un regime dietetico sia sempreda valutarsi nell’ambito più generaledello stile di vita della persona, parti-colarmente per quel che riguarda ildispendio energetico dell’organismo:uno stile di vita sedentario dovrà,infatti, prevedere l’introduzione di unnumero di calorie proporzionalmenteinferiore rispetto ad uno fisicamentepiù attivo.

In tutta Europa, peraltro, la mag-gior parte della popolazione adultasegue diete nutrizionalmente scorretteed è fisicamente inattiva. La maggiorparte degli adulti, infatti, non svolgeun’attività fisica sufficiente per mante-nere un livello di salute ottimale eun’ampia fascia della popolazioneconsuma troppi alimenti e bevande adalta densità energetica e scarso poterenutrizionale, nonché una quantitàinsufficiente di frutta e verdura.

Infatti, anche se le abitudini dieteti-che differiscono tra i vari Paesi, le ten-denze temporali mostrano che questedifferenze si stanno affievolendo. IPaesi mediterranei sono stati in passa-to caratterizzati da un elevato consu-mo di frutta, verdura, legumi, oliod’oliva e pesce, ma queste tradizionirischiano di scomparire, soprattuttotra i più giovani. Ampi settori dellapopolazione, per di più, continuano anon seguire pratiche ottimali per l’ali-mentazione dei neonati, come l’allat-tamento esclusivo al seno, che è dimo-strato proteggere dallo sviluppo del-l’obesità.

L’ingresso nel mondo del lavoro,poi, rappresenta un momento di cam-biamento nello stile di vita che puòdeterminare un aumento ponderale.

Infatti, si pranza frequentemente fuoricasa e la maggior parte delle attivitàlavorative oggigiorno sono sedentariee, se mancano validi servizi di ristora-zione collettiva e tempi sufficienti perconsumare i pasti, i lavoratori tendo-no a fare ricorso a snack veloci ad altadensità energetica.

Alcuni gruppi sociali sono, infine,particolarmente vulnerabili alle in-fluenze dell’ambiente. I soggetti abasso livello socio-economico si trova-no ad affrontare limiti strutturali,sociali, organizzativi, finanziari e dialtro genere per poter adottare consa-pevolmente scelte di vita sane. In par-ticolare, i costi e la disponibilità deglialimenti influenzano significativamen-te le scelte dietetiche, impedendo spes-so l’acquisto degli alimenti più saluta-ri e facilitando, al contrario, l’accessoai cosiddetti “cibi spazzatura”.

2.3.2 I dati

Secondo i dati Istat relativi al 2008,in Italia, per il 68% della popolazionedi età superiore ai 3 anni, il pastoprincipale è rappresentato dal pranzoe il 73,6% degli intervistati riferisce dipranzare a casa. Tra gli adulti, in par-ticolare, oltre la metà pranza a casanei giorni feriali: la quota più bassa siregistra tra gli uomini di 35-44 anni(48,8%). Nella stessa fascia d’età sirileva anche la quota minima di perso-ne che considera il pranzo come pastoprincipale (55%).

La percentuale di quanti fanno unacolazione non limitata al solo caffè oal tè, ma nella quale vengono assuntialimenti più ricchi di nutrienti, qualelatte, cibi solidi (biscotti, pane, eccete-ra), è pari al 79,2%. Questo compor-tamento salutare è più frequente tra ledonne (82,0% contro il 76,2% degliuomini), ma anche molto diffuso tra ibambini (92,9% dai 3 ai 5 anni e95,0% dai 6 ai 10 anni).

La dieta del nostro Paese è basataprimariamente sul consumo di cereali:

278 I determinanti della salute

279Stili di vita

pane, pasta e riso, che rappresentanola principale fonte di carboidrati.L’85,5% della popolazione di etàsuperiore ai 3 anni, infatti, ne consu-ma almeno una volta al giorno. Solo il60,1% consuma pesce con una fre-quenza almeno settimanale, a frontedel 71,8% che dichiara un consumoalmeno settimanale di carni bovine.

L’85% della popolazione di etàsuperiore ai 3 anni consuma giornal-mente frutta e verdura, con una fre-quenza maggiore tra le donne. Le per-centuali più alte si riscontrano, co-munque, tra gli anziani (circa il 90%),quelle più basse tra i bambini e i gio-vani: tra i maschi di 15-17 anni si regi-stra la quota più bassa, con un consu-mo giornaliero che si attesta al 70,7%.

L’apporto quotidiano con la dieta dielementi fondamentali quali vitamine,minerali e fibre contenuti in frutta everdura (almeno cinque porzioni algiorno) non sembra essere adeguato:la maggioranza ne consuma due o treporzioni al giorno e circa un terzo deibambini ne consuma solamente unaporzione.

I dati Istat relativi all’anno 2007

rivelano, poi, che in Italia, il 35,6%della popolazione adulta è in sovrap-peso, il 9,9% è obeso.

Tali dati sono sostanzialmente con-fermati da quelli rilevati dal program-ma “PASSI” (Progressi delle Aziendesanitarie per la salute in Italia), siste-ma continuo di sorveglianza dellapopolazione italiana adulta sui princi-pali fattori di rischio comportamenta-li (sedentarietà, scorretta alimentazio-ne, fumo, alcol, rischio cardiovascola-re, sicurezza domestica, screeningoncologici, ecc.), affidato all’IstitutoSuperiore di Sanità (Centro Nazionaledi Epidemiologia, Sorveglianza ePromozione della Salute - CNESPS)dal Ministero del Lavoro, Salute ePolitiche Sociali (Centro nazionale perla prevenzione e il Controllo delleMalattie - CCM).

L’84% degli intervistati PASSI ritienedi avere una alimentazione positiva perla propria salute (“Sì, abbastanza” o“Sì, molto” – Figura 1); in particolare: � l’87% delle persone sottopeso/nor-

mopeso;� l’83% dei sovrappeso;� il 70% degli obesi.

Figura 1 – PASSI: percezione salubrità dieta – Anno 2007

Riguardo alle abitudini alimentari, il96% degli intervistati PASSI ha dichiara-to di mangiare frutta e verdura almenouna volta al giorno; tuttavia, il 36% hariferito di mangiare 3-4 porzioni al gior-no e solo il 10% le 5 porzioni raccoman-date per un’efficace prevenzione delleneoplasie (Figura 2). L’abitudine a con-sumare 5 o più porzioni di frutta e ver-dura al giorno è più diffusa tra le perso-ne sopra ai 50 anni, tra le donne (12%),tra le persone con basso livello d’istruzio-ne (10%) e tra le persone obese (12%).

Riguardo allo stato nutrizionale delcampione, infine, i dati PASSI, simil-mente a quanto rilevato dall’Istat, evi-denziano una percentuale di adulti insovrappeso pari al 32% e di obesi pariall’11%.

Per quel che riguarda, poi, l’infanzia el’adolescenza, i dati disponibili fino adoggi, pur evidenziando la presenza di unproblema relativamente allo stato nutri-zionale dei nostri ragazzi, risultanospesso lacunosi, raccolti in modo nonuniforme (quando non riferiti dai geni-tori) e, quindi, non utilizzabili a fini pro-grammatori e per effettuare confronti alivello nazionale e internazionale.

Per avere un quadro aggiornato delfenomeno tra i bambini italiani e perrispondere, inoltre, al bisogno informa-tivo dell’Organizzazione Mondiale dellaSanità, il Ministero del Lavoro, Salute ePolitiche Sociali/CCM, nel 2007, ha affi-dato all’ISS/CNESPS il coordinamentodel progetto “Sistema di indagini suirischi comportamentali in età 6-17anni”. Tale progetto è attuato in strettacollaborazione con le Regioni, il Mini-stero dell’Istruzione, dell’Università edella Ricerca, l’Istituto Nazionale dellaNutrizione (INRAN) ed alcune Isti-tuzioni Universitarie.

Obiettivo del progetto è mettere apunto un sistema di sorveglianza alivello nazionale, che permetta laraccolta dei dati nelle scuole, che siasostenibile nel tempo per il sistemasanitario e per la scuola, ed efficacenel guidare la programmazione degliinterventi di sanità pubblica. Il pro-getto è diviso in 2 fasi, la prima dellequali si è svolta nel 2008. Tale inda-gine, denominata “OKkio alla salu-te”, ha reso possibile la raccolta didati riguardanti, oltre a peso e altez-za, le principali abitudini alimentari

280 I determinanti della salute

Figura 2 – PASSI: Adulti e five-a-day – Anno 2007

281Stili di vita

dei bambini, informazioni sull’atti-vità fisica svolta e sui comportamen-ti sedentari, percezione del problemada parte dei genitori, dati sullecaratteristiche dell’ambiente scola-stico.

L’indagine ha messo in luce la gran-de diffusione tra i bambini di abitudi-ni alimentari che non favoriscono una

crescita armonica e che predispongo-no all’aumento di peso, specie se con-comitanti. In particolare, è emersoche l’11% dei bambini salta la primacolazione e il 28% fa una colazionenon adeguata, ossia sbilanciata in ter-mini di carboidrati e proteine (Figura3); l’82% fa una merenda di metàmattina troppo abbondante (superio-

Figura 3 – OKkio alla salute: bambini e colazione – Anno 2008

Figura 4 – OKkio alla salute: bambini e five-a-day – Anno 2008

re alle 100Kcal), mentre il 23% deigenitori dichiara che i propri figli nonconsumano quotidianamente frutta everdura, e solo il 2% dei bambinisupera le quattro porzioni giornaliere(Figura 4).

Anche i dati raccolti sull’attivitàfisica praticata e sul tempo trascorsodavanti alla televisione o ai videogio-chi sono sconfortanti: 1 bambino su 4pratica sport per non più di un’ora asettimana e il 26% non ha fatto attivi-tà fisica il giorno precedente l’indagi-ne. Inoltre, la metà circa dei bambiniha la TV in camera e la guarda per 3 opiù ore al giorno.

I genitori non sempre hanno unquadro corretto della situazione nu-trizionale del proprio figlio. Tra lemadri di bambini in sovrappeso oobesi, il 35% non ritiene che il pro-prio figlio sia in eccesso ponderale esolo il 31% pensa che la quantità dicibo da lui assunta sia eccessiva.Inoltre, il 53% delle madri di figli fisi-camente poco attivi ritiene che il pro-prio figlio svolga un’attività motoriasufficiente.

È emerso, inoltre, che solo il 64%delle scuole possiede una mensa; il12% prevede la distribuzione di ali-menti sani (frutta, yogurt, ecc.) per lamerenda di metà mattina; il 29% delleclassi svolge meno di due ore di attivi-tà motoria a settimana. Infine, solo 1scuola su 3 ha avviato iniziative favo-renti una sana alimentazione e l’attivi-tà motoria, con il coinvolgimento deigenitori.

La prevalenza di sovrappeso ed obe-sità, infine, è risultata molto elevata: alivello nazionale il 23,6% dei bambinirisulta sovrappeso e il 12,3% obeso.

2.3.3 Indicazioni per la program-mazione

Sulla base di quanto sopra, apparenecessario, oltre che continuare amonitorare il fenomeno per consentirela costruzione di trend temporali e la

valutazione dei risultati di salute, pro-grammare interventi di sanità pubblicache possano risultare incisivi nelle variefasce d’età e nelle diverse condizionisocio-economiche. Tali azioni, tuttavia,per raggiungere gli obiettivi che si pro-pongono, non possono non prevedereil coinvolgimento attivo di settori dellasocietà esterni al Sistema sanitario.

L’apporto e il dispendio energeticoindividuale, infatti, sono influenzatida un’ampia gamma di fattoriambientali, tra cui abitudini familiari,politiche e procedure scolastiche, poli-tiche di pianificazione urbana e deitrasporti, attività di marketing com-merciale, politiche sulla distribuzionedel cibo e l’agricoltura. Molti aspettidell’ambiente in cui oggi vivono elavorano le persone incoraggiano abi-tudini alimentari scorrette e/o unaridotta attività fisica, che aumentanoil rischio di obesità.

Si tratta, perciò, di un problema disanità pubblica la cui soluzione nonpuò essere demandata esclusivamenteal sistema sanitario, ma che necessitadi interventi che siano il più possibiletrasversali e intersettoriali, con il coin-volgimento di molti altri soggetti isti-tuzionali e della società civile (Mini-steri, Comuni, Province, AssociazioniProfessionali e di categoria, Associa-zioni dei consumatori, produttori dialimenti, pubblicitari, mass media,ecc.) così come raccomandato dall’U-nione Europea (UE) e dall’Organiz-zazione Mondiale della Sanità (OMS).

Sulla base di tali premesse, infatti,l’OMS, nel 2006, ha elaborato una“Strategia Globale su Dieta, AttivitàFisica e Salute”, con una serie di rac-comandazioni per i Governi e per tuttele parti in causa, e, proprio nell’otticadelle politiche intersettoriali, ha defi-nito una strategia di contrasto allemalattie non trasmissibili (GainingHealth, the European Strategy for thePrevention and Control of Non-com-municable Diseases – OMS, UfficioRegionale per l’Europa, 2006) edapprovato la European Charter on

282 I determinanti della salute

283Stili di vita

counteracting obesity (ConferenzaInterministeriale di Istanbul - 15novembre 2006), che impegnano for-temente i Paesi europei dell’OMS.

La nutrizione e l’attività fisica, inol-tre, rientrano tra le “priorità chiave”nelle politiche di sanità pubblicadell’UE (Programma di azione 2003-2008) e sono oggetto del Green paperdella Commissione Europea, Pro-moting healthy diets and physical acti-vity: a European dimension for theprevention of overweight, obesity andchronic diseases del 2005.

In tali documenti, infatti, si esortanoi decisori a seguire un approccio inter-settoriale per l’attuazione di interventiche modifichino i comportamenti nonsalutari, raccomandando interventi ditipo comportamentale (per modificarelo stile di vita individuale) e sociale(per creare condizioni ambientali atte acambiare i comportamenti individualie a mantenerli nel tempo).

L’Italia, seguendo gli orientamentidell’OMS e dell’Unione Europea, hagià avviato un percorso di definizionedi strategie e di attivazione di iniziati-ve, sia attraverso il Piano SanitarioNazionale 2003-2005 - che nell’ambi-to del progetto “Promuovere gli stili divita salutari, la prevenzione e la comu-nicazione pubblica sulla salute” avevagià ribadito che l’incidenza di moltepatologie è legata agli stili di vita, sot-tolineando, in particolare, il ruolofondamentale dell’attività fisica e diuna corretta alimentazione per la pro-tezione della salute - sia con il PianoNazionale della Prevenzione (PNP)2005-2007, prorogato al 2008.

Nell’ambito del PNP, infatti, sullabase di linee programmatiche elabora-te dal Ministero del Lavoro, Salute ePolitiche Sociali/CCM, tutte leRegioni hanno definito ed attivatospecifici progetti all’interno di aree diintervento condivise e ritenute priori-tarie (dall’allattamento al seno, allaristorazione collettiva, alla promozio-ne dell’attività fisica, alla pubblicità).La progettazione Regionale propone

l’approccio intersettoriale, con azioniintraprese a diversi livelli (a scuola, neiluoghi di lavoro, nei luoghi del tempolibero, ecc.) e privilegiando gli inter-venti di provata efficacia.

Le attività del Piano si sono conclu-se il 31 dicembre 2008, ed è attual-mente in via di elaborazione la propo-sta di rinnovo per un altro triennio.

Nella scia delle politiche intersettoria-li promosse dal PNP, inoltre, nel 2007 èstato avviato il programma “Guada-gnare Salute: rendere facili le scelte salu-tari”(DPCM del 4 maggio 2007).

La grande novità di GuadagnareSalute è la ricerca di sinergie tra diver-si Ministeri, finalizzata a dare maggiorcredibilità ai messaggi da veicolare, aconsolidare il rapporto tra cittadini eistituzioni, ad assicurare un’informa-zione univoca. Per favorire il sistemadi alleanze operative e la creazione direti funzionali a livello locale, con DM26 aprile 2007 è stata istituita, pressoil Ministero del Lavoro, Salute ePolitiche Sociali, la “Piattaformanazionale sull’alimentazione, l’attivitàfisica e il tabagismo”, con il compitodi formulare proposte e promuovereiniziative finalizzate a favorire nellapopolazione l’adozione di abitudinialimentari corrette e di uno stile di vitaattivo, a contrastare l’abuso di alcol ea ridurre il tabagismo.

Guadagnare Salute si articola in 4specifici programmi:A. Guadagnare Salute rendendo più

facile una dieta più salubre (ali-mentazione);

B. Guadagnare Salute rendendo piùfacile muoversi e fare attività fisica(attività fisica);

C. Guadagnare Salute rendendo piùfacile esseri liberi dal fumo (lotta alfumo e ad altre dipendenze);

D. Guadagnare Salute rendendo piùfacile evitare l’abuso di alcol (lottaall’abuso di alcol).Una serie complessa di attività, fina-

lizzate alla promozione di corretti stilidi vita, è stata avviata anche graziealle Intese siglate tra il Ministero del

Lavoro, Salute e Politiche Sociali ealtri Dicasteri nell’ambito di Gua-dagnare Salute:� protocollo d’Intesa con il Ministero

delle Politiche Giovanili. Alcuniprogetti sviluppati nell’ambitodell’Intesa derivano dalla constata-zione che, mentre lo stile di vitadegli adolescenti è spesso caratte-rizzato da un’insufficiente attivitàfisica e da un’alimentazione nonequilibrata, esiste la necessità difavorire fra i giovani un rapportoequilibrato con l’immagine corpo-rea, di promuovere modelli esteticipositivi e di contrastare quei fattorisocio-culturali implicati nell’insor-genza e nella diffusione dei disturbidel comportamento alimentare(anoressia, bulimia, obesità psico-gena e altri disordini alimentari);

� protocollo d’Intesa con il Ministerodelle Politiche Agricole Alimentari eForestali. Si stanno realizzando in-terventi intersettoriali per valorizza-re la dieta mediterranea, quale stilenutrizionale unico al mondo, dedi-cando particolare attenzione all’ali-mentazione dei gruppi di popolazio-ne, quali bambini, adolescenti, ge-stanti, nutrici, donne in menopausa,anziani, caratterizzati da esigenzenutrizionali specifiche e per questomotivo più “vulnerabili”. Partico-lare rilievo è dato all’attuazione distrategie di cooperazione, a livellonazionale e locale, per incrementarela disponibilità e il consumo di frut-ta, verdure, nonché altri alimentisani, anche in ambienti come lascuola e i luoghi di lavoro. Nell’ambito dell’Intesa con il

MiPAF, inoltre, è stato attivato il pro-getto “Buone pratiche sull’alimenta-zione: valutazione del contenuto disodio, potassio e iodio nella dieta degliitaliani”. Tale attività si propone diottenere informazioni attendibili sulconsumo medio di sodio, potassio eiodio nella popolazione italiana. I datisaranno prodotti nell’ambito del-l’azione di intervento sul consumo di

sale prevista da Guadagnare Salute econ i seguenti obiettivi specifici:� valutare il consumo medio giornalie-

ro di sodio, potassio e iodio pro-capite in un campione rappresentati-vo della popolazione italiana adultasu base regionale e per classi di età;

� valutare il consumo medio giorna-liero di sodio, potassio e iodio pro-capite in un campione rappresenta-tivo della popolazione italiana affet-ta da ipertensione arteriosa su baseregionale e per classi di età;

� organizzare riunioni con i medicicuranti dei pazienti arruolati perinformarli sulle finalità della ricerca,condividerne i risultati e promuove-re le raccomandazioni relative allemodificazioni degli stili di vita;

� valutare il consumo medio giorna-liero di sodio pro-capite in un cam-pione rappresentativo della popo-lazione italiana di età pediatrica (6-18 anni);

� valutare il contenuto medio disodio in campioni di pane e prodot-ti da forno su base regionale.

Protocollo d’Intesa con il Ministerodell’Istruzione

I due Dicasteri, con il Protocollo d’In-tesa siglato il 5 gennaio 2007, si sonoimpegnati a definire strategie comuni ea realizzare un programma d’interventiche impegni il sistema scolastico ed ilSistema sanitario per la prevenzionedelle malattie croniche e il contrasto difenomeni tipici dell’età giovanile.

Grazie al Protocollo sono state rea-lizzate diverse iniziative, tra cui assumeparticolare risalto il progetto pilota“Frutta Snack”, nato al fine di incenti-vare il consumo di frutta e verdura trai ragazzi della scuola secondaria.Frutta Snack ha rappresentato un’e-sperienza di educazione alimentare cheha coinvolto, nell’anno scolastico2007/2008, in 82 scuole superiori diRoma, Bologna e Bari, circa 42.500ragazzi, insegnanti e famiglie, con

284 I determinanti della salute

285Stili di vita

l’obiettivo di promuovere e renderegradito, nelle fasce più giovani di età, ilconsumo di ortofrutta e derivati.

Frutta Snack, in collaborazione conaziende private del vending e della pro-duzione ortofrutticola, ha sperimenta-to un “modello” di promozione delconsumo di ortofrutta fresca e trasfor-mata, coniugando le attività educative,di sensibilizzazione e promozione dellasalute all’azione concreta di disponibi-lità di prodotti pronti all’uso in appo-siti distributori automatici. Tale pro-getto ha previsto, oltre all’installazionedi distributori automatici di frutta fre-sca nelle scuole aderenti, anche unpiano di formazione/informazionerivolto ai docenti, iniziative di comuni-cazione per studenti e famiglie e unprogramma di monitoraggio e valuta-zione dei risultati.

Su questa linea, quindi, il Ministerodel Lavoro, della Salute e delle Po-litiche Sociali ha affidato alla RegioneToscana, in collaborazione con leRegioni Marche, Sicilia, Campania ePuglia e con il sostegno delle RegioniEmilia Romagna e Lazio, la realizza-zione di un progetto volto ad estende-re le iniziative e le azioni per un mag-giore consumo di frutta e verdura fre-sche, sperimentate con il progettopilota Frutta Snack.

Si auspica, inoltre, l’adesione del-l’Italia al programma europeo “Fruttanelle scuole”, di recente approvato aBruxelles, che stanzia fondi europeiper l’acquisto e la distribuzione difrutta e verdura fresche nelle scuole,nell’ambito di strategie complessive dieducazione e sensibilizzazione pro-mosse dagli Stati membri.

Sempre nell’ambito di GuadagnareSalute, sono state, inoltre, attivatevarie azioni volte a promuovere l’of-ferta di alimenti salutari da parte del-l’industria alimentare, della distribu-zione di alimenti e della ristorazionecollettiva.

L’industria e la distribuzione di ali-menti, compresi i fast-food, influenza-no, infatti, il consumo alimentare

attraverso l’aspetto estetico, le dimen-sioni della porzione e il prezzo dei pro-dotti alimentari.

Per contrastare tale situazione sononecessarie politiche di intervento estrategie di prevenzione che devonocomprendere azioni per promuoverela domanda e l’offerta di alimenti piùsalutari, con un minor contenuto digrassi totali, grassi saturi, zuccheri esale. In merito a ciò, nell’ambito diGuadagnare Salute, è da ricordarel’impegno dell’Industria alimentareche ha cercato di dare risposte concre-te in tema di prevenzione nutrizionalee stili di vita. Sono state avviate, infat-ti, alcune iniziative volontarie da partedel sistema associativo della produzio-ne e della distribuzione, per attuareimpegni assunti quale contributoresponsabile alla prevenzione dell’obe-sità ed al consumo consapevole deiprodotti alimentari, in un’ottica anti-proibizionistica e favorevole ai mecca-nismi di autoregolazione e competen-za individuale.

In particolare, per favorire il cittadi-no nella scelta degli alimenti o dellebevande più adatte ad uno stile di vitasalutare, l’industria si è impegnata a:� adottare sulle confezioni di tutti i

prodotti destinati ai consumatorifinali una “etichettatura nutrizio-nale” con l’inserimento sulle confe-zioni di informazioni aggiuntive,fra le quali la quantità giornalieraindicativa (GDA);

� promuovere, presso le Aziendeassociate, lo sviluppo di prodottialimentari con diverso contenutoenergetico e nutrizionale e l’avviodella progressiva riduzione delleporzioni nei propri prodotti;

� eliminare gli acidi grassi trans deri-vanti da processi di lavorazione,secondo quanto raccomandatodall’OMS;

� monitorare la conformità dei mes-saggi pubblicitari, nonché elimina-re i prodotti meno salutari daidistributori automatici nelle scuoledell’obbligo.

286 I determinanti della salute

2.4.1 Introduzione

Importanti studi di livello nazionalee internazionale confermano la corre-lazione tra il consumo di alcol nellapopolazione e il rischio di morbilità emortalità per alcune cause, quali pato-logie gastroenterologiche, cardiova-scolari, polmonari, tumorali (tra cui11.000 casi di cancro alla mammella),dello scheletro e muscolari, danniimmunologici e prenatali. L’alcol risul-ta, in particolare, essere la principalecausa di cirrosi epatica.

Il rischio di danni alcolcorrelati cre-sce generalmente con la quantità dialcol consumata, la frequenza del con-sumo e la frequenza e intensità degliepisodi di intossicazione alcolica.

Nell’Unione Europea (UE), tra i 26fattori di rischio per la salute indivi-duati, l’alcol costituisce il terzo perimportanza, dopo il tabacco e l’iper-tensione, causando la morte di circa195.000 persone.

È stato calcolato che l’alcol èresponsabile del 12% della mortalitàprematura e della disabilità nellapopolazione maschile dell’UE e del

2% in quella femminile. In particolareè attribuibile all’alcol il 25% dellamortalità giovanile tra i giovanimaschi e il 10% di quella tra le femmi-ne. Nei Paesi dell’UE circa 10.000sono le morti provocate da soggettialla guida in stato di ebbrezza.

In quanto sostanza psicotropa, ilconsumo di alcol può avere ancheimportanti ripercussioni sul pianosociale, che riguardano non solo ilbevitore ma anche il suo contestofamiliare e in generale l’intera società.Nei Paesi dell’UE, 5-9 milioni di bam-bini vivono in famiglie con problemialcolcorrelati e l’alcol è causa del 16%degli abusi e abbandoni di minori.

Una recente stima condotta perl’Italia con metodologie adottatedall’OMS indica in 24.061 il numerodelle morti per cause alcolcorrelatefra i soggetti di età superiore ai 20anni, di cui 17.215 tra i maschi e6.846 tra le femmine, che rappresen-tano, rispettivamente, il 6,23% ditutte le morti maschili e il 2,45% diquelle femminili.

Il tasso di mortalità per cirrosi epa-tica e patologie croniche del fegato,

La promozione di corretti stili divita passa, infine, attraverso interventidi miglioramento della qualità nellaristorazione scolastica, ospedaliera esui luoghi di lavoro.

A tale riguardo è stato istituito,presso l’ex Ministero della Salute, untavolo tecnico che, con la partecipa-zione di rappresentanti regionali edesperti del settore, ha elaborato undocumento che fornisce, a livellonazionale, linee di indirizzo per laristorazione scolastica, consideratastrategica, non solo per il semplicesoddisfacimento dei bisogni nutritividei bambini, ma soprattutto comemomento continuo di educazione,

capace di coinvolgere anche docenti egenitori.

Tutte le informazioni relative alCCM, a Guadagnare Salute e alleprogettualità avviate sono reperibilisui siti www.ministerosalute.it ewww.ccm-network.it.

Bibliografia essenziale Istat. Annuario statistico italiano 2008.

Capitolo 3: Sanità e salute. www.istat.it/da-ti/catalogo/20081112_00/

Istat. Indagine Multiscopo sulle Famiglie“Aspetti della vita quotidiana”. Anno 2007.www.istat.it/dati/catalogo/20090312_00/

Report OKkio alla salute 2008. www.epicen-tro.iss.it/okkioallasalute/

Report PASSI 2007. www.epicentro.iss.it/passi/

2.4 Consumo di alcool

287Stili di vita

uno dei più importanti indicatori didanno derivante dal consumo cronicoed eccedentario di alcol, risulta incostante diminuzione da molti anni(dal 22,60 per 100.000 del 1990 al10,73 del 2004), in concomitanza conla diminuzione del consumo mediopro capite di alcol puro nella popola-zione. Peraltro esso risulta ancorasuperiore di 7 punti alla media euro-pea, nonché a quella di Paesi europeiquali Belgio, Francia, Irlanda, Olanda,Spagna, Svezia, Regno Unito.

Le morti per cirrosi epatica sonodiffuse soprattutto nella popolazionepiù anziana. Nel 2001 la popolazioneitaliana tra i 60 e i 74 anni stava al set-timo posto nella classifica della morta-lità per questa causa tra i Paesi inclusinell’area europea “A”, monitoratadall’OMS, e quella di età superiore ai74 anni stava al primo posto dellaclassifica per tale classe di età.

Anche la mortalità per incidentestradale è considerata un indicatore didanno indiretto prodotto dall’alcol, ein Italia viene stimata come correlataall’uso di alcol per una quota compre-sa tra il 30% e il 50%.

Nell’ambito delle cause di incidentestradale derivante da alterato statopsicofisico, l’ebbrezza da alcol ha rap-presentato nel 2006 il 71% del totale,con 4.246 casi rilevati, valore superio-re a quello rilevato nel 2005 (4.107casi, corrispondenti al 70% del totaleper tali cause).

Nell’anno 2005 il tasso nazionale diospedalizzazione per diagnosi total-mente attribuibili all’alcol (valore per100.000 abitanti) è stato pari a 159.0,in costante diminuzione dall’anno2000. Le Regioni a più alto tasso diospedalizzazione sono Valle D’Aosta,P.A. di Bolzano e P.A. di Trento, quel-le a più basso tasso di ospedalizzazio-ne sono Sicilia e Campania. Nellemedesime Regioni si rilevano anche,contestualmente, le più alte e le piùbasse prevalenze di consumatori fuoripasto e binge drinkers.

La distribuzione per fasce di età

delle diagnosi per patologie totalmen-te alcolcorrelate ci mostra la percen-tuale più elevata (44,5%) nelle fasce dietà più anziane (oltre i 55 anni), convalori sostanzialmente stabili dal2000.

La distribuzione percentuale fra lediverse diagnosi si mantiene sostan-zialmente stabile nel tempo fra il 2000e il 2005, con la sola eccezione delladiagnosi di cirrosi epatica alcolica, chepassa dal 26,3% del 2000 al 31,7%del 2005, aumentando di più di 6punti percentuali in rapporto alle altrediagnosi.

Si osserva altresì una diminuzionenel tempo della percentuale di epatitiacute alcoliche, che passano dal 5,5%del 2000 al 3,9% del 2005.

2.4.2 Esposizione e valutazione cri-tica dei dati

La struttura dei consumi alcolici diuna popolazione rappresenta unimportante insieme di indicatori dellapossibile evoluzione delle condizionidi salute di un Paese, e il suo monito-raggio costituisce un importante stru-mento da utilizzare per la prevenzioneed il contrasto dei possibili dannialcolcorrelati.

Il confronto con i Paesi europei Nel nostro Paese il consumo an-

nuale medio pro capite di alcol puro,dopo la drastica diminuzione verifica-tasi tra gli anni 80 e il 2000 (-33%),aumenta tra il 2001 e il 2003 nellapopolazione al di sopra dei 15 anni,passando da 9,14 litri a 10,45 litri, eportando l’Italia dalla 6° alla 9° posi-zione nella graduatoria dei Paesieuropei con consumi più bassi. Illivello di tale consumo è ancora infe-riore a quello di Paesi vicini qualiSpagna, Francia e Germania, ma deci-samente al di sopra di quello racco-mandato dall’OMS ai Paesi dellaRegione europea per l’anno 2015 (6litri l’anno per la popolazione al di

sopra dei 15 anni e 0 litri per quella dietà inferiore).

Nonostante l’influenza dei modelliche arrivano dai Paesi del NordEuropa, persiste in Italia una tradizio-ne culturale di consumo alcolico quo-tidiano e moderato, soprattutto divino, in occasione dei pasti, secondo ilmodello “mediterraneo”.

Nel 2006 l’Italia si colloca in Eu-ropa tra i Paesi con un elevato nume-ro di astemi, nettamente al di sopradella media europea (40% della popo-lazione non ha consumato bevandealcoliche negli ultimi 12 mesi), ma conun’elevata percentuale di consumatoriche bevono quotidianamente (26%),di valore doppio rispetto alla percen-tuale media dei Paesi europei (13%) etra i più elevati in assoluto, insieme aquello di Portogallo (47%) e Spagna(25%). L’Italia si colloca in Europaanche tra i Paesi con i più bassi valoriper quanto riguarda l’intensità del be-re (unità alcoliche consumate in un’u-nica occasione), assieme a Bulgaria,Repubblica ellenica e Portogallo: solol’11% dei bevitori afferma di assume-re, quando beve, più di 2 drinks algiorno, contro la media europea che èdel 28%, e ben il 46% dichiara di nonaver mai assunto 5 o più drinks inun’unica occasione, a fronte di unamedia europea del 31%. Di contro,l’Italia ha il primato in Europa per labassa età del primo contatto con le

bevande alcoliche (in media 12,2 annidi età contro i 14,6 della media euro-pea).

Consumi e modelli di consumo nellapopolazione generale

Nel nostro Paese gli individui di 11anni e più che hanno consumato alme-no una bevanda alcolica risultanoessere, in base ai dati dell’indagineMultiscopo dell’Istituto Nazionale diStatistica (Istat) del 2007, il 68,2%,con una marcata differenza di genere.I consumatori di vino nel 2007 risulta-no essere il 54,4% della popolazionesopra gli 11 anni, quelli di birra sonoil 44,9%, quelli di aperitivi alcolici il29,4%, quelli di amari il 27,1% ed iconsumatori di liquori o super alcoli-ci, infine, il 23,2%. Gli individui chehanno consumato bevande alcolichefuori pasto nel 2007 sono stati il25,6% mentre l’8% ha concentratograndi quantità di alcol in un tempolimitato (binge drinkers) (Tabella 1).

Il consumo a rischioLa quantificazione dei consumi di

alcol a rischio si basa sull’identifica-zione dei consumatori che eccedono lequantità che le agenzie per la tuteladella salute indicano come “limitemassimo” da non superare per nonincorrere in rischi, pericoli o dannicompletamente o parzialmente evita-bili a fronte della moderazione o, in

288 I determinanti della salute

Tabella 1 – Prevalenza (%) consumatori di alcolici per sesso - Anni 2003-2007

2003 2007Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

Consumatori di bevande alcoliche 82,11 56,03 68,64 81,03 56,30 68,24

Consumatori di vino 68,79 40,35 54,10 68,51 41,25 54,40

Consumatori di birra 61,71 30,78 45,73 60,30 30,60 44,94

Consumatori di aperitivi alcolici 42,27 18,34 29,91 41,02 18,57 29,41

Consumatori di amari 43,02 15,25 28,67 40,82 14,34 27,12

Consumatori di super alcolici e liquori 37,58 13,10 24,93 35,26 11,89 23,17

Consumatori fuori pasto 36,71 13,91 24,93 37,60 14,49 25,64

Consumatori “binge drinkers” 11,76 2,87 7,17 13,10 3,14 7,95

FONTE: Elaborazioni Osservatorio Nazionale Alcol - CNESPS e dal WHO CC Research on Alcohol su dati Multiscopo Istat 2003-2007.

289Stili di vita

casi definiti (ad es. guida), dell’asten-sione dal consumo.

Le Linee Guida nazionali per unasana alimentazione dell’Istituto Na-zionale di Ricerca per gli Alimenti e laNutrizione (INRAN), che recepisconole indicazioni dell’OMS, del Ministerodel Lavoro, Salute e Politiche Sociali,dell’ISS e della Società Italiana diAlcologia (SIA), considerano consu-matori a rischio gli uomini che supera-no un consumo quotidiano di 3 unitàalcoliche (UA), le donne che superanoun consumo quotidiano di 2 UA, glianziani e i giovani di 16-18 anni checonsumano più di 1 UA e infine gliadolescenti fino a 15 anni, per i qualiqualsiasi livello di consumo alcolico èda considerarsi a rischio. Un ulteriorecomportamento a rischio per qualsiasifascia di età è quello relativo all’abitu-dine (anche occasionale) di concentra-re grandi quantità di alcol in un tempolimitato, il cosiddetto binge drinking,comportamento caratterizzato, in Ita-lia come in Europa e nel mondo, dal-l’assunzione di oltre 60 gr di alcol (5 opiù bicchieri nel nostro Paese) di una

qualsiasi bevanda alcolica in un’unicaoccasione.

I consumatori a rischioLa prevalenza dei consumatori a

rischio calcolata dall’Osservatorio Na-zionale Alcol-CNESPS dell’ISS nel 2007è pari al 16,8% (M=26,4%; F=7,8%).

Nel corso degli ultimi anni, in baseai dati elaborati dallo stessoOsservatorio sulle indagini annualiMultiscopo Istat, si registrano a livel-lo regionale sostanziali variazioni deiconsumatori a rischio, differenziateper sesso e classe.

Nella classe di età 11-18 anni, in 9Regioni per i ragazzi ed in 6 per leragazze, i valori di prevalenza risulta-no più elevati della media nazionale diquesta fascia di popolazione. InTrentino Alto Adige, per entrambi isessi si registrano i valori più elevati(M=32,8; F=20,1), con particolareconcentrazione nella provincia diBolzano (M=36,3; F=26,3), oltre aVeneto per le sole ragazze e Piemonteper i soli ragazzi. Le Regioni dove siregistrano i valori più bassi di preva-

Figura 1 – Prevalenza (%) consumatori a rischio (criterio ISS) 11-18enni per sesso e regione di residenza - Anno2007

FONTE: Elaborazioni Osservatorio Nazionale Alcol - CNESPS e dal WHO CC Research on Alcohol su dati Multiscopo Istat 2007.

lenza risultano essere per i ragazzi laToscana, l’Umbria e la Sicilia, mentreper le ragazze la Sardegna, il Lazio,l’Abruzzo, la Campania e la Toscana(Figura 1).

Nell’ambito di un progetto condot-to dall’Osservatorio Nazionale AlcolCNESPS dell’ISS, sulla base delle rile-vazioni effettuate nel corso dell’an-nuale tour-ricerca nelle discoteche delProgetto di prevenzione “Il Pilota”,finanziata dal Ministero del Lavoro,della Salute e delle Politiche Sociali,nel corso del 2008 risulta che l’86%dei ragazzi e delle ragazze che frequen-tano i luoghi di aggregazione giovani-le, come discoteche o pub, consumanobevande alcoliche in maniera presso-ché esclusiva il sabato sera. Il 64,8%dei ragazzi e il 33,7% delle ragazzeconsumano in una serata tipo oltre 3bicchieri di bevande alcoliche, con unallarmante picco per i minorenni. Per ipiù giovani le bevande che più contri-buiscono al rischio sono la birra, ibreezer e gli aperitivi alcolici, anche seè chiara la tendenza al policonsumo,che privilegia tra i minori anche il vino

e i superalcolici, assimilando l’uso del-l’alcol a quello delle sostanze psicoat-tive e rendendolo, al di là del bere insenso tradizionale, sostanza di riferi-mento preferita per lo “sballo” delsabato sera. Dalle rilevazioni annualidel Ministro del Lavoro, Salute ePolitiche Sociali sull’utenza dei servizialcologici risulta d’altra parte che i piùelevati tassi di crescita tra i nuovialcoldipendenti si registrano proprioper le età più giovanili, al di sotto dei19 anni e tra i 20-29enni.

Nella classe di età 19-64 anni siregistrano valori di prevalenza più ele-vati del dato medio nazionale registra-to per questa fascia di popolazione, in14 Regioni per gli uomini e in 8Regioni per le donne. Come nel casodegli adolescenti, i valori più elevati siregistrano in Trentino Alto Adige perentrambi i sessi (M=31,5; F=11,4) conparticolare concentrazione nella Pro-vincia di Bolzano (M=36,6; F=13,4)ed in Friuli Venezia Giulia, Valle d’Ao-sta e Molise per gli uomini. Le Regionidove si registrano i valori più bassi diprevalenza risultano essere per gli

290 I determinanti della salute

Figura 2 – Prevalenza (%) consumatori a rischio (criterio ISS) 19-64enni per sesso e regione di residenza - Anno2007

FONTE: Elaborazioni Osservatorio Nazionale Alcol - CNESPS e dal WHO CC Research on Alcohol su dati Multiscopo Istat 2007.

291Stili di vita

Figura 3 – Prevalenza (%) consumatori a rischio (criterio ISS) >64 anni per sesso e regione di residenza - Anno2007

FONTE: Elaborazioni Osservatorio Nazionale Alcol - CNESPS e dal WHO CC Research on Alcohol su dati Multiscopo Istat 2007.

uomini la Sicilia, il Lazio e la Cam-pania mentre per le donne l’Abruzzo,la Calabria e la Sicilia (Figura 2).

Nella classe di età più anziana (>64anni) si registrano i valori di prevalenzapiù elevati di tutte le fasce di età, presu-mibilmente a causa di una non correttaconoscenza dei limiti indicati dalle lineeguida per non incorrere in problemi disalute. In media infatti 1 uomo su due e1 donna su 8 rischiano di compromette-re la loro salute per un consumo scor-retto di bevande alcoliche e, nel casospecifico, di vino, consumato in manie-ra quasi esclusiva dalle popolazionianziane; a tale bevanda è attribuibile lastragrande maggioranza delle proble-matiche alcol correlate, inclusa l’alcol-dipendenza. In 12 Regioni per gli uomi-ni e in 8 Regioni per le donne si rileva-no valori al di sopra della media nazio-nale registrata per questa fascia dipopolazione. I valori più elevati si regi-strano in Piemonte e Valle d’Aosta perentrambi i sessi, oltre a Basilicata per gliuomini e Friuli Venezia Giulia per ledonne. Le Regioni dove si registrano ivalori più bassi di prevalenza risultano

essere la Sicilia per entrambi i sessi,Umbria, Abruzzo Calabria e Sardegnaper le donne (Figura 3).

2.4.3 Indicazioni per la program-mazione

L’analisi delle principali tendenzedei consumi e delle relative criticitàsuggerisce alcuni orientamenti utiliper la programmazione di efficaciinterventi di prevenzione.

Attualmente nel nostro Paese coesi-stono diverse tipologie di rischio alcol-correlato, collegate sia al modello diconsumo più tradizionale che ai nuovimodelli derivanti dalle trasformazionisocioculturali e dalla diffusione,soprattutto tra i più giovani, di nuoveabitudini di consumo importate daiPaesi del Nord Europa. Una primacategoria di rischio interessa prevalen-temente la popolazione di età più ele-vata o anziana, nella quale il consumoquotidiano di vino non sempre siaccompagna al rispetto dei limiti con-sigliati per la protezione della salute.

Una seconda tipologia di rischioriguarda i più giovani e i giovanissimi,ma comincia a interessare anche gliadulti, e riguarda la diffusione cre-scente di consumi fuori pasto, bingedrinking, ubriacature e consumi occa-sionali eccedentari, comportamentiche stanno diffondendosi in Italiaanche a seguito dei più frequenti con-tatti con i Paesi del Nord Europa.

Un ulteriore elemento di criticità èrappresentato dal sempre maggiorecoinvolgimento della popolazione fem-minile, soprattutto quella di età piùgiovane, in comportamenti di consumoa rischio che fino a poco tempo faerano diffusi quasi esclusivamente nellapopolazione maschile, in particolareconsumi fuori pasto e binge drinking.

Per ciascuna categoria di consumi arischio è necessario pertanto predi-sporre interventi di prevenzione speci-fici e mirati.

Per la popolazione adulta e anziana,in cui i consumi eccedentari risultanocrescere proporzionalmente alla sensa-zione di godere di un buono stato disalute, sembra indispensabile diffon-dere un’informazione corretta sui realiparametri che, all’interno del tradizio-nale modello di consumo mediterra-neo, definiscono un consumo di alcolcompatibile con la salute, nonchéfavorire il rispetto di tali parametri.

Nei più giovani appare necessariorafforzare empowerment e capacità difronteggiare le pressioni sociali al bere,promuovendo inoltre la crescita di ade-guati fattori protettivi nell’ambito deidiversi contesti sociali e istituzionali.

Poiché dai dati risulta una correla-zione positiva fra livello di scolarizza-zione e propensione al consumo e bingedrinking, appare importante lavorareadeguatamente sul piano culturale eapprofondire le ragioni di tale correla-zione, tenendo anche conto del fattoche la propensione al consumo nei piùgiovani si correla positivamente alleabitudini di consumo dei genitori.

Questo orientamento è già statorecepito nel Piano Sanitario Nazionale

2006-2008, in cui viene sottolineata lanecessità di accrescere nella popola-zione italiana la percezione culturaledei rischi connessi al bere e di dareunivoci e adeguati orientamentisoprattutto per la protezione sanitariadei più giovani e delle donne.

Alla luce di tali considerazioni, appa-re fondamentale destinare adeguatifinanziamenti alla prevenzione e allaricerca e monitorare con specifici indi-catori tutta l’ampia gamma di dannisanitari e sociali prodotti dal consumodannoso di alcol, facilitando l’intercet-tazione precoce e la realizzazione diadeguati interventi di contrasto. Ènecessario in particolare intervenirecon strumenti validati, semplici ed effi-caci, per modificare il comportamentodi milioni di individui che, pur nonessendo dipendenti, espongono sé stes-si e l’intera collettività ad elevati rischi,sia sul piano sanitario che sociale.

A partire dal 2007 il Ministero delLavoro, Salute e Politiche Sociali haespresso un notevole impegno per il raf-forzamento delle politiche di prevenzio-ne del consumo dannoso di alcol, coniniziative programmatiche di livellonazionale, quali il Piano NazionaleAlcol e Salute e il Programma “Gua-dagnare Salute”, entrambi recepiti conAccordo Stato Regioni.

In questi programmi si promuovel’approccio interistituzionale alla pre-venzione, in adesione agli orientamentidell’UE recentemente ribaditi nella“Strategia Comunitaria per la riduzionedei danni alcolcorrelati”, approvata dalParlamento Europeo nel luglio 2007.Per contenere il fenomeno del consumodannoso vengono previsti, in particola-re, interventi per l’informazione corret-ta dei consumatori tramite appositecampagne, per l’identificazione precocee il trattamento breve dei bevitori arischio nell’ambito della medicina dibase, per la realizzazione di programmidi prevenzione nella scuola a partiredalla scuola materna, per la responsabi-lizzazione del mondo della produzione edella distribuzione di bevande alcoliche.

292 I determinanti della salute

293Stili di vita

2.5 Abuso di sostanze stupefacenti o psicotrope

2.5.1 Introduzione

L’Organizzazione Mondiale dellaSanità (OMS) definisce la tossicodi-pendenza come uno “stato di intossi-cazione periodica o cronica prodottadalle ripetute assunzioni di unasostanza naturale o sintetica”.

L’uso/abuso di sostanze stupefacen-ti e gli stili di vita connessi rappresen-tano in Italia un problema di salutepubblica, sia per gli effetti diretti suisoggetti consumatori (dipendenzapatologica, overdose, comorbilità psi-chiatrica e patologie infettive drogacorrelate) che per la popolazione gene-rale non direttamente esposta.

I dati esposti nella Relazione al Par-lamento per l’anno 2007 dimostranoche il fenomeno delle tossicodipendenzein Italia è preoccupante, ma non assumei contorni allarmistici di cui si sente par-lare ogni giorno. Dalle stime si rileva checirca il 90% degli italiani disapprova ilconsumo di tutte le sostanze stupefacen-ti, ritenendolo pericoloso per la salute.

Al fine di stimare l’uso di sostanzenella popolazione generale e negli stu-denti, si fa riferimento a due indaginicampionarie IPSAD® (Italian Popu-lation Survey on Alcool and Drugs) edESPAD® (European School SurveyProject on Alcool and Other Drugs),condotte dalla Sezione di Epidemio-

logia e Ricerca sui Servizi Sanitari del-l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR(Consiglio Nazionale delle Ricerche).Tali indagini hanno l’obiettivo di rile-vare il consumo di sostanze legali edillegali, secondo le indicazioni fornitedall’Osservatorio Europeo delleDroghe e Tossicodipendenze (OEDT -Agenzia costituita nel 1993 dall’U-nione Europea – indirizzo internet:http://www.emcdda.europa.eu/) diLisbona. Attraverso queste ricerche, èpossibile analizzare e quantificare ifenomeni oggetto di studio, effettuareconfronti tra i dati elaborati a livellonazionale, regionale e provinciale,prendendo in considerazione le infor-mazioni riferite all’uso di sostanze, sianel corso della vita sia negli ultimi 12mesi.

2.5.2 Presentazione e commentodei dati

I dati relativi al fenomeno droga, nelnostro paese, possono essere schematiz-zati secondo il modello degli indicatorichiave, così come indicato dall’OEDT.In base a tale schema, gli indicatori sipossono raggruppare nelle seguenti aree:

1. uso di sostanze nella popolazionegenerale;

2. uso problematico di sostanze;

Bibliografia essenziale

Anderson P, Baumberg B. Alcohol in Europe-Apublic health perspective. EuropeanCommission (OIL), Luxembourg 2006.

Ministero del Lavoro, della Salute e dellePolitiche Sociali. Relazione del Ministro delLavoro, Salute e Politiche sociali al Parla-mento sugli interventi realizzati ai sensi dellaLegge 125/01. Anni 2006-2007.

Scafato EP, Galluzzo L, Gandin C, et al. Ilrischio alcol-correlato in Italia: definizionied indicatori. Alcologia 2008;1:28-42.

Scafato EP, Ghirini S, Galluzzo L, et al. Grup-po di lavoro CSDA (Centro Servizi Do-cumentazione Alcol). Epidemiologia emonitoraggio alcol-correlato in Italia. Va-lutazione dell’Osservatorio Nazionale Alcol- CNESPS sull’impatto dell’uso e abuso dialcol ai fini dell’implementazione delle atti-vità del Piano Nazionale Alcol e Salute.Rapporti ISTISAN. 2009;09(04).

Scafato EP, Ghirini S, Gandin C, et al.Consumo di alcol. Rapporto Osservasalute2008. Stato di salute e qualità dell’assisten-za nelle regioni italiane. 2008; 51-57.

3. domanda di trattamento;4. patologie infettive;5. decessi droga correlati.

La lettura della diffusione dell’usodi sostanze psicoattive (IPSAD) utiliz-za quattro categorie descrittive delconsumo: � consumo frequente (10 o più volte

nel corso degli ultimi 30 giorni); � consumo negli ultimi 30 giorni

(una o più volte nel corso degli ulti-mi 30 giorni);

� consumo negli ultimi 12 mesi (unao più volte nel corso degli ultimi 12mesi);

� consumo nella vita (una o più voltenel corso della vita). Lo studio IPSAD (Italian Population

Survey on alcool and drugs) è uno stu-dio campionario sul consumo di alcol,tabacco e sostanze psicotrope legali eillegali nella popolazione generale resi-dente in Italia e di età compresa tra 15 e54 anni, ripetuto con cadenza biennaledal 2001. Negli ultimi 4 anni, tale inda-gine ha mostrato che il consumo di eroi-na è sostanzialmente stabile nella popo-lazione generale. Lo 0,3% della popola-zione intervistata riferisce l’uso di eroinanegli ultimi 12 mesi. Si è evidenziato unaumento del consumo di tale sostanzanei maschi con età compresa tra i 15 edi 34 anni. Per la cocaina si è rilevato unarresto della crescita pluriennale delconsumo riferito in tutte le classi di età enei due generi. Il 2,2% della popolazio-ne intervistata riferisce l’uso di cocainanegli ultimi 12 mesi. Per la cannabis il14% della popolazione intervistata rife-risce di aver usato, una o più volte, can-nabis negli ultimi 12 mesi prima dell’in-tervista. Da segnalare che nella classed’età 25-34 anni, le donne e gli uominiche hanno riferito il consumo sonorispettivamente il 40% ed il 50% in piùrispetto al 2005-2006. Anche nella clas-se d’età successiva, 35-44 anni, i consu-mi delle donne sono aumentati del 70%rispetto agli anni precedenti e nel collet-tivo maschile si è evidenziato un 20% inpiù di consumatori. Rimane stabile la

diffusione dell’uso nella popolazionegenerale di stimolanti e allucinogeni; lo0,7% della popolazione intervistata rife-risce l’uso di amfetamine, ecstasy, GHBed altri stimolanti e lo 0,6% l’uso diallucinogeni negli ultimi 12 mesi primadell’intervista. Continua ad aumentare ilnumero di soggetti che fa contempora-neamente uso di più sostanze illegali,rilevandosi che ad adottare tale compor-tamento sono essenzialmente i soggettiche fanno uso di cocaina; il 76% dellapopolazione intervistata che riferiscel’uso di cocaina riferisce anche l’uso dialtre sostanze illegali nei 12 mesi prece-denti all’intervista. Il consumo contem-poraneo di più sostanze completa l’ana-lisi dei consumi di droghe illegali daparte della popolazione generale. L’usodi alcol, come risulta dalle interviste, èfortemente associato al 93% dei sogget-ti che hanno consumato eroina nell’ulti-mo anno, al 95,6% dei consumatori dicocaina e al 92,4% dei consumatori dicannabis. Il 78,6% dei consumatori dieroina consuma sigarette quotidiana-mente, così come il 69% dei consumato-ri di cocaina ed il 55% degli utilizzatoridi cannabinoidi.

L’indagine ESPAD (European SchoolSurvey Project on Alcool and Drugs)riguarda gli atteggiamenti, la percezionedel rischio e i consumi di alcol, tabaccoe sostanze psicotrope legali e illegalinella popolazione giovanile secolarizza-ta, di età compresa tra 15 e 19 anni.Tale indagine ha visto la partecipazionedi 30 paesi europei e viene effettuataannualmente dal 1999, in accordo conle indicazioni date dall’OEDT.

Per l’eroina si osserva una sostanzia-le stabilità per quanto riguarda la pre-valenza dei consumatori nella fascia dietà 15-19 anni della popolazione giova-nile scolarizzata. Si rileva una diminu-zione nei consumi tra le studentesse (16anni) e nei maschi (18 anni); il 30% inmeno per entrambe le categorie ha rife-rito di aver fatto uso della sostanza unao più volte nel corso dell’ultimo anno.Per la cocaina la diffusione dell’uso nel2007 non mostra sostanziali differenze

294 I determinanti della salute

295Stili di vita

rispetto alle rilevazioni dell’anno prece-dente. Per la cannabis i consumi rilevatinella popolazione giovanile scolarizzatasembrano leggermente diminuiti. Inparticolare, negli ultimi dodici mesi, lemaggiori differenze si osservano nei 15enni (il 25% in meno riferisce il contat-to con la sostanza). Si osserva un au-mento dell’uso di stimolanti che riguar-da sia la sperimentazione nella vita (il40% in più degli studenti ha riferito diaver provato la sostanza), sia l’uso negliultimi dodici mesi e negli ultimi trentagiorni (il 50% in più ne riferisce l’uso).Un leggero aumento si osserva ancheper quanto riguarda l’uso di allucinoge-ni, soprattutto tra le studentesse con etàcompresa tra i 18 ed i 19 anni.

L’analisi del fenomeno dell’utilizzo dipiù sostanze psicoattive (poliassunzio-ne) è molto diffuso tra i giovani ed èfonte di preoccupazione per i forti rischiassociati. Di fatto, nella popolazionegiovanile intervistata, l’alcol è associatoal 91% dei soggetti che hanno consu-mato eroina nell’ultimo anno, al 94,7%dei consumatori di cocaina e nel 93%dei consumatori di cannabis.

Tra i soggetti che, negli ultimi 12mesi, hanno fatto uso di almeno unasostanza psicoattiva illegale (il 24%degli studenti), il 76% ha utilizzatouna sola sostanza, il 12% due sostan-ze e circa il 12% tre sostanze.

I consumatori di eroina si distribui-scono in un 34,9% di soggetti cheusano solo la suddetta sostanza, in un40,3% che fa uso anche di cannabi-noidi ed in un 24,7% che fa uso dieroina e altre sostanze.

Tra i consumatori di cocaina, solo il12,6% dei consumatori ne fa un usoesclusivo; nel 77,8% dei soggetti cheusano cocaina viene associata la can-nabis e nel 9,7% altre sostanze.

L’85,3% degli utilizzatori di canna-bis non utilizza altre sostanze illegali.

Negli ultimi anni in Italia e in altripaesi dell’UE si stanno sperimentandomodelli di prevenzione primaria delledipendenze da sostanze psicoattive neigiovani in ambito scolastico.

Tali programmi di prevenzione sibasano sul modello dell’influenzasociale e delle “life skills”. L’EUDAP(European Drug Addiction Prevention)è uno studio multicentrico che coinvol-ge sette paesi Europei: Belgio, Ger-mania, Spagna, Grecia, Italia, Austriae Svezia. Tale Progetto è stato finanzia-to dalla Commissione Europea, nel-l’ambito del Programma di SalutePubblica 2002. Il progetto EUDAP èstato condotto tra il 2004 e il 2006 conl’obiettivo di disegnare e valutare, conuno studio randomizzato e controlla-to, l’efficacia del “Programma Un-plugged”.

Unplugged è un programma scola-stico di prevenzione dell’uso di sostan-ze (tabacco, alcol, cannabis e altresostanze psicoattive) rivolto a 7.079studenti di età compresa tra i 12 e i 14anni, appartenenti a 170 scuole estrat-te casualmente dai sette paesi coinvol-ti nello studio. Il programma si basasul modello dell’influenza sociale edintegra attività basate sulle “lifeskills” utilizzando metodi interattivi.

A tre mesi dalla fine del Program-ma, è stato condotto un follow up, dalquale risulta che gli studenti coinvoltiavevano il 30% in meno di probabili-tà di fumare sigarette quotidianamen-te o di bere fino al punto di ubriacarsie il 23% in meno di probabilità di fareuso di cannabis nell’ultimo meserispetto agli studenti di controllo.

La valutazione dei risultati ottenutievidenzia che l’efficacia di Unpluggedè in linea con quella di altri program-mi di prevenzione primaria basatisulle migliori prassi.

2.5.3 Indicazioni per la program-mazione

A fronte di un aumento della diffu-sione, nella popolazione generale, del-l’uso di cannabis, è necessario ribadirela necessità, ormai inderogabile, dientrare nell’ottica che tutte le sostan-ze, senza esclusioni, producono dannialla salute. Dai dati emerge un altro

296 I determinanti della salute

fronte di particolare allarme: la polias-sunzione di sostanze tra i giovani.Questo dato mostra che tra i giovanipersiste una bassa se non assentecosciente percezione del rischio, indicedi politiche poco incisive nel contrastoall’uso di droga, in particolare di quel-le relative alla prevenzione.

Dai dati rilevati, la diffusione del-l’uso di cocaina tra i giovani non hamostrato sostanziali differenze rispettoalle rilevazioni dell’anno precedente, ilche non deve far abbassare la guardiadi fronte all’emergenza cocaina.

Appare pertanto necessario attivareuna maggiore concertazione e condivi-sione di obiettivi fra tutte le istituzionicoinvolte (centrali, regionali e locali,pubbliche e private), al fine di rendereomogenee le politiche di contrasto alladroga tenendo conto delle diversitàterritoriali.

È inoltre fondamentale implementaregli interventi preventivi, sia rivolti all’in-tera popolazione, sia mirati a popola-zioni target (ambienti di vita e di lavo-ro), facendo soprattutto leva sulle fami-glie e la scuola, “agenzie” uniche e inso-stituibili per l’educazione dei giovani.

I genitori e gli insegnanti delle scuo-

le di ogni ordine e grado devono esse-re adeguatamente formati rispetto allesostanze ed educati sui rischi connessicon l’abuso. Un’attenzione particolaredeve essere rivolta alla formazionerelativa ai problemi connessi con losviluppo psicologico dei giovani. Dalpunto di vista strategico, gli elementiessenziali dell’educazione alla salutenelle scuole potrebbero essere:� apertura di sportelli con psicologi

per il counselling nelle scuole e neiluoghi di lavoro;

� dialogo costruttivo tra insegnanti estudenti con un tempo congruo dedi-cato alla materia “dipendenze” nel-l’ambito dell’educazione alla salute;

� coinvolgimento attivo degli studen-ti nello sviluppo di progetti attinen-ti prevalentemente alle materie arti-stiche (teatro, pittura, musica ecc.);

� implementazione della peer educa-tion (educazione tra pari).

Bibliografia essenzialeFaggiano F, et al. The effectiveness of a school-

based substance abuse prevention program:EU-DAP cluster randomized controlled trial –Preventing Medicine; 47, 2008, 537-543.

Relazione al Parlamento sulle tossicodipenden-ze, 2008.

3

L’impatto dei determinanti socialisulla speranza di vita in Europa

Malgrado il progressivo migliora-mento dello stato di salute generale el’aumento dell’aspettativa di vitadella popolazione europea, persisto-no svantaggi nelle condizioni di salu-te e nella mortalità che aumentano,al peggiorare delle condizioni socioe-conomiche degli individui, seppurcon minore intensità tra le donnealmeno fino alla menopausa, e conmaggiore intensità tra i paesi balticie dell’est Europeo. L’impatto sanita-rio di tali disuguaglianze è stato sti-mato, nel 2004, in circa 707.000morti l’anno attribuibili alle disegua-glianze di mortalità per istruzione,nella popolazione dei 25 paesidell’Unione Europea, corrispondentia circa 11,4 milioni di anni di vitapersi. Tali cifre sembrerebbero ingrado di generare un decremento diquasi due anni nella speranza di vitaalla nascita della popolazione euro-pea meno istruita e di cinque anninella relativa speranza di vita inbuona salute, rispetto alla popola-zione più istruita.

L’analisi del peso percentuale diciascuna specifica causa di mortesulle differenze di mortalità per istru-zione ha mostrato come la mortalitàper malattie cardiovascolari contri-buisca ad almeno il 40% di tali disu-guaglianze tra gli uomini e a circa il60% tra le donne, con contributopiù elevato nei paesi Nord-europei. Itumori spiegano in media il 24%delle disuguaglianze di mortalità tra

gli uomini e l’11% tra le donne, conproporzioni crescenti nei paesidell’Europa Mediterranea. La morta-lità per cause accidentali include isuicidi, per i quali vi è forte variabi-lità tra paesi europei nella dimensio-ne delle disuguaglianze; mentre tragli uomini con più di trent’anni, ilrischio di morte per incidenti strada-li sembra decrescere con il livellod’istruzione individuale, con unamodesta variabilità tra paesi. Non èdisponibile al momento una fonteinformativa rappresentativa, capacedi stimare le variazioni sociali dimortalità e speranza di vita per tuttoil nostro paese; in questi confrontiinternazionali l’Italia è rappresentatasolo da dati provenienti dallo StudioLongitudinale Torinese, che mostradisuguaglianze di mortalità generaleparagonabili a quelle osservate nelresto d’Europa, attribuibili in misuramaggiore ai tumori e alle malattiedell’apparato digerente e respirato-rio.

Le disuguaglianze sociali negli indi-catori di salute delle indagini Istat

Nel nostro Paese la presenza didisuguaglianze sociali sembra conno-tare una pluralità di indicatori disalute, di disabilità, di morbosità cro-nica, di abitudini e comportamentiinsalubri, rappresentando il principa-le determinante dell’eterogeneità geo-grafica di tali condizioni. Questainfatti deriva dall’effetto congiuntodella distribuzione geografica dello

Determinanti socio-economici

298 I determinanti della salute

svantaggio sociale e delle caratteristi-che sfavorevoli del contesto, che sonoentrambe a svantaggio del Mezzo-giorno.

Le ultime indagini Istat sulle condi-zioni di salute, condotte nel 2000 enel 2005 su campioni della popola-zione italiana non istituzionalizzata,evidenziano come le persone menoistruite di ambo i sessi tendano a rife-rire un peggiore stato di salute, ripor-tino una o più malattie cronichegravi, risultino avere un rischio piùche raddoppiato di presentare disabi-lità, rispetto alle persone più istruite.Si osserva un marcato gradientesociale anche nei fattori che incre-mentano il rischio di malattie, comequelle cardiovascolari e neoplastiche.Al diminuire del livello di istruzioneaumenta, infatti, la quota di personeobese, soprattutto tra le donne, per lequali si registrano frequenze di obesi-tà più che raddoppiate in presenza dibassa istruzione; così pure per lasedentarietà. Si osserva inoltre unamaggiore proporzione di fumatori tragli uomini meno istruiti. Per le donnele differenze per posizione sociale nel-l’abitudine al fumo mostrano varia-

zioni in ragione della ripartizione geo-grafica, dell’anno d’indagine e del-l’età: le donne del Nord-Ovest e delNord-Est presentano disuguaglianzenell’abitudine al fumo della stessadirezione di quelle osservate tra gliuomini, sia nel 2000 che nel 2005; nelSud la frequenza di fumatrici, diretta-mente associata con il livello di istru-zione nel 2000, sembra invece nondifferire per posizione sociale nel2005, come osservato tra le residentinelle isole in entrambe le indagini;nelle donne giovani il fumo è ormaipiù diffuso tra le meno istruite (Figure1 e 2).

Nonostante l’estesa legislazione chetutela i lavoratori dai rischi di infortu-ni e di malattie professionali, l’am-biente di lavoro continua a presentarecondizioni di rischio per l’incidenza diinfortuni, che varia fortemente inragione della classe socio-occupazio-nale. Un’edizione speciale dell’indagi-ne Istat sulle “Forze di Lavoro” del1999 ha rilevato un rischio di infortu-ni, nei 12 mesi precedenti l’indagine,tra gli occupati di classe operaia dicirca 3 volte superiore negli uomini e2 volte superiore nelle donne, rispetto

Figura 1 – Condizioni di salute e fattori di rischio comportamentali (rischi relativi, in presenza di bassa vs. altaistruzione, controllati per età) per ripartizione geografica e anno. Uomini - Anni 2000 e 2005

FONTE DATI: Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Regioni Italiane – Anno 2008.Elaborazione a cura del Servizio di Epidemiologia dell’ASL TO3.

299Determinanti socio-economici

agli occupati di classe borghese; lastima del gradiente nel rischio infor-tunistico in ragione dell’istruzione èrisultata altrettanto elevata, essendo ilrischio tra i meno istruiti quasi 4 voltesuperiore tra gli uomini e 2 volte trale donne, rispetto ai più istruiti. Lasignificatività di tali incrementi nelrischio al decrescere del titolo di stu-dio è confermata pur controllandoper classe sociale occupazionale.

Poiché la morbosità è il principaledeterminante del ricorso all’assistenzasanitaria, dalle disuguaglianze socialinella morbosità ci si attendono disu-guaglianze dello stesso segno nell’uti-lizzo dei servizi (Figure 3 e 4); in effet-ti i dati delle indagini del 2000 e del2005 evidenziano un maggiore ricorsoal ricovero ospedaliero, alle visitemediche generiche e ai farmaci (solotra le donne) da parte delle persone

Figura 2 – Condizioni di salute e fattori di rischio comportamentali (rischi relativi, in presenza di bassa vs. altaistruzione, controllati per età) per ripartizione geografica e anno. Donne - Anni 2000 e 2005

FONTE DATI: Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Regioni Italiane – Anno 2008.Elaborazione a cura del Servizio di Epidemiologia dell’ASL TO3.

Figura 3 – Utilizzo dei servizi sanitari (rischi relativi, in presenza di bassa vs. alta istruzione, controllati per età emorbosità cronica) per ripartizione geografica e anno. Uomini - Anni 2000 e 2005

FONTE DATI: Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Regioni Italiane – Anno 2008.Elaborazione a cura del Servizio di Epidemiologia dell’ASL TO3.

300 I determinanti della salute

meno istruite, rispetto a coloro chepossiedono un più elevato livello diistruzione; mentre si osserva un mino-re ricorso dei meno istruiti alle visitespecialistiche e agli accertamenti dia-gnostici specialistici. Non si osservanodifferenze geografiche né temporaliimportanti nella dimensione di talidisuguaglianze, a parte una riduzionedel gradiente sociale nel ricorso agliaccertamenti diagnostici per le donnedel Nord-Est.

L’indagine Istat sulla salute del2005 rileva disuguaglianze sociali nelricorso alla mammografia almeno unavolta, tra le donne nella fascia di età50-69 anni (pari a 79,3% tra le donnelaureate o con diploma di istruzionesuperiore, e pari a 65,5% tra le donnecon licenza elementare o nessun tito-lo), con un incremento del ricorso piùelevato tra le donne con titolo di stu-dio basso, rispetto alla precedenteindagine del 2000. Le donne piùistruite si sottopongono al primo con-trollo più precocemente (intorno ai 44anni) di quelle meno istruite (intornoai 48 anni). Dati simili si osservanoper il pap test.

Infine vi sono evidenze che mostre-rebbero come le disuguaglianzesociali caratterizzino anche il percor-

so dell’assistenza sanitaria in gravi-danza e nell’età evolutiva. La mag-gior parte delle donne italiane in gra-vidanza si sottopone a visite ed accer-tamenti sin dai primi mesi di gesta-zione, ma con frequenza differenteper istruzione, come risulta dai datirilevati nell’indagine Istat del 2005,relativi alle donne che hanno partori-to nei cinque anni precedenti l’inter-vista: il 75,6% e l’88% delle donneche possiedono la licenza elementaresi è sottoposta, rispettivamente, allaprima ecografia ed alla prima visitaentro il terzo mese di gestazione,mentre ciò sembra aver riguardato il90,7% ed il 95,9% delle donne lau-reate. Ha partecipato ad un corsopre-parto il 65,6% delle laureate, il34,2% delle donne con licenza mediaed il 20,2% delle donne con licenzaelementare o nessun titolo. Dai datidell’indagine Istat sulla salute del2000, relativi ai bambini di età infe-riore a 13 anni che vivevano con lamadre, si evidenziava un’associazio-ne tra titolo di studio materno e pro-babilità di essere stati sottoposti avaccinazioni non obbligatorie: oltre il66,6% dei figli di laureate e diploma-te risultava vaccinato contro la per-tosse, mentre tale vaccinazione sem-

Figura 4 – Utilizzo dei servizi sanitari (rischi relativi, in presenza di bassa vs. alta istruzione, controllati per età emorbosità cronica) per ripartizione geografica e anno. Donne - Anni 2000 e 2005

FONTE DATI: Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Regioni Italiane – Anno 2008.Elaborazione a cura del Servizio di Epidemiologia dell’ASL TO3.

301Determinanti socio-economici

brava aver riguardato il 52% dei figlidi donne in possesso di licenza ele-mentare o nessun titolo. Analogoandamento si riscontrava per i vacci-ni antimorbillo, antirosolia e antipa-rotite, mentre differenze minime siosservavano per la vaccinazione anti-meningite. Il progetto SIDRIA (StudiItaliani sui Disturbi Respiratorinell’Infanzia e l’Ambiente) ha infineevidenziato differenze significativenella capacità di gestione dell’asmanei bambini appartenenti a famigliedi differente livello socio-economico,con un minore accesso ai test diagno-stici e maggiore probabilità di ricove-ro nelle famiglie più svantaggiate.

Il ruolo dei determinanti socialidella salute e le implicazioni per lepolitiche

Per passare dalla misura delle disu-guaglianze sociali nella salute alla pro-mozione di azioni di contrasto occor-re comprendere i meccanismi attraver-so cui lo svantaggio sociale, relativoed assoluto, agisce sulla salute. LaCommissione sui Determinanti Socialidella Salute promossa dall’OMS hapassato in rassegna i principali schemiesplicativi noti, in grado di rappresen-tare il modo con cui nascono le disu-guaglianze sociali nella salute. Loschema di Diderichsen sintetizza que-sta storia mettendo in relazione quat-tro fenomeni: la posizione sociale cheinfluenza l’esposizione ai fattori dirischio per la salute; i fattori di rischioche producono un danno di salute; ildanno di salute e le relative conse-guenze sulla carriera sociale indivi-duale:� per “posizione sociale” si intende

qualsiasi dimensione della stratifi-cazione sociale che si caratterizziper un differente grado di controllosulle risorse (sia quelle relazionali,sia quelle distributive) che servonoa soddisfare i bisogni e le aspettati-ve della persona;

� per “fattori di rischio” si intendonotutte quelle caratteristiche dellapersona che influenzano la distri-buzione di salute, sia aumentandola probabilità di insorgenza di unproblema di salute, sia esponendoalla progressione di un problema disalute verso un esito sfavorevole;

� per “danno” si intendono tuttequelle caratteristiche della salute fi-sica, psicologica e mentale, espressesia in termini nosologici (malattie),sia di salute soggettiva (qualitàdella vita percepita), sia di abilitàresidue, che qualificano il funzio-namento di una persona in un par-ticolare contesto;

� per “conseguenze” si intendonoquei processi di mobilità discen-dente sulla scala sociale che com-portano una limitazione del livellodi controllo sulle risorse che unapersona aveva raggiunto in assenzadel problema di salute.Questa storia può essere influenzata

dal contesto sociale e da quello dellepolitiche ad esso correlate attraversodiversi meccanismi che collegano isuccitati fenomeni: ad ognuno di que-sti meccanismi corrisponde un puntodi ingresso per gli interventi e le poli-tiche di contrasto.

Il primo meccanismo identificatonello schema è quello che genera la stra-tificazione sociale stessa; esso dipendedal contesto economico e del lavoro,che creano e distribuiscono ricchezza epotere, dal contesto comunitario e diwelfare che ne regolano e moderano glieffetti, e dalla storia e dalla cultura chene influenzano i vissuti. L’influenza sullasalute della stratificazione sociale è chia-ra da un punto di vista descrittivo, ed èben documentato come ogni indicatoredi posizione sociale sia capace di predi-re la salute; ma i diversi indicatori utiliz-zati sono solo dei proxy equivalenti diuna variabile terza, la stratificazionesociale, o parlano di specifiche dimen-sioni della stratificazione sociale di cui sipossa misurare il contributo alle disu-guaglianze di salute, indipendentemente

da quello delle altre? La letteraturarisponde ancora in modo abbastanzareticente, sia per le difficoltà metodolo-giche che questi quesiti sollevano sia percarenza di investimenti di ricerca; lamaggior parte degli studi ricostruisceordinamenti di importanza tra i deter-minanti sociali che sono parziali macoerenti tra loro e che vedono le creden-ziali educative e la classe sociale alprimo posto (con la mancanza di lavoroche sta ancora più in alto in graduatoriama riguarda una platea più ristretta dipopolazione), il reddito e la qualità del-l’abitazione a seguire e gli indicatori dicontesto all’ultimo posto. Se si accettaquesta graduatoria preliminare, si puòipotizzare che le politiche da cui ci sipuò aspettare il maggior contributo alcontrollo delle disuguaglianze di salutesiano quelle capaci di ridurre gli squili-bri sociali nell’accesso a (in ordinedecrescente di importanza) le credenzia-li educative, il lavoro e una posizioneprofessionale adeguata, un livello ido-neo di reddito corrente e accumulato, eappropriati contesti di residenza.

Il secondo meccanismo è quello chefa sì che la posizione sociale e le dispari-tà di risorse influenzino la probabilità diesposizione e la dose di esposizione aifattori di rischio per l’insorgenza di unproblema di salute: fattori psico-sociali,stili di vita insalubri, fattori di rischioesterni, condizioni di suscettibilità/fragi-lità clinica. Il paragrafo precedente hagià messo in luce come l’esposizione allamaggior parte di questi fattori siainfluenzata dalla posizione sociale. Suquesto meccanismo insistono interventie politiche che cercano di ridurre le disu-guaglianze nei fattori di rischio, o perso-nalizzando le azioni di prevenzione, odiscriminando positivamente la fre-quenza e l’intensità delle azioni di pre-venzione verso le basse posizioni sociali.

Il terzo meccanismo è quello secondoil quale la posizione sociale influenza ilgrado di vulnerabilità delle personeesposte all’azione del fattore di rischio,e si può esplicare in tre modi. Il primoè quello secondo cui la bassa posizione

sociale aumenta la suscettibilità all’ef-fetto del fattore di rischio sulla salute, oattraverso una maggiore compromis-sione delle difese immunitarie (ma leevidenze scientifiche in questo sensosono ancora limitate), o attraverso unaminore disponibilità di aiuto nell’af-frontare eventi critici (ad es. lo stresscausato da un evento critico, come laperdita del lavoro, un lutto, una sepa-razione, un pensionamento). Unaseconda via è quella delle limitazioniall’accesso alle opportunità di preven-zione, che possono interrompere laprogressione da uno stato di suscettibi-lità/predisposizione ad un danno allasalute (vaccinazioni, test di diagnosiprecoci). Ed infine, lo svantaggio socia-le può aumentare la velocità di transi-zione da uno stato di malattia concla-mata a un suo esito sfavorevole come ladisabilità o la morte, attraverso un per-corso assistenziale non appropriato ointerrotto. Su questo meccanismo insi-stono due tipologie di azioni, quelle chemirano a ridurre la suscettibilità all’in-sorgenza del problema di salute e quel-le che mirano a ridurre la vulnerabilitàall’aggravamento della storia naturaledi un problema di salute. Gran parte diqueste azioni appartengono alla cate-goria degli interventi di welfare cosid-detti “di iniziativa” (contrapposti aquelli “di attesa”, o “a domanda”), chemirano cioè a cercare attivamente diportare i soggetti suscettibili in unacondizione di minore vulnerabilitàall’esposizione ai fattori di rischio.

L’ultimo meccanismo, relativo alleconseguenze sociali di questi processi,è quello che vede la salute compro-messa retro-agire sulla carriera socialedi una persona; è quanto accade neiprocessi di selezione che, sulla basedella salute compromessa o di suoipredittori importanti (sovrappeso,deficit funzionali, etc.) interromponoo modificano la mobilità sociale,soprattutto quella occupazionale. Maè anche quanto accade quando il con-corso alla spesa per far fronte ad unproblema di salute rende socialmente

302 I determinanti della salute

303Determinanti socio-economici

vulnerabili o fa scivolare nella trappo-la della povertà, innescando storiericorsive di disuguaglianze di salute incui non si sa più cosa sia iniziatoprima, se il danno di salute o la pover-tà. Una volta che questi circuiti viziosimalattia-povertà-malattia si sonoinstaurati, la sede istituzionale cheprende in carico questi gruppi socialiad alto rischio è solitamente quelladell’assistenza sociale degli enti localie del terzo settore. Tra le categorie piùrappresentate si annoverano gli adultiin difficoltà, i bambini e ragazzi difamiglie povere, gli anziani soli pove-ri, gli stranieri immigrati, i disabili, isenza fissa dimora, i reclusi. Su questomeccanismo insistono azioni di pre-venzione di queste conseguenze chevanno elaborate per ogni categoria digruppo a rischio.

La storia così come viene rappresen-tata dallo schema dovrebbe esserecomplicata da almeno altre due dimen-sioni: una è quella del tempo di vita diuna persona, da cui scaturiscononuove relazioni tra risorse, fattori dirischio, salute e conseguenze, relazioniche portano questi effetti a sovrappor-si in modo cumulativo, o ad agire soloin fasi critiche della vita, o a rendersiefficaci solo secondo particolari se-quenze di accadimento. La secondadimensione da aggiungere è quelladella contagiosità di questi effetti trastorie contigue, come ad esempio quel-le di un nucleo familiare: meccanismoper cui l’evento che interessa un mem-bro della famiglia propaga il suo effet-to sul figlio o sul coniuge.

Infine è noto che anche il genere,l’origine etnica e il luogo di residenzapossono giocare un loro ruolo nelledisuguaglianze di salute. In verità lacorrelazione tra genere e disuguaglian-ze sociali di salute è piuttosto com-plessa, perché l’intensità delle disu-guaglianze tra i generi varia al variaredella misura di salute che viene consi-derata. Gli stessi indicatori di posizio-ne sociale hanno una capacità predit-tiva differente tra i generi. Allo stesso

modo particolari gruppi etnici posso-no presentare un profilo epidemiologi-co diversamente vulnerabile alle disu-guaglianze sociali. Viceversa, le disu-guaglianze geografiche di salute sonopiù facilmente interpretabili, e quindiaggredibili, come un riflesso delledisuguaglianze sociali che affliggonogli individui che vi risiedono e dei con-testi che li ospitano; esse dunque rien-trano nelle dimensioni e nelle relazio-ni descritte dallo schema.

L’impatto sulla salute della crisieconomica

Le trasformazioni che attraversanola società e la politica italiana, anchenel contesto dei processi di globalizza-zione e dello sfavorevole ciclo econo-mico, lasciano prevedere un inaspri-mento delle disuguaglianze sociali, icui riflessi si faranno sentire in parti-colare negli indicatori di salute.

Le difficoltà di ripresa dello svilup-po economico tendono a produrremeno ricchezza, ad accentuare ledistorsioni distributive di questa ric-chezza e a rendere più vulnerabile lafamiglia che nel welfare italiano èchiamata a sostenere in modo massic-cio il peso di questi fenomeni.

La recessione dell’economia e la sta-gnazione della capacità d’innovazionedella struttura produttiva del paese haeffetti depressivi sulla produzione delreddito, soprattutto quello da lavoro,in particolare nel settore privato. Inassenza di adeguate misure di sostegnodel reddito, le condizioni materiali diampie fasce di popolazione potrebberopeggiorare e con esse la loro salute.Inoltre la perdita del lavoro induceeffetti sfavorevoli sulla salute anchecon meccanismi psicosociali che nonsono contrastabili solo con un’integra-zione del reddito, ma necessitano diinterventi comunitari che rendonomeno stigmatizzante e socialmentelimitante la perdita del lavoro. Inoltregli effetti redistributivi della crisi, come

osservato in Finlandia durante la reces-sione economica dei primi anni novan-ta, tenderebbero ad allargare le disu-guaglianze, con un ulteriore impattosfavorevole sulla salute.

A questi sviluppi della crisi si affian-cano dinamiche originate dal mercatodei consumi che tende a massimizzare lasegmentazione della clientela. Gli stili divita sono molto legati ai consumi e que-sti all’offerta di prodotti; la pubblicità èla causa prevalente di molti stili di vitadistorti. Oggi i fumatori sono coloro ilcui basso status socioeconomico rendepiù vulnerabili alla dipendenza dafumo, e contemporaneamente all’in-fluenza dei messaggi pubblicitari, espli-citi ed impliciti, diretti o indiretti, dellemultinazionali del tabacco.

Sul piano della famiglia i percorsi dipromozione sociale delle persone sem-brerebbero restringersi, con una mag-giore tendenza alla immobilità sociale(matrimoni tra persone che apparten-gono alla stessa posizione sociale,minore mobilità professionale ascen-dente) che potrebbe peggiorare glieffetti della stratificazione sociale sullasalute. A questo va aggiunto il mag-gior rischio per la salute legato alladisgregazione delle relazioni familiari,che colpisce in particolare le fasce giàsocialmente più vulnerabili.

Il welfare italiano tende a delegarealla responsabilità locale e della fami-glia il compito di ammortizzare glieffetti degli squilibri sociali; ma, senzacambiare le cause che hanno impove-rito alcune comunità, in particolarenel Meridione, è difficile che famiglie ecomunità locali possano trovare, alloro interno, risorse e motivazioni perfar fronte a queste responsabilità, inparticolare in questa sfavorevole con-giuntura economica che impoverisceulteriormente le risorse a disposizione.

In conclusione, la crisi economicalascia prevedere sfavorevoli meccani-smi di impatto sulla salute che tende-rebbero a peggiorare lo stato delle disu-guaglianze sociali di salute nel paese nei

prossimi anni. Tuttavia occorre ricor-dare che spesso le crisi economichesono anche delle “finestre di opportu-nità” che creano le condizioni sociali epolitiche necessarie per intraprenderepolitiche di contrasto delle disugua-glianze più facilmente di quanto sareb-be praticabile in circostanze normali.

Dal punto di vista della sanità que-ste previsioni implicano due ordini diresponsabilità.

Da un lato è necessario che la sani-tà produca e diffonda delle stime suquali sono gli effetti sulle disugua-glianze nella salute che le principalitrasformazioni sociali, economiche epolitiche in atto nel nostro paese pos-sono rivelare o aggravare o moderare;questo significa elaborare un formaleEquity Oriented Health Impact Asses-sment sul tema.

Dall’altro lato occorre rafforzaretutti quegli interventi diretti che l’assi-stenza sanitaria può mettere in campoper moderare gli effetti sfavorevolisulla salute della crisi: il ServizioSanitario Nazionale in ogni suo gan-glio di funzionamento dovrebbe inter-rogarsi su come può mirare meglio isuoi interventi appropriati verso i sog-getti socialmente più vulnerabili.

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