I Corpi Franchi Abruzzesi e Calabresi

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Da V. Ilari, P. Crociani, G. C. Boeri, Storia Militare del Regno Murattiano, Widerholdt Frères, Invorio (NO), 2007, II, pp. 140-49. v. anche CORTESE, Nino, «Corpi e scuole militari dell’esercito napoletano dal 1806 al 1805», in Rassegna storica napoletana, I, 3, 1933, pp. 44-46. D. I corpi franchi abruzzesi e calabresi (1806-08) Il tentativo di impiegare gli armigeri come guide di controguerriglia I successi della resistenza borbonica furono dovuti in massima parte alla scarsa conoscenza del territorio da parte dei francesi, che disponevano di carte approssimative e talora errate e dipendevano dalla collaborazione di guide locali. Poiché quelle occasionali non di rado facevano il doppio gioco, si pensò in un primo momento di avvalersi di volontari locali [es. il battaglione di cacciatori calabresi che il 1° aprile Reynier annunciava di voler creare a Reggio]: ma questi ultimi erano in massima parte gente di città, ignara delle aree impervie in cui si annidavano e si spostavano le bande. Si pensò allora di ricorrere agli armigeri, e il 14 aprile i comandi provinciali furono autorizzati a riunirli in compagnie cacciatori aggregate ai vari reggimenti dell’Armée de Naples. Non risulta però che ne siano state formate, neppure dopo il 14 agosto, quando fu decretata la creazione di due compagnie cacciatori per ciascuna provincia, con la paga dei volteggiatori francesi e l’abito corto delle truppe leggere. Le autorità locali protestarono infatti di non potersi privare degli armigeri, che dal canto loro non gradivano affatto la militarizzazione, e alla fine, con decreto del 30 dicembre, si rinunciò alle compagnie cacciatori, confermando gli armigeri nei compiti tradizionali. Le compagnie franche abruzzesi (5 settembre 1806–26 marzo 1808) Già in settembre, infatti, si era presa la decisione di assoldare le stesse bande che si arrendevano in cambio dell’amnistia, lasciandole sotto il comando dei loro capi, incaricati non solo di fornire le guide alle colonne mobili, ma di svolgere le operazioni di “controbanda”, il metodo più efficace per sconfiggere la guerriglia. Gia il 5 settembre il re accennava a Napoleone di compagnie franche levate nel Cilento; poco dopo informò Masséna

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A Study on military history of Napoleonic Italy

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Da V. Ilari, P. Crociani, G. C. Boeri, Storia Militare del Regno Murattiano, Widerholdt Frères, Invorio (NO), 2007, II, pp. 140-49. v. anche CORTESE, Nino, «Corpi e scuole militari dell’esercito napoletano dal 1806 al 1805», in Rassegna storica napoletana, I, 3, 1933, pp. 44-46.

D. I corpi franchi abruzzesi e calabresi (1806-08)

Il tentativo di impiegare gli armigeri come guide di controguerriglia

I successi della resistenza borbonica furono dovuti in massima parte alla scarsa conoscenza del territorio da parte dei francesi, che disponevano di carte approssimative e talora errate e dipendevano dalla collaborazione di guide locali. Poiché quelle occasionali non di rado facevano il doppio gioco, si pensò in un primo momento di avvalersi di volontari locali [es. il battaglione di cacciatori calabresi che il 1° aprile Reynier annunciava di voler creare a Reggio]: ma questi ultimi erano in massima parte gente di città, ignara delle aree impervie in cui si annidavano e si spostavano le bande. Si pensò allora di ricorrere agli armigeri, e il 14 aprile i comandi provinciali furono autorizzati a riunirli in compagnie cacciatori aggregate ai vari reggimenti dell’Armée de Naples. Non risulta però che ne siano state formate, neppure dopo il 14 agosto, quando fu decretata la creazione di due compagnie cacciatori per ciascuna provincia, con la paga dei volteggiatori francesi e l’abito corto delle truppe leggere. Le autorità locali protestarono infatti di non potersi privare degli armigeri, che dal canto loro non gradivano affatto la militarizzazione, e alla fine, con decreto del 30 dicembre, si rinunciò alle compagnie cacciatori, confermando gli armigeri nei compiti tradizionali.

Le compagnie franche abruzzesi (5 settembre 1806–26 marzo 1808)

Già in settembre, infatti, si era presa la decisione di assoldare le stesse bande che si arrendevano in cambio dell’amnistia, lasciandole sotto il comando dei loro capi, incaricati non solo di fornire le guide alle colonne mobili, ma di svolgere le operazioni di “controbanda”, il metodo più efficace per sconfiggere la guerriglia. Gia il 5 settembre il re accennava a Napoleone di compagnie franche levate nel Cilento; poco dopo informò Masséna della defezione di Sciabolone (Giuseppe Costantini, famoso capo sanfedista ascolano del 1799), ottenuta dal generale di gendarmeria Radet con la promessa dell’amnistia, di terre nel Teramano e del comando di 100 uomini della sua banda, arruolati come guide delle colonne mobili. Sciabolone, che aveva sul capo una taglia di 400 scudi vivo e 300 morto, che il 26 maggio era sfuggito alla cattura travestito da francese, il 1° settembre si era scontrato coi gendarmi e le truppe pontificie (uccidendo loro un ufficiale) e ancora il 9 settembre, aspettando Fra Diavolo, aveva catturato 4 gendarmi, si consegnò il 24 settembre a Teramo e due giorni dopo fu riconosciuto capitano con 150 ducati al mese.

Oltre a questa “compagnia franca di guide degli Abruzzi”, inviata nell’Abruzzo Citra contro i briganti di Penne, con decreto del 29 settembre ne fu istituita una simile delle Calabrie; organizzate come i volteggiatori francesi e pagate come le compagnie scelte provinciali, avevano un’uniforme nera in panno del paese, con mostre rosse e cappello rotondo.

Pochi giorni dopo (5-6 ottobre), la banda a cavallo di Ermenegildo Piccioli salvò la pelle al tenente Rémy Boussard d’Hauteroche, circondato con pochi superstiti a Loreto Aprutino, convincendo le bande Fiori e Dell’Orso a desistere dall’attacco e a passare al servizio francese. Il 27 ottobre, dopo lunghe trattative coi comandanti locali, il generale Partouneaux e il colonnello italiano Soffietti, padre Domizio Iacobucci di Aielli [già frate del convento francescano di Scurcola Marsicana, ideologo del pauperismo populista e valoroso capomassa del 1799] concluse un accordo formale per la consegna di Piccioli [di cui era segretario] e il passaggio del corpo volante borbonico

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al servizio del nuovo re. Apprezzato per la sua eloquenza e per il grande prestigio di cui godeva presso le bande, Iacobucci fu poi impiegato per convincere gli altri corpi volanti del Teramano a deporre le armi. Il 30 ottobre, da Portici, il re comunicava all’imperatore che erano state formate compagnie franche di ex-briganti abruzzesi destinate alla Calabria. Non sappiamo se si riferisse alle compagnie irregolari reclutate di propria iniziativa da alcuni comandanti territoriali (Croce, Imbombo, duca d’Accadia, Pasquarelli e forse altre ancora): fatto sta che queste furono sciolte in epoca imprecisata, probabilmente durante l’inverno 1806-07.

In realtà le bande principali rimasero in Abruzzo, e con decreto N. del 18 dicembre 1806 furono regolarizzate in 3 compagnie franche di volteggiatori abruzzesi, 2 per l’Abruzzo Ultra comandate da Piccioli ma con ufficiali in parte regolari (capitani in 2° Ippolito Gerard e Schmerber, tenenti G. B. Girard, Giuseppe Marinucci, Camillo Del Berto e Carmine Ferri, sottotenenti Giustino Pagani e Agostino Cornacchia) e una di volteggiatori della città dell’Aquila comandata da Raffaele Ricciardi (capitano in 2° Stanislao Trasmonti, tenente Raffaele Cornacchia, sottotenente Nicola Antonucci). Incaricate di “arrestare tutti i perturbatori e vagabondi e mantenere un perfetto ordine negli Abruzzi”, avevano un organico di 120 uomini (inclusi il capitano, 2 tenenti, 1 sottotenente, 1 sergente maggiore, 4 sergenti, 1 foriere, 8 caporali e 2 tamburi) e l’uniforme corto delle truppe leggere [abito e cappotto grigi, con mostre gialle per l’Abruzzo Ultra e verdi per il Citra, bottoni di rame con l’impronta dell’aquila coronata, e cappello rotondo piumato]. In una lettera del 22 dicembre a Napoleone, il re accennava alle somme occorrenti per equipaggiare le compagnie franche: nell’inverno 1806-07 si spesero 8.515 ducati solo per il vestiario.

Nel rapporto del gennaio 1807 il ministro della guerra spiegava che «un assez grand nombre d’individus, après avoir servi parmi les brigands et perdu leurs chefs, soit par les evénéments de la guerre, soit parce qu’ils s’étaient rendus, erraient sans subsistence dans les diverses provinces», e avevano perciò chiesto di passare al servizio del nuovo re. «Bien employés, ces hommes pouvaient être utiles; prêts à se rendre au parti qui voudrait les payer, il était dangereux de les laisser sans moyens de subsistence». Tre compagnie erano state formate dal generale Partouneaux negli Abruzzi, e la loro condotta faceva sperare di poter trarre lo stesso vantaggio da quelle che erano in formazione nelle due Calabrie.

Come abbiamo accennato, alla fine del febbraio 1807 il 2° di linea in marcia per Mantova incorporò 250 briganti abruzzesi, provenienti, a quanto pare, dalle bande controllate da Piccioli: si trattava però di forzati amnistiati, non di volontari regolari. Il 14 marzo furono invece 97 guide della compagnia di Teramo ad ammutinarsi, probabilmente per ritardi nella paga, sequestrando 22 soldati italiani. Domati dalla colonna mobile di Foggia e condotti a Chieti, i superstiti furono divisi in due gruppi e fatti partire in ceppi col pretesto di mandarli in Francia e man mano fucilati lungo la strada fra Popoli e Isernia. Nelle informative per Lamarque del 17 e 24 marzo, Partouneaux attenuava le sue responsabilità, dichiarando di preferire «voir les brigands se prononcer que de rester sans confiance sur leur compte et même dans la crainte» ed elogiava la buona volontà dimostrata da Piccioli, ferito dagli ammutinati, e da tutti gli ufficiali.

La compagnia di Sciabolone, rientrata a Teramo e accasermata al convento del Carmine, fu fatta partire il 13 aprile per Capua: parecchi disertarono per strada e gli altri furono versati nei regolari. L’8 maggio Sciabolone fu incaricato di ricostituire la sua compagnia, ma a fine maggio scoppiò un secondo e più grave ammutinamento, esteso a tutte le compagnie, che furono definitivamente soppresse. Accusato di eccessiva debolezza e condotto al Forte di Sant’Elmo per essere giudicato, Piccioli fu assolto, ma destituito e posto sotto sorveglianza della polizia: sentenza che Partouneaux, mutata opinione su di lui, giudicò troppo mite, convinto che avesse continuato a cospirare. Sciabolone morì a Capua il 26 marzo 1808 di febbre, si disse per l’emozione di aver vinto 2.000 ducati al lotto: fu sepolto con gli onori militari. Nel 1810 due suoi figli, inviati a combattere in Spagna, disertarono rientrando tranquillamente a casa.

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I corpi franchi calabresi (settembre 1806 – aprile 1808)

Alla fine del settembre 1806 Guglielmo Pepe, maggiore della legione provinciale di Calabria Ultra, aveva convinto numerosi insorti della Calabria Ultra ad arrendersi e il 1° ottobre Luigi Dani, già alfiere del Reggimento Alemagna, era stato incaricato di organizzarli in 4 compagnie ausiliarie. Il 1° novembre Masséna aveva incaricato Pepe e il colonnello Arcovito di reclutare due corpi franchi nelle due province calabresi. In gennaio Arcovito aveva già riunito a Catanzaro 250 ex-briganti: tra gli ufficiali troviamo il tenente Luigi Scalfaro.

Subentrato al maresciallo nel comando delle Calabrie, il 19 dicembre il generale Reynier scriveva da Monteleone al ministro della guerra che le compagnie franche che Masséna aveva cominciato a formare erano molto utili, più idonee dei francesi ad operare alla macchia; quel tipo di gente, aggiungeva, era meglio averlo a favore che contro. Dumas gli rispose al riguardo il 9 gennaio e poi, nelle sue memorie, dette proprio a Reynier la responsabilità di aver lasciato cadere i corpi franchi. Effettivamente fu Reynier, il 3 marzo 1807, a sciogliere le compagnie cacciatori cosentini formate da Masséna, amalgamandole con gli armigeri locali in una compagnia territoriale distribuita tra i distretti e articolata su 13 squadriglie di 9 uomini, di cui una a cavallo: analoga compagnia, ma composta solo da armigeri, fu contemporaneamente costituita nella Calabria Ultra ed entrambe furono poi regolarizzate con decreto N. 106 del 6 aprile. Il 16 aprile i due corpi franchi furono contratti a compagnie di 120 uomini (di cui 9 a cavallo) sotto il comando degli stessi ufficiali (capitano e 3 tenenti), colla solita uniforme corta delle truppe leggere (blu con paramani e colletto rossi, bottoni bianchi con impresse le cifre reali coronate, cappello rotondo con falda rivoltata e pennacchio blu e rosso). In giugno Reynier chiese il trasferimento di Pepe; la compagnia di Arcovito fu invece impiegata al blocco di Cotrone e nell’aprile 1808 fu incorporata come 6a compagnia nel battaglione cacciatori di montagna [v. infra].

L’ammutinamento della compagnia Longo (aprile-maggio 1808)

La seconda compagnia calabrese era stata formata a Castrovillari da Giovanni Longo, amnistiato dal comandante del distretto (Foulon, del Reggimento Isembourg), con l’autorizzazione di Desvernois, il quale descrive nelle sue memorie l’arrivo a Lagonegro, “a tambur battente e a testa alta”, dei calabresi: erano 86, inclusi 40 reclute esentate dal sorteggio di leva nei loro comuni. Al loro passaggio la gente sbarrava porte e finestre; per precauzione Desvernois li fece acquartierare nella stessa caserma del Reggimento La Tour d’Auvergne. Con Longo andò poi a caccia: gli occhi del “feroce assassino” brillavano di gioia a riassaporare la vecchia vita e parlava con entusiasmo delle belle coltellate che aveva tirato e delle imprese compiute alla testa della sua comitiva. Desvernois ne fece rapporto al ministro, che ai primi di maggio trasferì la banda a Salerno per meglio controllarla: furibondo per il regime di sorveglianza speciale cui era sottoposto, Longo istigò i suoi uomini a disertare, promettendo di raggiungerli in Basilicata per riprendere il brigantaggio. Informato che 60 cacciatori avevano scalato il muro della caserma, il comandante divisionale fece subito arrestare Longo, che l’indomani fu trovato in piazza, impiccato senza processo. Quanto ai disertori, 50 furono ripresi nel giro di una settimana, gli ultimi 10 si costituirono. Sedici furono condannati alla galera, 18 congedati e 16 graziati. Disciolta la compagnia, i 52 rimanenti furono dispersi fra differenti reggimenti.

E. I Cacciatori di montagnadel Principato Citra (1806-09)

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Le compagnie franche del Principato Citra (ott. 1806- genn. 1807)

Come abbiamo visto già il 5 settembre 1806 il re aveva accennato alla leva di un corpo franco nel Cilento. Il reparto venne formalmente istituito il 4 ottobre a Lagonegro col nome di “compagnia franca di guide della Divisione della Terra di Lavoro”, sotto il comando di Gerardo Curcio di Polla (“Sciarpa”), altro famoso capo sanfedista e ras del Vallo di Diano, che il 4 marzo aveva disobbedito all’ordine del comando borbonico di difendere la stretta di Campestrino e si era poi guadagnato la protezione dei generali francesi per la sua «grande influence dans le pays» [si diceva, però, che avesse comprato la libertà coi 30.000 ducati che la regina Carolina sembra gli avesse dato per organizzare la resistenza]. Composta da 3 ufficiali (capitano Gerardo Curcio, tenente Vincenzo Curcio, sottotenente Vincenzo Trasmontone, 5 sergenti, 1 foriere, 8 caporali, 81 guide e 2 tamburi, la compagnia aveva la stessa uniforme delle guardie provinciali della Terra di Lavoro, ma con ghette di cuoio e cappello a falda rovesciata.

Dopo la resa di Maratea, ai cui difensori era stato eccezionalmente riconosciuto lo status di legittimi combattenti, i capi principali furono convocati a Lagonegro da Lamarque, che li accompagnò poi a Napoli da Saliceti. Il ministro espresse loro l’ammirazione del re per i prodi, fedeli ed umani difensori di Lauria, Dino e Maratea, invitandoli ad entrare al suo servizio col grado di capitano e il comando delle proprie bande. Il 7 gennaio Curcio fu nominato tenente colonnello ispettore delle 8 compagnie franche del Principato Citra, istituite con decreto del 26 col nome di “cacciatori di montagna” e un organico di 980 teste, più gli ufficiali: le compagnie 2a-8a erano comandate dai capitani Raimondo Sampietro, Vincenzo Guariglia, Pasquale de Rosa [ras e capomassa del Vallo di Diano], Nicola Tommasini [già capitano regolare, poi capomassa delle Valli di Sant’Angelo nel 1799 e capo nel 1806 della compagnia di Sicignano degli Alburni], Rocco Stoduti, Antonio Guariglia e Guglielmo Lauria. Fra i tenenti troviamo Antonio Gugliotti e Luigi Costa di Eboli [già municipalista repubblicano e poi sanfedista, ma rivale di Curcio, parente del corsaro borbonico Vincenzo Costa]. In realtà i veterani di Maratea formarono solo 5 compagnie, due delle quali rimasero presto senza capitano, perché Rocco Stoduti fuggì in Sicilia col fratello Francesco, mentre Antonio Guariglia fu deportato a Fenestrelle, dove rimase detenuto sino al 1814.

La riunione in corpo autonomo (4 maggio - 13 ottobre 1806)

Le compagnie dovevano operare aggregate ai reggimenti regolari, ma il 4 maggio Francesco Pignatelli Strongoli propose di riunirle in un battaglione autonomo inquadrato da ufficiali di linea. «Curcio – scriveva il generale – ha sotto i suoi ordini 400 uomini fra soldati veterani, briganti di opinione ma convertiti, ed assassini. Essi sono comandati da ufficiali di tutte e tre le predette classi, il cui numero è di dieci. Lo spirito generale del corpo è di voler servire bene purché sieno pagati e vestiti. A me pare che si debba trar partito da questa gente, tanto perché sono in numero che il loro sbandamento potrebbe divenir funesto, che perché ci riconosco parte degli elementi di una formazione di corpo». Il generale Lanchantin riferiva però da Campagna, il 15 maggio, che i cacciatori di montagna commettevano eccessi. In un successivo rapporto il capobattaglione del 10e de ligne Jean Thomas sostenne che, per organizzarle in corpo autonomo, occorreva trasferire le compagnie all’estero, non essendo possibile disciplinarle se restavano nel paese. Il 13 ottobre si proponeva inoltre di sostituire 5 ufficiali che, pur riconosciuti “fedeli”, non si ritenevano adatti a comandare nella linea, cioè i capitani Sampietro [il quale non era stato brigante], De Rosa e Tommasini, il tenente Antonio Gugliotti e il f. f. di sottotenente Luigi Frajna [«aggraziato di diversa origine»]. Da notare che il documento non faceva cenno dell’arresto, avvenuto il 7 settembre, di De Rosa, con l’accusa di aver partecipato all’omicidio di un impiegato degli equipaggi militari.

Il battaglione cacciatori di montagna (21 dic. 1807-6 aprile 1808)

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Si decise infine di organizzare il battaglione a Salerno, dove furono riunite le 5 compagnie e da dove si segnalava, l’11 novembre, che i cacciatori “vessavano” la popolazione e avevano avuto 46 disertori, refrattari al nuovo regime disciplinare. Il 21 dicembre fu stabilito un organico di 460 uomini; in gennaio gli effettivi erano 327. Il conte Stanislas de Girardin, che li vide allora a Persano, scrisse nelle sue memorie di viaggio che erano «très bien abillés» e con «l’air très militaire». Autonomi rimasero i 50 cacciatori franchi del Principato Ultra aggregati al battaglione corso di stanza ad Avellino [rapporto al re del ministro della guerra, 25 gennaio 1808]. Il 6 aprile furono invece aggregate al battaglione le due compagnie franche calabresi, portando gli effettivi a 548 uomini.

Desvernois, comandante della subdivisione di Lagonegro, scriveva in aprile che il battaglione aveva ricevuto un’organizzazione regolare ed era impiegato per sorvegliare il tratto cilentino e lucano (tra Campestrino e Morano) della strada consolare per la Calabria: «son personnel est bien composé, n’a jamais attiré aucune plainte, et son commandant est digne à tous égards de la confiance du gouvernement du roi». Furono proprio i cacciatori di montagna a scortare la moglie di Desvernois, venuta da Napoli a raggiungere il marito.

L’incorporazione del battaglione nel 1° leggero (1809)

Il 1° agosto 1808 il battaglione era a Polla, con 475 effettivi, inclusi 22 ufficiali e 29 malati ed esclusi 188 (7 ufficiali) delle compagnie franche di Avellino e della Calabria, per un totale di 663 (29). Al 1° settembre gli effettivi delle 7 compagnie erano 657, aumentati il 1° ottobre a 762, inclusi 33 ufficiali con 15 cavalli. Il 20 agosto il tenente Ferrara passò quartiermastro alla legione provinciale di Salerno. Il 7 dicembre Murat chiese conto a Saliceti dei ritardi nel soldo dei cacciatori di montagna, dislocati a Lagonegro; bisognava pagarli, sia perché erano “bella gente”, sia per non indurli in tentazione di riprendere la vecchia vita da brigante. Al 14 gennaio 1809 il battaglione, dislocato nel Vallo di Diano e inquadrato nella 2a Divisione (Avellino), aveva 506 effettivi, ridotti in aprile a 498 (inclusi 23 ufficiali).

Il 24 aprile il battaglione fu inquadrato nella Divisione Compère, schierata in difesa costiera tra Salerno e i Campi Flegrei. In giugno era a Nocera, dove ricevette 200 fucili; nell’ordine di battaglia del 7 luglio figura con 488 effettivi, il 19 era a Licola insieme agli svizzeri. Colpito di trovare nella situazione mensile che il corpo aveva ben 8 uomini in congedo, il 5 agosto il re chiese spiegazioni a Lacroix.

Il 30 giugno il re comunicava al ministro Reynier di aver accordato a Curcio di mutare il colore delle nuove uniformi, scegliendo il panno bianco o blu a seconda della convenienza di prezzo; mantenendo però la foggia delle truppe leggere (abito corto e shako), dal momento che, almeno per ora, non intendeva versare i cacciatori di montagna in un corpo regolare («n’étant point dans ce moment-ci dans l’intention de l’incorporer»). Dopo il ritiro delle forze anglo-siciliane Murat mutò tuttavia idea e il 22 agosto, nonostante il parere contrario del generale Lanchantin, scrisse al ministro e al capo di stato maggiore di trasferire i cacciatori di montagna, sotto scorta di una divisione cannoniere, a Gaeta, per ricostituire il III battaglione del 1° leggero, catturato a Ischia dagl’inglesi. Con decreto del 25 agosto i cacciatori furono incorporati in blocco nel 1° leggero, tranne il quartiermastro Colin, trasferito al 4° di linea. I cacciatori da montagna erano al 1° settembre 540: rinforzato dai convalescenti del 1° leggero, al 31 dicembre il III/1° leggero ne aveva 812. Curcio ne rimase comandante sino al 1812, quando fu collocato in congedo.

La decisione d’incorporare il battaglione Curcio in un reggimento regolare non implicava la rinuncia ai corpi franchi: il 31 agosto il re scrisse infatti a Ferrier, comandante militare del Principato Citra, che intendeva formare due nuovi battaglioni da montagna con le bande Scarola e

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Lorenzulo che avevano dato del filo da torcere alle forze di sicurezza interna e suscitato la sua ammirazione. Ma il 6 settembre, melius re perpensa, Murat abbandonò il progetto.