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20 ottobre 2003 Federico Tassinari I CONFERIMENTI E LA TUTELA DELL’INTEGRITA’ DEL CAPITALE SOCIALE 1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE La legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, ha ritenuto di ribadire, nella disciplina dei conferimenti sia nelle società azionarie, sia nelle società a responsabilità limitata, la centralità della nozione di capitale sociale e l’attualità della funzione da esso svolta, in conformità alla tradizione dei principali ordinamenti europei e, per quanto riguarda le società azionarie, degli attuali vincoli di diritto comunitario. Essa, in tal modo, ha ritenuto di non aderire all’impostazione tendente al suo superamento, affermatasi negli ultimi venti anni negli Stati Uniti d’America ( 1 ), dove alla rigidità della nozione di capitale sociale, e alla conseguente elaborazione di regole di comportamento per amministratori e soci fondata su un parametro rigido ed astratto, si è preferita l’elaborazione di regole fondate su parametri mutevoli e concreti, derivanti dal rapporto tra mezzi propri ed indebitamento, con conseguente elaborazione di una disciplina alternativa, svincolata dal rispetto di un limite espresso mediante cifra fissa ed avente direttamente per oggetto il comportamento tenuto dagli amministratori nel compimento dei singoli atti di gestione dell’impresa. In questa sede, non essendo possibile compiere alcuna valutazione di confronto tra il modello europeo ed il nuovo modello americano ( 2 ), conviene soffermarsi sulla disciplina dettata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, attuativo della predetta legge delega, in materia di conferimenti, ed in particolare sulle modificazioni introdotte in tema, con efficacia a partire dal 1° gennaio 2004, nel codice civile italiano. L’analisi all’uopo compiuta consentirà di verificare se le novità introdotte siano in grado di attribuire all’istituto del capitale sociale, nella fedeltà alla nozione tradizionale e storicamente affermatasi nei codici europei ( 3 ), una flessibilità e una ricchezza di contenuti che possano, nel dibattito che si sta sviluppando sul piano comparatistico e che ha già interessato le istituzioni della Comunità europea ( 4 ), rilanciare la nozione stessa e ribadirne il valore centrale al servizio della certezza del diritto. La nozione di capitale sociale che esce dalla riforma, invero, non deve essere intesa come il punto di arrivo di un dibattito che, per quanto già delineato nei suoi termini estremi e contrapposti, appare, 1 ) Cfr., per alcune sintetiche osservazioni introduttive riguardanti il diritto societario americano, W. BURNHAM, Introduction to the law and legal system of the United States, West Group, 1999 (II ed.), soprattutto p. 532 ss. (Business law); per un primo approfondimento del diritto societario, L.D. SOLOMON – A.R. PALMITER, Corporations, Aspen Law and Business, 1999. 2 ) Cfr. L. ENRIQUES – J. MACEY, Raccolta di capitale di rischio e tutela dei creditori : una radicale critica alle regole europee sul capitale sociale, in Riv. Soc., 2002, p. 78 ss.; per alcune immediate perplessità in merito alla impostazione sopra prospettata, cfr., invece, F. DENOZZA, A che serve il capitale? (Piccole glosse a L.Enriques – J.R. Macey, Creditors versus Capital Formation: The Case Against the European Legal Capital Rules), in Giur. Comm.., 2002, I, p. 585 ss. . 3 ) Per alcune valutazioni storiche generali in tema di capitale sociale negli ordinamenti dell’Europa continentale, v. G.B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Riv. Soc., 1993, p. 3 ss. e M.S. SPOLIDORO, voce Capitale sociale in Enc. Dir. (agg.), IV, 2000. 4 ) Modern Regulatory Framework for Company Law in Europe: Final Report of the High Level Group of Compeny Law Experts, pubblicato il 4 novembre 2002 (disponibile su www.europa.eu.int/comm/internal_market/en/company/company/modern/index.htm); cfr. anche, per una visione diacronica dello studio, Consultative Document elaborato, su incarico della Commissione delle Comunità europee, dal predetto gruppo di sette esperti denominato “High level Group of Company law Experts” del 4 settembre 2001 (soprattutto, paragrafo 3.3.). Per considerazioni più generali in tema, v. G. ROSSI – A. STABILINI, Virtù del mercato e scetticismo delle regole:appunti a margine della riforma del diritto societario, in Riv. Soc., 2003, p. 1 ss..

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20 ottobre 2003

Federico Tassinari

I CONFERIMENTI E LA TUTELA DELL’INTEGRITA’ DEL CAPITALE SOCIALE 1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE La legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, ha ritenuto di ribadire, nella disciplina dei conferimenti sia nelle società azionarie, sia nelle società a responsabilità limitata, la centralità della nozione di capitale sociale e l’attualità della funzione da esso svolta, in conformità alla tradizione dei principali ordinamenti europei e, per quanto riguarda le società azionarie, degli attuali vincoli di diritto comunitario. Essa, in tal modo, ha ritenuto di non aderire all’impostazione tendente al suo superamento, affermatasi negli ultimi venti anni negli Stati Uniti d’America (1), dove alla rigidità della nozione di capitale sociale, e alla conseguente elaborazione di regole di comportamento per amministratori e soci fondata su un parametro rigido ed astratto, si è preferita l’elaborazione di regole fondate su parametri mutevoli e concreti, derivanti dal rapporto tra mezzi propri ed indebitamento, con conseguente elaborazione di una disciplina alternativa, svincolata dal rispetto di un limite espresso mediante cifra fissa ed avente direttamente per oggetto il comportamento tenuto dagli amministratori nel compimento dei singoli atti di gestione dell’impresa. In questa sede, non essendo possibile compiere alcuna valutazione di confronto tra il modello europeo ed il nuovo modello americano (2), conviene soffermarsi sulla disciplina dettata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, attuativo della predetta legge delega, in materia di conferimenti, ed in particolare sulle modificazioni introdotte in tema, con efficacia a partire dal 1° gennaio 2004, nel codice civile italiano. L’analisi all’uopo compiuta consentirà di verificare se le novità introdotte siano in grado di attribuire all’istituto del capitale sociale, nella fedeltà alla nozione tradizionale e storicamente affermatasi nei codici europei (3), una flessibilità e una ricchezza di contenuti che possano, nel dibattito che si sta sviluppando sul piano comparatistico e che ha già interessato le istituzioni della Comunità europea (4), rilanciare la nozione stessa e ribadirne il valore centrale al servizio della certezza del diritto. La nozione di capitale sociale che esce dalla riforma, invero, non deve essere intesa come il punto di arrivo di un dibattito che, per quanto già delineato nei suoi termini estremi e contrapposti, appare, 1 ) Cfr., per alcune sintetiche osservazioni introduttive riguardanti il diritto societario americano, W. BURNHAM, Introduction to the law and legal system of the United States, West Group, 1999 (II ed.), soprattutto p. 532 ss. (Business law); per un primo approfondimento del diritto societario, L.D. SOLOMON – A.R. PALMITER, Corporations, Aspen Law and Business, 1999. 2 ) Cfr. L. ENRIQUES – J. MACEY, Raccolta di capitale di rischio e tutela dei creditori : una radicale critica alle regole europee sul capitale sociale, in Riv. Soc., 2002, p. 78 ss.; per alcune immediate perplessità in merito alla impostazione sopra prospettata, cfr., invece, F. DENOZZA, A che serve il capitale? (Piccole glosse a L.Enriques – J.R. Macey, Creditors versus Capital Formation: The Case Against the European Legal Capital Rules), in Giur. Comm.., 2002, I, p. 585 ss. . 3 ) Per alcune valutazioni storiche generali in tema di capitale sociale negli ordinamenti dell’Europa continentale, v. G.B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Riv. Soc., 1993, p. 3 ss. e M.S. SPOLIDORO, voce Capitale sociale in Enc. Dir. (agg.), IV, 2000. 4 ) Modern Regulatory Framework for Company Law in Europe: Final Report of the High Level Group of Compeny Law Experts, pubblicato il 4 novembre 2002 (disponibile su www.europa.eu.int/comm/internal_market/en/company/company/modern/index.htm); cfr. anche, per una visione diacronica dello studio, Consultative Document elaborato, su incarico della Commissione delle Comunità europee, dal predetto gruppo di sette esperti denominato “High level Group of Company law Experts” del 4 settembre 2001 (soprattutto, paragrafo 3.3.). Per considerazioni più generali in tema, v. G. ROSSI – A. STABILINI, Virtù del mercato e scetticismo delle regole:appunti a margine della riforma del diritto societario, in Riv. Soc., 2003, p. 1 ss..

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allo stato, ancora embrionale ed immaturo, ma, al contrario, deve essere intesa come il tentativo, nel rispetto dei vincoli comunitari attualmente esistenti al riguardo, in forza della seconda direttiva comunitaria in materia societaria del 1976 (direttiva 77/91/CEE, applicabile ai tipi azionari, ma non alle s.r.l.) (5), di dettare una disciplina moderna e, per certi aspetti, nuova dell’istituto del capitale sociale. Il tema del capitale sociale coinvolge strettamente, da parte sua, quello, al quale pure converrà dedicare qualche osservazione in conclusione dell’analisi del primo, dell’opportunità di un’adeguata capitalizzazione della società, sotto il profilo sia formale (ovvero riferito all’ammontare del capitale nominale rispetto all’insieme dei mezzi finanziari utilizzati per l’esercizio dell’impresa), sia sostanziale (ovvero riferito all’insieme dei c.d. mezzi propri, costituiti da capitale e riserve, rispetto all’insieme dei mezzi finanziari utilizzati per l’esercizio dell’impresa), con particolare considerazione del complesso dei rimedi e degli incentivi che l’ordinamento giuridico appresta per garantire la capitalizzazione medesima. 2. I PRINCIPI DETTATI DALLA LEGGE DELEGA Nell’affrontare lo studio della nuova disciplina dei conferimenti, l’interprete, come noto, non può limitarsi alla considerazione delle norme del codice civile, così come modificate dal d.lgs. 6/2003. La natura di legge delegata di quest’ultimo provvedimento e la presenza, in materia, di importanti vincoli di diritto comunitario, derivanti dall’emanazione della citata seconda direttiva comunitaria, impongono all’interprete stesso di operare un continuo confronto tra le nuove norme introdotte nel codice civile e, da un lato, i principi della legge delega, dall’altro, le norme della direttiva comunitaria, il cui tenore potrà svolgere un ruolo non secondario al fine di orientare tra le possibili alternative letture di ciascuna singola norma codicistica (6). Dai principi dettati in tema dalla legge delega conviene quindi prendere le mosse. L’art. 3 comma 2 lettera c) prima parte della l. 366/2001 ha richiesto al legislatore, come principio e criterio direttivo applicabile alle s.r.l., di “dettare una disciplina dei conferimenti tale da consentire l’acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale, a condizione che sia garantita l’effettiva formazione del capitale sociale; consentire ai soci di regolare l’incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali”. Lo stesso art. 3 comma 2 alla lettera d) ha richiesto altresì al legislatore, sempre nell'ambito delle s.r.l., di "semplificare le procedure di valutazione dei conferimenti in natura nel rispetto del principio di certezza del valore a tutela dei terzi". L’art. 4 comma 5 della stessa l. 366/2001, a proposito delle società azionarie, ha precisato che la normativa dettata in sede di attuazione della legge delega deve essere diretta non solo a “dettare una disciplina dei conferimenti tale da consentire l’acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale, a condizione che sia garantita l’effettiva formazione del capitale sociale” (lettera a, prima parte), ma anche a “consentire ai soci di regolare l’incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali” (lettera a, seconda parte) e a “semplificare le procedure di valutazione dei conferimenti in natura, nel rispetto del principio di certezza del valore a tutela dei terzi” (lettera b). 5 ) In tema di seconda direttiva, cfr., in Italia, La seconda direttiva CEE in materia societaria, a cura di L. Buttaro e A. Patroni Griffi, Milano, 1984. 6 ) Caratteristica fondamentale del diritto comunitario, che ne qualifica il rapporto con il diritto nazionale, è il "primato" (primauté) che le norme comunitarie rivestono rispetto alle norme interne con esse contrastanti, sia precedenti e sia successive, e a prescindere da quale ne sia il rango. Il principio del primato è stato recepito nel nostro ordinamento solo dopo un travagliato iter intellettuale i cui passi salienti possono individuarsi nelle celebri sentenze della Corte di Giustizia, "Costa" (Causa 6/64, sentenza 15 luglio 1964) e "Simmenthal" (Causa 106/77, sentenza 9 marzo 1978) e della Corte Costituzionale, "Frontini" (sentenza 27 dicembre 1973, n. 183), "Industrie Chimiche" (sentenza 30 ottobre 1975, n. 232) e "Granital" (sentenza 8 giugno 1984, n. 170), e che hanno portato ad affermare l'applicazione immediata delle norme comunitarie (purchè rispondano ai requisiti individuati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia ai fini dell'attribuzione dell'effetto diretto, indipendentemente dalla qualificazione formale dell'atto) e l'inapplicabilità al rapporto controverso della norma interna confliggente. Cfr., più estesamente sul punto, G. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2001, p. 157 ss..

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La disciplina attuativa di tali principi e criteri direttivi, identici sia per il tipo s.p.a., sia per il tipo s.r.l., a seguito dell’emanazione del d.lgs. 6/2003, si trova contenuta, per le s.r.l., nei nuovi artt. 2464, 2465 e 2466 c.c., mentre, per le società azionarie, si trova contenuta nei nuovi artt. 2342, 2343, 2343-bis, 2344 e 2346 comma 5 c.c. . L’intera legge delega, inoltre, deve leggersi a sua volta, come già anticipato, alla luce della normativa comunitaria contenuta nella seconda direttiva in materia societaria del 1976 che, come già accennato, pone alcuni precisi limiti ai legislatori nazionali nella disciplina dei conferimenti per quanto concerne le prime società, mentre lascia piena libertà agli stessi legislatori per quanto concerne le seconde. Ne consegue che, a fronte dell’identico principio contenuto negli artt. 3 comma 2 lettera c) e 4 comma 5 lettera a) prima parte della legge delega, l’analitica previsione per le società azionarie delle due successive norme di cui all’art. 5 comma 5 lettera a) seconda parte e lettera b) si può spiegare unicamente come la ricerca, da parte del legislatore delegante, di taluni specifici aspetti della disciplina dei conferimenti nelle società azionarie stesse suscettibili di essere semplificati senza violare il vincolo comunitario. Nelle s.r.l. quest’esigenza non esisteva, e la sola norma generale di cui all’art. 3 comma 2 lettera c) l. 366/2001 poteva considerarsi sufficiente al fine di consentire al legislatore delegato di introdurre, relativamente ai conferimenti, ogni semplificazione ritenuta opportuna. Così, in materia di società azionarie, il legislatore delegato è intervenuto, in tema, con le nuove norme contenute nell’art. 2342 comma 2 nuovo testo c.c. (che ha previsto la facoltà di limitare al 25% del loro ammontare, anziché ai tre decimi, il versamento presso banca dei conferimenti in danaro sottoscritti in sede di atto costitutivo), nell’art. 2346 comma 5 (secondo cui “in nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale”) e negli artt. 2343 c.c. (le cui modificazioni sono strumentali all’attuazione del principio di cui alla lettera b della legge delega, ad eccezione del periodo finale, espressione invece, al pari dell’art. 2346 comma 5 citato, del principio dettato alla lettera a, seconda parte) e 2343-bis c.c. . In materia di s.r.l, invece, il legislatore delegato, consapevole, si deve ripetere, dell’assoluta mancanza di vincoli comunitari, ha ritenuto di attribuire ai principi dettati in materia dal legislatore delegante quell’ampiezza che solo la presenza dei predetti vincoli ha impedito di attribuire ai principi (letteralmente identici) dettati per le società azionarie. Egli, conseguentemente, ha dettato una disciplina che, per quanto attentamente coordinata, stante la medesima funzione giuridica da attribuire al capitale sociale nei diversi tipi (7), con quella più restrittiva delle società azionarie, risulta ricca di nuovi spunti e di nuove soluzioni. Alla luce di tali considerazioni, è dunque opportuno affrontare i principali aspetti della nuova disciplina dei conferimenti, senza peraltro rinunciare, come si vedrà subito, a rinvenire alcuni spunti ricostruttivi proprio attraverso la disciplina dettata per il tipo sociale diverso da quello per il quale la singola norma è di volta in volta dettata. 3. I CONFERIMENTI IN DENARO E L’INTEGRITÀ DEL CAPITALE SOCIALE 3.1. Sottoscrizione e versamento dei conferimenti in denaro. Anche a seguito dell’entrata in vigore della riforma, la regola rimane quella secondo cui, “se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro” (art. 2342 comma 1 nuovo testo c.c. per la s.p.a. ed art. 2464 comma 3 nuovo testo c.c. per la s.r.l.) (8). In tema di disciplina dei conferimenti in denaro, si assiste innanzitutto, fermo l’obbligo di versare contestualmente alla sottoscrizione l’intero soprapprezzo eventualmente previsto e fermo quanto si dirà per il caso di società azionaria o a responsabilità limitata con unico socio, al superamento della

7 ) In queste note la funzione del capitale sociale deve darsi per presupposta, tenendo conto dei risultati cui sembra pervenuta la più recente dottrina, che negano l’esistenza di una funzione unica, sottolineando l’idoneità dell’istituto a svolgere contemporaneamente tre distinte funzioni, rispettivamente “garantistica”, “produttiva” ed “organizzativa”. 8 ) Con riguardo alla ragione e al significato di tale previsione, v. V. BUONOCORE, Le società. Disposizioni generali, in Codice Civile, Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 2000, p. 64.

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regola attualmente vigente secondo cui occorre procedere, sempre contestualmente alla sottoscrizione, al versamento di almeno i tre decimi del relativo ammontare presso una banca, divenendo sufficiente il versamento del venticinque per cento di tale ammontare. a modificazione nasce da considerazioni di “competitività” tra ordinamenti e tipi sociali (9). Trattandosi di un vincolo per l’autonomia privata a tutela di un interesse generale (10), il legislatore delegato, consapevole che il venticinque per cento dell’ammontare costituisce il limite minimo invalicabile per le società azionarie in base alla seconda direttiva comunitaria, dispone, con una vera e propria “race to the bottom”, l’abbassamento del limite dei tre decimi attualmente esistente per le società azionarie allo scopo di non penalizzare l’ordinamento italiano rispetto agli ordinamenti nazionali comunitari già allineati su tale percentuale (11); per non penalizzare o premiare il tipo della società a responsabilità limitata rispetto ai tipi azionari, poi, lo stesso legislatore delegato, pure in assenza di qualsiasi vincolo comunitario per le società non azionarie, allinea la disciplina in tema per tutte le società di capitali. Resta ferma, previa opportuna ricollocazione sistematica del precetto nell’art. 2342 nuovo testo c.c., comma 2 seconda parte e comma 4 (per le società azionarie), e nell’art. 2464 nuovo testo c.c., commi 4 e 7 (per le s.r.l.), in caso di società con un solo socio fondatore, l’attuale disciplina che prescrive il versamento, contestualmente alla sottoscrizione, dell’intero ammontare del conferimento e, in caso di venir meno della pluralità dei fondatori successivamente alla costituzione della società, l’obbligo di eseguire i versamenti ancora dovuti entro novanta giorni. La ratio dell’imposizione di un obbligo di versamento contestualmente alla sottoscrizione consiste, secondo l’opinione accolta dalla dottrina pressochè pacifica (12), nel garantire la serietà dell’impegno da parte di ciascun socio, al fine di evitare che il complesso meccanismo di costituzione della società di capitali sia messo in moto in assenza di quella determinazione da parte di ciascun socio sottoscrittore che solo un immediato esborso può testimoniare. La normativa in oggetto, conseguentemente, sancirebbe l’obbligo di una sorta di caparra confirmatoria ex lege, posta nell’interesse generale e non soltanto dei soci paciscenti, con conseguente imperatività della relativa prescrizione. La riforma del diritto societario, tuttavia, avendo per la prima volta espressamente previsto, nei nuovi artt. 2346 comma 5 c.c. (per la s.p.a.) e 2464 comma 1 c.c.(per la s.r.l.), come meglio si vedrà in appresso, che il singolo socio può eseguire un conferimento di valore inferiore al capitale da lui sottoscritto, purchè la differenza negativa sia colmata dal conferimento eseguito da un altro socio per un importo eccedente il valore nominale della relativa partecipazione, consente, per la prima volta, di ipotizzare che il versamento minimo previsto dalla legge per i conferimenti in denaro possa essere eseguito anche soltanto da uno o più soci sottoscrittori, o da tutti i soci sottoscrittori non in proporzione alla sottoscrizione di capitale da ciascuno di essi eseguita, dal momento che ogni diversa conclusione apparirebbe priva di logica di fronte al nuovo permissivo disposto dei citati artt. 2346 comma 5 e 2464 comma 1 c.c. (la possibilità di utilizzare parte del proprio conferimento per liberare la quota di un altro socio postula, in altre parole, la possibilità di utilizzare parte del proprio versamento obbligatorio per liberare il versamento obbligatorio di un altro socio) (13).

9 ) Cfr. F. TASSINARI, in C. CACCAVALE – F. MAGLIULO, - M. MALTONI – F. TASSINARI, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2003, p. 10 ss. . 10 ) Serietà dell’impegno assunto dal sottoscrittore più che garanzia dell’effettività del capitale sociale, con valore di “caparra confirmatoria” ex lege; cfr. infra nel testo. 11 ) La prescrizione dell’obbligo di versamento di almeno un quarto del conferimento in denaro (Geldeinlage) contestualmente alla sottoscrizione è dettata, per le società azionarie tedesche (Aktiengesellschaften), dal §. 36a Absatz 1 della legge azionaria tedesca (AktG, del 6 settembre 1965 e successive modificazioni). 12 ) P. ABBADESSA, Le disposizioni generali sulle società, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 16, Torino, 1985, p. 33 s.; F. DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1999, p. 151 ss. . 13 ) Come puntualmente osservato in dottrina (F. PLATANIA, in M. BERTUZZI – T. MANFEROCE – F- PLATANIA, Società per azioni. Costituzione, patti parasociali, conferimenti, in La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2003, p. 163), l’obbligo del versamento resta tuttavia personale ed incompatibile con un’operazione cumulativa, dal momento che, ai sensi dell’art. 2331 comma 4 nuovo testo c.c. (richiamato per le s.r.l. dall’art. 2463 u.c.

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3.2. Conferimenti in denaro in s.r.l. e stipulazione di polizza di assicurazione o fideiussione bancaria. Razionalizzando un’indicazione legislativa recentemente introdotta nell’ordinamento (14), non ancora operativa per mancata emanazione della prescritta normativa di attuazione, e superando, seppure solo in parte, le gravi oscurità ad essa connesse (15), l’art. 2464 c.c. comma 4 secondo periodo consente, limitatamente alla s.r.l., per evitare ai soci un’immobilizzazione anche solo temporanea di denaro liquido, che il versamento contestuale alla sottoscrizione e presso banca del venticinque per cento dell’ammontare dei conferimenti in danaro (o dell’intero conferimento in caso di società unipersonale) e, se previsto, dell’intero soprapprezzo sia sostituito “dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri”. La stipula di polizza o fideiussione sostituisce, dunque, il versamento e, per tale ragione, svolge una funzione non solo di garanzia, ma anche solutoria (16). Tale forma di agevolazione, per la sua eccezionalità, non è applicabile, in assenza di ogni analoga previsione nell’art. 2342 comma 2 nuovo testo c.c., alle società azionarie, anche in considerazione del vincolo comunitario posto in materia dalla seconda direttiva. La scelta del legislatore, così ricondotta la polizza assicurativa o la fideiussione bancaria nel proprio corretto ambito, sostitutivo del versamento obbligatorio minimo previsto dalla legge, e non anche del residuo versamento, della sottoscrizione o, addirittura, del capitale, appare pienamente condivisibile, anche in un contesto, quale quello complessivamente emergente dalla riforma, in cui tra momento della sottoscrizione dell’atto costitutivo e momento dell’iscrizione della società nel registro delle imprese è destinato a trascorrere uno spazio temporale di pochi giorni soltanto; sostituendo l’immobilizzazione delle somme di denaro, si elimina infatti uno degli ostacoli per una corretta capitalizzazione formale delle società a responsabilità limitata e si allinea la materia societaria al dinamismo e alle attuali caratteristiche del mercato dei capitali. La polizza (17) o la fideiussione (18), infatti, garantiscono il corretto adempimento, per il corrispondente importo (che deve essere pari almeno al venticinque per cento del relativo importo, aumentato dell’intero soprapprezzo se previsto), dell’obbligazione pecuniaria assunta dal socio a

nuovo testo c.c.), la banca deve conoscere nominativamente coloro che sono creditori alla restituzione in caso di mancata iscrizione della società nel termine di legge. 14 ) Si tratta dell’art. 6 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, il cui testo è il seguente: “La sottoscrizione del capitale delle società per azioni, delle società in accomandita per azioni e delle società a responsabilità limitata può essere, in tutto o in parte, sostituita dalla stipula di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria. Le forme di equivalenza tra polizza o fideiussione stipulate e capitale sottoscritto, in quanto fondo di garanzia e parametro operativo sono determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Sono esclusi da questa facoltà le banche e gli altri enti e società finanziari indicati nell’articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, e successive modificazioni, nonché le imprese di assicurazione”. Tale precetto deve intendersi tacitamente abrogato, ex art. 15 preleggi, per effetto dell’entrata in vigore della legge delegata di riforma del diritto societario, in quanto successiva e destinata a regolare l’intera materia in oggetto. Su tale norma, v., comunque, G.B. PORTALE, Dal capitale “assicurato” alle “tracking stocks”, in Riv. soc., 2002, p. 146 ss.; cfr. anche F. DIAFERIA, Art. 6, l. 383/2001: nuove disposizioni per la sottoscrizione del capitale sociale, in Società, 2001, p. 1435 ss.; B. IANNIELLO, Commento a Manovra “100 giorni”: le novità di maggior rilievo in materia fiscale e societaria, in Società, 2001, p. 1515 ss. . 15 ) La principale perplessità consiste nella facoltà, testualmente ammessa dalla disposizione, di sostituire non solo il “versamento”, ma la stessa “sottoscrizione del capitale sociale”. 16 ) In tale senso, marcando in tale modo una fondamentale differenza tra polizza e fideiussione sostitutive del versamento pecuniario ex art. 2464 comma 4 e polizza e fideiussione a garanzia del conferimento d’opera o di servizi ex art. 2464 comma 6 c.c., v. G. FERRI jr, Il conferimento “documentario”, in Riv.not., 2002, p. 1367 ss., e R. ROSAPEPE, Commento…, cit., p. 28 ss. . 17 ) Per un approfondimento sulla polizza fideiussoria, cfr. N. CIACCIA, Le polizze fideiussorie, in Nuova giur.civ.comm., 2002, p. 329 ss. . 18 ) Per un approfondimento ed una lettura critica dell’istituto, alla luce delle possibili funzioni di garanzia e solutoria attribuibili alla fideiussione in oggetto, v. G. FERRI jr., Il conferimento…, cit., p. 1367 ss. .

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titolo di conferimento, e, quindi, devono avere una durata determinata in relazione al termine di adempimento dell’obbligazione pecuniaria stessa (19). Ne consegue che “il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fideiussione con il versamento del corrispondente importo in denaro”, presso banca ove la società non sia ancora iscritta nel registro delle imprese, presso le casse sociali negli altri casi (è presumibile che, nella pratica, tale versamento avverrà esclusivamente nel momento in cui scadrà la fideiussione o la polizza oppure il denaro liquido deve essere utilizzato per le esigenze di spesa della società). Le stesse polizza e fideiussione, infine, non essendo finalizzate a garantire l’integrità del capitale sociale, ma soltanto quell’effettività dell’impegno di sottoscrizione del socio che costituisce per comune interpretazione, come sopra precisato, la ratio della vecchia normativa in materia di versamento dei tre decimi dell’importo dei conferimenti in danaro, saranno rette dalla normativa comune applicabile a tali istituti, e non richiederanno necessariamente la previsione di clausole “a prima richiesta e senza eccezioni” (20). La vicenda fisiologica del rapporto obbligatorio, considerata come regola dal legislatore, sarà invero l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria direttamente da parte del socio e la conseguente restituzione della garanzia da parte della società. L’utilizzazione, nell’art. 2464 comma 4 secondo periodo nuovo testo c.c., dell’avverbio “almeno” conferma la piena legittimità di una garanzia che copra una somma eccedente l’importo minimo obbligatorio per legge (venticinque per cento del capitale sociale e intero ammontare dell’eventuale soprapprezzo, salvo il caso, già accennato, della società unipersonale). In ogni caso, ove la garanzia non copra l’intero ammontare del conferimento eseguito, per l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria relativa alla residua parte (fino al massimo del settantacinque per cento del suo ammontare) unico obbligato verso la società resta il socio conferente, con possibilità di applicazione, in caso di inadempimento, della disciplina in tema di socio moroso (per le s.r.l., art 2466 nuovo testo c.c.). L’eventualità poi che, per qualsiasi motivo, polizza o fideiussione rilasciate ai sensi della norma in commento siano scadute o divengano inefficaci prima che l’obbligazione pecuniaria del socio sia adempiuta, ha suggerito al legislatore, nell’art. 2466 ultimo comma nuovo testo c.c., di equiparare tale circostanza all’inadempimento della stessa obbligazione pecuniaria di conferimento, con conseguente applicazione, nei termini fissati dal nuovo articolo, della disciplina dettata in tema appunto di socio moroso (21). 4. INTERESSE DEI SOCI ALLA VALUTAZIONE DELLA PARTECIPAZIONE ED INTERESSE DEI TERZI ALL’INTEGRITÀ DEL CAPITALE SOCIALE 4.1. Conferimento, soprapprezzo e valore nominale della partecipazione. Ai sensi del nuovo testo dell’art. 2464 comma 1 c.c., in tema di s.r.l., “il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale”; allo stresso modo, ai sensi del nuovo testo dell’art. 2346 comma 5 c.c., in tema di società per azioni, “in nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale” (22).

19 ) In caso di prestazione da parte di un socio di tale polizza o fideiussione, sarà pertanto opportuno che l’atto costitutivo preveda espressamente un termine dell’obbligazione pecuniaria di conferimento compatibile, ovvero non superiore, alla durata della garanzia offerta. 20 ) Sembra, anzi, che si debba altresì dubitare del fatto che eventuali previsioni nel senso da ultimo ipotizzato nel testo possano essere richieste, a tutela della società conferitaria, con lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dall’art. 2464 comma 4 nuovo testo c.c., dal momento che quest’ultima fonte normativa, essendo di rango secondario, non può operare in contrasto con la ratio del provvedimento legislativo cui deve dare esecuzione. 21 ) In tema, v. R. ROSAPEPE, Commento…, cit., p. 31, ove, a fronte delle permanenti incertezze del dato normativo anche nella legge di riforma, si ipotizza un’interpretazione restrittiva dello stesso che ne esclude la s.r.l. unipersonale. 22 ) Non sembra meritevole di particolare sottolineatura la mancata riproduzione, nell’art. 2464 comma 1 c.c., dell’espressione “in ogni caso”, che introduce l’analogo precetto di cui all’art. 2346 comma 5 c.c., dal momento che

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Tali precetti, applicabili, in quanto genericamente riferiti al conferimento, sia in sede di costituzione della società sia in sede di successivo aumento del capitale sociale a pagamento, presuppongono che, anche in sede di atto costitutivo, sia legittima la previsione di un soprapprezzo, come peraltro si può testualmente desumere, per la s.p.a., dall’art. 2343 comma 1 nuovo testo c.c. e, per la s.r.l., dall’inciso finale dell’art. 2465 comma 1 nuovo testo c.c. (in tema di contenuto della relazione giurata di stima in caso di conferimento di bene in natura o di credito) e, soprattutto, dall’art. 2464 comma 4 primo periodo (che, relativamente allo stesso soprapprezzo, prevede in ogni caso l’obbligo di versamento integrale fin dalla sottoscrizione). Il significato della norma contenuta nei citati art. 2464 comma 1 e 2346 comma 5 c.c. può cogliersi attraverso un’opportuna valorizzazione dell’avverbio “complessivamente” e dell’aggettivo “globale”. Dal momento che la norma è posta a presidio esclusivamente dell’interesse dei terzi all’integrità del capitale sociale, e non intende condizionare in alcun modo l’autonomia contrattuale dei soci in sede di stipulazione dell’atto costitutivo, è necessario concludere, proprio grazie agli anzidetti elementi lessicali, che nella nuova società a responsabilità limitata, così come nelle nuove società azionarie, non sussiste più un principio analogo a quello codificato nell’attuale art. 2346 c.c., secondo cui ciascun conferimento deve coprire almeno il valore della parte di capitale sottoscritta dal conferente (il solo nuovo testo dell’art. 2468 comma 2 c.c., come si vedrà in seguito, non consentirebbe di per sé di ritenere derogabile l’attuale regola di cui all’art. 2346 c.c.). La norma di cui all’art. 2346 comma 5 nuovo testo c.c., d’altra parte, non sembra, relativamente alle società azionarie, neppure in contrasto con l’art. 8 comma 1 della seconda direttiva comunitaria in materia societaria (“le azioni non possono essere emesse per un importo inferiore al loro valore nominale o, in mancanza di questo, al valore contabile”). Infatti, non vi è alcuna plausibile ragione per interpretare una norma palesemente posta a tutela dell’integrità del capitale sociale, e quindi nell’interesse dei terzi, in maniera tale da imporre il rispetto del precetto che vieta l’emissione delle azioni sotto il valore nominale o contabile, oltre che relativamente a ciascuna emissione azionaria complessivamente considerata (come richiesto altresì dal nuovo art. 2346 comma 5 c.c.), anche con riferimento all’emissione a favore di ciascun singolo socio o, addirittura, fondandosi sul solo dato letterale, con riferimento all’emissione di ciascun titolo azionario. E’ evidente, in altre parole, che ciò che interessa alla norma comunitaria è che, a fronte di ciascuna emissione azionaria, vi sia la copertura del relativo valore nominale o contabile, non essendovi difficoltà ad ammettere che, ove la sottoscrizione avvenga da parte di più soci, alcuni di essi, fermo il rispetto del limite complessivo anzidetto, possano utilizzare il soprapprezzo versato da altri soci per coprire l’eccedenza del valore nominale delle proprie azioni rispetto al conferimento da essi stessi eseguito. Il capitale sociale deve restare un istituto a tutela della certezza del diritto e dell’interesse dei terzi, e non deve in alcun modo diventare una ingiustificata camicia di forza per l’autonomia privata. 4.2. Applicazioni. Anche alla luce di quest’ultima considerazione, l’apertura all’autonomia privata che deriva dalla normativa introdotta con la riforma appare assolutamente significativa, potendosi ipotizzare, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 6/2003, la piena legittimità, in ciascuna società di capitali, di sovrapprezzi non proporzionali, di sovrapprezzi utilizzati per coprire parte del capitale attribuito ad un altro socio il cui conferimento non risulta all’uopo capiente e, ancora, di contratti di società stipulati secondo lo schema dell’art. 1411 c.c. (contratto a favore di terzo), in cui solo uno o più soci eseguono il conferimento necessario per la formazione dell’intero capitale sociale.

l’utilizzazione di tale espressione si giustifica in ragione del collegamento che il legislatore della riforma ha voluto porre tra il precedente comma dell’art. 2346 stesso e quello in esame. Sul tema, comunque, cfr. R. ROSAPEPE, Commento art. 2464, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, vol. 3, p. 24.

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L’atto costitutivo, più in generale, può prevedere che, a fronte di conferimenti eguali, spettino partecipazioni percentuali diverse al capitale sociale, così come che, a fronte di conferimenti diversi, spettino partecipazioni eguali. Non si ravvisano al riguardo limitazioni per l’autonomia privata, neppure alla luce del divieto del c.d. patto leonino (codificato nell’art. 2265 c.c., applicabile letteralmente alle sole società di persone, ma espressione, come già oggi pacificamente ritenuto in dottrina, di un principio generale applicabile a tutte le società) (23): tale divieto, infatti, deve valutarsi esclusivamente con riferimento al rapporto tra ammontare della partecipazione al capitale sociale del socio (da un lato), ed entità dei diritti sociali e della partecipazione al rischio di impresa del medesimo (dall’altro), a prescindere dal conferimento eseguito da ciascuno dei soci e, più in generale, da ogni vicenda che si colloca a monte dell’acquisizione della partecipazione stessa (24). Alla luce di tale nuova normativa, quindi, lo strumento societario acquista duttilità e diviene idoneo a realizzare, senza necessità di ricorrere a complicati e non sempre affidabili patti parasociali, svariati assetti patrimoniali voluti dai soci, tra i quali:

- la possibilità di fare sì che uno o più soci che eseguono c.d. conferimenti “atipici” (25), ovvero non agevolmente valutabili dall’esperto e non imputabili a capitale sociale per l’importo corrispondente al valore attribuito dai soci stessi, possano imputare alla propria quota di capitale una parte dei conferimenti eseguiti dagli altri soci, in modo da garantire nel contempo la tutela dell’integrità del capitale e il rispetto degli equilibri unanimamente voluti dai soci stessi;

- la possibilità di eseguire attraverso l’atto costitutivo di una s.r.l., secondo un meccanismo tenuto presente dallo stesso legislatore nell’art. 743 c.c., una liberalità non donativa da parte di un socio a favore di uno o più altri. 5. LE “ENTITÀ” SUSCETTIBILI DI CONFERIMENTO 5.1. La differente formulazione normativa tra s.r.l. e s.p.a. Mentre per le s.r.l. il nuovo art. 2464 comma 2 c.c. ha cura di precisare che “possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica” (26), per le società azionarie il nuovo testo dell’art. 2342 c.c. non introduce in tema una norma analoga, pure in presenza dell’identico principio generale dettato, come si è visto, dal legislatore delegante. Viceversa, la regola dettata dall’attuale art. 2342 comma 2 secondo periodo c.c., secondo cui le azioni corrispondenti ai conferimenti “in natura e di crediti…devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione”, attuativa del vincolo imposto dall’art. 9 comma 2 della direttiva comunitaria 77/91/CEE (che, per la verità, si limita ad imporre, per tutti i “conferimenti non in contanti”, che la liberazione avvenga entro cinque anni dalla “costituzione della società o da quando essa ha ottenuto l’atto autorizzante”), oltre che essere testualmente confermata nel nuovo art. 2342 comma 3 c.c. in materia di società azionarie, viene ripetuta senza alcuna modificazione nel nuovo art. 2464 comma 5 c.c. in tema di conferimenti “in natura e di crediti” di s.r.l. . L’interprete, in prima lettura, può trovarsi in difficoltà, non riuscendo a comprendere per quale motivo:

- una volta ripetuto per le s.r.l. il precetto di cui all’attuale art. 2342 comma 2 secondo periodo c.c., non sia stata dettata anche per le società azionarie, in assenza di vincoli comunitari impeditivi

23 ) In tema, v. N. ABRIANI, Il divieto del patto leonino. Vicende storiche e prospettive applicative, Milano, 1994. 24 ) In tale senso M. MALTONI, in C. CACCAVALE – F. MAGLIULO – M- MALTONI – F. TASSINARI, La riforma della società a responsabilità limitata, cit., p. 160. 25 ) L’espressione, in Italia, è impiegata per la prima volta da G. PORTALE, I conferimenti in natura “atipici” nella s.p.a. . Profili critici, Milano, 1974. Essa non deve essere confusa con l’utilizzazione del termine, riscontrabile in alcune sentenze, anche di legittimità (cfr., per tutte, Cass. 14 dicembre 1998, n. 12539), con riferimento ai “versamenti in conto capitale”. 26 ) La dottrina (cfr., per tutti, G. FERRI jr, Investimento e conferimento, Milano, 2001, soprattutto p. 366) ritiene che la valutazione della suscettibilità di valutazione economica, nell’ottica, prima ancora che del legislatore interno, dell’art. 7 della II direttiva comunitaria, debba avvenire su base oggettiva, e non soggettiva.

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(cfr. art. 7 direttiva 77/91/CEE), la regola secondo cui possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica; oppure

- una volta che si è rinunciato ad estendere quest’ultima regola anche alle società azionarie, si sia poi ripetuto per le s.r.l., anche qui in assenza di vincoli comunitari, il precetto di cui all’attuale art. 2342 comma 2 c.c., che richiede per tutti i conferimenti in natura e di crediti l’immediata integrale liberazione fin dal momento della sottoscrizione. L’interprete deve cercare di superare tali perplessità attraverso una più approfondita lettura delle norme in questione, senza mai perdere di vista le norme vincolanti (per le società azionarie) dettate in tema di conferimenti dalla seconda direttiva comunitaria. L’ipotesi di lettura che si propone è la seguente:

a) il precetto di cui agli attuali art. 2342 comma 2 seconda parte c.c. (e art. 2464 comma 5 seconda parte c.c.), secondo cui le azioni (e le quote) emesse a fronte dei conferimenti in natura e di crediti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione, non è idoneo a selezionare le entità suscettibili di essere conferite in società di capitali, perché altrimenti la sua presenza nella nuova disciplina delle s.r.l. sarebbe incompatibile con il permissivo disposto dell’art. 2464 comma 2 nuovo testo c.c., ma opera esclusivamente sul piano delle modalità attraverso le quali tali entità, la cui ammissibilità deve essere di volta in volta ricavata da altre norme e da altri principi, devono essere conferite;

b) il precetto di cui all’art. 2464 comma 2 nuovo testo c.c., secondo cui possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica non è stato riprodotto per le società azionarie, pure in presenza di un esplicito invito in tal senso da parte del legislatore delegante, perché il legislatore delegato ha temuto, anche alla luce della lettura che dell’art. 2342 comma 2 secondo periodo attuale ha dato una parte autorevole della dottrina italiana (27), di prendere una posizione così netta in una materia coperta, come più volte ricordato, da vincolo comunitario, preferendo rimettere all’interprete (e, se capiterà l’opportunità, alla Corte di Giustizia delle Comunità europee) la soluzione di ogni questione, anche al fine di non sconfessare l’operato del legislatore del d.lgs. 30/1986, che attuò a suo tempo in Italia la più volte citata seconda direttiva comunitaria all’insegna del rigore (28). Oggi tuttavia, grazie all’argomento ricavabile dalla lettura sistematica sopra prospettata, e grazie anche al mutato clima culturale (più sensibile, anche in una logica di competizione tra gli ordinamenti e tra i tipi sociali all’interno di ciascun ordinamento, alla piena manifestazione dell’autonomia privata anche in materia societaria, e, per converso, consapevole della necessità di ancorare ogni norma inderogabile alla tutela di precisi interessi generali), l’interprete può giungere a conclusioni più aperte in merito alle entità suscettibili di conferimento. Più precisamente, la norma secondo cui tutte le azioni e quote emesse a fronte di conferimenti in natura e di crediti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione ha un ambito oggettivo vasto per vincolo comunitario (si applica, relativamente almeno alle società azionarie, a tutti i conferimenti “non in contanti”: cfr. art. 9 comma 2 direttiva 77/91/CEE), ma una portata precettiva relativamente circoscritta; essa, infatti, si limita a richiedere, a seconda della sensibilità dell’interprete, che, fin dal momento della sottoscrizione, la titolarità del diritto conferito sia trasferita alla società per effetto del consenso legittimamente manifestato dalle parti (29), oppure,

27 ) F. DI SABATO, Manuale della società, Torino, 1992, p. 279 ss.; A. BORGIOLI, I conferimenti in natura e di crediti, Firenze, 1987, p. 218 ss.; A. PISANI MASSAMORMILE, Conferimenti in s.p.a. e formazione del capitale, Napoli, 1992, soprattutto p. 87 ss. . 28 ) D.p.r. 10 febbraio 1986, n. 30, in particolare art. 5; cfr., per un commento, M.S. SPOLIDORO, Commento all’art. 5 d.p.r. 10 febbraio 1986, n. 30, in Nuove leggi civ. comm., 1988, p. 28. 29 ) In tale senso, G.B. PORTALE, Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà, in Riv.soc., 1970, p. 913 ss.; R. WEIGMANN, Riflessi civilistici della seconda direttiva attuata, in Giur. piemontese, 1987, p. 265. Che quella in oggetto fosse l’interpretazione da preferire secondo i componenti della commissione D’Alessandro incaricata di redigere il progetto di decreto attuativo della Seconda direttiva comunitaria è espressamente ammesso da C. ANGELICI, Diritto delle società e attuazione della seconda Direttiva C.E.E. Inquadramento della direttiva negli ordinamenti dei Paesi C.E.E., in Riv.dir.civ., 1988, I, p. 558.

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più incisivamente (ma sempre operando riguardo alle modalità del conferimento e non al suo oggetto), che il diritto stesso sia “messo a disposizione” della società, attraverso consegna o, trattandosi di entità immateriale, attraverso ogni comportamento necessario per garantire alla società l’immediata utilizzazione economica del conferimento fin dal momento in cui viene eseguita la sottoscrizione medesima (si pensi all’ipotesi di conferimento di azienda, di brevetto industriale, di know-how, ecc.) (30); per contro, non si può in alcun modo interpretare la norma in maniera tale da ritenere in contrasto con essa ogni tipo o modalità di conferimento che lasci sussistere in capo al socio conferente una o più obbligazioni attuali o anche solo eventuali (c.d. tesi della necessità della liberazione delle azioni o quote uno actu fin dal momento della sottoscrizione), dal momento che la permanenza di obbligazioni in capo al socio che conferisce beni in natura o crediti è testualmente prevista, già prima della riforma, da alcune norme dello stesso codice, applicabili per richiamo espresso a tutte le società di capitali, quali ad es. l’art. 2255 c.c., in tema di garanzia della solvenza del debitore ceduto, a cui è tenuto il socio conferente diritti di credito, o l’art. 2254 c.c., in tema di garanzia per evizione, a cui è tenuto il socio che abbia invece conferito beni in natura; conseguentemente, l’interprete non potrà utilizzare la norma in oggetto per escludere l’ammissibilità, per le società azionarie (prima della riforma, per tutte le società di capitali), di conferimenti di diritti personali di godimento, di diritti di usufrutto, di brevetti, di diritti su opere dell’ingegno, ma anche, in quanto si tratti di due tipi di conferimento non riconducibili alla nozione vietata di “opera” o “servizi” (31), di know-how, di posizioni contrattuali o di obbligazioni di non fare). 5.2. La nozione di “elemento dell’attivo suscettibile di valutazione economica”. In tema di entità suscettibili di conferimento, dunque, come si desume dallo stesso art. 2464 comma 2 nuovo testo c.c., l’unico limite di portata generale riguarda, per vincolo comunitario (nelle società azionarie) ex art. 7 primo periodo direttiva 77/91/CEE, la circostanza che l’entità che si intende conferire sia un “elemento dell’attivo suscettibile di valutazione economica”. Come già ampiamente chiarito dalla dottrina italiana (32), è irrilevante che l’elemento in questione sia suscettibile anche di essere autonomamente assoggettato ad espropriazione forzata, dal momento che la garanzia che il capitale sociale deve offrire ai creditori sociali è di tipo giuridico-contabile e non materiale. L’unico limite specifico, in aggiunta a quello generale sopra evidenziato, in tema di entità suscettibili di conferimento riguarda, soltanto per le società per azioni, conformemente al vincolo posto in tale senso dall’art. 7 secondo periodo della direttiva 77/91/CEE, “impegni di esecuzione di lavori o di prestazione di servizi” (33). Il tenore letterale di quest’ultima norma comunitaria consente all’interprete di affermare che, in assenza di una tale norma specifica di divieto, anche il conferimento avente per oggetto queste prestazioni di fare rientrerebbe comunque nella nozione di “elemento dell’attivo suscettibile di valutazione economica”: ne consegue che, al di fuori del divieto dettato per le società azionarie, l’inammissibilità del conferimento in oggetto non potrebbe essere argomentata dall’impossibilità di

30 ) In tale senso, C. ANGELICI, op.cit., p. 557 ss.; G. OLIVIERI, I conferimenti in natura nella società per azioni, Padova, 1989. 31 ) In tema, cfr. oltre nel testo. 32 ) La tesi secondo cui ogni entità conferita deve essere suscettibile di espropriazione forzata è sostenuta, in Italia, riprendendo e sviluppando alcuni spunti della dottrina nel vigore dell’abrogato codice di commercio (soprattutto Vivante e Salandra) da E. SIMONETTO, Responsabilità e garanzia nel diritto delle società, Padova, 1959. La stessa tesi, nella sua versione più “moderna”, è sostenuta da G. OLIVIERI, op.cit., soprattutto p. 202 ss., che fa perno sulla possibilità che, anche attraverso l’eventuale vendita in blocco dell’azienda sociale, si addivenga al “recupero” del valore dell’entità conferita in società. Sul tema, da ultimo, v. R. ROSAPEPE, Commento…, cit., p. 26 s., ove, a testimonianza del definivo superamento di ogni concezione “reale” del conferimento stesso, si sottolinea come, nella riforma, scompaia ogni riferimento ai “beni”, sostituito dal riferimento agli “elementi” o ai “valori”. 33 ) In merito alle ragioni di tale norma comunitaria, cfr. A. PISANI MASSAMORMILE, op.cit., p. 105 ss.; G. OLIVIERI, op.cit., p. 202 ss. .

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iscrivere un valore nell’attivo dello stato patrimoniale oppure di procedere ad una corretta stima del valore dell’impegno assunto (34). Chiarito quanto sopra, resta da stabilire se l’espressione utilizzata dal legislatore nell’art. 2464 comma 2 nuovo testo c.c. (e nella legge delega con riferimento non solo alla s.r.l., ma anche alla s.p.a.) richieda, per ammettere il conferimento di una determinata entità, un solo requisito (la suscettibilità di valutazione economica, in un’ottica oggettiva, corrispondente alla comune coscienza sociale, al pari di quanto stabilito per la prestazione obbligatoria in generale dall’art. 1174 c.c.), oppure due autonomi requisiti (quello anzidetto oltre alla possibilità di iscrivere l’importo attribuito al conferimento nell’attivo dello stato patrimoniale). Sia la formulazione degli artt. 2423 ss. c.c., ed in particolare dell’art. 2423-ter comma 3 c.c. (vecchio e nuovo testo), sia la nuova espressa previsione dell’art. 2464 comma 6 c.c. in tema di conferimento d’opera o di servizi (35), inducono a preferire la prima conclusione, ritenendo che le regole comunitarie e nazionali in tema di struttura dello stato patrimoniale e di iscrizione nell’attivo delle relative poste non siano idonee in nessun caso ad escludere l’iscrivibilità in bilancio di “elementi… suscettibili di valutazione economica”. Alla luce della prima normativa, infatti, non sembra, nonostante l’atteggiamento rigoroso assunto in passato da una parte della dottrina, che le regole in tema di formazione dell’attivo dello stato patrimoniale (comunitarie e nazionali) siano per loro natura idonee a giustificare, nell’ambito delle entità suscettibili di valutazione economica, una qualsiasi selezione tra entità iscrivibili ed entità non iscrivibili, dal momento che la funzione delle regole in materia di bilancio non è quella di circoscrivere l’autonomia privata, bensì, esclusivamente, quella di bene rappresentarla sotto il profilo contabile-giuridico (36). Alla luce della seconda normativa, invece, l’espressa previsione del conferimento della prestazione d’opera o di servizi (37), ovvero di quella ipotesi che maggiori perplessità aveva sollevato ai fini dell’iscrizione nell’attivo dello stato patrimoniale, conferma, a maggior ragione, l’iscrivibilità di ogni altra entità conferibile, in quanto suscettibile di oggettiva valutazione economica. In definitiva, l’espressione normativa (comunitaria e nazionale) “elemento dell’attivo” sottolinea soltanto l’ovvia considerazione che l’entità conferita deve rappresentare una voce attiva e non passiva, ovvero, detto in altri termini, una posizione soggettiva a contenuto positivo e non negativo. 5.3. Mancata attuazione del conferimento in natura e tutela dell’integrità del capitale sociale. Le conclusioni raggiunte nel precedente paragrafo 5.1., ed in particolare l’interpretazione data all’inciso normativo secondo cui le quote (e le azioni) emesse a fronte di ogni conferimento di beni in natura o di crediti (“non in contanti”, secondo il linguaggio della seconda direttiva comunitaria) 34 ) L’eventuale difficoltà che può richiedere la valutazione di determinate entità (si pensi agli apporti di know-how) è questione irrilevante per il diritto, da risolvere secondo le indicazioni offerte da altre discipline tecniche. 35 ) In tema, cfr. successivo paragrafo 7. 36 ) V., per riflessioni in tema, seppure prima dell’attuazione in Italia della normativa di cui alla IV direttiva comunitaria in materia societaria, G.B. PORTALE, I “beni” iscrivibili in bilancio di esercizio e la tutela dei creditori nella società per azioni, in Riv. soc., 1969, p. 242 ss.; G.E. COLOMBO, Il bilancio di esercizio. Strutture e valutazioni, Milano, 1987, soprattutto p. 113 ss. . 37 ) L’argomento del testo presuppone, da un lato, che si accolga la tesi (cfr. successivo paragrafo 7) secondo cui il conferimento di cui all’art. 2464 comma 6 c.c. ha direttamente ad oggetto la prestazione d’opera o di servizi e non la polizza o fideiussione, dall’altro che l’espressione stessa di conferimento presupponga la necessaria imputazione a capitale dell’entità apportata alla società. Non manca invero, in dottrina, chi, in nome di una visione del capitale sociale tradizionale e fortemente garantistica per i creditori sociali, ha ritenuto, di fronte al nuovo testo dell’art. 2464 comma 6 c.c., di dovere riproporre anche per le società di capitali, la distinzione tradizionalmente accolta nelle società di persone tra conferimenti di capitale e conferimenti di patrimonio (cfr. F. PLATANIA, in M.BERTUZZI - T. MANFEROCE -F.PLATANIA, Società per azioni. Costituzione, patti parasociali, conferimenti (artt. 2325 – 2345 c.c.), in La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2003, soprattutto p. 182 ss., con qualche considerazione riguardo all’iscrivibilità, nell’attivo del bilancio, di prestazioni d’opera o di servizi relativamente alle società sportive e tra professionisti). In senso contrario, tuttavia, a prescindere dalle difficoltà di ipotizzare un conferimento di patrimonio necessariamente coperto da polizza o fideiussione, sembra sufficiente rilevare come, anche in tema di società di persone, il conferimento a patrimonio e non a capitale delle prestazioni d’opera o di servizi (e delle altre a queste assimilabili) costituisce una conclusione controversa e, comunque, una mera facoltà e non anche un obbligo.

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devono essere integralmente liberate fin dal momento della sottoscrizione, impongono di dedicare qualche riflessione in merito alle conseguenze che l’ordinamento ricollega all’ipotesi di successiva mancata attuazione, per qualsiasi motivo, della prestazione oggetto del conferimento stesso. L’interpretazione accolta (che ammette, con l’eccezione delle prestazioni d’opera o di servizi limitatamente alle società azionarie, il conferimento di qualsiasi entità suscettibile di valutazione economica), infatti, rende più probabile l’eventualità di una mancata attuazione del conferimento in natura, dal momento che la permanenza di obbligazioni in capo al socio conferente anche a seguito dell’avvenuta sottoscrizione, anche oltre le specifiche ipotesi previste dalla legge (garanzia per evizione, per vizi, ecc.), non trova alcun ostacolo nella formulazione degli artt. 2343 comma 3 nuovo testo c.c. e 2464 comma 5 nuovo testo c.c. . Il problema di come garantire l’integrità del capitale sociale in caso di inadempimento da parte del socio conferente beni in natura o crediti, o in caso di altra causa di mancata attuazione della prestazione dovuta alla società (es. perimento del bene conferito in godimento), richiede pertanto l’individuazione di specifiche soluzioni. La dottrina (38), sulla base delle principali esperienze straniere, ha avuto occasione di individuare l’emersione, a livello prima dottrinale, poi giurisprudenziale e, infine, legislativo, in altri ordinamenti, di alcune regole generali, applicabili cioè a prescindere dal tipo di conferimento eseguito, idonee a coinvolgere la responsabilità personale del socio conferente a compensazione della verificatasi mancata attuazione. L’emersione di tali specifiche regole non ha peraltro seguito un percorso né lineare, né univoco; la compiuta individuazione di un sistema di tutela dell’integrità del capitale sociale di fronte ai paventati rischi di mancata attuazione richiederebbe, pertanto, a sua volta, un articolato percorso argomentativo. In questa sede, per rimanere al nocciolo della questione, è possibile affermare: a) la responsabilità della mancata attuazione, totale o parziale, del conferimento in natura ricade sul soggetto che ha eseguito il conferimento in natura in quanto parte contrattuale (del contratto costitutivo della società o del negozio di sottoscrizione) e non in quanto socio; una volta che il conferimento è stato eseguito nel rispetto delle regole all’uopo dettate dal legislatore (e, nelle società azionarie, è stata eseguita la verifica della relazione giurata di stima da parte degli amministratori ex art. 2343 comma 3 nuovo testo c.c.), la partecipazione sociale è “integralmente liberata”, e pertanto idonea a circolare senza coinvolgere alcuna responsabilità del terzo acquirente; b) del tutto ingiustificato sarebbe ogni tentativo di coinvolgere la responsabilità del conferente uti socius, con conseguente applicazione (analogica) della normativa in tema di esclusione del socio moroso per i versamenti in danaro, limitatamente a quelle ipotesi in cui lo stesso sia ancora titolare della partecipazione sociale, non apparendo congruo fare dipendere una soluzione giuridica (la tutela dell’integrità del capitale sociale in caso di mancata attuazione dei conferimenti in natura) da una situazione di fatto (che vi sia stata o meno una cessione della partecipazione); c) la responsabilità del conferente per mancata attuazione del conferimento in natura è una responsabilità personale di tipo contrattuale, che, fin dal momento della sottoscrizione, “si stacca” dalla partecipazione sociale; d) la tutela dell’integrità del capitale sociale coincide con una responsabilità di cui agli artt. 1218 ss. c.c. laddove la mancata attuazione derivi da inadempimento di un’obbligazione o dall’operare di una garanzia legale (39), con conseguente diritto della società ad ottenere il risarcimento del danno subito; e) la responsabilità del conferente per mancata attuazione del conferimento in natura è, in ogni ipotesi di mancata attuazione diversa dall’inadempimento (es. perimento del bene concesso in godimento, il cui rischio, in ossequio al generale principio res perit domino, grava sullo stesso

38 ) In tema, v., per tutti, G.B. PORTALE, Mancata attuazione del conferimento in natura e limiti del principio di effettività del capitale nella società per azioni, in Riv.soc., 1998, p. 1 ss. . 39 ) E’ opinione diffusa in dottrina che la garanzia dovuta per legge da parte del socio conferente non possa essere diminuita o esclusa in applicazione delle norme dettate per la compravendita (cfr. G.B. PORTALE, op.utl.cit., p. 8).

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soggetto conferente e non sulla società), una responsabilità sui generis di tipo oggettivo, che non consente risarcimento del danno, ma solo integrazione del valore perduto; f) in entrambi i casi, il credito che sorge in capo alla società, il cui fatto costitutivo è, per definizione, posteriore rispetto al momento della sottoscrizione, dovrà essere valutato dagli amministratori tenendo conto del presumibile valore di realizzazione (art. 2426 n. 8 c.c.), non potendosi escludere che la vicenda comporti l’insorgere di una minusvalenza, con il conseguente eventuale obbligo di un’operazione di riduzione del capitale sociale stesso per perdite secondo le regole ordinarie proprie di tale istituto. 5.4. Casistica e limitazioni in tema di “entità” suscettibili di conferimento. Le conclusioni raggiunte in tema di integrale liberazione della quota e delle azioni fin dal momento della sottoscrizione consentono di ammettere la piena conferibilità in società a responsabilità limitata (ma, più in generale, salva la specifica limitazione del conferimento d’opera o di servizi, anche per le società azionarie) anche di quelle entità che, pure essendo qualificabili, in una prospettiva contabile (e giuridica ai sensi del nuovo art. 2464 comma 2 c.c.), quali “elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica”, si caratterizzano per la permanenza in capo al soggetto conferente di obbligazioni in senso tecnico ex artt. 1173 ss. c.c. . Nessun ostacolo, più precisamente, dovrà riconoscersi per la piena ammissibilità, nella s.r.l. (ma anche, laddove non si tratti di conferimenti d’opera o di servizi, anche nella s.p.a.) di conferimenti che non solo comportano la permanenza di obbligazioni in capo al soggetto conferente, ma che, più precisamente, comportano la totale coincidenza tra utilità apportata alla società ed assunzione di tale obbligazione (si pensi, per esempio, all’assunzione a titolo di conferimento di obbligazioni di non fare, quali un divieto di concorrenza, un divieto di acquisto o di cessione o un divieto concernente una determinata forma di godimento di un bene, come l’edificazione o la sopraelevazione di un immobile). La questione fondamentale, in merito ai conferimenti anzidetti, consiste nello stabilire se, accogliendosi una nozione ampia del significato giuridico del termine, si tratti di una prestazione di “servizi” assoggettata alla disciplina di cui all’art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c. . Naturalmente, la legittimità di ciascun conferimento di bene in natura o di credito dovrà essere verificata non solo alla luce delle specifiche norme dettate dal legislatore in materia (con la conseguenza, per esempio, che il conferimento del nome da parte di un socio potrà ritenersi legittimo solo laddove, alla luce di tutte le caratteristiche del caso concreto, si possa concludere che il relativo diritto è suscettibile di valutazione economica), ma anche alla luce del diritto comune (con la conseguenza, per esempio, che dovrà considerarsi illegittimo un conferimento del divieto personale di concorrenza per un periodo ultraquinquennale - cfr. art. 2596 c.c. - o un conferimento di un divieto di alienazione non pattuito entro convenienti limiti di tempo -cfr. art. 1379 c.c.). Vi sono tuttavia alcune ipotesi di entità astrattamente suscettibili di conferimento che meritano qualche ulteriore riflessione, dal momento che la relativa legittimità potrebbe apparire dubbia non alla luce delle specifiche norme dettate dal legislatore in tema di conferimenti (trattandosi comunque di utilità iscrivibili nell’attivo dello stato patrimoniale e suscettibili di valutazione economica), e neppure alla luce del diritto comune, bensì alla luce dei tratti tipologici delle società di capitali. L’attenzione può appuntarsi su tre specifiche ipotesi, per le quali può ipotizzarsi un astratto interesse da parte di alcune società: a) assunzione a titolo di conferimento di una responsabilità patrimoniale, per gli effetti di cui all’art. 2740 c.c., illimitata o comunque multipla rispetto al conferimento eseguito o alla partecipazione sottoscritta; b) assunzione a titolo di conferimento dell’obbligazione di non esercitare, oppure esercitare in un determinato prestabilito modo, tutti o alcuni dei diritti sociali spettanti al socio in forza della legge e dell’atto costitutivo;

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c) assunzione a titolo di conferimento dell’obbligazione di non alienare, per un certo periodo di tempo (un’obbligazione permanente violerebbe la regola generale di cui all’art. 1379 c.c.), la propria partecipazione sociale o parte di essa. Per quanto concerne l’ipotesi a), le perplessità circa la sua legittimità derivano dalla nozione stessa di società a responsabilità limitata, così come ribadita dall’art. 2462 comma 1 nuovo testo c.c., secondo cui in tale tipo di società “per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio” e, per le società azionarie, dalla norma di cui all’art. 2325 comma 1 nuovo testo c.c.. Muovendo da tale premessa, può ritenersi che l’ipotesi al vaglio, pure distinguendosi, formalmente ragionando, dall’assunzione di una responsabilità illimitata in capo al socio (non solo laddove è previsto un massimale, ma anche laddove tale massimale non sia previsto, dal momento che il socio, nell’ipotesi di conferimento al vaglio, diventa debitore solo verso la società, e non anche verso i creditori di questa), viola nella sostanza gli interessi a tutela dei quali la norma (tipologica) degli artt. 2325 comma 1 e 2462 comma 1 c.c. è posta, rinvenibili nella necessità di evitare da un lato quell’insidia, comune ai patti usurai e commissori in genere, di confidare nella propria mancata escussione, in quanto evento dipendente da una situazione di insolvenza della società futura ed eventuale, dall’altro di determinare un aggiramento della ratio della norma che impone il versamento immediato di almeno il 25% di tutti i conferimenti in danaro. Pure alla luce della grande flessibilità acquisita dai tipi capitalistici per effetto della riforma, il profilo della limitazione della responsabilità sembra conservare le caratteristiche del tratto tipologico inderogabile, con il conseguente significato di norma materiale del precetto legislativo riferito. Ne consegue, pertanto, che la legge continua a vietare che il socio assuma, attraverso la stipulazione del contratto sociale, una responsabilità personale (non importa se illimitata o, in presenza di un massimale, soltanto multipla rispetto al conferimento eseguito o alla partecipazione sottoscritta) non solo nei confronti dei creditori sociali (es. a titolo di conferimento rispondo quale fideiussore nei confronti di tutti i debiti che, fino ad un determinato importo, la società assumerà nei confronti di una determinata banca), ma anche nei confronti della società stessa (es. a titolo di conferimento mi obbligo, fino ad un limite prestabilito, a versare alla società una somma di denaro pari ad una determinata percentuale dell’esposizione debitoria complessiva risultante dal primo bilancio di esercizio). Per quanto concerne l’ipotesi b), a prescindere da ogni dubbio in merito alla possibilità di considerare tale entità suscettibile di valutazione economica, l’illegittimità dell’ipotizzato conferimento sembra derivare, più che da un preteso principio di indisponibilità in termini astratti del diritto sociale o da una pretesa inammissibilità di una costruzione ad personam del diritto sociale stesso, dal permanente valore di ordine pubblico dell’autonomia tra sfera patrimoniale e sfera organizzativa nell’ambito dell’atto costitutivo della società (e di ogni successiva operazione di aumento del capitale sociale). L’assetto organizzativo di una determinata società di capitali, in altre parole, pure costituendo la diretta conseguenza dell’impegno patrimoniale profuso da parte di ciascuno dei soci nell’iniziativa economica, costituisce, rispetto al momento squisitamente patrimoniale dell’individuazione delle entità conferite da parte dei ciascuno, un posterius, nel senso che solo la precedente definizione delle entità conferite consente la fissazione dei diritti sociali e, più in generale, delle regole organizzative della società. Per quanto riguarda infine l’ipotesi c), sembrano applicabili, a giustificazione anche in questo caso dell’illegittimità della fattispecie, le considerazioni svolte per la precedente ipotesi b), dal momento che anche la partecipazione sociale, come l’organizzazione sociale, costituisce per necessità giuridica un posterius rispetto all’individuazione delle entità conferibili, che della quota di partecipazione stessa costituiscono l’indefettibile presupposto (pure con la flessibilità consentita dai nuovi artt. 2346 comma 5 e 2464 comma 1 c.c.).

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6. LA STIMA DEI CONFERIMENTI DI BENI IN NATURA E DI CREDITI Con il nuovo art. 2465 c.c., il legislatore della riforma ha ritenuto di dettare, con riguardo alla stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti, una autonoma disciplina riguardante le s.r.l, di contenuto semplificato rispetto alla disciplina in tema applicabile alle società azionarie, che resta contenuta negli artt. 2343 e 2343-bis c.c., come modificati dalla riforma in commento (40). L’art. 2465 nuovo testo c.c., più precisamente, intende riunire le norme già dettate dai citati artt. 2343 e 2343-bis c.c. per le società azionarie, ed applicabili alle società a responsabilità limitata in base al richiamo puro e semplice ad esse da parte dell’art. 2476 comma 1 vecchio testo c.c., accentuando le differenze di disciplina rispetto alle società azionarie stesse e, conseguentemente, limitando al minimo i richiami alla disciplina dettata per queste ultime. La nuova disciplina, dunque, deve essere analizzata mettendo in risalto dapprima le novità, rispetto alla attuale disciplina, introdotte per tutte le società di capitali, poi le peculiarità dettate in tema di società a responsabilità limitata rispetto alle società azionarie; ciò, tuttavia, non prima di avere rilevato come le modificazioni normative, in tale materia, siano meno significative rispetto ad altri ambiti della riforma, stante la presenza, in tema, dei penetranti vincoli di diritto comunitario posti, seppure limitatamente alle società azionarie, dalla seconda direttiva comunitaria in materia di società. Sotto il primo profilo, comunque, deve essere segnalata la nuova importante responsabilità che la legge di riforma attribuisce: - all’esperto in caso di conferimento in natura (art. 2343, comma 2, c.c., primo periodo, richiamato per le società a responsabilità limitata dall’art. 2465, comma 3, c.c.); - agli amministratori e all’alienante nel caso di acquisti compiuti in violazione delle norme dettate dall’art. 2343-bis c.c. (art. 2343-bis, comma 5, c.c., richiamato per le società a responsabilità limitata dall’art. 2465, comma 3, c.c.). L’esperto, gli amministratori e l’alienante rispondono (questi ultimi tra loro in solido) per i “danni causati alla società, ai soci e ai terzi”. La responsabilità può assumere titolo contrattuale (nel caso della responsabilità degli amministratori nei confronti della società o dell’esperto nei confronti del socio conferente) oppure extracontrattuale (negli altri casi), con le conseguenze che ne derivano sul piano dell’onere della prova, del termine prescrizionale e dell’entità del danno risarcibile. Dal punto di vista sistematico, a proposito del nuovo regime degli acquisti c.d. “pericolosi” ex art. 2343-bis c.c., non può non rilevarsi (41) come la scelta legislativa di responsabilizzare in termini ampi amministratori e alienante presupponga, per coerenza sistematica, la piena validità ed efficacia dell’atto in tale modo compiuto da parte della società, con definitivo superamento delle tesi a suo tempo prospettate nel senso della nullità o dell’inefficacia dell’atto stesso (42). Sotto il secondo profilo, concernente la distinzione tra società azionarie e a responsabilità limitata, deve essere rilevato che: - pure in presenza di un’identica prescrizione in sede di legge delega (cfr. art. 3 comma 2 lettera d, e art. 4 comma 5 lettera b l. 366/2001), per la società a responsabilità limitata la relazione giurata deve essere eseguita, secondo la formulazione letterale della norma come modificata in sede di

40 ) Secondo R. ROSAPEPE, Commento art. 2465, in La riforma…, cit., p. 36, “la semplificazione…è invero coerente con l’intento del legislatore di creare un tipo societario destinato principalmente alla media e piccola impresa e con costi inferiori a quelli della s.p.a.”. 41 ) La valutazione di cui al testo è fata propria dalla Relazione ministeriale all’art. 2343-bis (il cui ultimo comma, su cui si fondano le osservazioni della Relazione stessa, è richiamato espressamente per la s.r.l.), secondo cui “affermando una responsabilità degli amministratori e dell’alienante per i danni arrecati a seguito della violazione della norma, si chiarisce che da essa non consegue l’invalidità dell’acquisto ed in tal modo, superando un dubbio interpretativo non univocamente fin qui risolto, si rafforza la tutela dei terzi ed assicura che i beni acquisiti non possono essere sottratti, e proprio da chi ha violato la norma, alla loro garanzia”. 42 ) Cfr., per tutti, le tesi riportate in A. PISANI MASSAMORMILE, I conferimenti nelle società per azioni – Acquisti “pericolosi” Prestazioni accessorie – artt. 2342-2345 c.c., Il Codice Civile Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1994, p. 292 ss. .

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seconda e definitiva lettura da parte del Consiglio dei ministri, da parte “di un esperto o di una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili o di una società di revisione iscritta nell’apposito registro albo” (43), e non più designati dall’autorità giudiziaria. Il legislatore della riforma, nella sua discrezionalità ed in considerazione del divieto per la società a responsabilità limitata di qualsiasi appello diretto al pubblico risparmio e di sollecitazione all’investimento posto dall’art. 3 comma 2 lettera g) della legge delega e recepito dal nuovo art. 2468 comma 1 c.c., ha ritenuto di dovere porre l’accento sulla rapidità del procedimento piuttosto che sull’imparzialità dell’esperto. Per converso, per le società azionarie, ribadendo la competenza alla nomina dell’autorità giudiziaria - ora però tribunale, e non più presidente del tribunale - del circondario ove la società conferitaria ha sede, ha inteso prescindere da ogni ulteriore requisito soggettivo, essendo pertanto ammissibile la nomina di esperti che non sono né revisori contabili, né società di revisione; - per la società a responsabilità limitata, stante il mancato richiamo dell’art. 2465 c.c. all’art. 2343, commi 3 e 4 c.c., è soppresso l’obbligo degli amministratori (e non più degli amministratori e sindaci) di controllare nei centottanta giorni dalla costituzione (e non più nei sei mesi) la relazione giurata di stima redatta dall’esperto, con la conseguente possibilità di revisione della stessa e di annullamento del capitale sociale, per adeguamento dello stesso al nuovo valore o per avvenuto recesso del socio, in caso di minusvalenza rilevante e di mancata integrazione del conferimento da parte del socio interessato. La differente disciplina intende, per la società a responsabilità limitata, semplificare la materia e contribuisce a responsabilizzare maggiormente i soci in sede di atto costitutivo, dal momento che i valori in quella sede attribuiti, ferma la responsabilità dell’esperto, sono definitivi (44). Il tenore letterale dell’art. 2465 nuovo testo u.c. c.c., infatti, stante la puntualità del richiamo al secondo comma dell’art. 2343 nuovo testo c.c., esclude ogni facoltà dell’interprete di recuperare i successivi commi 3 e 4 della norma richiamata attraverso l’applicazione analogica, valendo tale puntuale richiamo al comma 2 come statuizione negativa per tutte le norme non richiamate contenute nei successivi commi 3 e 4, e dovendosi quindi escludere ogni lacuna nel testo della legge (45). Il mancato richiamo alle regole all’uopo dettate dall’art. 2343 commi 3 e 4 c.c. per rimediare, nonostante la relazione dell’esperto, ad un’eventuale sopravalutazione del conferimento in natura o del credito (a tutela della posizione non solo dei soci non conferenti, ma anche dei terzi), deriva, oltre che dall’assenza di ogni intervento del tribunale, e quindi dal coinvolgimento diretto dei soci nella scelta dell’esperto (46), dalla circostanza, probabilmente, che, per la s.r.l., il legislatore, con valutazione tipica, ha ritenuto che i soci stessi non intendano, in presenza di basi sociali tendenzialmente ristrette e di contrattazioni eseguite ad personam, mettere a repentaglio, in caso di minusvalenza di un conferimento in natura, le percentuali di partecipazione che essi, quali imprenditori, hanno liberamente deciso di fissare (del resto, l’ultimo inciso del nuovo testo dell’art. 2343 comma 4 c.c. consente, attraverso apposita clausola dell’atto costitutivo, di rendere rilevante tale interesse alla stabilità delle percentuali di partecipazione anche nelle società azionarie) (47).

43 ) In merito all’interpretazione di quest’ultima norma, v. R. ROSAPEPE, Commento…, cit., p. 36. 44 ) Critico su tale scelta del legislatore, pure non ritenendo che si possa giustificare un’applicazione analogica dell’art. 2343 commi 3 e 4, R. ROSAPEPE, Commento…, cit., p. 36 ss. . 45 ) Trova invece ingiustificato il mancato richiamo all’art. 2343 commi 3 e 4 c.c., e propone pertanto un’applicazione analogica della corrispondente normativa in tema di s.p.a., V. SALAFIA, Il nuovo modello di società a responsabilità limitata, in Società, 2003, p. 5 ss. 46 ) Tecnicamente la scelta dell’esperto (come il relativo costo) è rimessa al socio conferente; tuttavia, è evidente come tale scelta venga di fatto accettata dagli altri soci in sede di stipulazione dell’atto costitutivo. 47 ) Il mancato richiamo deriva anche dalla considerazione che nella s.r.l., non essendovi una ripartizione di competenze prestabilite tra soci ed amministratori, appare inopportuno prevedere direttamente da parte della legge obblighi specifici in carico agli amministratori riferiti ad un’attività di gestione che il singolo atto costitutivo può legittimamente rimettere ai soci stessi ex art. 2479 comma 1 nuovo testo c.c. .

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Per quanto riguarda la tutela dei terzi, infine, la responsabilità patrimoniale diretta dell’esperto vale a compensare la mancata previsione del controllo successivo da parte degli amministratori e la conseguente inoperatività del rimedio della riduzione del capitale sociale; - per quanto concerne l’autorizzazione preventiva da parte dei soci per gli acquisti “pericolosi” ex art. 2343-bis c.c., la nuova normativa dettata per la società a responsabilità limitata tiene conto della possibilità, non data per le società azionarie, che essa avvenga mediante decisione non assembleare dei soci ex art. 2479 c.c. . Tale normativa in tema di acquisti “pericolosi”, contenuta nel nuovo art. 2465 comma 3 c.c. (e nell’art. 2465 comma 4, nella parte in cui richiama l’art. 2343-bis nuovo testo commi 4 e 5 c.c.), differisce rispetto all’analogo istituto in tema di società azionarie perché: - da un lato, legittima la previsione dell’atto costitutivo che esclude la necessità della preventiva autorizzazione da parte della decisone dei soci, in conseguenza dell’inesistenza, nella nuova s.r.l., di una rigida ripartizione delle competenze tra soci ed amministratori; - dall’altro, non prevede la necessità che la relazione di stima resti depositata presso la sede sociale nei quindici giorni che precedono la decisione dei soci e sia depositata, come allegato del relativo verbale di assemblea, entro il trentesimo giorno successivo presso il registro delle imprese, dal momento che i caratteri tipologici della s.r.l. suggeriscono di evitare modalità prestabilite per portare tale relazione a conoscenza dei soci interessati. 7. I CONFERIMENTI “MEDIANTE LA PRESTAZIONE DI UNA POLIZZA DI ASSICURAZIONE O DI UNA FIDEIUSSIONE BANCARIA” NELLA NUOVA S.R.L. 7.1. Novità ed ambiguità letterale della norma. Con la previsione inserita nell’art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c., il legislatore delegato, consapevole dunque, come si è cercato di dimostrare nel precedente paragrafo, dell’ampia portata del principio generale dettato in tema di conferimenti dal legislatore delegante e dell’assenza di ogni vincolo di diritto comunitario, stante la già rilevata inapplicabilità alle s.r.l. dell’intera seconda direttiva comunitaria, ed in particolare del divieto specifico di cui all’art. 7 seconda parte, ha ritenuto di rendere legittimi, relativamente al tipo della s.r.l., i conferimenti collegati ad “obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d’opera o di servizi a favore della società” (48). Le ragioni di tale scelta si trovano enunciate nella relazione ministeriale illustrativa della riforma, secondo cui la nuova figura del conferimento d’opera o di servizi “corrisponde pienamente ad una prospettiva volta ad accentuare la caratterizzazione personalistica del tipo societario in discorso: nella quale pertanto il contributo del socio molto spesso si qualifica per le sue qualità personali e professionali, piuttosto che per il valore oggettivo dei beni apportati” (49). Il nuovo art. 2464 comma 6 c.c., dunque, ammette per la prima volta che, in presenza della polizza o fideiussione indicata, il conferimento d’opera o di servizi, a differenza di quanto accade nelle stesse società personali (50), venga imputato direttamente a capitale sociale. 48 ) Consapevole peraltro dell’opportunità che, anche nelle società azionarie, l’opera o i servizi dei soci possano essere acquisiti da parte della società, il legislatore della riforma, per queste ultime società, ha continuato ad ammettere le azioni con prestazioni accessorie (anche lavorative) ex art. 2345 c.c. e ha inoltre previsto la possibilità di emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o di diritti amministrativi (diversi dal voto in assemblea generale), “a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi”. 49 ) Per una riflessione sistematica in tema di caratterizzazione capitalistica e personalistica della nuova s.r.l., cfr. G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv.soc., 2003, p. 58 ss. . 50 ) Secondo una parte della dottrina (Cfr. F. DI SABATO, Capitale e responsabilità interna nelle società di persone, Napoli, 1967, p. 199 ss.) il valore del conferimento dell'opera personale del socio di società di persone deve essere imputato a capitale, iscrivendo tale valore al passivo insieme con gli altri conferimenti. In particolare, a sostegno della tesi dell'imputabilità si adducono due principali argomenti: innanzitutto la capitalizzazione di tale tipo di conferimento è necessaria al fine di garantire l'integrità del capitale per tutta la vita della società, consentendo la ripartizione di utile solo nella misura in cui questo rappresenti l'eccedenza dell'attivo netto rispetto, appunto, al capitale, costituito dal valore di tutti gli strumenti impiegati, compresa l'opera personale del socio; in secondo luogo, solo con l'imputazione a capitale del conferimento d'opera si garantisce al socio d'opera il rimborso del valore del conferimento in sede di

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La nozione di conferimento d’opera o di servizi appare di ampia portata, comprendendo sia l’ipotesi in cui la prestazione lavorativa del socio è considerata avuto riguardo alla prestazione in sé (i servizi), sia l’ipotesi in cui la stessa è considerata avuto riguardo al risultato della prestazione (l’opera, per questa ragione opportunamente indicata al singolare) (51). L’interprete, sia al fine di individuare l’ambito dei divieto di conferimento per le società azionarie, sia al fine di stabilire l’ambito dell’art. 2464 comma 6 c.c. per le s.r.l., deve chiarire fino a che punto si estenda la nozione di “servizio”, dal momento che, nel diritto e nell’economia politica, quest’ultima nozione assume un significato assai ampio, comprensivo anche delle prestazioni negative e di garanzia, che non sono collegate ad alcuna attività lavorativa o personale in genere. Allo stato attuale, l’ampia portata del precetto contenuto nell’art. 7 della seconda direttiva, ove di parale genericamente, per individuare l’area dei conferimenti vietati nelle società azionarie, accanto agli “impegni di esecuzione di lavori”, delle “prestazioni di servizi”, suggerisce di rinunciare ad una interpretazione restrittiva, secondo cui solo la presenza di un’attività lavorativa configura servizio rilevante ai sensi della normativa in questione, ammettendo invece che quest’ultima nozione comprenda anche i conferimenti aventi ad oggetto obbligazioni negative, cessioni di posizione contrattuale e, nei limiti in cui si ritiene di ammetterle, alle prestazioni di garanzie. E’ invece possibile affermare che restino al di fuori della nozione quelle situazioni in cui la prestazione d’opera o il servizio svolgono un ruolo meramente accessorio rispetto ad una vicenda attributiva di beni, come può esser nei conferimenti di azienda e, almeno in taluni caso, di know-how. In ogni caso, la formulazione letterale della disposizione contenuta nel citato art. 2464 comma 6 c.c., per la verità, solleva dubbi circa l’esatto oggetto dei conferimenti in parola, dal momento che il legislatore ritiene di precisare, nell’inciso iniziale del comma, che il conferimento può anche avvenire “mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l’intero valore ad essi assegnato”, i predetti obblighi di fare. Dal punto di vista strutturale, infatti, la nozione di conferimento, come si è visto, non si presenta così circoscritta e puntuale da rendere inaccettabile, in termini generali, la tesi secondo cui oggetto del conferimento non è l’opera o il servizio, bensì direttamente la polizza o la fideiussione. E’ dunque compito dell’interprete stabilire se il conferimento previsto e disciplinato dal nuovo art. 2464 comma 6 c.c. sia costituito: a) direttamente dalla messa a disposizione della società di una polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria, le cui vicende possono in taluni casi essere indipendenti dall’esecuzione dell’obbligazione “garantita”, consistente nella prestazione di un’opera o di servizi, oppure b) da un’obbligazione di fare relativa all’esecuzione di un’opera o di servizi, rispetto alla quale polizza e fideiussione svolgono un semplice ruolo di garanzia. In ogni caso, qualunque delle due impostazioni si preferisca seguire, anche le polizze e le fideiussioni prestate a favore della società ex art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c. (così come quelle prestate ai sensi del precedente comma 4 e sopra analizzate) possono in ogni momento, se l’atto costitutivo lo prevede, essere sostituite dal socio, sia in sede di sottoscrizione sia in sede di

liquidazione della società. Contra, nel senso della persistente validità della distinzione, seguita nella prassi, tra conferimenti di capitale e conferimenti di patrimonio non imputabili a capitale, cfr., per tutti, R. WEIGMANN, Capitale, utili e riserve nelle società di persone, in Giur. comm., 1986, I, p. 45 ss., con replica di F. DI SABATO, Ancora sulla composizione del capitale nelle società di persone, in Giur. comm., 1987, I, p. 46 ss.. 51 ) La nozione in parola, probabilmente, non può estendersi fino al punto di rendere legittime quelle prestazioni d’opera in cui l’esecuzione del conferimento comporta trasferimento in favore della società, da parte dello stesso socio d’opera, di un bene futuro, a pena di violazione del disposto secondo cui le quote devono essere integralmente liberate fin dal momento della sottoscrizione del capitale (si pensi al socio proprietario del terreno che si obbliga, seppure in presenza di una attività lavorativa prevalente rispetto al capitale, a trasferire alla società l’edificio che egli stesso realizzerà, secondo modalità prestabilite, sul terreno di sua proprietà). La stessa prestazione dovrà invece considerarsi legittima tutte le volte in cui la prestazione d’opera si riferisce ad un bene già compreso nel patrimonio sociale, in cui il conferimento stesso non è idoneo a produrre effetti traslativi ed in cui non è in gioco il precetto dell’integrale liberazione della quota a fronte del conferimento in natura.

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esecuzione del rapporto, “con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in denaro presso la società”. La necessità, a tale fine (e a differenza di quanto previsto nel precedente comma 4 in tema di polizza o fideiussione sostitutiva del versamento relativamente ai conferimenti in danaro), di una previsione dell’atto costitutivo, non del tutto chiara nella sua ratio, sembra posta a tutela della reciproca posizione patrimoniale dei soci obbligatisi verso la società ad eseguire l’opera o i servizi (nel presupposto, confermato dall’attuale esperienza in tema di società di persone, che, normalmente, più di un socio si obblighi a tale titolo verso la società). L’interesse di un determinato socio a vincolare denaro per sottrarsi ai costi e alle conseguenze della garanzia assicurativa o bancaria, in altre parole, soccombe rispetto all’interesse degli altri soci di conservare la par condicio tra tutti coloro che si sono impegnati a titolo appunto d’opera o di servizi. 7.2. La tesi del conferimento mediante prestazione di polizza assicurativa o fideiussione bancaria come conferimento assimilabile al conferimento in danaro (c.d. tesi innovativa). A favore di tale tesi, peraltro non ancora compiutamente enunciata in dottrina, comunque ritenuta, da coloro che la hanno prospettata, più innovativa e più ricca di potenzialità in una prospettiva di analisi economica del diritto (52), può essere addotto, innanzitutto, il precedente storico della disposizione in esame, costituito dall’art. 6 l.18 ottobre 2001, n. 383 (c.d. “legge dei cento giorni”), secondo cui, in tutte le società di capitali, “la sottoscrizione del capitale…può essere, in tutto o in parte, sostituita dalla stipula di una polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria” (53). Tale art. 6 l. 383/2001, a prescindere dalla sua sopravvenuta abrogazione (e dalla sua conformità al diritto comunitario), aveva ammesso, in termini generali e decisamente più audaci, che, relativamente a tutti i conferimenti in danaro, la polizza o fideiussione in parola potessero sostituire, in tutte le società di capitali, la stessa sottoscrizione del capitale sociale. Esso aveva dunque avviato il nostro ordinamento verso un’attenuazione della rilevanza stessa di quest’ultimo istituto, e comunque verso una radicale rilettura di una delle nozioni cardine del diritto societario vigente (alla nozione di “capitale sottoscritto” si sarebbe affiancata la nozione di “capitale garantito” mediante polizza o fideiussione). Il legislatore delegato dalla l. 366/2001, invece, ha ritenuto di non modificare la nozione di capitale sociale e, soprattutto, di non spezzare il necessario collegamento tra conferimento e sottoscrizione del capitale, relegando la rilevanza della polizza assicurativa e della fideiussione bancaria sul piano dell’esecuzione di una sottoscrizione già perfezionata, e circoscrivendo comunque l’utilizzazione dell’istituto alle sole s.r.l., ai sensi dell’art. 2464 comma 4 secondo periodo nuovo testo c.c. per il versamento obbligatorio dei conferimenti in danaro e dell’art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c. per i conferimenti collegati alla prestazione d’opera o di servizi (ai sensi di entrambe le norme dettate in sede di riforma, in altre parole, la polizza e la fideiussione non sono alternative alla sottoscrizione, ma soltanto al versamento o all’esecuzione dell’obbligo assunto dal socio verso la società, riducendosi a mera tecnica di liberazione delle quote). Sempre nell’ottica dell’interpretazione dell’art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c. ora al vaglio, la rilevanza degli “obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d’opera o di servizi a

52 ) Aderisce a questa impostazione, a quanto pare, V. SALAFIA, Il nuovo modello di società a responsabilità limitata, in Società, 2003, p. 5 ss. 53 ) Quest’ultima disposizione, per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. 6/2003, deve ritenersi tacitamente abrogata (anche per le società azionarie), proprio per effetto della nuova disciplina prevista nell’art. 2464 c.c.. L’abrogazione, da parte sua, è destinata ad operare prima della stessa applicabilità del citato art. 6, che era, come noto, subordinata all’emanazione di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri relativo alle forme di equivalenza tra garanzia e capitale sottoscritto, previsto dal legislatore del 2001 (ma finora, a quanto pare, non ancora emanato e che, pubblicato il nuovo art. 2464 c.c., non potrà essere emanato neppure da oggi fino al 31 dicembre 2003). La tacita abrogazione in parola deve ritenersi totale (valida per tutte le società di capitali) e non solo parziale (valida per la sola s.r.l.), dal momento che la riforma, non avendo richiamato alcuna possibilità di utilizzazione di polizza assicurativa o fideiussione bancaria in materia di società azionarie, ha inteso disciplinare l’intera materia, statuendo in senso negativo con riferimento a queste ultime società.

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favore della società” resta confinata su un piano interno, concernente esclusivamente i rapporti tra socio e società, e non anche la tutela dei terzi e l’integrità del capitale sociale. Quest’ultima infatti, sarebbe garantita esclusivamente dalla polizza o fideiussione, o, meglio ancora, dalla somma di denaro che la compagnia di assicurazione o la banca dovrebbero versare nelle casse sociali qualora si verifichi uno dei presupposti di escussione rilevanti per la legge. Il principale problema operativo, poste le premesse che precedono, diviene dunque quello di stabilire in quali casi la società o i suoi creditori possono escutere la polizza o la fideiussione emessa ex art. 2464 comma 6 c.c. in commento: a fronte della sottoscrizione del capitale sociale da parte del socio ”d’opera”, sorge a favore della società un credito verso la banca o l’assicurazione non immediatamente esigibile, bensì condizionato al verificarsi di uno dei presupposti di escussione rilevanti per legge. A tale fine, in assenza di precetti testuali da parte del legislatore, si dovrebbe considerare senz’altro rilevante, stante il collegamento espressamente individuato in termini di garanzia da parte del legislatore medesimo, qualsiasi vicenda estintiva, per inadempimento o per oggettiva impossibilità sopravvenuta, degli obblighi di fare “garantiti” da polizza o fideiussione. Relativamente a questa prima ipotesi, l’escussione della garanzia tutela l’interesse della società all’integrità del proprio capitale sociale: venuta meno la prestazione d’opera o di servizi, il patrimonio sociale deve beneficiare di un equivalente. Sempre seguendo la medesima impostazione, essendo la prestazione d’opera o di servizi del socio in ipotesi irrilevante per i terzi e per l’integrità del capitale sociale, non sarebbe possibile limitare le ipotesi di escussione al verificarsi di una vicenda estintiva della relativa obbligazione. I creditori sociali, infatti, proseguendo nel ragionamento, potrebbero, essendo per loro irrilevante il rapporto obbligatorio in corso tra società e c.d. socio d’opera, escutere direttamente la garanzia prestata per garantire gli obblighi di fare assunti a favore della società in tutte quelle situazioni in cui il patrimonio sociale risulta incapiente (si dovrà discutere se, a tal fine, occorra una preventiva aggressione del patrimonio sociale in executivis oppure sia sufficiente una semplice infruttuosa richiesta stragiudiziale). La prestazione della garanzia in oggetto da parte del socio a favore della società ha infatti consentito, a prescindere dalle future vicende della prestazione d’opera garantita, l’immediata sottoscrizione da parte del socio che la ha prestata, nei limiti del valore della polizza o fideiussione, di una parte del capitale sociale. Ne consegue che la garanzia in oggetto non è posta soltanto a presidio dell’adempimento in senso tecnico dell’obbligazione, ma, più in generale, dell’acquisizione integrale da parte della società del valore corrispondente al capitale sottoscritto e garantito da polizza o fideiussione. Relativamente a questa seconda ipotesi, l’escussione della garanzia tutela l’interesse dei terzi in genere e dei creditori sociali in particolare: a fronte dell’avvenuta sottoscrizione del capitale ex art. 2464 comma 6, deve essere messa a loro disposizione una “riserva di patrimonio” garantita (da banca o assicurazione). Ai fini del rapporto interno tra socio d’opera e società, l’escussione della polizza o fideiussione per incapienza del patrimonio sociale, legittimerà il socio, da quel momento, a sospendere ogni prestazione d’opera o di servizi a favore della società stessa, configurandosi una causa specifica di estinzione della relativa obbligazione. Non sarebbe infatti congruo accettare che il socio medesimo debba in tale ipotesi, a lui non direttamente imputabile, essere tenuto a doppio titolo, quale socio prestatore della garanzia e quale socio prestatore dell’opera. Non sembra invece che, per la stessa ragione, il socio possa altresì vantare verso la società, in tale evenienza, un credito pecuniario corrispondente al valore della prestazione d’opera da lui fino a tale momento effettivamente eseguita a favore della società, dal momento che, a fronte di tale prestazione, il socio ha, fino a quel momento, fruito degli utili e, in genere, dei diritti sociali pattuiti a suo favore. In forza della circostanza che, ai fini dell’integrità del capitale sociale, la prestazione d’opera o di servizi è irrilevante, il capitale sottoscritto utilizzando la polizza o la fideiussione in oggetto dovrebbe considerarsi, fino ad avvenuta escussione di queste ultime, non ancora versato e la quota

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emessa a fronte del conferimento dovrebbe considerarsi non ancora integralmente liberata, a prescindere dalle vicende della prestazione d’opera o di servizi medesima. Il conferimento previsto dall’art. 2464 comma 6 in esame, pure essendo caratterizzato dalle peculiarità sue proprie che si è cercato di descrivere, dovrebbe quindi essere assimilato ad un conferimento in denaro. L’impostazione, nel suo complesso, consentirebbe all’interprete di portare più avanti ancora l’assimilazione del conferimento in oggetto con quello avente per oggetto una somma di denaro, concludendo nel senso che, così stando le cose, non occorrerebbe (essendo inapplicabile alla s.r.l. il vincolo comunitario di cui all’art. 10 della seconda direttiva che impone la relazione di stima dell’esperto per tutti i conferimenti “non in contanti”) alcuna relazione giurata di stima ex art. 2465 c.c. . Nell’ottica ora al vaglio, infatti, il “socio d’opera”, una volta ottenuto il consenso da parte degli altri soci, può liberamente collegare, sopportandone egli solo le conseguenze, la prestazione d’opera a cui si sia obbligato verso la società, qualsiasi sia il suo contenuto ed il valore oggettivo ad essa attribuibile, con una polizza o fideiussione di qualsiasi ammontare, in considerazione del fatto che, per lui, non vi è comunque alcuna possibilità, anche una volta che abbia esattamente adempiuto la prestazione d’opera, di ritirare la polizza o la fideiussione. Questa, poste le premesse di cui sopra, potrebbe essere restituita solo ad avvenuto scioglimento della società, ad avvenuta riduzione del capitale sociale oppure ad avvenuta cessione della partecipazione, ove l’acquirente abbia a sua volta prestato nuova garanzia in luogo della precedente. La circostanza da ultimo sottolineata, a sua volta, consentirebbe al “socio d’opera”, conformemente alla realtà di tutte quelle (numerosissime) società che si avvalgono già oggi delle prestazioni lavorative dei propri soci, di assumere obblighi di fare anche a tempo indeterminato, o commisurati a tutta la durata della propria partecipazione alla società. In definitiva, la nozione giuridica di cui al nuovo art. 2464 comma 6 c.c., così costruita, si avvicinerebbe a quella economica, a sua volta sintetizzata nell’espressione conferimento “mediante la prestazione di una polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria”. Il conferimento mediante polizza o fideiussione, in via astratta, essendo semplice modalità di un conferimento monetario, potrebbe essere svincolato dall’assunzione di obblighi di prestazione d’opera o di servizi da parte del socio a favore della società. Il concreto collegamento tra tali due elementi, previsto come necessario dall’art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c. (nel senso che non vi può essere conferimento di polizza o fideiussione senza obbligazione d’opera e viceversa), costituisce una mera scelta di tipo politico, derivante dalla ritenuta opportunità, per il momento, di circoscrivere l’utilizzazione e la diffusione di questi nuovi strumenti alternativi al tradizionale versamento in contanti, ammettendoli soltanto negli stretti limiti in cui ciò appare funzionale ad una piena legittimazione agli obblighi di prestazione d’opera o di servizi assunti dal socio. 7.3. La tesi del conferimento mediante prestazione di polizza assicurativa o fideiussione bancaria come conferimento d’opera in senso tecnico (c.d. tesi tradizionale). All’interpretazione appena prospettata, se ne affianca un’altra, più tradizionale e più in linea con le categorie civilistiche familiari al giurista italiano ed europeo, tendente a riportare al centro della vicenda delineata dall’art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c. la prestazione d’opera o di servizi, negando l’assunto che costituisce l’idea-base della tesi precedente, ovvero che tale rapporto obbligatorio di fare, essendo per definizione inidoneo a garantire una corretta formazione del capitale sociale, sia, in sé considerato, irrilevante per i terzi e per l’integrità di quest’ultimo. In tale ottica, infatti, negare in via di principio che la prestazione d’opera o di servizi possa costituire un’idonea forma di liberazione del capitale sociale costituisce un ingiustificato pregiudizio per il socio d’opera. Tale seconda interpretazione, pertanto, rimette al centro della vicenda il socio prestatore dell’opera o dei servizi.

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Nei casi contemplati dal sesto comma dell’art. 2464 c.c., infatti, la polizza di assicurazione o la fideiussione bancaria sarebbero richieste dal legislatore per il diverso rilievo che la prestazione del socio viene qui ad assumere ai fini dell’effettiva definitiva acquisizione da parte della società dell’entità conferita, stante la “caducità” della prestazione dedotta in obbligazione (la prestazione in oggetto, infatti, essendo fondata su una prestazione di fare da parte del socio, per di più normalmente infungibile e destinata a durare nel tempo, non comporta solo il rischio di inadempimento, ma anche quello di estinzione per impossibilità oggettiva sopravvenuta non imputabile al debitore). Dal punto di vista sistematico, il conferimento mediante prestazione d’opera o di servizi non costituisce, nell’ottica di tale tesi, un conferimento ulteriore rispetto ai conferimenti in natura e di crediti considerati, in via generale, nel precedente comma 5, ma costituisce una specie appartenente al medesimo genere. Diversamente opinando, infatti, si dovrebbe accettare la conseguenza, palesemente in contrasto con le premesse accolte (che pongono al centro della vicenda l’obbligazione di fare assunta dal socio, riconoscendo alla stessa rilevanza anche ai fini della tutela dei terzi e dell’integrità del capitale sociale), che, una volta adempiuta completamente la prestazione d’opera o di servizi, la polizza o la fideiussione non possano comunque essere restituite oppure, in alternativa, che il conferimento, a seguito dell’avvenuta restituzione della polizza o fideiussione, resti comunque capitalizzato per quell’importo che è stato liberamente determinato dai soci in sede di sottoscrizione, anche laddove esso non corrisponda all’effettivo valore della prestazione effettivamente eseguita. A loro volta, dall’impostazione da ultimo riferita, derivano, sul piano operativo e sistematico, due precise conseguenze: a) anche il conferimento in oggetto è assoggettato, a tutela della posizione dei terzi e dell’integrità del capitale sociale, alla prescrizione generale del successivo art. 2465 c.c., che richiede per tutti i conferimenti diversi dal denaro (non in contanti, secondo il testo della direttiva 77/91/CEE dettata per le società per azioni) la relazione giurata di un esperto qualificato (54); b) anche al conferimento in oggetto si applica la prescrizione dell’art. 2464 comma 5 secondo periodo, ai sensi della quale le quote emesse devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione. Questa seconda conseguenza pare inevitabile alla luce delle premesse poste; infatti, per concludere diversamente occorrerebbe sostenere, creando una complicata quanto ingiustificata frattura nell’unità del sistema, che, per le s.r.l., la regola dell’integrale liberazione del conferimento in natura fin dal momento della sottoscrizione, in assenza di vincoli di diritto comunitario, riceva, ai sensi del comma 6 dell’art. 2464 in commento, una espressa ed eccezionale deroga. Essa, respingendosi quest’ultima lettura, costituisce invece, nell’ottica ora illustrata, una decisiva conferma della tesi sopra prospettata, secondo cui, per soddisfare il precetto imperativo posto dal legislatore nella norma da ultimo citata, è sufficiente che la società acquisisca immediatamente la titolarità del diritto conferito e, eventualmente, la sua immediata disponibilità economica, non occorrendo altresì che il socio conferente sia liberato nei confronti della società stessa, fin dal momento della sottoscrizione, da ogni obbligazione avente fonte nel conferimento. La polizza e la fideiussione, in esclusiva considerazione della possibilità di estinzione dell’obbligazione di fare per oggettiva impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore, sono imposte al fine di garantire l’integrità del capitale sociale fin dal momento della sottoscrizione. Esse, quindi, devono operare a garanzia non solo (e non tanto) dell’adempimento in senso tecnico dell’obbligazione, ma anche dell’acquisizione da parte della società del valore economico della prestazione dedotta in obbligazione a prescindere dall’eventualità dell’inadempimento ai sensi degli artt. 1218 ss. c.c.; esse, in altre parole, devono garantire, per l’intero valore assegnatole in sede di

54 ) In tale senso si sono pronunciati A. BUSANI, Beni in natura, scatta la perizia, in Il Sole 24 Ore, 7 febbraio 2003, p. 27; M. AVAGLIANO, Società a responsabilità limitata: conferimenti e partecipazioni; recesso ed esclusione, in Studi Consiglio Nazionale del Notariato in tema di riforma del diritto societario, in corso di pubblicazione; M. AGOSTINI, La costituzione, i conferimenti e le quote della s.r.l., in Federnotizie, 2003, p. 67.

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relazione giurata di stima, l’esatta esecuzione della prestazione anche nell’accennato caso di estinzione dell’obbligazione per oggettiva impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi degli artt. 1256 ss. c.c. e, in genere, per ogni altra causa diversa dall’inadempimento, purchè si tratti di estinzione “non satisfattiva” (es. remissione del debito, confusione) (55). Trattandosi di fideiussione, quindi, il relativo regolamento negoziale dovrà conseguentemente essere adeguato a tale specifica caratteristica, anche in deroga alle norme (ormai ritenute suppletive) dettate in tema dal legislatore, in particolare, negli artt. 1939 e 1944 c.c. . Accogliendosi la tesi ora al vaglio, la polizza e la fideiussione a garanzia dell’esecuzione delle prestazioni assunte a titolo di conferimento d’opera o di servizi, operando a fronte di un vero e proprio conferimento in natura, possono essere utilizzate, come confermato altresì dalla collocazione sistematica delle norme dettate dal legislatore, fin dall’entrata in vigore della riforma, senza necessità di attendere il decreto del presidente del Consiglio dei ministri di cui all’art. 2464 comma 4 c.c., non apparendo estensibile al caso in esame la prescrizione contenuta in quest’ultima norma. Nella stessa ottica, la polizza e la fideiussione in parola, inoltre, potranno essere ridotte mano a mano che la prestazione del socio conferente risulti eseguita, con la relativa proporzionale copertura del capitale sociale, seguendo la prassi della garanzia c.d. “a scalare”. Tuttavia, a tutela dei terzi creditori sociali e della certezza dei rapporti giuridici, sembra sostenibile che tale riduzione possa essere ammessa solo nei limiti in cui il valore della prestazione del socio sia frazionabile in base al criterio temporale e tale circostanza sia attestata dalla relazione giurata di stima. Tali polizza e fideiussione, per contro, non sembrano necessarie laddove la prestazione d’opera o di servizi conferita sia stata già completamente eseguita al momento della sottoscrizione da parte del socio, nei limiti in cui ciò appare compatibile con la disciplina dettata per la fase di costituzione della società di capitali (56); esse, invece, sembrano richieste anche nell’ipotesi di conferimento da parte del socio di un credito avente per oggetto la prestazione a suo favore di un obbligo di fare - fungibile ex latere creditoris - da parte di un terzo debitore ceduto. 7.4. Confronto e verifica sistematica delle due tesi. Le due tesi alternative brevemente riportate, che possono essere definite come tesi innovativa e tesi tradizionale, nell’impossibilità di trovare una soluzione sul piano della formulazione letterale della norma (57) e alla luce della constatazione che ciascuna delle due prospettive interpretative sopra delineate appare in sé coerentemente argomentabile, seppure, come meglio si vedrà, inidonea a garantire un pieno decollo operativo del nuovo istituto introdotto, meritano entrambe un’ulteriore verifica di tipo sistematico, cercando di individuare: a) il collegamento che l’ordinamento pone tra integrale liberazione delle azioni o della quota, disciplina del c.d. socio moroso e responsabilità del terzo acquirente delle azioni o della quota stessa; b) le conseguenze che l’accoglimento dell’una o dell’altra tesi comporta relativamente alla iscrizione in bilancio del capitale sociale stesso e della corrispondente posta dell’attivo; c) l’idoneità dell’una e dell’altra tesi a dare risposte alle esigenze attuali della prassi in tema di “socio d’opera”. Alla luce di ciascuno di tali tre profili, come si cercherà di dimostrare, la tesi tradizionale risulta preferibile rispetto alla tesi innovativa.

55 ) Quanto osservato nel testo non consente tuttavia di concludere: - né, mutilando il tenore della norma di cui all’art. 2464 comma 6 c.c., che non prevede alcuna distinzione, che, in caso di conferimento d’opera o di servizi, la garanzia legale deve limitarsi a coprire il rischio di estinzione per impossibilità oggettiva sopravvenuta non imputabile al debitore, senza estendersi al rischio dell’inadempimento in senso tecnico; - né, per contro, che una polizza o fideiussione occorrano, al di fuori della nozione di conferimento d’opera o di servizi, in ogni caso in cui vi è un rischio di estinzione dell’obbligazione gravante in capo al socio conferente per oggettiva impossibilità sopravvenuta a lui non imputabile. 56 ) Per alcune riflessioni su tale specifica ipotesi, cfr. G. OLIVIERI, op.cit., p. 73 ss. 57 ) Tale circostanza può, nel caso di specie, essere valutata persino positivamente, evitando di imporre all’interprete e all’evoluzione dell’istituto una precisa connotazione “ideologica”.

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In merito all’interrogativo a), dunque, l’interprete deve prendere innanzitutto atto che l’introduzione, in materia di s.r.l., del nuovo istituto di cui all’art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c. non può non inserirsi coerentemente all’interno del sistema delineato dal legislatore, non essendo per contro possibile ritenere che il nuovo istituto si ponga a metà strada tra il conferimento in danaro (che determina mancata liberazione della quota, applicabilità della disciplina in tema di socio moroso e responsabilità propter rem dell’acquirente della quota stessa) ed il conferimento in natura o di crediti (che determina invece integrale liberazione della quota, inapplicabilità della disciplina in tema di socio moroso e inesistenza di ogni responsabilità propter rem dell’acquirente della quota stessa), comportando mistione delle due discipline (58). Sarebbe pertanto inammissibile ritenere, per esempio, che a tale nuovo istituto si applichino alcuni aspetti (inscindibilmente collegati, come si è visto) della disciplina dei conferimenti in natura e di crediti (integrale liberazione della quota fin dal momento della sottoscrizione e conseguente inesistenza di ogni responsabilità propter rem dell’acquirente della quota medesima) ed altri aspetti della disciplina dei conferimenti in danaro (assoggettabilità del socio conferente alla disciplina dettata in tema di c.d. socio moroso ex art. 2466 nuovo testo c.c.). Ne consegue allora che: - se si aderisce alla tesi c.d. innovativa e si assimila il conferimento ex art. 2464 comma 6 c.c. al conferimento in danaro, si dovrà concludere che, rispetto ad esso, trovano applicazione i nuovi artt.2466 e 2472 c.c., essendo invece inapplicabile il nuovo art. 2464 comma 5 secondo periodo c.c. in tema di integrale liberazione della quota fin dal momento della sottoscrizione; - se si aderisce alla tesi c.d. tradizionale e si assimila il conferimento ex art. 2464 comma 6 c.c. al conferimento in natura o di crediti, si dovrà concludere che, rispetto ad esso, non trovano applicazione i nuovi artt.2466 e 2472 c.c., essendo invece applicabile il nuovo art. 2464 comma 5 secondo periodo c.c. in tema di integrale liberazione della quota fin dal momento della sottoscrizione. L’art. 2466 nuovo testo c.c., alla luce dell’ampia formulazione letterale contenuta nell’ultimo comma, che estende l’applicabilità del rimedio anche “nel caso in cui per qualsiasi motivo siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la garanzia bancaria prestate ai sensi dell’articolo 2464”, sembra, considerata la lettera della legge, applicabile anche all’ipotesi di cui all’art. 2464 comma 6, e non soltanto a quella di cui all’art. 2464 comma 4 in tema di conferimenti in danaro. L’art. 2472 c.c., per contro, stante la (normale) infungibilità della prestazione d’opera o di servizi a cui si è obbligato il socio, risulta inapplicabile al caso in esame per ragioni che prescindono dal tenore letterale della norma, per impossibilità oggettiva verrebbe da dire. Un’ipotetica applicazione della norma si tradurrebbe infatti, a prescindere da ogni risultanza statutaria, in una inammissibile surrettizia incedibilità della quota sottoscritta ex art. 2464 comma 6. Nell’impossibilità, dunque, di sfuggire alla conclusione secondo cui le due norme, per coerenza di sistema e conformemente peraltro alla tradizione, simul stabunt simul cadent, occorre dunque, necessariamente, interpretare restrittivamente l’art. 2466 c.c, escludendo dal suo ambito applicativo l’ipotesi di cui all’art. 2464 comma 6 in esame. Tale interpretazione restrittiva può trovare una giustificazione anche di tipo logico, dal momento che, mentre la fideiussione o polizza di cui all’art. 2464 comma 6 svolgerebbe, aderendo in ipotesi alla tesi definita come tradizionale, una mera funzione di garanzia, la fideiussione o polizza ex art. 2464 comma 4 svolgerebbe comunque, come peraltro già acutamente prospettato da una parte della dottrina (59), una funzione più complessa, che si potrebbe definire garantistico-solutoria (l’esito

58 ) L’impostazione seguita nel testo presuppone l’accoglimento della tesi dominante, mutuata dagli ordinamenti tedesco e francese, secondo cui la normativa in tema di socio moroso relativamente all’esecuzione dei conferimenti in danaro (artt. 2344 e 2466 nuovo testo c.c.) è inapplicabile in ogni caso di mancata attuazione di conferimenti in natura o di crediti (sull’intero problema, con accoglimento tuttavia di una conclusione parzialmente diversa, cfr. E. RIMINI, La mancata attuazione dei conferimenti in natura nelle società per azioni, Milano, 1993). 59 ) G, FERRI jr, Il conferimento “documentario”, cit., p. 1367 ss. .

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fisiologico della garanzia non sarebbe la restituzione al socio, bensì l’escussione da parte della società), al punto da avere indotto il legislatore a prevedere l’emanazione, al fine di consentire l’operatività stessa dell’istituto, di una specifica normativa secondaria (da quest’ultima normativa ci si attende infatti un chiarimento in merito ai presupposti che legittimano la società - o i creditori sociali - ad escutere la polizza o la fideiussione; ove si aderisse alla tesi innovativa sopra prospettata, sarebbe inaccettabile che gli stessi chiarimenti non venissero dati relativamente all’ipotesi di cui al successivo comma 6; ove invece si aderisca, come qui proposto, alla tesi tradizionale, le regole in tema di escussione della garanzia, una volta chiarito che l’interesse garantito non è l’adempimento dell’obbligazione, bensì l’acquisizione del valore dell’opera conferita, possono agevolmente ricavarsi dal diritto comune, divenendo pertanto superfluo ogni specifico intervento normativo). Solo in virtù di quest’ultima più complessa funzione garantistico - solutoria, appare realistico ipotizzare una scadenza o sopravvenuta inefficacia della polizza o della fideiussione stessa direttamente pregiudizievole rispetto all'integrità del capitale sociale. Ne consegue che, dal punto di vista sistematico, la tesi tradizionale si impone rispetto alla tesi innovativa, dovendo quindi il conferimento in parola essere valutato alla stregua di un vero e proprio conferimento in natura, avente per oggetto direttamente la prestazione d’opera o di servizi. Deve allora ribadirsi che non solo il socio d’opera, ma anche ogni altro socio che esegue un conferimento di beni in natura o di crediti, pure acquistando azioni o quote integralmente liberate fin dal momento della sottoscrizione (cfr. art. 2342 comma 3 secondo periodo nuovo testo c.c. e art. 2464 comma 5 secondo periodo nuovo testo c.c. ), può, come si è visto, risultare inadempiente nei confronti della società. Indipendentemente dalla frequenza con cui tale ipotesi potrà in concreto verificarsi, la sua possibilità teorica costituisce un dato di diritto positivo che è sembrato incontrovertibile. Ne consegue, pertanto, come già più volte ribadito, che il precetto secondo cui le azioni e le quote emesse a fronte dei conferimenti in natura o di crediti devono essere integralmente liberate fin dal momento della sottoscrizione trova applicazione indipendentemente dall’esistenza o dalla sopravvenienza di obbligazioni in capo allo stesso socio conferente. La destinazione delle azioni (e, salvo contraria previsione dell’atto costitutivo, della quota di partecipazione di s.r.l.) alla circolazione, induce inoltre a sottolineare come la permanenza, in via attuale o meramente eventuale, di obbligazioni in capo al socio conferente beni in natura o crediti, ivi incluso il socio d’opera di cui all’art. 2464 comma 6 c.c., non possa coinvolgere, a prescindere dalla circostanza che l’inadempimento del cedente sia anteriore o posteriore alla cessione, la responsabilità verso la società del cessionario delle azioni o della quota (60). A salvaguardia di questo principio, infatti, il legislatore della riforma ha dettato l’art. 2356 c.c. in materia di società azionarie e l’art. 2472 c.c. in materia di società a responsabilità limitata, secondo i quali la responsabilità del terzo acquirente è limitata all’ipotesi di circolazione di azioni e di quote non ancora integralmente liberate ovvero, per definizione, emesse a fronte di conferimenti in danaro, e non anche di conferimenti in natura o di crediti. In quest’ultimo caso l’obbligazione avente come debitore il socio che ha eseguito il conferimento non assume le caratteristiche dell’obbligazione propter rem, e quindi non segue il trasferimento delle azioni o della quota, ma si “stacca” dalla partecipazione sociale, rimanendo definitivamente radicata (salvo eventuali autonome vicende del rapporto obbligatorio in questione ex artt. 1268 ss. c.c., a prescindere quindi dalle vicende della partecipazione sociale stessa) in capo alla persona del conferente, anche quando sia venuta meno la sua veste di socio (61). L’eventualità che un inadempimento da parte di quest’ultimo possa pregiudicare l’integrità del capitale sociale è valutata dal legislatore in maniera identica ad ogni altra eventualità in cui vi sia

60 ) Cfr., per tutti, C. ANGELICI, Della società per azioni. Le azioni, in Il Codice Civile Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, p. 401 ss. . 61 ) Nel diritto tedesco, la soluzione prospettata nel testo è espressamente sancita dal § 66 Absatz 2 AktG 1965. Sul tema, più in generale, cfr. sopra sub. 5.3.

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inadempimento da parte di un debitore della società; tale circostanza, pertanto, potrà comportare, a seguito dell’emergere di una sopravvenienza passiva o della svalutazione di un credito iscritto in bilancio, la necessità di una riduzione del capitale sociale, ma non potrà mai comportare, per coerenza alla scelta di fondo sopra riferita, alcuna conseguenza in tema di formazione del capitale sociale. Azione o quota integralmente liberata non significa infatti, come più volte ripetuto, inesistenza di obbligazioni residue in capo al socio conferente, ma significa soltanto, e più semplicemente, che il capitale sociale deve intendersi definitivamente formato ad ogni effetto di legge (la nozione, peraltro, non è “ontologica”, ma di puro diritto positivo, essendo frutto di una libera scelta di ciascun ordinamento, nei limiti consentiti dai vincoli comunitari). Azione o quota integralmente liberata significa anche, alla stregua di un vero e proprio corollario di quest’ultima conclusione, inapplicabilità della disciplina in tema di responsabilità (propter rem) dell’acquirente delle azioni o della quota per le obbligazioni ancora inadempiute da parte del conferente alienante: dove infatti il capitale è, per valutazione di diritto positivo (integrale liberazione di azioni o quota), definitivamente formato, non può sussistere alcuna responsabilità dell’acquirente (62). Anche alla luce dell’interrogativo b), la tesi tradizionale appare preferibile rispetto alla tesi innovativa. Infatti, se è vero che nel passivo dello stato patrimoniale il capitale sociale deve tuttora essere indicato come posta unitaria, ne consegue che anche nell’attivo occorrerà indicare, per ogni elemento che è stato oggetto di conferimento, e fin dalla sottoscrizione del capitale stesso, una conseguente posta attiva. Ora, nella prospettiva della tesi innovativa sopra riferita, la semplice prestazione della polizza o della fideiussione non costituisce né una somma di danaro già riscossa, né un credito verso il socio, né un credito verso la banca o l’impresa di assicurazione, dal momento che, in quest’ultima direzione, l’esigibilità costituisce comunque un fatto meramente eventuale, e non necessario. Fintantoché il legislatore non consentirà di iscrivere nel passivo dello stato patrimoniale una distinta voce di “capitale eventuale”, anche nell’attivo dovrà procedersi, comunque si ritenga di concludere nel merito delle relative regole tecniche, all’iscrizione di poste attuali e non meramente eventuali. Anche in merito all’interrogativo c), infine, la tesi tradizionale appare preferibile rispetto alla tesi innovativa, dal momento che il vantaggio che quest’ultima potrebbe presentare al fine di rendere appetibile l’istituto e favorirne l’utilizzazione, ovvero la non necessità di una relazione giurata di stima e la possibilità di prevedere obbligazioni interne d’opera o di servizi anche a tempo indeterminato, verrebbe azzerato, ed anzi sopravanzato, dallo svantaggio consistente sia nel non potere confidare, una volta eseguita puntualmente la prestazione d’opera o di servizi (in ipotesi a tempo determinato), di ottenere in restituzione la polizza o la fideiussione, sia, soprattutto, di rischiare un’escussione di quest’ultima anche in presenza di un puntuale adempimento dell’impegno lavorativo, per mera incapienza del patrimonio sociale rispetto alle pretese dei creditori. 7.5. La circolazione della partecipazione del socio d’opera. L’accoglimento della tesi definita come tradizionale consente di superare agevolmente, sul piano teorico, ogni questione in tema di circolazione della quota di partecipazione del socio d’opera. Infatti, trattandosi di quota integralmente liberata fin dalla sottoscrizione, risulterà inapplicabile, come sopra precisato, il disposto dell’art. 2472 c.c., con l’ulteriore conseguenza che la quota risulterà assoggettata alle normali limitazioni statutarie previste per ogni vicenda circolatoria, senza che la cessione possa in alcun caso coinvolgere la responsabilità dell’acquirente relativamente

62 ) Se quello evidenziato nel testo è il fondamento dell’inesistenza di ogni responsabilità propter rem dell’acquirente di azioni o quote integralmente liberate, diviene inutile ogni tentativo di ampliare l’ambito della responsabilità dell’acquirente stesso sulla base della formulazione letterale del nuovo art. 2472 c.c.(identico al precedente art. 2481 c.c., con la sola sostituzione del termine “partecipazione” al termine “quota”), in tema di s.r.l., ove non si parla di quota non liberata ed ove si fa riferimento all’esistenza di un “socio moroso”.

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all’eventuale successivo inadempimento o estinzione dell’obbligazione di fare assunta a suo tempo dal conferente. L’obbligazione assunta dal socio in sede di conferimento, al pari ad ogni altra obbligazione assunta dal socio che ha eseguito conferimenti in natura o di crediti (si pensi alla responsabilità del socio ex artt. 2254 e 2255 c.c., richiamati per la s.r.l. dall’art. 2464 comma 5 nuovo testo c.c.) e, più in generale, di ogni altra obbligazione collegata al rapporto societario, ma da questo formalmente distinta (si pensi all’eventuale prestazione di fideiussioni da parte del socio a favore della società), resta estranea alla vicenda circolatoria della partecipazione sociale. Il collegamento tra la predetta obbligazione e la circolazione di quest’ultima partecipazione, più precisamente, sarà preteso dal cedente non per necessità giuridica, ma per precisa scelta di tutela di un proprio specifico interesse, coincidente con quello di non conservare obbligazioni personali una volta venuto meno l’interesse sociale derivante dalla titolarità della partecipazione e dalla possibilità di esercizio dei diritti sociali. Esattamente come già oggi accade per la liberazione delle fideiussioni prestate dal cedente, la liberazione del cedente stesso dalla prestazione d’opera o di servizi in corso, e dalle connesse spese di mantenimento della necessaria polizza o fideiussione bancaria, sarà pretesa, nella normalità dei casi, come “condizione di fatto” per perfezionare la cessione. L’unica differenza concreta che può, sempre in termini fattuali, rendere più difficile la circolazione della quota di partecipazione in parola deriva dalla circostanza che, ai fini dell’assunzione di analoga prestazione d’opera (previa prestazione di nuova identica polizza o fideiussione o subentro in quella in corso) da parte dell’acquirente della partecipazione, occorre l’accettazione del relativo accollo, ai fini della liberazione del debitore originario (ed in piena applicazione delle regole generali dettate dagli artt. 1268 ss. c.c.), da parte del legale rappresentante della società (e non anche, trattandosi di vicenda gestionale non attinente, come già più volte specificato, alla formazione del capitale ed alla modificazione dell’atto costitutivo, da parte degli altri soci, all’unanimità o a maggioranza), senza peraltro la necessità di alcuna nuova relazione giurata di stima (trattandosi non di operazione sul capitale sociale, ma di semplice, si ripete, atto di gestione dell’impresa: l’ipotesi può essere assimilata alla successiva permuta, da parte della società, di un bene già conferito in natura da un socio). La ricostruzione dell’istituto che emerge dall’impostazione accolta solo a prima impressione può sembrare complessa e penalizzante per la diffusione della figura del socio d’opera nelle s.r.l.: essa, in realtà, opererebbe con modalità del tutto analoghe a quelle attualmente note (e assai diffuse) in tema di società di persone con socio d’opera c.d. spurio (ovvero con socio d’opera che ha imputato a capitale non l’obbligazione di fare da esso assunta nei confronti della società, ma soltanto un – normalmente modesto – importo di danaro). Pertanto, sebbene la cessione della partecipazione resti contratto bilaterale (soggetto alle eventuali limitazioni dell’atto costitutivo), nella prassi si ricorrerà alla costituzione, nel relativo atto notarile, anche del legale rappresentante della società, stante l’interesse di ciascuna delle parti di definire, unitamente alla cessione della partecipazione stessa, il subentro dell’acquirente, con immediata liberazione dell’alienante, nell’obbligazione di fare e, limitatamente ai rapporti interni con l’impresa di assicurazione o la banca (63), nella connessa polizza o fideiussione di garanzia. 7.6. Operazioni sul capitale sociale in presenza di socio d’opera. La tesi tradizionale sopra prospettata appare preferibile, sul piano operativo, anche in considerazione della maggiore facilità con la quale, aderendosi a tale tesi, risulta possibile per la società eseguire operazioni sul capitale sociale in pendenza dell’obbligazione d’opera da parte del socio, senza necessità di ipotizzare la necessità di una preventiva escussione della polizza o della fideiussione.

63 ) Appare ragionevole ritenere che la vera e propria sostituzione di quest’ultima garanzia nei confronti della società con il consenso da parte degli amministratori, pure astrattamente possibile trattandosi, ancora una volta, di un atto di gestione dell’impresa, costituirà, per le responsabilità che ne possono derivare, vicenda meno agevolmente praticabile rispetto alla mera sostituzione del rapporto interno prospettata nel testo.

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Solo aderendosi alla tesi secondo cui la partecipazione del socio d’opera ex art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c. risulta integralmente liberata fin dal momento della sottoscrizione, in altre parole, è possibile porre in essere operazioni sul capitale sociale senza incidere né sull’obbligazione d’opera assunta dal socio, né sulla garanzia da questi prestata. Accogliendosi tale premessa, infatti, derivano, ancora una volta, precise conseguenze. In primo luogo, in ogni ipotesi di aumento del capitale sociale (mediante nuovi conferimenti ex art. 2481-bis nuovo testo c.c. o mediante passaggio di riserve a capitale ex art. 2481-ter nuovo testo c.c.), l’attuazione della relativa decisione, in ossequio al precetto posto dall’art. 2481comma 2 nuovo testo c.c., potrà avvenire a prescindere dalle vicende attinenti la prestazione d’opera e la relativa garanzia, ormai confinate nella sfera personale del socio ed irrilevanti al fine di escludere la qualificazione della partecipazione dal medesimo sottoscritta come “integralmente liberata” e del relativo conferimento come “interamente eseguito”; l’espressione “conferimento interamente eseguito” presuppone infatti, come si è cercato di dimostrare, non che in capo al socio sottoscrittore non residuino obbligazioni non ancora adempiute, ma soltanto che il capitale sia considerato dalla legge, alla luce delle concrete modalità attraverso le quali il conferimento è avvenuto, come definitivamente formato, essendo la partecipazione emessa a fronte di tale capitale integralmente liberata. Aderendosi invece all’opposta tesi che si è definita come innovativa, essendo il conferimento di cui all’art. 2464 nuovo testo c.c. un conferimento avente per oggetto direttamente la polizza o la fideiussione, e quindi assimilabile al conferimento in danaro, ai fini di rispettare il precetto imperativo di cui all’art. 2481 comma 2 nuovo testo c.c., occorrerebbe richiedere, prima di attuare una qualsiasi decisione di aumento del capitale sociale, la preventiva escussione della polizza o fideiussione prestata dal socio che si è obbligato ad eseguire a favore della società la propria opera o i propri servizi, indipendentemente dalla residua utilità di tale prestazione per la società e dalla concreta volontà del socio di proseguire nell’esecuzione della medesima, ed indipendentemente altresì dalla circostanza che lo stesso socio abbia o meno intenzione di partecipare all’operazione di aumento del capitale sociale. In secondo luogo, in ogni ipotesi di riduzione del capitale sociale di tipo reale o sostanziale, ai sensi dell’art. 2482 nuovo testo c.c., in presenza di un socio d’opera, in quanto titolare, in ipotesi, di una partecipazione “integralmente liberata” e di un conferimento “interamente eseguito”, sarà possibile attuare la deliberazione mediante rimborso ai soci della quota attraverso pagamento in danaro o altra modalità stabilita nella deliberazione di riduzione, senza alcuna interferenza con l’obbligazione di fare assunta a titolo personale dal socio e senza alcuna necessità di escutere la polizza o la fideiussione. Aderendosi all’opposta tesi c.d. innovativa, invece, occorrerebbe, trattandosi, in ipotesi, di partecipazione non integralmente liberata, che l’operazione di riduzione avvenga mediante liberazione del socio dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, ovvero restituendo al socio in questione la polizza o la fideiussione, conseguentemente liberandolo dall’obbligazione d’opera o di servizi assunta nei confronti della società (in tale prospettiva, più precisamente, l’operazione di riduzione del capitale ex art. 2482 nuovo testo c.c. costituirebbe proprio la modalità più agevole per consentire la restituzione della polizza o della fideiussione e la liberazione del socio “d’opera”). In ogni ipotesi di riduzione del capitale sociale di tipo nominale o per perdite, invece, si potrà, indipendentemente dalla tesi accolta in merito alla natura giuridica del conferimento eseguito ex art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c., procedere alla riduzione o all’azzeramento della partecipazione sottoscritta dal socio d’opera senza incidere, alla luce di entrambe le prospettate letture, né sulla prestazione d’opera alla quale lo stesso socio risulta obbligato nei confronti della società, né sulla polizza o fideiussione prestata in funzione di garanzia, dovendosi ritenere che l’operazione di riduzione o azzeramento del capitale non comporti alcuna conseguenza liberatoria in capo al socio obbligato verso la società, a prescindere dal fatto che si tratti o meno di partecipazione “integralmente liberata”, a prescindere cioè dal fatto la prestazione dovuta derivi da

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un’obbligazione personale “staccatasi” dalla partecipazione oppure da un conferimento incorso di esecuzione. 7.7. Prospettive di diffusione dell’istituto nella forma dell’apporto fuori capitale (c.d. socio d’opera “spurio”). L’insieme delle considerazioni finora svolte in merito al nuovo art. 2464 comma 6 c.c. ha cercato di evidenziare, con la novità dell’istituto, pregi e limiti dello stesso in un’ottica operativa. Tirando le fila del discorso, deve ribadirsi che l’adesione alla tesi tradizionale, che è apparsa preferibile alla luce delle argomentazioni sistematiche sopra illustrate, comporta indubbiamente due elementi di penalizzazione per gli aspiranti soci d’opera di s.r.l. (si è già sottolineato, peraltro, come la tesi innovativa respinta avrebbe comportato, stante l’impossibilità di ritirare la polizza o fideiussione una volta completata l’opera e il permanente rischio di escussione a prescindere dall’esatta esecuzione di quest’ultima, un elemento di penalizzazione ancora più grave). Tali due elementi, come già anticipato, sono costituiti: - da un lato dal costo della polizza o fideiussione e dal costo della necessaria relazione giurata di stima; - dall’altro dal carattere di temporaneità e determinatezza che, in contrasto con le esigenze più diffuse, deve, per necessità giuridica connessa all’imputazione della prestazione a capitale, essere proprio della prestazione d’opera in oggetto. Ne consegue che, laddove, come nella grande maggioranza delle circostanze, le prestazioni d’opera del socio non rappresentino attività personali “di nicchia” o esigenze temporanee della società, sarà realistico ipotizzare che i soci interessati, esattamente come oggi accade nelle società di persone, continueranno ad imputare a capitale una modesta somma di danaro, nel rispetto delle modalità all’uopo dettate per il conferimento monetario ex art. 2464 comma 4 nuovo testo c.c., assumendo il più importante impegno lavorativo a favore della società a latere di quest’ultimo conferimento, a titolo di mero apporto di patrimonio, con ciò aggirando i due evidenziati elementi di penalizzazione. L’avvenuta abrogazione dell’istituto delle prestazioni accessorie per le nuove s.r.l., infatti, non può significare inammissibilità di apporti eseguiti al di fuori del capitale sociale, spiegandosi soltanto con la scelta legislativa di valorizzare, in tale tipo sociale, l’intuitus personae di ciascun socio (64). Anche nella nuove s.r.l. quindi, se non ci si inganna, il socio d’opera, nella maggior parte dei casi, resterà “spurio”, sottraendosi alla disciplina di cui alla norma in commento e modulando la rilevanza del proprio impegno lavorativo attraverso l’introduzione di specifiche clausole in sede di atto costitutivo o di sua successiva modificazione. L’apporto fuori capitale che si ipotizza corrisponde pertanto a quel tipo di conferimento, noto non solo nella prassi, ma anche negli studi dottrinali in tema di società di persone, definito come conferimento di patrimonio. Il fondamento della legittimità di tale tipo di apporto, invero, non deve rinvenirsi né nella specificità dei tipi societari personalistici, né nella peculiarità dell’obbligazione assunta, ma deve cogliersi esclusivamente nel generale rilievo, ben colto dalla legge di riforma, che nella materia societaria assume l’autonomia privata. Come, in ciascun tipo sociale, ciascun socio può imputare a soprapprezzo, qualsiasi sia l’entità oggetto di apporto, il 99% del proprio conferimento, imputando a capitale soltanto il residuo 1%, così, sempre in ciascun tipo sociale e a prescindere dall’entità apportata, il socio (che deriva ad altro titolo tale propria veste, in forza di un precedente conferimento a capitale o dell’imputazione a proprio favore di una parte del conferimento a capitale eseguito da un altro socio) può imputare a patrimonio l’intero apporto che intende eseguire. La questione principale in tema, quindi, non consiste nel preteso obbligo di imputare a capitale sociale determinati apporti (d’opera o di servizi, di diritti di godimento, ecc.), la cui inesistenza è

64 ) La permanenza, nelle società azionarie, dell’istituto delle prestazioni accessorie di cui all’art. 2345 c.c. comportano invece, in tali tipi di società, l’inammissibilità di qualsiasi obbligazione assunta da parte del socio al di fuori dell’esecuzione di un conferimento in senso tecnico e, appunto, di una prestazione accessoria ai sensi del predetto articolo.

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testimoniata proprio dalla costante prassi in tema di socio d’opera c.d. spurio, bensì nella facoltà di astenersi, in tutto o in parte, da tale imputazione e, in subordine, nell’ammissibilità di apporti fuori capitale che, a differenza del soprapprezzo, non siano trasferiti o messi a disposizione della società fin dal momento dell’assunzione del relativo impegno. Nell’impossibilità evidentemente, in questa sede, di approfondire anche solo minimamente la questione, ci si deve limitare ad affermare che tutto ciò che già oggi avviene nella prassi delle società di persone potrà venire applicato, grazie alla nuova flessibilità che la riforma ha attribuito alla s.r.l., anche in quest’ultimo tipo di società (65). Nessuna norma del codice civile e nessun principio (66), infatti, vietano al socio di s.r.l. di assumere obbligazioni verso la società a titolo di apporto fuori capitale, attraverso la pattuizione di specifiche clausole, senza necessità quindi di ricorrere alla stipulazione di patti parasociali (67). La nuova s.r.l., pertanto, diviene uno strumento idoneo al fine di sancire l’impegno di tutti i soci, ma al limite anche soltanto di qualcuno di essi, verso la società di eseguire, in termini determinati o determinabili in base alle esigenze della società e alla discrezionalità degli amministratori o della stessa decisione dei soci, anche attraverso la successiva approvazione di un regolamento lavorativo interno, la propria prestazione d’opera continuativa e a tempo indeterminato a favore della società, al di fuori delle regole di formazione del capitale sociale. A fronte del proprio impegno lavorativo, ciascuno dei soci, valutate tutte le circostanze del caso concreto, negozierà, sempre in sede di atto costitutivo, con tutti gli altri soci una determinata partecipazione agli utili (tale negoziazione, svincolata dall’ammontare della partecipazione al capitale sociale, è resa oggi possibile dal nuovo testo dell’art. 2468 comma 3 c.c.). L’indeterminatezza della prestazione d’opera o di servizi, che, come già rilevato, risponde all’esigenza oggi diffusa nella maggior parte delle società medio-piccole, fondate sull’impegno lavorativo dei propri soci, dovrà essere accompagnata, stante lo sfavore con il quale l’ordinamento valuta l’assunzione di vincoli obbligatori perpetui, dalla previsione di una specifica causa convenzionale di recesso in capo al socio d’opera (in funzione determinativa della consistenza della prestazione assunta), oppure dall’assenza di durata in capo alla società, che configura in sé una legittima causa di recesso in capo a ciascuno dei soci, a prescindere dall’eventuale obbligazione d’opera assunta (cfr. art. 2473 comma 2 nuovo testo c.c.). Nell’uno e nell’altro caso, l’atto costitutivo potrà prevedere, ai fini dell’efficacia del recesso, un periodo convenzionale di preavviso, purchè non superiore ad un anno (arg. ex art. 2473 comma 2 citato). In assenza di ogni previsione al riguardo, soltanto per l’ipotesi della società contratta a tempo indeterminato opererà il preavviso legale di sei mesi. L’importanza dell’impegno lavorativo del socio per la vita stessa della società giustificherà, inoltre, la previsione nell’atto costitutivo di precise conseguenze in caso di sopravvenuta, temporanea o definitiva, difficoltà o impossibilità di prestazione dell’opera, sul piano sia della diminuzione, a sua volta temporanea o definitiva a seconda delle circostanze, del diritto agli utili in capo al socio, sia, ma soltanto ove la situazione possa integrare giusta causa ai sensi dell’art. 2473-bis nuovo testo c.c., della facoltà di esclusione del socio stesso. L’impegno lavorativo assunto in sede di atto costitutivo o di sua successiva modificazione da parte di tutti i soci o di taluno di essi, infine, non creerà problemi particolari in caso di cessione della

65 ) Sul tema delle obbligazioni assunte dal socio al di fuori del conferimento, cfr. F. TASSINARI, in C. CACCAVALE – F. MAGLIULO – M. MALTONI – F. TASSINARI, La riforma della società a responsabilità limitata, cit., p. 479 ss. 66 ) L’avvenuta valorizzazione dell’intuitus personae di ciascuno dei soci (con il conseguente avvicinamento del tipo ai tipi personalistici) consente anzi di sottolineare come l’assunzione di obbligazioni a latere del conferimento costituirà ipotesi alquanto diffusa. 67 ) I patti parasociali, pure in assenza di una specifica disciplina legislativa, stante la difficoltà di giustificare un’applicazione analogica degli artt. 2341-bis e 2341-ter nuovo testo c.c., continueranno realisticamente ad essere diffusi anche nella s.r.l., ma verranno utilizzati prevalentemente per ragioni di riservatezza, dal momento che la flessibilità assunta dal nuovo modello legale consentirà, a differenza di quanto è avvenuto fino ad oggi, di ridurne al minimo l’utilizzazione per aggirare i vincoli imperativi del contratto di società.

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partecipazione sociale, dovendo valere in larga parte le conclusioni già illustrate per il caso di cessione della quota in caso di imputazione a capitale sociale dell’obbligazione d’opera o di servizi. In definitiva, la figura del c.d. socio d’opera “spurio”, così come sopra descritta e come oggi ampiamente conosciuta nella prassi operativa delle società di persone, rappresenterà realisticamente, almeno nella fase iniziale, la figura maggiormente utilizzata anche nell’ambito della s.r.l. . La stessa s.r.l., infatti, potrà aspirare a diventare lo strumento del rilancio del c.d. socio d’opera puro (ovvero, che non conferisce alcuna somma di danaro e che si limita ad imputare a capitale – in tutto o in parte - l’obbligazione d’opera o di servizi assunta verso la società, previo rilascio della relativa polizza o fideiussione) soltanto a condizione che, come si cercherà di evidenziare nel successivo paragrafo 9 del presente capitolo, la riforma societaria nel suo complesso sia in grado di rilanciare, nel contempo, il principio di adeguata capitalizzazione di tali società e, conseguentemente, un’utilizzazione sostanziale e non meramente formale dell’istituto del capitale sociale. 8. MANCATA ESECUZIONE DEI CONFERIMENTI E DISCIPLINA DEL “SOCIO MOROSO”. 8.1. Il socio “moroso” di s.p.a.: considerazioni generali. Anche il nuovo art. 2344 c.c., come già il precedente, disciplina l’istituto del mancato pagamento delle quote da parte del socio di società per azioni (68) in quattro distinti commi. La riforma attuata con il d.lgs 6/2003 lascia completamente invariati i commi successivi al primo, apportando a quest’ultimo due sole modificazioni. Il legislatore delegato, più precisamente: - da un lato, sostituisce, al fine dell’individuazione del presupposto per l’applicazione dell’intero articolo, alla precedente espressione al singolare (“se il socio non esegue il pagamento delle quote dovute”) una nuova espressione al plurale (“se il socio non esegue i pagamenti dovuti”); - dall’altro, al precedente precetto, secondo cui “…gli amministratori… possono far vendere le azioni a suo rischio e per suo conto, a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito”, sostituisce un nuovo più articolato precetto collocato in due distinti periodi del medesimo primo comma, secondo cui “…gli amministratori, se non ritengono utile promuovere azione per l’esecuzione del conferimento, offrono le azioni agli altri soci, in proporzione della loro partecipazione, per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti. In mancanza di offerte possono far vendere le azioni a rischio e per conto del socio, a mezzo di una banca o di un intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati”. Mentre la prima modificazione sembra esclusivamente lessicale, ed inidonea giustificare qualsiasi diversa interpretazione giuridica della norma al vaglio, la seconda modificazione appare senz’altro di ordine sostanziale, introducendo significative novità in merito agli obblighi e, più in generale, al ruolo degli amministratori. 8.2. (segue): il nuovo ruolo degli amministratori. A quest’ultimo riguardo, la prima, e forse meno significativa modificazione, riguarda l’obbligo degli amministratori, in caso di vendita a rischio e per conto del socio, di avvalersi di una banca o di un intermediario autorizzato alla negoziazione (dei titoli azionari) nei mercati regolamentati, anziché di un agente di cambio o di un istituto di credito. Si tratta, infatti, di una mera conseguenza delle modificazioni, lessicali e sostanziali, che l’ordinamento ha apportato in tema di diritto bancario e degli intermediari finanziari nel corso degli anni successivi alla formulazione dell’originario art. 2344 c.c., ed in particolare nel corso degli Anni Novanta, con l’emanazione dei due testi unici bancario (d.lgs. 385/1993) e finanziario (d.lgs. 58/1998).

68 ) La norma deve ritenersi applicabile ad ogni socio di società per azioni, anche laddove lo statuto della società, ai sensi dell’art. 2346 comma 1 nuovo testo c.c., abbia escluso l’emissione dei titoli azionari.

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La seconda più significativa modificazione concerne invece il compito che l’ordinamento attribuisce agli amministratori a seguito della mancata esecuzione da parte del socio dei versamenti dovuti. La precedente norma prevedeva, in capo agli amministratori, una mera facoltà, concernente la vendita della quota a rischio e per conto del socio inadempiente (c.d. vendita in danno) decorsi quindici giorni dalla pubblicazione di una diffida nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. La struttura della norma anteriore alla riforma suggeriva di ravvisare nella pubblicazione della diffida un onere in senso tecnico, ovvero una condizione da rispettare per potere esperire la predetta vendita, dal momento che una diffida eseguita nelle forme del diritto comune (art. 1454 c.c.) avrebbe legittimato esclusivamente il rimedio del risarcimento del danno da parte del socio - debitore inadempiente. Sul piano sistematico, l’esistenza di tale onere, unitamente all’intera disciplina contenuta nelle norme successive, giustificava la conclusione, comunemente condivisa (69), secondo cui la disciplina della risoluzione per inadempimento nelle società di capitali, e più in generale nei contratti associativi, era sottratta, in larga parte, alle regole generali in tema di inadempimento contrattuale poste dagli artt. 1453 ss. c.c. . La norma riformata, invece, rinuncia, sul piano lessicale, a riconoscere agli amministratori, eseguita e pubblicata la diffida nei medesimi termini già previsti prima della riforma, una facoltà. Essa, con l’uso dell’indicativo presente del verbo offrire, stabilisce un dovere di comportamento, al quale gli amministratori stessi possono sottrarsi solo ove scelgano di promuovere contro il socio moroso azione (di condanna) per l’esecuzione del conferimento. Se non ci si inganna, il nuovo tenore letterale della norma circoscrive la discrezionalità degli amministratori, rispetto alla norma precedente, in tre direzioni. In primo luogo, gli amministratori, eseguita la diffida ai sensi di legge, non possono più, a differenza di quanto sembrava ammesso prima della riforma, restare inerti, essendo costretti ad agire per l’adempimento dell’obbligo di conferimento oppure, in alternativa, a porre in essere la vendita in danno. In secondo luogo, gli amministratori, proprio per la stringente posizione che deriva loro dall’esecuzione della diffida, non possono più astenersi dall’attivare quest’ultima secondo le modalità previste dalla norma in commento, allontanando così da sé l’obbligazione alternativa delineata dalla nuova normativa. La diffida stessa, conseguentemente, cessa di costituire un onere e, a sua volta, diviene per gli amministratori un vero e proprio obbligo. Naturalmente, come la prassi insegna, il termine per l’adempimento dell’obbligazione gravante sul socio conferente una somma di danaro (c.d. obbligazione di liberazione della propria quota) solo raramente viene fissato puntualmente dall’atto costitutivo oppure dai soggetti interessati, essendo nella maggior parte dei casi rimesso alla determinazione della società creditrice (c.d. temine cum creditor voluerit). Ne consegue che, ricorrendo quest’ultima ipotesi, gli amministratori conserveranno una significativa discrezionalità di intervento al fine di stabilire il termine stesso dell’obbligazione. In terzo luogo, gli amministratori, qualora optino per la vendita, devono offrire le azioni del socio moroso agli altri soci “in proporzione della loro partecipazione, per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti”, potendo ricorrere alla vendita a mezzo di intermediario qualificato solo in mancanza di offerte da parte degli altri soci. La nuova norma, che sul punto appare espressione di tutela del gruppo dei soci nei confronti non solo degli amministratori, ma anche dei nuovi soggetti eventualmente interessati ad entrare in società, configura un’ipotesi di prelazione legale ed opera indipendentemente dalla regola di circolazione delle azioni prevista nell’atto costitutivo. Pure trattandosi di una prelazione legale, l’inadempimento della prescrizione legislativa da parte degli amministratori legittima i singoli soci pretermessi a richiedere il risarcimento dei danni, e non 69 ) Per tutti, v. M. PERRINO, Le tecniche di esclusione del socio dalla società, Milano, 1997.

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anche ad esercitare contro il terzo acquirente, nel silenzio del legislatore sul punto, alcun tipo di retratto o, comunque, di tutela reale. 8.3. (segue): inderogabilità statutaria della normativa di legge. L’autonomia statutaria può avere interesse a dettare prescrizioni su misura in tema di mancato pagamento delle quote da parte del socio sia per quanto concerne il presupposto sostanziale, sia per quanto concerne il procedimento. Laddove, in sede di stesura dell’atto costituivo, vi sia una sufficiente consapevolezza del tema, è realistico ipotizzare che l’interesse dei soci si appunti soprattutto su due elementi, ovvero la previsione di una regola di pubblicità della diffida alternativa alla Gazzetta Ufficiale, e più rapida, efficiente ed economica rispetto a quest’ultima (es.: la raccomandata, la pubblicazione su un giornale locale, l’affissione presso la sede, ecc.), e la previsione di determinate regole procedurali per quanto concerne l’offerta della partecipazione del socio moroso agli altri soci. In mancanza di ogni appiglio testuale legislativo, gli spazi a disposizione dell’autonomia privata in genere, e statutaria in particolare, per una deroga alle prescrizioni contenute nell’art. in commento devono essere ricavati attraverso una valutazione sia degli interessi tutelati da ciascuna norma, sia delle scelte compiute dal legislatore in altri settori del diritto societario. In merito a quest’ultimo aspetto, invero, non può sfuggire come la riforma, con grande sollievo degli operatori, abbia reso derogabile, per tutte le società per azioni che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l’utilizzazione della Gazzetta Ufficiale per la convocazione dell’assemblea di società per azioni. Il nuovo art. 2366 comma 3 c.c. prevede infatti che lo statuto può “…consentire la convocazione mediante avviso comunicato ai soci con mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento almeno otto giorni prima dell’assemblea”. Pure dovendosi ammettere la pertinenza dell’obiezione secondo cui nel caso dell’art. in commento la pubblicazione prevista dalla legge, in quanto fruibile al pubblico, può svolgere in concreto una funzione ulteriore rispetto a quella meramente informativa dell’interessato svolta dalla pubblicazione contemplata nell’art. 2366 c.c., comportando effetti sanzionatori e di discredito commerciale in capo al socio diffidato, non sembra che, per ciò solo, anche in considerazione del valore che l’apertura all’autonomia privata rappresenta per l’intera riforma, vi siano ragioni sufficienti per escludere che, nel caso in esame, l’autonomia statutaria possa derogare alla necessità non solo della Gazzetta Ufficiale, ma anche della pubblicazione tout court, purchè sia rispettata quella imprescindibile esigenza di informazione del socio destinatario della comunicazione ribadita dallo stesso art. 2366 comma 3 nuovo testo c.c. . L’unica perplessità potrebbe sorgere con riferimento alla possibilità di abbreviare il termine di quindici giorni, in considerazione della regola generale in tema di diffida ad adempiere che ravvisa in tale spazio temporale un termine minimo a tutela dell’interesse del debitore di trovare i mezzi per l’adempimento. Il tenore letterale dell’art. 1454 comma 2 c.c., tuttavia, sembra legittimare, anche a tale specifico riguardo, un intervento statutario di tipo preventivo (che, nonostante la personalità giuridica attribuita alla società, si risolverebbe comunque in una “diversa pattuizione delle parti” ai sensi della norma citata), potendosi ritenere congruo ogni termine che risulti comunque pari o superiore agli otto giorni (arg. ex art. 2366 comma 3 citato). Per quanto concerne infine l’accennata seconda ipotesi di intervento dell’autonomia privata (in sostanza, dell’autonomia statutaria) che potrebbe attirare l’interesse degli operatori, ovvero la previsione di una determinata procedura statutaria per l’offerta delle azioni in prelazione agli altri soci, sembra possibile ammetterne del pari la legittimità, dal momento che si tratterebbe di un mero intervento integrativo della legge, e non derogatorio. In ogni caso, invece, sembra precluso all’autonomia privata qualsiasi intervento in deroga al precetto legale che richiede che l’offerta in prelazione delle azioni del socio moroso avvenga a favore degli altri soci in proporzione della loro partecipazione e per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti, dal momento che il rispetto di tali norme è posto a tutela di interessi

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tradizionalmente ritenuti indisponibili, quali l’integrità del capitale sociale (il secondo) e il rispetto della par condicio tra i soci da parte degli amministratori (il primo). 8.4. (segue): inapplicabilità analogica della normativa in caso di mancata attuazione di conferimenti diversi dal conferimento in danaro: rinvio. La formulazione letterale dell’art. in commento, come emerge dall’espressione pagamento impiegata dal legislatore, prima e dopo la riforma, sia nella rubrica, sia nel testo del primo comma, soprattutto se confrontata con la diversa dizione impiegata nell’analoga norma dettata, con la riforma, in tema di s.r.l. (art. 2466 nuovo testo c.c.), ove si parla invece di mancata attuazione dei conferimenti da parte del socio, induce a concludere che l’istituto del c.d. socio moroso, al pari di quanto avveniva prima della riforma, trova applicazione, in via diretta, esclusivamente con riferimento al socio che si è obbligato a versare, a titolo di conferimento, una somma di danaro e non ha provveduto nei termini al pagamento degli importi dovuti ai fini della liberazione della propria partecipazione. La questione che, almeno a prima impressione, sembra porsi anche dopo la riforma, così come accadeva in precedenza, riguarda l’eventuale legittimità di un’applicazione analogica della norma, in tutto o in parte, in caso di mancata attuazione di un conferimento diverso dal danaro (si pensi alla responsabilità per vizi o per evizione in capo al socio che ha eseguito un conferimento immobiliare) (70). Tuttavia, per cercare di offrire una risposta a tale questione, occorre ora, dopo la riforma, confrontare l’art. 2344 c.c. in commento con l’art. 2466 nuovo testo c.c. dettato in tema di s.r.l. . Tale confronto consentirà di verificare: - in primo luogo se la dizione apparentemente più ampia contenuta in quest’ultima norma (ove, come si ripete, si parla di mancata attuazione del conferimento, anziché di mancato pagamento delle quote), valga ad attribuire alla norma in tema di s.r.l. una portata che comprende anche i conferimenti non pecuniari; - in secondo luogo, se, più in generale, la nuova disciplina dei conferimenti e delle obbligazioni che possono gravare in capo al socio dettata in tema di s.r.l. possa offrire argomenti, anche sistematici, in merito al problema dell’applicazione analogica dell’istituto al vaglio. Per una risposta all’interrogativo, quindi, conviene rinviare ai paragrafi successivi. 8.5. Il socio “moroso” di s.r.l.: applicabilità dell’istituto oltre i limiti del conferimento pecuniario? L’art. 2466 nuovo testo c.c., rubricato “mancata esecuzione dei conferimenti”, sostituisce l’attuale art. 2477 c.c., rubricato “mancato pagamento delle quote”. La novità più importante, il cui esatto significato può cogliersi soltanto attraverso un’interpretazione sistematica delle norme contenute, oltre che nell’art. in commento, negli artt. 2464 nuovo testo e 2472 nuovo testo c.c., consiste, dal punto di vista puramente letterale, nell’apparente ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto del socio moroso oltre i confini del conferimento di denaro (tale circostanza risulta confermata dall’analisi congiunta dell’art. in commento da una parte e dell’art. 2344 nuovo testo c.c. in tema di socio moroso nelle società azionarie, ove il dettato legislativo continua a fare riferimento alla mancata esecuzione dei pagamenti dovuti, ovvero all’inadempimento di obbligazioni pecuniarie in senso tecnico). Prima di cercare di cogliere il significato operativo della modificazione evidenziata, è tuttavia opportuno dedicare qualche osservazione alla complessiva normativa posta dal nuovo testo dell’articolo. 8.6. (segue): inadempimento del socio e diffida degli amministratori. Il primo comma dell’art. in commento stabilisce che, se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori devono procedere a diffidarlo all’adempimento, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1454 c.c., concedendogli, anziché un termine non inferiore a quindici giorni, 70 ) In tema, prima della riforma, cfr. C. ANGELICI, Le azioni, in Codice Civile, Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, p. 254; G.B. PORTALE, Mancata attuazione del conferimento in natura e limiti del principio di effettività del capitale nella società per azioni, in Riv. soc., 1998, p. 1 ss. .

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un termine predeterminato dalla legge in trenta giorni. La perentorietà del dettato legislativo, anche in confronto con l’espressione usata dall’attuale legislatore nell’art. 2477 c.c. (“…gli amministratori possono diffidare il socio …”) lascia intendere che per gli amministratori stessi la diffida costituisce atto dovuto (71). Il presupposto di tale obbligo costituisce, come già riferito, la mancata esecuzione del conferimento “nel termine prescritto”; pure utilizzando la legge quest’ultima dizione, peraltro identica a quella contenuta nell’attuale art. 2477 c.c., non occorre che nell’atto costitutivo o nell’atto di sottoscrizione il termine della relativa obbligazione del socio sia indicato in maniera più puntuale di quanto è dato oggi registrare nella prassi e nelle posizioni dottrinali, dal momento che, in assenza di prescrizioni dettagliate, continuerà a trovare applicazione il criterio residuale della determinazione giudiziale posto dall’art. 1183 c.c. in tema di obbligazioni in generale (72). 8.7. (segue): la vendita coattiva della quota del socio moroso. Il secondo comma dell’art. prevede, rispetto al testo dell’attuale art. 2477 c.c., una disciplina più articolata, seppure riproduttiva, nei suoi tratti essenziali, delle singole fasi procedimentali già previste. Gli aspetti meritevoli di segnalazione con riguardo alla nuova normativa appaiono i seguenti: a) la vendita “a rischio e pericolo” della quota di partecipazione del socio moroso può essere attivata da parte degli amministratori soltanto laddove gli stessi “non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti”; sembra preferibile interpretare la norma nel senso che la ritenuta inopportunità dell’azione esecutiva, da valutarsi a cura degli amministratori secondo la normale diligenza professionale, costituisca il presupposto di legittimità per la vendita a rischio e pericolo della partecipazione, ma non anche la fonte di un obbligo in tale senso, potendo accadere che gli amministratori stessi, pure avendo ritenuto l’inopportunità di un’azione esecutiva contro il socio, preferiscano attendere circostanze o sviluppi futuri per dare concretamente luogo alla vendita; b) la vendita “a rischio e pericolo” del socio moroso deve avvenire “a favore degli altri soci in proporzione della loro partecipazione”; poiché il periodo finale del comma prevede l’eventualità che nessuno dei soci esegua offerte per l’acquisto, è giocoforza ritenere che la vendita venga attivata attraverso un invito ad offrire rivolto dagli amministratori a favore della totalità dei soci diversi dal moroso, avente per oggetto l’intera quota di partecipazione detenuta da quest’ultimo e contenente le necessarie indicazioni concernenti la modalità dell’offerta; nell’eventualità che le offerte siano più d’una, gli amministratori, in sede di accettazione di tali offerte, dovranno attenersi alla regola della proporzionalità, senza che tale fatto costituisca nuova contro-offerta a favore del socio precedente offerente, dal momento che la presenza della norma in commento configura di per sé una deroga al principio di conformità dell’accettazione alla proposta; l’intero percorso delineato dal legislatore porta a concludere che, nel nuovo testo, la vendita in questione può costituire, pure in assenza di ogni discrezionalità degli amministratori in proposito, uno strumento idoneo a ridefinire la misura della partecipazione di ciascun socio alla società (73); c) la vendita “a rischio e pericolo” del socio moroso (in cui gli amministratori della società agiscono come sostituti di quest’ultimo, destinando comunque allo stesso il corrispettivo ottenuto dall’alienazione) deve avvenire a favore degli altri soci “per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato”; la natura sanzionatoria dell’istituto a danno del socio ha indotto il legislatore a confermare la soluzione attualmente vigente e ad assumere come riferimento un valore non aggiornato e probabilmente penalizzante per il socio moroso venditore; deve tuttavia precisarsi che, anche nel nuovo testo normativo, il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato costituisce soltanto un minimo legale indicativo (a tutela del socio moroso), e non un vero e proprio prezzo imposto, come si desume non solo dalla permanente possibilità di un incanto, ma anche

71 ) Conforme S. MASTURZI, Commento art. 2466, in La riforma.., cit., p. 43. 72 ) Resta tuttavia salva l’opportunità di tale espressa determinazione (cfr. retro nota 12), soprattutto laddove il socio conferente abbia prestato polizza o fideiussione ex art. 2464 comma 2 nuovo testo c.c. . 73 ) Circa il significato da riconoscere all’espressione “a rischio e pericolo”, v. S. MASTURZI, Commento…, cit., p. 44.

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dall’eventualità che dall’ultimo bilancio emerga un valore negativo, con conseguente onere del socio offerente di offrire comunque un prezzo di acquisto (74); d) in mancanza di offerte per l’acquisto provenienti da almeno uno degli altri soci, si procederà alla vendita all’incanto solo se l’atto costitutivo lo consente, e ciò indipendentemente dalla regola che in concreto disciplina il trasferimento della partecipazione sociale; la cautela, che costituisce un’ulteriore novità della riforma, deriva, più che da una maggiore sensibilità verso le ragioni di conservazione della compagine sociale esistente, dalla nuova impostazione complessiva della normativa in tema di società a responsabilità limitata, idonea a prevedere in termini ampi ipotesi di riduzione del capitale sociale legate a vicende di esclusione del socio (cfr. art. 2473-bis nuovo testo c.c.); 8.8. (segue): l’esclusione del socio moroso. Il comma terzo dell’art. in commento prevede e disciplina l’ipotesi che la vendita non possa avere luogo vuoi perché, in mancanza di offerte dei soci, lo statuto non consente l’incanto, vuoi perché l’incanto è andato deserto, stabilendo che, in tale eventualità, “gli amministratori escludono il socio moroso trattenendo le somme riscosse” (si intende: dallo stesso socio, per la parte del conferimento già eseguita) e che “il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente” (si intende: nel rispetto delle regole generali in tema di modificazione dell’atto costitutivo di cui agli artt. 2480 ss. c.c., con possibilità di applicazione analogica della riduzione disposta dal tribunale ex art. 2482-bis comma 4 nuovo testo c.c. laddove l’assemblea straordinaria non assuma tale deliberazione obbligatoria) (75). Rispetto al testo dell’attuale art. 2477 comma 3 c.c., la nuova norma prevede al riguardo due sole novità testuali, ovvero il venir meno dell’esclusione come mera facoltà degli amministratori ed il venir meno della possibilità di chiedere al socio morso il risarcimento del danno, ritenuta superflua in quanto conseguenza generale prevista dalla legge per ogni ipotesi di inadempimento (art. 1218 c.c.). 8.9. (segue): socio moroso e decisione dei soci. Il quarto comma, adattando l’attuale art. 2477 comma 4 c.c. al nuovo istituto della decisione dei soci (non necessariamente assembleare), stabilisce che il socio moroso non può partecipare alla decisione dei soci (dovendosi intendere che la veste di socio moroso derivi dal semplice decorso del termine per l’adempimento dell’obbligo di conferimento, a prescindere dalla diffida o da qualsiasi altra iniziativa degli amministratori). Rispetto alla normativa precedente, la prescrizione appare più precisa, in quanto risolve in senso negativo il problema della spettanza al socio moroso stesso del “diritto di intervento” alla decisione o all’assemblea. 8.10 (segue): applicabilità dell’istituto esclusivamente in caso di conferimento pecuniario. Il quinto comma dell’art. coordina l’istituto del “socio moroso” con la nuova disciplina introdotta dall’art. 2464 nuovo testo c.c., prevedendo che, in tali casi: - il presupposto per applicare la disciplina di cui ai precedenti commi è costituito dalla circostanza che “per qualsiasi motivo siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la garanzia bancaria”; - il socio che ha prestato la fideiussione o la polizza ha comunque la possibilità di sostituirle, paralizzando la procedura prevista per il socio moroso, con il versamento del corrispondente importo di denaro (sembra preferibile ritenere che la sostituzione possa avvenire anche a seguito

74 ) Nella prassi, la riscossione dei versamenti residui dovuti dal socio costituisce spesso il presupposto necessario per potere addivenire, in presenza di perdite o addirittura di deficit, ad una deliberazione di aumento del capitale sociale a pagamento in funzione di ricapitalizzazione. 75 ) Dal momento che l’art. 2466 c.c. torva applicazione anche in caso di aumento del capitale, sorge il problema di stabilire se, nel caso in cui l’inadempimento si riferisca alla relativa sottoscrizione, il socio possa essere escluso oppure possa subire soltanto l’annullamento della partecipazione sottoscritta in tale sede; la dottrina dominante, nel vigore della vecchia normativa, accoglieva in prevalenza questa seconda opinione, argomentando dalla naturale divisibilità della quota di partecipazione a s.r.l. (cfr., per tutti, M. PERRINO, Le tecniche di esclusione del socio dalla società, Milano, 1997, p. 287); la stessa conclusione è ora sostenuta da S. MASTURZI, Commento…, cit., p. 45, ritenendo che tale naturale divisibilità della partecipazione sociale non sia venuta meno neppure a seguito della riforma.

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della diffida ai sensi del comma 1, fino al momento in cui viene attivata ai sensi del comma 2 la procedura di vendita con la comunicazione agli altri soci dell’invito ad offrire). Stante la genericità del richiamo, sembrerebbe che l’istituto trovi applicazione non solo nell’ipotesi della fideiussione o polizza prestata dal socio conferente denaro in luogo del versamento del venticinque per cento dell’importo sottoscritto (art. 2464 comma 4), ma anche nell’ipotesi di fideiussione o polizza prestata dal socio che ha conferito la propria opera o un servizio (art. 2464 comma 6) (76). Tuttavia, le esigenze di coerenza sistematica che sono state evidenziate nel precedente paragrafo, secondo cui il sistema della riforma, in linea con la normativa della seconda direttiva comunitaria in tema di società azionarie, continua a conoscere, anche nelle s.r.l., la fondamentale distinzione tra conferimenti in denaro e conferimenti non in denaro (definiti dal legislatore - anche con riferimento alla nuova s.r.l.: cfr. rubrica dell’art. 2465 nuovo testo c.c. - come conferimenti di beni in natura e di crediti), e ad assoggettare i due tipi di conferimenti a regole distinte, dal momento che solo per i primi conferimenti è ipotizzabile una quota non integralmente liberata fin dal momento della sottoscrizione e la conseguente eventuale responsabilità dell’acquirente ex art. 2472 nuovo testo c.c., inducono a concludere diversamente, ribadendo che, nonostante la nuova formulazione accolta (“mancata esecuzione dei conferimenti”, anziché “mancato pagamento delle quote”), l’istituto del socio moroso di cui all’art. 2466 nuovo testo c.c. si applica esclusivamente al conferimento pecuniario. Più precisamente, alla luce delle conclusioni che si è ritenuto sopra di prospettare in sede di commento all’art. 2464 nuovo testo c.c., in merito al fatto che ogni socio che ha eseguito conferimenti in natura o di crediti può considerare le quote emesse integralmente liberate fin dal momento della sottoscrizione, pure permanendo a proprio carico ed a favore della società obbligazioni non adempiute, attuali o meramente eventuali, si deve ipotizzare che l’art. 2466 nuovo testo si applichi soltanto al socio che ha conferito denaro ed al socio che ha prestato fideiussione o polizza a garanzia di un conferimento avente per oggetto la stessa prestazione pecuniaria a favore della società, rientranti nella previsione specifica (e nel conseguente obbligo di garanzia) di cui all’art. 2464 comma 4 nuovo testo c.c. . Infatti, in tutti gli altri casi di permanenza di un’obbligazione in capo al socio conferente (non importa se si tratti di obbligazione principale o complementare, attuale o eventuale), ivi incluso il caso del conferimento d’opera di cui all’art. 2464 comma 6 nuovo testo c.c., come si è detto, l’obbligazione stessa, ad avvenuto perfezionamento dell’atto costitutivo o del contratto di sottoscrizione, si “stacca” dalla quota di partecipazione e resta radicata in capo alla persona del conferente, essendo all’uopo irrilevanti le eventuali successive vicende circolatorie della partecipazione medesima, come può desumersi (a contrario) dall’art. 2472 c.c. . La conclusione raggiunta, del resto, può argomentarsi non solo sul piano sistematico, ma, a ben vedere, anche su quello letterale; infatti: -il nuovo art. 2466 comma 3 primo periodo c.c., in tema di esclusione del socio moroso conseguente all’impossibilità di vendita coattiva della quota per mancanza di compratori, precisa che, a seguito dell’esclusione stessa, gli amministratori trattengono “le somme riscosse”, con ciò significando che il presupposto di applicazione dell’istituto resta, nonostante la diversa formulazione letterale della rubrica e del precetto contenuto nel primo comma, l’obbligazione pecuniaria; - il nuovo art. 2466 ultimo comma, nel suo ultimo periodo, precisa che resta salva, in caso di scadenza o sopravvenuta inefficacia della garanzia, ”la possibilità del socio di sostituirle con il versamento del corrispondente importo in danaro”, dettando una prescrizione che assume

76 ) Una parte della dottrina, in termini più generali, è orientata ad applicare la disciplina del socio moroso, in ogni società di capitali, anche alle ipotesi di inadempimento degli obblighi gravanti sul socio che esegue conferimenti di beni in natura o di crediti, quali ad es. la garanzia per vizi o evizione rispetto al bene conferito in società (cfr. C. ANGELICI, Le azioni, in Codice Civile, Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, p. 254; G.B. PORTALE, Mancata attuazione del conferimento in natura e limiti del principio di effettività del capitale nella società per azioni, in Riv. soc., 1998, p. 1 ss.). Sul tema, cfr. retro sub. 5.3.

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significato solo in presenza di una garanzia prestata in funzione (anche) solutoria, quale appunto quella di cui all’art. 2464 comma 4 c.c. . Inoltre, ove si ritenesse, in ipotesi, di attribuire ampia portata alla norma in ossequio alla generica indicazione letterale sopra riferita, risulterebbe priva di significato, nel suo complesso, la previsione di cui all’ultimo comma, che, come si è visto, espressamente estende l’applicazione della normativa al “caso in cui, per qualsiasi motivo, siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la garanzia bancaria prestate ai sensi dell’art. 2464” (comma 4 e non anche comma 6, secondo la conclusione sopra raggiunta): solo nel presupposto che le prescrizioni contenute nei commi precedenti si applichino esclusivamente al conferimento in denaro, infatti, acquista significato una previsione estensiva quale quella dettata, per la verità un po’ frettolosamente, dall’ultimo comma della norma in commento. 9. VERSO UNA NUOVA DISCIPLINA GIURIDICA DELLE CONSEGUENZE DELLA SOTTOCAPITALIZZAZIONE? Conviene a questo punto riprendere il tema prospettato nel primo paragrafo, concernente l’individuazione degli incentivi che la riforma ha apprestato al fine di favorire la formazione di un capitale sociale che sia espressivo, nel suo ammontare, delle potenzialità economiche dell’impresa e quindi, in definitiva, esso stesso un elemento di trasparenza del mercato. Nei primi commenti, durante i convegni e gli incontri di studio all’uopo organizzati, si è talora osservato come l’interesse del legislatore appaia ormai orientato verso una valutazione dell’impresa sociale non più in termini patrimoniali e statici, bensì in termini reddituali e dinamici, mostrando una sensibilità, si è detto, tipica della new economy (77). Si è quindi affermato che devono ormai essere definitivamente accantonati quegli sforzi, che hanno contraddistinto una parte della dottrina italiana degli ultimi trenta anni (78), tesi a valorizzare, de iure condito, l’ammontare del capitale sociale (tali sforzi muovevano dalla consapevolezza che quel numero fisso, perché l’istituto meriti senza riserve un valore centrale nella disciplina societaria, secondo le aspirazioni dei legislatori europei fin dai codici dell’Ottocento, deve essere in grado di esprimere, in sé, un valore significativo della reale forza dell’impresa, e non soltanto un valore convenzionale non inferiore all’astratto - e sempre meno significativo in termini valoristici (79) - minimo legale). Ad avviso di chi scrive, invece, l’attenzione innegabile che la riforma sembra avere dedicato alle prospettive reddituali e dinamiche dell’impresa sociale, e, più in generale, alle regole della finanza aziendale, non si pone in alcun modo in concorrenza con l’auspicio, che a sua volta pare presente nella riforma, di ristabilire un collegamento significativo tra ammontare del capitale sociale e dimensione patrimoniale dell’impresa stessa. Nella riforma, più precisamente, sono cambiati gli strumenti legislativi utilizzati per raggiungere questi obiettivi, costituiti non più, come si conviene ad una riforma di tipo liberale, da interventi esterni coattivi, in sede di acquisto della personalità giuridica (controllo omologatorio) o successivamente (riduzione del capitale solo in caso di sua esuberanza), bensì soltanto da un complesso articolato di incentivi e disincentivi univocamente orientati verso il raggiungimento di quello che si ritiene un vero e proprio obiettivo di interesse generale. Di questi incentivi è bene, quindi, dare brevemente e complessivamente conto. Si è già visto, al riguardo, che nella legge di riforma vi sono, in tema di formazione del capitale sociale, numerose possibilità per l’autonomia privata, destinate, una volta che la relativa elaborazione interpretativa sarà sufficientemente puntuale, a fornire agli operatori strumenti nuovi 77 ) Cfr., per esempio, la posizione di L. DE ANGELIS, Dal capitale “leggero” al capitale ”sottile”: si abbassa il livello di tutela dei creditori, in Società, 2002, p. 456 ss. . 78 ) Ci si riferisce, soprattutto, alla nota posizione di G.B. PORTALE, illustrata da ultimo, con attenuazione della più rigorosa posizione iniziale, in Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Riv. soc., 1991, p. 3 ss. . 79 ) Cfr., infatti, le valutazioni di L. DE ANGELIS, op. cit., ove si rileva che, in base agli indici Istat, i venti milioni di lire del 1977 (anno in cui la c.d. legge Pandolci prescrisse l’adeguamento dei precedenti limiti legali del 1942) corrisponderebbero, nell’anno 2000, a lire 113.684.000.

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idonei a favorire l’attribuzione al capitale sociale di una flessibilità fino ad oggi sconosciuta (valgano, per tutti, gli esempi non solo dell’ampliamento delle entità suscettibili di conferimento, ed in particolare del superamento dell’impostazione secondo cui il socio che conferisce beni in natura o crediti non può restare obbligato verso la società, ma anche della possibilità, per le s.r.l., di imputare a capitale sociale la prestazione d’opera oppure la possibilità, in tutti i tipi capitalistici, di formare il capitale sociale in deroga alla regola, fino ad oggi ritenuta cogente, della proporzionalità tra apporti e partecipazioni). Attraverso l’utilizzazione di queste nuove potenzialità, si dovrebbe ridurre sensibilmente lo scarto tra la disciplina positiva del capitale sociale e le regole di finanza aziendale, così come affermatesi soprattutto negli ultimi anni, in tema di raccolta dei mezzi propri necessari per dare luogo all’attività economica programmata. Allargando il discorso, si deve rilevare che, attualmente, a prescindere da ogni valutazione di tipo tributario, le ragioni che hanno ostacolato una adeguata capitalizzazione della società sono soprattutto legate alla difficoltà e ai costi che la successiva restituzione degli apporti avrebbe presentato, una volta che gli stessi siano stati destinati a formare il capitale sociale. Oggi i soci possono finanziare la società in tre diversi modi, sia attraverso aumenti del capitale sociale, sia attraverso finanziamenti (produttivi o meno di interessi a carico della società), sia attraverso apporti attribuiti al di fuori del capitale ma senza diritto alla restituzione (c.d. versamenti in conto capitale, a loro volta suscettibili di alcune importanti sottodistinzioni). Dei tre sistemi, il finanziamento appare per il socio, fino ad oggi, quello più favorevole, in quanto da un lato consente in ogni tempo, e senza alcun costo o formalità aggiuntiva, la restituzione dell’intero importo da parte della società, dall’altro consente, fino ad avvenuto rimborso, la conservazione della veste di creditore, con tutte le garanzie che ne derivano sul piano giuridico. La riforma, anche a tale riguardo, ha ritenuto di intervenire significativamente. Essa, in primo luogo, ha disciplinato ex novo la fattispecie della c.d. riduzione reale del capitale, attraverso l’eliminazione del presupposto, ambiguo economicamente e penalizzante, dell’esuberanza (cfr. nuovi artt. 2445 e 2482 c.c.), salvo comunque, a tutela dell’interesse dei creditori sociali, indisponibile da parte della società, il diritto di questi ultimi di fare opposizione e di impedire, ove non siano concesse loro adeguate garanzie, il compimento stesso dell’operazione. Il superamento del requisito dell’esuberanza consente al socio che finanzia la società attraverso un aumento del capitale sociale di potere contare, se non si oppongono i creditori, sulla restituzione integrale ed in qualsiasi momento dell’apporto eseguito, seppure non senza alcune inevitabili formalità (deliberazione assembleare verbalizzata da notaio e iscritta nel registro delle imprese) ed alcune attese (i tre mesi dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese concessi ai creditori per fare opposizione). La stessa riforma, in secondo luogo, ha ritenuto di intervenire, seppure (almeno testualmente) limitatamente alle s.r.l., sull’istituto dei finanziamenti da parte dei soci, dettando nell’art. 2467 nuovo testo c.c., una disciplina che, per quanto mutuata dall’esperienza straniera, e in particolare tedesca (80), appare significativa nell’ottica di favorire la formazione di un capitale sociale espressivo della dimensione economica dell’impresa. L’art. 2467 in questione consta di due commi che si integrano a vicenda, in quanto il secondo pone la definizione, facendo ricorso a nozioni tipiche della finanza aziendale (i finanziamenti su cui il legislatore ha ritenuto di intervenire sono soltanto “quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”), mentre il primo pone il precetto, costituito dalla postergazione del rimborso del finanziamento rispetto alla soddisfazione degli altri creditori sociali e dall’obbligo di restituzione del medesimo rimborso ove esso sia stato eseguito nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento. 80 ) La materia è attualmente disciplinata, sotto la rubrica di “Restituzione dei prestiti”, dal § 32a della legge organica in tema di società a responsabilità limitata (GmbHG).

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Ne deriva che, ove ci si trovi al di fuori della definizione del secondo comma, il socio non sopporterà alcuna limitazione nel rimborso del finanziamento eseguito in favore della società, continuando ad essere considerato, ad ogni effetto di legge, un creditore sociale al pari di tutti gli altri. Ove invece ci si trovi all’interno della definizione di cui al secondo comma citato, derivano le due conseguenze previste nel primo comma citato e concernenti la disciplina del rimborso del “finanziamento”. Bisogna allora ammettere che: - ove l’intero primo comma sia interpretato alla stregua di una mera norma di diritto fallimentare, come tale indirizzata esclusivamente agli organi della procedura, i finanziamenti dei soci eseguiti nella situazione di cui al secondo comma resteranno alquanto diffusi, dal momento che la maggior parte delle società interessate continuerà realisticamente a preferire i vantaggi immediati della pratica dei finanziamenti rispetto ai futuri ed incerti inconvenienti derivanti dall’applicazione, in sede fallimentare, della nuova norma; - ove invece la prima parte del predetto primo comma sia intesa, nonostante l’utilizzazione del termine “postergazione” appaia a prima vista incompatibile con tale prospettiva, come una norma indirizzata agli amministratori, idonea a rendere contra legem il rimborso dei finanziamenti a suo tempo eseguiti nelle circostanze di cui al comma secondo, a prescindere dalla successiva sottoposizione della società a procedura fallimentare, il timore di una responsabilità in capo agli amministratori stessi (ed ai soci ex art. 2476 comma 7 nuovo testo c.c.) e la prospettiva che il finanziamento divenga in tali casi, in definitiva, la soluzione più complicata per ottenere il rimborso da parte della società, possono contribuire a rilanciare in maniera non trascurabile l’utilizzazione delle due forme alternative di apporto sopra illustrate. Per riprendere un’ultima volta il ragionamento iniziale, concernente il confronto tra l’approccio europeo e quello americano relativamente alla funzione del capitale sociale ed al problema della tutela dei creditori sociali e della certezza del diritto, può affermarsi che, quasi paradossalmente, è proprio il nuovo art. 2467 c.c., ovvero una delle norme più in linea con la sensibilità e la tecnica giuridica americana, comunque tale norma verrà in concreto interpretata, a costituire il primo tassello legislativo, allo stato probabilmente ancora insufficiente (si pensi, soprattutto, alla sua inapplicabilità diretta alle società azionarie), per un rilancio effettivo dell’istituto del capitale sociale nel rispetto della tradizione affermatasi negli ordinamenti europei (81).

81 ) Il tema (civilistico) della sottocapitalizzazione delle società ha interessato, da ultimo, anche il legislatore tributario italiano, il quale sta studiando (in esecuzione del principio posto dalla l. 7 aprile 2003, n. 80, art. 4 comma 1 lettera g) una serie di eccezioni al principio di deducibilità dal reddito di impresa degli interessi passivi pagati dalla società per rimborsare i finanziamenti eseguiti dai soci in una situazione di sottocapitalizzazione (c.d. thin capitalization); per una sintesi delle tendenze in atto, cfr. R. PARISOTTO, Patrimonio, nozione critica nell’accelerazione sul capitale, in IlSole24Ore, 24 maggio 2003, p. 21; A FELICIONI, Thin capitalization, graziati i contribuenti più piccoli, in ItaliaOggi, 28 maggio 2003, p. 26; per una definizione della nozione di thin capitalization (alla lettera “capitalizzazione sottile”), v., inoltre, R. RIZZARDI, Debito strumentale sotto tiro, in IlSole24Ore, 31 maggio 2003, p. 23, secondo cui “la capitalizzazione sottile è un bilanciamento tra mezzi propri (bassi, da cui “sottili”) e indebitamento oneroso (alto), così che il pagamento degli interessi passivi si porta via gran parte del reddito d’impresa. La preoccupazione fiscale è che in realtà il dominus dell’impresa o società i quattrini li abbia, ma li investa come redditi da capitale, tassati ad aliquota fissa e ridotta (da noi il 12,50%, dandoli direttamente o indirettamente a garanzia di un finanziamento oneroso alla propria impresa, che così deduce gli interessi passivi, costituiti, dal punto di vista economico, dalla cedola incassata dal socio o titolare a titolo di reddito di capitale e dal margine dell’intermediario finanziario”.