I CONCERTI 2017 | 2018 Rassegna stampa · maurizio guermandi e associati max information m. casale...
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Rassegna stampaI CONCERTI 2017 | 2018
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CONFINDUSTRIA EMILIA
COOP ALLEANZA 3.0
FATRO
FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI RAVENNA
FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA
FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA
GRAFICHE ZANINI
GRUPPO GRANAROLO
GRUPPO HERA
MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI
MAX INFORMATION
M. CASALE BAUER
PALAZZO DI VARIGNANA
PELLICONI
PILOT
S.O.S. GRAPHICS
UNICREDIT SPA
UNIPOL BANCA
UNIPOL GRUPPO FINANZIARIO
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO
REGIONE EMILIA-ROMAGNA
COMUNE DI BOLOGNA
I CONCERTI DI MUSICA INSIEME 2017/2018Auditorium mAnzoni - BolognA
LUNEDÌ 16 OTTOBRE 2017
ORCHESTRA GIOVANILE ITALIANAMICHAEL BARENBOIM
violino
PHILIPPE AUGUINdirettore
LUNEDÌ 30 OTTOBRE 2017
ANTONII BARYSHEVSKYIpianoforte
LUNEDÌ 13 NOVEMBRE 2017
FILARMONICA ARTURO TOSCANINIKRYSTIAN ZIMERMAN
pianoforte
GRZEGORZ NOWAKdirettore
LUNEDÌ 27 NOVEMBRE 2017
SPIRA MIRABILIS
LUNEDÌ 4 DICEMBRE 2017
MARIO BRUNELLOvioloncello e violoncello piccolo
DOMENICA 17 DICEMBRE 2017
LUIGI PIOVANOvioloncello
ANTONIO PAPPANOpianoforte
LUNEDÌ 15 GENNAIO 2018
PRAŽÁK QUARTET
LUNEDÌ 22 GENNAIO 2018
KATIA E MARIELLE LABÈQUEpianoforti
SIMONE RUBINO E ANDREA BINDI percussioni
LUNEDÌ 5 FEBBRAIO 2018
RUDOLF BUCHBINDERpianoforte
LUNEDÌ 26 FEBBRAIO 2018
JOSHUA BELLviolino
SAM HAYWOODpianoforte
LUNEDÌ 5 MARZO 2018
BORODIN QUARTETALEXEI VOLODIN
pianoforte
LUNEDÌ 19 MARZO 2018
CRISTINA ZAVALLONIvoce
DANUSHA WASKIEWICZviola
ANDREA REBAUDENGOpianoforte
DOMENICA 25 MARZO 2018
RADU LUPUpianoforte
LUNEDÌ 9 APRILE 2018
MAXIM VENGEROVviolino
POLINA OSETINSKAYApianoforte
LUNEDÌ 23 APRILE 2018
QUATUOR DIOTIMAJÖRG WIDMANN
clarinetto
LUNEDÌ 7 MAGGIO 2018
LITHUANIAN CHAMBER ORCHESTRASERGEJ KRYLOV
violino
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Avvenire Bologna Sette 15-OTT-2017da pag. 5foglio 1
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L’Ape Musicale 17 Ottobre 2017
foto ® Yannick Perrin
Bologna, concerto Auguin Barenboim, 16/10/2017
L'attuale e l'avvenire di Roberta Pedrotti La stagione di Musica Insieme si apre con un bel concerto che ambisce trasversalmente il tema di Bologna Modern con il gioco, veggente o contingente, di piani quasi cinematografici in Wagner, Bruckner e Korngold (tutti autori direttamente o indirettamente) fondamentali nella storia della colonna sonora). Ottima la prova dell'Orchestra Giovanile Italiana guidata da Philippe Auguin con la pregevole partecipazione solistica di Michael Barenboim.
BOLOGNA, 16 ottobre 2017 - Wagner, Korngold, Bruckner: può essere legittimo domandarsi come si inserisca questo concerto, senza che in programma vi sia spazio per nulla di più recente, nel cartellone di Bologna Modern. La risposta arriva obliqua, accarezzando le estensioni del concetto di modernità e del rapporto con la stessa, soffermandosi sul sottotitolo della rassegna, che recita “festival per le musiche contemporanee” e non “festival di musiche contemporanee” e aprendosi, perlomeno, a tutte le accezioni dell’accogliente caso ablativo. Gli accostamenti ben escogitati fanno il resto, ché, se non ascoltiamo nulla che si possa dire “contemporaneo” (tanto più che in Italia il pubblico dovrebbe finalmente abituarsi a considerare come tali solo i viventi, e non autori come Nono e Berio, defunti e storicizzati) ascoltiamo musica che, fra aspirazione all’avvenire e contingenza contemporanea, con la modernità ha un legame profondo.
Basti pensare alla grandiosità dell’architettura tematica del Preludio di Die Meistersinger von Nürnberg e a quella più tormentata di Bruckner nella sua Settima Sinfonia, associarle alle rinnovate frontiere di rielaborazioni e destrutturazioni dei linguaggi d’avanguardia, considerare anche solo la mobilità delle prospettive e delle focalizzazioni fra temi, dettagli, timbri. Un procedimento che si potrebbe dire cinematografico, un virtuosismo di inquadrature, piani sequenza, tagli repentini. Qui si innesta Korngold, che nel Novecento s’immerge proprio attraverso il cinema, incontro fortunato per quanto forzato dalla tragedia storica (ebreo, era stato costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove grazie a un altro esule illustre come Max Reinhardt era entrato in contatto con la nascente industria della celluloide). Anche quando, a guerra finita, torna alla sala da concerto per ribadire serenamente la sua posizione di compositore “serio”, la sua musica resta squisitamente, quasi sfacciatamente immanente, con quel gusto melodico che guarda senza dubbio a certo Mahler e a certo Strauss (nonché a un pizzico di Čajkovskij), con una comunicativa immediata ma non sprovveduta,
piuttosto quasi edonista nel suo struggente lirismo. Risulta pertanto quasi incredibile che questa sia – ed ecco la punta di novità in seno al festival – la prima esecuzione bolognese del Concerto per violino e orchestra di Korngold, uno di quei brani che pareva di conoscere già da prima del primo ascolto, tanta è la chiarezza d’ispirazione dei temi.
Lo tiene a battesimo Michael Barenboim, che regge bene l’onore e l’onere di tale cognome (e di una costellazione familiare non meno ingombrante: basti pensare che il primo marito della madre, la pianista Elena Baškirova, è stato nientemeno che Gidon Kremer). Si tratta prima di tutto di un violinista giovane (classe 1985) e bravo, che si abbandona con sincerità e buon gusto alla melodia, dominandone anche la progressiva disarticolazione così come i passaggi più virtuosistici. Le sue qualità di interprete accorto e di esecutore tecnicamente solido si confermano anche nei due bis paganiniani, meritatamente coronati da grandi applausi.
A solista giovane corrispondono una compagine ancor più giovane e una bacchetta di grande esperienza. La prima è l’Orchestra Giovanile Italiana ed è un vero tesoro: non sono molti i complessi in Italia a tener testa alla scrittura di Bruckner con questa compattezza e identità di colore, soprattutto negli archi e nei legni, ma anche in una sezione d’ottoni superiore alla media, ben calibrata e attenta. Queste sono le realtà da valorizzare, questi i giovani musicisti a cui garantire un futuro che non ne disperda il talento: fra modern e contemporaneo, ecco il futuro.
Sul podio la guida preziosa è Philippe Auguin, che garantisce sicurezza e giusta misura, con una lettura elegante, capace di abbracciare anche la frammentazione tematica di Bruckner in uno sguardo d’insieme coeso e compatto, concentrandosi più sull’unitarietà del tutto che sul tormentato gioco delle parti senza, tuttavia, perdere di vista l’articolazione interna delle voci e dei rimandi.
Un franco successo saluta tutti gli interpreti di un bel concerto, a prescindere da ogni etichetta.
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L’Ape Musicale 2 Novembre 2017
Bologna, concerto Baryshevskyi, 30/10/2017
Il demone di Antonii di Roberta Pedrotti Antonii Baryshevskyi torna a Bologna e lo fa in grande stile, con un ricco recital per Musica Insieme in cui impone un'acuta forza interpretativa e una personalità in continuo affinamento.
BOLOGNA, 30 ottobre 2017 - Era l'estate del 2013, la prima edizione del Festival Pianofortissimo (e seguì una fra le primissime recensioni uscite sull'Ape musicale: leggi) quando un giovane, semisconosciuto Antonii Baryshevskyi debuttava a Bologna mettendo subito in luce un pianismo incisivo, una personalità forte.
Lo ritroviamo oggi e lo ritroviamo affinato, maturo per i suoi ventinove anni, senza aver perso l'energia giovanile con cui scolpisce gli accenti e sgrana le note anche nelle arcate legate di Debussy (La terrasse des audiences du clair de lune e Feu d'artifice dal secondo libro dei Préludes) e Chopin (Scherzo n. 2 in si bemolle minore op.1), che rivelano un mordente perfino demoniaco in quello scontornare caparbio del dettaglio in un'atmosfera cupa, perturbante, ma non plumbea, bensì a tratti perfino vaporosa. Lo si avverte chiaramente nell'amato Skrjabin, della cui Sonata n. 5 in fa diesis maggiore op.53 domina le atmosfere visionarie ed esoteriche con il cipiglio dell'esperto stregone, dopo aver dipanato con cura gli effetti armonici che, nell'essenzialità della scrittura di Vers la flamme op. 72, evocano all'opposto e bagliori di fiamma e un incedere smarrito nella neve fresca.
Di fronte a un programma che prevede composizioni disseminate nell'arco di novantadue anni, ha un bel daffare Carla Moreni, che introduce la serata, per tracciare fili conduttori strutturali (il ricorrere della Sonata) ed espressivi (il fuoco e le atmosfere lunari, Dioniso e Apollo). Tutte suggestioni ben presenti in un concerto che si coagula comunque intorno alla personalità dell'interprete come autentico fil-rouge; benissimo così, dato che nessuna norma può stabilire a priori il valore di un programma in base alla presenza più o meno riconoscibile di un tema, al suo elettismo, ai suoi contrasti, alla sua omogeneità. Ben vengano allora, in apertura rispettiva della prima e della seconda parte anche Beethoven (Sonata n. 31 in la bemolle maggiore op. 110) e Schumann (Sonata n. 2 in sol minore op. 22), se anche nel piegarsi a stili differenti Baryshevskyi
resta Baryshevskyi, calibra con misura oculatissima la scelta dei tempi, ombreggia il fraseggio, fa scaturire le idee musicali sgranandole e articolandole sempre con consapevole incisività.
Anche i bis rivelano, con autori lontanissimi nel tempo, come il pianista ucraino non sia semplciemente eclettico, ma un musicista completo e intelligente, dotato di un suo demone peculiare: bella la resa di Fem (Metallo) di Ligeti, così come la Sonata K159 di Scarlatti, che con la sua resa pià giocosamente indiavolata che filologica sembra ispirarsi ai celebri fuori programma di Martha Argerich.
Applausi vivaci e meritatissimi che trovano eco nel rimbalzare di commenti positivi che accompagna l'uscita del pubblico dal Teatro Manzoni.
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L’Ape Musicale 19 Dicembre 2017
Bologna, concerto Pappano/ Piovano, 17/12/2017
Il maestro e il violoncello di Roberta Pedrotti
Antonio Pappano e Luigi Piovano, musicisti di grande valore in affiatatissimo duo, propongono a Bologna le due Sonate per pianoforte e violoncello di Brahms affiancate da due lavori recentissimi loro dedicati da Riccardo Panfili e Michele Dall'Ongaro. L'auditorium Manzoni, affollatissimo, risponde con giustificato calore.
BOLOGNA, 17 dicembre 2017 - Non sono pochi i direttori d’orchestra che siano o siano stati anche solisti, talora di valore. Non è nemmeno così raro che le due carriere procedano, per quanto possibile, in parallelo, ma l’amore di Antonio Pappano per l’attività cameristica ha qualcosa di speciale, proprio perché esprime il piacere di far musica – soprattutto in duo – alla pari. Trovarlo al pianoforte accanto alle prime parti della “sua” orchestra di Santa Cecilia comunica innanzitutto un’assoluta totalità nella gestione dei ruoli, scevra da ogni divismo e volta solo al miglior servizio alla musica, alla gioia di renderlo.
Per quest’ultimo concerto del 2017 con cui Musica Insieme porge gli auguri di buone feste, l’amore per il proprio mestiere di musicisti e interpreti si traduce anche nell’interesse per gli autori contemporanei: le due parti della serata sono aperte da brani recentissimi, entrambi del 2016, entrambi dedicati al duo Antonio Pappano (pianoforte)/ Luigi Piovano (violoncello). Il primo è L’ospite insonne di Riccardo Panfili (1979), classicamente suddiviso in due sezioni contrastanti – L’ora del lupo piana ed estatica, La fuga (aus der “Lichtung”) concitata e inquieta – in cui il pianoforte tintinna suoni acutissimi, lunari e astratti fra le grandi arcate sospese del violoncello per poi lanciarsi in un intreccio frenetico di reciproci inseguimenti. Il secondo è costituito dalle Due canzoni siciliane (A la vitalòra (modo di vita) e Carnascialata dei Pulcinelli (Palermo)) di Michele Dall’Ongaro (1957) e parte pure da strutture e moduli consolidati, in questo caso tradizionali, per filtrarli attraverso la lente dei linguaggi contemporanei.
Ai preludi odierni segue l’eterna modernità delle due Sonate per violoncello e pianoforte di Brahms, la prima in mi minore op. 38 e la seconda in fa maggiore op. 99. Pappano e Piovano suonano bene, sì, con sicurezza, sì, ma soprattutto comunicano, in pezzi di tale difficoltà, quella familiarità, quella
naturalezza che è propria di chi lavora fianco a fianco tutto l’anno e ha sviluppato un respiro comune, un comune sentire, un’affinità perfetta. Le sfumature dinamiche di quelle definizioni che ad Allegro, Allegretto e Adagio devono quasi sempre abbinare una precisazione di affetto, passione, vivacità, un “quasi Menuetto” o un “non troppo” si delineano fluide e chiarissime, gli strumenti dialogano in un continuo divenire dialettico, come nei due movimenti centrali della seconda Sonata, in cui l’incipit felpato di Pappano viene progressivamente coinvolto dal lirismo affettuoso o dal calore passionale di Piovano, suono netto e ben tornito com’è quello del direttore/pianista.
Le introduzioni al programma curate dagli stessi interpreti contribuiscono a cementare l’empatia con il pubblico, che non accenna a lasciare la sala e lasciar scemare gli applausi fino alla concessione di due bis, le due Romanze op. 72 di Martucci, autore amato da molti direttori e strumentisti, legato a Bologna dove diresse il Liceo Musicale e fu maestro di Respighi.
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Bologna, concerto Prazak Quartet, 15/01/2018
Vite di Boemia di Roberta Pedrotti Il Lobkowitz-Quartett di Haydn, il quartetto Dalla mia vita di Smetana e quello Americano di Dvořák declinano in modo differente il rapporto fra sperimentazione e tradizione, fra forma e radici popolari legate alle terre boeme. L'interpretazione del Pražák Quartet è una garanzia non solo di qualità esecutiva, ma anche di pertinenza stilistica e di spirito.
BOLOGNA, 15 gennaio 2018 - Eccolo, il Tedeschino! Sia caso o fortuna, proprio il primo concerto del 2018 rossiniano della stagione di Musica Insieme, nella sua Bologna, si apre con un quartetto del venerato Haydn, il n. 81 in sol maggiore op. 77 n.1, del 1799, quindi di strettissima attualità quando il piccolo Gioachino compone le sue sei sonate per lo stesso organico (1804). Si sente, nel terzo e nel quarto movimento soprattutto come questi lavori adolescenziali debbano al modello haydniano, ma ancor più all'attacco del secondo, Adagio, quasi si sobbalza pensando all'affinità di spirito, per esempio, con la sinfonia dell'Inganno felice. Sia caso o fortuna, dunque, l'omaggio iniziale ad Haydn si fa omaggio indiretto agli studi bolognesi del Tedeschino Rossini, la fase finale di una carriera gloriosa si allaccia idealmente allo sbocciare di un altro genio. D'altra parte in quest'opera il padre del quartetto sembra fare i conti con la tradizione da lui stesso codificata ed elevata allo stato dell'arte, introducendo rapporti armonici e agogici (quel Minuetto reinventato...) sperimentali ma forieri di sviluppi nel secolo a venire.
Così, nel pieno Ottocento troviamo uno Smetana che, passati i cinquant'anni (e morirà a sessanta) compone il suo primo quartetto e gli dà il titolo già consuntivo Dalla mia vita, in cui spicca, a sostituire il Minuetto e collocandosi nel secondo movimento anziché nel classico terzo, la presenza della Polka, richiamo alla natìa Boemia, la stessa terra del principe Lobkowitz cui Haydn dedicò il suo quartetto. Anche Dvořák nel suo Quartetto n. 12 in fa maggiore op. 96 Americano si rifà a radici tradizionali, che, come nella celeberrima Sinfonia n. 9 Dal nuovo mondo, appartengono e all'Europa orientale e alle terre d'oltreoceano, alle culture dei nativi e dei pionieri. Quello che a noi oggi, con effetto straniante, sembra appartenere all'immaginario country e western doveva apparire affascinante ed esotico al compositore del secondo Ottocento approdato a New York e da sempre interessato al folklore musicale.
Fra forma classica e guizzanti umori popolari, i violini si muovono agili sia che stemperino la Polka un poco nostalgica di Smetana, sia che raccolgano l'eco vispa della Boemia con quella dei nuovi americani in Dvořák. Perfettamente immerso nello spirito dell'impero asburgico orientale in cui tutti
i compositori in cartellone sono nati e si sono formati, boemo come due di loro, il Pražák Quartet possiede esattamente quel witz tagliente e inafferrabile che nella precisione musicale riesce a insinuare con agilità l'arguzia di un passo di danza malizioso come un abbandono melanconico dolce quanto le onde del Danubio.
Ancora la Polka, questa volta da un quartetto di Dvořák, chiude la serata, fra applausi scroscianti e meritati.
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Il duo Labèque incanta Bologna insieme a Bindi e Rubino di Federico Lanzellotti
Pubblico entusiasta per il concerto delle sorelle Labèque al Manzoni di Bologna il 22 gennaio: il
duo, famoso da anni in tutto il mondo per le straordinarie esecuzioni a due pianoforti, ha proposto
insieme con i giovani percussionisti italiani Simone Rubini e Andrea Bindi la Sonata per due
pianoforti e percussioni (1937) di Béla Bartók, il pezzo di repertorio più famoso per questo
organico. Nella presentazione del concerto Katia Labèque ha definito la Sonata di Bartók un
“capolavoro assoluto”, nonché il pezzo con cui esse hanno esordito a Parigi all’inizio della loro
travolgente carriera.
Katia e Marielle sono da anni impegnate sulla linea di un marcato eclettismo spaziando dalla
musica settecentesca a quella contemporanea, con un grande numero di pezzi loro dedicati dai più
importanti compositori degli ultimi decenni, fino al mondo del jazz e della musica pop. Con
entusiasmo hanno quindi annunciato, nella presentazione del concerto, di voler aprire la serata con
la prima esecuzione italiana della suite El Chan per due pianoforti (2016) del compositore
statunitense Bryce Dessner, che nella sua doppia carriera di compositore “colto” legato alla corrente
postminimalista e chitarrista della rock band “The national”, è animato da uno stesso incredibile
eclettismo sincretico.
A seguire le due pianiste hanno proposto cinque pezzi tratti da Mikrokosmos per due pianoforti e la
trascrizione per due pianoforti di tre danze ungheresi di Johannes Brahms. Questa trascrizione
(successiva e meno nota della versione per pianoforte a quattro mani, con cui questi celebri pezzi si
sono affermati immediatamente dalla loro pubblicazione tra il 1852 ed il 1869), ha messo in luce il
gioco di riflessi che si viene a creare tra parti melodiche e le estrose fioriture ed il tono intimamente
“concertante” delle Danze brahmsiane. L’originale interpretazione del duo Labèque si è inoltre
pregiata di un frizzante anticonformismo: le danze n. 1 e n. 5 sono state eseguite ad un tempo
decisamente più concitato rispetto all’esecuzioni di tradizione, mentre la danza n. 20 è stata avvolta
in un’atmosfera immobile e rarefatta, quasi debussiana.
Se la proverbiale abilità e nitidezza del tocco delle due pianiste rende superflua qualsiasi lode, di
grande interesse è risultata la destrezza dei due percussionisti. Il pubblico ha particolarmente
apprezzato l’energica, travolgente ed impeccabile esecuzione dei Thirteen drums di Maki Ishi
(1936-2003) da parte del ventiquattrenne Simone Rubino, stella promettente del mondo delle
percussioni, nonché vincitore di numerosi premi di rilievo.
Un auditorium gremito ha seguito con entusiasmo tutto il concerto. Se la suite di Dessner non ha
colpito ed il compositore è rimasto spesso impigliato in una serie di semplici cliché che, seppur
molto orecchiabili, sono risultati fin troppo scontati, la Sonata di Bartók ha riscosso notevole
apprezzamento. Il grande affiatamento del quartetto, che ha regalato momenti intensi e
timbricamente eccezionali, ha mostrato vinta la scommessa di accostare un duo storico e di
altissimo livello come le sorelle Labèque a due giovanissime leve italiane.
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Bologna, concerto Radu Lupu, 25/03/2018
Lupu e il mondo di Francesco Lora Nei più recenti concerti italiani del sommo pianista, e in particolare a Bologna per Musica Insieme, un programma-monografia dedicato a Schubert: declino tecnico e supremo poetico.
BOLOGNA, 25 marzo 2018 – È complimentoso ma viepiù inesatto riferire di Radu Lupu come di pianista venuto da un altro mondo. Ne han dato conto i più recenti concerti tenuti in Italia, con un programma-monografia dedicato a Schubert: il 21 marzo a Torino per l’Unione Musicale, il 23 a Milano per la Società del Quartetto, il 25 a Bologna per Musica Insieme, il 27 a Firenze, infine, per il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e gli Amici della Musica. Questa recensione è relativa alla serata bolognese, inserita nella principale rassegna dell’istituzione che più di ogni altra è, in città, il regolare, attento, discreto mezzo d’incontro tra il pubblico navigato e i prìncipi della musica sinfonica e da camera. L’usata e introversa signorilità, più un vistoso affaticamento fisico: riapparendo Lupu al Teatro Manzoni, ecco l’ammissione del suo essere materia umana, corpo anziano, arte pudica, mente vegliante. In programma, i Six moments musicaux op. 94 D 780, la Sonata n. 16 in La minore op. 143 D 784 e la Sonata n. 22 in La maggiore D 959; schubertiano anche il bis: l’Impromptu in La bemolle maggiore op. 142 n. 2 op. 935. L’astratta e umorale imprevedibilità dell’invenzione, nel compositore qui in oggetto, deforma l’oggettiva percezione temporale, e non solo nei Six moments che, minutamente scritti su carta, vorrebbero fingere i modi di chi si ponga alla tastiera per improvvisare: la tesi qui ripresa è da Lupu non solo stata dimostrata, ma anche doppiamente affermata nel vivo dell’esecuzione. All’ascolto: tempi dilatati fino ai limiti di tenuta della frase, gamma dinamica che esclude stoica gli estremi, colori parchi nei quali ricade il peso delle braccia, aloni stesi malgrado l’uso minimo del pedale, impeti romantici ridotti a scala di pentimenti; un discorso fatto di pochi cenni e quasi sacri, avido di pausa, dubbio, indugio e silenzio, sorto come confidenza interiore e giammai come conversazione vivida, infine capace – al solito – di appendere l’orecchio a ciascun suono, finanche quello che balzi profano dal tasto sbagliato. Dal comune mondo suo e nostro, è pur vero, Lupu schiude la mente a un altro.
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