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G Ge en nt te es s L Lm ms s - - P Po os st te e I It ta al li ia an ne e S Sp pa a - - S Sp pe ed di iz zi io on ne e i in n a ab bb bo on na am me en nt to o p po os st ta al le e - - d d. .l l. . 3 35 53 3/ /2 20 00 03 3 ( (c co on nv v. . i in n l l. . 2 27 7/ /0 02 2/ /2 20 00 04 4 n n. . 4 46 6) ) a ar rt t. . 1 1, , c co om mm ma a 2 2 - - D DC CB B R Ro om ma a - - D Di ir r . . R Re es sp p. . M Ma as ss si im mo o N Ne ev vo ol la a s sj j S S S e e e t t t t t t e e e m m m b b b r r r e e e O O Ot t tt t to o ob b br r r e e e 2 2 2 0 0 0 1 1 1 0 0 0 N N N º º º 5 5 5 m m m e e e n n n s s s i i i l l l e e e d d d e e e l l l l l l a a a l l l e e e g g g a a a m m m i i i s s s s s s i i i o o o n n n a a a r r r i i i a a a s s s t t t u u u d d d e e e n n n t t t i i i e e e d d d e e e l l l M M M . . . A A A . . . G G G . . . I I I . . . S S S . . . I COLORI I COLORI DELLA MISSIONE Imp. 5-2010 27-09-2010 12:00 Pagina I

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I COLORII COLORIDELLA MISSIONE

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SOMMARIO

131 EDITORIALE– Un altro anno di campi missionari. Alla ricerca del tesoro

evangelicodi Leonardo Becchetti

134 VITA LEGABOSNIA– 1997-2010: La Bosnia della Lega Missionaria Studenti

di Raffaele Magrone– I colori del multiculturalismo e la pace indifferente

di Caterina Nitti– Un colombiano in Bosnia

di Rommel Garcia

CINA

– Di nuovo a Pechino per accarezzare i piccoli fiori della Cinadi Nicoletta Galisai

– Un campo missionario per giovani aborigeni a Taiwandi Emilio Zanetti S.I.

CUBA– Il dono della gratuità nell’isola abbandonata

di don Bartolo Puca

PERÙ– Storie di giorni color Esperanza

di Gabriella Quadrato– Guardarsi negli occhi dei bambini per conoscersi davvero

di Luigi Bertone– “Tu, Mio”: il Perù tra realtà e le pagine di un libro

di Tiziana Casti

ROMANIA– Sighet 2010

di Giacomo Mennuni– La stanza dei segreti

di Alessio Farina– Il reparto paradossale

di Francesco Salustri

PALERMO– “Il tempo dei gitani”. Un seminario sui Rom

di Alessio Farina

SCHEDA di iscrizione al CONVEGNO CVX-LMSdi MILANO (29 ottobre – 1 novembre 2010)

mensile della lega missionaria studenti e del M.A.G.I.S.

N. 5 Settembre-Ottobre 2010

Direzione e Redazione: 00144 Roma –Via M. Massimo, 7 – Tel. 06.591.08.03– 54.396.228 – Fax 06.591.08.03 –Spedizione in Abbonamento postaleart. 2 comma 20/c legge 662/96 – Filialedi Roma – Registrazione del Tribunaledi Roma n. 647/88 del 19 dicembre1988 – Conto Corrente Postale34150003 intestato: LMS Roma.e-mail: [email protected]

* * *

COMITATO DI REDAZIONE

Massimo Nevola S.I. (direttore),Michele Camaioni (redattore capo),Dario Amodeo, Leonardo Becchetti,

Chiara Ceretti, Laura Coltrinari,Maurizio Debanne, Gianluca Denora,

Alessio Farina, Francesco Salustri,Luigi Salvio, Pasquale Salvio,

Gabriele Semino.

Per abbonamenti versareun’offerta libera sulcc postale 34150003

intestato: LMS Romacausale: abbonamento Gentes

Associato alla Federazione StampaMissionaria Italiana

Fotocomposizione e Stampa:

Finito di stampare Settembre 2010

Associato all’USPI

TIPOFFSET R O M A s r l

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Settembre-Ottobre n. 5-2010 111133331111

D opo la battuta d’arrestodella crisi f inanziariamondiale – con tutto il

suo impatto negativo sulla po-vertà – il mondo, soprattutto nel-l’area dei paesi emergenti, è ripar-tito e i dati di quest’anno prevedo-no una crescita del Pil mondialesuperiore al 4 percento, tra le piùalte del dopoguerra. Gli economi-sti più superficiali mettono in pa-ce la loro coscienza dicendo chela crescita automaticamente ridu-ce la povertà perché“sgocciola” verso ilbasso. Con un’altraespressione tipica,dicono che quando lamarea sale alza tuttele barche. Ma la me-tafora è fuori luogo.Ancora nel 2005, do-po anni e anni di cre-scita, poco meno del-la metà della popola-zione mondiale, se-condo i dati dellaBanca Mondiale, vi-veva con meno di 2dollari e mezzo algiorno e 880 milioni

con meno di un dollaro al giorno.Se assieme alla crescita aumenta-no, come è accaduto in questi de-cenni, le diseguaglianze lo sgoc-ciolamento è insufficiente e la mi-seria non è debellata.Dire che risolverà tutto il mercatoda sè è come mettere al via di unagara podistica un giovane baldo eaitante e un infortunato con lestampelle, dicendo: «Vinca il mi-gliore». Per sconfiggere la miseria(almeno della prossima genera-

EDITORIALE

Un altro anno di campi missionariAlla ricerca del tesoro evangelico

Uno dei tanti bambini che quest’estate hanno preso parte ai corsi dilingua organizzati dalla Lms a Sighet, in Romania.

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zione) ci vogliono un’azione inci-siva sulla scolarizzazione e unaserie di misure che promuovonole pari opportunità, rimuovendol’handicap di partenza (scarsa do-tazione di risorse finanziarie, bas-sa istruzione, ferite derivanti daesperienze di degrado, bassa par-tecipazione ai processi politico-economici) di chi non ha nulla.È dentro questo quadro che simuove la goccia deinostri campi, nonavendo paura di in-contrare i volti dietrole cifre.Di solito per aneste-tizzare il dolore dellamiseria che ci circon-da tendiamo a viveresempre in aree e trapersone che appar-tengono alla nostrafascia di reddito. So-no pochi coloro chehanno il coraggio di“fare il passaggio” econfrontarsi con que-ste realtà. Eppure è nell’incontrodella nostra povertà di senso conla povertà-miseria di chi è nel bi-sogno una delle più valide sorgen-ti di ricchezza e pienezza di sen-so, attraverso cui l’energia dellaGrazia si dispiega in noi, i talentisi moltiplicano e si può sperimen-tare il tesoro evangelico.Non solo dunque «se avete fattoquesto al più piccolo dei miei fra-telli l’avete fatto a me», ma anchemoltiplicazione dei talenti e teso-

ro scoperto nel campo che si vuo-le condividere con i fratelli.È la potatura che rende una pian-ta più rigogliosa. Solo accettandol’apparente irrazionalità del met-terci in gioco accogliendo ed in-contrando il “disordine” e lo scac-co della miseria, sopportando everificando il dolore dell’insuffi-cienza del nostro impegno rispet-to ai bisogni che abbiamo davan-

ti, realizziamo in noiquel dinamismo cherende una vita piena.Lo scacco nel verifi-care la nostra picco-lezza e inadeguatezzalascia però spazio al-la speranza e allagioia, se contemplia-mo il valore e la for-za delle comunità ereti nelle quali siamoinseriti, passando dalcerchio più stretto aquello più ampio.Abbiamo un ruoloben preciso e grandi

potenzialità. Il primo è quello diorganizzare il percorso dei campie offrirlo e renderlo disponibileper tutti coloro che sentono il bi-sogno di viverlo. Sapendo che l’e-sperienza vissuta in loco (Bosnia,Cina, Cuba, Perù, Romania) farànascere sensibilità e impegno so-ciale che in moltissimi casi daràsale a scelte di vita successive, chenon abbandoneranno la logica deldono e della gratuità. Che in retecon altre realtà ecclesiali e tutte le

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organizzazioni simili a noi permotivazioni ideali, abbiamo cer-cato in passato (Bene comune, lecampagne per la tassa sulle tran-sazioni finanziarie e per la giusti-zia climatica, ecc.) e cercheremoin futuro di realizzare cose piùgrandi e strutturali. Che siamo at-tori piccoli, ma non per questonon importanti di un grandiosoprogetto dello Spiritoche vuole riportare adunità il mondo.Contro la tentazionedel pessimismo e del“tanto non basta”, ciaiutano la storia delcolibrì e degli elefantie la chiusa della Po-pulorum Progressio.La storia parla di unaforesta che brucia.Colonne dei elefantiche escono tristemen-te da essa s’imbattonoin un colibrì che pro-cede felice con unagoccia nel becco indirezione contraria verso l’incen-dio. «Che fai?», chiedono. La ri-sposta è: «Vado nella direzionegiusta».La Populorum Progressio invece,con una visione “tehillardiana”, ri-batte alle prevedibili obiezioni ditutti i realisti che non lasciano la-vorare dentro di loro i semi diprofezia: «Certuni giudicherannoutopistiche siffatte speranze. Po-trebbe darsi che il loro realismopecchi per difetto, e che essi non

abbiano percepito il dinamismod’un mondo che vuol vivere piùfraternamente, e che, malgrado lesue ignoranze, i suoi errori, e an-che i suoi peccati, le sue ricadutenella barbarie e le sue lunghe di-vagazioni fuori della via della sal-vezza, si avvicina lentamente, an-che senza rendersene conto, al suoCreatore. Questo cammino verso

una crescita di uma-nità richiede sforzo esacrificio: ma la stes-sa sofferenza, accetta-ta per amore dei fra-telli, è portatrice diprogresso per tutta lafamiglia umana».Scrive Coelho cheogni essere umano,nel corso della pro-pria esistenza, può se-guire due comporta-menti: costruire opiantare. «I costrutto-ri, presto o tardi, con-cludono quello chestavano facendo; e

quando la costruzione è finita nonresta loro che ammirarla. Quelliche invece piantano, soffrono conla tempesta e le stagioni; rara-mente riposano. Ma al contrariodell’edificio, il giardino non cessamai di crescere».Noi ci proponiamo anche di co-struire (e abbiamo concretamentecontribuito a farlo), ma il nostroobiettivo è soprattutto quello dipiantare.

Leonardo Becchetti

111133333333Settembre-Ottobre n. 5-2010

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111133334444 Settembre-Ottobre n. 5-2010

A scuola di speranzaOggi Dzenita ha 15 anni, studia da odon-totecnico e mi ha anche chiesto l’amiciziasu Facebook. Nell’estate del 1998 avevatre anni: praticamente nata appena finitala guerra. Era tra i piccoletti che giocava-no a Otes. Sua sorella Julia ne aveva otto,a due aveva “conosciuto” la guerra. Otes èun quartiere nella periferia sud di Saraje-vo, in cui i profughi bosgnacchi (musul-mani) avevano occupato le case, in gene-re messe parecchio male, abbandonatedalle famiglie serbe (ortodosse) fuggite aloro volta verso località più ospitali per laloro etnia. La famiglia di Dzenita abitava,prima di rifugiarsi a Otes, un po’ più su,in una zona, come quasi tutte a Sarajevo,a popolazione mista su una delle tantecolline che circondano la città, ma unagranata serba piombata sul fianco dellacasa li aveva evidentemente convinti a la-sciarla da un giorno all’altro.Il primo giorno del mio primo campo inBosnia, il secondo per la Lega Missiona-ria Studenti, una tranquilla passeggiataesplorativa ci condusse per caso proprioin quel quartiere. Otes era “solo” confi-nante con Stup, dove invece avremmo alungo lavorato alla ricostruzione/recupe-ro di molte case e della stessa chiesa deicroati (cattolici). Fatto sta che l’incontrocon quei bambini ci spinse a non dimen-ticare il tragitto per tornare lì. Da quel

giorno in poi diventarono proprio loro iprotagonisti delle nostre attività di ani-mazione di quell’estate e di tante che se-guirono. Dzenita e Julia erano tra loro.Per la cronaca: oggi sia Stup che Otes so-no totalmente rinnovati, con molte piùabitazioni e infrastrutture di quelle chericordavamo, ci sono molte auto in giro ecome sempre bambini e ragazzi che gio-cano un po’ ovunque.La parabola stessa di questi quartieri, diDzenita e della sua famiglia sembra quasirappresentare il perfetto happy end alpossibile racconto di 13 anni di Lega Mis-sionaria Studenti in Bosnia. Dalla preca-rietà di un forno a legna che d’inverno di-ventava caminetto, pian piano negli annili abbiamo rivisti e anche aiutati a torna-re alla casa d’origine, a metterne in sicu-rezza le parti danneggiate e a ricostruirequelle distrutte (anche grazie al sorpren-dente aiuto del “nostro” amico ex parrocodi Stup don Luka – oggi economo del ve-scovo – che ha saputo guardare ben oltrela loro diversa appartenenza etnico/reli-giosa), giungendo a una vita “normale”.Oggi papà Hairo, dopo aver chiuso permotivi di salute con il lavoro saltuario dipiastrellista/operaio/bracciante (a secon-da di ciò che trovava), sta provando a di-ventare produttore e venditore in propriodi fiori e piante da giardino, con un ban-co nei paraggi di un centro commerciale,

VITA LEGA

BOSNIA1997-2010: La Bosnia della Lega Missionaria Studenti

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111133335555Settembre-Ottobre n. 5-2010

aiutato dalla figlia maggiore. Mamma Sa-feta lavora dalle 7 alle 20 per quattrogiorni a settimana nel medesimo centrocommerciale: una storia ormai più vicinaal nostro “democratico progresso” che aun dopoguerra balcanico...Perché stare ancora qui allora a parlaredi Bosnia?Si potrebbe chiudere subito il discorsosnocciolando le cifre di un bilancio piùche decoroso: dal 1997 al 2003, sette esta-ti di grande lavoro a Sarajevo, decine diabitazioni ricostruite, svariati altri servizisvolti in giro per la città, dall’animazionecon centinaia di bambini, al serviziomensa e stoccaggio farmaci, al trasportoa piedi d’innumerevoli tazze del wc neinumerosi piani di tanti palazzoni, dimen-ticando molto altro. Dal 2001 nuovi cam-pi anche a Banja Luka e Ljubjia (Prije-dor), nella parte serba della Bosnia, conla ricostruzione di una chiesa (Presnace)e di altre case, e ancora tanta attività dianimazione con bambini serbi, croati emusulmani, più l’importante Progetto deiMedici, insieme agli Edili per la Bosnia,di Padova, che molto hanno fatto in favo-

re di centinaia di persone, fino a renderepossibile persino un complicato trapiantodi rene e pancreas per un uomo serboche in noi aveva forse intravisto l’ultimaspiaggia, considerato che non sarebberiuscito a operarsi altrimenti, e che anco-ra oggi con sua moglie vive a Padova. An-zi: proprio questa estate qualcuno di noicontinuava a girare mezza Bosnia per ot-tenere nuovi documenti e con l’occasionerecuperare anche dalla famiglia d’origineun po’ di cibo tipico del luogo, per pro-lungare e rendere più umana la perma-nenza dei due in Italia, visto che intantola moglie ha scoperto di avere un tumoreal cervello... Questo giusto per dire che,per quanto noi possiamo fare progetti ascadenza, alla fine è sempre il Signore amostrarci la strada, in tutti i sensi.Dal 2007 al 2009 il gemellaggio con laBosnia e l’amicizia con don Luka che adistanza ha continuato a indicarci luoghie persone da aiutare, sono proseguiti conl’esperimento di Novo Selo, a ben oltre200 km da Sarajevo, insignificante villag-gio spopolato al confine nord con laCroazia (regione della Slavonia), dove lanostra presenza è stata di testimonianzae incoraggiamento a un auspicato rientrodei cattolici cacciati via in seguito alla pu-lizia etnica da parte dei serbi, lavorandoal ripristino della parrocchia e di alcunecase, con risultati quanto meno incorag-gianti per noi. E infine quest’anno, conun campo nato inizialmente con l’idea diproseguire a Novo Selo, ma che poi ci havisti impegnati e anche alloggiati nella vi-cina zona di Sjiekovac e nella città di con-fine di Bosanski Brod, per lavori in preva-lenza nelle rispettive parrocchie, am-pliando la conoscenza della poca gentedel posto e di chi vive in Croazia al di làdel confine, ma continua nel vero sensodella parola a coltivare il proprio vecchioorticello in Bosnia, nella speranza di im-

Dzenita con la famiglia nella “nuova” casa di Sa-rajevo. Con loro, sulla destra, Raffaele Magrone,che insieme a Cristiano Basso è stato in questianni l’anima del gemellaggio tra i volontari dellaLms e le comunità bosniache di Sarajevo, BanjaLuka, Ljubjia e Bosanski Brod.

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maginare ancora un futuro per i cattoliciin quelle zone.Ormai, dopo anni di “grandi opere” connuove case anche di due piani ultimate,centinaia di metri di canali scavati pernuove tubazioni dell’acqua, decine di fon-damenta alla cui costruzione si è contri-buito spingendo carriole e spalando nellebetoniere, e soprattutto alla luce dei benpiù impegnativi servizi di questi anni deinostri amici negli altri posti del mondodove la Lms è attualmente impegnata, èdavvero difficile spiegarsi le ragioni di uncampo di trenta persone che in una deci-na di giorni di fatto hanno solo preparatoed effettuato la gettata per le nuove recin-zioni della parrocchia in città, distribuitoe sistemato terra attorno a una piccolaparrocchia votiva di campagna e collabo-rato al precario recupero di qualche cen-tinaio di mattoni da una casa in cui iltempo si è fermato con le cannonate su-bite quasi vent’anni fa!Allora, come tracciare un bilancio anchesommario di quattordici estati di campi,anche agli occhi di chi, proprio in seguitoalle ultime due/tre in parte trascorse lì,ancora vorrebbe tornare in Bosnia?L’unica lettura che in qualche modo oggiriesco a dare, è total-mente affidata alla pro-spettiva divina di que-sta esperienza, notoria-mente molto distanteda quella umana. Ovve-ro: guarda caso... pro-prio quest’anno abbia-mo lavorato quasi soloin due case del Signore,e per una serie di circo-stanze diciamo fortuite,molti dei partecipantihanno avuto modo dipregare anche più volteal giorno (lodi, spunti

di preghiera mattutini, rosario, messa econdivisione, compieta), come non acca-deva da anni, o forse con un’intensità euna frequenza che non c’erano mai state,almeno in termini di costanza e dedizio-ne, anche nella non facile ricerca indivi-duale dell’ascolto e del dialogo con il Si-gnore. Personalmente mi ha molto colpi-to il fatto di essere passati dall’alloggiareper anni in una confortevole scuola alcentro della capitale bosniaca, al ritrovar-si a condividere a dieci per casa delle di-more tra le macerie (e le zanzare) di unposto sperduto in aperta e ormai total-mente selvatica campagna e addiritturaqualcuno anche in sacco a pelo nella sedeparrocchiale provvisoria. Segnali densi disenso oppure di alcun valore... a secondadel punto di vista.Per giunta, proprio quel dettaglio a me eagli altri “veterani” resterà ben impressonella mente, dopo il nostro ultimoweekend trascorso in visita a Sarajevo al-la scuola cattolica di respiro europeo (in-vito tutti a visitare il sito www.ksc-saraje-vo.com), fortemente voluta dall’illumina-to vescovo ausiliare di Sarajevo mons. Pe-ro Sudar. La stessa che dal 1997, ha ac-colto i nostri volontari, prima in modo

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Volontari al lavoro nel cantiere della parrocchia di Bosanski Brod.

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111133337777Settembre-Ottobre n. 5-2010

spartano nella vecchia pale-stra e poi nelle nuove e como-dissime stanze al terzo piano.Oggi quella scuola, dellaChiesa e dei vescovi, è tra lepiù importanti di tutta “l’isla-mica” Sarajevo e dell’interaBosnia, proprio per la sua vo-cazione cattolica ad aprirsiuniversalmente ai ragazzi ditutte le etnie e da tutte le cittàbosniache, anche per formarela Bosnia di domani, unarealtà che, alla luce degli ulti-missimi episodi di stampo le-ghista (penso alla scuola “pa-danizzata” di Adro e la proposta di favori-re i lombardi nell’accesso alle università anumero chiuso della regione, ahimè nonil nostro essere Lega...) forse in Italia pre-sto diventerà un miraggio.E non solo per ecumenismo e capacitàd’integrazione: circa 1.300 iscritti, dalleelementari alle superiori, comprese spe-cializzazioni per gli aspiranti infermieri,nonché sezioni distaccate e ormai lo stes-so modello (totalmente gratuita per i lo-cali e con retta mensile di circa 150 europer vitto e alloggio dei fuori sede, con in-segnanti pagati dallo Stato) ricreato in al-tre cinque città importanti della Bosnia,per un impatto visivo che ci ha davverocolpito, tra aule all’avanguardia e tenutein ottimo stato, sala teatro e conferenze alivello di struttura europea con almenoquattro stelle, mega-palestra da collegeamericano, dipinti e lavori artistici varianche di ottimo livello esposti un po’ovunque, premi e poster con tutte le fotoe gli organigrammi di allievi e docenti,classe per classe. Non sappiamo ancoradire se la Lms continuerà ad andare inBosnia in futuro. Loro continuano a chie-dercelo in tutti i modi. Ancor più vero èche, proprio lì dove il futuro sembrerebbe

forse più incerto che da noi, appare evi-dente che almeno qualcuno ha ben com-preso su chi e su cosa bisogna puntareper averne uno, di futuro.Da noi invece più di qualcuno, e non cer-to da ieri, è impegnato solo a riscoprire lenobili origini non italiche della gente pa-dana, rivalutare i propri dialetti ed evitareche arrivino a scuola insegnanti con dia-letti meridionali, ricordandoci sempreche 10 milioni di persone sono pronte ascendere in piazza, anche con i fucili.Ecco: oltre che a tutti i ragazzi che vor-ranno tornarci per continuare a stare conla gente di Bosnia, e al tempo stesso starecon se stessi guardandosi nel profondodell’anima e cercando di ritrovare la vocedi nostro Signore, credo che dodici giorniin mezzo alle rovine causate dall’imbecil-lità e dal cieco tornaconto politico-econo-mico di qualche folle, farebbero ancoramolto bene a tantissima gente del nord,del sud e del centro del nostro Belpaese,senza dimenticare l’indispensabile appor-to delle isole, da cui magari arrivano nuo-vi giovani religiosi che c’insegnano a pre-gare, a servire e a farsi capire in palermi-tano da Dzenita e dalla sua famiglia...

Raffaele Magrone

Al confine tra Bosnia e Croazia sono ancora molte le case ab-bandonate in cui le famiglie che le abitavano prima della guer-ra non hanno più fatto ritorno.

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111133338888 Settembre-Ottobre n. 5-2010

L a Bosnia ricorda alcuni quadridell’impressionismo francesenei quali i colori sono spesso

sfumati, allungati e dilatati; a volte icontorni non si riconoscono affatto.Se osservi da vicino, le forme non sidistinguono bene. Una visione com-pleta però dimostra la bellezza dell’in-sieme: i particolari, da vicino quasiinsignificanti, acquistano senso e bel-lezza se accostati a tutti gli altri ele-menti.Così la Bosnia: è un intreccio di popo-li, culture, religioni. Più ti avvicini aquesta terra e alla sua storia e più iparticolari si confondono: etnie diver-se, ognuna con proprie tradizioni,ognuna ha una sua storia e un suomodo di vedere il mondo. Ogni etnia èuna comunità etica e religiosa conuna propria identità e convinzioni.Ogni comunità crede in Dio a suo mo-do. Da vicino ti confondi: cerchi di ve-dere le differenze tra i vari gruppi;cerchi di capirne la storia, dove e co-me queste comunità si possono incon-trare, quando e perché si sono scon-trate. Più ti addentri nella sua storiapiù ti perdi tra gli avvenimenti, i par-ticolari. Quando osservi da vicino unpaesaggio impressionista ti incuriosi-scono i colori e i particolari sfumati emescolati uno nell ’altro; un po’ ticonfondi, eppure quelle colorazionisfumate e tenui ti affascinano. Sem-bra di scorgere l’intero spettro dei co-lori. Inizia così il fascino per questaterra; guardandola da vicino; standocianche solo per un po’ dentro. Scorgi ledifferenze culturali e religiose che simescolano, tanti piccoli mondi diversi

affiancati come colori che si incontra-no e si scontrano. Da vicino è comeun guazzabuglio che ti eccita; tra lestrade di Sarajevo gli occhi si confon-dono tra i minareti intervallati talvol-ta da campanili; la mente si perde trale sfumature etniche: in uno stessopiccolo lembo di terra ce ne sono tan-tissime.Allontanando un po’ lo sguardo poi,quando torni a casa dopo una pur bre-ve permanenza, la Bosnia appare fi-nalmente in tutta la sua bellezza: ilquadro è ormai completo. Dopo avervisto i particolari puoi gettare unosguardo d’insieme su questa nazione;

I colori del multiculturalismo e la pace indifferente

Le ferite della guerra sono ancora vive tra lagente di Bosnia, ma la sfida di una convivenzapacifica e multiculturale non può essere ab-bandonata.

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alla fine lo vedi i lmult icul tural ismo.Una volta a casa, sfo-gliando i ricordi diquella terra e metten-do insieme i pezzi distoria imparata e dicose vissute, com-prendi a pieno il fa-scino di quel posto.La bellezza di questoquadro è il suo multi-culturalismo.Limiti e rischi però cene sono: la guerra re-centissima dimostracome tanti colorimessi assieme posso-no fare un bellissimoquadro, ma rischiano anche di diven-tare uno scontro assurdo di sfumatureche, quando non ben accostate, pro-ducono un risultato orrendo.Amare e tutelare la propria comunità,sentirsi parte di una gruppo etnicospecifico sono condizioni essenzialiper essere cittadini di questo mondo.Ma avere una propria identità non di-pende solo da se stessi; per sentirci apieno la persona che siamo, abbiamobisogno che altri ci riconoscano cometali e ci rispettino per come siamo.Serve, insomma, che il mio pezzo dipuzzle abbia una forma tale da potersicombinare con gli altri pezzi. Se vo-glio un mio spazio devo crearmelo an-che in funzione dell’esistenza di unospazio d’altri. Se gli estremi non com-baciano allora i pezzi si violentanol’un l’altro.La Bosnia potrebbe essere la miglioreculla per la realizzazione di un belquadro multiculturale, ma di fatto èanche stata il palcoscenico di unaguerra etnica. Fuori da ogni illusione

o metafora, è doveroso ammettere cheessere diversi e starsi accanto è diffici-lissimo; non è una condizione natura-le e spontanea, ma è frutto di lungoimpegno. Un primo passo può esserequello della pur non semplice accetta-zione di un diverso vicino al mio spa-zio vitale; almeno tollerare la presen-za dell’altro produce una convivenzapacifico-indifferente. Che è già un ri-sultato. Oltre però si può andare. Do-po aver organizzato la mia vita, le mieabitudini in modo tale che anche leconsuetudini dell’altro possano sussi-stere affianco alle mie, posso anchecercare di conoscere il mondo dell’al-tro e far conoscere il mio. Confrontar-si almeno per sapere cosa ci sta inquell’altro pezzo del puzzle è possibi-le. Così i pezzi si combinano, i colorisi accostano e creano le sfumature. Ilmio spettro visivo si allarga; vede unospettacolo più ampio. Sono passi ver-so la realizzazione di un piccolo capo-lavoro di pace in uno sfondo multicul-turale. Dove non ci sia solo indifferen-

I ragazzi della Lega Missionaria Studenti hanno contribuito quest’e-state a lavori presso la parrocchia di Bosanski Brod e al ripristino delterreno attorno alla cappella dedicata a Sant’Antonio nella zona rura-le di Sjiekovac, al confine tra Bosnia e Croazia.

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te convivenza ma almeno curiosa co-noscenza e poi chissà anche qualchemescolanza. Dal 1995 ad oggi ci sono stati sicura-mente buoni risultati di convivenza edequilibrio. Ma fino a che punto la feri-ta di una convivenza fallita s’è rimar-ginata? Un uomo, quest’estate in Bo-snia ci ha dato qualche risposta. L’ab-biamo conosciuto per caso; conosceval’italiano e, vedendoci in difficoltà inun bar, ci ha aiutato a spiegarci. Poichiacchierando, ci ha detto poche pa-role sulla guerra: «Non riesco a spie-gare; tutti hanno fatto la loro parte»;poi sembrava quasi volesse ancora di-re, ancora chiarirsi ma non riusciva. Eci ha guardato con un triste sorriso;grato per quel nulla che noi stavamofacendo. Circa la sua religione non s’èpronunciato molto. Diceva di essereormai quasi indifferente. Io non micapacitavo: una guerra etnica tra gen-te di religioni diverse ha prodotto un

uomo indifferente all’islam e al cri-stianesimo di ogni tipo?!?Non poteva che essere così. Chissàquanti altri amareggiati da un multi-culturalismo fallito sono diventatiapatici ed estranei a qualsiasi formareligiosa. Quanti, oltre quell’uomo,vorrebbero almeno provare a spiegarela loro triste storia ad altri uomini for-tunati che della guerra ne sentono so-lo parlare?Vedendo un gruppo di anonime perso-ne che spicconano e spalano con deibosniaci per la ricostruzione di unaqualsiasi cosa, potrebbe ancora balu-ginare nella mente di alcuni passantidel posto la speranza in una pace piùpiena, in una condizione economicamigliore, in una convivenza non soloindifferente. Forse c’è ancora moltoda fare.

Caterina Nitti

UN COLOMBIANO IN BOSNIA

La Bosnia, per me, è un paese dove si trova uno stesso e unico Dio, con tre nomi diversi, diversi culti e di-versi fedeli, un paese dove purtroppo ancora le persone si ammazzano in nome di Lui, ma anche un pae-se dove a volte si preferisce ricostruire prima una chiesa, oppure la casa del vicino, che la propria casa:piccoli segni, che dicono tutto della gente di Bosnia.Il campo in Bosnia è stato un’esperienza meravigliosa, di forte impatto e sopratutto molto ricca, una dellepiù belle della mia vita. È un peccato che si sia trattato, probabilmente, dell’ultimo campo della Lms inquesta terra. La Bosnia, come la Colombia, ha sofferto tanto. Entrambi sono territori dove nel passato se-mi di violenza, odio e intolleranza sono stati coltivati e, peggio ancora, sono stati irrigati con il sangue ditanti innocenti. Campi come quelli organizzati dalla Lms sono stati, e spero saranno ancora in futuro lanostra opportunità di coltivare dei nuovi semi di speranza, fede e tolleranza e di irrigarli con il sudore delnostro servizio/lavoro. Non si può smettere di aiutare, non si può non rispondere a quell’urlo con cui laBosnia chiede aiuto. Il campo della Lms in Bosnia è un progetto che non deve finire, anzi, deve crescereperché c’è ancora molto da fare: davvero ci vogliono tantissime mani! Sono sicuro che tante persone so-no disposte a tornarci, e continuare ad aiutare nella ricostruzione non soltanto fisica, ma anche spirituale,morale e dei sogni dei bosniaci, che è ciò di cui più si ha bisogno dopo una situazione come quella vissu-ta lì. Vi invito col cuore a darvi l’opportunità di venire a sudare, a coltivare quei nuovi semi e a confermareche c’è soltanto un Dio, e che tutti noi, musulmani, ortodossi, cattolici siamo figli di Lui, cioè fratelli... e nonresta che dire: HVALA (“grazie”)!!! (Rommel Garcia)

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L a Cina è un paese grande, nonsolo per quanto riguarda le di-mensioni territoriali o la sua

ascesa economica, ma soprattutto perle tante sfaccettature linguistiche edetniche che la caratterizzano. In que-sto grande paese, per esattezza aBeijing, la capitale del Nord, si è svol-to il campo Uno organizzato dalla Le-ga Missionaria Studenti, a un annoesatto di distanza dal primissimo, spe-rimentale campo Zero.L’attività svolta dai volontari Lms inCina, a differenza di quanto avviene inaltri campi, si è concentrata su un uni-

co servizio, l’assistenza ai bambinidell’associazione ChinaLittleFlowers.(info su www.chinalittleflower.org; peril blog, visitabile solo fuori della Cina,www.littleflowerprojects.blogspot.com).Questa Ong, nata dall’impegno e daisacrifici di Brent e Serena, una coppiaamericana trasferitasi in Cina 16 annifa, ha costruito nella periferia diBeijing una casa che accoglie bambiniprematuri, ai quali i genitori non rie-scono a garantire le costose cure, ebambini di altri orfanotrofi che neces-sitano cure particolari. I progetti crea-ti da questa associazione sono molto

ampi: vi sono centrianche a Lofung e nel-l’isola di Taiwan. Ac-canto al lavoro con ibambini più piccoli,esiste una rete di fa-miglie affidatarie(mamma, papà piùcinque o sei bambini)pensate per l ’acco-glienza e l’educazionedi ragazzi e ragazze dietà scolare (dai 6 ai16 anni) con formediverse di disabilità.La missione di China-LittleFlowers è quelladi preservare la bel-lezza e l’importanza

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CINADi nuovo a Pechino per accarezzare

i piccoli fiori della Cina

L’impegno principale dei volontari Lms a Pechino è stato indirizzatoall’assistenza dei bambini prematuri o disabili accolti dalla strutturadi ChinaLittleFlowers.

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di queste vite, che, acausa del triste prov-vedimento della rego-lamentazione dellenascite, vengono facil-mente dimenticate.Nel nostro servizio, cisiamo dedicati intera-mente ai bambini, inmaniera molto sem-plice, prendendoli inbraccio, coccolandoli,raccontando loro del-le favole. Con nostrogrande onore, spessovenivamo incaricatidalle operatrici dellastruttura di dar loroda mangiare o dicambiarli. Sebbene si trattasse di unservizio molto semplice, quasi banaleverrebbe da dire, ci siamo sentiti tuttiarricchiti dai sorrisi, dalle risate e an-che dai pianti dei bambini di cui cisiamo presi cura nei quindici giorni dicampo.Ho scoperto che ogni piccolo gesto po-teva essere importante all’interno diLittleFlowers, anche un sorriso, rivol-to ai bambini, poteva essere moltoprezioso.Attraverso la nostra breve esperienza,e attraverso l’esperienza più grande dialcune persone che abbiamo incontra-to, tra cui don Carlo d’Imporzano,Consigliere Ecclesiastico dell’amba-sciata italiana e fondatore dell’associa-zione Montserrat, ci siamo resi contoche la realtà cinese è una realtàtutt’oggi difficile, complessa, in en-trambe le sfere in cui la Lms è presen-te: quella della Fede e quella sociale. Non è stato semplice muoversi con lagiusta discrezione in contesti che sitrovano sotto lo stretto controllo del

governo cinese. Abbiamo inoltre vissu-to il forte handicap della lingua e spes-sissimo abbiamo sofferto il non potercomunicare con la comunità cineseche ci circondava.Tuttavia abbiamo vissuto, assieme allevolontarie cinesi e americane che sta-bilmente seguono la struttura, dei bel-lissimi momenti comunitari, sia di fe-sta che di lavoro: da loro siamo statiaccolti e aiutati nelle difficoltà.Se l’esperienza del servizio per China-LittleFlowers ci ha profondamente ar-ricchito, il contesto cittadino ci ha in-vece molto colpito. Il giorno dopo ilnostro arrivo in città abbiamo decisodi andare in centro e, non valutando lascala della nostra cartina, abbiamoiniziato a camminare: tre ore dopo lanostra camminata non ci aveva ancoraportato a destinazione, ma ci aveva re-si coscienti delle enormi dimensionipechinesi, e soprattutto delle enormidiversità che la caratterizzano. Lungola stessa via si alternavano le banca-relle della frutta e i centri commercia-

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Le operatrici cinesi e americane di ChinaLittleFlowers hanno offertoai volontari della Lms un’amicizia e una collaborazione che vannooltre ogni barriera linguistica.

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li, gli hu tong (gli antichi quartieri ci-nesi) e i grattacieli, i mendicanti e gliuomini d’affari.La povertà è palese, la ricchezza sfac-ciata, e spessop a s s e g g i a r eper Beijing èstata una sof-ferenza.Merita di esse-re ricordata lavisita alla tom-ba di MatteoRicci, ispirato-re e “patrono”di questo viag-gio, nel quat-trocentesimoanniversar iodella sua mor-te a Pechino.Tra le molte iniziative legate a questogrande gesuita di Macerata, italiane ecinesi, si è inserito infatti anche que-

sto piccolo, nuovo esperimento dellaLms. Sostare perciò qualche minutoin silenzio davanti alla stele della suatomba e di quelle degli altri gesuiti,

francescani odomenican i ,che sono mor-ti missionariin Cina, è sta-to per tutti noidavvero toc-cante.Le frontieredella Cina so-no innumere-voli e soltantoalcune sonostate veramen-te abbattute.Le altre atten-dono che si

smetta di stare fermi a guardare e fi-nalmente si cominci ad agire.

Nicoletta Galisai

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L’INIZIATIVAUn campo missionario per giovani aborigeni a Taiwan. Con un piccolo aiuto della LmsVogliamo ringraziare Massimo e la LegaMissionaria Studenti per aver sostenutol’organizzazione del campo estivo pergiovani aborigeni qui a Taiwan. Il camposi svolge normalmente ogni estate e que-st’anno, a causa delle numerose richiestedi adesione, è stato possibile realizzarloin maniera più allargata. Inizialmente pro-grammato per il mese di giugno, è statospostato alla seconda metà di agosto (dal23 al 28). Sono stati cinque giorni di con-divisione intensa, visto il forte legame “disangue” caratteristico degli aborigeni.Dalle celebrazioni liturgiche alle danze, dai pasti alle varie attività proposte, tutto si è svolto con una cari-ca e un’intensità che poche volte ci è capitato di sperimentare. La partecipazione è stata ampia (più di300 giovani) e questo grazie anche alla Lms. Nella foto un momento delle danze aborigene la prima seradel campo. Un grande grazie da parte di tutti i ragazzi. Emilio Zanetti S.I.

Un momento di gioco con i bambini ospitati nella strut-tura di ChinaLittleFlowers.

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Q uando si cerca di incontraresenza pregiudizi e in umiltàpersone e luoghi, essi rimango-

no impressi nel cuore. Così anchequest’anno, per fedeltà ai volti e allerelazioni create negli anni, siamo ri-tornati a Cuba dal 26 luglio al 16 ago-sto. Anche stavolta ci aspettavano lepersone che da qualche anno condivi-dono con noi la fede e il servizio nellacomunità parrocchiale di Cardenas ein più la comunità di suore di MadreTeresa, che vivono nel quartiere moltopopolare di Casablana all’Avana.La giovialità e la sensibilità dell’acco-glienza ricevuta dalle famiglie hannoaiutato non poco a vivere intensamen-te questa nuova esperienza missiona-ria, che ha visto il gruppo diviso indue luoghi. A Cardenas, dove con al-cuni veterani e altri ragazzi nuovi ab-biamo collaborato con le suore di Ma-dre Teresa nell’assistenza agli anziani,nell’animazione dei bambini e nellamensa per i poveri.All’Avana, dove mi son fermato an-ch’io, e dove abbiamo lavorato in 18,con la presenza di padre Massimo Ne-vola che si è diviso tra Cardenas e L’A-vana. Il lavoro svolto in questo barrio(«quartiere») è stato veramente pre-zioso. Premettendo che il luogo pre-senta due insediamenti clandestini dimigranti provenienti dall’oriente del-l’isola, che formano due mini-quartie-ri, il barrio di Casablanca, nel suo in-

sieme, ha risposto veramente bene al-la nostra presenza di volontariatomissionario. Al di là di ogni aspettati-va, in quanto da più parti ci venivanoinviti all’attenzione e alla prudenza,con la fiducia dataci dal cardinale del-l’arcidiocesi dell’Avana Jaime Horte-ga, e dal suo vescovo ausiliare (mons.Juan de Dios Hernandez), il nostro in-serimento è stato veramente moltoagevole.La missione è iniziata con una messapresieduta dal vescovo ausiliare che ciha consegnato, con la sua benedizio-ne, il mandato missionario, introdu-cendoci a nome della Chiesa nella so-cietà cubana. Siamo stati l’ombra del-le suore di madre Teresa e con esseabbiamo svolto diverse attività: puli-zia delle case di anziani; animazionedei bambini e dei giovani, mediantedinamiche di gruppo e gite organizza-te a la “playa”; infine, abbiamo contri-buito alla missione popolare organiz-zata dalla Chiesa Cubana, in occasio-ne della preparazione al quarto cente-nario della presenza e del culto allaVergine della Caridad del Cobre, patro-na della nazione, che vedrà la sua ce-lebrazione nel 2012.La missione consisteva nella “intro-nizzazione della vergine”, ovvero nelvisitare le famiglia, casa per casa, con-dividendo un momento di preghiera etrattenendoci a dialogare con le perso-ne incontrate, per rendere le famiglie

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CUBAIl dono della gratuità nell’isola abbandonata

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partecipi di questo evento che riguar-da tutti i cubani. Infatti, a prescinderedal grado di frequenza, o di apparte-nenza religiosa (santeria, evangelici,ecc..), tutti i cubani sentono moltoforte l’adesione e la presenza dellaVergine Maria. L’esperienza di Casa-blanca ci ha permesso, così, di staremolto tempocon le perso-ne, e comesempre di spe-rimentare lagratuità del-l ’accoglienzaricevuta, insie-me alla fami-liarità e genti-lezza dellagente, facen-doci gustarequello che Ge-sù dice nelVangelo: bus-sate e vi saràaperto (Lc 11,9).I giorni sontrascorsi velo-ci e la nostrapermanenza èstata allietatad a l l ’ e s s e r eospiti pressouna strutturadel governoche si chiamaCollegio di Be-len. Tale strut-tura anticamente apparteneva ai ge-suiti, ma fu da essi venduta nel 1925 Ein seguito alla rivoluzione incameratadallo Stato. Oggi il collegio funge dacentro polifunzionale, in quanto si oc-cupa del settore di assistenza gratuita

e professionale che il governo garanti-sce ai suoi cittadini. Così vengono se-guiti in loco anziani, bambini, giova-ni, poveri, ammalati. Il collegio infat-ti, presenta un’area di fisioterapia al-l’avanguardia e altamente specializza-ta. L’accoglienza che il direttore dell’o-pera, il signor Nelson Aguila, e i suoi

collaboratori(in particolareWilliam, l’eco-nomo; Julio,lo chef; la si-gnora Lour-des, responsa-bile della mis-sione nel bar-rio dell’AvanaVieja) ci han-no riservato èstata veramen-te impeccabi-le. L’ambienteè stato messocompletamen-te a nostra di-s p o s i z i o n e ,hanno cucina-to per noi uncibo sempreottimo e ab-bondante, cu-rando anche iminimi detta-gli perché lanostra perma-nenza fosseagevole. E tut-to questo nella

più totale gratuità! L’insieme dellecondizioni ci ha favorito nello svolge-re serenamente il lavoro di missioneprevalentemente con la Chiesa, contri-buendo così a rivitalizzare la comu-nità di Casablanca, un po’ ferma a

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Quest’anno il servizio dei volontari della Lms si è divisotra l’aiuto offerto alle suore di Madre Teresa presenti nellacittadina di Cardenas e il sostegno alle attività di evange-lizzazione svolte dalla Chiesa diocesana nei quartieri po-veri della capitale L’Avana.

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causa dalla scarsezza di sacerdoti. Nelquartiere infatti il sacerdote celebravamessa solo in alcuni giorni, in quantoattende anche altre parrocchie. Lapresenza delle suore, che vivono econdividono la situazione degli abi-tanti del barrio di Casablanca, ha fa-vorito già molto la vitalità della comu-nità. La presenza nel nostro gruppo didue sacerdoti (il padre Massimo e loscrivente) ha permesso di celebrarel’Eucarestia tutti i giorni, con l’ascoltodelle confessioni e la possibilità didialogare.Veramente rendiamo grazie a Dio per-ché al di là delle nostre capacità e ina-dempienze, agisce mediante le nostrevite, per incontrare le persone. Tutto ègrazia, ancor più ciò che nasce me-diante il ministero sacerdotale. Il la-voro svolto è stato molto apprezzatodal cardinale, che ci aveva espressa-mente chiesto di iniziare l’esperienzamissionaria a Casablanca, così comeavevamo fatto a Cardenas. Egli infatti,essendo originario di Matanzas, cono-sceva il nostro lavoro a Cardenas e,avendone apprezzato gli esiti già l’an-no scorso, ci aveva invitati a svolegereun analogo servizio all’Avana. Que-st’anno abbiamo potuto rispondere alsuo invito ed egli nel penultino giornodi permanenza a Cuba, dopo la cele-brazione della festa dell’Assunta, havoluto incontrare e trattenersi con ilgruppo di volontari, apprezzando il la-voro svolto e chiedendoci di prose-guirlo anche l’anno prossimo.Stesso apprezzamento abbiamo rice-vuto dal governo, attraverso il dott.Eusebio Leal, l’Historiador de la Ciu-dad de La Hababa, e dal ministro de-gli affari religiosi, on. Caridad Diego,che anche quest’anno ha concesso atutti i partecipanti un visto speciale

“religioso” che ci ha consentito libertàtotale di movimento.Mi piace concludere condividendo ciòche da quattro anni a questa parte ilSignore mi regala nei giorni di perma-nenza a Cuba. Innanzitutto l’esperien-za di persone che, nonostante le evi-denti difficoltà provocate in buonamisura dal bloqueo, vive un grandesenso di umanità, rispettando la di-gnità propria ed altrui. L’estrema ca-pacità di accoglienza, che porta le per-sone a mettere a disposizione tutto ciòche hanno anche se poco. La fiducianegli altri, vero motore della condivi-sione e infine una grande fede, pre-sente in tutti.Credo che questi doni siano il vero sa-le che rende “saporita” la vita. Pur-troppo constatiamo che nelle nostresocietà occidentali, sedicenti “emanci-pate”, tali doni siano spesso predicati,ma ancor più spesso disattesi. Risco-prire la possibilità di accogliere in ca-sa uno straniero, saper dare con genti-lezza un bicchier d’acqua ad un fratel-lo assetato e reimparare a fidarsi deglialtri, sono gli elementi da cui può ri-prendere vita un mondo spesso insab-biato nell’egoismo. E a Cuba, a dispet-to di quanto viene riportato da unaparte della stampa occidentale, c’è iltentativo – ampiamente realizzato – divivere così.Un giorno Gesù di Nazareth, ci chie-derà conto solo di quanto abbiamocercato di amare il fratello, e ci chia-merà beati ricordando le volte in cuilo abbiamo accolto, nutrito, vestito…e curato (cfr. Mt 25, 31-46).

Don Bartolomeo Puca

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Q uando arrivi al Caef dopo avervisto le distese di case di fangoche circondano Lima, tiri un so-

spiro di sollievo. Anche in questo paeseche sembra dimenticato da Dio esisteun posto colorato d’amore! I bimbi delCaef hanno preparato un murales pernoi: due bambini innaffiano una rosa.Nel cielo, ognuno di loro ha scritto ilproprio nome su una stellina. Tante al-tre stelline aspettano che ogni volonta-rio italiano scriva il suo. Nello spazioceleste del murales le nostre vite comin-ciano ad incrociare le loro.

Durante le prime condivisioni ciò chesalta fuori è un forte senso di impoten-za, soprattutto fra di noi, i “nuovi arri-vati”. La domanda che ci accomuna ècome poter aiutare, come poter essereall’altezza di quel murales in cui i bam-bini e gli educatori del Caef auspicanol’inizio di una storia d’amore comunesin preguntas ni barreras. Per fortuna,già col primo giorno di lavoro la barrie-ra linguistica e le domande “occidenta-leggianti” su come poter ottimizzare itempi e produrre il miglior risultato ciabbandonano. La preghiera di Judith

ha sortito il suo effet-to: Hoy es el momentode los que creen, tienenesperanza, suenan yaman… Ci svegliamosapendo che «oggi è ilmomento di quelli checredono, che hannosperanza, che sognanoe amano». E questobasta.I primi giorni di vita alCaef sono duri. Ci sia-mo divisi in tre grup-pi. C’è chi lavora a Ta-quila, periferia indu-striale di Trujillo dovele mosche e l’odore disterco la fanno da pa-drone. C’è chi si dedi-ca ai lavori di muratu-ra o ai laboratori con i

PERÙStorie di giorni color Esperanza

I bimbi del Caef hanno preparato un murales per noi: due bambiniinnaffiano una rosa. Nel cielo, ognuno di loro ha scritto il proprionome su una stellina. Tante altre stelline aspettano che ogni volonta-rio italiano scriva il suo. Nello spazio celeste del murales le nostre vi-te cominciano ad incrociare le loro.

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bambini nel poverissi-mo villaggio di Torresde San Borja. C’è chiresta al Caef, con bim-bi che hanno storie diviolenze subite, di ab-bandono o di estremamiseria.Tutti i bambini, chesiano del Caef, di Ta-quila o di Torres ven-gono verso di noi ab-bracciandoci, cocco-landoci. Ancora unmomento di spiazza-mento: non dovevamoessere noi ad aiutarli?Questi bambini ciamano senza cono-scerci, non per ciò chefacciamo ma per ilsemplice fatto che esistiamo. Non esisteuna miglior lezione di fede che questa.Facciamo subito nostro questo esempiod’amore. I nostri pomeriggi si animanodi progetti su come poter agire. Il labo-ratorio di maschere e di riciclo, il giocosulle figure geometriche, una letturadal Piccolo Principe, cruciverba e critto-grammi per insegnare il vocabolario estuzzicare l’intelligenza. Ogni mattina,mentre il mototaxi ci porta a Torres,siamo sempre un po’ emozionati e nonvediamo l’ora di arrivare. Siamo impa-zienti di donare il meglio di noi.C’è un’altra sorpresa. Tre di noi hannoil privilegio di poter vivere una giornatadi lavoro con tre genitori del Caef. Da-vide andrà a lavorare in un campo dibroccoli con il signor Martin, Anna e ioaccompagneremo due donne nelle lorofatiche quotidiane. Le nostre tre storiesaranno accomunate da un grande in-segnamento: quello della cultura del-l’accoglienza. La signora Maria mi

aspetta con del pane fresco e una zuppadi patate dolci, si fa in quattro per tro-vare sedie sulle quali farci accomodare.Racconta la storia della sua vita ed èper me un regalo e una promessa. Poila accompagno nei suoi lavori: la pre-parazione del pranzo, la raccolta delmangime per i suoi tre polli. Nella suacasa senza finestre siamo diventate so-relle: mi chiede della mia famiglia edella mia vita in Italia. Ci salutiamocon un lungo abbraccio.Nell’ultima settimana ci aspetta unviaggio verso il sole. Usciamo dalla nu-vola che sovrasta Trujillo per portare ibimbi in vacanza in un paese pre-andi-no. Kikki, Sandra, Kekka e Gian hannoorganizzato tre meravigliosi giorni digiochi. Il tema è la storia di Harry Pot-ter. Sono giorni talmente carichi diemozioni che, come dice Massimo, «hail’impressione che il grano che ricevi siatalmente abbondante che devi stare at-tento a chè non ti scivoli dalle mani».

Quando Angelito e Alfredo alzano in aria la coppa del primo postoperché la loro squadra ha vinto, tutti – bambini, educatori e volontari– si commuovono. Sono due scriccioli che tendono le loro ali verso ilcielo e nel loro esultare sentiamo che ognuno di noi ha qualcosa percui festeggiare e ringraziare.

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P enso a come descrivere la miatestimonianza al Caef e credoche il modo migliore sia nel

cercare di capire “il perché” di unascelta che si ripete puntualmente ognianno.Il Perù è per me, grazie alla Lms, unluogo familiare. Dalla prima volta chesono arrivato nella Campiña de Mochenon ho mai sentito “estranea” questaterra e i suoi abitanti mi hanno sem-pre fatto sentire un persona “di casa”.

Ma questa premessa non è una basesufficiente per stabilire un legame sta-bile con un luogo, con delle persone.La prima certezza arriva subito allamia mente, basta cercare nella naturaprincipale del mio viaggio: una condi-visione piena (ma parziale nel tempo)della mia vita con i bimbi, con gli ope-ratori del Caef e con gli altri compo-nenti del gruppo. Io ritrovo neglisguardi semplici di quei niños, nelleloro espressioni gioiose e tristi, non

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Quando Angelito e Alfredo alzano inaria la coppa del primo posto perché laloro squadra (i Grifondoro) ha vinto,tutti – bambini, educatori e volontari –si commuovono. Sono due scriccioliche tendono le loro ali verso il cielo enel loro esultare sentiamo che ognunodi noi ha qualcosa per cui festeggiare eringraziare.Quando già la malinconia pre-partenzacomincia a farsi strada, ecco che ciaspetta un’altra giornata da passare coni bimbi che non sono potuti venire alcampo. Nel pomeriggio Martina ha l’i-dea di fare un laboratorio con loro:ognuno sceglie una maschera da pittu-rarsi in faccia. Ecco sfilare davanti anoi farfalline, pirati, vampiri e princi-pesse. Quando i bimbi vanno via, siamonoi a “pintarci” la cara color esperanzaper regalare a Judith e alla bravissimaéquipe del Caef un ricordo di questo

mese di condivisione. La canzone cheaccompagna il video che realizziamorecita saber que se puede, querer que sepueda, quitarse los miedos, sacarlos afuera, pintarse la cara color esperanza,tentar al futuro con el corazon.Il momento della partenza arriva e ci se-pariamo dalla casa con l’augurio di ri-trovarci. L’auspicio del murales si è rea-lizzato, in un mese abbiamo condivisouna grande storia d’amore. Vedere per laseconda volta la periferia di Lima fa unaltro effetto, ora sappiamo che si puòcreare uno spazio di sentimento e soli-darietà anche nei luoghi più abbando-nati. Torniamo in Italia con la consape-volezza che un nuovo tempo di impegnoe di gioia sta cominciando per noi e chenon siamo soli. I sorrisi dei bambini cheabbiamo incontrato saranno una luce eun richiamo alla preghiera e all’azione.

Gabriella Quadrato

Guardarsi negli occhi dei bambiniper conoscersi davvero

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solo una richiesta di attenzione nei no-stri confronti, ma il riflesso e la portadei miei sentimenti.Anche per me che non manifesto confacilità i miei stati d’animo, diventa dif-ficile mantenere una seppur minima di-stanza. Il mio modo di fare si adattaimmediatamente alle circostanze, lamia iperattività diventa quasi spirito diservizio, come se il tempo non riuscissea contenere quanto il mio cuore vorreb-be fare per loro. Poi però mi fermo unattimo e rifletto su quanto accade: com-prendo che loro mi aiutano a depurar-mi da quanto c’è di superfluo nella miavita normale, mi fanno persino vederecon i loro occhi di bambino i lati “spon-tanei” del mio carattere.Gli operatori del Caef sono per me undream team: dalla carismatica Judith,

che considero come una madre, a Ma-ria Josè, Vanessa e Melania che curanoogni bimbo con un’attenzione vera-mente speciale, a David, Edith e Gio-vanna che sanno di lavorare nell’isoladi Peter Pan. Ho per loro molta stimae ammirazione: non è facile guardareai problemi altrui in un paese del SudAmerica ed è ancora più difficile occu-parsi di bimbi molto fragili, immagi-nando per loro un futuro e una vitanormale.I ragazzi del campo poi, ma non perultimi, sono sempre una grande e pia-cevole sorpresa. Innanzitutto tutti misopportano (o quasi) nonostante il mio“particolare” carattere e poi ognuno siintegra e rende possibile una comunio-ne di esperienze che solo in Perù hotrovato. La parola d’ordine è mettersiin gioco e offrire le proprie risorse e ipropri limiti, sapendo che juntos sepuede (“insieme si può”). A capo diquesta pattuglia di volenterosi c’è sem-pre una guida “spirituale” e non solo,capace di rendere ogni istante un mo-mento di fraternità. Chi lo conosce sache padre Cambiaso o PC, così ci piacechiamarlo, sa parlare di argomenti serischerzando e viceversa, ma semprecon la massima attenzione allo statod’animo di chi si rivolge a lui.In questa ricerca sento di percepirequindi altre certezze che rendono “ilmio Perù” molto speciale: qui trovo ne-gli altri l’umanità di chi sa abbandona-re il proprio egoismo, la testimonianzadi fede e vita cristiana. Cerco di coglie-re a piene mani questi frutti che mivengono offerti e per fare ciò abbando-no i miei “usi e costumi” europei, tro-vando nella riscoperta dell’essenzialeuna grande serenità.

Luigi Bartone

Io ritrovo negli sguardi semplici di quei niños,nelle loro espressioni gioiose e tristi, non solouna richiesta di attenzione nei nostri confronti,ma il riflesso e la porta dei miei sentimenti.

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111155551111Settembre-Ottobre n. 5-2010

«N icola mi ha insegnato ilmare senza dire: si fa co-sì! ». Ho letto questa fra-

se nel volo tra Roma-Madrid e subitoho capito che mi avrebbe aiutata du-rante tutto il campo. Quel libro presoin aeroporto è stato solo l’inizio diquello che poi ho incontrato a Trujillo.È stato il mio primo campo con laLms, nonostante i tanti anni di attivitànel mondo ignaziano con Cvx e eg: al-la partenza ero contenta di affacciar-mi finalmente anche su questa realtà.Continuando a leggere il libro, potevosentire gli odori e le voci, vedere i co-lori tra le righe in bianco e nero. Hofissato a lungo quelle righe e come inun sogno mi sono trovata tra le stradedi Lima. Intorno a me una realtà di-versa da quella in cui son sempre vis-suta: montagne di sabbia su cui sem-brano appena poggiate alcune case dimattoni colorati di giallo, rosa, verdee vicino distese di ba-racche fatte di cannae paglia, rette da ungioco di equilibri eappese ai nostri so-spiri.Camminavo tra la pol-vere e piano piano visicuriosi hanno iniziatoa guardarmi amiche-volmente, alcuni bam-bini si sono messi agiocare con me, ren-dendomi sentire partedi una realtà così lon-tana. Subito ho prova-to un forte fastidio nelvedere, a pochi metri

di distanza, un quartiere ricco di pa-lazzi, locali sul mare e persone ben ve-stite. Quel contrasto è entrato nel miocuore, mettendomi come in guerra conme stessa. La battaglia che sentivodentro mi ha accompagnato nel viag-gio attraverso il deserto che ci ha por-tato a Trujillo. Lì l’incontro con Judithe il Caef, le sue parole di benvenutosono state il primo passo per far cessa-re quella lotta interiore.I primi gironi sono stati complicati: ledifficoltà con la lingua, il dolore sulvolto delle mamme, la povertà davantiagli occhi e non più letta tra le righe.In quei momenti, mi tornava in mentela frase del libro: avevo tutto davanti,nessuno mi diceva nulla, eppure stavogià imparando tanto.La prima cosa che ho imparato è statala forza della condivisione col gruppo:tutti noi vivevamo insieme le fortiemozioni e le stesse difficoltà, che ci

“Tu, Mio”: il Perù tra realtà e le pagine di un libro

L’infaticabile direttrice del Caef, Judith, ha accolto anche quest’annocon amicizia e calore i volontari della Lms.

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111155552222 Settembre-Ottobre n. 5-2010

hanno poi unito. Condividere il bello eil brutto di ognuno di noi ci ha per-messo anche di chiedere aiuto e discoprire quanto è importante potersisostenere a vicenda, arricchirsi dellenostre emozioni così simili e così di-verse allo stesso tempo.Pian piano sono entrate in me tantecose: l’amore dei bambini, le loro sto-rie, la forza delle madri e la determi-nazione degli operatori. Son entrata inpunta di piedi nelle loro vite e loro mihanno spalancato tutte le porte; maiavrei immaginato tanta fiducia nonsolo verso la mia persona ma ancheverso le mie competenze professionali.Quest’aspetto si è mescolato tanto nelmio lavoro al Caef, mi ha permesso disperimentarmi e di sentirmi veramen-te capace di dare qualcosa di utile e diimportante a chi poi tutto l’anno spen-de la propria vita per un sogno d’amo-re.Sono tante le immagini che mi portodentro: i volti e gli abbracci dei bimbi,le lezioni nelle classi, le preghiere, le

condivisioni, i giochie la piscina, le partitedi pallavolo, le lacri-me, le paure, la polve-re, i cani randagi. Po-trei stare ore su ognipiccolo particolare.Ma se penso a questomese in Perù, vedo inme una crescita per-sonale a tutto tondo:vedo una ragazza chesceglie di vivere la suavita non più tra i do-lori e i rimpianti suciò che avrebbe potu-to fare, ma che senteuna grande serenità egioia che la portano a

dire “grazie” per quello che ha e cheha avuto in passato. E questo grazie lodice non più tra le lacrime, ma col sor-riso e non per questo con meno emo-zione.Questa ragazza si porta dentro soprat-tutto un percorso di fede, perché lì do-ve ha sentito più male non è rimastasola, ma ha trovato delle risposte euna grande consolazione, trasforman-do il suo dolore in qualcosa di serenoe soprattutto di libero. Quella stessaragazza è ora di nuovo sull’aereo cheda Madrid la sta riportando a Roma,sta leggendo il suo bel libro ed eccoche nuovamente viene colpita: «Il se-greto di Caia mi era stato offerto indono, visto con i miei pensieri non l’a-vrei acquistato». Chiuso il libro, quellaragazza ha davvero capito che quell’e-sperienza è entrata dritta dentro di leie presto avrebbe sentito il desiderioprofondo di non perderla, ma di farlacrescere e di testimoniarla con gioia.

Tiziana Casti

Un momento di scuola con i ragazzi del Caef.

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111155553333Settembre-Ottobre n. 5-2010

N oi ragazzi di città, immersi inroutine intense e a volte sco-raggianti, siamo abituati a ri-

cevere forti emozioni in maniera mol-to dilazionata. Ancora una volta ilcampo a Sighet ha offerto ai volontariil tempo per fermarsi e pensare inten-samente ai propri per-corsi, agli stati d’animoche non trovano spazionella vita di tutti i giorni,ai gesti di amore incon-dizionato, al cambia-mento dei facili punti diriferimento, alla conqui-sta di nuovi obiettivi enuove strategie. Questamagia si è ripetuta anco-ra, ma il termine più ap-propriato per parlarnesarebbe miracolo. Difatticiò a cui i missionari as-sistono a Sighet non è al-tro che la realizzazionedi un disegno divino, diun miracolo compiutocirca dieci anni fa, ma che continua dianno in anno a rilasciare i suoi im-mancabili frutti.Ciò che sorprende maggiormente i ra-gazzi che iniziano un campo missio-nario a Sighet è la forza con la quale,sin da subito, questo miracolo li av-volge e li porta con sé fino alla fine, fi-no a quando l’animo dei ragazzi saràdisposto a trattenerlo. Per questo mo-

tivo si dice che il campo vero iniziauna volta tornati a casa: riuscire a ri-manere concentrati su quanto si è vis-suto in Romania per non perdere ildesiderio di continuare a far parte diquel miracolo è il vero sforzo a cuisiamo tutti chiamati.

Le attività del campo an-che quest’anno prevede-vano assistenza agli an-ziani e ai bambini pressoi vari istituti del comunedi Sighet, animazionepresso l’ospedale e corsidi lingua inglese, italianae spagnola di tutti i livel-li presso una delle scuolepubbliche della cittadinatransilvana. I principalimomenti di preghieraerano previsti a iniziomattina con le lodi e lasera verso le sette con lacelebrazione la messa.Nel weekend che cadevaa metà campo, si è svolto

come di consueto il pellegrinaggio adAuschwitz, mentre a metà della secon-da settimana abbiamo visitato la sina-goga della comunità ebraica di Sighet,un tempo numerosa, oggi quasi inesi-stente a causa della tristemente notadeportazione nazista del secolo scorso.Negli ultimi giorni di campo si sonosvolte invece la visita al vescovo diBaia Mare e la divertente scampagnata

ROMANIASighet 2010

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111155554444 Settembre-Ottobre n. 5-2010

al lago di Ocna. Laprincipale attrazionedella giornata è statapadre Massimo Nevo-la cosparso dei nerifanghi di quella terranella vana speranza ditrarne benefici: final-mente del sano relax,fanghi a parte!La novità del campo aSighet di quest’anno èstato lo scambio inter-culturale tra le mis-sioni. Infatti tre ra-gazzi kenioti hannoraggiunto il gruppodel primo turno, perpoi trattenersi in terrarumena fino al 3 ago-sto, termine del se-condo turno. È un se-gno tangibile di quell’educazione allamondialità che la Lega MissionariaStudenti da sempre cerca di trasmette-re ai suoi volontari. Sentirsi parte diuna stessa comunità è l’atteggiamentoche meglio predispone all’ascolto e al-l’aiuto del prossimo bisognoso. I mieiproblemi interagiscono con i tuoi, co-me i miei desideri e le mie ambizioni.Sighet 2010 è stata la riprova di comeun piccolo gruppo di ragazzi prove-nienti da ambienti agli antipodi diquelli rumeni, possa riuscire a supera-re qualsiasi tipo di pregiudizio neiconfronti di un popolo straniero,confondersi tra la gente, amarla e farein modo che questo amore diventi con-tagioso.Rispetto agli anni precedenti si è nota-to qualche lieve miglioramento urbanoa Sighet: qualche scivolo per bambiniin più non riesce a ricucire le ferite didecenni di politica economica sbaglia-

ta. Inoltre l’entrata della Romania nel-l’Unione Europea, con conseguenteutilizzo dell’euro, sta rendendo la con-dizione di molte famiglie ancor piùprecaria. I prezzi dei beni di prima ne-cessità cominciano a raggiungere in-fatti i livelli occidentali, ma lo stipen-dio di un medico, di un insegnante odi un avvocato rimane fisso, media-mente, intorno ai duecento euro men-sili. Cosa ne ha guadagnato finora laRomania? “L’allontanamento dei co-munitari” anziché “La cacciata deiRom” nelle prime pagine dei giornali.Sono crepe molto profonde, che segna-no le ambizioni e le speranze di queiragazzi rumeni che cercano una via discampo nel mondo del lavoro europeo:come verranno considerati, come liguarderà negli occhi la gente è il loromaggiore ostacolo da superare.Raul Follerau è stato un ricco indu-striale francese che un giorno decise di

L’ingresso nell’Unione Europea, con le connesse problematiche legateai massicci flussi migratori verso Occidente e alla circolazione del-l’euro, ha causato nuova insicurezza sociale nella gioventù rumena eaggravato la già precaria condizione economica di molte famiglie.

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111155555555Settembre-Ottobre n. 5-2010

donare tutti i suoi averi alla povertàdel mondo, impegnandosi nella difesadei diritti per i malati di lebbra. Unsuo famoso motto recita così: Essere fe-lici è far felici. Questoè il senso ultimo dellospirito di solidarietàche anima ragazze eragazzi della Lms aSighet: la ricerca dellanostra felicità partedal raggiungimento diquella dell’altro, di chici sta vicino. Per que-sto motivo una con-statazione che ognianno ritorna nellecondivisioni sul cam-po è proprio questa: ilvolontariato non partedai missionari ma dal-la gente di Sighet. Ibambini delle case fa-miglia, quelli della

scuola, gli anziani delCamin de batranie del-l’ospedale: senza di lo-ro non si potrebbe ri-tornare dalla Romaniaarricchiti di beni pre-ziosi, di semplici sor-risi che riempiono ilcuore di gioia. Final-mente ci si sente im-portanti, si conferisceun senso profondo alpiù piccolo gesto, siacquista un’improvvi-sa maturità e consape-volezza delle cose.Questo è accaduto nelcampo 2010 di Sighet,questo è quello checontinuerà ad accade-re qualora si presente-

ranno ancora gruppi motivati e inten-zionati a far vivere e far crescere il mi-racolo.

Giacomo Mennuni

Le attività del campo in Romania prevedevano anche quest’anno as-sistenza agli anziani e ai bambini presso i vari istituti del comune diSighet, animazione presso l’ospedale e corsi di lingua inglese, italianae spagnola di tutti i livelli presso una delle scuole pubbliche della cit-tadina transilvana.

A fine giornata i volontari impegnati nei vari tipi di servizio si ritro-vavano abitualmente in una della case-famiglia del Progetto Qua-drifoglio per un momento di condivisione e per la celebrazione comu-nitaria dell’Eucarestia (Foto di Filippo Tufano).

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111155556666 Settembre-Ottobre n. 5-2010

S ono convinto che il male si man-tenga tale solo finché resta oc-culto, segreto, ambiguo e che al

contrario una volta divenuto manifesto,“smascherato” per ciò che esso è, essovenga dissolto e con ciò stesso sconfit-to. Ecco perché, quando si commette ilmale, si spezzetta la verità in piccoleparti e si offre soltanto una porzione diessa. Si tenta di camuffarlo e di spac-ciarlo per qualcosa di buono (o al piùper un “male inevitabile”): gli immigra-ti ci rubano il lavoro, gli zingari non sivogliono integrare, gli ebrei sono tacca-gni e strozzini, i pazzi non possono es-sere curati. Il male è quindi di per sé unoccultare e per questa ragione vienespesso raccolto, ammucchiato e fattoscomparire. Nascono così i lager, i gu-lag, Guantanamo, i Cpt, i campi noma-di, i reparti psichiatrici e tutte le altrestanze dei segreti. Chi commette il maleteme, infatti, il giudi-zio dell’occhio esterno,di colui che una voltavisto ciò che accade,semplicemente si chie-de come sia stato pos-sibile arrivare a tanto.Di fronte a questasemplice domanda so-praggiunge, nell’animodi chi ha commesso ilcrimine e di chi ha la-sciato fare, un senti-mento misto di vergo-gna e paura. Lo stessoche portò Adamo a na-scondersi dopo essersiscoperto nudo, lo stes-so che indusse i nazisti

a far saltare i forni crematori prima didarsi alla fuga e lo stesso che provanogli infermieri rumeni quando vorrebbe-ro impedirci di visitare i reparti peggio-ri. Questo sentimento di vergogna è perme la testimonianza di una coscienzauniversale che nonostante l’imbarbari-mento dell’animo, resta sempre presen-te e che anche di fronte al crimine peg-giore e al gesto più spregevole ha sem-pre l’ultima parola.Quest’anno mi è capitato di prestareservizio presso il reparto di psichiatriafemminile dell’ospedale di Sighet. Ilprimo giorno è stata una grossa sorpre-sa: le pareti, le stanze, gli infissi, tuttoera stato rimesso a nuovo e rispetto adue anni fa (così si pensava) le condi-zioni di vita erano senz’altro migliora-te. “Sepolcri imbiancati!”, mi verrebbeda dire adesso: più che gli escrementidei malati, puzzava l’ipocrisia di quella

La stanza dei segreti

A volte bastano un sorriso e un piccolo gesto di amicizia per renderemeno buie le giornate di chi è solo (Foto di Filippo Tufano).

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111155557777Settembre-Ottobre n. 5-2010

vernice fresca posta sulle pareti per ri-pulire la coscienza di chi, pur sapendo,tace.Lavorare al reparto psichiatrico è statoparticolare: la follia ha sempre il suo fa-scino specie su chi come noi è dispostoa dare la parte migliore del suo tempoper affrontare, in direzione ostinata econtraria, lo stesso viaggio della spe-ranza di molti immigrati rumeni. A ve-dere quei volti e a sentire quelle parole,ti sale pian piano il dubbio, che se solofossi nato in Romania abalbettare inutili paroleavresti potuto esserci tu.E ancora di più giungedritto alla gola quel senti-mento di appartenenza,quello stupore che ti fascorgere nel volto dell’al-tro il tuo: folle adessosembra chi tratta un tuofratello a quel modo.Ho tante immagini inmente, una mi è però ri-masta impressa più ditutte le altre: quella diuna ragazza con un for-tissimo ritardo mentale,col volto lacerato e anco-ra sanguinante, con unodei due occhi rigonfi e pieno di pus el’altro che a fatica si apriva, con unabocca sempre aperta incapace di tratte-nere il bruciore delle infezioni, con gliorecchi pieni di carne quasi incancre-nita, con delle gambe sottilissime e uncorpo esausto che si trascinava qua e làsenza sapere bene perché. Ogni tantocamminando inciampava e restava lì apiangere, anche per tutto il tempo dellanostra visita, qualche altra, invece, unacrisi isterica la colpiva. Le infermierela lasciavano prima sfogare allontanan-dosi dalla stanza, veniva nel frattempo

picchiata e strattonata dalle altre si-gnore e infine veniva sedata e legata alletto. Un pomeriggio entro nella stanzadove dormiva, la trovo nuda e con ipolsi legati che pareva crocifissa sopraun materasso (probabilmente il grossocuscino di qualche divano) gocciolantedi urina. Si lamentava con gemini stri-duli, stanchi. Gli tocco il naso e quellapiccola porzione di viso sottratta ai ta-gli, le infezioni e al sangue, sentendolad’improvviso tacere e guardarmi dritto

negli occhi e per un bre-ve tratto sospirare. Vincole mie resistenze, gli pog-giò una caramellina sullelabbra e l’altra sulla ma-no, che si chiude dolce-mente. L’indomani la tro-vo slegata, non appenaentro nella stanza la vedoscendere dal letto e alza-re il materasso. Sotto ve-do una vecchia bottigliadi plastica appiattita consopra la caramellina chegli avevo dato, la vedocontrollare e richiudereil tutto.Quella credo sia statal’immagine più sorpren-

dente che porto a casa di questo viag-gio. Mi era parso un corpo incapace diragionare e questa l’avevo consideratala sua più grande fortuna nella disgra-zia. Nel vederle compiere quel gesto lu-cido e preciso realizzo invece tutta lasua pena e la sofferenza di quel lungocalvario. La vedo bambina perfetta-mente normale, magari con una lieveforma di autismo, la vedo dondolareavanti e indietro per scaricare energiein eccesso, come fanno tante delle lesue sorelle nelle molte “case famiglia”del comune; la vedo giocare con qual-

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111155558888 Settembre-Ottobre n. 5-2010

che colore, circondata da altri bambinimessi magari anche peggio di lei. Vedol’infermiere imboccarla con distrazio-ne, cambiarle il pannolino solo quandone ha voglia e non degnarla mai di unsorriso o di una carezza. La vedo ran-nicchiarsi in un angolo, pian piano in-curvarsi e dimagrire. Vedo via via quel-le infezioni nascerle sugli occhi e il suoviso perdere vigore, vedo le gambe len-tamente atrofizzarsi perché troppo po-co abituate a percorrere il mondo.I miei occhi si riempiono allora di sgo-mento, quello che vedo di fronte a menon è più il frutto di una natura troppoingiusta, ma il segno evidente della be-stialità cui può giungere l’uomo quandoinsiste sul suo simile, la conseguenzadel frutto velenoso con il quale tutti ab-biamo banchettato. Improvvisamentequel mostro orribile diventa il volto mi-sericordioso di un angelo, l’immaginedel Cristo e della sua passione. Improv-visamente salgono alla mente quelle pa-role sentite ogni mattina prima di co-minciare il servizio: «E tu bambino sa-rai chiamato profeta dell’Altissimo per-

ché andrai dinnanzi ilSignore a prepararglile strade» e immaginoche piccola sorellinaun po’ gli somigli.Quella stanza s ’èchiusa troppo in fret-ta, riprendendosi isuoi segreti. Le signo-re ci hanno salutanodistrattamente, per-ché nessuna di loroha veramente capitoche l ’ indomani nonsaremmo più tornati.Le infermiere ci han-no sbattuto vigorosa-mente la porta in fac-

cia come tutti gli altri giorni e tuttod’improvviso è tornato a tacere. Il re-parto psichiatrico visto da fuori sem-bra un normale palazzo con delle fine-stre cui ogni tanto si affacciano delleeleganti signore per fumare, pare illuogo giusto dove portare delinquentiquando le carceri sono sovraffollate,l’esperienza giusta da far fare agli or-fani troppo irrequieti, il posto giustodove tenere la gente nata storta. É ne-cessario che il dissonante, il dissimile,lo storpio non turbino le nostre co-scienze, che non un solo dubbio salgaal cuore ogni volta che col carrellopieno ci avviamo al registratore di cas-sa, occorre che quella porta resti chiu-sa agli occhi del mondo, affinché ilmale possa essere celebrato con indif-ferenza e senza dare troppo nell’oc-chio, quasi fosse cosa normale e qual-che volta persino banale. Peccato chela gente non perda neanche un minutoper andare a vedere quel meravigliosotesoro che quella stanza nasconde.

Alessio Farina

La città di Sighet sorge a pochi chilometri dal confine che divideRomania e Ucraina.

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N on c’è bisogno di essere credentiper capire che certe morti sonouna rinascita. Ma forse c’è biso-

gno di viverle, certe morti. È il caso diEva, almeno questo è il nome che ci èsembrato di capire dalle sue ultime paro-le pronunciate. È l’ennesimo caso di per-sona morta “per abbandono”, e uno deipochi che è stato pianto.Era in uno dei quattro stanzoni della psi-chiatria, con 40 letti e un centinaio di pa-zienti. Con le grida delle ragazze e i pian-ti ormai senza lacrime delle più anziane.Era lì il primo giorno che siamo entrati,

quando volevamo capire cosa la nostra“normalità” avrebbe dovuto portare làdentro. E come avviene in questi casi,non c’è stato bisogno di coordinarci tranoi volontari per essere subito intorno alei: una vecchietta raggrinzita dalla fame,forse una delle tante, una delle tante chegridava silenziosamente aiuto. Così noi,al primo giorno di animazione, eravamointorno a lei a cercare di capire cosa sisarebbe potuto fare. Chiedeva acqua erespirava in maniera affannata. Si muo-veva a fatica, e quando cercava di urlarele usciva un lieve respiro.Così sono passate le nostre due settima-ne, a fare animazione alle ragazze contrucchi e colori, ad ascoltare le più anzia-ne parlare della loro vita come di qualco-sa ormai passato, a radunare gli uominiadulti per una singolare tombola dal no-me “Bingo” che poco c’entra col più fa-moso gioco natalizio. E il pomeriggio,nel reparto di pediatria, si reinventavano“alla maniera rumena” i giochi di gruppocon cui siamo cresciuti. E in tutto que-sto, Eva era là, con le gambe che le cade-vano dal letto e una debolezza che le im-pediva di rimboccarsi il lenzuolo. Era là,sporcata dal suo stesso corpo. Era là, inattesa di morire. Come l’avevamo lascia-ta, così la trovavamo quando le faceva-mo visita, impotenti e in attesa di sapere,il giorno dopo, se sarebbe stata ancora lì.Così la trovavamo quando cercavamo difarla bere, bagnandole le labbra con po-che gocce d’acqua. Così la trovavamo, at-torcigliata al suo stesso lenzuolo sporco,avvolta nel rumore maleodorante dellastanza delle “malate psichiatriche acute”.Ci sembrava di vivere in un paradosso:nella stessa stanza c’era gente che canta-

Quel reparto paradossale

Donna rumena in abito tradizionale.

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va, gente che piangeva,che disegnava e chemoriva. E quel para-dosso del primo giorno,quando l’odore ti ane-stetizza e ti rende invi-sibile lo spettacolo cheti si presenta, si trasfor-ma nel paradosso del-l’ultimo giorno, quandoin questo stesso spetta-colo ti ci senti a tuoagio. Non ci dobbiamoabituare, mai, ci ripete-vamo ogni giorno,quando prendevamoconfidenza con l’atti-vità, i giochi da fare,con le parole migliori da dire. E quellevolte che sentivamo di esserci abituati edi non capire l’orrore del posto dove citrovavamo, quelle volte venivamo ripresiper i capelli da Eva, che senza voce con-tinuava a chiederci, in tutta se stessa, unaiuto che non sapevamo come darle.È difficile pensare come il tempo, lì den-tro, passi sempre allo stesso modo, sem-pre così, sempre uguale. È difficile im-maginare come tutto questo avvenga conun sottofondo di strilli costanti e striden-ti, di ragazze ingabbiate in un posto alie-nato, diagnosticate come pazze da chipazze le fa diventare. Lì dentro i giornidurano anni e gli anni non passano mai,per chi a 50 anni ha smesso di vivere ed ècostretta a “vivere” la propria morte, suun letto che le fa da casa, da bagno e datavola da pranzo.Così sono stati gli ultimi attimi di Eva, egli ultimi giorni: un aiuto non ascoltato.Cosa avremmo potuto o dovuto fare, noiche lì intorno la guardavamo morire?Eppure va detto che c’è qualcosa che cifa sperare, in tutto questo. I reparti dipsichiatria già da un anno sono in ri-

strutturazione, c’è un progetto che preve-de camere più piccole con meno letti perstanza e un bagno ogni due stanze; infer-mieri e personale medico preparato e piùrazionalizzazione nel dividere i pazientiin base all’età e alla patologia. Sono an-che questi i segni che ci aiutano a spera-re, a far capire che quello che facciamonon rimane nei nostri cuori. Sentiamo,da quando siamo entrati in questi posti,che dobbiamo continuare ad aprire leporte di questi stanzoni, a cambiare lelenzuola e a gridare come dei pazzi inmezzo ai pazzi, perché così si fa capireche non devono esistere emarginazioni.Sentiamo che siamo ingiustamente visticome la loro salvezza, e per questo cer-cheremo sempre di dar loro la voce chenon riescono a emettere.Mi è piaciuto scrivere questo articolo alplurale, perché queste sono le sensazionidel gruppo che ha fatto servizio quest’e-state. Del gruppo che ha seguito gli ulti-mi giorni di Eva, che se ne è andata così,sotto i nostri occhi ed i nostri silenzi,senza temere la morte secunda.

Francesco Salustri

Molti anziani malati o abbandonati negli ospizi aspettano soltantoche qualcuno chieda loro se hanno voglia di chiaccherare o di fareuna passeggiata.

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111166661111Settembre-Ottobre n. 5-2010

“Il tempo dei Gitani”Un seminario sui Rom a Palermo organizzato dalla Lms

L’occasione di poter organizzare un convegno è nata dall’impegno di una delle nostre volontarie, che stu-diando presso la facoltà di Lettere e Filosofia, ci aveva proposto l’idea già l’anno scorso. Il seminario hapreso l’avvio tra mille disguidi e difficoltà, che tuttavia alla fine hanno avuto l’effetto di farci apprezzare me-glio quanto è successo. Il gruppo Lms di Palermo aveva bisogno di un luogo dove si potesse ragionare concalma, discutere del pregiudizio, informare e sopratutto raccontare. Raccontare la storia di questi mille uo-mini, del loro essere rom, della loro incapacità di consumare il tempo, che li porta a vivere in un eterno pre-sente. Un luogo dove si potesse raccontare la storia del nostro incontro con loro e di tutti gli altri incontri.Ho visto tanti volti illuminati dalle parole dei relatori, tante piccole convinzioni cadere di fronte alle immaginidei bambini dei canali in Romania, di fronte a sorrisi dei nostri bimbi qui a Palermo. Vedere non è comesentir parlare, sapere non è come ritener per vero. Un solo bambino contrito dalla fame, costretto a suc-chiar veleno da un sacchetto, basta a capire che non è vero nulla di quello che ti hanno raccontato. Un soloistante fermo a pensare l’immagine del ragazzino rom, che ti viene incontro pieno di felicità, serve a capireche chi comanda vuole solo prenderci in giro. Chi comanda, con l’arroganza della parola, quando si fa mal-destra nella semplificazione dell’evento storico, quando si fa mistificazione, vorrebbe la nostra complicità,aggiungendo al danno della miseria, la beffa di trovarci tutti d’accordo. Chi ci controlla fornisce numeri cheinsieme ad altri numeri vanno ad indurire il cuore, rendendoci del tutto indifferenti. Ci vengono forniti numerisui livelli di disoccupazione, numeri sui senza tetto, numeri sui buchi di bilancio, numeri sui morti di fame egli stermini, numeri sul tasso di criminalità, sulla percentuale di immigrati, numeri sul Pil, sui Bot, sui Cct,numeri che scompaiono per riapparire da qualche altra parte, che impongono politiche restrittive, che legit-timano la prepotenza, numeri che confondono le idee e che pretendono di poter giustificare tutto. E allorasuccede che tutto ciò che non è un numero si perde, non conta perché contare nelle loro menti becere si-gnifica solo ripetersi: “uno, due, tre…” e nient’altro. Succede che si perde di vista la persona e che tutto per-de di significato, mentre nella nostra mente come tante scimmie ammaestrate continuiamo a ripeterci comefosse un ritornello, come un vuoto nel cervello: “uno, due, tre...”, e poco altro.Poco importa se l’un per cento del redditto delle prime 200mila persone più ricche del mondo, basterebbea sfamare tutti gli altri o se, rinunciando a comprare profumi, Europa e America potrebbero prendersi curadi tutti abitanti del pianeta o se non mangiando gelati potrebbe farcela la sola Europa. Poco importa se levacche francesi mangiano il frumento africano e votate all’ingrasso uccidono di fame chi lo produce. Pocoimporta se mentre il mondo muore di fame la sola America butta via 48 milioni di tonnellate di cibo l’anno.Cosa vuoi che importi, infondo a me tocca solo consumare, perché l’economia deve girare, il Dow Jonessalire e i tassi di interesse scendere. Poco importa se l’immigrato muore contando i suoi passi nel deserto,l’importante e che non giunga a casa mia a sfamare la sua prole. Poco importa se un’intera etnia viene se-gregata in campi di concentramento, cacciata da tutti i posti in cui prova a insediarsi: infondo loro sono rom,a loro piace viaggiare, un motivo in più per lasciarli camminare.Ci vogliono pochi momenti per far cadere tutti quei numeri, quando sono tanti e quando sono pochi, quan-do sono buoni e quando non lo sono; ci vuole una buona parola, qualche istante per rifletterci su, perchéresta il fatto che quelli sono solo numeri e noi siamo persone.Spero siamo riusciti se non a far capire come stanno le cose, almeno a convincere i partecipanti al semina-rio del fatto che non tutte le cose sono come le hanno sempre viste, che delle cose che accadono sonopossibili sempre due spiegazioni e che quella semplice solitamente è una fregatura. Occorre avere unamente aperta, che si sforzi di capire, che non si faccia prendere in giro, che non partecipi con indifferenza atutto ciò che accade intorno a lei, occorre guardarsi negli occhi e riscoprirci tutti uguali. Spero che le pocheparole spese in questi quattro giorni possano essere state dei semini in tutti quei cuori, che possano averinstillato il germe della meraviglia e la prurigine del dubbio. Spero che lo stupore per il mondo e l’incertezzaper le cose che accadono possano dare i frutti di una ricerca libera e responsabile della verità.

(Alessio Farina)

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lms L.M.S. – C.V.X.Convegno Nazionale 2010

Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo…(Mc. 16,15)

Missione e missioni

Milano (Istituto Leone XIII) 29 ottobre – 1 novembre 2010SEDE: Il Convegno si svolgerà presso l’Istituto Leone XIII, sito in Via Leone XIII, 12 – 20145 Milano(tel. 02.4385021).

RELAZIONI• Cos’è la “missione” secondo il Nuovo Testamento

Relatore P. Pietro Bovati sj, biblista, docente all’Ist. Biblico di Roma

• Priorità missionarie della Chiesa per il Terzo Millennio: le sfide di Africa e Cina. Relatore: P. Federico Lombardi sj, portavoce S. Sede

• Laici e credenti per la costruzione della città dell’uomo Relatore: Nelson Aquila, direttore del Colegio de Belén, La Habana – Cuba

• Missione ed educazione: il metodo della LMS-CVXTavola rotonda interattiva con l’assemblea coordinata da: Leonardo Becchetti, presidente nazionaleCVX-LMS

COSTI E ISCRIZIONE La quota di partecipazione è di 75 euro. Per l’iscrizione si prega di inviare laquota di 25 euro mediante c/c postale n. 34150003 intestato a Lega Missionaria Studenti – Roma concausale: Convegno Milano 2010. I rimanenti 50 euro vanno dati sul posto.

RESPONSABILI del Convegno: Paola Trabucchi (cell. 347.2536293) Martina Calliari (349.1660408),Chiara Ceretti (339.3789691), P. Gabriele Semino (338.8461171), P. Massimo Nevola (329.9460717).

(da compilare in tutte le sue parti e spedire al fax 06.5910803 o per mail a

111166662222 Settembre-Ottobre n. 5-2010

Scheda d’iscrizione

Cognome: ......................................................... Nome: ..................................................................

Luogo e data di nascita: ..................................................................................................................

Indirizzo (incluso cap): ...................................................................................................................

Telefono fisso e cellulare: ................................................................................................................

E-mail: ................................................ Comunità di appartenenza (città): ..................................

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È il più grande disastro mai visto in Pakistan: maltempo, piogge torrenziali e inondazioni. Una ca-tastrofe che ha colpito 20 milioni di persone e tra queste 7 milioni sono sfollati e cercano riparo, cibo,acqua potabile… Migliaia i bambini che rischiano di morire di malattie legate all’acqua: soprattutto ilcolera. È una tragedia a cui si accompagna l'esiguità degli aiuti internazionali che, tra l’altro, non arri-vano a tutti. I missionari/e, alieni da ogni discriminazione, sono impegnati in prima linea nel soccorre-re gli sfollati. Abbiamo ricevuto un accorato appello in particolare per i cristiani del sud Penjab, nonancora raggiunti dagli aiuti.

«Bussiamo alla vostra porta supplicandovi di aiutarci a sollevareuna miseria e una sofferenza che divengono sempre più insostenibili

e che rischiano di avere gravissime conseguenze…»

NON POSSIAMO STARE A GUARDARE!

Insieme per essere presenti e compassionevoli !

COME INVIARE LE OFFERTE

Il denaro raccolto dal Gruppo India sarà destinato alle attività di soccorso organizzate dai PadriGesuiti e dalle suore di S. G. Antida presenti nel Paese.Grazie e passaparola. P. Gianni Di Gennaro sj

Per far pervenire il vostro contributo al Gruppo India:

• conto corrente postale n.13827001, intestato a: GRUPPO INDIA Via degli Astalli, 16 - 00186 Roma.• assegno bancario intestato a: COMITATO GRUPPO INDIA.• bonifico bancario intestato a: COMITATO GRUPPO INDIA,IBAN: IT32 T054 2803 2060 0000 000 5001 - SWIFT/BIC: BEPOIT21765Causale: emergenza Pakistan

Le offerte sono detraibili/deducibili inviando la somma al Gruppo India attraverso la FondazioneM.A.G.l.S. (Movimento e Azione dei Gesuiti Italiani per lo Sviluppo) di cui il Gruppo India è membro.

• conto corrente postale 72615008 intestato a MAGIS, Via degli Astalli, 16 - 00186 Roma.• bonifico bancario: intestato a Magis, IBAN: IT07 Y030 6903 2001 0000 0509 259 - SWIFT/BIC:

BCITITMM• Assegno bancario intestato a Magis

Causale: Gruppo India/emergenza Pakistan

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www.legamissionaria.it

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Imp. 5-2010 27-09-2010 12:00 Pagina IV