I Canto Inferno
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7/23/2019 I Canto Inferno
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I Canto Inferno
Argomento del cantoDante si smarrisce nella selva oscura. Incontra le tre fiere: lonza, leone, lupa. Viene soccorso da Virgilio, che
lo guiderà in un viaggio attraverso Inferno e Purgatorio, mentre Beatrice lo guiderà in Paradiso. Profezia delveltro.
È la notte tra gioved ì 7 aprile (o 24 marzo) e venerd ì 8 aprile (o 25 marzo) del 1300.
Dante si smarrisce nella selva (1-30)
La notte del 7 aprile (o 24 marzo) dell’anno 1300, dunque a trentacinque anni di età, Dante si smarrisce in
una selva oscura e intricata, impossibile da descrivere tanto è angosciosa. Lui stesso non sa dire come c’è
finito, poiché era pieno di sonno quando ha perso la giusta strada: a un tratto però, mentre sta albeggiando, si
ritrova ai piedi di un colle, dalla cui vetta vede spuntare i primi raggi del sole. Questo, oltre al fatto che è
primavera, gli ridà speranza e lo spinge a tentare la scalata del colle, dopo essersi riposato per qualche istante
e aver ripensato al pericolo appena corso (come un naufrago che guarda le acque in tempesta dalle quali èappena scampato). Il poeta inizia quindi a salire la china del colle, ma con grande fatica e incertezza.
Compaiono le tre fiere (31-60)
Mentre sta salendo il colle, gli appare improvvisamente una lonza dal pelo maculato, assai agile e snella, che
lo spinge più volte a tornare indietro. All’inizio l’ora del mattino e la stagione mite gli danno speranza di
poterne avere ragione, ma subito dopo compare un leone, che gli viene incontro con fame rabbiosa e sembra
far tremare l’aria, e una lupa famelica, tanto magra da sembrare carica di ogni bramosia. Quest’ultima incute
molta paura in Dante, che perde ogni conforto e lentamente scende verso il basso, nella zona non illuminata
dal sole.
Presentazione di Virgilio (61-90)
Dante sta tornando verso la selva, quando intravede una figura nella penombra, appena visibile nella poca
luce dell’alba. Intimorito, supplica lo sconosciuto di avere pietà di lui e gli chiede se sia un uomo in carne ed
ossa oppure l’anima di un defunto. L’altro risponde di non essere più un uomo in vita, ma di avere avuto i
genitori lombardi e di essere originario di Mantova. Si presenta come Virgilio, il poeta latino vissuto al
tempo di Cesare e Augusto, ovvero durante il paganesimo, e che ha cantato le gesta di Enea nel poema a lui
dedicato. Virgilio rimprovera Dante perché sta scivolando verso il male della selva, mentre dovrebbe scalare
il colle che è principio di felicità. Dante risponde a sua volta con ammirazione, dicendo a Virgilio che lui è il
più grande poeta mai vissuto e dichiarando che è il suo maestro e modello di stile poetico. Si giustifica
indicando la lupa come la bestia selvaggia che gli sbarra la strada, pregando Virgilio di aiutarlo a superarla.
Profezia del veltro (91-111)
Virgilio riprende la parola spiegando a Dante che, se vuole salvarsi la vita, dovr à intraprendere un altro
viaggio. Infatti la lupa è animale particolarmente pericoloso e malefico, incapace di soddisfare la propria
fame, che uccide chiunque incontri. Virgilio profetizza poi la venuta di un «veltro», un cane da caccia che
ucciderà la lupa con molto dolore e la ricaccerà nell’Inferno da dove è uscita. Costui non sarà interessato alle
ricchezze materiali ma ai beni spirituali, e la sua patria non sarà nessuna città in particolare. Egli sarà la
salvezza dell’Italia, per la quale già altri personaggi hanno dato la vita, come i troiani Eurialo e Niso, la
regina dei Volsci Camilla, il re dei Rutuli Turno, tutti cantati dallo stesso Virgilio nell’ Eneide.
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Il viaggio di Dante (112-136)
Virgilio conclude dicendo a Dante che dovrà seguirlo in un viaggio che lo condurrà nei tre regni
dell’Oltretomba: dapprima lo condurrà attraverso l’Inferno, dove sentirà le grida disperate dei dannati; poi lo
guiderà nel Purgatorio, dove vedrà i penitenti che sono contenti di espiare le loro colpe per essere ammessi in
Paradiso. Qui, però, non sarà Virgilio a fargli da guida: egli non ha creduto nel Cristianesimo, quindi Dionon può ammetterlo nel regno dei Cieli. Sarà un’altra anima, più degna di lui, a guidare Dante in Paradiso,
ovvero Beatrice. Dante risponde a Virgilio pregandolo di fargli da guida in questo viaggio, poiché è ansioso
di vedere la porta di san Pietro e le pene dei dannati. Virgilio inizia a muoversi e Dante lo segue.
Interpretazione complessiva
Il canto I dell’ Inferno è di introduzione all’intero poema, presenta quindi la situazione iniziale e spiega le
ragioni del viaggio allegorico: Dante vi compare nella duplice veste di personaggio reale, che in un
determinato momento storico si smarrisce in una selva (a metà della sua vita, quindi nell'anno 1300 quando
stava per compiere 35 anni), e in quella di ogni uomo che in questa vita è chiamato a compiere un percorso
di redenzione e purificazione morale per liberarsi dal peccato e guadagnare la beatitudine. Sul piano
allegorico, dunque, la selva rappresenta proprio il peccato (essa è infatti descritta come selvaggia e aspra e
forte, spaventosa al solo ricordo e poco meno amara della morte stessa), mentre su quello letterale è un luogo
in cui chi compie un viaggio rischia realisticamente di smarrirsi per essere uscito dalla diritta via, per cui i
lettori del tempo di Dante potevano trovare familiare un paesaggio simile (all'epoca le zone boscose erano
assai estese e selvatiche, come per esempio in Maremma: cfr. Inf., XIII, 7-9). Altrettanto realistici gli altri
elementi del paesaggio simbolico, a cominciare dal colle che allegoricamente raffigura la via alla felicit à
terrena, cioè al possesso delle virtù cardinali (fortezza, temperanza, prudenza e giustizia) per le quali la
ragione umana è sufficiente, e che Dante tenta inutilmente di scalare vedendo sorgere il sole dietro la sua
vetta (esso rappresenta la via verso la salvezza, oltre all'ovvia considerazione che il nuovo giorno dissipa le
paure della notte e ridona al poeta nuova speranza). Le tre fiere che sbarrano il passo al poeta e lo ricacciano
verso la selva sono invece le tre principali disposizioni peccaminose: la lonza è la lussuria, il leone è la
superbia, la lupa è l’avarizia-cupidigia, secondo una tradizione già attestata dai commentatori medievali, e
anch'esse ovviamente rappresentano tre animali selvaggi che non erano certo impossibili da incontrare in un
effettivo viaggio attraverso una foresta (tranne naturalmente il leone, ma nulla conferma che il viaggio
dantesco avvenga in Italia e d'altronde vari interpreti hanno ipotizzato che questi luoghi si trovino in realt à
nei pressi di Gerusalemme, sotto la quale si spalanca la voragine infernale). Più pericolosa è la lupa-avarizia,
radice di tutti i mali e per Dante causa prima del disordine politico e morale che regnava in Italia all’inizio
del Trecento, di cui è simbolo del resto anche la selva, mentre va ricordato che in molti passi del poema egli
si scaglia con forza contro la corruzione del mondo politico ed ecclesiastico del suo tempo, causata
principalmente proprio dall'avidità di denaro. La lupa si rivela un ostacolo insuperabile e Dante lentamente
scivola nuovamente verso la selva, cioè il peccato.
La seconda parte del Canto vede come protagonista Virgilio, che sarà la prima guida di Dante nel viaggio
ultraterreno e che è allegoria della ragione umana dei filosofi antichi, guida sufficiente a condurre l’uomo al
pieno possesso delle virtù cardinali: egli giunge in soccorso del poeta in modo inaspettato, come
un'apparizione spettrale, tanto che Dante gli chiede timoroso se sia ombra od omo certo. La risposta del
poeta latino è una vera e propria prosopopea, un'elegante auto-presentazione in cui Virgilio non fa
direttamente il proprio nome (sarà Dante a citarlo al termine delle sue parole) e si manifesta come l'autore
dell' Eneide, il poema che era considerato il capolavoro della letteratura latina e il cui protagonista, Enea, è
centrale nella tradizione classico-cristiana, in quanto fondatore della stirpe romana e, indirettamente, di
quella Roma che sarà centro dell'Impero e della Chiesa. Virgilio rimprovera Dante del fatto che non sale il
dilettoso monte che è principio di ogni felicità e il poeta fiorentino risponde indicando Virgilio come il suo
maestro, colui da cui ha tratto l'alto stile tragico che gli ha dato la fama, invocando poi il suo aiuto contro lalupa-avarizia che lo riempie di terrore e costituisce uno sbarramento insuperabile: la successiva risposta di
Virgilio si divide in due parti, la prima delle quali dedicata alla profezia del «veltro» che ricaccerà la lupa
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nell'Inferno da dove è uscita (per le molte interpretazioni di questo personaggio si veda oltre), la seconda al
viaggio nell'Oltretomba che Dante dovrà affrontare se vuole scampare da questo loco selvaggio, e in cui
sotto la sua guida visiterà Inferno e Purgatorio, mentre se vorrà visitare anche il Paradiso dovrà attendere la
guida di Beatrice, in quanto Virgilio è pagano e non è quindi ammesso nel regno di quel Dio che non ha
conosciuto. Allegoricamente Beatrice raffigura la grazia santificante e la teologia rivelata, che sola può
portare l'uomo alla salvezza, mentreè affermata fin dall'inizio l'insufficienza della ragione naturale, che
è ingrado di condurre l'uomo al possesso delle virtù cardinali e a una condotta onesta, ma non di arrivare alla
beatitudine eterna: è questa l'ossatura allegorica dell'intero poema e la cosa diverrà chiara già dal Canto II, in
cui Virgilio rievocherà l'incontro con Beatrice nel Limbo e spiegherà che il viaggio di Dante è voluto da Dio,
dunque non è folle in quanto non affrontato col solo ausilio della ragione dei filosofi che Virgilio
rappresenta. La scelta di questo personaggio come guida nella prima parte del viaggio è stata molto discussa,
in quanto Dante avrebbe potuto scegliere un filosofo come Aristotele o un personaggio storico come Catone
Uticense, ma Virgilio nel Medioevo era ritenuto un pensatore al pari degli altri grandi filosofi antichi, inoltre
si riteneva che avesse intravisto alcune verità del Cristianesimo e le avesse preannunciate nelle sue opere
(specie nella famosa Egloga IV: cfr. Purg., XXII, in cui Stazio dichiara di essere diventato cristiano grazie
alla lettura di quei versi); egli era anche il principale scrittore dell'et à di Augusto, sotto il cui Impero il
mondo aveva conosciuto pace e giustizia, indispensabili secondo il pensiero medievale affinché potesse
diffondersi il Cristianesimo, per cui l'autore dell' Eneide era in realtà una scelta quasi obbligata come maestro
e guida di Dante nel viaggio attraverso i primi due regni ultraterreni. È interessante inoltre osservare che
dopo questo primo incontro fra discepolo e maestro si creerà un rapporto di reciproco intenso affetto, per cui
Virgilio accudirà Dante come un figlio e questi ricambierà le cure con profondo rispetto e deferenza, fino al
momento della separazione in cui Dante si abbandonerà a un pianto disperato (Purg., XXX, 40 ss.). Il Canto
si chiude con Dante che, pieno di speranza e di buoni propositi, si accinge a seguire la sua guida per giungere
nei luoghi che gli ha preannunciato, salvo poi (all'inizio del Canto seguente) venire assalito da dubbi e
timori, che Virgilio fugherà raccontando del suo incontro con Beatrice.
La profezia del veltro
È una delle più note e oscure della Commedia, evocata da Virgilio che preannuncia la venuta di questo
misterioso personaggio destinato a cacciare e uccidere la lupa-avarizia dall’Italia e dal mondo (il veltro era
propriamente un cane usato durante le battute di caccia, dunque perfettamente in grado di mettersi sulle
tracce di un animale selvaggio: cfr. Inf., XIII, 126, come veltri ch'uscisser di catena). Su di lui sono state
avanzate le più disparate ipotesi, che però, tralasciando le più fantasiose, si riducono a un papa (forse un
francescano: il feltro potrebbe alludere al panno del suo saio), a un imperatore (Arrigo VII di
Lussemburgo?), a un signore italiano (Cangrande della Scala?). La questione è complicata anche dall'incerta
cronologia della composizione di questo Canto, per cui si obietta che se Dante scrisse questi versi intorno al
1307 (è questa l'ipotesi più accreditata, mentre altri pensano addirittura che abbia iniziato la Commedia
prima dell'esilio) era in effetti troppo presto perché potesse pensare ad Arrigo VII, che scese in Italia solo nel
1310-1313, ma anche a Cangrande, che all'epoca aveva appena sedici anni e che il poeta incontr ò molto più
tardi. Del resto è innegabile che l'elogio a Cangrande messo in bocca all'avo Cacciaguida in Par., XVII, 76ss. presenti molti punti di contatto con questa profezia e fa propendere per tale identificazione, ma
occorrerebbe pensare che Dante abbia rimaneggiato il Canto in un secondo momento e di questo non c' è
alcuna conferma diretta nella tradizione manoscritta. Non è poi da escludere che il veltro non fosse da
identificare con un personaggio in particolare e che la profezia sia volutamente ambigua proprio per essere
indeterminata, caso non certo unico nel poema dantesco; chiunque fosse il veltro, Dante si aspettava da lui un
profondo rinnovamento sociale e politico in grado di riportare la giustizia troppo spesso calpestata dagli
ecclesiastici corrotti e dagli uomini politici, che è poi la situazione di degrado morale e disonestà che il poeta
denuncia a più riprese nella Commedia, sempre con parole di ferma condanna. Tale profezia si ricollega
forse a quella del «DXV» contenuta nel Canto XXXIII del Purgatorio, dove si dice che un «messo di Dio»
ucciderà la prostituta che simboleggia la Chiesa compromessa con la monarchia di Francia: molti interpreti
hanno sostenuto l'identificazione di questo «DXV» con Arrigo VII e con lo stesso veltro, per quanto di ci ònon vi sia alcuna prova certa, ma è evidente che entrambe le profezie hanno in comune il carattere oscuro ed
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enigmatico e preannunciano quella palingenesi della società che Dante si attendeva, e nella quale manifesta
una fede incrollabile in più di un passo del poema.