I Ascrizioni di credenza · 2015-04-23 · Proposizioni strutturate Sandro Zucchi 2014-15 S....

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Universit` a degli Studi di Milano Ascrizioni di credenza Proposizioni strutturate Sandro Zucchi 2014-15 S. Zucchi: Laboratorio sulle ascrizioni di credenza - Proposizioni strutturate 1 L’argomento della lezione I In questa lezione, presento l’analisi delle ascrizioni di credenza basata sulla teoria delle proposizioni strutturate a la Russell-Mill. I In particolare, presenter` o la formulazione di questa teoria proposta da Soames (1987). I Mostrer` o come questa teoria evita alcuni dei problemi per l’approccio dei mondi possibili alle ascrizioni di credenza. I Infine, esaminer` o alcuni problemi a cui invece la teoria va incontro. S. Zucchi: Laboratorio sulle ascrizioni di credenza - Proposizioni strutturate 2 Significato e condizioni di verit` a I Nell’approccio dei mondi possibili, la proposizione espressa da un enunciato in un contesto ` e identificata con le sue condizioni di verit` a, ovvero l’insieme dei mondi possibili che lo rendono vero. I Come abbiamo osservato, questa identificazione sembra inizialmente plausibile a causa del fatto che conoscere il contenuto di un enunciato in un contesto, ovvero la proposizione che esso esprime, comporta conoscere le circostanze che lo rendono vero in quel contesto. I Ma da questo fatto non segue che la proposizione espressa da un enunciato consista nelle sue condizioni di verit` a. I La proposizione espressa da un enunciato potrebbe essere qualcosa che determina le condizioni di verit` a, senza essere identica ad esse. I Questa ` e una possibilit` a che diversi autori hanno esplorato. Qui, presento la teoria sviluppata da Soames (1987) sulla base di questa idea. S. Zucchi: Laboratorio sulle ascrizioni di credenza - Proposizioni strutturate 3 Proposizioni strutturate I La mossa di Soames (e di altri teorici prima di lui) ` e questa: caratterizzare la proposizione espressa da un enunciato S “come un complesso strutturato i cui costituenti sono i contenuti semantici dei costituenti semanticamente significanti di S.” (Soames 2005) I Prima di vedere in dettaglio come Soames (1987) propone di strutturare le proposizioni, dobbiamo per` o fare un detour. I Un detour sulla semantica dei nomi propri. S. Zucchi: Laboratorio sulle ascrizioni di credenza - Proposizioni strutturate 4

Transcript of I Ascrizioni di credenza · 2015-04-23 · Proposizioni strutturate Sandro Zucchi 2014-15 S....

Universita degli Studi di Milano

Ascrizioni di credenzaProposizioni strutturate

Sandro Zucchi

2014-15

S. Zucchi: Laboratorio sulle ascrizioni di credenza - Proposizioni strutturate 1

L’argomento della lezione

I In questa lezione, presento l’analisi delle ascrizioni di credenzabasata sulla teoria delle proposizioni strutturate a laRussell-Mill.

I In particolare, presentero la formulazione di questa teoriaproposta da Soames (1987).

I Mostrero come questa teoria evita alcuni dei problemi perl’approccio dei mondi possibili alle ascrizioni di credenza.

I Infine, esaminero alcuni problemi a cui invece la teoria vaincontro.

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Significato e condizioni di verita

I Nell’approccio dei mondi possibili, la proposizione espressa daun enunciato in un contesto e identificata con le sue condizioni diverita, ovvero l’insieme dei mondi possibili che lo rendono vero.

I Come abbiamo osservato, questa identificazione sembra inizialmenteplausibile a causa del fatto che conoscere il contenuto di un enunciatoin un contesto, ovvero la proposizione che esso esprime, comportaconoscere le circostanze che lo rendono vero in quel contesto.

I Ma da questo fatto non segue che la proposizione espressa da unenunciato consista nelle sue condizioni di verita.

I La proposizione espressa da un enunciato potrebbe essere qualcosache determina le condizioni di verita, senza essere identica ad esse.

I Questa e una possibilita che diversi autori hanno esplorato. Qui,presento la teoria sviluppata da Soames (1987) sulla base di questaidea.

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Proposizioni strutturate

I La mossa di Soames (e di altri teorici prima di lui) e questa:

caratterizzare la proposizione espressa da unenunciato S “come un complesso strutturato i cuicostituenti sono i contenuti semantici dei costituentisemanticamente significanti di S.” (Soames 2005)

I Prima di vedere in dettaglio come Soames (1987) propone distrutturare le proposizioni, dobbiamo pero fare un detour.

I Un detour sulla semantica dei nomi propri.

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Una domanda centrale sui nomi propri

I A quanto pare, noi usiamo nomi propri come “Aristotele”,“Socrate” e “Conan Doyle” per parlare di Aristotele, diSocrate e di Conan Doyle. Per esempio, asserendo la frase (1)noi asseriamo di Socrate che era calvo:

(1) Socrate era calvo

I Una teoria dei nomi propri deve spiegare come questo siapossibile:

come e possibile che nomi propri come “Aristotele”,“Socrate” e “Conan Doyle” ci permettano di parlaredi Aristotele, di Socrate e di Conan Doyle?

I Questa e la domanda centrale a cui una teoria dei nomi deverispondere.

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Teorie descrittiviste

I Sono state proposte diverse teorie per spiegare comefunzionano i nomi propri.

I Iniziamo considerando le cosiddette teorie descrittiviste.

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Bertrand Russell su “Socrate”

. . . i nomi che usiamo comunemente, come “Socrate”,sono in realta abbreviazioni di descrizioni. . . . Quandousiamo la parola “Socrate”, in realta stiamo usando unadescrizione. Il nostro pensiero puo essere reso conun’espressione come “il maestro di Platone”, o “il filosofoche bevve la cicuta”, o “la persona di cui i logiciasseriscono che e mortale”.Russell (1918-19)

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La teoria dei nomi propri di Russell

I L’idea di Russell, dunque, e che nomi propri ordinari come“Aristotele”, “Socrate” e “Conan Doyle” siano abbreviazioni,e quindi sinonimi, di descrizioni definite (espressioni dellaforma pil\lo\la cosı e cosıq).

I Secondo questa teoria, ad esempio, il significato dell’enunciato(1) potrebbe essere reso dall’enunciato (2):

(1) Socrate era calvo

(2) Il filosofo che bevve la cicuta era calvo

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La teoria dei nomi propri di Frege

I Una versione dell’approccio descrittivista alla semantica dei nomi estata suggerita in precedenza da Gottlob Frege (1892).

I Secondo Frege, i nomi propri, come anche altre espressioni, sonodotati di un senso e di una denotazione.

I Per esempio, il senso di un nome proprio come “Aristotele”potrebbe essere espresso dalla descrizione “il discepolo di Platone emaestro di Alessandro Magno” oppure “Il filosofo nato a Stagira emaestro di Alessandro Magno”.

I La denotazione di un nome proprio e l’individuo (se c’e) chesoddisfa la descrizione che esprime il senso del nome. Nel caso delnome proprio “Aristotele”, ad esempio, la denotazione del nomesarebbe l’individuo che gode della proprieta di essere discepolo diPlatone e maestro di Alessandro Magno (oppure l’individuo chegode della proprieta di essere un filosofo nato a Stagira e maestro diAlessandro Magno).

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Tornando a Russell

I Prima di analizzare alcune conseguenze desiderabilidell’approccio descrittivista alla semantica dei nomi, torniamoall’idea di Russell secondo cui i nomi propri ordinari sonosinonimi con descrizioni.

I Russell, come d’altra parte Frege, pensava alla propria teoriadei nomi come parte di una teoria piu ampia che includeva,tra le altre cose, anche una teoria delle descrizioni definite.

I Vediamo come funziona la teoria delle descrizioni definite diRussell.

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La teoria delle descrizioni definite di Russell

I Secondo Russell, l’enunciato (2) e un’abbreviazione di (3)(che a sua volta equivale a (4)):

(2) Il filosofo che bevve la cicuta era calvo

(3) Esiste almeno un individuo che era un filosofo e bevvela cicuta, ed esiste al piu un individuo che era unfilosofo e bevve la cicuta, e chiunque era un filosofo ebevve la cicuta era calvo.

(4) Esiste almeno un individuo x tale che x era un filosofoe bevve la cicuta, e per ogni y se y e un filosofo ebevve la cicuta, allora x e uguale a y, e x era calvo.

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Combinando le teorieI A questo punto, possiamo mettere insieme la teoria dei nomi

propri di Russell con la sua teoria delle descrizioni.I Secondo Russell, nomi propri ordinari come “Socrate” sono

abbreviazioni di descrizioni. Per esempio, il significato di (1)potrebbe essere reso da (2):

(1) Socrate era calvo

(2) Il filosofo che bevve la cicuta era calvo

I Ma, secondo Russell, (2) e un’abbreviazione di (3). Dunque,per Russell (1) e un’abbreviazione di (3):

(3) Esiste almeno un individuo che era un filosofo e bevvela cicuta, ed esiste al piu un individuo che era unfilosofo e bevve la cicuta, e chiunque era un filosofo ebevve la cicuta era calvo.

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La risposta alla domanda centralesecondo Russell

I Abbiamo detto che una teoria dei nomi propri deve spiegarecome e possibile che nomi propri come “Aristotele”, “Socrate”e “Conan Doyle” ci permettano di parlare di Aristotele, Socratee Conan Doyle.

I Siamo ora in grado di vedere come la teoria di Russell rispondea questa domanda.

I Secondo la teoria di Russell, un nome proprio come “Socrate”puo essere usato per parlare di Socrate in virtu del fatto cheesiste un unico individuo che gode della proprieta di essere unfilosofo che bevve la cicuta, e questo individuo e Socrate.

I In generale, secondo la teoria di Russell, un nome proprio puoessere usato per parlare di un individuo in virtu del fatto cheesiste un unico individuo che soddisfa la descrizione che il nomeabbrevia.

I (Torneremo piu avanti sulle implicazioni di questo punto).

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Il problema degli enunciati di identita

I Oltre a dare una risposta alla domanda centrale, l’analisidescrittivista dei nomi propri aiuta a risolvere un problema cheriguarda gli enunciati di identita sollevato da Frege (1892).

I “Espero” e “Fosforo” sono due nomi del pianeta Venere.Benche siano due nomi dello stesso individuo, e chiaro tuttaviache l’enunciato (20) e informativo, mentre l’enunciato (21) no:

(5) Espero e identico a Fosforo

(6) Espero e identico a Espero

I Come si spiega questa differenza di valore informativo?

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La soluzione di FregeI La soluzione di Frege e questa: (20) e (21) differiscono in valore informativo in

quanto i nomi “Espero” e “Fosforo”, pur avendo la stessa denotazione, cioe ilpianeta Venere, hanno sensi diversi.

(20) Espero e identico a Fosforo

(21) Espero e identico a Espero

I “Espero” e infatti usato per il pianeta Venere quando appare come il pianetapiu luminoso nel cielo poco dopo il tramonto. Quindi, e plausibile supporre cheil senso di “Espero” presenti Venere come il pianeta piu luminoso nel cielo altramonto.

I “Fosforo” e invece usato per il pianeta Venere quando appare come il pianetapiu luminoso nel cielo poco dopo il sorgere del sole. Quindi, e plausibilesupporre che il senso di “Fosforo” presenti Venere come il pianeta piu luminosonel cielo all’alba.

I Dunque, (21) dice una cosa banale, e cioe che il pianeta piu luminoso nel cieloal tramonto e identico al pianeta piu luminoso nel cielo al tramonto.

I Invece, (20) dice una cosa niente affatto banale, e cioe che il pianeta piuluminoso nel cielo al tramonto e identico al pianeta piu luminoso nel cieloall’alba.

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La soluzione di Russell

I La soluzione di Russell al problema degli enunciati di identita silimita a tradurre nella teoria dei nomi propri di Russell lasoluzione proposta da Frege.

I Per Russell, (20) e un’abbreviazione di (7), mentre (21) eun’abbreviazione di (8):

(20) Espero e identico a Fosforo

(21) Espero e identico a Espero

(7) Il pianeta piu luminoso nel cielo al tramonto e identico alpianeta piu luminoso nel cielo all’alba.

(8) Il pianeta piu luminoso nel cielo al tramonto e identico alpianeta piu luminoso nel cielo al tramonto.

I Dunque, (20) abbrevia un enunciato informativo, mentre (21) no.

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Obiezioni alle teorie descrittiviste dei nomi propri

I Le teorie descrittiviste dei nomi propri sono state oggetto didiverse obiezioni, che hanno indotto molti filosofi adabbandonare l’approccio descrittivista, o comunque adabbandonare le formulazioni che abbiamo considerato qui.

I Queste obiezioni sono state formulate da S. Kripke in unaserie di lezioni tenute a Princeton nel 1970 e pubblicate nel1972 con il titolo Naming and Necessity.

I Ne esaminiamo alcune.

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Prima obiezioneenunciati necessari

I Secondo le teorie dei nomi propri di Russell e Frege, i nomi propri sonosinonimi con descrizioni.

I Supponiamo che il nome “Aristotele” sia sinonimo con la descrizione “ilfilosofo nato a Stagira discepolo di Platone”.

I In questo caso, (9) dovrebbe essere sinonimo con (10):

(9) Aristotele, se e esistito, e il filosofo nato a Stagira discepolo diPlatone.

(10) Il filosofo nato a Stagira discepolo di Platone, se e esistito, e ilfilosofo nato a Stagira discepolo di Platone.

I Ma (10) e necessariamente vero. Dunque, se (9) e (10) fossero sinonimi,anche (9) dovrebbe essere necessariamente vero. Questa conclusione einaccettabile: (9) non e necessariamente vero. Infatti, se le cose fosseroandate diversamente, Aristotele potrebbe essere stato discepolo diqualcun altro o potrebbe aver scelto una professione diversa dal filosofo!

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La radice del problema

I L’obiezione precedente mostra che le teorie di Russell e Fregepredicono che certi enunciati sono necessariamente veri,mentre invece non lo sono.

I Il problema sorge perche abbiamo supposto che i nomifunzionino come delle descrizioni, per esempio che il nome“Aristotele” sia sinonimo con la descrizione “il filosofo nato aStagira discepolo di Platone”.

I Da questa supposizione, come abbiamo visto, segue chedovrebbe essere una verita necessaria che Aristotele sia ilfilosofo nato a Stagira discepolo di Platone. Ma non lo e.

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Il caso di Giona

Considerate ora il caso seguente descritto da Kripke:

. . . mentre gli studiosi biblici generalmente ritengono cheGiona sia realmente esistito, non solo il racconto del suoessere inghiottito da un grosso pesce, ma anche ilracconto del suo andare a Ninive a predicare o qualsiasialtra cosa che e detta nella storia biblica esostanzialmente falsa. Tuttavia, ci sono ragioni perpensare che questa riguardava un profeta reale. Se avessiil libro giusto con me, potrei iniziare a citare dal libro:“Giona, il figlio di Amittai, era un profeta reale, tuttaviaeccetera eccetera eccetera.” Ci sono ragioni indipendentiper pensare che questa non era una pura leggenda su unpersonaggio immaginario, ma riguardava un personaggioreale.

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Seconda obiezioneriferimento senza descrizioni

I Perche Kripke ci dice queste cose su Giona?

I Se riflettiamo sulla storia di Giona, e chiaro che solleva unproblema per l’approccio descrittivista.

I Infatti, se gli studiosi biblici hanno ragione, il nome “Giona” siriferisce a un individuo reale.

I Ma, a quanto pare, nessuna delle proprieta che noi usiamo peridentificare Giona e davvero goduta da Giona.

I Dunque, non esiste alcuna descrizione definita associata alnome “Giona”, come noi lo usiamo, che e soddisfatta daGiona.

I Questo e un problema per le teorie di Frege e Russell: secondoqueste teorie, il portatore di un nome e l’individuo chesoddisfa la descrizione associata al nome.

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Costruire un mondo

I La terza e ultima obiezione che presentiamo e basata sulla nozionedi verita a un mondo possibile.

I Per introdurre l’obiezione, immaginiamo un mondo possibile un po’diverso dal nostro.

I Supponiamo che il mondo possibile w differisca dal mondo reale, trale altre cose, perche l’individuo che nel mondo reale chiamiamo“Aristotele”, benche esista in w , non soddisfa in w alcuna proprietache generalmente attribuiamo ad Aristotele: non e nato a Stagira,non e stato discepolo di Platone, invece di fare il filosofo ha fatto ilciabattino, e cosı via.

I Immaginiamo inoltre che in w ci sia un altro tizio, diverso daAristotele, che pero in w soddisfa tutte le proprieta chegeneralmente attribuiamo Aristotele nel mondo reale: e nato aStagira, e stato discepolo di Platone, fa il filosofo, e cosı via.

I Ok, siamo pronti per formulare la terza obiezione.

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Terza obiezioneriferimento e mondi possibili

I Considerate l’enunciato (11):

I (11) Aristotele amava i cani.I Supponiamo di voler stabilire se (11) e vero al mondo w che abbiamo

descritto.I Chiaramente, per stabilire se (11) e vero a w , quello che dobbiamo fare e

determinare se l’individuo che chiamiamo “Aristotele” nel nostro mondoamava i cani nel mondo w . Cosa ami in w l’altro tizio che nasce a Stagira ede discepolo di Platone in w e irrilevante per la verita di (11) in w .

I Ora, secondo le teorie di Frege e di Russell, il nome “Aristotele” e sinonimocon una descrizione che usiamo per identificare Aristotele. Supponiamo che ladescrizione in questione sia “il filosofo discepolo di Platone nato a Stagira”.

I Dunque, secondo queste teorie, per stabilire se (11) e vero in w , dobbiamostabilire se (12) e vero in w :

(12) Il filosofo discepolo di Platone nato a Stagira amava i cani.I Ma in w il filosofo discepolo di Platone nato a Stagira non e Aristotele, e

l’altro tizio! Dunque, queste teorie predicono erroneamente che cio che erilevante per stabilire se (11) e vero in w e se l’altro tizio amava i cani in w .

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Teorie del riferimento diretto

I In vista delle difficolta a cui vanno incontro le teoriedescrittiviste dei nomi propri, Kripke ha proposto una teoriaalternativa.

I Secondo questa teoria, i nomi propri si riferiscono ad individuidirettamente, senza l’ausilio di descrizioni.

I Prima di esaminare la teoria di Kripke in dettaglio, vamenzionato che la tesi secondo cui i nomi si riferiscono senzal’ausilio di descrizioni era gia stata avanzata, come Kripkestesso osserva, da J. S. Mill in A system of logic (1843).

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J. S. Mill sui nomi propriI nomi propri non sono connotativi: essi denotano gli individui che nominano;ma essi non indicano o implicano alcun attributo appartenente a questiindividui. Quando diamo a un bambino il nome “Paolo”, o a un cane il nome“Cesare”, questi nomi sono semplicemente delle etichette usate per far sı chequesti individui possano diventare oggetti di un discorso. Si puo dire, infatti,che dobbiamo aver avuto qualche ragione per dare loro questi nomi invece dialtri; e questo e vero; ma il nome, una volta dato, e indipendente dalla ragione.Un uomo puo essere chiamato “John” perche quello era il nome di suo padre;una citta puo essere chiamata “Dartmouth” perche e situata alla foce del fiumeDart. Ma non e parte del significato della parola “John” che il padre dellapersona cosı chiamata aveva lo stesso nome; ne che la parola “Dartmouth” siasituata alla foce del Dart. Se la sabbia ostruisse la foce del fiume, oppure unterremoto cambiasse il suo corso, e spostasse il fiume a una certa distanza dallacitta, il nome della citta non verrebbe necessariamente cambiato. Quel fatto,dunque, non puo essere parte del significato del nome; poiche, altrimenti,qualora il fatto cessasse manifestamente di essere vero, nessuno penserebbe piudi applicare il nome. I nomi propri sono legati agli oggetti stessi, e nondipendono dalla continuita di alcun attributo dell’oggetto.J. S. Mill, A system of logic 1843.

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Designatori rigidiI Vediamo ora in dettaglio come funzionano i nomi propri secondo Kripke.I A parere di Kripke, le difficolta delle teorie descrittiviste rivelano

un’importante differenza tra nomi propri e descrizioni definite.I Consideriamo di nuovo il caso degli enunciati (11)-(12):

(11) Aristotele amava i cani.(12) Il filosofo discepolo di Platone nato a Stagira amava i cani.

I Abbiamo visto che, per valutare (12) a un mondo w , dobbiamo stabilire sel’individuo che in w e il filosofo discepolo di Platone nato a Stagira amavai cani in w ; mentre, per valutare (11) a w , cio che e rilevante e sel’individuo che e Aristotele nel nostro mondo amava i cani in w .

I Per Kripke, questa differenza tra (11) e (12) si spiega cosı:

• in mondi possibili diversi le descrizioni definite possono essere soddisfatte daindividui diversi;

• i nomi propri, d’altra parte, denotano in ogni mondo l’individuo che essidenotano nel mondo reale (in questo senso, Kripke dice che i nomi proprisono designatori rigidi).

I Se “Aristotele” denota in ogni mondo l’individuo che denota nel mondoreale, dovremmo aspettarci esattamente quello che abbiamo osservatoriguardo a (11): (11) e vero a w se e solo se l’individuo chiamatoAristotele nel nostro mondo amava i cani in w .

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Una questione ancora aperta

I Supponiamo che Kripke abbia ragione: i nomi propri non sonosinonimi con descrizioni. Se lo fossero, dovremmo aspettarciche il portatore del nome possa variare da mondo a mondo.Ma non e cosı: i nomi propri sono designatori rigidi, denotanocioe lo stesso individuo in ogni mondo.

I E chiaro pero che, se vogliamo spiegare come funzionano inomi propri, non possiamo limitarci a dire questo.

I Se i nomi propri non si riferiscono a individui attraversodescrizioni, com’e che possono riferirsi a individui?

I Se abbandoniamo le teorie descrittiviste dei nomi propri,dobbiamo dare un’altra risposta a questa domanda centrale.

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La risposta di Kripke

. . . si deve assumere una storia di questo genere. Inizialmente,qualcuno battezza l’oggetto, e identifica l’oggetto magariindicandolo, o magari attraverso le sue proprieta, o magari inqualche altro modo; poi (qui seguo Mill) i parlanti desideranoconservare solo il riferimento del nome, man mano che il nomepassa dall’uno all’altro, se una persona desidera usarlo nello stessomodo in cui l’ha sentito, lo usa con lo stesso riferimento con cui lousa l’uomo da cui l’ha sentito. Il nome si diffonde nella comunita,e nel tempo, e solo il riferimento viene conservato. Ogni sorta dimito puo sorgere riguardo all’oggetto senza che sia vero. Puoperfino accadere che gran parte, o forse anche tutto, di quello chesi crede identifichi unicamente l’oggetto invece non gli si applichi.Kripke (1973)

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La teoria della catena causaleI L’idea di Kripke e che un parlante puo usare un nome proprio per riferirsi a un

oggetto in virtu dell’esistenza di una “catena causale” che collega il parlante alreferente del nome.

I Inizialmente, un oggetto viene “battezzato”. Ad esempio, qualcuno dice:“Chiamo ‘Espero’ il pianeta piu luminoso che appare nel cielo al tramonto”.Oppure indica Venere in cielo e dice: “Chiamo ‘Espero’ quell’oggetto”.

I Anche se l’autore del battesimo usa una descrizione per identificare l’oggetto,la descrizione fissa solo il riferimento del nome e non entra a far parte del suosignificato.

I Dopo il battesimo, se tutto va per il verso giusto, gli altri parlanti iniziano ausare il nome “Espero” con l’intenzione di riferirsi allo stesso oggetto a cui siriferisce colui da cui l’hanno sentito. E cosı il nome si diffonde.

I Un parlante che oggi usa il nome “Espero” si riferisce a Venere, anche se non ein grado di identificare Venere, in quanto usa il nome con l’intenzione di riferirsiallo stesso oggetto a cui si riferisce colui da cui l’ha sentito, il quale a sua voltausa il nome con l’intenzione di riferirsi allo stesso oggetto a cui si riferisce coluida cui l’ha sentito. . . il quale a sua volta usa il nome con l’intenzione di riferirsiallo stesso oggetto a cui si riferisce colui che ha battezzato Venere con il nome“Espero”.

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La teoria dei nomi propri di Kripke

I Riassumendo, la teoria dei nomi propri di Kripke consiste indue tesi fondamentali:

1. I nomi propri sono designatori rigidi, denotano cioe lo stessoindividuo in ogni mondo possibile.

2. Un parlante si riferisce a un individuo quando usa un nomeproprio in virtu dell’esistenza di una catena causale che collegail parlante al riferimento del nome.

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Una perplessita

I L’affermazione di Kripke che i nomi propri sono designatoririgidi, ovvero denotano lo stesso individuo in ogni mondopossibile, puo suscitare una perplessita.

I Si potrebbe protestare che Kripke ha torto per questa ragione:

• Il nome “Aristotele” si riferisce nel nostro mondo all’individuoche e stato “battezzato” con quel nome.

• Ma i suoi genitori, ovviamente, avrebbero potuto dargli unnome diverso e chiamare “Aristotele” un altro dei loro figli.

• Dunque, esiste mondo possibile diverso da quello reale in cui“Aristotele” non denota l’individuo che denota nel mondoreale.

• Dunque, e falso che il nome “Aristotele” denoti lo stessoindividuo in ogni mondo possibile!

I Cosa c’e di sbagliato in questo ragionamento?

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Una precisazione

I Quando Kripke dice che il nome “Aristotele” e un designatorerigido, ovvero si riferisce allo stesso individuo in ogni mondopossibile, intende dire questo:

• il nome “Aristotele”, come noi lo usiamo, si riferisce allo stessoindividuo in ogni mondo possibile, e cioe all’individuo che e ilportatore del nome nel mondo reale.

I In un mondo in cui i genitori di Aristotele gli hanno dato unnome diverso e hanno chiamato “Aristotele” un altro dei lorofigli, gli abitanti di quel mondo usano “Aristotele” per riferirsia qualcun altro.

I Ma il nome “Aristotele”, come noi lo usiamo, denota anche inquel mondo lo stesso individuo che denota del mondo reale.

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Vantaggi della teoria di Kripke

I Nell’introdurre la teoria dei nomi propri di Kripke, abbiamogia visto come questa teoria risolve il problema posto dallecondizioni di verita dell’enunciato “Aristotele amava i cani”.

I Vediamo ora come la teoria evita le altre difficolta a cui vannoincontro le teorie descrittiviste.

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Enunciati necessariI Se “Aristotele” fosse sinonimo con la descrizione “il filosofo nato a Stagira

discepolo di Platone”, allora (9) dovrebbe essere necessariamente vero (unragionamento analogo vale anche per le altre descrizioni che generalmenteassociamo al nome Aristotele):

(9) Aristotele, se e esistito, e il filosofo nato a Stagira discepolo diPlatone.

I Il problema e che ne (9) ne altri enunciati del genere che contengonodescrizioni che generalmente associamo al nome “Aristotele” sononecessariamente veri: se le cose fossero andate diversamente, Aristotelepotrebbe essere stato discepolo di qualcun altro o potrebbe aver sceltouna professione diversa dal filosofo.

I Il problema non sorge per la teoria di Kripke, in quanto secondo questateoria il nome “Aristotele” non e sinonimo con una descrizione.

I Secondo la teoria di Kripke, (9) e vero a un mondo w se e solo sel’individuo che e il portatore del nome nel nostro mondo e il filosofo natoa Stagira discepolo di Platone in w . Chiaramente, esistono mondi in cuil’Aristotele del mondo reale e discepolo di qualcun altro o non e filosofo,dunque (9) non e necessariamente vero secondo la teoria di Kripke.

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Riferimento senza descrizioni

I Dagli studi biblici, risulta che il nome “Giona” si riferisce a unindividuo reale, benche non esista alcuna descrizione definitaassociata al nome “Giona” soddisfatta dal portatore del nome.

I Secondo la teoria di Kripke il nome “Giona” non si riferisce aun individuo che soddisfa qualcuna delle descrizioni chegeneralmente associamo al nome.

I Il riferimento del nome “Giona” dipende invece dal fatto cheun individuo sia stato “battezzato” con quel nome e che poi ilnome sia stato usato dai parlanti con l’intenzione di riferirsi aquello stesso individuo.

I Dunque, il caso di Giona non e un problema per la teoria diKripke.

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Fine del detour sui nomi propri

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Tornando alle proposizioni strutturate

I Ora che abbiamo esaminato la teoria dei nomi propri diKripke, torniamo alle proposizioni strutturate.

I Abbiamo visto che l’idea di Soames e chela proposizione espressa da un enunciato e uncomplesso strutturato le cui parti sono i contenutidei costituenti semanticamente significantidell’enunciato.

I Consideriamo dunque di nuovo l’enunciato (1):

(1) Socrate era calvo

I In cosa consiste la proposizione strutturata espressa da questoenunciato?

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Proposizioni strutturate e riferimento direttoI I costituenti semanticamente significanti di (1) sono il nome proprio“ Socrate” e

il predicato “calvo” (ignoriamo per semplicita il contenuto del tempo verbale):

(1) Socrate era calvo

I Presumibilmente, il contenuto del predicato “calvo” e la proprieta di essere calvo.Dunque, la proposizione strutturata corrispondente a (1) conterra questaproprieta:

< . . . , calvo >

I Qual e il contenuto del nome proprio “Socrate”? Se Kripke e Mill hanno ragione,il contenuto del nome non e una descrizione associata al nome, i nomi propri siriferiscono direttamente a individui senza l’ausilio di descrizioni. In particolare,secondo Mill, il contributo semantico dei nomi propri consiste semplicemente nelloro riferimento.

I Se accettiamo questa idea, la proposizione strutturata corrispondente a (1), oltrealla proprieta di essere calvo, conterra l’individuo a cui il nome si riferisce:

< , calvo >

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L’origine dell’idea

I La tesi che le proposizioni siano complessi strutturati e che gliindividui stessi possano essere tra i costituenti di questi complessinon e dovuta a Soames, ne a teorici a lui contemporanei.

I La tesi originale e stata espressa da Russell nei Principles ofmathematics (1903) (e poco dopo abbandonata in “On denoting”1905).

I Per questo motivo, quando si parla di complessi strutturati diquesto genere si parla di proposizioni milliane o russelliane.

I Vediamo un passaggio del 1904, dalla corrispondenza tra Frege eRussell, in cui Russell formula concisamente questa tesi sulleproposizioni.

I (Per evitare confusioni, notate che, nel passo seguente, Russellusa il termine “proposizione” per riferirsi agli enunciati, mentreusa il termine “proposizione oggettiva” nel senso in cui neldibattito contemporaneo si parla di proposizioni, ovvero perriferirsi al contenuto degli enunciati).

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Yours sincerely, Bertrand Russell

Ivy LodgeTilford, Farnham

12 December 1904

Dear Colleague, . . . Concerning sense and denotation, I see nothing but difficulties which Icannot overcome. . . . I believe that in spite of all its snowfields Mont Blanc itself is acomponent part of what is actually asserted in the proposition ‘Mont Blanc is more than4,000 metres high’. We do not assert the thought, for this is a private psychologicalmatter: we assert the object of the thought, and this is, to my mind, a certain complex(an objective proposition, one might say) in which Mont Blanc is itself a component part.If do not admit this, then we get the conclusion that we know nothing at all about MontBlanc. This is why for me the denotation of a proposition is not the true, but a certaincomplex which (in the given case) is true. In the case of a simple proper name like‘Socrates’, I cannot distinguish between sense and denotation; I see only the idea, whichis psychological, and the obiect. Or better: I do not admit the sense at all, but only theidea and the denotation. I see the difference between sense and denotation only in thecase of complexes whose denotation is an object, e.g. the values of ordinarymathematical functions like ξ+ 1, ξ2 etc. . . .

Yours sincerelyBERTRAND RUSSELL

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Una formulazione contemporanea

I L’idea di Russell di considerare le proposizioni come complessistrutturati che possono contenere individui e stata ripresa intempi piu recenti in filosofia del linguaggio da Kaplan (1978)nella sua analisi dei dimostrativi.

I Kaplan, tuttavia, non da un’implementazione formale diquesta idea.

I Soames (1987) sviluppa l’idea di Russell, ripresa da Kaplan,mostrando come le proposizioni strutturate possono esserericorsivamente assegnate a formule di un linguaggio logico nelquale e possibile rappresentare le frasi delle lingue naturali.

I (In questo modo possiamo indirettamente assegnareproposizioni strutturate alle frasi delle lingue naturali).

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Proposizioni russelliane assegnate a formuleI Ecco come le proposizioni strutturate sono ricorsivamente assegnate a

formule in un contesto. Per ogni contesto c:

• il contenuto semantico di un termine direttamente referenziale in c e il suoriferimento in c ;

• il contenuto semantico di un predicato a n-posti in c e la proprieta che essoesprime in in c ;

• il contenuto semantico dei connettivi vero-funzionali in c e la funzione diverita che esprimono;

• la proposizione espressa da un enunciato atomico che consiste di un predicatoa n-posti P e degli argomenti t1, . . . , tn in c e il complesso<< o1, . . . , on >, P >, dove P e la proprieta espressa da P e o1, . . . , on sono icontenuti semantici di t1, . . . , tn in c ;

• la proposizione espressa da un enunciato della forma pA e Bq in c e ilcomplesso < Cong ,< A, B >>, dove Cong e la funzione di verita espressa da“e”, e A e B sono le proposizioni espresse da A e B in c ;

• la proposizione espressa da un enunciato della forma pc’e un x tale che Sq in ce il complesso < ESISTE , g >, dove ESISTE e la proprieta di essere unaproprieta istanziata e g la proprieta espressa dal predicato “essere un x taleche S” in c ;

• ecc.

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Condizioni di verita delle proposizioni russelliane

I Abbiamo detto che, secondo i teorici delle proposizionistrutturate, la proposizione espressa da un enunciato non eidentica alle sue condizioni di verita, ma determina le suecondizioni di verita.

I Questo significa che il compito del teorico delle proposizionirusselliane non si esaurisce nel dare una definizione ricorsivadei contenuti espressi da enunciati di varie forme.

I Come osserva Soames, “[Russellian] propositional contents donot replace truth-supporting circumstances in a semantictheory; rather, they supplement them with a new kind ofsemantic value.”

I Quello che resta da fare dunque e dare una caratterizzazionericorsiva delle condizioni di verita delle proposizioni russelliane.

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Intensioni

I In primo luogo, associamo delle intensioni a individui eproprieta:

• l’intensione di una proprieta a n-posti e una funzione da mondipossibili agli insiemi di n-uple di individui che istanziano laproprieta in questi mondi;

• l’intensione di un individuo e una funzione costante da mondipossibili a quell’individuo.

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Condizioni di verita delle proposizioni russelliane

I Le condizioni di verita delle proposizioni russelliane possonoessere formulate ricorsivamente nel modo seguente:

• una proposizione << o1, . . . , on >, P > e vera in un mondopossibile w sse l’intensione di P applicata a w contiene< o1, . . . , on >;

• una proposizione < Cong ,< A, B >> e vera in un mondopossibile w sse l’intensione di A e l’intensione di B applicate aw danno il valore 1;

• una proposizione < ESISTE , g > e vera in un mondo possibilew sse l’intensione di g applicata a w non da l’insieme vuoto;

• ecc.

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L’approccio delle proposizioni russelliane alle ascrizioni dicredenza

I L’approccio delle proposizioni russelliane alle ascrizioni dicredenza puo ora essere formulato cosı in termini generali:

1. le ascrizioni di credenza esprimono una relazione tra individui eproposizioni. Piu precisamente: in un contesto, un enunciatodella forma px crede che Sq afferma che x sta nella relazione dicredere con la proposizione espressa da S in quel contesto.

2. la proposizione espressa da un enunciato in un contesto e laproposizione russelliana che l’enunciato esprime in quelcontesto;

3. alle proposizioni russelliane sono associate delle intensioni chedeterminano il loro valore di verita relativamente a un mondo.

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Conseguenze dell’approccio

I Vediamo ora come funziona l’approccio delle proposizionirusselliane in relazione ai casi che erano problematici perl’approccio dei mondi possibili:

1. il problema degli enunciati necessariamente equivalenti,2. il problema della chiusura sotto conseguenza necessaria,3. il problema delle falsita necessarie.

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Enunciati necessariamente equivalentiI Abbiamo visto che l’approccio dei mondi possibili alle ascrizioni di

credenza ha la conseguenza controintuitiva che un individuo credeche (13) se e solo se crede che (14) (la ragione e che (13) e (14),essendo veri negli stessi mondi, esprimono la stessa proposizione):

(13) 2<4

(14) la logica del primo ordine e completa

I L’approccio delle proposizioni russelliane non fa questa predizione,in quanto in ogni contesto (13) e (14) esprimono proposizionidiverse, vale a dire le proposizioni (13)’ e (14)’, rispettivamente (persemplicita, non analizzo il costituente che corrisponde alladescrizione “la logica del primo ordine”):

(13)’ <<2, 4>, < >

(14)’ <<la logica del primo ordine>, completa>

I Dunque, e possibile per un individuo credere la proposizione espressada (13) senza credere quella espressa da (14).

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Chiusura sotto conseguenza necessariaI L’approccio dei mondi possibili predice erroneamente che, se (15) e vero, allora

(16) deve essere vero:

(15) Leo crede che Giorgione fosse un grande pittore.

(16) Leo crede la logica del primo ordine sia completa.I Infatti, secondo questo approccio, (17) e (18), essendo veri esattamente negli

stessi mondi, esprimono la stessa proposizione. Dunque, se Leo crede cheGiorgione fosse un grande pittore crede anche che Giorgione fosse un grandepittore e la logica del primo ordine sia completa. Dunque, per il principio didistribuzione della credenza sulla congiunzione, Leo crede che la logica delprimo ordine sia completa.

(17) Giorgione era un grande pittore.

(18) Giorgione era un grande pittore e la logica del primo ordine e completa.I L’approccio delle proposizioni russelliane non fa questa predizione. Infatti,

secondo questo approccio, (17) e (18) esprimono proposizioni diverse (ovvero leproposizioni (17)’ e (18)’). Dunque, dal fatto che (15) e vero non possiamoconcludere che (16) sia vero.(17)’ <<Giorgione>, grande pittore>(18)’ <Cong, <<<Giorgione>, grande pittore>, <<la logica del primo

ordine>, completa>>>

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Falsita necessarie

I Una conseguenza dell’approccio dei mondi possibili e questa:se un agente crede una falsita necessaria, crede qualsiasi cosa.(Infatti, come abbiamo visto, secondo questo approccio, se Aimplica B e x crede che A, allora x crede che B. E una falsitanecessaria implica qualsiasi proposizione).

I Questa conseguenza e problematica in quanto dal fatto che(19) e vero non segue che Hilbert credesse qualsiasi cosa:

(19) Hilbert credeva che il sistema dei Principia fossecompleto.

I L’approccio delle proposizioni russelliane non fa questapredizione, in quanto, come abbiamo visto, in questoapproccio e falso che, se A implica B e x crede che A, allora xcrede che B.

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Problemi

I Discutiamo ora alcune obiezioni relative all’approccio delleproposizioni russelliane.

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Sostituzione di nomi propri coreferenzialiI L’approccio delle proposizioni strutturate legittima inferenze

controintuitive di questo genere:

1. Gli antichi babilonesi credevano che Espero comparisse nelcielo alla sera.

2. Espero e identico a Fosforo.3. Dunque, gli antichi babilonesi credevano che Fosforo

comparisse nel cielo alla sera.

I In altre parole, l’approccio legittima la sostituzione di nomipropri coreferenziali in contesti di credenza.

I La ragione e che, dal momento che Espero e Fosforo sono lostesso individuo, “Espero compare nel cielo alla sera” e“Fosforo compare nel cielo alla sera” esprimono la stessaproposizione, ovvero:

< , compare nel cielo la sera>

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Una replica e una domanda

I La replica di Soames (1987) e che la sostituzione di nomipropri o di indicali coreferenziali in contesti di credenza, adispetto delle apparenze, preserva il valore di verita.

I Se la sostituzione di nomi o di indicali coreferenziali preserva ilvalore di verita, perche allora sostituzioni di questo tipoprovocano spesso resistenza?

I Come mai siamo riluttanti ad accettare che la conclusione 3segua dalle premesse 1-2?

1. Gli antichi babilonesi credevano che Espero comparisse nelcielo alla sera.

2. Espero e identico a Fosforo.3. Dunque, gli antichi babilonesi credevano che Fosforo

comparisse nel cielo alla sera.

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Le ragioni della riluttanzaI Secondo Soames, la ragione per cui siamo riluttanti ad accettare la sostituzione di

nomi coreferenziali nelle ascrizioni di credenza e la seguente.I Solitamente, se un parlante crede che S, crede anche che S sia vero. Per questa

ragione, tendiamo ad interpretare l’argomento 1-3 come l’argomento invalido 1’-3’:

1. Gli antichi babilonesi credevano che Espero comparisse nel cielo alla sera.2. Espero e identico a Fosforo.3. Dunque, gli antichi babilonesi credevano che Fosforo comparisse nel cielo alla sera.

1’ Gli antichi babilonesi credevano che l’enunciato “Espero compare nel cielo alla sera”fosse vero.

2 Espero e identico a Fosforo.3’ Dunque, gli antichi babilonesi credevano che l’enunciato “Fosforo compare nel cielo alla

sera” fosse vero.

I Ma 1 non esprime la stessa proposizione di 1’ (anche se puo essere usato pertrasmettere l’informazione che 1’ esprime) e lo stesso vale per 3 e 3’.

I In altre parole, la tesi di Soames e che “. . . la resistenza [ad accettare la sostituzionedi nomi propri coreferenziali in contesti di credenza] sia basata sulla mancatadistinzione tra l’informazione semantica espressa da un enunciato in un contesto el’informazione trasmessa da un proferimento di quell’enunciato in una determinatasituazione.”

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Il problema degli enunciati di identitaI Notate, per inciso, che per ragioni analoghe, la teoria delle proposizioni

strutturate russelliane ha difficolta a spiegare perche l’enunciato (20) einformativo, mentre l’enunciato (21) non lo e:

(20) Espero e identico a Fosforo

(21) Espero e identico a Espero

I Infatti, secondo questa teoria (20) e (21) esprimono la stessa proposizione:

(22) < , , = >

I La soluzione proposta da Soames (2002: cap.3) per questa difficolta esimile a quella proposta per il problema della sostituzione di nomi propricoreferenziali in ascrizioni di credenza: il contenuto semantico di (20) e(21) e lo stesso, ovvero la proposizione (22), tuttavia (20) puo essereusato anche per trasmettere una proposizione diversa dal suo contenutosemantico, per esempio la proposizione che la stella piu luminosa nel cieloal tramonto e identica alla stella piu luminosa nel cielo all’alba.

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Incompletezza dell’approccio

I Infine, un’obiezione all’approccio delle proposizioni strutturate ela seguente.

I Secondo questo approccio, l’enunciato (23) e vero se e soloMaria sta nella relazione di credenza con la proposizionestrutturata (24):

(23) Maria crede che Socrate fosse calvo

(24) < , calvo >

I Ma l’approccio non spiega a quali condizioni un agente sta nellarelazione di credenza con una proposizione strutturata. In altreparole, sapere che Maria sta nella relazione di credenza con laproposizione strutturata (24) non comporta conoscere lecondizioni di verita di (23).

I Dunque, l’approccio e incompleto.

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