I al Ca ella i - firenze2015.it · 7 Per l’approfondimento - 1 - da MARTIN BUBER IL CAMMINO...

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Italo CastellaniArcivescovo di Lucca

Lucca, 15 maggio 2015Carissimi presbiteri e diaconi,

vi scrivo per attirare l’attenzione sul consueto appuntamento del convegno di giu-

gno, uno dei pochi momenti di rilievo diocesano. Come sapete questo incontro non in-

tende affrontare direttamente questioni pastorali ma vuol dare elementi per arric-

chire l'esperienza umana nella prospettiva cristiana; in questo senso costituisce an-

che un momento di dialogo tra credenti e non credenti perché è una riflessione offer-

ta a tutti.

Come potete vedere dal programma quest'anno al centro della nostra riflessione

è l'uomo. Infatti il problema del nostro tempo è proprio l'uomo davanti a se stesso per-

ché, tolto dal proprio orizzonte il riferimento a Dio, si trova disorientato e incerto.

Dopo una riflessione sugli umanesimi contemporanei, sarà il vangelo a mostrarci

come le nuove istanze, pur legittime, trovino pienezza in Cristo perché “chiunque se-

gue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS 41).

La proposta si colloca sullo sfondo del convegno nazionale della Chiesa italiana

che si terrà a novembre a Firenze e che ha come tema l'umanesimo in Cristo. Inoltre

il riferimento al vangelo ci richiama a quanto ho indicato alla nostra diocesi, cioè il

primato del vangelo in una lettura che promuova la vita.

Per questi motivi vi invito a considerare questo mio invito con serietà e ad orga-

nizzare la vita della parrocchie in modo di poter partecipare personalmente e di fa-

vorire la partecipazione di tante persone. Estendete l’invito a partecipare non solo a

quanti vivono assiduamente la vita nelle vostre comunità – a cominciare dai più stret-

ti collaboratori – ma anche a chiunque cerca il senso della vita perché la via del van-

gelo passa da qui.

Vi saluto con gratitudine per il servizio che svolgete alla Chiesa e alla sua mis-

sione evangelizzatrice e invoco su voi e le vostre comunità la benedizione del Signore

Risorto.

� Italo CastellaniaRCIVESCoVo

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UOMO DOVE SEI?IN GESÙ CRISTO IL NUOVO UMANESIMO

CONVEGNO DIOCESANOLucca 15 e 16 giugno 2015

Basilica di S. Frediano

Anche quest'anno pastorale si conclude con un momento di riflessione che ha lo scopo dioffrire elementi per arricchire la propria vicenda di fede nella consapevolezza che “chiunquesegue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS 41).

Per questo motivo il “titolo” del convegno è sempre espresso in forma interrogativa.Se ripercorriamo il cammino degli ultimi anni vediamo il continuo approfondimento della

vita nella prospettiva cristiana: “Con Dio o senza Dio che cambia?” (ci siamo chiesti cosada alla vita credere in Dio, 2010); “Dio è credibile?” (sull'immagine di Dio che ha il credente,2011); “Crisi della società, crisi dei cristiani?” (sull'atto di fede in contesto storico preciso,2012). Recentemente abbiamo affrontato la specificità del cristianesimo rispetto alle religioni“Cristiani senza religione?” (2013) e nel 2014 ci siamo chiesti: “Sperare. In chi?” per cer-care di capire cosa offre la speranza cristiana all'uomo che progetta il suo futuro.

Anche quest'anno al centro della nostra riflessione è l'uomo nella ricerca del senso dellavita. É anzitutto un invito a prendere consapevolezza della propria condizione nel contestoin cui, posto da parte Dio e finite le certezze della modernità, l'individuo si trova in un cam-po di ricerca inedito che lo spingono a chiudersi sempre più in se stesso.

Uomo dove sei? È l'invito a raccogliere come oggi l'uomo si dice, si dichiara di fronte al-la vita, racconta i punti di riferimento su cui elabora il progetto per vivere.

La riflessione si articola in due momenti: il primo giorno il prof. Roberto Mancini ciaiuterà a comprendere l'orizzonte in cui si muove l'umanità e gli interrogativi che pone ilnostro tempo; nel secondo giorno il monaco Chialà illuminerà alcuni tratti (malattie?) del-l'uomo contemporaneo indicando come il vangelo porta a compimento le attese che espri-mono.

L'incontro bene si colloca sull'orizzonte del convegno della chiesa italiana che si terrà aFirenze nel novembre prossimo e che ha per tema: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Laquestione dell'umanesimo non è un'astrazione, ma una emergenza perché i problema del nos-tro tempo non è la perdita del senso di Dio, ma la perdita dell'uomo che ad esso è collegato.

Le due serate del convegno si svolgono in assemblea a cui segue dialogo con i relatori.

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PROGRAMMA

LUNEDÌ 15 GIUGNO 2015ore 18.30: accoglienza e Preghiera

ore 19.00: Relazione: Gli orizzonti in cui si colloca l’uomo contemporaneo

(prof. Roberto Mancini, Università di Macerata)

ore 20.00: Dialogo con il relatore

ore 20.30: Sospensione dei lavori

MARTEDÌ 16 GIUGNO 2015ore 19.00: Relazione: “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa

anch’egli più uomo”

(Sabino Chialà, monaco della Comunità di Bose)

ore 20.00: Dialogo con il relatore

ore 20.30: Sospensione dei lavori

Note logistiche

Il Convegno si tiene nella Basilica di S. Frediano, in Lucca.

Il parcheggio più vicino alla sede del Convegno è il “Don Baroni” (zona Luna Park) a 5 minuti da S. Fredia-no raggiungibile passando dalla sortita omonima.

I RELATORI

Roberto Mancini, è professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università di Macerata. Insegnainoltre Economia Umana presso l’Accademia di Architettura dell’Università della Svizzera Italiana a Men-drisio. All’Università di Macerata ha ricoperto gli incarichi di presidente del Corso di Laurea in Filosofia, dal2004 al 2010, e di Vice Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, dal 2006 al 2012. Collabora con le rivi-ste “Servitium”, “Ermeneutica Letteraria” e “Altreconomia”. Dirige la collana “Orizzonte Filosofico” e la col-lana “Tessiture di laicità” dell’editrice Cittadella di Assisi. È membro del Comitato Scientifico della Scuoladi Pace della Provincia di Lucca e della Scuola di Pace del Comune di Senigallia. È autore di una trentinadi libri e molti articoli.

Sabino Chialà, monaco della Comunità di Bose esperto del mondo biblico e dell’Oriente cristiano. Studio-so della letteratura siriaca e in particolare alle figure Abramo di Kashkar e di Isacco di Ninive, del quale hapubblicato Un’umile speranza (1999) e Discorsi ascetici. Terza collezione (2004), e ha studiato nel volumeDall’ascesi eremitica alla misericordia infinita. Ricerche su Isacco di Ninive e la sua fortuna (2002). Tra lepubblicazioni recenti Silenzi. Ombre e luci del tacere (2011), L’uomo contemporaneo. Uno sguardo cristia-no (2012), La perla dai molti riflessi (2014). Studioso anche dei contatti tra mondo cristiano orientale eislam ha curato la pubblicazione I detti islamici di Gesù (2009).

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NOTIFICAZIONE DELL’ARCIVESCOVO da leggere alle Messe di domenica 7 giugno 2015

Carissimi fratelli e sorelle,

mentre siete riuniti alla presenza del Signore nella celebrazione eucaristica vi

raggiungo con il mio saluto: Pace a voi!

Mi rivolgo a voi per invitarvi a partecipare al convegno prossimo di metà giu-

gno che ha lo scopo di dare ragioni più profonde alla fede.

Quest'anno il convegno ha come titolo: uomo dove sei? Infatti il vero pro-

blema del nostro tempo è che l'uomo ha perso il senso della propria identità per-

ché ha perso riferimenti affidabili.

La nostra riflessione sarà illuminata dal vangelo nella consapevolezza che

“chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS 41).

Vi aspetto e vi chiedo di estendere l’invito a un maggior numero di persone

possibili, credenti e non, a chiunque cerca di prendere sul serio la vita con la sue

domande.

Vi aspetto lunedì 15 giugno e martedì 16 a Lucca nella Basilica di S. Fre-

diano.

✠ Italo CastellaniaRCIVESCoVo

Nota Bene

4 Si�invitano�i�parroci�a�predisporre�intenzioni�nella�preghiera�universale�delle�celebrazioni�festi-

ve�in�riferimento�all'importanza�di�ritrovarsi�per�approfondire�il�dono�della�fede�e�per�risponde-

re�con�più�decisione�alla�missione�di�evangelizzare�affidata�alla�Chiesa.�

Italo CastellaniArcivescovo di Lucca

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Per l’approfondimento - 1 -

da MARTIN BUBER

IL CAMMINO DELL’UOMORabbi Shneur Zalman, il Rav della Rus-

sia, era stato calunniato presso le autoritàda uno dei capi dei mitnagghedim, che con-dannavano la sua dottrina e la sua condot-ta, ed era stato incarcerato a Pietroburgo.Un giorno, mentre attendeva di compariredavanti al tribunale, il comandante delleguardie entrò nella sua cella. Di fronte alvolto fiero e immobile del Rav che, assorto,non lo aveva notato subito, quest’uomo sifece pensieroso e intuì la qualità umanadel prigioniero. Si mise a conversare conlui e non esitò ad affrontare le questionipiù varie che si era sempre posto leggendola Scrittura. Alla fine chiese: “Come biso-gna interpretare che Dio Onnisciente dicaad Adamo: «Dove sei?». “Credete voi - ri-spose il Rav - che la Scrittura è eterna eche abbraccia tutti i tempi, tutte le gene-razioni e tutti gli individui?”. “Sì, lo credo”,disse. “Ebbene - riprese lo zaddik - in ognitempo Dio interpella ogni uomo: ‘Dove seinel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a teassegnati ne sono già trascorsi molti: nelfrattempo tu fin dove sei arrivato nel tuomondo?’. Dio dice per esempio: ‘Ecco, sonogià quarantasei anni che sei in vita. Doveti trovi?’”.

All’udire il numero esatto dei suoi anni,il comandante si controllò a stento, posò lamano sulla spalla del Rav ed esclamò:“Bravo!”; ma il cuore gli tremava.

Qual è il senso di questa storia?

A prima vista ci ricorda quei raccontitalmudici in cui un romano o un altro pa-gano consulta un saggio ebreo a propositodi un passo della Bibbia per mettere in lu-ce una pretesa contraddizione nell’inse-

gnamento di Israele, e riceve una rispostache dimostra l’assenza di contraddizione oche confuta la critica in altro modo, conl’aggiunta a volte di un ammonimento acarattere personale.

Ma non tardiamo a notare una differen-za significativa tra i racconti del Talmud equesto chassidico, anche se questa diffe-renza appare all’inizio più importante diquanto sia in realtà. La risposta infatti vie-ne data su un piano diverso da quello incui è stata formulata la domanda.

Il comandante cerca di smascherareuna pretesa contraddizione nelle credenzeebraiche: nel Dio in cui credono, gli ebreivedono l’Essere onnisciente, ma la Bibbiagli attribuisce domande analoghe a quelleche farebbe chiunque ignori una cosa e vo-glia apprenderla. Dio cerca Adamo che si ènascosto, fa risuonare la sua voce nel giar-dino e chiede dov’è; ciò significa che non losa, che è possibile nascondersi da lui: dun-que Dio non è l’onnisciente.

Ma, invece di spiegare il passo biblico erisolvere l’apparente contraddizione, ilRabbi se ne serve solo come punto di par-tenza, utilizzandone il contenuto per rivol-gere al comandante un rimprovero per lavita da lui condotta fino a quel momento,per la sua mancanza di serietà, la sua su-perficialità e l’assenza di senso di respon-sabilità nella sua anima. La domanda og-gettiva - che, in fondo, per quanto qui siaposta senza secondi fini, non è però una do-manda autentica bensì una semplice for-ma di controversia - riceve una rispostapersonale; anzi, invece di una risposta, nerisulta un ammonimento a carattere per-

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sonale. Di queste repliche talmudiche nonè rimasto apparentemente altro che l’am-monimento che a volte le accompagnava.

Ciò nonostante, esaminiamo il raccontopiù da vicino. Il comandante chiede chiari-menti sul brano del racconto biblico che ri-guarda il peccato di Adamo. La risposta delRabbi mira a questo, a dirgli: “Adamo seitu. E a te che Dio si rivolge chiedendoti:‘Dove sei?’”. Apparentemente non gli hafornito nessun chiarimento sul significatodel brano biblico in quanto tale. Ma inrealtà la risposta illumina sia la situazionedi Adamo nel momento in cui Dio lo inter-pella, sia la situazione di ogni uomo in ognitempo e in ogni luogo. Infatti, non appenasi renderà conto che la domanda biblica èindirizzata a lui personalmente, il coman-dante prenderà necessariamente coscienzadella portata dell’interrogativo posto daDio: “Dove sei?”, sia esso rivolto ad Adamoo a chiunque altro. Ogni volta che Dio po-ne una domanda di questo genere non èperché l’uomo gli faccia conoscere qualcosache lui ancora ignora: vuole invece provo-care nell’uomo una reazione suscitabileper l’appunto solo attraverso una similedomanda, a condizione che questa colpiscaal cuore l’uomo e che l’uomo da essa si la-sci colpire al cuore.

Adamo si nasconde per non dover ren-dere conto, per sfuggire alla responsabilitàdella propria vita. Così si nasconde ogniuomo, perché ogni uomo è Adamo e nellasituazione di Adamo. Per sfuggire alla re-sponsabilità della vita che si è vissuta, l’e-sistenza viene trasformata in un congegnodi nascondimento. Proprio nascondendosicosì e persistendo sempre in questo na-scondimento “davanti al volto di Dio”, l’uo-mo scivola sempre, e sempre più profonda-mente, nella falsità. Si crea in tal modouna nuova situazione che, di giorno in gior-no e di nascondimento in nascondimento,diventa sempre più problematica. È unasituazione caratterizzabile con estrema

precisione: l’uomo non può sfuggire all’oc-chio di Dio ma, cercando di nascondersi alui, si nasconde a se stesso. Anche dentrodi sé conserva certo qualcosa che lo cerca,ma a questo qualcosa rende sempre più,difficile il trovarlo. Ed è proprio in questasituazione che lo coglie la domanda di Dio:vuole turbare l’uomo, distruggere il suocongegno di nascondimento, fargli vederedove lo ha condotto una strada sbagliata,far nascere in lui un ardente desiderio divenirne fuori.

A questo punto tutto dipende dal fattoche l’uomo si ponga o no la domanda. In-dubbiamente, quando questa domandagiungerà all’orecchio, a chiunque “il cuoretremerà”, proprio come al comandante delracconto. Ma il congegno gli permetteugualmente di restare padrone anche diquesta emozione del cuore. La voce infattinon giunge durante una tempesta chemette in pericolo la vita dell’uomo; è “la vo-ce di un silenzio simile a un soffio”, ed è fa-cile soffocarla. Finché questo avviene, lavita dell’uomo non può diventare cammi-no. Per quanto ampio sia il successo e il go-dimento di un uomo, per quanto vasto siail suo potere e colossale la sua opera, la suavita resta priva di un cammino finché eglinon affronta la voce. Adamo affronta la vo-ce, riconosce di essere in trappola e confes-sa: “Mi sono nascosto”. Qui inizia il cam-mino dell’uomo.

Il ritorno decisivo a se stessi è nella vi-ta dell’uomo l’inizio del cammino, il sem-pre nuovo inizio del cammino umano. Maè decisivo, appunto, solo se conduce alcammino: esiste infatti anche un ritornoa se stessi sterile, che porta solo al tor-mento, alla disperazione e a ulterioritrappole.

Martin Buber, Il cammino dell’uomo,

Ed Qiqajon 1991, pp 17-23

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Attraverso le esperienze narrate dalleDiocesi intravediamo, come in filigrana, lacomplessa realtà in cui l’annuncio evangeli-co è lievito di un umanesimo rinnovato inCristo Gesù. Luci e ombre si mescolano, di-segnando uno scenario in cui se da un lato laframmentarietà e la precarietà dei legamisembrano condurre a smarrire il senso del-l’umano, dall’altro appaiono persistenti trac-ce di una dignità avvertita come inalienabi-le, e forte appare la tensione a comprenderepiù a fondo il nostro essere uomini e donne.

L’orizzonte storico nel quale siamo entra-ti è oscurato da nubi minacciose. Siamo sfi-dati da un capitalismo meno liberale e piùautoritario, dove il potere politico appare in-debolito. Le armi riprendono a farsi sentirein scenari in cui le guerre si combattono inmodo nuovo, sempre più tecnologico, su di-versi fronti regionali e nazionali, e anche suipalcoscenici mediali globali. La stessa reli-gione è spesso invocata per scavare solchi diodio e di violenza, di cui sono vittime anchetanti fratelli battezzati. La loro fede sempli-ce e limpida brilla come luce di speranza per-ché proprio dove l’umano sembra distrutto,la forza della risurrezione lo volge in vita e lamorte non ha l’ultima parola.

Al pari delle società europee, quella ita-liana diventa sempre più plurale e comples-sa, per l’evolversi della cultura occidentale eper l’arrivo di tanti immigrati, portatori divalori e mentalità diverse. La recente crisieconomica, inoltre, con le sue drammaticheconseguenze (la drastica diminuzione dei po-sti di lavoro, l’impoverimento crescente delceto medio, l’assottigliarsi delle possibilitàoccupazionali per i giovani che nega loroogni aspirazione a un giusto protagonismo...)ha appesantito la dinamica culturale e socia-

le del Paese. In uno scenario internazionaledi mutamenti geopolitici e culturali, sem-briamo avviati anche in Italia alla definizio-ne di una nuova struttura della società, ri-spetto alla quale noi cristiani, accanto aglialtri, condividiamo disagi e disorientamentoma anche slanci e desideri, consapevoli di es-sere comunque tutti chiamati a costruire in-sieme il futuro del Paese.

Nella Evangelii gaudium papa Francescoricorda la «responsabilità grave» di «tutte lecomunità ad avere – come aveva affermatoPaolo VI (Ecclesiam suam 19) – una semprevigile capacità di studiare i segni dei tempi»(n. 51). I segni, possiamo dire, dell’avvento diCristo e quindi anche dell’Anticristo e, diconseguenza, i segni del possibile umanesi-mo e del possibile anti-umanesimo.

Questo giudizio può essere direttamenteapplicato alle sfide contemporanee, doves’interpreta l’umano e ci si orienta riguardoal suo futuro.

Comprendere i segni dei tempi significaanche collocare in un contesto sempre piùcomplesso e globale le esperienze di umane-simo di cui è ricca la nostra Chiesa. L’espe-rienza e la costruzione di forme di buonaumanità non si possono separare da un im-pegno di conoscenza e valutazione del conte-sto culturale. Una «vigile capacità di studia-re i segni dei tempi», anche servendosi dellediverse competenze, non si limita a registra-re delle condizioni di fatto, ma riesce a co-gliere la genesi e la logica delle posizioni cul-turali in campo. Questo è un importantecompito delle comunità cristiane: aiutarsi avicenda a non rimanere disorientate e quin-di solo reattive o rassegnate di fronte a feno-meni culturali di cui non comprendono a suf-ficienza la provenienza e l’intenzione; a evi-

Per l’approfondimento - 2 -

Dalla traccia per il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Italiano (Firenze 2015)

LO SCENARIO DELL’ANNUNCIO DEL VANGELO

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tare di subire interpretazioni fabbricate al-trove; a testimoniare con la vita ciò in cuicredono, incarnando nella concretezza dell’e-sistenza il valore universale dell’umano.

Le autentiche esperienze di umanesimo,infatti, devono diventare consapevoli di séper dialogare col mondo e illuminare il buiodello smarrimento antropologico contempo-raneo con la loro luce: non si fa esperienza divita buona solo per se stessi, ma anche pergli altri e per il mondo intero.

Un uomo senza senso?

In questa fase di grandi cambiamenti cul-turali assistiamo perciò non semplicementeal confrontarsi, e a volte al confondersi, dimolte prospettive sull’umano, bensì anche alfrantumarsi o allo smarrirsi dello sguardo. Ilcrollo di ideologie totalizzanti lascia il postoa nuove visioni e all’affermarsi di nuovi sa-peri che pretendono di descrivere e spiegarei comportamenti umani tramite automati-smi o processi calcolabili. Nel modo di vive-re, prima ancora che sul piano teorico, sidiffonde la convinzione che non si possa nep-pure dire cosa significhi essere uomo e don-na. Tutto sembra liquefarsi in un “brodo” diequivalenze. Nessun criterio condiviso, perorientare le scelte pubbliche e private, sem-bra resistere e tutto si riduce all’arbitrio e al-le contingenze. Esistono solo situazioni, biso-gni ed esperienze nelle quali siamo implica-ti: schegge di tempo e di vita, spezzoni di re-lazioni da gestire e da tenere insieme unica-mente con la volontà o con la capacità orga-nizzativa del singolo, finché ce la fa.

Gli eventi e le relazioni così rischiano didiventare frammenti isolati di un’esistenzache sta accanto a quella altrui per caso, pernecessità o per convenienza, ma raramentericonoscendo un senso che accomuna, né labellezza dell’essere insieme.

L’individualismo esasperato che ha domi-nato, nella civiltà occidentale, il tempo del-l’espansione economica fino a portare allacrisi attuale, antropologica ed etica primache economica, non solo ha drammaticamen-te allentato i legami che rinsaldano la collet-tività e la rendono un popolo con le sue isti-

tuzioni, ma ha anche indebolito i nessi chedisegnano lo stesso volto umano: lo testimo-niano con il linguaggio dell’arte tante operedella contemporaneità, dagli uomini senzavolto di Magritte alle fisionomie distorte edisfatte di Francis Bacon.

Come sarà possibile rigenerare questi le-gami costitutivi per dar voce al desiderio diriconoscimento, unità e comunione della fa-miglia umana?

Un uomo solo prodotto?

Perdere i legami che ci costituiscono portaa concepire l’uomo come una costruzione in-determinata, affidata esclusivamente alleproprie mani, alle leggi del sistema o alla tec-nica. Più timore, però, si ha del futuro, più in-certo si fa l’orizzonte, più spasmodica divienela ricerca di punti di appoggio artificiali, qua-li garanzie che riducano i rischi del vivere. Sioscilla tra l’inseguire le possibilità aperte di-nanzi all’individuo, senza precludersene al-cuna, e la rigida definizione di un program-ma di vita. In ogni caso, si rischia di rimane-re centrati su se stessi mentre viene a man-care, o si fa fatica a collocare, l’altro: l’altrocon cui ci incontriamo e ci scontriamo, l’altroche costituisce un limite al nostro io, l’altrocon le sue esigenze a volte irritanti o il suo in-terpellarci col volto contratto in un muto gri-do, come nella famosa opera pittorica di Ed-vard Munch. La difficoltà a riconoscere il vol-to dell’altro causa il dissolversi del nostrostesso volto perché solo nella relazione e nelreciproco riconoscimento prendono forma ivolti. Il volto è il modo in cui l’altro mi si ma-nifesta e in cui io mi manifesto all’altro: «ilVangelo ci invita sempre a correre il rischiodell’incontro con il volto dell’altro, con la suapresenza fisica che interpella, col suo dolore ele sue richieste, con la sua gioia contagiosa inun costante corpo a corpo» (Evangelii gau-dium 88). Se perdiamo la capacità di correrequesto rischio, difficilmente comprendiamoche cosa significhi essere umani.

Solo io al mondo?

In effetti, il male del quale il nostro tem-po sembra soffrire è l’autoreferenzialità. Se

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pensiamo di poterci costruire e ricostruire,indefinitamente e in maniera sostanzial-mente illimitata, è perché pensiamo di esse-re riferiti unicamente a noi stessi. Tutto cispinge a ritenere di essere autosufficienti eche questo poggiare unicamente su noi stes-si sia il principio della vera libertà. L’autore-ferenzialità è così pervasiva che s’insinuanella vita dei singoli come in quella delle co-munità, nella vita del Paese e anche in quel-la della Chiesa. La pretesa di bastare a sestessi elimina l’altro dal proprio orizzonte,facendone un elemento di supporto oppureuna possibile minaccia da cui guardarsi; si-curamente lo esclude come colui dalle cuimani riceversi.

Questa pretesa chiude gli occhi e il cuore,rende asfittica la nostra vita, consumandoladall’interno proprio nel momento in cui pre-tende di rafforzarla e di garantirne l’espan-sione.

A ben guardare, all’origine di tante formed’ingiustizia e di corruzione, all’origine di si-tuazioni d’intolleranza e di aggressività, finoai gesti di violenza compiuti a danno dei piùdeboli – dei bambini e delle donne in parti-colare – c’è il considerare l’altro unicamentein funzione di se stessi.

La persona vive sempre in relazione

Sbaglieremmo però se ci fermassimo aconsiderare unicamente questi aspetti. Iltempo che viviamo è complesso e registra unenorme bisogno di relazione.

La ricerca di una relazione autentica at-traversa, come un filo rosso, le contraddizio-ni del presente: la si coglie nella comunica-zione permanente e globale della rete, nellafrenesia della condivisione immediata deglieventi e nel diffondersi contagioso delle emo-zioni; prende anche corpo in tante esperien-ze d’impegno per altri e con altri, capaci ditestimoniare il valore e la dignità dell’uma-no.

Il senso dell’umano riemerge nella solida-rietà intergenerazionale all’interno delle fa-miglie, laddove le generazioni adulte non siappiattiscono sul loro benessere, ma affron-

tano sacrifici per costruire il bene di chi vie-ne dopo. Riemerge nelle tante esperienze incui le famiglie riescono a percepirsi comesoggetto sociale, che estende i confini dellapropria capacità di cura oltre il nucleo ri-stretto.

È poi mutato l’approccio ai consumi: ilconsumismo non è più un dovere sociale eculturale come fino a qualche anno fa. C’èuna rinnovata attenzione a stili di vita piùsobri; si fa strada l’idea di un’economia a va-lore contestuale che tenga conto dell’ambien-te e tratti le relazioni sociali, e i valori che lereggono, come un capitale da far crescere.Nell’attività produttiva e nella scelta dei cibisi recuperano i legami con la tradizione. Siprofilano esperienze innovative d’imprendi-torialità giovanile e di cooperazione che ri-partono dalla terra e che, in non pochi casi,vedono protagoniste le donne. Aumenta lasensibilità nei confronti della difesa dei beniambientali.

Nello stesso tempo, e nonostante i livelliancora troppo alti di corruzione e illegalitàpresente nel Paese, cresce la tutela della le-galità come bene comune. Partita dalla Ca-labria e dalla Sicilia, si diffonde, seppur tramille contraddizioni, un’esplicita scelta dicampo del commercio e dell’impresa liberidalle mafie. Un segno da incoraggiare e so-stenere.

L’impegno educativo continua, inoltre, arappresentare una delle migliori risorse peril nostro Paese ed è via privilegiata della di-fesa e della promozione della dignità dell’u-mano. Pur tra disagi strutturali ed economi-ci, la scuola non cessa di essere un riferi-mento importante per le famiglie. Accantoalle negatività, fin troppo denunciate, sonotante le esperienze di dedizione e d’impegnocompetente che sostengono la crescita deipiù giovani. E insieme alla scuola, l’impegnoformativo di associazioni, di esperienze ora-toriali e sportive, che contribuiscono a crea-re una rete di relazioni sane in cui la fami-glia trova un valido supporto.

Il volontariato, autentico dono di tempo edi talenti, non cessa di essere un’altra gran-de risorsa per il Paese, nonché concreta atte-

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stazione del valore impareggiabile di ogni es-sere umano. Alla generosità verso gli ultimie i penultimi, notevolmente cresciuta con ildilagare dei drammatici, e spesso tragici, ef-fetti della crisi, oggi tende ad aggiungersi lacompetenza. Sono tante le persone comuniche si preoccupano di rendere più qualificatoil proprio servizio, e le esperienze di reti diprofessionisti che offrono prestazioni gratui-te o a prezzi popolari.

Non va inoltre taciuto lo splendido esem-pio di un’umanità accogliente offerto dallepopolazioni direttamente interessate dallosbarco degli immigrati. Nella semplicità deigesti, e nonostante le innumerevoli diffi-coltà, esse hanno mostrato quell’aperturadel cuore e della vita che è nelle corde piùprofonde della nostra terra, e che hanno fat-to e continuano a fare del Mediterraneo uncrocevia di popoli e di culture.

Queste esperienze di relazione sono segnitalvolta flebili, forse “poco notiziabili” per imedia, ma certamente concreti; tracce cheaprono cammini di speranza, varchi per l’an-nuncio di un Vangelo che è pienezza di uma-nità.

Riconoscersi figli

Occorre allora prima di tutto imparare adascoltare la vita delle persone, per scorgere isegni di un’umanità nuova che fiorisce. Lavita, con le sue fatiche e le sue contraddizio-ni, se ascoltata fino in fondo, lascia traspari-re un desiderio e una capacità di relazione edi comunione. Se riconosciamo l’intreccio diinterdipendenze che ci costituisce, i fram-menti isolati si ricompongono in una unitàdelle differenze. Anche le scienze, aldilà dicerte chiusure ideologiche, sembrano confer-mare questa dimensione relazionale dell’es-sere umano, mostrando i legami che ci uni-scono agli altri esseri viventi e alla vita delcosmo, e cogliendo la direzione nella quale sisviluppano i dinamismi della vita, già a unlivello semplicemente fisico e biologico.

Se provassimo a chiederci onestamenteche cosa davvero cerchiamo e vogliamo, sco-priremmo, forse con sorpresa, un desideriodi comunione al fondo di tutto ciò che siamo

e che facciamo. Se una tensione d’incontros’innesca in noi, se siamo capaci di sbilan-ciarci verso altri con eccedenza e gratuità, èperché siamo in qualche modo quel che desi-deriamo.

La relazione non si aggiunge dall’esternoa ciò che siamo: noi siamo, di fatto, relazione.Lo siamo prima ancora di sceglierlo o di ri-gettarlo consapevolmente, perché non venia-mo da noi stessi, ma ci riceviamo da altri,non solo all’origine della nostra vita ma intutto ciò che siamo e abbiamo. Il nostro esi-stere è un «esistere con» e un «esistere da»:impensabile, impossibile senza l’altro. L’es-sere generati è al fondo di ogni nostra possi-bile e necessaria autonomia. Non c’è autono-mia e responsabilità autentica, senza ricono-scere questa dimensione relazionale, veramatrice della nostra libertà.

La difficoltà a vivere le relazioni è deter-minata dalla difficoltà a riconoscersi come«donati a se stessi». Una vera relazione s’in-tesse a partire dal riconoscersi generati, cioèfigli, cifra più propria della nostra umanità.D’altronde, al cuore del senso dell’umano ri-velato in Gesù Cristo non sta il nostro esse-re figli? Non comprenderemmo nulla di Gesù– il senso delle sue parole, dei suoi gesti, ilsuo modo di vivere le relazioni, la sua libertà– fuori dal rapporto che egli ha con il Padre,cioè il suo essere figlio, il Figlio. «Tutto mi èstato dato dal Padre» (Mt 11,27); «Io e il Pa-dre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). Nel Fi-glio incarnato è svelata la verità del nostroessere.