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IL GRAND TOUR Coniato per la prima volta nel 1636 da Lord Grandborne per il suo viaggio in Francia ebbe diffusione da Richard Lassels nel suo viaggio del 1670 in Italia, il termine "Grand Tour" è¨ venuto a riferirsi ai viaggi di una elite nord europea, in maggioranza brittanica, in Francia, in Svizzera, e nel Sud dell'Europa ed aveva apparentemente un carattere educativo. L'obiettivo primario del Grand Tour era il viaggio in Italia, dove giovani artisti, aristocratici e uomini di stato, vennero a toccare con mano i resti della cultura classica. Le origini del Tour si possono trovare nel XVI secolo, ma toccò il suo apice nei secoli tardo XVII e XVIII.

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Page 1: Home - Istituto San Giuseppe Lugo - Scuola Media ... · Web viewIL GRAND TOUR Coniato per la prima volta nel 1636 da Lord Grandborne per il suo viaggio in Francia ebbe diffusione

IL GRAND TOUR

Coniato per la prima volta nel 1636 da Lord Grandborne per il suo viaggio in Francia ebbe diffusione da Richard Lassels nel suo viaggio del 1670 in Italia, il termine "Grand Tour" è¨ venuto a riferirsi ai viaggi di una elite nord europea, in maggioranza brittanica, in Francia, in Svizzera, e nel Sud dell'Europa ed aveva apparentemente un carattere educativo. L'obiettivo primario del Grand Tour era il viaggio in Italia, dove giovani artisti, aristocratici e uomini di stato, vennero a toccare con mano i resti della cultura classica. Le origini del Tour si possono trovare nel XVI secolo, ma toccò il suo apice nei secoli tardo XVII e XVIII.

Che cos'era il Grand Tour?

Forse se qualcuno di voi fosse stato un nobile brittanico o nord

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europeo nel XVIII secolo, avreste completato la vostra formazione attraverso un periodo di viaggi alla scoperta dell'Europa, in particolar modo della nostra Italia. Il Gran Tour poteva durare  da pochi mesi (generalmente mai meno di un anno) a 8 anni, quindi solo i più ricchi, di tempo e denaro potevano metterlo in pratica. Intraprendendo il Tour, i giovani imparavano a conoscere la politica, la cultura e l'arte delle terre vicine. Il Grand Tour fu il primo episodio documentato di turismo di massa: precursore, due secoli fa, delle stagionali migrazioni per sfuggire ai grigiori del Nord e cercare il sole del Sud.

"Goethe in der Campagna",ritratto di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein,dipinto a Roma nel 1787

Ma i circa 100 mila inglesi e le molte migliaia di tedeschi, scandinavi e russi, che nel Settecento calarono sull'Italia erano attratti, più che dal sole inteso come invito alla spiaggia, dal sole dell'arte e della cultura, inteso come luce e come vita. Ci fu un momento, nel XVIII secolo, in cui la cultura di un nobile, di uno scrittore o semplicemente di una signorina di buona famiglia non poteva essere completa senza un viaggio culturale europeo, con l'Italia meta essenziale. «Un uomo che non sia stato in Italia - scriveva Samuel Johnson - sarà sempre cosciente della propria inferiorità , per non avere visto quello che un uomo dovrebbe

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vedere».

Perchè l'Italia?

La destinazione principale del Grand Tour è stata l'Italia, con il suo patrimonio di antichi monumenti romani e greci. Il gusto del XVIII secolo venerava l'arte classica e la cultura degli antichi. Gli inglesi, in particolare, erano attirati in Italia per la loro ammirazione per le nostre antichità  e il desiderio di vedere in prima persona i monumenti della civiltà  antica come il Colosseo a Roma e tali meraviglie della natura come le eruzioni vulcaniche del Vesuvio vicino a Napoli.

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Pierre-Jacques Volaire, Eruzione del Vesuvio al chiaro di luna, 1774

Gaspar Van Wittel, Colosseo

Manuali per sopravvivere al Grand Tour

Il Grand Tour poteva essere pericoloso, bisognava fare molta attenzione ai tipi di letto che le locande e i posti di ristoro offrivano al viaggiatore stanco, affamato e alla ricerca di comfort. Il giaciglio poteva essere «abitato» oppure «guernito» e qualche volta si potevano avere entrambe le combinazioni. Nel primo caso chi viaggiava andava incontro alla coabitazione con cimici e pulci. Il magistrato ugonotto francese  Maximilien Misson, scrisse una vera e propria guida al Grand Tour nel 1668 dal titiolo Nouveau Voyage d'Italie, dove in appendice raccomandava che se non ci si poteva portare dietro una brandina bisognava almeno avere con sè lenzuola o coperte. Poi venne la

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fortunatissima guida di viaggio dell'inglese Mariana Starke, invece, consigliava, a scopo di protezione, un ampio camicione da notte da indossare sopra i vestiti. Lo scrittore francese Stendhal nel suo romanzo più famoso La Certosa di Parma, riferisce di un viaggio di uno storico inglese che "non pagava mai niente, nemmeno per la più piccola sciocchezza senza prima guardare il suo prezzo nei viaggi di una certa signora Starke, un libro che ... indica al prudente inglese il costo di un tacchino, una mela, un bicchiere di latte e così via ".

Il letto «guernito», annotava Johann Georg Keyssler in un'altra famosa guida secentesca di ben 2200 pagine dal titolo Nuovi viaggi in Germania, Boemia, Ungheria, Svizzera, Italia e Lorena. Il viaggio come sfida all'ignoto: a partire dal Cinquecento, e in numero sempre crescente nel secolo dei Lumi e nell'Ottocento, caleranno a frotte i giovani impegnati nel «Grand Tour» d'Europa e d'Italia, desiderosi di completare e arricchire la propria formazione sulle più svariate discipline, dalla botanica e mineralogia, all'idraulica, alla storia dell'arte, alla pittura e al disegno. Ma non solo per questo. Il viaggio diviene una sorta di “battesimo, ¨ una completa iniziazione non esclusivamente culturale. John William Polidori, autore del Il Vampiro (uno dei primi romanzi "vampireschi" mai apparsi) scrisse nei suoi diari di viaggio in compagnia di un giovane Lord Byron «Il nostro eroe  (Byron) avvertì i suoi tutori che anche lui avrebbe compiuto quel Grand Tour da molte generazioni ritenuto indispensabile per la formazione di un giovane; si teneva per assodato che i giovani dovessero acquisire una certa qual familiarità  con le cose del mondo da poter tener testa agli anziani ed evitare di passare da allocchi ogni volta che si affacciassero alla conversazione argomenti mondani». E Byron di familiarità  con “le cose mondane “ se ne prese parecchia.

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Lord Byron

La "mania", in ogni caso, dilagava come una febbre in tutta Europa. Annotava un ignoto viaggiatore nel 1772 che «la mania dei viaggi è arrivata a un punto tale che non c'è¨ cittadino di buona forma economica che non voglia godere della conoscenza, per quanto fugace, della Francia, dell'Italia, della Germania». Ma anche se non si tratta che di una «fugace» visita alle capitali (che comunque non durerà  meno di cinque, sei mesi), la preparazione del Grand Tour, a cui a partire dal Cinquecento si accingono avventurieri, attori, letterati e poi i rampolli di nobili o ricche famiglie, magari in compagnia di illustri ma squattrinati precettori come Adam Smith, Hobbes, Locke etc, ¨ minuziosa, richiede mesi, forse anni. Esistono una serie di complicati dettami, di norme di sopravvivenza, di precauzioni, di scelte di abiti, di carrozza e locande, come racconta nel suo interessantissimo saggio del  Attilio Brilli in "Quando viaggiare era un'arte" del 1995, che delineano il profilo del buon viaggiatore, di colui che riuscirà cioè¨ a "trarre più profitto" in tutti i campi della sua formazione e a imbattersi in minori rischi.

E i giovani travolti dall'ardore per questa difficile arte non erano certo in pochi: circa 40 mila erano le presenze annuali straniere tra

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Francia e Italia a metà  del secolo dei Lumi (il settecento per chi avesse qualche amnesia), e in crescita nel tempo. Sono gli albori del moderno turismo giovanile di massa. La minuziosa programmazione, per cui fioriscono guide e manuali, sembra anticipare i viaggi del «tutto compreso» con il tour pianificato minuto per minuto. Allora, però, i dolori del giovane viaggiatore potevano arrivare copiosi persino se il viaggio veniva condotto con il massimo dispendio e grande opulenza.

Infatti chi immagina il turista settecentesco come un ardimentoso solitario a cavallo del suo destriero certamente commette un errore: «Il servitore scelto per accompagnare il giovin Signore dovrà  avere familiarità  con la lingua franca, dovrà  saper scrivere con calligrafia chiara, dovrà  poi avere qualche nozione di chirurgia…», predica un manuale del bon ton peripatetico del Settecento. Se un solo servitore non aveva tutte queste virtù, si rimediava alla qualità  con la quantità  e giovanotti e giovanette venivano scortati da veri e propri cortei. Per esempio, il conte di Burlington, Richard Boyle noto come l'architetto-conte, il filantropo che portò in Inghilterra lo stile nel classico, nel 1714 arrivò nella penisola con un seguito di quindici persone, tra cui un esperto di giardini, un cuoco e un contabile. Fondamentale per la sicurezza e la comodità  degli spostamenti era poi la scelta della carrozza «che sarebbe stata - scriveva John Irving il Vecchio - il sostituto dell'abitazione per molti mesi». Così, per non negarsi

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nessun lusso, i più facoltosi e chi poteva permetterselo, come Lady Marguerite Blessington, (che scrisse Conversations with Lord Byron nel 1834 dopo avere incontrato più volte il poeta a Genova durante il suo Grand Tour e l'anno seguente Vagabondaggio in Italia)  avevano carrozze a doppie molle, fornite di materassi, cuscini, toeletta, biblioteca. Oppure ancora Lord Byron che viaggiava con il suo serraglio di animali che servivano allo svago o alla cucina, oppure Charles Dickens e famiglia che si muovevano in un elegante furgoncino trainato da quattro cavalli con portaliquori in cuoio e lampade per il giorno e per la notte.

Per i meno abbienti le carrozze di posta somigliavano a stipatissimi torpedoni di fortuna, oppure a un intasato volo low cost, con l'inconveniente che si doveva stare insieme ad altre persone parecchie settimane coltivando antipatie, pessimi umori e cattivi odori. E non solo. Numerose memorie offrono suggerimenti per non restare anchilosati dopo un immobilismo magari di ore. Guasti meccanici erano all'ordine del giorno e bastava una tempesta per mandare all'aria la più solida delle strutture, come capitò a Dominique Vivant Denon, nel 1778, futuro primo direttore del Louvre, accompagnato da giovani pittori, che vicino a Brindisi vide volare nel fango decine di disegni e acquerelli.

Comunque, se l'Italia offriva le strade migliori (le peggiori la Russia, la Polonia e la Prussia) però la Penisola già  da allora era afflitta secondo i viaggiatori del Grand Tour da un truffaldino sistema di tangenti come riporta ancora Mariana Starke. «Le classi lavoratrici italiane sono sempre in combutta fra loro per

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defraudare i viaggiatori, per cui l'insegnante d'italiano che vi procura una camera d'affitto riceve dal padrone di casa una certa somma che vi viene addebitata insieme alla pigione; il valet de chambre che corre a noleggiare un calesse per vostro conto, riceve dal proprietario un salario mensile che verrà caricato sulle spese di noleggio...».

Arte del Grand Tour

G. P. Pannini, "Galleria di pittore con viste di Roma moderna", 1757

Mentre i nobili venivano ad affinare i loro gusti visualizzando l'arte della Roma antica, studenti d'arte provenienti da tutte le parti d'Europa venivano in Italia per imparare l'arte dai modelli antichi. L'arte prodotta in Italia durante l'epoca del Grand Tour mostrava una stretta osservazione del paesaggio naturale e dei manufatti antichi, celebrava i moderni costumi italiani, e commemorava le visite dei ricchi mecenati.

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Claude Lorrain, Paesaggio ideale di Tivoli, XVII sec.

Un itinerario artistico che partiva dal «sogno dell'Italia» e che, attraverso paesaggi, feste, folklore e riscoperta dell'antico, si concludeva spesso con la moda di scopiazzare l'Italia nell'Inghilterra. E così, fra Canaletto, Pompeo Batoni, Bellotto, Piranesi, Claude Lorrain, Zoffany, Fragonard, Joshua Reynolds e Angelica Kauffmann si annidavano nomi relativamente sconosciuti; ma tutti con qualcosa da dire - compresi i cartografi, che con quel turismo d'elite avviarono un redditizio business, un'esplosione commerciale, fatta di tesori ritrovati e di falsi confezionati su misura. Molti artisti - non ultimo lo stesso Canaletto - dovettero la loro fortuna in terra inglese proprio alla riscoperta dell'Italia da parte di principi, mercanti e scrittori. L'Italia dell'arte e dell'architettura ma anche delle feste e del buon vivere era una sorta di grande palcoscenico per i playboy d'allora, per i giovani bene (con tutore), per gli aspiranti alla politica che facevano il Grand Tour come oggi si andrebbe in America per prendere il «master» e che al ritorno ne erano premiati diventando deputati quasi a colpo sicuro.

Canaletto: L'ingresso al canal grande con la dogana e la chiesa della salute 1729-34 (?)