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SATYRA 1 Irrequietus agens longa inter taedia noctem, membra volutaram calido semiusta cubili; nam somnum expulerat gravis aestus et improba pulex 2 , desuper et multo tabulata sonantia mure. Et iam dividuam sublucens mane fenestram intrabat, tenues extendens lumine rimas 3 frigidulusque aer roseo spirabat ab ortu 4 . Eripui memet thalamo valvasque reclusi lecturus quid nugarum veluti meus est mos 5 . Per pluteum nam dissecti de more libelli 6 , Virgilius Nasoque et Persius et Iuvenalis et lepidus Venusi Vates, iaculoque recenti Sectanus 7 , priscis si fas apponere vatem; expansusque legens mihi quod sese obtulit ultro 8 , 1 Alle pp. 133-140 dell’edizione del 1834, che per ora è il testimone unico del testo. 2 Il primo emistichio sembra debitore di Virgilio Aen., 8, 408 «curriculo expulerat somnum, cum femina primum», la clausola sembra un rifacimento di Lucano 1, 629 «pars micat et celeri venas movet improba pulsu». 3 I due versi sono quasi interamente modellati sull’incipit della terza satira di Persio: «Nempe haec adsidue. Iam clarum mane fenestras / intrat et angustas extendit lumine rimas». In realtà tutto l’inizio di questa satira, col giovane che si alza all’alba per leggere e scrivere poesia e il compagno dissoluto che, cercando di far svaporare i fumi dei bagordi della sera precedente, gli piomba nella cameretta e lo rampogna per la sua dedizione allo studio, rovescia la situazione iniziale della terza satira di Persio, in cui un giovane irrompe nella stanza di un altro che sta ancora dormendo a mattino inoltrato e lo costringe a mettersi a studiare, ovviamente senza frutto. 4 Frigidulus ad inizio di esametro figura in Catullo 64, 131 e due volte nella Ciris (251 e 348); per il secondo emistichio cfr. Ilias Latina 867 «et quantum occasus roseo distaret ab ortu». 5 Clausola presa da Orazio serm. 1, 9, 1 «Ibam forte via Sacra, sicut meus est mos». 6 E’ da presumere che libelli siano dissecti, cioè fatti a pezzi, verosimilmente sfascicolati e con fogli ormai volanti, per il troppo uso. 7 Ai tre classici della satira antica si affiancano dunque i testi del Sergardi. Del tutto improbabile che il riferimento sia al Cordara, il quale in cima ai suoi Sermones aveva posto il nome di battaglia di Lucio Settano, figlio di Quinto (il nome che si era dato Sergardi), sebbene i temi dei Sermones del Cordara, usciti in prima edizione nel 1737, fossero senz’altro più in sintonia con le letture di un seminarista, anche non gesuitico.

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SATYRA1

Irrequietus agens longa inter taedia noctem,membra volutaram calido semiusta cubili;nam somnum expulerat gravis aestus et improba pulex2,desuper et multo tabulata sonantia mure.Et iam dividuam sublucens mane fenestramintrabat, tenues extendens lumine rimas3

frigidulusque aer roseo spirabat ab ortu4.Eripui memet thalamo valvasque reclusilecturus quid nugarum veluti meus est mos5.Per pluteum nam dissecti de more libelli6,Virgilius Nasoque et Persius et Iuvenaliset lepidus Venusi Vates, iaculoque recentiSectanus7, priscis si fas apponere vatem;expansusque legens mihi quod sese obtulit ultro8,excipiebam avide spirantem leniter auram9

et matutinas accibam ad plectra Camoenas10.1 Alle pp. 133-140 dell’edizione del 1834, che per ora è il testimone unico del testo.2 Il primo emistichio sembra debitore di Virgilio Aen., 8, 408 «curriculo expulerat somnum, cum femina primum», la clausola sembra un rifacimento di Lucano 1, 629 «pars micat et celeri venas movet improba pulsu».3 I due versi sono quasi interamente modellati sull’incipit della terza satira di Persio: «Nempe haec adsidue. Iam clarum mane fenestras / intrat et angustas extendit lumine rimas». In realtà tutto l’inizio di questa satira, col giovane che si alza all’alba per leggere e scrivere poesia e il compagno dissoluto che, cercando di far svaporare i fumi dei bagordi della sera precedente, gli piomba nella cameretta e lo rampogna per la sua dedizione allo studio, rovescia la situazione iniziale della terza satira di Persio, in cui un giovane irrompe nella stanza di un altro che sta ancora dormendo a mattino inoltrato e lo costringe a mettersi a studiare, ovviamente senza frutto. 4 Frigidulus ad inizio di esametro figura in Catullo 64, 131 e due volte nella Ciris (251 e 348); per il secondo emistichio cfr. Ilias Latina 867 «et quantum occasus roseo distaret ab ortu».5 Clausola presa da Orazio serm. 1, 9, 1 «Ibam forte via Sacra, sicut meus est mos».6 E’ da presumere che libelli siano dissecti, cioè fatti a pezzi, verosimilmente sfascicolati e con fogli ormai volanti, per il troppo uso.7 Ai tre classici della satira antica si affiancano dunque i testi del Sergardi. Del tutto improba-bile che il riferimento sia al Cordara, il quale in cima ai suoi Sermones aveva posto il nome di battaglia di Lucio Settano, figlio di Quinto (il nome che si era dato Sergardi), sebbene i temi dei Sermones del Cordara, usciti in prima edizione nel 1737, fossero senz’altro più in sintonia con le letture di un seminarista, anche non gesuitico.8 Il secondo emistichio viene da Virgilio Aen. 8, 611 «talibus affata est dictis seque obtulit ultro».9 In questo caso la fonte è Ovidio fast. 3, 373 «ecce levi scutum versatum leniter aura».10 Si tratta di un riferimento autobiografico, come si evince dall’epistola al Luciani premessa a I tre giulj: «Chiunque ha di me qualche notizia può agevolmente sapere che non solo alcuno di questi miei sonetti, ma neppure alcun verso di poesia giammai a tavolino composi, per ciò ris-erbandomi il tempo che in sul mattino, scosso il sonno ed ancora in letto tranquillamente ri-posandomi, vado a mio bell’agio colla mente vagando per gli ameni colli di Pindo […]» (G. CASTI, Epistolario, cit., p. 9). Casti sembra essersi mantenuto fedele a questa prassi fino agli ul -timi anni: «Faccio la stessa, stessissima vita, che da qualche tempo mi son prefisso di fare e che ho fatta ovunque ho fissato il mio soggiorno. Alle otto sono in letto, la mattina sul letto stesso, leggo, scrivo, travaglio quattro o cinque ore sino alla una o due dopo mezzogiorno, ec-

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Ecce Lupus, tractum praelonga ab arundine fumumdisplodens tumidis buccis11 et lusca rotundislumina crystallis acuens hesternaque longepocula crudus olens (ideo experrectus et ante-lucanus siquidem spatiatur ut efflet apertoaere fumosos cerebro quos vina vaporesattollunt), de more cubicli in limine primo12

astitit improvisus et “Heus, o Crispe, quid istud,quaeso, rei est, placidum summo quod mane soporem13

excutis14 insolitus pigrumque cubile relinquis?Hem, quid cum calamo exerto promptisque papyris,magnum aliquid15 veluti suspensa mente volutans16,ungue caput scabis et corrodis dentibus unguem17 ?Gloriolae an stimulus scabiesque poetica prurit18

atque innata intus caprificus ab hepate rumpit19 ?Crede mihi, tanti non est leve nomen ut altoseripiat nobis somnos et dulcia perdat tempora. Stultitia est macie tabescere docta, impallere libris20 atque exemplaria priscanocturna versare manu, versare diurna,egregium ut vatem miratrix turba salutet21

teque oret supplex ut candida carmina pangas,nupta est patricio si forte puella maritocetto quando ho cose a fare» (lettera scritta a Parigi, datata 8 brumaio anno VII, cioè 29 otto-bre 1798; ivi, p. 1072.11 Le tumidae buccae si trovano in Persio, sia pure in una diversa giacitura: 5, 13 «nec scloppo tumidas intendis rumpere buccas». Qui dovrebbe trattarsi del fumo aspirato da una pipa artigianale.12 Clausola virgiliana: Aen. 2, 485; 6, 427; 11, 423.13 Per la giacitura di placidum soporem si veda Virgilio, Aen. 4, 522 «Nox erat et placidum carpebant fessa soporem».14 Per l’inarcatura si veda Ovidio, met. 11, 677-678 «Voce sua specieque viri turbata soporem / excutit et primo si sit circumspicit illic». 1516 La prima parte del verso viene da Giovenale 8, 263 «magnum aliquid dubia pro libertate deceret», la seconda è una rielaborazione di Stazio, Achill. 1, 200 «destinet, huc illuc divisa mente volutat».17 Rifacimento di Orazio serm. 1, 10, 71 «saepe caput scaberet vivos et roderet unguis», che è riferito al tormento della creazione poetica.18 Questo è il primo di una lunga serie di versi di questa parte della Satyra che figurano anche nell’Epistola ad Quintium ut inutilia praetermittat et utilia ac lucrosa sectetur, edita nella sec-onda sezione della stampa tratta dal manoscritto del conte Alberti, ovvero quella che contiene testi di un’accademia che ebbe per temi i litterarii impostores e la recta instituendorum studiorum ratio (l’epistola figura alle pp. 62-64). In questo caso il testo dell’Epistola si presenta in parte differente: «Quod si gloriolae stimulus te pungit et urit» (p. 64). 19 Rivisitazione di Persio 1, 24-25 «quae semel intus / innata est rupto iecore exierit caprificus».20 C’è un’eco di Persio 5, 62 «At te nocturnis iuvat impallescere chartis», che va ad intarsiarsi con la successiva, ben più scontata, ripresa di Orazio, ars 268-269.21 Prestito da Giovenale 4, 62 «obstitit intranti miratrix turba parumper».

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aut si virgineo velet sacra tempora peplo22.Non ita prorsus ego cerebro mihi sospite: nam dum

haeserit una salis capiti semuncia sano23,balsamini24 calices Bacchi sorbere frequenteset condita meo25 gustare embammata26 more(nam nosti quam nos docti sumus arte culinaeet memini ut patinas, postquam nudaveris ossa,saepe ligurieris digitosque exsuxeris unctos)seu ventrem malim scabere et dormire supinus27

quam colere ingratas sterili sudore Camoenas28.Da, sodes, artem29 loculos quae repleat auroatque lubens bene profusos30 laudabo labores;quippe voluptates et honorem et commoda vitae,

22 I versi 32-40 figurano senza varianti all’inizio dell’Epistola ad Quintium (p. 62). Casti riuti-lizzerà poi gli ultimi due versi, aggiungendovi un’ulteriore tipologia di poesia d’occasione, nei Carmina in Arcadum Coetu recitata XI kal. Aprilis 1764 (vd. n. 00). Ecco il passo: «carmina con-scripsi, seu sacra Orator ab Aede / indixit vitiis inter jeiunia bellum, / seu nupta est avido for-mosa puella marito, / seu sacra virgineo velarit tempora peplo; / unde dati plausus et me dixere Poetam / assentatores, sed non ego credulus illis».23 Rielaborazione di Persio 5, 120-121: «Sed nullo ture litabis, / haereat in stultis brevis ut semuncia recti». Anche qui Casti rifonderà i due versi nei Carmina appena citati: «Non ita, dum mentem servent mihi Numina, dumque / haeserit una salis capiti semuncia sano», parole che però sono pronunciate dal poeta, per resistere alle pressanti richieste di recitare una satira a lui rivolte dagli intervenuti all’adunanza arcadica.24 Plinio il vecchio (nat. 23, 92) e Apuleio (met. 10, 21) usano il termine in riferimento ad olio di balsamo dalle proprietà medicamentose; di fatto sono gli unici due autori antichi ad usare questo aggettivo. Difficile dire quanto Casti, sia pure ancora immerso in letture di testi antichi, potesse aver presenti queste rarissime attestazioni del termine, che peraltro non si riferivano al vino. Certamente la forma peregrina, assonante con Bacchi e significante vino di speciale aroma, faceva coppia con embammata del verso successivo nel guarnire di paroloni il passo in cui il grottesco personaggio di Lupo declina i suoi massimi vanti ed esplicita il nocciolo della sua filosofia di vita.25 L’edizione ha meis. 26 Altra parola rara, usata da Columella, rust. 12, 34 e 12, 57, Plinio il vecchio, nat. 20, 147 e 22, 88 e Apicio 3, 104 e 8, 346 (oltre ad un paio di occorrenze nel Digesto), che indicava un condimento a base di aceto. La parola figura anche in un verso del Dialogus contenuto nella terza sezione del libretto stampato dal Passigli (vd. n. 28), in bocca ad un Nomentano che è parente del Lupo della Satyra: «et manibus condire meis embammate dulci / nectareisque iuvat conspergere fercula succis» (p. 116). 27 Altro verso che figura nell’Epistola ad Quintium, quasi alla fine del testo: «Sic poteris ven-trem scabere et dormire supinus» (p. 64). 28 Questo brano propone materiali poetici che si ritrovano in due brani del Dialogus in versi in-cluso nella terza sezione, ovvero terza accademia, del libretto del 1834, quella che tratta De scientiarum ambiguitate, dove un Nomentano, declinando gli inviti a dedicarsi ad una qualche branca dello scibile, afferma: «His scilicet otia perdant / quorum gloriolae pertentat bractea pectus. / Non ita prorsus ego cerebro mihi sospite; nam dum / haeserit una salis capiti semun-cia sano, / balsamini calices Bacchi sorbere frequentes / et convivari et thalamo me expandere malim, / quam pallere libris studioque macrescere inani» (p. 115); e poco oltre dice: «Oh si, Lentule, quondam, / si condita meis gustaris edulia succis, / delicias!, equidem, postquam enu-daveris ossa, / saepius immundis patinis vacuoque catino / iura ligurieris digitusque esuxeris unctos» (p. 116).29 Notevole sintonia formale con Plauto Men. 545 «Da sodes aps te: poste reddidero tibi».30 L’edizione ha perfusos, che mi sembra da correggere, a meno che non lo si voglia inter-pretare nel senso di perfusos auro, cosa che mi sembra improbabile.

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laetitiam et titulos regina pecunia donat31

et, nisi lucra parent, studiis incumbere stultum est.At quis honos, quodnam lucrum, quae gloria vatemprosequitur seu vel modica mercede rependit32?Sobrius et sapiens nemo est, nisi carmina33 tricasdixerit atque apinas34, scurras fatuosque poetaset nares solo corruget35 odore poesis36.

Si tamen incautam laus subdola vellicat aurem,dic coram: invenies (palponum37 nam omnia plena)qui tua miretur stupeatque et ad aethera tollatcarmina, divino invidiam factura Maroni,contractisque superciliis pressisque labellis‘O pulcre, o belle!’ exclamet ‘Divinus Apolloiam properat merita tibi cingere tempora lauro38’.Tu tamen hoc tantum contentus vive nec ultrasinceram et stabilem speres attingere laudem;nam surda a tergo carpent tua carmina lima39.Assurget forsan sciolus, qui forte vagantisMeschini errores Bertoldinique libellumBertoldique vafros tantum perlegerit astus.Hic quoque ridicule nasum suspendit aduncum40:31 Ripresa di un celebre emistichio oraziano: «scilicet uxorem cum dote fidemque et amicos / et genus et formam regina Pecunia donat» (serm. 1, 6, 36-37).32 Clausola occorrente in Manilio 1, 370 «Iuppiter et caeli caelum mercede rependit».33 L’edizione ha carmine.34 Parole utilizzate da Marziale 14, 1, 7 «Sunt apinae tricaeque et si quid vilius istis» (cf. anche 1, 113, 2).35 Immagine tratta da Orazio, che però non si riferiva alla poesia: «ne sordida mappa / corruget naris» (epist. 1, 5, 22-23).36 Si può accostare a tutto questo primo discorso di Lupo uno strambotto contenuto nella stessa sezione del libretto stampato dal Passigli (pp. 60-62), che è una lunga apostrofe dello studente ai libri, tra il divertito e lo sconfortato: «Libri miei, venite qua, / discorriamola un popò: / su di voi la verde età / da me tutta si passò; / or che lode o utilità / tanto studio mi fruttò? / Nulla invero; anzi mi dà / qualche spesa e niente prò. / Or che fare si dovrà? / Seguitar? Signori no. / Veggio tanti ignorantoni / maneggiar doble e dobloni / e vestire abiti belli / di velluti e broccatelli; / ed inver non sanno un’acca, / non han letto una patacca; / pure ognun li onora e cole / ed in fatti ed in parole / e fan loro un baciamano / mezzo miglio di lontano. / Ed io pover giovanotto, / ch’ora mai mi son ridotto / per lo studio a tal partito / ch’anche ho perso l’ap-petito, / c’ho studiato come un cane / molte e molte settimane; / io che so le storie esatte di Barlamme e Giosafatte / e in spiegar Ciceroncino / c’ho lograto un Calepino, / io di più ch’anche ho studiato / e Marziale e il Candidato [il Candidatus rhetoricae del gesuita F. Pomey], / qual persona sconosciuta / quasi niuno mi saluta, / niun m’onora, e quel ch’è peggio / li quattrini non li veggio».37 Palpo è parola plautina (Amph. 526, Merc. 153; cf. anche Persa 704), ripresa da Persio (5, 176).38 Tempora lauro è clausola virgiliana (Aen. 3, 81; 5, 246; 5, 539; 7, 135; e anche Ciris 121), ripresa occasionalmente da Tibullo e Ovidio.39 Carmina carpere è espressione ricorrente in Marziale; cf. in particolare 1, 91, 1 «Cum tua non edas, carpis mea carmina, Laeli».40 Ovvio il rinvio ad Orazio serm. 1, 6, 5 «ut plerique solent, naso suspendis adunco», ma Casti cambia l’immagine, facendo del naso l’oggetto del verbo.

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‘Hic friget versus, curto haec pede syllaba peccatnec redolent doctum vulgaria carmina vatem’,et digito mendas designat et ungue maligno41.Sed strepit ingenti clamore Barullus et ‘Eia,si pudor – exclamat –, iuvenem prohibete profanum,vaniloquum42, morum scabiem legumque decoris,turpiculasque43 malo tractantem carmine nugas’.Quis ferat haec44 neve a studiis animum abstrahat? Ergo,si sapis et scrutis45 locuples cupis esse relictis,abstine Apollineis curis et paupere Musa46.

I potius pretium venali afferre macello,cum licitatores47 specula tuba cogit ab alta48;scripturas, decumas, furnos, portoria conduc49,

41 I versi 60-76 compaiono anche nell’Epistola ad Quintium (pp. 62-63), senza soluzione di con-tinuità con i versi che erano stati presi in precedenza (aut si virgineo velet sacra tempora peplo. / Si tamen incautam); il brano nell’epistola presenta minime varianti formali, che stilisti-camente sarebbeero senz’altro preferibili: Tu tamen his; sinceram ac solidam; Bertoldinique libellum; Is quoque. Il tema di chi affetta cultura, letteraria ma non solo, senza possederla e in questo modo la dà a bere al prossimo, è caro a questo Casti, che gli dedica, fra le altre cose, un sonetto contenuto nella terza sezione del libretto del 1834: «Talor bramando diventar dottore / mi pongo a faticar come un somaro, / scartabello ogni libro ed ogni autore / e volto di trattati un centinaro. / Ma nulla avanzo e confusion maggiore / mi nasce in testa, onde a mie spese im-paro / che per andar con gli altri dotti a paro / evvi strada più facile e migliore; / e più d’un, senza aver molto studiato, / con fare da saputo e da saccente / passa per uomo dotto e letter-ato. / Che serve starsi ad angustiar la mente, / se basta essere un poco infarinato, / ciarlar di tutto e non saper di niente?» (p. 125).42 L’aggettivo ricorre due volte all’inizio di esametro in Silio Italico (8, 17 e 14, 280).43 Aggettivo catulliano: «ista turpiculo puella naso» (41, 3).44 Ovvio il rinvio a Persio 1, 2 «’Quis leget haec?’ min tu istud ais? nemo hercule ‘Nemo?’».45 Parola di tradizione satirica: compare in un frammento di Lucilio (1282) citato da Gellio 3, 14, 10, 6 «quidni et scruta quidem ut vendat scrutarius laudat», in Orazio, epist. 1, 7, 65 «vilia vendentem tunicato scruta popello» (sicuramente il passo che Casti aveva meglio presente), e in Petronio 62, 1.46 Anche i versi 81-83 compaiono nell’Epistola ad Quintium (p. 63), senza soluzione di continu-ità con i versi che erano stati presi in precedenza («et digito mendas designat et ungue ma-ligno. / Quis ferat haec …»). 47 Parola rarissima, attestata nell’antichità solo in Cicerone dom. 115, 11 «emit domum licitatoribus defatigatis prope dimidio carius quam aestimabatur», dove però è una congettura del Pantagato per il tradito litigatoribus; la parola si trova invece nella tradizione manoscritta di off. 3, 61 e di fam. 7, 2, 1, ma qui gli editori moderni preferiscono inlicitatorem. Ricompare nelle epistole di Ambrogio (37, 17), ma anche qui con le varianti litigatorem e liciatorem (cfr. Thes. l. Lat. VII, 1372, 73 - 1373, 2). Va notato che nel Totius Latinitatis Lexicon di Forcellini alla voce licitator, glossata con «chi offre prezzo all’incanto» figurano i due passi del De officiis e delle Familiari, che formano anzi l’intera voce (vol. III, Patavii, typis Seminarii, 1771, p. 711). 48 Ripresa di Virgilio Aen. 3, 239 «litora, dat signum specula Misenus ab alta» e 10, 454 «comminus; utque leo, specula cum vidit ab alta».49 Questo conducere furnos in realtà acquista un senso solo se lo si considera per quello che è, una citazione di Giovenale 7, 3-5 «cum iam celebres notique poetae / balneolum Gabiis, Romae conducere furnos / temptarent». Tutto l’inizio della settima satira, in cui si lamentano le pessime condizioni economiche in cui versano i poeti, può essere considerato l’ipotesto di questo brano di Casti; infatti anche i due versi precedenti si intendono sicuramente meglio alla luce di quello che segue immediatamente nel testo di Giovenale: «nec foedum alii nec turpe putarent / praecones fieri».

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intolerabilius50 quando omnia plena tributis51.Sic facile forsan poteris ditescere: certenon studia, at studio fortuna potentior omni,agrorum cultus et vectigalia pinguemDemotico attulerunt censum; prognatus avitoquippe antro et duros solitus tractare ligones,custodire boves patrioque incumbere aratro52,a puero vixit siliquis et pane secundo53.Nunc currente rota54 multa replet horrea messe55,armentum dives, pinguique in gramine mille56

pascit oves auroque manus ostentat onustas.Num tu Demotico renuas assidere civis ?Demotico spondente neges tu credere nummos57?Non virtus illi, verum dat census honorem58;nam cruce nunc etiam pro nomine syngrapha signat.

Quod si te cautus Fisco immiscere recusas, scilicet infelix res est et plena pericli,unde nec exemplo conductor decoquit uno, ergo Ridolphini Praxim59 librosque forensesperlege, causidici60 ut possis acquirere famam;tum gravis attonito leges expone Clienti,‘Hoc Baldus docet atque hoc Bartolus, omnia novi’,nec pudeat leges mentiri et condere textus.Tunc te incedentem lento per compita gressuturba salutabit61 longe: ‘Illustrissime, salve’,tuncque Cliens pinguem Caprarius afferet haedum,

50 Chiara ripresa di Giovenale 6, 460 (oggi considerato un’interpolazione scoliastica) «Intolerabilius nihil est quam femina dives». 51 Potrebbe essere un’ironica memoria catulliana: «tamque bonus patruus, tamque omnia plena puellis» (89, 3).52 Clausola virgiliana: «tempus humo tegere et iamdudum incumbere aratris» (georg. 1, 213).53 Prestito oraziano: «pupillo; vivit siliquis et pane secundo» (epist. 2, 1, 123).54 Altro inserto oraziano, questa volta decontestualizzato: «institui: currente rota cur urceus exit?» (ars 22).55 Clausola virgiliana: georg. 1, 49 (ed Aetna 12), ma cfr. anche Ovidio met. 8, 293.56 L’emistichio è variazione di Virgilio georg. 2, 525 «lactea demittunt pinguesque in gramine laeto».57 Ricalcato su Persio 5, 79-80: «Marco spondente recusas / credere tu nummos?».58 Memoria ovidiana: «curia pauperibus clausa est, dat census honores» (am. 3, 8, 55) e «In pretio pretium nunc est: dat census honores» (fast. 1, 217).59 Si tratta di Pietro Ridolfini da Cortona, morto nel 1674, ovvero della sua De ordine procedendi in judiciis in Romana Curia Praxis recentior, vale a dire un ciclopico repertorio di monitoria, citationes, decreta, intimationes, sententiae, appellationes, commissiones caeterique actus prodotti nei tribunali romani, stampata più volte nel secondo Seicento, di cui era uscita un’edizione ancora nel 1726.60 In poesia è parola molto cara a Marziale e Giovenale.61 La turba salutante è memoria giovenaliana: «tota salutatrix iam turba peregerit orbem» (5, 25).

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alter vina dabit62 quae mittunt optima Cryptae63

atque erit in magno tibi foenore functio parva64.En egomet (ne forte aliunde exempla requiras),cui neque Digesti nec pagina Codicis umquamvisa vel ignarus qua Textus voce loquatur65,ex quo causidicus factus fora nostra frequentopragmaticosque66 omnes blateris67 atque implico tricis,ius vafrum68 quacumque trahens, mihi paenula pendetnobilis ex humeris petasumque togamque paravi.Namque prius festosque dies pariterque profestosper mediam incedens urbem pannosus agebamet vix attritis phemoralibus inguina celans,dissutisque vias caro nuda terebat alutis,invidiam ut faceret69 mihi saepe vel ipse Bacocca,qui sedet in triviis et vilia pondera portat70.

Nunc cedo si tibi quid pepererunt carmina; verum mendicat vates et inani pascitur aura.Mitte ergo Musas nummisque incumbe parandis.Si multis etenim tumeant marsupia nummis,indoctus, deformis, iners, ignobilis, aspersis licet, ingenuus, pulcher lepidusque sciensque,

62 Un’altra eco di Giovenale: «Hic tibi vina dabit diffusa in montibus illis» (11, 159).63 Si tratterà di Grotte di Castro, paesino che si trova sulla sponda opposta del lago di Bolsena rispetto a Montefiascone, nel cui circondario si producono ancora oggi vini di una qualche qual-ità. Un’alternativa potrebbe essere Grottaferrata, dove pure si produce qualche vino buono; ma non si spiegherebbe perché Casti abbia usato il plurale, senza contare la difficoltà posta dalla notevole lontananza, per l’economia dell’epoca, di Grottaferrata da Montefiascone.64 I versi 105-114 compaiono anche nell’Epistola ad Quintium, senza soluzione di continuità con i versi che erano stati presi in precedenza («abstine Apollineis curis et paupere Musa / atque Ridolphini Praxim librosque forenses»); l’unica variante è Tum te incedentem.65 Questi due versi sono presenti in forma molto simile nei Monita Galloni ad filium pubblicati nel Settecento latino IV, cit., p. 107.66 Parola usata in versi da Marziale (12, 72, 6) e Giovenale (7, 123). Qui si tratta degli avvocati che esercitavano la pratica forense, 67 Sembrerebbe trattarsi di un sostantivo blaterae, parallelo di tricae, di cui però non è traccia nel latino antico.68 L’espressione viene da Orazio: «nos expulit ille, / illum aut nequities aut vafri inscitia iuris» (serm. 2, 2, 130-131).69 Forse ancora un’eco giovenaliana: «invidiam facerent nolenti surgere Nilo?» (15, 123).70 Questa parte sulle vesti ci rimanda allo strambotto citato sopra (n. 00), di cui si può leggere ora la seconda parte: «Ma taluno a tai strambotti / dice ‘E il credito che i dotti / si procacciano nel mondo?’ / Circa al credito rispondo / che non è sempre mercè / che si renda a chi si de’ / ed i veri letterati / non son sempre i più stimati, / ch’oggi giorno, senza starsi / sovra i libri a mac-erarsi, / v’è cert’arte sopraffina / da spacciar scienza e dottrina, / ma bisogna saper fare / e sapere imposturare. / Quanti e quanti ve ne sono / che si stanno in gravità / e che parlano in un tuono / di sovrana autorità: / solo han letto i frontespizi / e di tutto dan giudizi / e hanno in testa un zibaldone, / di cui spesso all’occasione / san servirsi destramente, / e s’acquistan fra la gente / senz’aver giammai studiato / fama e onor da letterato. / Or che serve dunque a starsi / sovra i libri a macerarsi, / se con poco di prudenza / si divien uomo di scienza? / Che perciò miei libri, orsù, / non ne voglio saper più: / da qui avanti fra di noi / ognun badi a’ fatti suoi».

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sique voles dici vates, eris alter Apollo71.Sin steriles artes inopesque sequere sorores,non deerunt strepitus irrisoresque cachinni,nec tibi Pieria quadrans erit ullus in arca72,sed macra saepe trahes vacuo suspiria ventre”73. Postquam sic ille est largo pulmone loquutus,sic ego sedato excepi placidissimus ore:“At Dii te cerebro meliori, mi Lupe, donentverum ob consilium, sed non mens omnibus una74.Nam mihi non tanti est rumorque et murmur inane75

ut prohibere velim tamquam contagia Musas.Num quoniam sapit insipidum gallina Batillo,ergo etiam insipidum sapiet gallina Vorano76?Nusquam erit infectum coenae mihi norma palatum.Quid mihi si sutor crepidas pronunciet ultra?Quid si fastidit Musas Cenodoxus et odit77?Quid si clamoso toties strepit ore Barullus?Quod nequeunt etenim gestu dignoscere spernunt;sed sane spernant et cornicentur inepte78,71 Prelievo virgiliano: «Fortunate puer, tu nunc eris alter Apollo» (ecl. 5, 49; questa è la lezione del Virgilio Romano, a cui gli editori moderni preferiscono ab illo, attestata negli altri Vergilii antiquissimi). I versi 128-134 sono tratti dall’Epistola ad Quintium (vd. n. 00), senza soluzione rispetto al precedente prelievo: «atque erit in magno tibi foenore functio parva. / Nunc cedo si tibi quid); l’unica variante è un più elegante Mitte igitur Musas».72 Citazione di Marziale: «et quadrans mihi nullus est in arca» (2, 44, 9).73 Questi quattro versi sono quelli conclusivi dell’Epistola ad Quintium (p. 64), con un paio di varianti: sibila non deerunt per non deerunt stepitus; et macra. Sono preceduti da un brano che non si trova nella Satyra; si tratta di un medaglione del finto enciclopedismo affettato da un im-postore che voglia spacciarsi per dotto. E’ un brano in cui Casti si compiace di reiterate ac-robazie verbali e stilistiche, che esprimono con efficacia il fuoco d’artificio, scenografico quanto vacuo, della tuttologia. Varrà dunque la pena di riportare questi versi, che, se si eccettua il breve preambolo iniziale, sono l’unica parte dell’Epistola che non figura nella Satyra: se ti punge e brucia un gloriolae stimulus e vuoi ostentar cultura col volgo ignorante - dice Casti -, non occorre una grande fatica, «tumidas tantummodo noris / proiicere ampullas et sexquipedalia verba [cf. Hor. ars 97], atque geometrica eructare vocabula passim / puncta, su-perficiem, conon, tetraedra, scalenon, / et cuncta ad leges revoces normamque Mathesis; / ver-borum tamen haud multum vim scire labores [cf. Cat. 67, 17; Hor. epist. 1, 3, 2; Ovid. met. 10, 413; Pers. 2, 17]. / Sic etiam poteris medicas expromere voces [cf. Verg. Aen. 2, 280; Luc. 1, 360; Stat. Theb. 2, 101], / sphincterem, mediastinum, diaphragma, pilorum; / sis laudator aquae, traducas scripta Galeni, / Germanos, Batavos, Gallos Anglosque recense; / cuncta voca ad trutinam, scriptores carpe Latinos, / Aegyptum venerare et ad aethera tolle Pelasgos, / cor-rosaque legas insculpta vocabula saxo, / quod tibi Gruterii, Sponii quod pagina monstrat / nul-laque frons libri, nullus te fugerit index».74 Citazione di Virgilio georg. 4, 212 «observant. Rege incolumi mens omnibus unast» (cf. anche Aen. 10, 182), ripresa da Silio Italico 16, 278.75 Iunctura virgiliana: «terrificant animos et inania murmura miscent» (Aen. 4, 210).76 Vorano viene da Orazio: «Iulius et fragilis Pediatia furque Voranus» (serm. 1, 8, 39).77 La coppia di verbi è oraziana: «temporibus defuncta uidet, fastidit et odit» (epist. 2, 1, 22). Si noti anche il nome parlante Cenodoxus.78 Ripresa di Persio 5, 12 «nescio quid tecum grave cornicaris inepte», che è anche l’unica attestazione del verbo nel latino antico (secondo lo scoliasta, si tratta di un verbum novum creato da Persio stesso).

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dimoveant nusquam, illos intus et in cute novi79.Odi ego corde vafros simulantes ore Catonesnec genium palpans, fiam quo gratior illis,innocuas iubeam Musas Phoebumque valere.Nec tamen haec lucri studio seu laudis amorescribimus; utraque enim pereat malesana cupido.Namque ego dum mundo victu censuque decoroperfruar, haud dulces somnos animique quietemcongesturus opes malim deperdere: nusquam auro serviam ego, at, si sit, mihi serviat aurum.Sed nec laudis amor neve insanabile pruritscribendi cacoethes, at aegrae taedia mentis80

excutimus quandoque graves et fallimus horas.Scribere nunc satyram libet, et si dexter Apollo81,dicacem sapidis Musam exercere salillis82

et mordente ioco83 nostrates figere mores”. Haec sibi nec capitis nutu gestuve probariillico prodiderat, tum sic quoque prodidit ore:“Heu satyram prohibe, nec tam male pruriat oestrumscribere ut allubeat quod dein scripsisse pigebit.Temporibus scelus est satyram conscribere nostriset satyrae nomen vulgi sonat aure nefandum.Quod si forte mali culpabere carminis auctor,ad Centumcellas operi damnaberis interpileolos rubros et crassos bardocucullos84,emeritus vates donatus pro rude remo85,aut saltem ad Coryti periturum Ergastula mittent86,

79 Ancora Persio: «Ad populum phaleras! Ego te intus et in cute novi» (3, 30).80 Passo debitore di Giovenale 7, 51-52 «tenet insanabile multos / scribendi cacoethes et aegro in corde senescit». Casti riprenderà l’immagine del cacoethes, dissimulando il debito con Giovenale, all’inizio dei citati Carmina del 1764 (n. 00), che d’altra parte è programmaticamente giovenaliano: «Neve ego debueram, prurit siquid cacoethis, / auditor tantum tacitusque tot Arcadas inter / ut multorum unus ignavo insistere scamno».81 Ripresa di Stazio, silv. 5, 1, 13: «temptamus dare iusta lyra, modo dexter Apollo»; ma anche in Properzio (3, 2, 9) ed Ovidio (trist. 5, 3, 57) compare un dexter Apollo.

82 Salillus come diminutivo di sal sembra parola coniata da Casti; in Catullo compare salillum, ma è da intendersi come piccola saliera: «quod culus tibi purior salillost» (23, 19).

83 L’epressione sembra venire da Giovenale: «conviva ioco mordente facetus» (9, 10).84 Il bardocucullus viene da Marziale: «urbica Lingonicus Tyrianthina bardocucullus» (1,

53, 5); «Gallia Santonico vestit te bardocucullo» (14, 128, 1). Questo piccolo divertissment sulle conseguenze della poesia satirica sarà riutilizzato da Casti, in forma abbreviata, nei Carmina recitati agli Arcadi nel ’64: «at satyrae nomen vulgi sonat aure nefandum, / et si sorte malâ satyrae culpaberis Author, / ad Centumcellas operi damnaberis inter / pileolos rubros et crassos bardocucullos». Si tratta del porto di Civitavecchia, luogo dove venivano spediti i condannati ai lavori forzati, che venivano imbarcati come rematori sulle galere.85 Il donatus rude potrebbe essere memoria oraziana: «spectatum satis et donatum iam rude quaeris» (epist. 1, 1, 2).

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sportula87 suppeditet si forte domestica victum. Neu blandire tibi secretis auribus istate recitaturum, quae fida silentia88 servent,scilicet efficies potius ne spumifer89 humorsuppositis prunis ferventi exundet ab olla,aut ne dilapsis pluviis nivibusque solutis90

exsuperet fluvius ripas et in arva redundet,quam quis in arcano secretum pectore condat. Attamen ut taceant homines, se proderit ipsaMusa loquax, poterit nec dudum occulta latereflammaque ceu conclusa in lucem erumpet apertam.At Musae coelique diem interdicito et auramet pereant quo nata loco tua carmina, fatoquo perit ignotum caecis in rupibus aurum,nulla quod ad superas manus utilis eruat auras,aut velut humenti putrescit fungus in antro.Uni nimirum tibi succinis et tibi plaudis:ergo haec nemo leget? Turpe et miserabile tantos91

perdere nequicquam et tumulo sacrare labores!Fac tamen ut culpa careas careasque periclo

et laus a satyra veniat veniatque voluptas:materie tenui frigescet debile carmen.Nam iaculis uti et stricto saevire flagello92

tunc potuit satyrus, cum corruit orbe subactopondere Roma suo93 totamque impune per urbemsaevities ibat luxusque et caeca libido.Tunc in praecipiti vitium stetit omne94 vetusque

86 Ripresa da Giovenale: «Nempe in Lucanos aut Tusca ergastula mittas» (8, 180). Non saprei dire a qual bagno penale si stia riferendo qui Casti; certamente un luogo più lontano di Civitavecchia, ma non è possibile che sia Cortona (il cui nome latino è Corytum) che non era neppure nei territori dello Stato Pontificio. Non è neppure da escludere che Casti avesse in mente qualche luogo oltremare.87 Parola largamente usata da Marziale e Giovenale, diverse volte ad inizio di esametro (Mart. 1, 80, 1; 3, 30, 1; 3, 60, 10; 10, 75, 11; Iuv. 1, 118 e 128; 13, 33).88 I fida silentia vengono da Virgilio Aen. 3, 112 «Idaeumque nemus, hinc fida silentia sacris»; mentre silentia servat si trova in clausola in Stazio Theb. 4, 423.89 Spumifer è aggettivo staziano: Theb. 5, 56 e 9, 438 e Ach. 1, 59 (in Manilio 5, 74 figura spumiger).90 Chiara ripresa di Stazio Ach. 2, 144 imbribus adsiduis pastus nivibusque solutis; l’immagine delle nives solutae ricorre anche in Ovidio am. 3, 6, 7 e 93, met. 8, 556, e in Lucano 5, 465.91 Altro verso modellato sull’inizio della prima satira di Persio: «“Quis leget haec?” Min tu istud ais? Nemo, hercule. “Nemo?” / Vel duo vel nemo. “Turpe et miserabile!” Quare?».92 Clausola giovenaliana: «in Corum atque Eurum solitus saevire flagellis» (10, 180).93 Memoria ovidiana: «pondere poma suo tumidaeque in vitibus uvae» (met. 15, 77) e «pondere terra suo subsedit et aequora traxit» (fast. 5, 13); ma cf. anche Lucano 1, 139. L’immagine ovviamente viene dalla Roma che «magnitudine laborat sua» della prefazione di Livio.94 Ripresa di Giovenale 1, 149 «omne in praecipiti vitium stetit».

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aut trepida occuluit virtus penitusque refugit;tunc saevas vitiis alapas colaphosque sonantespro merito incussit Flaccus, Iuvenalis et Aulus.At tenues nunc inter opes et paupere regno95

Musa petit frustra quo tensum dirigat arcum96;non etenim hic Syllae tabulae dirusve triumvir,improba non Claudi coniux saevique Neroneset matutino sudans Crispinus amomo97;non hic immanem inveniet quo pascat hiatumauri sacra fames98 nervisque execta libidopalpitat et luxus subducta99 elanguit esca.Balnea deficiunt, Fora , Circus et Amphitheatra100 magnaque cum magno ceciderunt crimina regno.Sic postquam iaculum et vires tibi cessit Apollo,quem iaculere deest et vanis ictibus auras101

nequidquam caedis, vacua gladiator arena.Unus enim semper nobis idemque recurritsermo, Panurgi ampullae clamoresque Barulli;scilicet haud satyram metuit pietasque fidesque102

et castigati sancto sub principe mores103.Si qua tamen parva occurrent tibi crimina, caute

utendum calamo, caute tractanda poesis,ne decus urbanum permissa licentia Musae104

laedat et infensos dulces tibi reddat amicos105

procuretve novos veteresque exasperet hostes,cum nimium vivo depicta colore legentescrimina prospectant, latitant quae pectore vafro.Quin illud caveas, sanctam ne libera laedatMusa pudicitiam, sapiant neu carmina odoremvel procul obscoenum naresque offendant106 honestas:scilicet innocui corruptor habebere moris.95 Per la clausola si veda Stazio Theb. 1, 151 «armavit fratres, pugna est de paupere regno».96 La clauosla ricorre in Virgilio Aen. 11, 654, Manilio 1, 269 e Stazio Ach. 1, 632.97 Nient’altro che Giovenale 4, 108 «et matutino sudans Crispinus amomo».98 Superfluo il rinvio ad Aen. 3, 57.99 L’edizione ha subducto.100 Parola usata quattro volte in clausola da Marziale (spect. 1, 7; spect. 2, 5; spect. 28, 9; 9, 68, 7). 101 Clausola virgiliana: «bracchia protendens et verberat ictibus auras» (aen. 5, 377).102 La parte finale del verso è tolta da Cicerone carm. frg. 6, 68 «rite etiam uestri, quorum pietasque fidesque» e Lucano 5, 297 «Sic eat, o superi, quando pietasque fidesque».103 Leggera variazione di Marziale spect. 10, 5 «quos decet esse hominum tali sub principe mores».104 Variazione di Lucano 6, 271 «mutandaeque iuvat permissa licentia terrae».105 Per la clausola si vedano Orazio epist. 1, 18, 101 e Giovenale 13, 15.106 L’edizione ha offendat.

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Quod si autem tam sis in carmine relligiosus, frigidula107 evadet satyra enervisque poesis,debile et imbelli telum iaculabere ab arcu. Laxa igitur nervos et spicula conde pharetra,irrita neve velis tractare inglorius arma108”.

[f. 139r]Plurima ad haec dudum iam responsare paratum109,occupat is, tensa indicitque silentia dextra;nam raucum vicina sonum dat turris et horaeadmonuit. Tunc improvisus proripuit se -nam certa expectat de more Meneorius horacum farciminibus110, cum panibus oenophoroque111,ambo ter saltem soliti ientare112 dietim113 -inque salutatum me liquit114 et omnia circumdiscedens fumi vinique infecit odore[f. 139r].

107 Per l’uso di questo aggettivo ad inizio di esametro vd. supra, nota 00.108 La clausola viene da Virgilio Aen. 10, 52 «Idaliaeque domus: positis inglorius armis» e Valerio Flacco 6, 530 «dispulerant Colchos pariterque inglorius armis».109 Eco del celebre verso virgiliano «et cantare pares et rispondere parati» (ecl. 7, 5). 110 Parola rara, mai usata nella poesia antica, con varie attestazioni in prosa (una duplice in Varrone ling. 5, 111, una in Gellio 16, 7, 11, due in Apicio 2, 5 e 8, 7, 4). 111 Parola che percorre tutta la satira latina antica, essendo attestata in Lucilio (139), Orazio (serm. 1, 6, 109: in clausola), Persio (5, 140) e Giovenale (6, 426 e 7, 11), ed anche in Marziale (6, 89 6). Il verso ricorre identico nel già citato Dialogus in versi della terza sezione del libretto del 1834 (vd. nota 00), anche in questo caso in bocca a Nomentano, che è un po’ un gemello del nostro Lupo: «Colloquimur. Iubeo afferri ientacula: velox / cum farciminibus, cum panibus oenophoroque / servus adest, hilares ientamus, et inter amicos / tunc edere et vini calices sorbere frequentes» (p. 116; si confronti anche quest’ultimo verso col verso 43 della Satyra).112 Verbo raro, anche nella forma ieiento, attestato in frammenti di Afranio (com. 43), Pomponio (Atell. 27) e Varrone (Men. 278), e quindi in Marziale (8, 67, 10) e Suetonio (Vit. 7, 3).113 Avverbio non attestato nel latino antico.114 Ripresa di Virgilio Aen. 9, 288 «inque salutatam linquo».