Ho abbracciato il dugongo

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9 Premessa Gli occhi del dugongo Avete mai preso in braccio un cucciolo di dugongo? Si prova la netta sensazione di vivere un’esperienza rara, che la stragrande maggioranza degli esseri umani che popolano e hanno popolato questa terra non ha mai provato e non prove- rà mai. Ma al di là di questo piccolo vanto suggerito dal- l’esclusiva, l’abbraccio del dugongo è un gesto che forse come quasi tutti gli abbracci suscita una grande tenerezza. Per renderne l’idea basta spiegare in due parole cos’è il dugongo e come lo abbiamo incontrato. È un grosso mammi- fero marino, con corpo tozzo, pelle spessa e muso appiattito, simile a una foca, con gli occhioni grandi, lucidi e languidi. Un animale che ispira istintiva tenerezza, soprattutto i cuccioli. Noi lo abbiamo incontrato a Trang, in Thailandia, a pochis- simi chilometri dal confine con la Malesia: atmosfere salga- riane, foreste di mangrovie. Stavamo collaborando con Yad Fon (che tradotto significa “gocce di pioggia”), cioè un’orga- nizzazione buddhista che aiuta i piccolissimi villaggi di

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Cesvi - che significa cooperazione e sviluppo - è un'organizzazione umanitaria indipendente, fondata in Italia nel 1985. Con trenta sedi estere, Cesvi opera in tutti i continenti per affrontare ogni tipo di emergenza e ricostruire la società civile dopo guerre e calam ità. Nella lotta alla povertà Cesvi non fa elemosine, ma interviene con progetti di sviluppo che puntano sul protagonismo dei beneficiari

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PremessaGli occhi del dugongo

Avete mai preso in braccio un cucciolo di dugongo? Siprova la netta sensazione di vivere un’esperienza rara, che lastragrande maggioranza degli esseri umani che popolano ehanno popolato questa terra non ha mai provato e non prove-rà mai. Ma al di là di questo piccolo vanto suggerito dal-l’esclusiva, l’abbraccio del dugongo è un gesto che − forsecome quasi tutti gli abbracci − suscita una grande tenerezza.

Per renderne l’idea basta spiegare in due parole cos’è ildugongo e come lo abbiamo incontrato. È un grosso mammi-fero marino, con corpo tozzo, pelle spessa e muso appiattito,simile a una foca, con gli occhioni grandi, lucidi e languidi.Un animale che ispira istintiva tenerezza, soprattutto i cuccioli.

Noi lo abbiamo incontrato a Trang, in Thailandia, a pochis-simi chilometri dal confine con la Malesia: atmosfere salga-riane, foreste di mangrovie. Stavamo collaborando con YadFon (che tradotto significa “gocce di pioggia”), cioè un’orga-nizzazione buddhista che aiuta i piccolissimi villaggi di

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pescatori musulmani delle isole di fronte a quella costa. Giàl’arrivo, a bordo di una barchetta degna della classica imma-gine del guscio di noce, in mezzo a quelle palafitte di legno,induce alla commozione. Perché non si può restare indifferen-ti di fronte a quell’umanità semplice, che vive di poco, dasempre. Poi i quattro anni di lavoro dei volontari del Cesvi inmezzo a quella gente, per aiutarli a ripristinare il fragile eco-sistema, praticamente distrutto dalla pesca a strascico e dalladinamite con cui i pescatori di frodo fanno strage di tuttoquanto vive sott’acqua. E così anche il dugongo era scompar-so dalle acque di Trang insieme a molte altre specie. Riuscirea riportare la vita – in senso pressoché letterale − in quel pic-colo mondo è stato bellissimo. E la sensazione di gioia e sod-disfazione ha toccato il suo culmine quando, quattro anniesatti dopo l’ultimo avvistamento, mi invitarono a battere lamano sulla superficie del mare per chiamare il dugongo. Iobattevo la mano, fischiettavo – ovviamente non avevo la piùpallida idea di come si richiamasse l’attenzione di un dugon-go – e mi guardavo attorno senza grandi aspettative, immersonell’acqua sino alla cintola. E invece, all’improvviso, eccololì: una testolina pelosa che affiora in superficie. È un cuccio-lo che nuota come un cagnolino, mi fissa con due occhi enor-mi e, una volta arrivato accanto a me, si lascia prima accarez-zare e poi addirittura prendere in braccio. Che emozione!

Come il ricordo di quel cielo stellato nelle notti che ho pas-sato fra i Dinka nel Sud Sudan, dove una guerra infinita avevafermato lo sviluppo all’età della pietra e si moriva persino peril verme di Guinea.

Ma un’emozione forte l’ho provata anche dentro la stalladi un villaggio poverissimo di un centinaio di abitanti, Brolic,

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in Kosovo, accanto a uno dei più grandi editori italiani, CarloCaracciolo, mentre bevevamo latte cagliato conversando cor-dialmente con i contadini reduci da una guerra assurda acruenta. Oppure quel primo maggio del 1986, a Montevideo,quando mi sono ritrovato addirittura sul palco in occasionedella festa dei lavoratori insieme ai leader storici della sinistrauruguayana, che erano ormai rientrati nel loro paese dopoanni di esilio per le persecuzioni del regime militare. E quel-la sera quando passeggiavamo per le vie di Pristina, di nuovoin Kosovo, insieme a Ibrahim Rugova, il presidente delKosovo recentemente scomparso, che con grande semplicitàdescriveva cosa significasse per lui quella terra, la pace, lanon violenza? Oppure delle improvvise risate che hanno rottol’ingessato protocollo dei gerarchi nordcoreani, a Pyongyangnel 2000, quando abbiamo stappato per loro una bottiglia diChianti e abbiamo proposto una rivincita di Italia-Corea del1966? E della nostra Panda 4x4 che si muoveva con sfacciatadisinvoltura tra le colonne di mezzi blindati che intasavano lestrade della Bosnia e si avventurava oltre i posti di bloccodelle milizie in Mercedes dell’Albania in rivolta?

I vent’anni di vita del Cesvi sono stati anche tutto questo:emozioni, avventure, incontri. Culminati, credo, con la piùgrande delle gioie possibili: tenere tra le braccia Takunda, ilprimo bambino africano nato da madre sieropositiva che cre-sce sano grazie a una semplice terapia che avevamo sperimen-tato in un piccolo ospedale dello Zimbabwe. Il suo nome,Takunda, nella lingua “shona” significa “abbiamo vinto”.

Tutto questo è il frutto nato da un’idea che un gruppo diamici bergamaschi ha avuto nel 1985: fare cooperazioneinternazionale. Certo, allora, noi ragazzi non potevamo imma-

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ginarne le conseguenze. Ma poi l’esperienza ci ha insegnatoche nella vita di una persona le cose succedono, un evento siaggancia all’altro disegnando una sequenza che non è possi-bile prevedere e modellare. Così oggi il Cesvi è un’organizza-zione ben strutturata, efficiente, una delle più grandi Ong ita-liane con un presidente dalle grandi capacità manageriali,Giangi Milesi, che da volontario nei primi anni Novanta, hacontribuito in modo determinate alla crescita dell’associazio-ne, occupandosi della comunicazione e della raccolta fondi.

Insieme a Lella Costa, un’amica che non ha esitato a spen-dersi in prima persona ogni volta che il Cesvi ha raccolto sfidedifficili, abbiamo pensato che valesse la pena raccontare que-sti primi vent’anni in cui, più di ogni altra cosa, abbiamo cer-cato di fare bene il bene.

Maurizio Carrara

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