Helvétius - Sullo Spirito

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Testo del materialista francese settecentesco Helvétius.

Transcript of Helvétius - Sullo Spirito

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    C. A. HELVETIUS

    Dello spirito (1758)

    Traduzione di Franco Virzo

    (2006)

  • Titolo originale: De lesprit 1( 1758)

    Di C. A. Helvtius (1715-1771)

    Traduzione di Franco Virzo (2006)

    Traduzione condotta sul testo tratto dal database di Frantext realizzato da: Institut National de la Langue Franaise (INaLF)

    Prefazione

    1 La parola francese esprit lequivalente delle differenti parole italiane: spirito, mente, intelletto, ingegno, pensiero, animo, umore, carattere, attitudine ecc. Nella traduzione del presente testo, ho scelto il termine che mi sembrato pi adatto a rendere, volta per volta, il pensiero dellautore. Sar, poi, lo stesso Helvtius a chiarire, nelle pagine che seguono, ci che, a suo avviso, deve pi propriamente intendersi per esprit, principale oggetto di questa sua opera. (ndt)

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  • Loggetto che mi propongo desaminare in questopera interessante; per di pi nuovo. Fino ad ora lo spirito stato considerato soltanto sotto alcuni suoi aspetti. I grandi scrittori non hanno fatto altro che gettare un colpo docchio rapido sulla materia, ed ci che mincoraggia a trattarla. La conoscenza dello spirito, quando si prende questa parola in senso lato, cos strettamente legata alla conoscenza del cuore e delle passioni delluomo, che era impossibile scrivere sullargomento, senza parlare almeno di quella parte della morale comune agli uomini dogni nazione, e che pu avere, nei governi, soltanto il bene pubblico come oggetto.

    I principi che pongo sulla materia sono, penso, conformi allinteresse generale e allesperienza. Dai fatti risalgo alle cause. Ho creduto di dover trattare la morale come tutte le altre scienze, e di far morale come la fisica sperimentale. Ho ceduto a questidea solo per la persuasione che ho che qualsivoglia morale i cui principi sono utili al pubblico necessariamente conforme alla morale della religione, che soltanto il perfezionamento della morale umana. Per il resto, se mi sono sbagliato, e se, contro la mia aspirazione, alcuni dei miei principi non fossero conformi allinteresse generale, sarebbe un errore della mia mente e non del mio cuore, e dichiaro in anticipo di sconfessarlo.

    Chiedo solo una grazia al mio lettore, ed dascoltarmi prima di condannarmi, di seguire il nesso che lega insieme le mie idee, dessere giudice e non avversario. Questa richiesta non leffetto di uningenua fiducia; ho troppo spesso ritenuto sbagliato la sera, quello che avevo ritenuto buono il mattino, per avere unalta opinione dei miei lumi.

    Forse ho trattato un soggetto al disopra delle mie forze: ma, quale uomo conosce tanto se stesso da non presumerne troppo? Almeno non dovr rimproverarmi di non aver fatto ogni sforzo per meritare lapprovazione del pubblico. Non ottenendolo, ne sar pi addolorato che sorpreso: in questo genere di cose non basta desiderare, per ottenere.

    In tutto ci che ho detto, ho cercato soltanto il vero, non soltanto per lonore di dirlo, ma perch il vero utile agli uomini. Se me ne sono

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  • allontanato, trover proprio nei miei errori motivi di consolazione, se, come dice De Fontenelle, gli uomini non possono arrivare a qualcosa di ragionevole, in qualsiasi campo, se non dopo aver consumato, in quello stesso campo, tutte le sciocchezze immaginabili. I miei errori potranno perci essere utili ai miei concittadini: con il mio naufragio avr segnalato lo scoglio. Quante stupidit, aggiunge De Fontenelle, non diremmo noi oggi, se gli antichi non le avessero gi dette prima di noi, e se non ce le avessero, per cos dire, portate via! Lo ripeto quindi: garantisco della mia opera soltanto la purezza e lonest delle intenzioni. Tuttavia, per quanto certo delle intenzioni, i proclami dellinvidia sono cos favorevolmente ascoltati, e le sue frequenti declamazioni cos atte a sedurre anime pi oneste che illuminate, che si scrive, per cos dire, tremando. Lo sconforto nel quale imputazioni, spesso calunniose, hanno gettato gli uomini di genio, sembra gi presagire al ritorno dei secoli dignoranza. E soltanto nella mediocrit dei talenti, in ogni settore, che si trova un asilo contro le persecuzioni degli invidiosi. La mediocrit diventa quindi una protezione; e questa protezione, me la sono verosimilmente cercata mio malgrado.

    Daltronde, credo che linvidia potrebbe difficilmente imputarmi il desiderio di ferire qualcuno dei miei concittadini. Il genere di questopera, in cui non prendo in considerazione nessun uomo in particolare, ma gli uomini ed i popoli in generale, deve mettermi al riparo da ogni sospetto di malignit. Aggiunger anche che leggendo questi discorsi, ci si accorger che amo gli uomini, che desidero il loro bene, senza odiare e disprezzarne nessuno in particolare. Alcune delle mie idee appariranno forse azzardate. Se il lettore le giudica false, lo prego di ricordarsi, nel condannarle, che soltanto allaudacia dei tentativi si devono spesso le scoperte delle pi grandi verit, e che il timore di sostenere un errore non deve in nessun modo distoglierci dalla ricerca della verit. Invano uomini ignobili e pusillanimi vorrebbero proscriverla, e imporle talvolta il nome odioso di licenza, in vano ripetono che le verit sono spesso pericolose. Supponendo che talvolta lo fossero, a qual pi gran pericolo ancora non sarebbe esposto il popolo che acconsentisse a languire nellignoranza? Una nazione priva di lumi, quando esce dallo stato

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  • barbaro e feroce, una nazione degradata, e presto o tardi soggiogata. Fu pi la scienza militare dei romani che non il loro valore a trionfare sui Galli.

    Se la conoscenza di una verit pu avere qualche inconveniente ad un dato momento, passato questo, la stessa verit ridiventa utile ai secoli ed alle nazioni. Questa infine la sorte delle cose umane: non ce n nessuna che non possa diventare pericolosa in certi momenti, ma solo a queste condizioni che se ne gode. Maledizione su chi volesse, con questa motivazione, privarne lumanit.

    Nel momento stesso che simpedisse la conoscenza di talune verit, non sarebbe pi permesso dirne alcuna. Migliaia di persone potenti e spesso anche malintenzionate, con il pretesto che talvolta saggio tacere la verit, la bandirebbero dalluniverso. Sicch il pubblico illuminato che solo ne conosce interamente il valore la richiede incessantemente: non teme desporsi ad eventuali mali, per godere dei vantaggi reali che essa procura. Tra le qualit degli uomini, quella che apprezza di pi la grandezza dellanima che si rifiuta alla menzogna. Sa quanto utile pensare e dire tutto, e che gli errori stessi cessano desser pericolosi, quando consentito contraddirli. Allora sono presto riconosciti come errori: si depositano rapidamente da soli negli abissi delloblio, e soltanto le verit galleggiano sulla vasta distesa dei secoli.

    Primo discorso - Capitolo primo

    Dello spirito in se stesso.

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  • Si discute ogni giorno su quello che va chiamato spirito: ognuno dice la sua, nessuno abbina le stesse idee a questa parola, e tutti parlano senza capirsi.Per poter dare unidea giusta e precisa della parola spirito e delle diverse accezioni in cui presa, bisogna innanzitutto esaminare lo spirito in se stesso.

    Si considera lo spirito o come leffetto della facolt di pensare (e lo spirito, in tal senso, non altro che il raggruppamento dei pensieri delluomo), o come la facolt stessa di pensare.

    Per capire ci che lo spirito, preso in questultimo significato, occorre conoscere quali sono le cause produttrici delle nostre idee. Abbiamo in noi due facolt, o, se oso dire, due potenze passive, la cui esistenza generalmente e distintamente riconosciuta. Una la facolt di ricevere le diverse impressioni che fanno su di noi gli oggetti esterni: chiamata sensibilit fisica. Laltra la facolt di conservare limpressione che questi oggetti hanno fatto su di noi: chiamata memoria, e la memoria non altro che una sensazione continuata ma indebolita. Queste facolt, che considero come le cause produttrici dei nostri pensieri, e che abbiamo in comune con gli animali, ci farebbero tuttavia sorgere solo un piccolissimo numero didee, se non fossero unite in noi ad una certa organizzazione esterna. Se la natura, invece delle mani e delle dita flessibili, avesse completato i nostri polsi con zoccoli di cavallo, chi dubita che gli uomini senzarte, senzabitazione, senza difesa contro gli animali, completamente presi dalla preoccupazione di provvedere al cibo e devitare le bestie feroci, non sarebbero ancora erranti nelle foreste come branchi fuggitivi? Orbene, in questa supposizione, evidente che lopera di civilizzazione non avrebbe raggiunto, in nessuna societ, il grado di perfezionamento al quale pervenuta attualmente. Non c nazione che, in fatto di spirito, non sarebbe restata di molto inferiore a taluni popoli primitivi che non hanno nemmeno duecento idee, duecento parole per esprime le loro idee, ed il cui linguaggio, di conseguenza, ridotto, come quello degli animali, a cinque o sei suoni o gridi, se si tolgono da questa stessa lingua le parole arco, frecce, reti, ecc. che suppongono luso delle mani. Da cui concludo che, senza una certa organizzazione esterna, la

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  • sensibilit e la memoria sarebbero in noi soltanto facolt sterili. Adesso bisogna esaminare se, con lausilio di questorganizzazione, le due citate facolt hanno realmente prodotto i nostri pensieri.

    Prima dintraprendere un qualsiasi esame in merito, mi si chieder forse se queste due facolt sono modificazioni duna sostanza spirituale o materiale. La questione, un tempo agitata dai filosofi, e riproposta ai giorni nostri, non entra necessariamente nel piano della mia opera. Quello che ho da dire sullo spirito concorda perfettamente tanto con luna quanto con laltra ipotesi. Osserver in proposito soltanto che, se la chiesa non avesse fissato la nostra credenza su questo punto, e che pertanto si dovuto, con i soli lumi della ragione, elevarsi fino alla conoscenza del principio pensante, non si potrebbe non convenire che nessuna opinione in questo genere di cose suscettibile di dimostrazione, che bisogna prendere in considerazione le ragioni pro e contro, bilanciare le difficolt, risolversi in favore del pi gran numero di verosimiglianze, e di conseguenza emettere solo giudizi provvisori. Succederebbe, con questo problema, come con uninfinit daltri che non possono essere risolti se non con laiuto del calcolo delle probabilit. Non mi soffermo quindi pi a lungo sullargomento. Vengo al mio oggetto e dico che la sensibilit fisica e la memoria, o, per parlare pi correttamente, la sensibilit da sola produce le nostre idee. In effetti, la memoria non pu essere altro che uno degli organi della sensibilit fisica: il principio che in noi sente, deve necessariamente essere il principio che ricorda, poich ricordarsi, come dimostrer tra poco, non in realt altro che sentire.

    Quando, per effetto delle mie idee o per la vibrazione che taluni suoni causano nellorgano del mio orecchio, riporto alla mente limmagine duna quercia, allora i miei organi interni debbono necessariamente trovarsi allincirca nella stessa situazione in cui erano in vista di quella quercia. Questo fatto deve, pertanto, produrre incontestabilmente una sensazione: quindi evidente che ricordare sentire. Posto questo principio, dico ancora che nella nostra capacit appercettiva delle rassomiglianze o differenze, delle corrispondenze o discordanze che hanno fra loro gli oggetti diversi, che consiste ogni operazione dello spirito. Pertanto questa capacit

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  • non che la sensibilit fisica stessa: tutto si riduce dunque al sentire. Per assicurarci di questa verit, prendiamo in considerazione la natura. Questa ci presenta oggetti che hanno rapporto con noi e rapporti fra loro. La conoscenza di questi rapporti forma quello che chiamiamo spirito: esso pi o meno grande, secondo che le nostre conoscenze in questo campo sono pi o meno vaste. Lo spirito umano sinnalza fino alla conoscenza dei rapporti, ma sono limiti che non valica mai. Cosicch tutte le parole che compongono le diverse lingue e che possiamo considerare come la collezione dei segni di tutti i pensieri delluomo, ci ricordano o immagini, tali le parole, quercia, oceano, sole, o designano idee, cio i diversi rapporti che gli oggetti hanno tra loro, e che sono o semplici, come le parole, grandezza, piccolezza, o composte, come vizio, virt. Esse esprimono infine o i rapporti diversi che gli oggetti hanno con noi, vale a dire la nostra azione su di loro, come nelle parole, rompo, scavo, sollevo, o la loro impressione su di noi, come in, ferisco, abbaglio, spavento. Se qui sopra ho delimitato il significato della parola idea che presa in accezioni molto diverse, dato che si esprime alla stessa maniera lidea di un albero e lidea di virt, che il significato indeterminato di questa espressione pu talvolta far cadere negli errori cagionati sempre dallabuso delle parole. La conclusione di quello che ho appena detto, che, se tutte le parole delle diverse lingue non designano mai altro che oggetti o i rapporti di questi oggetti con noi e tra loro, lo spirito di conseguenza consiste nel paragonare sia le nostre sensazioni sia le nostre idee, vale a dire, a cogliere le rassomiglianze e le differenze, le corrispondenze e le discordanze che hanno tra loro. Ora, siccome la valutazione non altro che lappercezione stessa, o almeno lenunciato di questa appercezione, ne consegue che tutte le operazioni dello spirito si riducono a valutare. Posta la questione entro questi limiti, esaminer adesso se valutare non sia sentire. Quando valuto la grandezza o il colore degli oggetti che mi sono presentati, evidente che la valutazione sulle differenti impressioni che gli oggetti hanno fatto sui miei sensi non altro che una sensazione. Posso altres dire: valuto o sento che, di due oggetti, uno che chiamo tesa, fa su di me unimpressione differente da quello che chiamo piede, e che il colore che chiamo rosso agisce sui miei occhi in maniera differente da quella che

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  • chiamo giallo. Da cui concludo che in questo caso valutare non mai altro che sentire. Ma, si dir, supponiamo che si voglia sapere se la forza preferibile alla corpulenza, si pu essere sicuri allora che valutare sia sentire? Risponder di s, poich per fare una valutazione su questargomento, la mia memoria deve tracciarmi di seguito il quadro delle differenti situazioni in cui posso trovarmi pi comunemente nel corso della mia vita. Ora, valutare riconoscere che, nelle diverse situazioni, la forza mi sar spesso pi utile della corpulenza. Ma, si replicher, quando si tratta di giudicare se, in un re, la giustizia preferibile alla bont, si pu immaginare allora che un giudizio non sia altro che una sensazione? Questopinione, senza dubbio, ha innanzitutto laria di un paradosso: tuttavia, per verificarne la veridicit, supponiamo in un uomo la conoscenza di quello che si chiama bene e male, e che questuomo sappia ancora che unazione pi o meno cattiva, secondo che pregiudica pi o meno il benessere della societ. In questa supposizione, quale arte deve utilizzare il poeta o loratore, per rendere pi viva lappercezione che, in un re, giustizia preferibile a bont, che salvaguarda pi cittadini per lo stato? Loratore presenter tre situazioni allimmaginazione di questo stesso uomo. Nel primo, gli raffigurer il re giusto che condanna e fa uccidere un criminale. Nella seconda, il re buono fa aprire la segreta di questo stesso criminale e gli toglie i ferri. Nel terzo rappresenter il criminale che, armatosi di pugnale alluscita della prigione, corre a massacrare cinquanta cittadini. Ora, quale uomo, alla vista di questa terza situazione, non sentir che nel re, la giustizia che attraverso la morte di un singolo previene la morte di cinquanta uomini, preferibile alla bont? Tuttavia questo giudizio non altro che una sensazione. In effetti, se con labitudine dassociare le idee alle parole, stimolando lorecchio con determinati suoni, possiamo, come dimostra lesperienza, provocare in noi pi o meno le stesse sensazioni che proveremmo alla presenza stessa degli oggetti, evidente che allesposizione di queste tre situazioni, giudicare che, in un re, giustizia preferibile a bont, equivale a sentire e vedere che, nella prima situazione, simmola solo un cittadino e che nel terzo se ne massacrano cinquanta. Da cui concludo che la valutazione non altro che una sensazione. Ma, si dir, bisogner ancora collocare nel rango delle

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  • sensazioni i giudizi portati, per esempio, sulleccellenza pi o meno grande di metodi, tali quali il metodo atto a collocare molti oggetti nella nostra memoria, o il metodo delle astrazioni, o quello dellanalisi. Per rispondere a questobiezione, bisogna prima determinare il significato della parola metodo. Un metodo soltanto il mezzo di cui ci serviamo per pervenire allo scopo che ci proponiamo. Supponiamo che un uomo abbia lo scopo di memorizzare oggetti o idee, e che per caso il tutto sia collocato in maniera tale che il richiamo alla mente di un fatto o di unidea gli abbia rievocato il ricordo di un'infinit daltri fatti o daltre idee, e che abbia cos impresso pi facilmente e pi profondamente oggetti nella memoria. Allora, giudicare che questordine il migliore e dargli il nome di metodo, dire che si fatto meno sforzo dattenzione, che si provata una sensazione meno faticosa, studiando in questordine che non in un altro. Ora, riportare alla mente una sensazione faticosa, sentire: dunque evidente che, in questo caso, giudicare sentire. Supponiamo ancora che, per verificare la veridicit di certe proposizioni di geometria e per farle pi facilmente capire ai propri discepoli, un geometra abbia deciso di far loro considerare le linee indipendentemente dalla larghezza e dallo spessore: allora, giudicare che questo mezzo o questo metodo dastrazione il pi idoneo a facilitare negli alunni la comprensione di talune proposizioni geometriche, equivale a dire che essi fanno meno sforzo dattenzione, e che provano una sensazione meno faticosa, servendosi di questo metodo che non dun altro. Supponiamo, come ultimo esempio, che con un esame disgiunto di ciascuna delle verit che racchiude una proposizione complicata, si sia pi facilmente raggiunto la cognizione di questa proposizione: valutare allora che il mezzo o il metodo danalisi il migliore, dire ugualmente che si fanno meno sforzi dattenzione, e che di conseguenza si provata una sensazione meno faticosa, quando si considerato singolarmente ciascuna delle verit racchiuse nella proposizione complicata, che non quando si voluto afferrarle tutte contemporaneamente. Da quello che ho detto risulta, che i giudizi portati sui mezzi o i metodi che il caso ci presenta per arrivare ad un certo scopo non sono altro che delle sensazioni, e che, nelluomo, tutto si riduce a sentire. Ma, si dir, come mai fino ad oggi si

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  • supposto in noi una facolt di giudicare distinta dalla facolt di sentire? Questa supposizione, risponder, dovuta solo allimpossibilit in cui si creduto finora di spiegare in altra maniera taluni errori dello spirito. Per superare la difficolt, nei capitoli seguenti, mostrer che i nostri falsi giudizi ed i nostri errori si riconducono a due cause che suppongono in noi soltanto la facolt di sentire, e che sarebbe, di conseguenza, inutile e anche assurdo ammettere in noi una facolt di giudizio che non spiegherebbe niente che non si possa spiegare senza. Entro dunque in argomento e dico che non c falso giudizio che non sia effetto delle nostre passioni o della nostra ignoranza.

    Discorso 1 - Capitolo 2

    Degli errori cagionati dalle nostre passioni.

    Le passioni cinducono in errore, perch fissano la nostra attenzione su un lato delloggetto che ci presentano, e perch non ci consentono in alcun modo di considerarlo sotto tutte le sue facce. Un re geloso del titolo di conquistatore: la vittoria, dice, mi chiama in capo al mondo, combatter, vincer, spezzer lorgoglio dei miei nemici, gli metter i ferri ai polsi, ed il terrore del mio nome, come una muraglia invalicabile, difender lentrata del mio impero. Inebriato da questa speranza, dimentica che la fortuna incostante, che il fardello della miseria quasi in ugual modo sopportato dal vincitore e dal vinto. Non avverte per nulla che il bene dei sudditi serve solo da pretesto alla sua figura di guerriero, e che lorgoglio a forgiarne le armi e spiegarne gli stendardi: la sua attenzione concentrata sul carro e la pompa del trionfo.

    Non meno potente dellorgoglio, il timore produrr gli stessi effetti; lo si vedr creare spettri, spanderli intorno alle tombe, e nelloscurit dei boschi offrirli agli sguardi del viandante spaventato, impadronirsi delle doti della sua anima, e non lasciarne nessuna libera per considerare lassurdit dei motivi di un terrore cos vano.

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  • Le passioni non soltanto non ci lasciano considerare se non alcune facce degli oggetti che ci presentano, ma cingannano ancora nel mostrarci spesso questi stessi oggetti l dove non esistono. La storiella del curato e la dama galante nota: avevano sentito dire che la luna era abitata, lo credevano, e, telescopio alla mano, tutti e due provavano a riconoscerne gli abitanti. Se non sbaglio, disse per prima la dama, scorgo due ombre che sinclinano luna verso laltra: non ne dubito affatto, sono due amanti felici Eh! Vergogna, signora, ribatte il curato, le due ombre che vedete sono due campanili di una cattedrale. La storiella la nostra tesi: la maggior parte delle volte percepiamo coscientemente nelle cose soltanto quello che desideriamo trovarci e, sulla terra come sulla luna, passioni differenti ci faranno sempre vedere l o amanti o campanili. Lillusione un effetto necessario delle passioni, la cui forza si misura quasi sempre con il grado di offuscamento nel quale ci sprofondano. E quello che aveva molto ben percepito non so quale donna, che, sorpresa dall'amante tra le braccia del suo rivale, os negargli il fatto di cui era testimone.

    - Come ? le disse lui, spingete a tal punto limpudenza- Ah, perfido, esclam lei, lo vedo, non mi ami pi, credi pi a

    quel che vedi che a quel che ti dico.

    Il motto non applicabile solamente alla passione dellamore, ma a tutte le passioni. Tutte ci colpiscono con laccecamento pi profondo. Quando lambizione, per esempio, mette le armi in pugno a due nazioni potenti, e che i cittadini inquieti si chiedono reciprocamente notizie, da una parte, quale leggerezza nel credere alle buone, dallaltra, quale incredulit sulle cattive! Quante volte una troppo stupida fiducia in monaci ignoranti non ha fatto negare a qualche cristiano la possibilit degli antipodi? Non c secolo che, con qualche affermazione o negazione ridicola, non predisponga a ridere il secolo successivo. Una follia passata illumina raramente gli uomini sulla loro follia presente.

    Per il resto, queste stesse passioni, che devono essere viste come il germe di uninfinit derrori, sono anche la fonte dei nostri lumi. Se ci perdono, soltanto esse ci danno la forza di camminare, esse soltanto

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  • possono strapparci allinerzia ed alla pigrizia sempre pronta a ghermire le virt della nostra anima.

    Ma non questo il luogo per esaminare la verit di questa proposizione. Passo quindi alla seconda causa dei nostri errori.

    Discorso 1 - Capitolo 3

    Dellignoranza.

    Ci sbagliamo, quando mossi da passione, e concentrando la nostra attenzione su una delle facce di un oggetto, vogliamo, attraverso quellunica faccia, valutare loggetto intero. Ci sbagliamo ancora, quando ci ergiamo a giudici su un argomento, mentre la nostra memoria non dispone affatto di tutti gli elementi di ponderazione dai quali dipende in questambito la correttezza delle nostre decisioni. Non che ognuno non abbia ladeguata disposizione: ognuno vede bene quello che vede, ma, giacch nessuno diffida abbastanza della propria ignoranza, ognuno crede troppo facilmente che ci che si vede in un oggetto tutto ci che vi si pu vedere.

    Nelle questioni di una certa difficolt, lignoranza deve essere considerata come la principale causa dei nostri errori. Per capire quanto, in questo caso, facile crearsi illusioni e come, traendo conseguenze sempre vere dai principi, gli uomini arrivino a risultati totalmente contraddittori, sceglier comesempio una questione alquanto complessa, ossia quella del lusso, sulla quale sono stati espressi giudizi molto diversi, assecondo che questo stato considerato sotto un aspetto o un altro.

    Siccome la parola lusso vaga, non ha alcun senso ben determinato, ed normalmente solo unespressione relativa, bisogna prima di tutto assegnare un valore ben definito alla parola lusso presa nel significato rigoroso, e dare in seguito una definizione del lusso considerato in rapporto ad una nazione e in rapporto ad un singolo. Si deve intendere per lusso, nel significato rigoroso, ogni specie di superfluit, vale a dire, tutto ci che non assolutamente necessario

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  • alla conservazione delluomo. Quando si tratta di un popolo civile e degli individui che lo compongono, la parola lusso ha tuttaltro significato: diventa assolutamente relativa. Il lusso duna nazione civile lutilizzo delle ricchezze per ci che chiama superfluit il popolo con il quale si raffronta quella nazione. E questo il caso in cui si trova lInghilterra in rapporto alla Svizzera. Il lusso, in un singolo, ugualmente limpiego delle sue ricchezze per quello che si deve chiamare superfluit, rispetto al posto che questuomo occupa in uno stato, ed al paese nel quale vive: tal era il lusso di Bourvalais.2

    Data questa definizione vediamo sotto quali differenti aspetti stato considerato il lusso delle nazioni, quando gli uni lhanno considerato utile, e gli altri nocivo allo stato.

    I primi hanno guardato agli opifici che il lusso realizza, ed al fatto che lo straniero saffretta a scambiare i suoi tesori contro loperosit duna nazione. Vedono laumento delle ricchezze tirarsi dietro laumento del lusso ed il perfezionamento delle arti atte a soddisfarlo. Il secolo del lusso gli appare come lepoca della grandezza e della potenza di uno stato. Labbondanza di denari che esso presuppone e che attira, rende, dicono, la nazione prospera allinterno e temibile allesterno. E con i denari che si assolda un gran numero di truppe, che si costruiscono magazzini, che si forniscono arsenali, che si contratta, che si stringono alleanze con grandi principi, e che infine una nazione pu non solamente resistere ma per di pi comandare a popoli pi numerosi e di conseguenza pi realmente potenti. Se il lusso rende uno stato temibile allesterno, quale prosperit non gli procura allinterno? Ingentilisce i costumi, crea nuovi piaceri, provvede con questo mezzo alla sussistenza di uninfinit di lavoratori. Stimola una cupidigia salutare che strappa luomo allinerzia, alla noia che deve essere considerata come una delle malattie pi comuni e pi crudeli dellumanit. Diffonde dappertutto un calore vivificante, fa circolare la vita in tutti i membri

    2Poisson de Bourvalais, Paul (morto nel 1719) figlio di contadini, riusc a diventare un finanziere potentissimo, al punto che il suo intervento fu in certi momenti determinante per l'esosa politica di Luigi XIV; fu oggetto di satire e pamphlets.- (fonte internet), ndt)

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  • di uno stato, vi risveglia lindustria, fa aprire porti, vi costruisce vascelli, li guida attraverso loceano, e rende infine comuni a tutti gli uomini le produzioni e la ricchezza che lavara natura rinchiude nei baratri dei mari, negli abissi della terra, o che tiene disseminate in mille climi diversi. Ecco qual , penso, pressappoco laspetto sotto il quale si presenta il lusso per coloro che lo considerano utile agli stati.

    Esaminiamo adesso laspetto sotto il quale si presenta ai filosofi che lo considerano funesto per le nazioni.

    La beatitudine dei popoli dipende dal benessere di cui godono allinterno, e dal rispetto che suscitano allesterno.

    Nel primo caso, pensiamo, i filosofi diranno che il lusso e le ricchezze che questo attira in uno stato, renderebbero i soggetti pi soddisfatti, se le ricchezze fossero distribuite in maniera meno disuguale, e che ciascuno potesse procurarsi le comodit di cui lindigenza lo costringe a privarsi. Il lusso non dunque nocivo come lusso, ma semplicemente come effetto duna grande sperequazione tra le ricchezze dei cittadini. Il lusso, perci, non mai estremo se la ripartizione delle ricchezze non eccessivamente impari. Esso singrandisce a misura che questultime si concentrano in un pi piccolo numero di mani, giunge infine alla sua ultima fase, quando la nazione si suddivide in due classi, di cui una abbonda del superfluo, e laltra manca del necessario. Una volta giunto a questo punto, lo stato di una nazione tanto pi crudele quanto pi incurabile. Come ristabilire allora un po duguaglianza tra le fortune dei cittadini? Luomo ricco avr comprato grandi signorie: essendo in grado di profittare dello sconcerto dei vicini, avr aggiunto, in poco tempo, uninfinit di piccole propriet al suo possedimento. Diminuito il numero dei proprietari, quello dei braccianti sar cresciuto: quando questultimi saranno aumentati abbastanza perch ci siano pi operai che lavoro, allora il bracciante seguir il corso di qualsiasi genere di merce, che perde valore quand abbondante. Daltronde, luomo ricco, che dispone di lusso in misura ancora maggiore delle ricchezze, interessato ad abbassare i prezzi delle paghe giornaliere, ad offrire al bracciante soltanto il salario assolutamente necessario alla sua sussistenza. Il bisogno costringe

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  • questultimo ad accontentarsene, ma se gli sopraggiunge qualche malattia o qualche aggravio familiare, allora, in mancanza di cibo sano o abbastanza abbondante, diventa infermo, muore, e lascia allo stato una famiglia di mendicanti. Per prevenire una simile disgrazia, occorrerebbe far ricorso ad una nuova ripartizione delle terre: ripartizione sempre ingiusta ed impraticabile. E dunque evidente che, quando il lusso ha raggiunto un certo stadio, impossibile restaurare una qualsivoglia uguaglianza tra la fortuna dei cittadini. Allora i ricchi e le ricchezze vanno nelle capitali, dove sono attirati dai piaceri e dalle arti del lusso, mentre la campagna resta incolta e povera: sette o otto milioni duomini languiscono nella miseria, mentre cinque o seimila vivono nellopulenza che li rende odiosi, senza renderli pi felici. In effetti, che cosa pu aggiungere alla felicit di un uomo leccellenza pi o meno grande della tavola? Non gli basta aspettare daver fame, di proporzionare esercizi o durata delle passeggiate al cattivo gusto del suo cuoco, per trovare delizioso ogni alimento che non sia sgradevole? Daltronde, la frugalit e lesercizio non lo fanno sfuggire a tutte le malattie cagionate dalla golosit stuzzicata dalla buona cucina? La felicit non dipende quindi dalleccellenza della tavola. Non dipende nemmeno dalla magnificenza degli abiti o dagli equipaggiamenti. Quando si compare in pubblico coperto da un abito ricamato e portato in giro da una splendida carrozza, non si provano piaceri fisici, che sono gli unici piacerei reali: si , tuttal pi, colti dal piacere della vanit, la cui privazione sarebbe forse insopportabile, ma il cui godimento insipido. Senza accrescere la propria felicit, luomo ricco, con lo sfoggio del lusso, non fa choffendere il genere umano ed il disgraziato che, paragonando gli stracci della miseria agli abiti dellopulenza, simmagina che tra la felicit del ricco e la sua non c meno differenza che tra i loro vestiti: chi, in questoccasione, richiama alla mente il ricordo doloroso delle pene che sopporta, e chi si trova cos privato dellunico sollievo dello sventurato, loblio momentaneo della miseria. E dunque certo, continueranno i filosofi, che il lusso non fa la felicit di nessuno, e che presupponendo una troppo grande disuguaglianza di ricchezze tra i cittadini, esso ne presuppone il danno della maggior parte. Il popolo, nel quale penetra il lusso, non dunque felice allinterno: vediamo se

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  • rispettabile allesterno.

    Labbondanza di denari che il lusso attira in uno stato simpone innanzitutto allimmaginazione. Quello stato , per qualche momento, uno stato potente: ma il vantaggio ( supposto che possa esistere un vantaggio indipendente dal benessere dei cittadini) , come nota Hume, soltanto un vantaggio passeggero. Abbastanza assomiglianti ai mari, che prima abbandonano e poi coprono mille spiagge diverse, le ricchezze devono percorrere mille climi diversi successivamente. Quando, con la bellezza dei manufatti e la perfezione delle arti di lusso, una nazione attira a s i soldi dei popoli vicini, evidente che il prezzo delle derrate e della mano dopera deve necessariamente calare in quei popoli impoveriti, e che questi, portando via qualche proprietario manifatturiero, qualche operaio alla nazione ricca, possono impoverirla a loro volta rifornendola, a prezzi pi convenienti, delle merci di cui quella nazione li forniva. Orbene, appena la penuria di soldi si fa sentire in uno stato abituato al lusso, la nazione cade nel disprezzo.

    Per sottrarvisi, occorrerebbe avvicinarsi ad una vita semplice, ma costumi e leggi vi si oppongono. Cosicch il periodo del pi gran lusso duna nazione comunemente lepoca pi vicina alla sua caduta ed alla sua depressione. La felicit e la potenza apparente conferite dal lusso alle nazioni per qualche momento, comparabile alle febbri violente che danno, nel delirio, una forza incredibile al malato che stanno divorando, e che sembrano moltiplicare le forze dun uomo soltanto per privarlo, al fine della crisi, delle stesse forze e della vita.

    Per convincersi di questa verit, diranno ancora gli stessi filosofi, ricerchiamo ci che deve rendere una nazione realmente rispettabile per i vicini: , incontestabilmente il numero, la forza dei cittadini, lattaccamento alla patria, ed infine il coraggio e la virt.

    In quanto al numero dei cittadini, si abbia per certo che i paesi di lusso non sono i pi popolati, che nella stessa estensione territoriale, la Svizzera pu contare pi abitanti della Spagna, della Francia e anche dellInghilterra.

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  • Limpiego duomini, che comporta necessariamente una grande attivit commerciale, non in questi paesi lunica causa dello spopolamento: il lusso ne crea mille altri, giacch attira le ricchezze nelle capitali, lascia le campagne nella penuria, favorisce il potere arbitrario e di conseguenza laumento dei tributi, e poich infine conferisce alle nazioni opulente la facilit di contrarre debiti di cui non possono inseguito liberarsi senza sovraccaricare i popoli dimposte onerose. Ora queste diverse cause di spopolamento, sprofondando un intero paese nella miseria, vi debbono necessariamente provocare lindebolimento della costituzione corporea. Il popolo dedito al lusso non mai un popolo robusto: dei suoi cittadini, gli uni sono snervati dalle mollezze, gli altri estenuati dal bisogno. Se i popoli barbari o poveri, come nota il cavalier Folard, hanno, al riguardo, una gran superiorit sui popoli dediti al lusso, perch il lavoratore , nelle nazioni povere, spesso pi ricco che nelle nazioni opulente e perch un contadino svizzero si sente pi a suo agio di un contadino francese. Per plasmare corpi robusti, occorre un cibo semplice, ma sano ed abbondante, un esercizio che senza essere eccessivo sia forte, una grande abitudine a sopportare le intemperie delle stagioni: abitudine che acquisiscono i contadini, che, per questa ragione sono infinitamente pi adatti a sostenere le fatiche della guerra dei proprietari manifatturieri, la maggior parte dei quali abituata ad una vita sedentaria. E altres presso le nazioni povere che si formano le armate infaticabili che cambiano i destini degli imperi.

    Quali difese potrebbe opporre a queste nazioni un paese dedito al lusso e alle mollezze? Non pu incutere timore n per numero, n per forza degli abitanti. Lattaccamento alla patria, si dir, pu supplire al numero ed alla forza dei cittadini. Ma chi potrebbe far nascere in questi paesi il sano amore della patria? La classe dei contadini, che compone da sola i due terzi di ogni nazione, l sventurata, quello degli artigiani non vi possiede nulla. Trapiantato dal proprio villaggio in una manifattura o bottega, e da questa bottega ad unaltra, lartigiano si familiarizzato con lidea dello spostamento, non pu contrarre attaccamento per nessun luogo.

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  • Garantito quasi dappertutto della sussistenza, deve essere visto non come cittadino di un paese, ma come abitante del mondo.

    Un simile popolo non pu dunque distinguersi a lungo per coraggio, perch, in un popolo, il coraggio normalmente, o leffetto della forza corporea, della fiducia cieca nelle proprie forze che cela agli uomini la met del pericolo al quale si espongono, o leffetto di un amore violento per la patria che gli fa disdegnare i pericoli. Ebbene, il lusso prosciuga, alla lunga, le due sorgenti di coraggio. Forse la cupidigia ne aprirebbe una terza, se vivessimo ancora nei secoli barbari in cui si riduceva il popolo in schiavit, e si abbandonavano le citt al saccheggio. Il sodato non essendo pi adesso mosso da questo motivo, pu esserlo solo da quello che si chiama onore. Orbene, il desiderio dellonore si raffredda in un popolo, quando lamore per le ricchezze vi si accende. Si affermerebbe invano che le nazioni ricche guadagnano almeno in felicit ed in piacere quello che perdono in virt e coraggio: uno spartano non era meno felice dun persiano, i primi romani, il cui coraggio era ricompensato con il dono di qualche derrata, non avrebbero affatto invidiato la sorte di Crasso. Caio Duilio, che, per ordine del senato, era ogni sera riaccompagnato a casa con luci di fiaccole e suoni di flauti, non era meno sensibile a questo concerto grossolano di quanto lo siamo noi per le pi brillanti sonate. Ma, ammettendo pure che le nazioni opulente si procurino qualche comodit ignota ai popoli poveri, chi godr di quelle comodit? Un piccolo numero duomini privilegiati e ricchi, che, prendendosi per la nazione intera, concludono dalla loro agiatezza particolare che il contadino felice. Ma quantunque queste comodit fossero ripartite tra il pi gran numero di cittadini, quanto costa tal beneficio paragonato a quelli che procurano a popoli poveri unanima forte, coraggiosa e nemica della schiavit? Le nazioni nelle quali penetra il lusso sono prima o poi vittime del dispotismo: presentano mani deboli e fragili ai ferri di cui la tirannia li vuole caricare. Come sottrarvisi? In queste nazioni, gli uni vivono nelle mollezze, e le mollezze non pensano e non prevedono, gli altri languiscono nella miseria, ed il bisogno pressante, interamente dedito a soddisfarsi, non innalza per niente lo sguardo fino alla libert. Nella forma dispotica, le ricchezze delle nazioni

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  • appartengono ai padroni, nella forma repubblicana, appartengono ai potenti, come ai popoli coraggiosi che gli stanno vicino. Apportateci i vostri tesori, avrebbero potuto dire i romani ai cartaginesi, essi ci appartengono. Roma e Cartagine hanno voluto entrambe arricchirsi, ma hanno intrapreso percorsi diversi per arrivare allo scopo. Mentre voi incoraggiavate lindustriosit dei vostri concittadini, che creavate manifatture, che coprivate il mare con i vostri vascelli, che andavate a scoprire posti inabitati, e che attiravate da voi tutto loro di Spagna e dAfrica, noi, pi prudenti, tempravamo i nostri soldati alle fatiche della guerra, nesaltavamo il coraggio, sapevamo che lindustrioso non lavorava che per lintrepido. Il tempo di godere arrivato: rendeteci i beni che siete incapaci di difendere. Se i romani non hanno utilizzato questo linguaggio, la loro condotta prova almeno cherano affetti dai sentimenti che questo discorso presuppone. Come la povert di Roma non avrebbe comandato alla ricchezza di Cartagine, e conservato, a riguardo, il vantaggio che quasi tutte le nazioni povere hanno avuto sulle nazioni opulente? Non si forse vista la frugale Lacedemone trionfare sulla ricca e commerciante Atene? I romani schiacciare coi piedi gli scettri doro dAsia? Non si sono visti lEgitto, la Fenicia, Tiro, Sidone, Rodi, Genova, Venezia, soggiogate o almeno umiliate da popoli che chiamavano barbari? E chi sa se non vedremo un giorno la ricca Olanda, meno felice allinterno della Svizzera, opporre ai nemici una resistenza meno ostinata? Ecco sotto quale aspetto si presenta il lusso ai filosofi che lhanno considerata funesta per le nazioni.

    La conclusione di quello che ho appena detto, che gli uomini, vedono bene quello che vedono, traggono conseguenze molto giuste dai loro principi, arrivano per a risultati spesso contraddittori, perch non hanno in memoria tutti i termini di paragone dai quali deve risultare la verit che cercano. Einutile, penso, dire che presentando la questione del lusso sotto due aspetti differenti, non pretendo affatto decidere se il lusso realmente nocivo o utile agli stati: occorrerebbe, per risolvere in maniera corretta questo problema morale, entrare in dettagli estranei alloggetto che mi propongo. Ho soltanto voluto provare, con questo esempio, che, nelle questioni complicate e sulle quali si giudica senza passioni, si

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  • sbaglia sempre soltanto per ignoranza, vale a dire, immaginando che il lato che vediamo di un oggetto tutto quello che c da vedere in questo stesso oggetto

    DISCORSO 1 - CAPITOLO 4

    Del cattivo uso delle parole

    Unaltra causa derrore, derivante parimenti dallignoranza, il cattivo uso delle parole, ed i concetti poco chiari che vi si attribuiscono. Locke ha trattato in maniera cos felice questargomento che me ne permetto lesame solo per risparmiare lo sforzo delle ricerche ai lettori, che non hanno tutti allo stesso modo presente in mente lopera di questo filosofo.

    Descartes aveva gi detto, prima di Locke, che i peripatetici, barricati dietro loscurit delle parole, erano alquanto simili a dei ciechi che, per rendere la lotta pari, attirassero un uomo chiaroveggente in una caverna buia: che questuomo, aggiunge, sappia illuminare la caverna o che costringa i peripatetici ad attribuire concetti chiari alle parole di cui si servono, il suo trionfo assicurato. Con Descartes e Locke, mi accingo quindi a dimostrare che in metafisica ed in morale, il cattivo uso delle parole e lignoranza del loro significato , se oso dire, un labirinto in cui i pi grandi geni si sono talvolta perduti. Prender come esempi alcune delle parole che hanno acceso le dispute pi lunge e pi vive tra i filosofi: tali sono, in metafisica, le parole materia, spazio ed infinito.

    In ogni epoca e volta per volta si sostenuto che la materia era sensibile o che non lo era, e sullargomento si discusso molto a lungo e molto vagamente. Ci si decisi molto tardi a chiedersi su che cosa si discuteva, ed a dare unidea precisa alla parola materia. Se per prima cosa se ne fosse fissato il significato, si sarebbe riconosciuto che gli uomini erano, se oso dire, le creature della materia, che la materia non era un essere, che cerano in natura solo individui ai quali era stato dato il nome di corpi, e che con la parola materia si poteva intendere soltanto la collezione delle propriet

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  • comuni a tutti i corpi. Definito in tal modo il significato della parola, non si trattava pi che di sapere se lestensione, la solidit, limpenetrabilit erano le uniche propriet comuni a tutti i corpi, e se la scoperta di una forza, tale, per esempio, lattrazione, non poteva far supporre che i corpi avessero ancora propriet sconosciute, come la facolt di sentire, che, manifestandosi soltanto nei corpi organizzati degli animali, poteva essere tuttavia comune a tutti gli individui. Ridotta la questione in questi termini, si sarebbe allora sentito che, se impossibile, a rigore, dimostrare che i corpi sono assolutamente insensibili, qualsiasi uomo, che non , su tale soggetto, illuminato dalla rivelazione, pu risolvere la questione soltanto calcolando e paragonando la probabilit di questopinione con la probabilit dellopinione contraria. Per chiudere la discussione, non era quindi necessario costruire differenti sistemi del mondo, perdersi nelle combinazioni delle possibilit, e fare sforzi mentali prodigiosi che sono approdati e hanno potuto realmente approdare soltanto ad errori pi o meno artificiosi. In effetti (che mi sia permesso di notarlo qui), se occorre trarre tutto il partito possibile dallosservazione, occorre muoversi soltanto con essa, fermarsi al momento che ci abbandona, ed avere il coraggio dignorare quello che non si pu ancora conoscere.

    Istruiti dagli errori dei grandi uomini che ci hanno preceduto, dobbiamo sentire che le nostre osservazioni moltiplicate e messe insieme sono appena sufficienti a formare alcuni di questi sistemi parziali contenuti nel sistema generale, che fino ad ora quello delluniverso stato attinto dal profondo dellimmaginazione, e che, se non si hanno mai altro che notizie incomplete dei paesi lontani da noi, alla stessa maniera i filosofi non hanno mai altro che notizie incomplete del sistema del mondo. Con molto ingegno e combinazioni, ne produrranno sempre soltanto favole, fino a che il tempo ed il caso abbiano dato loro un fatto generale al quale tutti gli altri possono essere rapportati.

    Quello che ho detto della parola materia, lo dico dello spazio: la maggior parte dei filosofi ne ha fatto un essere, e lignoranza del significato di questa parola ha dato adito a lunghe discussioni. Avrebbero potuto abbreviarle se avessero attribuito unidea chiara a

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  • questa parola: avrebbero allora convenuto che lo spazio, considerato astrattamente, il puro nulla, che lo spazio, considerato nei corpi, ci che si chiama estensione; che dobbiamo lidea di vuoto, che costituisce in parte lidea di spazio, allappercezione dellintervallo tra due alte montagne. Tale intervallo, essendo occupato soltanto dallaria, vale a dire da un corpo che da una certa distanza non fa su noi alcuna impressione sensibile, ha dovuto darci unidea del vuoto, che non altra cosa se non la possibilit di rappresentarci montagne lontane le une dalle altre, senza che la distanza che le separa sia riempita da alcun corpo.

    Riguardo allidea dinfinito, contenuta ancora nellidea di spazio, dico che la dobbiamo soltanto al potere che ha un uomo che si trovi in una spianata di arretrarne sempre i limiti, senza che si possa, a tal proposito, fissare il termine al quale la sua immaginazione debba fermarsi: lassenza di limiti dunque, in qualsiasi campo, lunica idea che possiamo avere dellinfinito. Se i filosofi, prima di emettere opinioni in merito a questargomento, avessero definito il significato della parola infinito, credo che, costretti a adottare la definizione qui sopra, non avrebbero perso tempo in dispute frivoli. E alla falsa filosofia dei secoli precedenti che si deve principalmente attribuire lignoranza grossolana nella quale siamo del vero significato delle parole: questa filosofia consisteva quasi interamente nellarte dabusarne. Questarte, che rappresentava lintera scienza degli scolastici, confondeva le idee, ed il buio che gettava su qualsiasi espressione si estendeva generalmente a tutte le scienze e principalmente alla morale. Allorch il celebre De La Rochefoucault disse che lamor proprio il principio di ogni nostra azione, quanto lignoranza del vero significato della parola amor proprio non sollev gente contro lillustre autore. Si prese amor proprio per orgoglio e vanit, e ci simmagin, di conseguenza, che De La Rochefoucault poneva nel vizio la fonte di ogni virt. Era tuttavia facile avere lappercezione che amor proprio, o amore di s, non era altro che un sentimento impresso in noi dalla natura, che questo sentimento si trasformava in ogni uomo in vizio o in virt, secondo i gusti e le passioni che lanimavano, e che lamor proprio, modificato in maniera diversa, produceva in ugual modo lorgoglio e la modestia.

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  • La conoscenza di queste idee avrebbe preservato De La Rochefoucault dal rimprovero tanto ribadito di vedere lumanit troppo in nero; egli lha conosciuta tal qual . Convengo che veder chiaramente lindifferenza di quasi tutti gli uomini verso di noi uno spettacolo amareggiante per la nostra vanit, ma, infine, bisogna prendere gli uomini come sono: irritarsi contro gli effetti dellamor proprio, come lamentarsi dei rovesci di primavera, degli ardori estivi, delle piogge dellautunno, e del ghiaccio dellinverno.

    Per amare gli uomini, bisogna aspettarsene poco: per vederne i difetti senza acredine, bisogna abituarsi a perdonarglieli, sentire che lindulgenza una giustizia che la debole umanit in diritto desigere dalla saggezza. Ora, niente pi adatto a disporci allindulgenza, a chiudere i nostri cuori allodio, ad aprirli ai principi duna morale umana e dolce, della conoscenza profonda del cuore umano come laveva De La Rochefoucault: cosicch gli uomini pi illuminati sono quasi sempre stati i pi indulgenti. Quante massime piene dumanit sparse nelle loro opere! Vivete, diceva Platone, con i vostri inferiori ed i vostri domestici come con amici sfortunati. Sentir sempre, diceva un filosofo indiano, i ricchi gridare, Signore, colpisci chiunque ci rubi la minima particella dei nostri beni, mentre, con voce piagnucolosa e mani stese al cielo, il povero dice, Signore, fammi partecipe dei beni che prodighi ai ricchi, e se qualcheduno pi miserabile me ne leva una parte, non implorer la tua vendetta, e considerer questi ladrocini con locchio con cui, al tempo delle semine, si considerano le colombe gettarsi qua e l nei campi per cercarvi cibo. Del resto, se la parola amor proprio, mal intesa, ha sollevato tanta gente gretta contro De La Rochefoucault, quali dispute, ancora pi serie, non ha provocato la parola libert? Dispute che sarebbero finite facilmente, se tutti gli uomini, amici della verit come il p (?) [parola incompleta nel testo francese] Mallebranche, avessero convenuto, con questo valente teologo, nella sua premozione fisica3, che la libert era un mistero. Quando mi si spinge su questargomento, diceva, sono costretto a fermarmi tout court. Non che non sia possibile farsi undea chiara della parola

    3 Nicolas Malebranche (1638-1715) Rflexions sur la prmotion physique (Riflessioni sulla premozione fisica) - Parigi 1715. (ndt)

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  • libert, presa nel significato comune. Luomo libero luomo che non incatenato, n detenuto nelle prigioni, n intimidito, come lo schiavo, dalla paura dei castighi. In tal senso, la libert delluomo consiste nel libero esercizio della sua potenza: dico della sua potenza, poich sarebbe ridicolo prendere per una non-libert limpotenza in cui siamo di trapassare le nuvole come laquila, di vivere sotto le acque come la balena, di farci re, papa o imperatore.

    Si ha dunque unidea chiara della parola libert, presa nel significato comune. Non cos quando si applica la parola libert alla volont. Che sarebbe allora la libert? Si potrebbe intendere, con questa parola, soltanto il potere libero di volere o di non volere una cosa, ma tale potere supporrebbe che ci possa essere volont di volere o di non volere una cosa; tale potere, per, supporrebbe che ci possa essere volont senza motivo, e di conseguenza effetti senza cause. Sarebbe necessario allora che potessimo volerci bene e male: supposizione assolutamente impossibile. In effetti, se il desiderio del piacere il principio di ogni nostro pensiero ed azione, se tutti gli uomini tendono continuamente verso la felicit reale o apparente, ogni nostra volont non allora che leffetto di questa tendenza. In tal senso, non si pu quindi attribuire nessuna idea chiara alla parola libert. Ma, si dir, se siamo costretti ad inseguire la felicit dappertutto dove la percepiamo, siamo almeno liberi sulla scelta dei mezzi che utilizziamo per renderci felici? Si, risponder: ma libero non allora che un sinonimo dilluminato, e non si fa che confondere queste due nozioni. Secondo che un uomo conoscer pi o meno procedure e giurisprudenza, che sar guidato negli affari da un avvocato pi o meno abile, prender un partito migliore o meno buono, ma qualsiasi partito prenda, il desiderio della propria felicit gli far sempre scegliere il partito che gli apparir pi adeguato ai suoi interessi, ai suoi gusti, alle sue passioni, ed infine a ci che considera come la propria felicit.

    Come si potrebbe spiegare filosoficamente il problema della libert? Se, come Locke ha dimostrato, siamo discepoli degli amici, dei parenti, delle letture, ed infine di tutti gli oggetti che ci circondano, occorre che tutti i nostri pensieri e le nostre volont siano effetti immediati o conseguenze necessarie delle impressioni che abbiamo

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  • ricevute[ p. 38]. Non ci si pu dunque formare alcuna idea della parola libert, applicata alla volont; bisogna considerarla come un mistero, esclamare come san Paolo, o altitudo![sic!] Convenire che solo la teologia pu discutere su una materia simile e che un trattato filosofico della libert sarebbe soltanto un trattato degli effetti senza causa.

    Si vede quale eterno germe di dispute e di calamit contiene spesso lignoranza del vero significato delle parole. Senza parlare del sangue versato dallodio e le dispute teologiche, dispute quasi tutte fondate su un cattivo uso di parole, quali altre disgrazie ancora non ha prodotto questignoranza, e in quali errori non ha gettato le nazioni?

    Gli errori sono pi numerosi di quello che si pensa. E noto il racconto dello svizzero ch'era stato messo a guardia di una porta delle tuileries, con divieto di lasciarvi entrare chiunque. Un borghese vi si presenta: Non si entra, gli dice lo svizzero. Allora, risponde il borghese, non voglio affatto entrare, ma soltanto uscire dal Pont-royal Ah! Se si tratta duscire, signore, riprende lo svizzero, potete passare. Chi lo crederebbe? Questo racconto la storia del popolo romano. Cesare si presenta nella piazza pubblica, vuole farvisi incoronare, ed i romani, senza aver attribuito idee precise alla parola regalit, gli accordano, con il nome dimperatore, la potenza che gli rifiutano con il nome di rex [sic!]. Quello che dico dei romani pu generalmente essere applicato ai governi ed i consigli dei principi. Tra i popoli, come tra i sovrani, non c nessuno che non sia cascato in qualche errore grossolano per il cattivo uso delle parole. Per sfuggire a questa trappola, occorrerebbe, secondo il consiglio di Leibnitz, creare una lingua filosofica, nella quale si definirebbe il significato preciso di ciascuna parola. Gli uomini allora potrebbero intendersi, trasmettersi idee. Le dispute, perpetuate dal cattivo uso delle parole, finirebbero; e gli uomini sarebbero ben presto costretti a adottare gli stessi principi in ogni scienza.

    Ma, lattuazione di un progetto cos utile e cos auspicabile forse impossibile. Non ai filosofi, ma al bisogno che si deve linvenzione delle lingue; ed il bisogno, in questo caso, non difficile da soddisfare. Di conseguenza, si innanzitutto attribuito qualche falsa

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  • idea a delle parole, poi si sono combinate, comparate fra loro idee e parole: ogni nuova combinazione ha prodotto un nuovo errore, questi si sono moltiplicati e, moltiplicandosi, si sono talmente complicati che sarebbe adesso impossibile, senza fatica e lavoro interminabile, seguirne e scoprirne la sorgente. Succede con le lingue come col calcolo algebrico: vi sinsinuano inizialmente degli errori, che non sono avvertiti, si procede quindi secondo i primi calcoli, e di proposizione in proposizione, si arriva a conseguenze completamente ridicole. Se ne avverte lassurdit: ma come ritrovare il posto dove si inserito il primo errore? A tale effetto, bisognerebbe rifare e riverificare un gran numero di calcoli, sfortunatamente c poca gente in grado di farlo ed ancora meno sono quelli che lo vogliono, soprattutto quando linteresse degli uomini potenti si oppone alla verifica.

    Ho mostrato le vere cause dei falsi giudizi; ho fatto vedere che tutti gli errori della mente hanno origine o nelle passioni o nellignoranza, sia di certi fatti, sia del vero significato di alcune parole. Lerrore non dunque essenzialmente legato alla natura dello spirito umano; i nostri falsi giudizi sono leffetto di cause accidentali che non presuppongono in noi una facolt di giudicare distinta dalla facolt di sentire. Lerrore non quindi che un incidente, da cui segue che tutti gli uomini hanno essenzialmente la giusta facolt dintendere.

    Una volta ammessi questi principi, nulla mi vieta adesso daffermare, che giudicare, come ho gi dimostrato, non altro che sentire. La conclusione generale di questo discorso, che lo spirito pu essere considerato o come la facolt produttrice dei nostri pensieri, e lo spirito, in tal senso, non altro che sensibilit e memoria, o pu essere visto come un effetto di queste stesse facolt; e in questo secondo significato, lo spirito non che un assemblaggio di pensieri, e pu suddividersi in ogni uomo in tante parti quante questi ha didee.

    Ecco i due aspetti sotto i quali si presenta lo spirito considerato in se stesso: esaminiamolo adesso in rapporto alla societ. [trad. Franco Virzo]

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  • .DISCORSO 2 - CAPITOLO 1

    Dello spirito in rapporto alla societ.

    La scienza non che il ricordo o dei fatti o delle idee altrui: lo spirito [qui sta per intelletto, ndt], distinto dalla scienza, quindi lunione didee nuove qualsiasi.

    Questa definizione dello spirito anche molto istruttiva per il filosofo, ma non pu essere adottata in maniera generale: per il pubblico occorre una definizione che lo metta in grado di confrontare i diversi spiriti tra loro e di valutarne la forza e la grandezza. Ora, se si adottasse la definizione che ho appena dato, in che modo il pubblico potrebbe valutare lo spirito di un uomo? Chi gli darebbe una lista precisa delle idee di quelluomo? E come distinguere in lui scienza da intelletto? Supponiamo che io reclami la scoperta di unidea gi conosciuta; per sapere se io meriti realmente al riguardo il titolo di secondo inventore, occorrerebbe che il

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  • pubblico, sapesse in via preliminare quello che ho letto, visto e sentito: conoscenza che non vuole e non pu acquisire. Daltronde, nellipotesi impossibile che il pubblico potesse avere unenumerazione esatta della quantit e del genere delle idee di un uomo, sostengo che per effetto di detta enumerazione, il pubblico sarebbe spesso costretto a porre nel rango dei geni, uomini ai quali non supponeva nemmeno che si potesse accordare il titolo duomini dingegno [desprit]: tali sono in generale gli artisti.

    Per quanto frivola possa apparire unarte, essa nondimeno suscettibile dinfinite combinazioni. Quando Marcel4, con la mano appoggiata alla fronte, locchio fisso, il corpo immobile, ed in atteggiamento di profonda meditazione, esclam improvvisamente, vedendo danzare una sua allieva: Quante cose in un minuetto! certo che in quel momento il ballerino, dalla maniera di piegare, esaltare e cadenzare i passi, percepiva chiaramente segni dabilit invisibili agli occhi normali, e che la sua esclamazione era grottesca solo per la troppo grande importanza data a piccoli dettagli. Ora, se larte della danza racchiude un grandissimo numero dide e di combinazioni, chi pu dire se larte oratoria non presuppone, nellattrice che vi eccelle, altrettante idee che ne utilizza un politico per formare un sistema di governo? Chi pu garantire, quando si consultano le nostre brave cronache, che, nei gesti, lornamento ed i discorsi studiati di una perfetta civettuola, non entrano altrettante combinazioni ed idee che nesige la scoperta di qualche sistema del mondo, e che in campi molto diversi, la Le Couvreur e Ninon De LEnclos5 non abbiano avuto altrettanto ingegno [esprit] dAriosto e Solone?

    4 Franois-Robert Marcel (?- 1759) Ballerino francese membro dellAcadmie royale de Danse di Parigi, maestro rinomato di minuetto (ndt.).

    5La Le Couvreur la celebre Adriana Lecouvreur (1692-1730), considerata la pi grande attrice dei suoi tempi, ed amante di Voltaire. Tenne un salotto a Parigi frequentato dai pi bei nomi del momento -

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  • Non pretendo di dimostrare in maniera rigorosa la verit di questa proposizione, ma far soltanto capire che, per quanto possa sembrare ridicola, non c tuttavia nessuno in grado di risolverla in maniera ineccepibile. Troppo spesso vittime della nostra ignoranza, prendiamo per limiti di unarte quelli che la stessa ignoranza gli attribuisce, ma supponiamo che si fosse arrivati, a tal proposito, a disingannare il pubblico, affermo che illuminandolo non si cambierebbe nulla nel suo modo di giudicare. Esso non baser mai la valutazione di unarte soltanto sul numero pi o meno grande di combinazioni necessarie per riuscirvi: 1) perch lenumerazione n impossibile da realizzare, 2) perch deve considerare lingegno [esprit] solo dal punto di vista sotto il quale importante conoscerlo, vale a dire, in rapporto alla societ. Ora, sotto questaspetto, sostengo che lingegno [esprit] non che un insieme, pi o meno consistente, non soltanto didee nuove, ma per di pi didee interessanti per il pubblico, e che meno al numero e alla finezza, che alla scelta felice delle nostre idee, che stata legata la reputazione di genio. In effetti, se le combinazioni del gioco degli scacchi sono infinite, se vi si pu eccellere senza farne un gran numero, perch il pubblico non d ai grandi giocatori di scacchi il titolo di grandi ingegni? Il fatto che le loro idee non gli sono utili n perch gradite n perch istruttive e che di conseguenza non ha alcun interesse ad apprezzarle: pertanto, linteresse presiede ogni nostro giudizio. Se il pubblico ha tenuto sempre in poco conto gli errori la cui invenzione presuppone talvolta pi combinazioni ed ingegno della scoperta di una verit, e se stima pi Locke che Mallebranche, che misura sempre la propria valutazione col proprio interesse. Con quale altra bilancia potrebbe pesare il merito delle idee degli uomini? Ciascun privato valuta le cose e le persone dallimpressione gradevole o sgradevole che ne riceve: il pubblico

    Anne, detta Ninon de Lenclos (1616-1705), enfant prodige come suonatrice di liuto, plurilingue, tenne anchessa un salotto a Parigi frequentato dalle pi note personalit, ed ebbe numerosissimi amanti (sembra fino a 70 anni), tanto da essere chiamata Notre Dame degli Amori. Conobbe poco prima di morire Voltaire al quale releg la somma di 1000 franchi per acquisto di libri. (ndt.)

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  • non che linsieme dei privati, non pu quindi mai prendere altro che la propria utilit come regola delle proprie valutazioni.

    Il punto di vista, sotto il quale esamino lintelletto [esprit], , credo, lunico sotto il quale deve essere considerato. lunico modo dapprezzare il merito di ciascunidea, di fissare su questo punto lincertezza dei nostri giudizi, e di scoprire infine la causa della stupefacente diversit delle opinioni degli uomini in materia dintelletto [esprit]; diversit assolutamente dipendente dalla differenza delle passioni, delle idee, dei pregiudizi, dei sentimenti, e di conseguenza degli interessi.

    Sarebbe, in effetti, abbastanza singolare che linteresse generale avesse messo un prezzo alle differenti azioni degli uomini, che le avesse chiamate virtuose, viziose o permesse, secondo che fossero state utili, nocive o indifferenti al pubblico, e che questo stesso interesse non fosse stato lunico distributore della stima o del disprezzo legato alle idee degli uomini.

    Le idee, come le azioni, possono essere catalogate in tre classi differenti.

    Le idee utili: e prendendo questespressione nel senso pi lato, intendo, con questa parola, ogni idea propria ad istruirci e divertirci. Le idee nocive: sono quelle che fanno su di noi leffetto contrario. Le idee indifferenti: voglio dire tutte quelle che, poco gradevoli in se stesse o diventate troppo familiari, non fanno su di noi quasi alcun effetto. Ora, simili idee hanno breve esistenza, e, per cos dire, possono portare solo un istante il nome dindifferenti: la durata o la successione, che le rende noiose, le fa presto rientrare nella classe delle idee nocive.

    Per far capire quanto questa maniera di considerare lintelletto [esprit] sia piena di verit, applicher successivamente i principi che stabilisco, alle azioni ed alle idee degli uomini, e prover che in ogni tempo, in ogni luogo, tanto in campo morale che in quellintellettuale, linteresse personale che detta il giudizio dei singoli, e linteresse generale che detta quello delle nazioni: che cos

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  • sempre, da parte del pubblico come da parte dei privati, lamore o la riconoscenza che loda, lodio o la vendetta che disprezza.

    Per dimostrare questa verit, e far capire lesatta e perpetua rassomiglianza delle nostre maniere di giudicare, sia le azioni, sia le idee degli uomini, considerer la probit e lo spirito a diversi livelli, e relativamente, 1) ad un singolo, 2) ad una piccola societ, 3) ad una nazione, 4) ai diversi secoli e i differenti paesi, 5) alluniverso intero: e prendendo sempre lesperienza come guida delle mie ricerche, mostrer che, sotto ciascuno di questi punti di vista, linteresse lunico giudice della probit e dello spirito. [traduzione Franco Virzo]

    DISCORSO 2 - CAPITOLO 2

    Della probit, in rapporto ad un privato.

    Largomento trattato in questo capitolo non quello della vera probit in senso stretto, vale a dire, della probit in rapporto al pubblico, ma semplicemente della probit considerata relativamente a ciascun privato. Sotto questo punto di vista, affermo che un privato chiama probit, negli altri, soltanto labitudine delle azioni che gli sono utili: dico abitudine, perch non una sola azione onesta, non pi di una sola idea ingegnosa, che ci fa avere la qualifica di virtuoso o di genio. E risaputo che non c avaro che non si sia mostrato almeno una volta generoso, generoso che non sia stato almeno una volta avaro, briccone che non abbia compiuto una buonazione, stupido che non abbia detto una buona parola, ed uomo infine che, se si raffrontano alcune azioni della sua vita, non appaia dotato dogni virt e di tutti i vizi contrari. Maggiore coerenza nella condotta degli uomini supporrebbe in loro una continuit dattenzione di cui sono incapaci: differiscono solo di poco gli uni dagli altri. Luomo assolutamente coerente non esiste ancora, ed la ragione per cui non c nulla di perfetto sulla terra, n nel vizio, n nella virt.

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  • E quindi allabitudine delle azioni che gli sono utili che un privato assegna il nome di probit. Dico delle azioni, perch non si per niente giudici delle intenzioni. Come si potrebbe esserlo? Unazione non quasi mai leffetto di un sentimento: ignoriamo spesso noi stessi i motivi che ci spingono. Un uomo opulento rende ricco un uomo apprezzabile e povero: fa senza dubbio una buona azione, ma si tratta solamente delleffetto del desiderio di fare qualcuno felice? La piet, la speranza della riconoscenza, la vanit stessa, tutti questi diversi motivi, separati o messi insieme, non possono, a sua insaputa, averlo indotto a questazione lodevole? Ora, il pi delle volte ignoriamo noi stessi i motivi delle nostre buone azioni, come potrebbe il pubblico percepirle chiaramente? E quindi soltanto attraverso le azioni degli uomini che il privato pu giudicarne la probit.

    Convengo che questa maniera di valutare ancora fallace. Un uomo ha, per esempio, venti gradi di passione per la virt, ma innamorato, ha trenta gradi damore per una donna, e questa ne vuole fare un assassino: in tale ipotesi, certo che questuomo pi vicino al crimine di quello che, avendo solo dieci gradi di passione per la virt, non avr che cinque gradi damore per la cattiva donna. Da cui concludo che, di due uomini, il pi onesto nelle azioni talvolta il meno fervente per la virt. Sicch, qualsiasi filosofo conviene che la virt degli uomini dipende infinitamente dalle circostanze nelle quali vengono a trovarsi. Troppo spesso si sono visti uomini virtuosi cedere ad una successione infausta davvenimenti sorprendenti. Colui che, in tutte le situazioni possibili, risponde della sua virt, un impostore o un imbecille di cui bisogna ugualmente diffidare.

    Dopo aver definito lidea che attribuisco alla parola probit, considerata in rapporto al privato, occorre, per assicurarsi della correttezza della definizione, far ricorso allosservazione, la quale cinsegna che ci sono uomini ai quali una fortunata disposizione naturale, un desiderio vivo di gloria e di reputazione, ispirano per la giustizia e la virt, lo stesso amore che gli uomini hanno comunemente per le grandezze e le ricchezze. Le azioni

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  • personalmente utili a tali uomini virtuosi sono le azioni giuste, conformi allinteresse generale, o che almeno non gli sono contrarie. Questi uomini sono in cos piccolo numero, che li menziono qui solo in onore dellumanit. La classe pi numerosa, e che compone da sola tutto il genere umano, quella in cui gli uomini, unicamente attenti ai loro interessi, non hanno mai portato lo sguardo allinteresse generale. Concentrati, per cos dire, sul proprio benessere, questi uomini assegnano il nome donest solo alle azioni che gli sono personalmente utili. Un giudice assolve un colpevole, un ministro innalza agli onori un soggetto indegno: luno e laltro sono sempre giusti, al dire dei loro protetti, mentre il giudice che punisce ed il ministro che rifiuta, saranno sempre ingiusti agli occhi del criminale e del disgraziato.

    Se i monaci, incaricati, sotto la prima dinastia, di scrivere la vita dei nostri re, non tramandarono che la vita dei loro benefattori, se designarono gli altri regni solo con le parole nihil fecit, e se hanno dato il nome di re fannulloni a principi molto apprezzabili, che un monaco un uomo. E che ogni uomo, nei suoi giudizi, prende consiglio solo dal proprio interesse. I cristiani, che davano giustamente il nome di barbarie e di crimine alle crudelt che esercitavano su di loro i pagani, non diedero forse il nome di zelo alle crudelt che esercitarono a loro volta sugli stessi pagani? Che si osservino gli uomini, si vedr che non c crimine che non sia messo nel rango delle azioni oneste dalle societ alle quali questo crimine utile, n azione utile al pubblico che non sia biasimata da qualche societ particolare per chi la stessa azione nociva.

    Quale uomo, in effetti, se sacrifica lorgoglio di dirsi pi virtuoso degli altri allorgoglio di esser pi vero, e se sonda, con attenzione scrupolosa, tutte le pieghe della sua anima, non percepir chiaramente che soltanto alla maniera differente con cui linteresse personale si modifica, che si debbono i propri vizi e le proprie virt? Che tutti gli uomini sono mossi dalla stessa forza? Che tutti tendono ugualmente alla loro felicit? Che la diversit di passioni e di preferenze, di cui alcune sono conformi ed altre contrarie allinteresse pubblico, che decide delle nostre virt e dei nostri vizi? Senza disprezzare il vizioso, bisogna compiangerlo, felicitarsi della

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  • propria natura fortunata, ringraziare il cielo non di averci dato inclinazioni e passioni, che ci avessero costretti a cercare la nostra felicit nelle disgrazie altrui. Poich alla fine si ubbidisce sempre al proprio interesse; e da qui la parzialit dei nostri giudizi, lappellativo di giusto ed ingiusto conferito alla stessa azione, relativamente al vantaggio o allo svantaggio che ciascuno riceve. Se luniverso fisico sottomesso alle leggi del movimento, luniverso morale non lo di meno a quello dellinteresse. Linteresse , sulla terra, il potente incantatore che cambia agli occhi di ogni creatura la forma degli oggetti. La pecora pacifica, che pascola nelle nostre pianure, non forse oggetto di spavento e dorrore per i minuscoli insetti che vivono nello spessore delle foglie derba? Fuggiamo questanimale vorace e crudele, direbbero, questo mostro, la cui gola inghiotte uno per volta noi e le nostre citt. Perch non prende esempio dal leone e dalla tigre? Questi animali non distruggono le nostre abitazioni, non si nutrono del nostro sangue, giusti vendicatori del crimine, puniscono la pecora per le crudelt che essa perpetra su di noi. E cos che interessi differenti trasformano gli oggetti: il leone ai nostri occhi lanimale crudele, a quelli degli insetti, la pecora. Sicch si pu applicare alluniverso morale quello che Leibenitz diceva delluniverso fisico: che questo mondo sempre in movimento, offre ad ogni istante un fenomeno nuovo e differente a ciascuno dei suoi abitanti. Questo principio cos conforme allesperienza, che, senza intraprendere unanalisi pi ampia, mi credo in diritto di concludere che linteresse personale lunica ed universale misura del merito delle azioni degli uomini, e che cos la probit, in rapporto ad un privato, non , conformemente alla mia definizione, che labitudine delle azioni personalmente utili a quel privato.

    DISCORSO 2 - CAPITOLO 3

    Dello spirito in rapporto ad un privato.

    Trasferiamo adesso alle idee i principi che ho appena applicato alle azioni: si sar portati ad ammettere che ciascun privato d il nome di spirito soltanto allabitudine delle idee che gli sono utili, sia perch

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  • istruttive, sia perch gradite, e che a questo nuovo proposito, linteresse personale ancora lunico giudice del merito degli uomini.

    Qualsiasi idea che ci presentata ha sempre qualche rapporto con il nostro stato, le nostre passioni o le nostre opinioni. Ora, in tutti questi differenti casi, noi apprezziamo tanto pi unidea quanto pi questidea ci utile. Il pilota, il medico e lingegnere avranno pi stima per il costruttore di vascelli, il botanico ed il meccanico che non ne avranno per questi stessi uomini, il libraio, lorafo e il muratore, che gli preferiranno sempre il romanziere, il disegnatore e larchitetto. Quando si tratter didee atte a combattere o a favorire le nostre passioni o le nostre preferenze, le pi apprezzabili ai nostri occhi saranno, innegabilmente, le idee che lusingheranno quelle stesse passioni o quelle stesse preferenze. Una donna terr pi in considerazione un romanzo che non un libro di metafisica, un uomo quale Carlo XII preferir la storia dAlessandro a qualsiasi altra opera, lavaro trover certamente qualit soltanto in coloro che gli indicheranno il mezzo di piazzare il proprio denaro allinteresse maggiore.

    In fatti dopinioni, come in fatti di passioni, per apprezzare le idee altrui, bisogna essere interessati ad apprezzarle; sul che osserver che a questultimo proposito gli uomini possono essere mossi da due specie dinteresse.

    Ci sono uomini animati da orgoglio nobile e illuminato, che, amanti del vero, legati al loro sentimento senzostinazione, conservano lo spirito in questo stato di sospensione che lascia unentrata libera alle nuove verit: a questo novero, appartengono qualche spirito filosofico e qualche persona troppo giovane per essersi formata opinioni e vergognarsi di cambiarle. Queste due categorie duomini apprezzeranno sempre, negli altri, le idee vere, brillanti, e atte a soddisfare la passione che lorgoglio illuminato d loro per il vero. Ci sono altri uomini, e, in questo novero, li comprendo quasi tutti, che sono animati da unambizione meno nobile; questi possono apprezzare negli altri soltanto idee conformi alle loro ed atte a giustificare lalta opinione che hanno tutti della giustezza del proprio intelletto [esprit]. E su questanalogia didee che sono fondati il loro

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  • odio o il loro amore. Da qui listinto sicuro e pronto che hanno quasi tutte le persone mediocri nel riconoscere ed evitare le persone meritevoli. Da qui lattrazione potente che gli uomini dingegno hanno gli uni per gli altri, attrazione che li costringe, per cos dire, a ricercarsi, nonostante il pericolo costituito spesso nei loro rapporti dal comune desiderio di gloria che hanno. Da qui la maniera sicura di giudicare del carattere e della natura [esprit] di un uomo dalla scelta di libri e damici: uno sciocco, in effetti, ha sempre soltanto amici sciocchi. Qualsiasi legame damicizia, quando non fondato su un interesse donest, damore, di protezione, davarizia, dambizione, o su qualche altro motivo simile, suppone sempre una corrispondenza didee o di sentimenti tra due uomini. Questo ci che unisce gente di condizione molto differente; ecco perch gli Agusto, i Mecenate, gli Scipione, i Giulio, i Richelieu ed i Cond vivevano familiarmente con gente di cultura [esprit], e quello che ha generato il proverbio la cui banalit prova di verit: dimmi con chi vai, ti dir chi sei.

    Lanalogia o la conformit delle idee e delle opinioni, deve dunque essere considerata come la forza attrattiva e repulsiva che allontana o avvicinagli uomini gli uni agli altri.

    Che si conduca a Costantinopoli un filosofo, che, non essendo per nulla illuminato dalla luce della rivelazione, pu soltanto seguire i lumi della ragione. Che questo filosofo neghi la missione di Maometto, le visioni ed i pretesi miracoli del profeta. Chi pu allora dubitare che quelli che sono chiamati buoni mussulmani non allontanino quel filosofo, e non lo guardino con orrore, e non lo trattino da pazzo, dempio e talvolta anche duomo disonesto? In vano questi direbbe che, in una simile religione, assurdo credere ai miracoli di cui non si personalmente testimoni, e che, se c pi da scommettere su una bugia che su un miracolo, crederlo troppo facilmente, credere meno in Dio che negli impostori. In vano mostrerebbe che, se Dio avesse voluto annunciare la missione di Maometto, non avrebbe per nulla fatto prodigi ridicoli agli occhi della ragione meno preparata. Qualsiasi ragione della sua incredulit adducesse il filosofo, non otterrebbe mai la reputazione di saggio e donesto tra i buoni mussulmani, se non diventando abbastanza imbecille per credere cose assurde, o abbastanza falso per fingere di

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  • crederle. Tanto vero che gli uomini giudicano le opinioni degli altri soltanto dalla conformit che queste hanno con le loro. Sicch non si persuadono mai gli sciocchi se non con sciocchezze.

    Se il selvaggio del Canada ci preferisce agli altri popoli dEuropa, che accettiamo di pi i suoi costumi, il suo stile di vita ed a questa compiacenza che dobbiamo il magnifico elogio che crede di fare di un francese, quando dice: un uomo come me. In fatto di costumi, dopinioni e didee, sembrerebbe quindi che sempre se stessi che si apprezza negli altri ed la ragione per la quale i Cesare, gli Alessandro, e generalmente tutti i grandi uomini, hanno sempre avuto altri grandi uomini ai loro ordini. Un principe abile, prende in mano lo scettro: appena salito al trono, che tutti i posti si trovano occupati da uomini superiori. Il principe non li ha messi insieme, sembra anche che li abbia addirittura presi a caso, ma, portato a stimarne ed elevarne ai primi posti soltanto uomini il cui spirito sia conforme al suo, far necessariamente sempre buone scelte, per questa ragione. Un principe, al contrario, poco illuminato: portato, per questa stessa ragione, ad attorniarsi di gente che gli rassomigliano, far obbligatoriamente quasi sempre cattive scelte. E la corte di simili principi che ha fatto spesso avvicendare sciocco a sciocco nei posti pi importanti per parecchi secoli. Cosicch i popoli, che non possono conoscere personalmente il loro maestro, lo giudicano soltanto dal talento degli uomini di cui si avvale e sulla stima che ha per la gente meritevole. Sotto un monarca stupido, diceva la regina Cristina, tutta la corte o lo o lo diventa. Ma, si dir, si vedono talvolta uomini ammirare, negli altri, idee che non avrebbero mai avute, e che addirittura non hanno alcuna analogia con le loro. E nota la frase di un cardinale. Dopo la nomina a papa, il cardinale savvicina al santo padre e gli dice: Eccovi eletto papa, lultima volta che sentirete la verit, sedotto dalle attenzioni, vi crederete ben presto un grande uomo, ricordatevi che prima della vostra esaltazione eravate solo un ignorante ed un ostinato. Addio, mi predispongo a adorarvi.

    Pochi cortigiani senza dubbio sono dotati dello spirito e del coraggio necessari per tenere un siffatto discorso, ma la maggior parte di loro, simile ai popoli che volta per volta adorano e fustigano il loro idolo,

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  • sono affascinati in segreto nel vedere umiliare il padrone al quale sono sottomessi. La vendetta gli ispira lelogio che fanno di simili figure, e la vendetta un interesse. Colui che non per nulla animato da un interesse di questa sorta, non apprezza e addirittura non percepisce che le idee conformi alle proprie: perci la bacchetta, atta a scoprire un merito nascente e sconosciuto, sta e deve realmente stare soltanto tra le mani della gente competente, perch non c che il gioielliere che sia esperto in diamanti grezzi, e lo spirito che capisce lo spirito. Era solo locchio di un Turenne che poteva scorgere, nel giovane Curchill, il famoso Marlborough6.

    Qualsiasi idea troppo estranea alla nostra maniera di vedere e di sentire ci sembra sempre ridicola. Lo stesso progetto, che bench vasto e grande, apparir ci nondimeno desecuzione facile al gran ministro, sar giudicato, da un ministro mediocre, pazzo, insensato, e il progetto, per servirmi della frase usuale tra gli sciocchi, sar rinviato alla repubblica di Platone. Ecco la ragione per la quale, in certi paesi, in cui le menti, irritate dalla superstizione, sono pigre e poco capaci di grandi imprese, si crede coprire un uomo del pi gran ridicolo, quando gli si dice: E un uomo che vuole riformare lo stato. Ridicolo che, agli occhi degli stranieri, povert, spopolamento dei paesi, e di conseguenza necessit duna riforma, fa ricadere sui burloni. Ce ne sono di popoli e di spiritosi gregari che credono di disonorare un uomo, quando dicono di lui, con tono scioccamente furbo: un romano, una mente [esprit]. Scherno che ricondotto al senso preciso, dice soltanto che questuomo non gli rassomiglia per niente, vale a dire, che non n sciocco, n briccone. Quante ammissioni imbecilli e frasi assurde non sente nelle conversazioni, uno spirito attento, le quali ridotte al loro significato esatto, stupirebbero molto quelli che le utilizzano? Pertanto, luomo di merito deve essere indifferente alla stima come al disprezzo del privato, di cui lelogio o la critica non significano nulla, se non che quelluomo pensa o non pensa come lui. Potrei ancora, con

    6 Henri de la Tour dAuvergne, visconte di Turenne (1611-1675), condottiero della guerra dei trentanni e della Fronda- John Churchill (1650-1722), generale e statista inglese, ottenne il titolo di Primo Duca di Marlborough. (ndt)

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  • uninfinit di altri fatti, provare che apprezziamo sempre soltanto le idee conformi alle nostre, ma, per costatare questa verit, occorre basarla su prove di puro ragionamento.

    Discorso 2 - Capitolo 4

    Della necessit nella quale ci troviamo di non apprezzare che noi negli altri

    Due cause ugualmente potenti vi ci decidono: una la vanit, e laltra la pigrizia. Dico vanit, perch il desiderio di stima comune ad ogni uomo; non che qualcuno tra loro non voglia aggiungere, al piacere dessere ammirati, il merito di disprezzare lammirazione; ma questo disprezzo non vero, e mai lammiratore stupido agli occhi dellammirato: ora, se ogni uomo avido di stima, ciascuno di loro, istruito dallesperienza che le sue idee non appariranno stimabili o disprezzabile agli altri per quanto saranno conformi o contrarie alle loro opinioni; ne consegue che ispirati dalla vanit, ciascuno non pu astenersi da stimare negli altri una conformit didee che lo assicurano della loro stima; e di odiare in loro una opposizione didee, garante sicuro del loro odio o almeno del loro disprezzo che si deve guardare come un calmante dellodio.

    Ma, nella supposizione stessa che un uomo fece, allamore della verit, il sacrificio della propria vanit; se questuomo non affatto animato dal desiderio pi vivo distruirsi, dico che la sua pigrizia non gli permette davere, per opinioni contrarie alle sue, che una stima sulla parola. Per spiegare quello che intendo per stima sulla parola, distinguer due sorte di stima.

    Una, che si pu considerare come leffetto o del rispetto che si ha per lopinione pubblica o la fiducia che si ha nel giudizio di certe persone, e che chiamo stima su parola. Tale quella alcune persone concepiscono per romanzi molto mediocri, unicamente perch li credono di qualcuno dei nostri scrittori celebri. Tale ancora lammirazione che si ha per i Descartes ed i Newton;