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Heart Rate Variability Tecnica di analisi e ambiti applicativi Dossier di approfondimento sulla tecnica di analisi dell’Heart Rate Variability, con stato dell’arte sui principali ambiti applicativi a cura di: Bio-t Tecnologie per la Vita Via A. Baldovinetti n.81 00142 Roma Tel. +39 06.83086609 - 06.64522661 Fax. +39 06 83391913 - Mob. +39 3278566369 email: [email protected] - [email protected] web: www.biot.it - www.medcam.it

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Heart Rate Variability

Tecnica di analisi e ambiti applicativi

Dossier di approfondimento sulla tecnica di analisi dell’Heart Rate

Variability, con stato dell’arte sui principali ambiti applicativi

a cura di:

Bio-t Tecnologie per la Vita Via A. Baldovinetti n.81 00142 Roma Tel. +39 06.83086609 - 06.64522661 Fax. +39 06 83391913 - Mob. +39 3278566369 email: [email protected] - [email protected] web: www.biot.it - www.medcam.it

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Indice

Introduzione………………………………………………………………………………………………………………..………. 1

1. Heart Rate Variability (HRV): tecnica e strumenti di analisi………………………………………….….3

1.1 La tecnica di analisi dell’HRV…………………………………………………………………………….. 3

1.2 Metodo di valutazione……………………………………………............................................ 5

1.2.1 Analisi nel dominio del tempo………………………………………………………. 6

1.2.2 Analisi nel dominio della frequenza………………………………………………. 6

1.2.3 Analisi non lineare………………………………………………………………………… 8

1.3 Strumenti di misurazione......................................................................................................... 9

2. Ambiti applicativi della HRV…………………………………………………………………………………………… 11

2.1 L’HRV in ambito cardiologico……………………………………………………………………………. 11

2.1.1 Cenni di fisiologia cardiaca……………………………………………………………. 11

2.1.2 Epidemiologia delle patologie cardiovascolari………………………………. 13

2.1.3 Infarto acuto del miocardio…………………………………………………………… 14

2.1.4 Scompenso cardiaco congestizio…………………………………………………… 15

2.1.5 Coronaropatia………………………………………………………………………………. 16

2.1.6 Fibrillazione atriale…………………………………………………………………………16

2.1.7 Trapianto........................................................................................... 17

2.1.8 Ictus………………………………………………………………………………………………. 17

2.1.9 Ipertensione arteriosa....................................................................... 18

2.1.10 Controllo cardiovascolare durante il sonno.................................... 18

2.2 HRV in Psicologia, psichiatria e disturbi emozionali…………………………………………… 20

2.2.1 La regolazione simpato-vagale nei processi psicologici…………………. 20

2.2.2 Epidemiologia……………………………………………………………………………….. 22

2.2.3 Disturbi di panico e disturbi d'ansia………………………………………………..23

2.2.4 Disturbi depressivi…………………………………………………………………………. 24

2.2.5 Schizofrenia……………………………………………………………………………………. 26

2.2.6 Disturbo bipolare………………………………………………………………………….. 27

2.3 HRV e stress……………………………………………………………………………………………………… 30

2.3.1 Definizione e basi neuropsicofisiologiche dello stress……………………. 30

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2.3.2 Epidemiologia dei disturbi stress correlati……………………………………… 36

2.3.3 HRV e stress…………………………………………………………………………………… 36

2.4 HRV nell’attività fisica e nello sport……………………………………………………………………. 39

2.4.1 L’influenza dell’intensità del carico fisico……………………………………….40

2.4.2 L’influenza dell’età e del sesso……………………………………………………….41

2.4.3 Il monitoraggio della performance atletica…………………………………….41

Conclusioni…………………………………………………………………………………………………………………………… 44

Bibliografia…………………………………………………………………………………………………………………………… 45

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Introduzione - 1 - Il presente documento è da intendersi proprietà intellettuale ed esclusiva di Biot srl. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, nonché la diffusione non autorizzata.

Introduzione

Ogni individuo si trova quotidianamente a dover fronteggiare diversi stimoli fisiologici ed

ambientali , che sottopongono il proprio organismo ad un perenne sforzo di adattamento. Il

Sistema Nervoso Autonomo (SNA) assume un ruolo fondamentale in questo frangente, poiché

pone in evidenza la capacità di adattarsi ed adeguarsi della persona: agisce, infatti, come una sorta

di “direttore d’orchestra” regolando tutti i processi fisiologici, tanto in condizioni normali quanto

patologiche, attraverso l’alternanza di azioni eccitatorie ed inibitorie.

Vista l'importanza ricoperta dal SNA, gli operatori del settore, con il fine di valutare lo stato di

salute psico-fisica di un individuo, hanno deciso di affidarsi sempre più ad una promettente e non

invasiva tecnica di valutazione delle funzioni simpatiche e parasimpatiche del sistema nervoso

autonomo: l'Heart Rate Variability (HRV). L'efficacia e l'immediatezza dei risultati, la facilità di

acquisizione ed elaborazione dei dati in aggiunta all'accessibilità del costo sono alla base

dell'ascesa di questa nuova procedura di valutazione, caratterizzata inoltre da un’importante

versatilità di utilizzo grazie alla possibilità di applicarla in diversi ambiti clinici.

Un'alta variabilità del ritmo cardiaco è infatti un segnale indiretto del buon grado di adattamento

agli stimoli interni ed esterni e caratterizza un individuo sano con efficienti meccanismi di

regolazione del sistema nervoso autonomo. Al contrario, una bassa variabilità del ritmo cardiaco è

spesso indice di anormale e insufficiente adattamento ai fattori esterni con conseguente ridotta

funzionalità fisiologica del paziente. Sempre analizzando il risultato di un’analisi di HRV, inoltre, si

è in grado di determinare la prevalenza dell’attività simpatica o parasimpatica e quanto, in una

situazione di squilibrio, l’attività di uno di questi due sistemi nervosi prevalga sull’altra.

Al fine di stabilire dei criteri univoci di lettura e interpretazione dei parametri ricavati da un’analisi

di HRV, nel 1996 la Task Force della European Society of Cardiology and the North American

Society of Pacing Electrophysiology ha stabilito delle linee guida, tutt’oggi valide e seguite a livello

internazionale.

Storicamente, il suo interesse clinico emerse nel 1965 quando Hon e Lee rilevarono la presenza di

alterazioni negli intervalli R-R del segnale elettrocardiografico registrato per monitorare la

sofferenza fetale (Hon, Lee 1965). Successivamente, altri autori (Sayers et al 1973; Luczak,

Lauring, 1973; Hirsh, Bishop, 1981) hanno focalizzato l'attenzione sull'esistenza di ritmi fisiologici

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inseriti nel segnale della frequenza cardiaca, finché nel 1977 l'HRV prese piede in ambito

cardiologico dimostrandosi un indice attendibile di rischio di mortalità in pazienti che avevano

subito un infarto acuto del miocardio (Wolf et al. 1977).

Negli anni, oltre ad assistere ad un aumento delle applicazioni di tale tecnica nel campo

cardiologico, si è passati a dimostrare la sua efficacia e attendibilità anche in altri ambiti

applicativi, tra i quali psicologia, psichiatria, psicoterapia e, ultimo arrivato in ambito temporale,

medicina dello sport e benessere, con la diffusione di tecniche di misurazione sempre più semplici

e alla portata di tutti, fino ad arrivare alla recente integrazione in numerosi smartphone.

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CAPITOLO 1 Heart Rate Variability: tecnica e strumenti di analisi

1.1 La tecnica di analisi dell’Heart Rate Variability (HRV)

L'attitudine dell'individuo a bilanciare l'azione del sistema nervoso autonomo ha delle concrete

influenze sul sistema cardio-respiratorio e conseguentemente sul ritmo cardiaco. Il cuore, infatti,

non è un metronomo e i suoi battiti non hanno la regolarità di un orologio; pertanto, la variabilità

della frequenza cardiaca è fisiologica ed indica il grado di adattabilità psico-fisica dell'individuo in

risposta ai diversi fattori, quali respirazione, esercizio fisico, stress mentale, ansia, rabbia,

cambiamenti emodinamici e metabolici, ortostatismo, patologie etc.

Scendendo nel particolare, il sistema nervoso simpatico si attiva in risposta a situazioni di stress e

allarme dell'organismo, provocando una serie di effetti (accelerazione del battito cardiaco,

dilatazione dei bronchi, aumento della pressione arteriosa, vasocostrizione periferica, dilatazione

pupillare, aumento della sudorazione) e stimolando la produzione di noradrenalina, adrenalina,

corticotropina e diversi corticosteroidi. Al contrario, il sistema nervoso parasimpatico entra in

funzione in situazioni di calma, riposo e tranquillità, producendo un rallentamento del ritmo

cardiaco, un aumento del tono muscolare bronchiale, dilatazione dei vasi sanguigni, diminuzione

della pressione, rallentamento della respirazione, aumento del rilassamento muscolare.

Contrariamente a quanto accade per il sistema simpatico, il mediatore chimico prodotto in stato di

quiete è l'acetilcolina.

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Fig. 1.1 – Il Sistema Nervoso Autonomo

Il nostro corpo si trova costantemente in una situazione determinata dall'equilibrio o dalla

predominanza di uno di questi due sistemi nervosi; l'alternanza dei due sistemi è una prerogativa

imprescindibile dello stato di benessere fisiologico e psicologico dell' organismo.

Per comprendere la tecnica di analisi della variabilità cardiaca è bene partire da alcune nozioni di

base sul segnale Elettrocardiografico (ECG), ossia la registrazione nel tempo dell'attività elettrica

del cuore che si compone di onde rappresentative di ogni s ingola fase del ciclo cardiaco (Fig. 1.2):

- l'onda P è generata dalla depolarizzazione atriale che induce la contrazione degli atri;

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- successivamente, l'impulso elettrico si trasferisce ai ventricoli che si depolarizzano dando origine

al complesso QRS;

- infine, l'ultima fase del ciclo cardiaco è determinata dalla ripolarizzazione dei ventricoli ed è

definita dall'onda T del tracciato elettrocardiografico.

Fig. 1.2 – Rappresentazione schematica del tracciato ECG

Il picco R corrisponde alla sistole, avvertita come il battito principale del cuore, che si manifesta

anche nel battito del polso. La Frequenza Cardiaca (HR) è il numero di battiti cardiaci al minuto (si

misura in bpm) e si valuta a partira dalla sequenza degli intervalli R-R; nell'uomo adulto in

condizioni di riposo è circa 70 bpm, nella donna 75 bpm e nei neonati 150 bpm. Ogni intervallo R-R

corrisponde quindi al tempo intercorrente fra due battiti successivi. L'analisi computerizzata della

sequenza R-R consente quindi di “ascoltare il polso” per intervalli di tempo molto lunghi.

La variabilità dell'intervallo R-R è il parametro indagato nella tecnica di misurazione della HRV.

1.2 Metodo di valutazione

La HRV può essere valutata fondamentalmente utilizzando 2 diverse chiavi di lettura: nel dominio

del tempo, calcolando un indice mediante operazioni statistiche sull'intervallo R-R o nel dominio

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delle frequenze, come analisi della densità spettrale di potenza (PSD). Entrambe le misure si

ottengono a partire da registrazioni del segnale ECG della durata di circa 5 minuti.

1.2.1 Analisi nel dominio del tempo

La serie degli intervalli R-R estratti dall'ECG costituisce quello che viene comunemente definito

tacogramma (Fig. 1.3).

Da un’analisi statistica del tacogramma è possibile ottenere uno degli indici più significativi di

un’analisi di HRV, la deviazione standard della sequenza R-R, indicata con SDNN. Tale indice

rappresenta la quantità media di variabilità in una sequenza, è molto semplice da ottenere ed è il

primo indice predittivo di importanti stati patologici come nel caso dell'infarto, sempre preceduto

da una brusca riduzione della SDNN (Tsuji et al. 1996).

Fig. 1.3 – rappresentazione di una classica derivazione ECG con relativo Tacogramma

L’invecchiamento provoca una lieve, ma significativa, riduzione della deviazione standard degli

intervalli R-R dell'ECG misurato a riposo.

1.2.2 Analisi nel dominio delle frequenze

L’approccio nel dominio della frequenza si basa sull’identificazione e quantificazione (in termini di

frequenza e potenza) dei principali ritmi oscillatori di origine fisiologica di cui si compone una

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sequenza di intervalli R-R. L'analisi spettrale implica la decomposizione delle sequenze degli

intervalli R-R in una somma di funzioni sinusoidali di diverse ampiezze e frequenze attraverso

l'algoritmo della trasformata di Fourier.

I risultati possono essere visualizzati come ampiezza della variabilità in funzione della frequenza

attraverso lo spettro di potenza (fig. 1.4), indicativo della potenza delle frequenze comprese fra

0.01 e 0.4 Hz. Gli studi e le ricerche degli ultimi anni, hanno permesso di distinguere tre sotto-

bande di frequenze, chiamate rispettivamente:

1. VLF (Very Low Frequency) frequenze comprese fra 0.01 e 0.04 Hz. Sono correlate a vari

meccanismi lenti del sistema simpatico, dai cambiamenti nella termoregolazione e, in

ambito psicologico, dalle preoccupazioni e dai pensieri ossessivi.

2. LF (Low Frequency) frequenze comprese fra 0.04 e 0.15 Hz. La banda delle LF viene

considerata principalmente correlata all'attività del Sistema Nervoso Simpatico.

3. HF (High Frequency) frequenze comprese fra 0.15 e 0.4 Hz. La banda delle HF viene

considerata espressione dell'attività del Sistema Nervoso Parasimpatico.

Figura 1.4 – Densità spettrale di potenza del segnale di variabilità cardiaca.

Il rapporto tra basse ed alte frequenze (LF/HF) è un parametro di fondamentale importanza

perché permette di quantificare l'equilibrio tra i due sistemi simpatico e parasimpatico: un valore

alto indica la predominanza del sistema simpatico, mentre un rapporto < 1 corrisponde ad una

prevalenza dell’attività vagale (parasimpatico).

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L'esperienza clinica degli ultimi 15 anni ha permesso di definire dei range di normalità di tutti

questi parametri. Benché la definizione dei range di riferimento non sia completamente uguale fra

diversi autori e fra gli standard Americani ed Europei, si riportano gli intervalli medi di riferimento

indicati dalla Task Force della European Society of Cardiology and the North American Society of

Pacing Electrophysiology (European Heart Journal, 1996):

SDNN = 102 - 180 msec

Ln(Power VLF) = 5.5 - 6.3

Ln(Power LF) = 3.9 - 4.1

Ln(Power HF) = 3.2 - 3.5

Rapporto LF/HF = 1.5 – 2.0

Per indicare gli intervalli di normalità, le aziende produttrici di sistemi per analisi di HRV

considerano range significativamente più ampi, con differenze più marcate tra America ed Europa.

I segnali di variabilità cardiaca possono anche essere visti come segnali con proprietà non lineari in

quanto generati da meccanismi di regolazione complessi, pertanto possono essere valutati anche

con metodi di analisi non lineare.

1.2.3 Analisi non lineare

Questi metodi hanno mostrato di poter rilevare e misurare aspetti peculiari delle dinamiche del

ritmo cardiaco che non vengono presi in considerazione dalle tecniche lineari.

Tra questi, il diagramma di Poincaré fornisce una caratterizzazione visiva e allo stesso tempo

quantitativa della variabilità cardiaca. Consiste nel rappresentare su un grafico ogni intervallo R -R

in funzione di quello precedente, così che ogni punto corrisponda ad una coppia di intervalli R -R

consecutivi; si ottiene in questo modo una nuvola di punti, disposti attorno alla linea di identità,

che per un soggetto sano assume una forma ellittica o a cometa.

Il diagramma di Poincaré mette quindi in evidenza, in maniera grafica, la correlazione esistente tra

due R-R consecutivi. L’ispezione visiva della forma del grafico si è dimostrata essere un valido

strumento sia al fine di valutare la qualità del segnale a disposizione, permettendo di individuare

la presenza di battiti prematuri o ectopici e di artefatti di vario tipo, che a fini clinici e diagnostici.

Si è visto, infatti, come la forma della nuvola possa essere opportunamente classificata e si

dimostri correlata con il grado di compromissione cardiaco di un soggetto (fig. 1.5).

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Fig. 1.5: diagramma di Poincaré

Da un punto di vista quantitativo la nuvola di punti ottenuta viene caratterizzata da due parametri:

SD1 e SD2, che si ritengono essere indicativi rispettivamente della variabilità cardiaca a breve e

lungo termine. I punti posizionati al di sopra della linea di identità indicano, infatti, intervalli RR

che risultano essere più lunghi rispetto al precedente, mentre i punti al di sotto di tale linea

rappresentano gli intervalli RR minori rispetto al precedente. Di conseguenza la dispersione dei

punti in direzione perpendicolare rispetto alla linea di identità (larghezza della nuvola) è relativa

alla variabilità a breve termine. La lunghezza della nuvola lungo la linea di identità è indicativa,

invece, della variabilità cardiaca a lungo termine ed è calcolata mediante il parametro SD2.

In generale, una maggiore dispersione dei punti è associata ad un corretto equilibrio del sistema

nervoso autonomo, mentre una minore dispersione è associata ad uno squilibrio con

predominanza dell'attività simpatica.

1.3 Strumenti di misurazione

In ambito cardiologico, il segnale viene misurato attraverso un comune apparecchio

elettrocardiografico, con normali elettrodi di superficie che si applicano a livello del cuore.

In ambito diverso dalla cardiologia, la HRV può essere più agevolmente misurata mediante un

sensore fotopletismografico applicato generalmente ad un dito (fig. 1.6, 1.7).

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Fig. 1.6: sensore fotopletismografico

Fig. 1.7 – esempio di misurazione della HRV con fotopletismografo e relativa onda pressoria.

Il funzionamento di tale sensore è basato sull'emissione e la captazione di luce infrarossa che

viene assorbita dal sangue, al fine di rilevare le variazioni cicliche del tono pressorio nei capillari

delle dita che rappresentano fedelmente il battito cardiaco. L’onda rilevata di divide in 1 - flusso

diretto (causato da contrazione sistolica), 2 - onda dicrota (chiusura valvole aortiche) e 3 - onda

riflessa. I dati, dopo essere stati digitalizzati, vengono analizzati da un software che provvede a

calcolare i parametri precedentemente descritti.

Attualmente si trovano in commerci diversi device molto semplici (orologi da polso, fasce

bluetooth (Fig. 1.8), smartphone) corredati di software in grado di misurare, in maniera più o

meno precisa, i parametri dell'HRV e monitorarli durante tutta la routine quotidiana.

Fig. 1.8 – fascia addominale con sensore bluetooth.

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CAPITOLO 2 Ambiti applicativi della Heart Rate Variability

2.1 L’HRV in ambito cardiologico

Nel corso degli ultimi vent'anni, numerose ricerche hanno evidenziato come una scarsa variabilità

della frequenza cardiaca sia indice di rischio di disfunzioni a livello cardiovascolare . Una delle

prime applicazioni della tecnica di analisi dell'HRV, infatti, fu proprio in ambito cardiologico, dove

ormai il suo uso clinico è ampiamente riconosciuto come indice di valutazione e predizione del

rischio di mortalità.

Per meglio comprendere il legame tra sistema nervoso autonomo e sistema cardiocircolatorio,

illustriamo brevemente i principali meccanismi di stimolazione cardiaca.

2.1.1 Cenni di fisiologia cardiaca

Il cuore è un organo muscolare che si contrae ritmicamente esplicando la sua funzione di

pompaggio del sangue negli organi attraverso i vasi. Le sue pareti sono rivestite dal miocardio,

tessuto che presenta caratteristiche anatomiche e funzionali sia del tessuto scheletrico che di

quello muscolare liscio. Il sistema di conduzione dell'impulso cardiaco è costituito dalle

componenti muscolari del miocardio che danno origine all'impulso stesso. Di questo sistema fanno

parte il Nodo Seno-Atriale (S-A), sede di insorgenza del battito cardiaco in condizioni fisiologiche, il

Nodo Atrio-Ventricolare (A-V), sulla parete destra del setto atriale, il fascio di His e le fibre di

Purkinje che permettono la propagazione dello stimolo nei ventricoli.

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Fig. 2.1 – sistema di conduzione elettrica del cuore

In condizioni fisiologiche, il ciclo cardiaco ha inizio nel nodo S-A dove viene generato l'impulso che

si propaga prima negli atri e poi nei ventricoli, i quali contraendosi, eiettano il sangue verso la

periferia.

Sebbene il cuore si contragga ritmicamente per le proprietà del tessuto nodale stesso, la

frequenza di generazione degli impulsi è controllata dal sistema nervoso autonomo.

Il cuore risulta, infatti, copiosamente innervato dal sistema nervoso autonomo, in particolare le

fibre nervose di tipo parasimpatico ricoprono i nodi, mentre le fibre di tipo simpatico sono

particolarmente abbondanti nel miocardio ventricolare.

La stimolazione delle fibre nervose parasimpatiche, a livello cardiaco, ha un effetto inibitorio:

induce una riduzione della frequenza di scarica del nodo S-A e un rallentamento della trasmissione

dello stimolo , determinando un abbassamento della frequenza del battito cardiaco. La

stimolazione simpatica, al contrario, si traduce in un effetto eccitatorio che provoca una aumento

della frequenza cardiaca. In particolare essa determina un aumento della velocità di conduzione

degli impulsi ed un consistente incremento della forza di contrazione del miocardio.

Quanto illustrato spiega chiaramente come, da una lettura dell’equilibrio simpato-vagale

effettuabile tramite un’analisi di HRV, sia possibile rilevare disfunzioni cardiache.

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2.1.2 Epidemiologia delle patologie cardiovascolari

Tutte le disfunzioni a carico del cuore e dei vasi sanguigni rientrano nella definizione generale di

patologie cardiovascolari, come ad esempio cardiopatie congenite, infarto acuto del miocardio,

aritmie, ipertensione arteriosa sistemica, ictus, etc.

Secondo le 2012 European Cardiovascular Disease Statistics, esse rappresentano la prima causa di

morte in Europa (47% delle morti totali) con maggiore prevalenza nei soggetti di genere

femminile, con basso livello socio-economico e principalmente nell'Europa Centrale e Orientale .

Nel 2005 sono stati stimati oltre 4.3 milioni di morti per questa causa e per il 40 % si trattava di

morti premature, sotto i 75 anni di età.

Fig. 2.2 – principali cause di morti in Europa nel 2012 (fonte: 2012 European Cardiovascular Disease Statistics)

Nel 2006 nella UE, la spesa media sanitaria pro capite per malattie cardiovascolari si aggirava

intorno ai 223 € annui, costituendo il 10% dei costi totali di assistenza sanitaria.

In Italia, dai dati estratti dal Progetto Cuore, si evince una riduzione del tasso di mortalità dal 1980

al 2002, sia per malattie ischemiche che cerebrovascolari, ma il tasso generale resta comunque

ingente, aggirandosi intorno al 28% delle morti totali. In particolare, il 12% è dovuto a malattie

ischemiche del cuore, l’8% a infarto acuto del miocardio, il 6% a malattie cerebrovascolari.

Da questi dati, risulta chiara la necessità da parte di medici e ricercatori di indagare in maniera

approfondita sulle nuove possibilità terapeutiche e preventive nel campo delle malattie

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cardiovascolari. In tal senso, la tecnica di analisi dell'HRV ha costantemente acquisito nuove

funzionalità volte a fornire un valore aggiunto alla conoscenza delle condizioni fisiologiche e

patologiche e alla valutazione e predizione del rischio di infarto e di morte.

2.1.3 Infarto acuto del miocardio

L’ infarto miocardico acuto è un evento ischemico localizzato, dovuto all’occlusione di un’arteria

coronaria, causata da fissurazioni o ulcerazioni, che riduce il flusso ematico coronarico, portando

alla formazione di una zona necrotica. La necrosi tende, nel tempo, ad espandersi fino a ricoprire

l’intera parete ventricolare, limitando fortemente la contrattilità del miocardio malato. La

progressiva espansione dell'infarto espone i pazienti al sostanziale rischio d'insorgenza di

scompenso cardiaco, aritmie ventricolari e rottura della parete libera. Nei pazienti affetti da

infarto acuto del miocardio, si cerca principalmente di limitare l'estensione della necrosi in modo

da prevenire la morte improvvisa.

Fig. 2.3 – Rappresentazione esemplificativa di infarto anteriore e occlusione delle arterie

Già nel 1987, un gruppo di ricercatori australiani osservò la stretta associazione tra la diminuzione

della variabilità cardiaca e l'aumento di mortalità in pazienti con pregresso infarto del

miocardio. (Kleiger et al. 1987; Lombardi et al. 1987)

Risultati simili sono stati ottenuti dallo studio ATRAMI (Autonomic Tone and Reflexes After

Myocardial Infraction) che ha coinvolto circa 1.300 pazienti al di sotto degli 80 anni, che avevano

avuto un infarto nei 28 giorni precedenti l'inizio della sperimentazione, mostrando come lo

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squilibrio tra simpatico e parasimpatico, espresso da un valore depresso della deviazione standard

(SDNN<70ms), sia un valido indice di rischio di mortalità cardiaca totale. (La Rovere et al. 1998)

Da allora questa osservazione è diventata un'evidenza, confermata dalla Task Force dell'European

Society of Cardiology, che ha reso la tecnica di HRV una pratica clinica comunemente usata per la

stratificazione del rischio di morte improvvisa aritmica in pazienti con pregresso infarto miocardico

(Task Force of European Society of Cardiology).

L'interpretazione dei parametri dell'HRV non è però univoca, dato il gran numero di variabili che

possono caratterizzare un paziente in questo stato clinico ( differente posizione e dimensione

dell'infarto, differente età, sesso) e date le differenti condizioni sperimentali e i diversi approcci

statistici utilizzabili per l'analisi dei dati. Sono stati fatti, a tal proposito, studi per confrontare i

diversi indici dell'HRV e si è arrivati a definire l'intervallo di SDNN compreso tra 59 e 92 ms , a

rischio moderato nei pazienti con pregresso infarto miocardico; mentre i pazienti con SDNN<59 ms

sono da considerarsi ad alto rischio di morte cardiaca improvvisa e pertanto devono essere

costantemente monitorati (Milicevic et al. 2001).

2.1.4 Scompenso cardiaco congestizio

La ricerca e la formazione nel campo dell'HRV nei pazienti con grave insufficienza cardiaca è stata

finanziata anche dal National Institutes of Health in associazione con il Dr. Luskin della Standford

University. L'insufficienza cardiaca, o scompenso cardiaco congestizio (SCG), è una condizione in

cui il cuore non riesce a pompare quantità di sangue a sufficienza per fronteggiare le necessità

dell'organismo, determinando l'accumulo di liquidi a livello degli arti inferiori, dei polmoni e in altri

tessuti. In questa condizione uno dei più evidenti cambiamenti patofisiologici è lo squilibrio de l

sistema nervoso autonomo, caratterizzato dall'aumento dell'attività simpatica e dalla riduzione

dell'attività vagale e del riflesso barocettivo, con lampanti ricadute a livello cardiaco. Dalla misura

dei parametri dell'HRV in pazienti affetti da SCG è risultato fondamentale il ruolo delle componenti

spettrali a bassissima frequenza (VLF) nella predizione indipendente di eventi rischiosi. Pertanto, in

pazienti con bassa variabilità cardiaca e ridotte VLF ( VLF<6.0 ms 2) è possibile attuare una serie di

trattamenti terapeutici per evitare manifestazioni cardiache rischiose. (Hadase et al. 2004)

Studi successivi hanno utilizzato l'HRV per identificare l'eziologia dell'insufficienza cardiaca ,

individuando i valori caratteristici in caso di cardiomiopatia dilatativa e patologie cardiache

ischemiche (Fornasa et al. 2015).

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- 16 - Capitolo 2 Il presente documento è da intendersi proprietà intellettuale ed esclusiva di Biot srl. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, nonché la diffusione non autorizzata.

2.1.5 Coronaropatia

La malattia coronarica o coronaropatia è la forma di cardiopatia più diffusa al mondo. Consiste in

un'alterazione funzionale delle arterie coronarie, generalmente causata dall 'accumulo di grassi e

colesterolo sulle pareti interne dei vasi. Anche in questo caso viene meno la quantità di sangue

minima per un sufficiente apporto energetico ai diversi organi e si determinano evidenti

scompensi del sistema nervoso autonomo che propenderà per una iperattivazione del sistema

simpatico. Nonostante l'utilizzo di terapie mediche avanzate, la mortalità per malattia coronarica

rimane alta e per migliorare i risultati clinici risulta cruciale il ruolo della misura dell'HRV che ha

permesso, anche in questo campo, di ridurre i tassi di morbilità e mortalità. Una bassa variabilità

cardiaca, espressione dell'eccessiva attività simpatica e dell'inadeguata attività parasimpatica, è

un potente predittore di mortalità in pazienti con malattia coronarica. (Dekker et al. 2000)

Inoltre, recenti studi hanno dimostrato che questi pazienti spesso sviluppano una forma di

depressione che conduce ad un aggravamento complessivo dello stato clinico, riscontrabile in una

ulteriore riduzione della variabilità della frequenza cardiaca. (Carney et al. 2009)

2.1.6 Fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale (FA) è l’aritmia cardiaca più comune con un’incidenza che varia dallo 0,4% al

1% della popolazione generale. Consiste in una contrazione atriale non coordinata che

compromette la funzionalità meccanica degli atri e comporta conseguentemente anche una

variazione della frequenza di contrazione dei ventricoli. La totale alterazione del ritmo cardiaco

produce una riduzione della qualità della vita in quanto i pazienti che ne sono affetti, oltre ad

avere un impedimento funzionale, vanno in contro a continue palpitazione molto fastidiose che a

lungo andare possono causare un ictus.(Fuster et al. 2011)

Uno dei possibili approcci terapeutici è quello chirurgico che permette di ripristinare il ritmo

sinusale normale e limitare la stasi sanguigna nell’atrio, riducendo il rischio di trombo embolico.

L'HRV è stata utilizzata, in questo caso, per valutare il grado di denervazione che diverse tecniche

ablative per il trattamento della FA, inducono sul cuore, sia nel breve che nel lungo temine. Nel

2003 è stato pubblicato uno studio in cui l’analisi dell'HRV ha permesso di indagare gli effetti della

procedura chirurgica Maze III , sul controllo autonomico del cuore. Questo intervento consiste

nella creazione di incisioni multiple su entrambi gli atri e sembra comporti una denervazione del

tessuto cardiaco. L' analisi è stata svolta sia nel dominio del tempo che della frequenza regis trando

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i tracciati ECG nell'arco delle 24 ore prima dell’intervento e dopo 2 e 7 mesi da esso. I risultati

hanno dimostrato una marcata riduzione di tutti gli indici di variabilità cardiaca, sia sul breve che

sul lungo periodo, confermando e quantificando gli effetti della denervazione del cuore sulla

regolazione autonomica (Lönnerholm et al. 2003).

Uno studio simile al precedente è stato condotto presso il Dipartimento di Cardiochirurgia

dell’IRCCS Fondazione San Raffaele del Monte Tabor (hSR). Tale studio aveva lo scopo di

confrontare i più espressivi indici di variabilità cardiaca prima e dopo l’intervento di ablazione

mini-invasiva in pazienti con FA parossistica, cercando così di individuare differenze

statisticamente significative nell’attività che il sistema autonomo simpatico e vagale esercita sul

cuore a seguito dell’isolamento delle vene polmonari. Anche i risultati ottenuti da questo studio

hanno espresso in modo evidente una netta diminuzione della variabil ità cardiaca dopo

l’operazione (Pozzoli et al. 2012).

2.1.7 Trapianto cardiaco

Un abbassamento della variabilità cardiaca è stata registrata anche in pazienti che hanno subito

trapianto cardiaco. In qualche paziente è stata riscontrata anche una correlazione tra la frequenza

respiratoria e le componenti HF dell'HRV, che indica come un meccanismo non strettamente

collegato al sistema nervoso, possa contribuire anche a generare oscillazioni ritmiche nella

respirazione. (Bogaert et el. 2001)

2.1.8 Ictus

L'ictus cerebrale è la causa più frequente di disabilità in persone adulte e una delle più frequenti

cause di morte. Due terzi dei casi si verificano sopra i 65 anni, ma possono essere colpite anche

persone giovani. Quasi sempre è causato da una patologia cronica del sistema cardiocircolatorio e

può essere di tipo ischemico, se dovuto ad una riduzione del flusso sanguigno o emorragico, se

causato dalla rottura di un vaso sanguigno.

In entrambi i casi, la scarsa perfusione sanguigna a livello cerebrale, provoca la necrosi cellulare e

questo danneggiamento strutturale all'interno del sistema nervoso, può essere anche

permanente. Poiché l'evento acuto in genere si manifesta solo nella parte destra o nella parte

sinistra del cervello, anche i sintomi sono spesso lateralizzati e includono la perdita della sensibilità

in un lato del corpo o del viso, la paralisi di un lato del corpo o del viso, la perdita della vista nel

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- 18 - Capitolo 2 Il presente documento è da intendersi proprietà intellettuale ed esclusiva di Biot srl. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, nonché la diffusione non autorizzata.

campo visivo sinistro o destro, la visione sdoppiata, difficoltà del linguaggio o della articolazione

delle parole, vertigini, vomito e perdita della coscienza.

Sono stati fatti diversi studi per valutare la graduale ripresa dell'equilibrio del sistema nervoso

autonomo in seguito ad ictus, uno dei quali ha coinvolto due gruppi di soggetti, uno composto da

pazienti che avevano subito ictus entro un mese dall'analisi, e l'altro formato da individui sani,

usato come gruppo di controllo. Come indice di confronto sono state misurate tutte le variabili

dell'HRV a 2 e 6 mesi dall'ictus e si è visto come i soggetti malati presentassero effettivamente

valori di HRV molto più bassi del gruppo di controllo (Lakusic et al. 2005).

2.1.9 Ipertensione arteriosa

L'ipertensione arteriosa è una condizione molto frequente, caratterizzata dall'elevata pressione

del sangue nelle arterie, dovuta ad un'eccessiva quantità di sangue pompata dal cuore e alla

resistenza posta dalle arterie al flusso sanguigno. L'ipertensione di per sé non provoca gravi

sintomi ma è un fattore di rischio per altre patologie più gravi (infarto del miocardio, insufficienza

cardiaca , ictus cerebrale...), motivo per cui è importante individuarla e trattarla tempestivamente.

Si parla di ipertensione arteriosa sistolica quando si riscontra un aumento della pressione

massima; al contrario, l'ipertensione diastolica è caratterizzata da alterazioni nel valore di

pressione minima. Si definisce ipertensione sisto-diastolica la condizione in cui entrambi i valori di

pressione sono superiori alla norma.

L'HRV è uno strumento clinico ampiamente diffuso anche nel monitoraggio dei soggetti ipertesi,

poiché molti studi hanno dimostrato la sua efficacia nel fornire immediate indicazioni quantitative

sullo squilibrio del sistema autonomico cardiaco (Mancia et al. 2005).

Successivi studi specialistici, hanno evidenziato anche come sia possibile identificare il livello di

ipertensione attraverso un'analisi dinamica non lineare dell'HRV (Ping Shi et al. 2013, Garcia -

Garcia et al. 2012).

2.1.10 Controllo cardiovascolare durante il sonno

Negli ultimi anni è stato manifestato un interesse crescente sul controllo cardiovascolare durante

il sonno: è stato stimato infatti che in media circa l'8-10% degli attacchi ischemici avvengono

durante il sonno, con particolare prevalenza nelle prime ore del mattino. E' stato inoltre osservato

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che molti disturbi del sonno, inclusa l'insonnia e le apnee notturne, risultano associati a disturbi

cardiovascolari.

Il sonno è un processo fisiologico che interessa diversi sistemi biologici, da molecole a organi; la

sua integrità è essenziale per mantenere un livello di salute e omeostas i nell'uomo. Nonostante in

passato il sonno fosse considerato uno stato di quiete, evidenze cliniche e sperimentali hanno

dimostrato una continua e considerevole attivazione di differenti sistemi biologici durante la

notte. Il sistema nervoso autonomo gioca un ruolo chiave in quanto la sua modulazione regola le

funzioni cardiovascolari durante l'inizio del sonno e in differenti fasi successive di sonno. Perciò

anche in questo contesto è cresciuto l'interesse verso l'analisi della HRV che è in grado di rivelare

informazioni importanti anche in condizioni patologiche, come disordini neurologici del sonno e

disordini respiratori del sonno.

E' stato osservato, in un recente studio (Casciaro et al. 2013), un incremento dell’attività di

regolazione simpatica durante le fasi REM maggiormente visibile con il procedere della notte, e un

prevalente controllo vagale durante le fasi Non REM. Anche il segnale respiratorio appare

condizionato dalle fasi del sonno, in particolare risulta più profondo e regolare durante le fasi

NREM, mentre assume una tendenza opposta durante quelle REM. Lo stesso studio testimonia

inoltre, durante le fasi profonde del sonno, una forte coerenza tra i segnali HRV e respiratorio

particolarmente accentuata nella componente HF, a confermare la prevalenza dell’azione

modulatoria vagale in questi stadi.

In generale, l'analisi lineare e non lineare dell'HRV è un accurato approccio di valutazione dei

cambiamenti della modulazione cardiaca autonoma durante il sonno, sia in condizioni fisiologiche

che patologiche.

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2.2 L’HRV in ambito psicopatologico

Ricerche in ambito psichiatrico hanno dimostrato la frequente associazione di psicopatologie con

patologie cardiache; malattie mentali e disturbi psicologici possono alterare la produzione di

ormoni determinando cambiamenti fisiologici che portano spesso ad una condizione di stress

psicologico, con effetti immediati sull'attività cardiaca, regolata a sua volta dal sistema nervoso

autonomo. Pertanto anche la salute mentale impatta fortemente sull'equilibrio simpato-vagale,

ragione per cui risulta lampante la possibilità di applicare l'analisi dell'HRV nel campo della

neuro-psichiatria, in modo da far chiarezza sulla psicobiologia dei disturbi psichiatrici.

2.2.1 La regolazione simpato-vagale nei processi psicologici

Un modello di integrazione neuro-viscerale ha permesso di rilevare l'associazione tra lo squilibrio

del sistema nervoso autonomo, manifesto nel ridotto tono vagale, e la presenza di stati emozionali

negativi che determinano lo sviluppo di condizioni psicopatologiche.

Il sistema nervoso centrale è strettamente collegato alle reti neurali deputate alle funzioni

psichiche fondamentali per la conservazione della specie, come la regolazione delle emozioni, il

controllo dell'attenzione e dell'umore, e tutte quelle attività che determinano il comportamento

dell'individuo (Anastasi et al 2007).

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Fig. 2.4 – Circuito cortico-subcorticale

I processi psicologici e le manifestazioni fisiologiche sono legati strutturalmente e funzionalmente

da circuiti neurali corticali e subcorticali, che funzionano per mezzo di meccanismi di attivazione

ed inibizione (Faglioni 1996).

Emozioni negative come rabbia, frustrazione o ansia determinano una variazione della

frequenza cardiaca, indice immediato di squilibrio del sistema nervoso autonomo. Al contrario, le

emozioni positive sono associate a pattern coerenti del ritmo cardiaco, dovuti alla

sincronizzazione simpato-vagale. Questi effetti possono essere interpretati in termini di

regolazione dell'energia: la predominanza del sistema simpatico sul parasimpatico, ad esempio,

impone una richiesta eccessiva di energia, che, se non fronteggiata dall'organismo, conduce

all'insorgenza della patologia. Pertanto un funzionamento ottimale dell’organismo si raggiunge

attraverso la variabilità nei processi che coinvolgono le sue varie componenti così da permettere

una regolazione flessibile di dispendio energetico locale.

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2.2.2 Epidemiologia

E' sempre più ampiamente condivisa e scientificamente supportata la convinzione che la salute

mentale rappresenti uno dei fattori principali che concorrono alla determinazione della salute e

del benessere generale della popolazione.

I disturbi mentali costituiscono un importante problema di sanità pubblica data la loro alta

frequenza nella popolazione generale e la forte implicazione che hanno a livello sociale (difficoltà

nelle attività della vita quotidiana, nel lavoro, nei rapporti interpersonali e famil iari, etc.)

Uno dei primi studi a livello internazionale, lo European Study on the Epidemiology of Mental

Disorders (ESEMeD), ha stimato la prevalenza di disturbi mentali su un ampio campione

rappresentativo della popolazione generale, sia in paesi industrializzati che in paesi in via di

sviluppo ed è emerso che circa il 7,3% delle persone intervistate aveva sofferto di almeno un

disturbo mentale nell’ultimo anno e il 18,6% di almeno un disturbo mentale nella vita. La

prevalenza dei disturbi d’ansia è stata stimata del 5,1% nell'ultimo anno e dell'11% nella vita,

mentre quella dei disturbi depressivi è risultata rispettivamente del 3,5% e dell'11% . Il disturbo

più comune si è rivelato essere la depressione maggiore interessando una persona su dieci nel

corso della propria vita (Alonso et al 2002).

L'indagine multiscopo dell’Istat effettuata sul biennio 2009 - 2010 , ha evidenziato una prevalenza

“riferita” di disturbi mentali (classificati come “disturbi nervosi”) intorno al 4,4% per la

popolazione totale e al 9,8% per gli ultrasessantacinquenni. Le donne registrano in genere un

rischio più alto, quasi il doppio di quello maschile (Tansella et al 2001).

L’analisi dei dati di mortalità in Italia al 2010 evidenzia che i disturbi psichici e le malattie del

sistema nervoso e degli organi dei sensi causano il 6,3% dei decessi, costituendo la terza causa di

morte per frequenza nel sesso femminile, con un tasso di mortalità pari a 73,4 per 100.000

donne (per gli uomini il tasso per queste cause è quasi dimezzato).

I dati dell’Osservatorio Nazionale (OSMED) evidenziano che il consumo di antidepressivi dal 2000

ad oggi ha avuto un incremento medio annuo del 15,6%.

Naturalmente, gli effetti causati dai disturbi mentali sono molto diversi e non tutti richiedono

necessariamente un trattamento medico.

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Le ripercussioni che un disturbo mentale può avere sulla vita di una persona sono estremamente

variabili: in alcuni casi (ad esempio, nel caso di alcune fobie o depressioni lievi) l’impatto sul

funzionamento nella vita quotidiana è più lieve ; in altri casi (si pensi alla schizofrenia, al disturbo

bipolare, o anche alle depressioni gravi, ad alcune gravi forme di disturbi d’ansia, o ad alcuni tipi di

disturbi di somatizzazione) le conseguenze sono molto profonde ed inves tono tutte le aree della

vita di un individuo e ne possono condizionare profondamente le realizzazioni in campo familiare,

lavorativo e sociale.

Molti disturbi mentali sono collegati alla perdita di elasticità e flessibilità da parte del sistema

nervoso autonomo che, come illustrato, si riflette sulla capacità di adattamento alle richieste

fisiche e psicologiche interne ed esterne all’organismo. Il tutto può essere valutato in termini di

variabilità della frequenza cardiaca, attraverso la tecnica di analisi dell’HRV, che è stata utilizzata in

diversi studi sperimentali sui disturbi psichiatrici.

2.2.3 Disturbi d'ansia e di panico

L'ansia è uno stato fisiologico dell'organismo che si manifesta in particolari situazioni percepite

soggettivamente come pericolose; costituisce un'importante risorsa per mantenere lo stato di

allerta e migliorare la risposta di difesa.

Quando, però, l'attivazione del sistema ansiogeno è esagerata, ingiustificata o sproporzionata

rispetto alla situazione contingente, si parla invece di disturbo d'ansia, che si può manifestare sia a

livello psichico che somatico, rendendo la persona incapace di affrontare le situazioni anche più

comuni.

A livello emotivo genera insicurezza e preoccupazione, mentre i sintomi a livello somatico sono

tachicardia, sudorazione, tremori, vertigini. Spesso disturbi di questo tipo sfociano in attacchi di

panico, episodi acuti e improvvisi che producono una sensazione di disorientamento e di

depersonalizzazione con totale perdita di controllo. La paura di un nuovo attacco diventa subito

dominante, tanto da portare, in molti casi, a manifestazioni ripetute che sfociano in un vero e

proprio disturbo di panico. Il DSM IV descrive dettagliatamente i criteri diagnostici necessari per la

classificazione dei vari disturbi, ma in realtà non sempre è possibile riconoscere entità nosologiche

precise, poiché questi disturbi possono coesistere, sovrapporsi e alternarsi nello stesso individuo

in momenti diversi.

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Diversi studi hanno dimostrato l'influenza di questo genere di disturbi sul sistema cardiovascolare:

i sintomi dell'ansia sono spesso associati ad un aumento di mortalità cardiovascolare (Chrapko et

al 2004) e pazienti affetti da disturbi di panico e ansietà fobica manifestano un alto rischio di

sviluppo di patologie cardiache (Kawachi et al 1994, Weissman 1990).

Gli studi che hanno fatto uso dell'HRV hanno permesso di valutare il legame tra questi disturbi e la

regolazione simpato-vagale, evidenziando come le funzioni vagali si riducano in pazienti con

disturbi d'ansia, a favore di un aumento dell'attività simpatica (Yeragani et al 2003, Srinivasan et

al 2002).

Alcuni sintomi frequenti durante un attacco di panico, come la palpitazione, sono direttamente

collegati all'abbassamento dell'attività del sistema parasimpatico (riduzione marcata delle

componenti HF della densità spettrale di potenza) e determinano di conseguenza una riduzione

della frequenza del battito cardiaco ( Miu et al 2009).

2.2.4 Disturbi depressivi

Il termine disturbi depressivi indica un insieme di condizioni cliniche che differiscono per

sintomatologia, gravità, prognosi e terapia. I sintomi possono essere cognitivi, comportamentali,

somatici ed affettivi e compromettono la persona nel suo adattamento alla vita sociale. I sintomi

depressivi più comuni comprendono il tono dell’umore triste con perdita più o meno estesa

d’iniziativa ed inibizione all’azione, l’abbassamento dell’autostima, svalutazione della propria

persona con senso di fallimento. I sintomi fisici e neurovegetativi associati sono: perdita

dell’appetito, perdita dei desideri sessuali e senso di profonda spossatezza.

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Fig. 2.5 – Circuito cortico-subcorticale

La depressione non va quindi confusa, come spesso accade, con un semplice abbassamento

dell’umore, essa va considerata come un vero e proprio insieme di sintomi più o meno complessi

che alterano emotivamente e fisicamente un individuo (Galeazzi et al 2004).

Esistono diversi tipi di depressione, quella che assume la forma di un singolo episodio transitorio è

identificata come episodio depressivo, se invece si presentano eventi ripetuti, allora diventa un

vero e proprio disturbo. Un'ulteriore differenziazione va fatta sulla più o meno evidente

manifestazione dei sintomi: si parla di disturbo depressivo maggiore quando i sintomi sono tali da

compromettere l'adattamento sociale della persona, mentre le depressioni minori non hanno

solitamente gravi ripercussioni sulla vita sociale dell’individuo e spesso sono normali reazioni ad

eventi luttuosi. Il disturbo depressivo maggiore è prevalentemente diffuso tra le classi economiche

meno agiate ed è circa due volte più frequente nella popolazione di sesso femminile (Davidson et

al. 2000).

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La depressione non ha una sola causa scatenante, possono contribuire fattori di vario tipo, oltre a

quelli psicologici, per esempio i fattori ambientali o quelli biologici. Trattandosi di una patologia

che colpisce la mente, al suo sviluppo prendono parte alcuni neurotrasmettitori, tre cui

noradrenalina, serotonina e dopamina, che se squilibrati determinano l'insorgenza di uno stato

depressivo.

La connessione tra i disturbi depressivi e le malattie cardiovascolari è stata ampiamente

comprovata da studi clinici ed epidemiologici degli ultimi vent'anni. La depressione è un rischio

indipendente di morbidità e mortalità cardiovascolare (Connor et al 2000, Zellweger 2004, Lett

2004) e pazienti affetti da patologie cardiovascolari e comorbilità di depressione, mostrano una

ridotta variabilità cardiaca sia a breve che a lungo termine (Carney et al 2001, Gehi et al 2005).

Per quanto riguarda lo studio dell'HRV in pazienti depressi sono stati ottenuti risultati contrastanti

(Yeragani et al 2002, Jindal et al 2007) dovuti all'assunzione, da parte dei pazienti analizzati, di

antidepressivi, che determinano un'alterazione dei parametri standard dell'HRV nel dominio del

tempo e della frequenza, diventando loro stessi responsabili della riduzione della variabilità

cardiaca (Licht 2008).

Ad ogni modo, molteplici sperimentazioni hanno evidenziato che pazienti depressi, non sottoposti

a cure farmacologiche, mostrano comunque un abbassamento dell'HRV (Okada et al 2004,

Valkonen-Korhonen et al 2003).

L'analisi dell'HRV si è rivelata molto utile anche nella valutazione dell'effetto prodotto dai

trattamenti di cura della depressione come ad esempio la stimolazione del nervo vago (VNS) che

si è rivelata una tecnica molto efficace nei casi di depressione più resistente, o l’agopuntura, il cui

effetto su pazienti depressi è stato valutato attraverso il monitoraggio della deviazione standard e

dello spettro di potenza, prima, durante e dopo l’applicazione degli aghi (George et al. 2005, Wang

et al. 2011).

2.2.5 Schizofrenia

La schizofrenia è un grave disturbo psicotico caratterizzato dalla presenza di diversi sintomi quali

allucinazioni, deliri, disordini del pensiero e distacco dalla realtà, che causano un significativo

deficit nella vita sociale e professionale.

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Solitamente i primi sintomi si manifestano in età adolescenziale o giovanile, tra i 17 e i 30 anni,

ma il suo decorso è estremamente variabile. Circa un terzo dei pazienti affetti riescono a

raggiungere un recupero completo e permanente, un terzo manifesta episodi ricorrenti della

malattia e un terzo degenera in schizofrenia cronica con grave disabilità. Soffre di schizofrenia

l’1,1% della popolazione mondiale, senza distinzione di genere, razza o livello socio-economico ed

è la principale causa di ricovero in ospedali psichiatrici.

Non ancora del tutto chiare sono le cause che determinano lo sviluppo di questa patologia ma

sono stati riconosciuti diversi fattori di rischio (fattori genetici, fattori ambientali, complicanze nel

parto, fattori biologici e psicologici) che predispongono un individuo a sviluppare la malattia più

degli altri.

In un gran numero di studi scientifici è stato osservato il collegamento tra schizofrenia e

disfunzioni a livello di variabilità della frequenza cardiaca (Bar et al. 2005, Boettger et al 2006). La

schizofrenia, influenzando il sistema limbico associato all’area subcorticale del cervello, produce

disfunzioni del sistema nervoso autonomo. Infatti, pazienti schizofrenici, non sottoposti a cure

farmacologiche, hanno mostrato un valore di deviazione standard (SD) molto più basso rispetto ad

un gruppo di controllo di soggetti sani, suggerendo una riduzione dell’attività vagale (Valkonen-

Korhonen et al 2003, Bar et al. 2009). Altri studi hanno osservato che la riduzione dell’attività

parasimpatica in pazienti schizofrenici è strettamente collegata ad un aumento dei sintomi

psicotici, confermando quanto stabilito dalla Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS)

(Okada et al 2003) .

Analoghe analisi sono state condotte su pazienti schizofrenici sottoposti a cure farmacologiche ed

è risultato evidente l’effetto avverso che hanno alcuni farmaci sulle funzioni del sistema nervoso

autonomo: pazienti trattati con antipsicotici, specialmente la clozapina, mostrano una

regolazione anomala del SNA ed una compromessa ripolarizzazione cardiaca (Cohen et al 2001,

Rechlin et al 1994).

Questi dati suggeriscono che sia la schizofrenia che le cure farmacologiche associate, possono

contribuire ad aumentare il rischio di comorbilità cardiovascolare, ed il tutto è reso evidente

dall’analisi dell’HRV.

2.2.6 Disturbo bipolare

Il disturbo bipolare, o maniaco-depressivo, è un grave disturbo della psiche che provoca forti sbalzi

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dell’umore, dell’energia e del comportamento, alternando episodi depressivi a episodi maniacali,

in periodi diversi che possono durare settimane o mesi e si manifestano spesso in risposta ad

eventi o condizioni di vita stressanti o particolarmente rilevanti. Colpisce circa 1,2% della

popolazione, senza prevalenza di genere ed esordisce solitamente intorno ai 30 anni. Gli episodi

depressivi sono caratterizzati dall’associazione di un tono dell’umore basso (tristezza,

abbattimento, pessimismo, etc.) con sintomi che influiscono direttamente sulle capacità funzionali

dell’individuo. Al contrario, l’ episodio maniacale si manifesta con umore elevato, stato d’animo

euforico, stato di esaltazione e di eccitamento, aumentata reattività ed energia, etc.

Fig. 2.6 – episodi depressivi e maniacali

Le cause esatte del disturbo bipolare non sono note, ma sono state fatte diverse ipotesi sulla base

di studi clinici accreditati: alcuni studiosi e ricercatori hanno affermato che alla base di questa

patologia ci sia uno squilibrio chimico in alcune parti del cervello, altri studi mostrano invece che il

disturbo bipolare è la conseguenza di un danneggiamento nella funzionalità dei connettori

intercellulari (il sistema motore all’interno delle cellule nervose) all’interno di alcune specifiche

zone del cervello. Quello che però è risultato evidente a tutti è una predisposizione di tipo

genetico a questa patologia: il disturbo bipolare tende a caratterizzare gruppi familiari, in

particolare la presenza di uno o entrambi i genitori affetti sembra predisporre fortemente allo

sviluppo della patologia.

Le funzioni cardiache in pazienti bipolari sono caratterizzate da un abbassamento della HRV, un

calo del tono vagale ed una riduzione della complessità della frequenza cardiaca , come

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dimostrato dai metodi di analisi lineare e non lineare dell’HRV (Cohen et al 2003, Makikallio et al

2002). Lo squilibrio del SNA aumenta in presenza di sintomi psichiatrici più gravi, suggerendo che

la disfunzione a livello cardiaco potrebbe dipendere dalla fase della malattia (Henry et al 2009).

Possiamo quindi considerare l’HRV un indicatore della capacità di auto-regolazione,

coinvolgimento sociale e flessibilità fisiologica in pazienti affetti da disturbi mentali. Un

monitoraggio costante dell’HRV permette di valutare, in maniera efficace ed immediata, non solo

lo stato patologico, ma anche gli effetti clinici dei trattamenti psichiatrici, aiutando quindi il

terapista nella scelta della terapia specifica per il singolo paziente, conducendolo verso un

riequilibrio dell’attività simpato-vagale.

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2.3 HRV e stress

2.3.1 Definizione e basi neuropsicofisiologiche dello stress

Il primo a studiare da un punto di vista prettamente fisiologico il fenomeno dello stress fu il

fisiologo statunitense Walter Cannon (1871- 1945), che evidenziò le reazioni che avvengono

nell’organismo in risposta a situazioni avverse definite di allarme, prima del ritorno alle condizioni

di equilibrio iniziali. Cannon introdusse i concetti di “fight or flight” e “omeostasi”, tutt’oggi

riconosciuti come validi.

Le ricerche sullo stress subirono una svolta grazie ad un altro fisiologo, Hans Selye (Vienna, 1907 –

Montreal, 1982), che si imbatté in una serie di importanti scoperte in maniera casuale. Nel 1936

era a Montreal, alla McGill University, dove compiva delle ricerche improntate all’isolamento di un

nuovo ormone sessuale; Selye aveva iniettato quotidianamente una sostanza a dei ratti per

testarne gli effetti, e in questi topi aveva riscontrato in seguito insorgenza di ulcere peptiche,

atrofia dei tessuti del sistema immunitario e un notevole ingrossamento delle ghiandole surrenali.

Il fatto curioso era che gli stessi sintomi si potevano riscontrare anche nei ratti del gruppo di

controllo in cui era stata iniettata quotidianamente semplice soluzione fisiologica. L’unico fattore

comune ai due gruppi di ratti era l’aver subito ogni giorno delle iniezioni: i sintomi che

presentavano erano dovuti senza dubbio ad una esposizione cronica ad un particolare ‘‘evento

stressante”. Selye cercò di avvalorare la sua tesi sottoponendo gruppi di topi all'esposizione a

temperature estreme, traumi fisici, tossine, forti rumori, fino ad agenti patogeni: in tutti gli animali

si riscontrarono gli stessi effetti.

Selye affermò che "lo stress è la risposta strategica dell'organismo nell’adattarsi a qualunque

esigenza, sia fisiologica che psicologica, cui esso sia sottoposto. In altre parole, è la risposta

aspecifica, adattativa dell’organismo a ogni richiesta effettuata su di esso".

Llo stress, di per sé, non rappresenta per l’organismo umano né un bene né un male, ma una

risposta fisiologica normale e, nella storia dell’evoluzione della specie, assolutamente necessaria

per la sopravvivenza della stessa. Tuttavia, se l’agente stressante agisce con una particolare

intensità e per tempi sufficientemente lunghi, può dare vita ad una condizione patogena. In

particolare possiamo definire:

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- Eustress (eu-: dal greco buono, bello): situazione in cui i fattori stressogeni che agiscono sulla

persona rientrano in un limite tollerabile dalla persona stessa, dando luogo ad una reazione

armoniosa.

- Distress (dis-: dal greco cattivo, morboso): situazione in cui i fattori stressogeni che agiscono sulla

persona superano i limiti di tollerabilità della persona stessa, dando luogo ad una reazione

distruttiva.

A titolo esemplificativo, possiamo considerare la curva in figura 2.7, indicante il livello di

performance (ad esempio sportiva) rapportato al livello di stress a cui è sottoposto il soggetto. La

performance risulterà scadente ai due estremi della curva, ossia:

- caso di stress assente o troppo basso (calm)

- caso di stress troppo intenso (distress)

Il picco della performance sarà invece raggiunto al centro della curva, ossia quando si è sottoposti

ad un “giusto” livello di stress, che rientra nell’intervallo definito appunto di eustress.

Fig. 2.7 – Curva indicativa del rapporto tra l ivello di stress e performance

Come già sottolineato, la curva in figura 2.7 è puramente indicativa in quanto ciascuno di noi, in

maniera del tutto soggettiva e alla luce del patrimonio ereditario e delle esperienze vissute, filtra

le diverse richieste compensando in maniera individuale lo stimolo stressogeno. Per fronteggiare

le situazioni infatti la persona mette in atto le proprie strategie comportamentali che vanno sotto

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il nome di “coping”. Gli stili di coping dipendono appunto dalle caratteristiche del soggetto e dalle

esperienze personali e da questo consegue l’assoluta individualità nella risposta di stress.

Tale risposta di stress, definita dal Dr. Selye Sindrome Generale di Adattamento (SGA) è un

insieme di reazioni che, scatenate dal fattore stimolante esterno, sono mediate dal sistema

endocrino e dal sistema nervoso autonomo (SNA), per poi coinvolgere tutte le funzioni organiche e

intellettive.

Tornando al modello del Dr. Selye, il processo stressogeno si può suddividere in tre fasi distinte:

1. fase di allarme: lo stressor suscita nell’organismo un senso di allerta, con conseguente

attivazione di tutta una serie di processi psicofisiologici (aumento del battito cardiaco,

iperventilazione, sudorazione, ecc.) mirati a fronteggiare la nuova situazione;

2. fase di resistenza: il soggetto stabilizza le sue condizioni adattandosi al nuovo tenore di

richieste, con la normalizzazione degli indici fisiologici. Nel caso in cui l’adattamento non

sia sufficiente, subentra la terza fase, quella di esaurimento.

3. fase di esaurimento: in questa fase si registra la caduta delle difese e la succes siva

comparsa di sintomi fisici, fisiologici ed emotivi. In altre parole, l’organismo non riesce più a

difendersi e viene a mancare la sua naturale capacità di adattamento. L’esposizione

prolungata alla situazione di stress può provocare l’insorgenza di patologie psico-fisiche.

Fig. 2.8 – Diagramma della Sindrome Generale di Adattamento di H. Selye

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Da un punto di vista fisiologico, lo stress può essere visto come una secrezione psico-indotta di

ormoni catabolizzanti da parte delle ghiandole surrenali che avviene in risposta a stimoli

ipotalamo-ipofisari.

Fig. 2.9 – Rappresentazione delle reazioni neuro-endocrine in stress autoconservante (asse ipotalamo-ipofisi-surrene)

In primo luogo, l'ipotalamo secerne specifici fattori di rilascio per l'ipofisi, a l fine di indurre la

produzione degli ormoni ADH e ACTH.

L'ADH, o vasopressina, attiva la ritenzione idrica e la vasocostrizione al fine di fronteggiare la

diminuzione della volemia. L’ACTH, o corticotropina, agisce invece a livello corticale surrenale,

causando il rilascio degli ormoni cortisolo e aldosterone (cortisolo detto, appunto, “l’ormone dello

stress”).

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Il cortisolo ha l’effetto, tra gli altri, di stimolare la gluconeogenesi (processo di conversione delle

proteine in zuccheri) e di inibisce l'azione dell'insulina (insulinoresistenza).

L'aldosterone invece agisce a livello renale stimolando il riassorbimento di sodio, che porta con se

acqua per osmosi, con il risultato di ripristinare il corretto livello volemico.

Tale riassorbimento del sodio si accoppia all'escrezione di potassio e ioni idrogeno, la cui

deplezione provoca l'acidificazione delle urine e l'alcalinizzazione del sangue (causata in sinergia

dall'iperventilazione).

Il rene, in risposta al calo di pressione, attiva il sistema renina-angiotensina-aldosterone attraverso

la macula densa dell'apparato iuxtaglomerulare e la secrezione di renina; l'angiotensina II è un

potente vasocostrittore.

Il sistema ortosimpatico causa il rilascio di adrenalina e noradrenalina, in particolare dalla

midollare surrenale. Questi ormoni sono alla base dei seguenti effetti:

costrizione dei vasi cutanei (conseguente pallore) e viscerali addominali (recettori alfa)

dilatazione dei vasi muscolari (recettori beta)

aumento della frequenza cardiaca, con relativo aumento della gittata cardiaca (recettori

beta)

broncodilatazione

midriasi (dilatazione della pupilla dell'occhio in assenza di luce)

inibizione del rilascio e dell'efficacia dell'insulina (insulinoresistenza con il possibile

sopraggiungere di diabete mellito tipo 2)

aumento della sensibilità al glucagone

Soprattutto questi ultimi due effetti portano ad un’alterazione del metabolismo, spinto verso il

mantenimento di alti livelli glicemici.

Passando alle cause, qualsiasi fattore che vada a perturbare l’equilibrio dell’organismo può essere

considerato come elemento “stressogeno”, sia che lo alteri in maniera positiva (eustress) che

negativa (distress).

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Ognuno di noi si trova quotidianamente a fronteggiare numerosi stress acuti: nella maggior parte

dei casi, esaurito l’effetto dello stressor, l’omeostasi dell’organismo si ripristina pienamente ed il

corpo non subisce alcun danno.

Quando però l’elemento stressogeno, ripetendosi frequentemente, diventa cronico allora

l’equilibrio non riesce ad essere ripristinato: la cascata di eventi ormonali e nervosi, che di solito

sono confinati all’interno di un periodo limitato nel tempo, si attiva in maniera costante, con

conseguenze estremamente negative per l’organismo. L’ attivazione legata al momento di stress è

infatti utile per metterci in grado di affrontare il problema presente, mobilitando tutte le risorse

disponibili, ma se risulta cronicamente presente tutti gli equilibri del corpo vengono modificati e le

risorse vengono a poco a poco consumate, portando ad una situazione di emergenza costante.

Andando ad indagare le possibili cause di stress, bisogna tenere innanzitutto presente che queste

possono essere molteplici e variare da persona a persona. Gli eventi stressanti possono infatti

determinare conseguenze, sia fisiche che psicologiche, che sono recepite in maniera diversa a

seconda della personale sensibilità.

La sintomatologia da stress è vastissima. Fondamentalmente, possono essere identificate le 4

diverse categorie sintomatologiche di seguito descritte, mentre per un approfondimento sulle

patologie stress-correlate si rimanda al capitolo 3.

sintomi fisici: emicrania, dolore alla schiena, indigestione, tensione al collo e alle spalle, dolori

allo stomaco, tachicardia, sudorazione delle mani, extrasistole, agitazione e irrequietezza,

problemi di sonno, stanchezza, capogiri, perdita di appetito, problemi sessuali, suoni (tintinni,

fischi) nelle orecchie.

sintomi comportamentali: aumento nell’abuso di alcool e fumo, aumento delle critiche verso

gli altri e attitudine alla prepotenza, bruxismo, fame compulsiva.

sintomi emozionali: pianto, enorme senso di pressione, nervosismo, ansia, rabbia, solitudine,

tensione eccessiva, infelicità cronica e mancanza del senso di vivere, impotenza profonda.

sintomi cognitivi: problemi a pensare in maniera chiara, distrazioni e dimenticanze continue,

impossibilità nel prendere decisioni, esigenza di fuga continua, mancanza di creatività,

aumento esponenziale delle preoccupazioni, perdita del senso dell’umorismo.

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2.1.2 Epidemiologia dei disturbi stress-correlati

In Italia il tasso di persone stressate è in costante aumento, si stima infatti che l'80% della

popolazione lamenti disturbi correlati. Le principali cause di stress possono essere ricondotte a

quanto di seguito elencato.

Eventi della vita particolarmente significativi, sia piacevoli che spiacevoli, come matrimonio,

nascita di un figlio, morte di una persona cara, divorzio, traumi infantili, pensionamento.

Motivi lavorativi, soprattutto nel periodo storico attuale, caratterizzato da un aumento

esponenziale dello stress da lavoro.

Malattie organiche: in generale, problemi di salute personali possono essere causa di stress

sia per bambini che per adulti. Inoltre, come in un circolo vizioso, lo stress contribuisce

all’assestarsi della malattia stessa.

Cause fisiche: freddo o caldo intenso, abuso di fumo e di alcol, limitazioni gravi nei movimenti.

Fattori ambientali: la mancanza di un’abitazione, ambienti rumorosi, inquinati sono fattori

determinanti di un certo stato di stress.

Cataclismi, tra le cause principali del disturbo post traumatico da stress (PTSD).

Questa situazione ha ovviamente delle concrete conseguenze in termini economici; nel 2008 circa

la metà della spesa sanitaria nazionale è stata utilizzata per pagare terapie per malattie causate da

stress. Dalle stime della European Foundation for the Improvement of Living and Working

Condition , è risultato che in Europa lo stress occupazionale è considerato una delle più comuni

cause di malattia professionale e colpisce oltre 40 milioni di persone, una cifra vicina al 10% della

popolazione.

E le stime per il futuro, in seguito alla recente crisi economica, prevedono che il fenomeno possa

interessare addirittura il 25% dei lavoratori. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità in

Italia il solo assenteismo sul posto di lavoro incide per 5 miliardi di euro l'anno (Ispesl 2004,

Bergamaschi et al 2002).

2.1.3 HRV e stress

Per evitare lo sviluppo di condizioni croniche da stress, è necessario monitorarlo in modo da

individuare i momenti più critici della giornata ed attuare una serie di piccoli accorgimenti che

migliorino la capacità individuale di gestione delle situazioni stressanti.

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L'HRV si è dimostrato un valido indicatore immediato del livello di stress di una persona . Infatti,

lo stato inarrestabile di accresciuta eccitazione fisiologica causato dal lo stress, induce una sovra-

attivazione cronica del sistema nervoso autonomo, che, attraverso la tecnica di valutazione

dell'HRV, può essere riscontrato nell'aumento del valore della densità spettrale di potenza delle

basse frequenze. Durante alcuni studi, inoltre, è stato constatato un abbassamento della

variabilità cardiaca in pazienti con alterazioni cardiovascolari causate da stress (Perini et al 2003,

Maestri et al 2007).

All'università di Ottawa, nel Dipartimento di Medicina cellulare e molecolare (Bravi et al 2013),

sono stati fatti studi sperimentali su due categorie di individui, affetti da stress fisiologico e

patologico, e sono stati valutati e confrontati gli effetti proprio attraverso l'HRV. Il gruppo degli

individui affetti da stress fisiologico era composto da soggetti sani valutati durante la pratica di

attività fisica intensa, mentre l'altro gruppo era costituito da individui che avevano subito un

trapianto del midollo osseo. In entrambi i casi è stato riscontrato un abbassamento della

deviazione standard, parametro indice della variabilità cardiaca, dovuto alla ridotta regolazione

cardio-polmonare; un diverso comportamento è stato invece notato nel valore della modulazione

simpato-vagale (rapporto LF/HF): ridotto nel caso di stress fisiologico e non soggetto a

cambiamento significativo in pazienti affetti da stress patologico.

Molteplici sono gli studi sperimentali che hanno fatto uso di questa tecnica, non solo per

dimostrarne l'efficacia, ormai appurata, ma proprio come indice di validazione di particolari

trattamenti per combattere lo stress.

E' stato possibile, ad esempio, valutare gli effetti prodotti dall'utilizzo della biofisica integrativa in

individui stressati; sono stati cioè collegati i pazienti al potenziale di terra, attraverso specifici

elettrodi, e si è registrato un aumento della variabilità cardiaca ed un miglioramento generale

della regolazione simpato-vagale (Chevalier et al 2011).

Altri studi hanno dimostrato, attraverso questa tecnica, la possibilità di prevenire lo stress tramite

una stimolazione trans-craniale diretta in grado di modulare il sistema nervoso autonomo

(Goncalves et al 2012).

Un'altra applicazione rilevante è quella che ha visto l'applicazione dell'HRV coadiuvata dalla

tecnica del Biofeedback, terapia di rilassamento nota per la riduzione dei livelli di stress.

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Attraverso l'applicazione di una clip auricolare con rilevazione computerizzata si può documentare

la sincronizzazione/desincronizzazione tra frequenza cardiaca e ritmo respiratorio, che fornis ce già

utili informazioni sullo stato emozionale di un individuo. Si è notato, infatti, che in stati emotivi

come l'amore, la gratitudine o stati di gioia, la frequenza cardiaca ed il ritmo respiratorio risultano

perfettamente sincroni; questa coerenza viene meno in condizioni di stress negativo, rabbia, paura

o agitazione. Negli Stati Uniti è stata sperimentata questa tecnica di Biofeedback-HRV in grado di

armonizzare la sfera emotiva e funzionale, fino al raggiungimento di uno stato di coerenza tra

cuore e respirazione (Lehrer et al 2003).

Dunque una misurazione semplice e non invasiva come l'HRV, permette non solo di individuare il

livello di stress di un individuo, attraverso la lettura dei diversi parametri nel dominio del tempo e

della frequenza, ma anche di valutare gli effetti prodotti da specifici trattamenti per gestire lo

stress.

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2.4 HRV nell’attività fisica e nello sport

A partire dalla fine degli anni '90, è aumentato fortemente l'interesse verso la valutazione dell'HRV

durante la performance atletica a livello sia agonistico che amatoriale. Da una ricerca effettuata

sui quattro maggiori database di pubblicazioni scientifiche in ambito biomedico (PubMed,

MEDLINE, NSCA e ACSM) è risultato evidente un incremento del numero di studi effettuati sulla

relazione tra sport ed Heart Rate Variability , come mostrato in fig. 2.10.

Fig. 2.10: Numero di pubblicazioni sull 'HRV nello sport, dal 1990 al 2013

E' stato a lungo dimostrato che durante l'esercizio dinamico, la frequenza cardiaca aumenta sia a

causa della diminuzione dell'attività parasimpatica che per l'aumento del tono simpatico.

Durante l'inizio dell'attività fisica, gli intervalli RR diventano più brevi ed uniformi, a causa

dell'aumento dell'attività simpatica e della riduzione del tono vagale. Risulta sempre più evidente

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che proprio questa variazione degli intervalli RR fornisca utili informazioni sui livelli di stress e

l'affaticamento fisiologico durante e dopo l'allenamento .

2.4.1 L'influenza dell'intensità del carico fisico

L'equilibrio simpato-vagale cambia in relazione all'intensità e alla durata dell'attività aerobica ,

come evidenziato dalla variazione dei parametri LF, HF e densità totale di potenza, nel dominio

della frequenza.

A tal proposito, risulta di interesse uno studio su un ciclista amatoriale sottoposto ad un carico di

lavoro di 60 W che è stato aumentato di 20 W ogni 3 minuti (Hottenrott et al 2006). Il rapporto LF

/ HF ha mostrato un aumento proporzionale all'intensità dell'esercizio, riflettendo un aumento del

tono simpatico (LF) e una diminuzione del tono parasimpatico (HF).

Fig. 2.11: Potenza spettrale dell 'HRV degli atleti prima e dopo una serie di esercizi della durata di 20 minuti.

Un gruppo di ricercatori francesi ha invece studiato la performance atletica di 11 triatleti messi alla

prova con dei test ad intensità crescente. Durante le diverse sessioni pratiche sono stati registrati i

parametri HF, LF e TP e si è visto che ad intensità moderata risultavano superiori rispetto a quelli

misurati ad alta intensità di allenamento. In condizioni di esercizio pesante, invece, risultava più

forte la predominanza del sistema simpatico, dovuta all’azione combinata della variazione della

frequenza respiratoria e della mancanza del controllo cardiaco autonomico (Cottin et al 2004).

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2.4.2 L'influenza dell'età e del sesso

Alcuni studi si sono soffermati sulla valutazione dell'influenza dell'età sulla modulazione vagale

durante l'attività fisica. Sono stati considerati 3 gruppi di diversa fascia d’età: giovani (24-34 anni),

mezza età (35-46 anni), ed età avanzata (47-64 anni) con 3 diversi livelli di condizione atletica, in

termini di massimo consumo di ossigeno (VO2max): basso (28-37 ml · kg-1· min-1); medio (38-

45ml · kg-1· min-1); e buono (46-60 ml · kg-1 min-1).

I parametri confrontati in questo caso sono quelli dell'analisi non lineare di Poincaré, SD1 standard

e normalizzato, per la misura dell'attività parasimpatica a riposo e dopo lo sforzo fisico. Si è visto

che SD1 risulta superiore a riposo nei soggetti giovani rispetto agli altri due gruppi; mentre non si

riscontrano variazioni significative nei parametri misurati al termine dell'allenamento. Per quanto

riguarda i parametri misurati al variare dell'intensità, si è visto che, all'interno di ogni gruppo, le

differenze più evidenti dovute alla condizione atletica, riguardano la fase di sforzo più intenso e

non quella di riposo (Tuluppo et al 98). Questi risultati indicano che in generale l'inadeguata

forma fisica comporta una compromissione dell'attività vagale cardiaca durante un allenamento

e che l'età influenza il SNA, in quanto soggetti giovani mostrano una migliore funzionalità del

sistema parasimpatico durante la fase di riposo.

Oltre agli studi sull'età, sono state valutate anche le differenze tra atleti di diverso sesso; nel 2007

sono stati effettuati dei test sugli atleti (58 donne e 87 uomini di 24.8 anni di età media ) che

avevano partecipato alle Olimpiadi del 2004 negli USA. Le grandissime differenze riscontrate nei

parametri di HRV dei due gruppi, hanno rivelato che il controllo autonomico del cuore non

dipende solo dalla condizione atletica ma anche dal sesso (Berkoff et al 2007).

2.4.3 Il monitoraggio della performance atletica

L'analisi dell'HRV è oggi il cardine su cui si fondano i nuovi metodi di allenamento, ancora

attualmente poco diffusi, nonostante ne sia stata dimostrata scientificamente l'efficacia.

L'HRV permette, infatti, in brevissimo tempo ed in ogni momento della giornata, attraverso

semplici applicatori, presenti ormai anche su un comune smartphone, di monitorare il training e di

identificare i momenti di stress a cui è sottoposto il nostro corpo, al fine di stabilire l'applicazione

dei carichi ed il tempo di recupero fisiologico di cui necessita l'organismo.

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Numerosi test sono stati fatti per valutare come sfruttare al meglio questa tecnica di monitoraggio

dell'adattamento fisiologico degli atleti durante gli allenamenti. Si è visto che impostando un

training quotidiano basato sulla variazione dell'HRV, diminuendo cioè l'intensità di sforzo fisico in

presenza di abbassamento della variabilità cardiaca dell'atleta, si riusciva a mantenere un

adeguato livello atletico (Pichot et al 2002). In effetti, è plausibile che i cambiamenti dei pattern

del sistema nervoso autonomo, valutati attraverso l'analisi dell'HRV, possano servire come

parametri utili per la gestione dell'affaticamento fisico e dell'intensità dell'allenamento (Acten et

al 2003).

L'utilità di questo strumento nella programmazione atletica è stata testata anche su uomini e

donne con preparazione atletica moderata: 21 uomini e 32 donne sono stati sottoposti ad un

allenamento della durata di 8 settimane, in cui la variazione dell'intensità veniva impostata in

relazione ai parametri dell'HRV (alta intensità in casi di lieve variazione dell'HRV e media intensità

in caso di evidente riduzione dell'HRV). I gruppi sono stati confrontati con gruppi di controllo che

sono stati sottoposti ad allenamenti standard e si è potuta confermare l'efficacia di questi nuovi

programmi di allenamento basati sulla misurazione dell'HRV rispetto a quelli standard (Kiviniemi et

al 2010).

E' di estrema importanza per agonisti e atleti di alto livello, allenarsi consistentemente in modo da

preservare la loro ottima condizione atletica. Gli atleti si allenano regolarmente ad alta intensità e

volume per periodi estesi, così che uno squilibrio dovuto a carichi eccessivi e riposo inadeguato li

rende suscettibili ad un esaurimento mentale e fisico.

Una fase fondamentale dell'allenamento fisico è quella del recupero: il monitoraggio

dell'andamento del recupero fornisce concrete informazioni sull'evoluzione reale della nostra

condizione di forma, prevenendo eventuali situazioni di overtraining.

Inoltre, le informazioni riguardanti la misura in cui il corpo recupera dopo l'allenamento, può

fornire dati utili per la personalizzazione della formazione sportiva, i carichi di allenamento ed i

tempi di recupero basati sull'esigenza dell'organismo del singolo individuo.

La maggior parte degli atleti conosce l'importanza del recupero dopo l'esercizio, che è definito

come il periodo necessario all'organismo, subito dopo l'allenamento, per ripristinare l'omeostasi in

condizioni di riposo. Il recupero consente di ottenere l'adeguato riposo prima di continuare una

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Ambiti applicativi della Heart Rate Variability - 43 - Il presente documento è da intendersi proprietà intellettuale ed esclusiva di Biot srl. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, nonché la diffusione non autorizzata.

nuova fase di training, permettendo al corpo di fortificarsi e ottimizzare le success ive

performance. Se non si raggiunge il recupero completo, si riscontra un effetto immediato di

peggioramento delle prestazioni, come evidente nella sindrome di sovra-affaticamento, in cui

l'organismo viene forzato oltre la sua normale capacità di ripresa (Zatsiorsky et al 2006).

Precedenti tentativi di analisi dello stato di affaticamento fisico e mentale, attraverso la

misurazione del livello di lattato nel sangue ed il profilo dello stato umorale (POMS)

rispettivamente, non sono stati del tutto risolutivi e decisivi (Suetake et al 2010).

Altri parametri che venivano usati tradizionalmente per valutare la capacità aerobica, sono: il

massimo consumo di ossigeno (VO2 max), la velocità massima necessaria per raggiungerlo (vVO2

max), la velocità di accumulo di lattato nel sangue (VOBLA) e la presenza di sostanze nel sangue,

come creatina chinasi, il cortisolo, globuli bianchi, proteina C-reattiva (CRP), livelli di proteina

mieloperossidasi (MPO), e lo stato di glutatione (Garatachea et al 2011, Kellmann et al 2010).

Queste tecniche si sono rivelate a lungo andare troppo costose e complicate per l'uso quotidiano,

anche per gli atleti professionisti, essendo comunque misure invasive che necessitano anche di

tempi non brevi per la misurazione in sé e per l'analis i dei risultati.

Risulta allora chiara la crescente necessità di ricercare uno strumento in grado di monitorare i

cambiamenti fisiologici in risposta all'attività fisica e di gestire i tempi di recupero. La tecnica

dell'HRV rientra appieno in questa classificazione, essendo un metodo economico, veloce e non

invasivo per valutare parametri rilevanti al fine di massimizzare i benefici della disciplina sportiva.

Nonostante il gran numero di studi effettuati e pubblicazioni scientifiche, resta però esiguo il s uo

utilizzo in ambito sportivo, ma ci si auspica che, date le sue grandi potenzialità, possa riuscire a

diffondersi anche in questo campo.

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- 44 - Conclusioni Il presente documento è da intendersi proprietà intellettuale ed esclusiva di Biot srl. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, nonché la diffusione non autorizzata.

Conclusioni

Il principale obiettivo del presente approfondimento è stato quello di illustrare lo stato dell'arte

sulla tecnica di analisi dell' Heart Rate Variability, ad oggi considerata una metodica di utilità

conclamata per la stima di prognosi avversa in pazienti affetti da patologie cardiache.

Sono stati riportati solo alcuni degli innumerevoli studi fatti in questo campo e che hanno

permesso di dimostrare le grandi potenzialità dell'HRV come indice diagnostico e prognostico non

invasivo nella pratica clinica di tutte le patologie che hanno sintomatologie con effetti sulla

frequenza cardiaca.

Sono state cercate diverse applicazioni cliniche per l'analisi dell'HRV, dallo screening per le

malattie cardiovascolari all'applicazione di tecniche psicologiche, fino alla modulazione dei

programmi riabilitativi o di allenamento fisico.

Una scarsa variabilità della frequenza cardiaca è correlata ad uno squilibrio dei sistemi nervosi di

controllo: un cuore perfettamente ritmico non è in grado di adattarsi alle diverse esigenze

dell'organismo in risposta agli stimoli esterni a cui viene costantemente sottoposto.

L' interesse nell'interazione tra cuore e sistema nervoso ha sempre attirato l'attenzione di medici e

ricercatori che, agevolati dallo sviluppo delle nuove tecnologie e recenti metodiche di

processamento dei segnali digitali, sono riusciti a valutare la correlazione dei due sistemi di

controllo, non solo in termini di monitoraggio della risposta cardiaca, ma anche attraverso una

valutazioni delle ripercussioni che, una stimolazione esterna, può avere sull'equilibrio del sistema

nervoso.

Un lavoro di potenziamento mirato dell'HRV coadiuvato dall'azione della tecnica del biofeedback,

ad esempio, si è dimostrato in grado di ridurre i livelli di stress, migliorare lo stato cognitivo e il

livello di concentrazione di un individuo.

L'analisi della variabilità della frequenza cardiaca è quindi un campo relativamente giovane, ma

ricco di potenzialità, dal momento che essa rappresenta il vero anello di congiunzione tra cuore e

cervello e potrebbe quindi essere un ottimo strumento per la diagnosi ed il trattamento di disturbi

complessi, che colpiscano tanto la sfera cardiologica quanto quella neurologica dell'individuo.

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