HAT applicazioni dell'arte nella moda

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MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA A.F.A.M ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPLOMA ACCADEMICO DI I LIVELLO IN PROGETTAZIONE DELLA MODA HATAPPLICAZIONI DELL’ARTE NELLA MODA DI MELANIA CARDILLO RELATORE PROF. SERGIO PAUSIG A.A. 2011-2012

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tesi di Melania Cardillo

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MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA

A.F.A.M

ACCADEMIA DI BELLE ARTIDI PALERMO

DIPLOMA ACCADEMICODI I LIVELLO

IN

PROGETTAZIONE DELLA MODA

“HAT”APPLICAZIONI DELL’ARTE

NELLA MODA

DI

MELANIA CARDILLO

RELATOREPROF. SERGIO PAUSIG

A.A. 2011-2012

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“il cappello esiste perchè esiste la necessità di preservare, anche solo simbolicamente, la parte più nobile dell’uomo, la testa e quindi il pensiero”

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INDICE

INTRODUZIONE

la storia del cappellole origini del termine il rinascimento dal barocco al fasto del rococò in testa alla rivoluzione l’ottocento il novecento il cappello nell’alta moda

CENTO CAPPELLI collezione privata famiglia saitta

HAT

book

elaborazioni

disegni di tipologie di cappelli

bibliografia

ringraziamenti

P. 5

P. 7P. 9P.13P.17P.23P.27P.35P.53

P.57

P.93

P.121

P.145

P.175

P.183

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INTRODUZIONE

È risaputo che tutte le invenzioni della storia nascono da un senso di estrema ne-cessità ed anche il cappello non si allonta-na da tale logica. Da sempre infatti l’uomo ha tentato di ripararsi dal freddo, dal cal-do o dalla pioggia con tutti gli strumenti a lui a disposizione, dai tempi più remoti, in Egitto, in Grecia, in Asia, fino all’epoca più moderna, quando in Europa nel 1400 si dif-fonde la moda del cappello, il copricapo di feltro caratterizzato da una copertura per l’intera testa ed una visiera. Solo nei cor-redi più eleganti compaiono rari cappelli in velluto,in paglia o in feltro, nelle tipo-logie cortesi, o in quella particolare chia-mata à bec o grecanica, usata anche dagli uomini. Quest’arte col tempo non incon-trò mai arredamento, anzi, conobbe la sua massima fioritura nel 1700 con Luigi XV che lanciò la moda del cappello a tre punte, il cosiddetto tricorno. Il cappello divenne vero e proprio simbolo di civetteria e van-to, di fatto le nobildonne inglesi e france-si amavano esibire i loro copricapo arric-chiti con piume o fiori evidenti e vistosi. Nel corso degli anni il cappello ha sempre avuto un ruolo rilevante, simbolo di stile, ma anche di livello sociale, ogni modello poteva parlare e descrivere colui che lo in-dossa. Eleganti, casual o sportivi i coprica-po, con la loro duplice essenza, funziona-le ed estetica, sono da sempre molto amati e il loro impiego è tuttora immancabile.

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cappello d’oro di Berlinomanufatto risalente alla tarda età del bronzo,

realizzato in una sottile lamina d’oro. Fu utilizzato come copertura esterna di un lungo

copricapo conico, probabilmente realizzato in materiale organico.

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STORIA DEL CAPPELLO

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LE ORIGINI DEL TERMINE

Per trovare il vero antenato del cappello moderno dobbiamo risalire al Medioevo, quando la cappa, una sorta di mantello con un cappuccio sul dietro, chiamato capperuccia, veniva indossato da uomini, donne, monaci e chierici. I lessici medieva-li infatti la definiscono “vestis species qua viri laici mulieres laica e monachi e cleri-ci induebantur”1. Anche se è difficile non mettere in relazione il termine cappa con il latino caput, la testa, dobbiamo dedurre che originariamente esso è un indumento che oltre alla testa, avvolge anche il resto del corpo. In italiano il termine cappa è oggi presente in espressioni derivate come l’accrescitivo cappotto, ma storicamente il termine ha avuto larghissima diffusio-ne nelle lingue neolatine dove permane in moltissimi nomi di copricapo. Tale termine lo ritroviamo anche nell’alto tedesco kap-pa, greco-bizantino kappa, nell’ungherese antico kepa. Nel latino tardo il termine assume il significato di cappuccio ad indi-care quindi un tipo di copricapo staccato dal mantello e indossato separatamente. Per molto tempo i cappucci furono i copri-capo più indossati,infatti nelle città me-dievali si portavano gli almuzi,dei cappucci variamente piegati sul capo e con un lembo ricadente sulla spalla. Il termine cappellus , diminutivo di cappa, sta quindi inizial-mente ad indicare un cappuccio in velluto o in feltro allacciato sotto il mento, che rimarrà in uso fino al XV secolo. Il voca-bolario della Crusca definisce il cappello

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una “coperta del capo fatta alla forma di esso, circondata nella parte inferiore da un giro che sporge in fuori, il quale si chia-ma tesa o piega”2,lasciando intendere che la caratteristica principale per definire un copricapo cappello sia quella che esso deve essere dotato di una falda. L’etimologia è fatta risalire al latino ribbus, un cappuccio schiacciato dotato di una visiera giunto a Roma dalla Persia e modificato rispetto alla originaria forma a calotta con alette ricadenti sulle orecchie. Nella storia del copricapo il berretto e la berretta hanno avuto uno sviluppo parallelo ma non iden-tico. Con il vocabolo berretto si ci riferi-sce ad un copricapo di forma schiacciata, con o senza tesa sulla fronte,nel modello del berretto basco. La berretta invece indi-ca principalmente il copricapo rigido a tre o quattro spicchi con nappina, usato nel Medioevo tra le classi colte e le gerarchie ecclesiastiche. La distinzione tra berret-to e cappello era molto netta, nel Cinque-cento infatti esistevano due corporazioni distinte: quella dei berrettai e quella dei cappellai, spesso in lite tra loro, poiché i berretti erano più usati dei cappelli e quin-di i berrettai rivendicavano la loro su-periorità rispetto ai cappellai. Dal canto loro, i cappellai si distinguevano a loro volta in cappellai di feltro e cappellai di lana. La ricchezza di chi lo indossava era evidenziata dalla differenza dei materiali: pellicce, ricami, pietre preziose. Essi si alter-navano ai semplici cappucci usati al solo scopo di ripararsi dalle intemperie. Per par-lare di cappello vero e proprio dobbiamo

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aspettare la fine del XIV secolo quando fa il suo trionfante ingresso in società il co-pricapo con tesa. Il cappello, di feltro, di paglia o di stoffa, non serve più soltanto a proteggere la testa o ripararsi dalle in-temperie, ma diviene un oggetto di moda sul quale si sbizzarrisce la vanità delle classi nobili. Iniziano a diffondersi elabo-rati cappelli acquistati in Francia, realiz-zati in paglia foderata di seta, di castoro o di panno, di solito a tesa larga. Da ora in poi il cappello verrà usato come simbolo di prestigio e di potere; ed è proprio quan-do si passa dalla semplice funzione di co-prirsi la testa a quella estetica che si può iniziare a parlare di cultura del cappello.

1. Berengan Giuliana, Favolosi cappelli, Ferrara, Tosi, 2007, p. 62. dal primo “Vocabolario della Crusca”, Venezia 1612, p. 52

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.IL RINASCIMENTO

Il trionfo del cappello di feltro, che pos-siamo considerare il copricapo per ec-cellenza, avviene nel XV secolo. Il gusto estetico che contraddistingue la civiltà rinascimentale prevale in ogni ambito ed anche l’abbigliamento diviene elegante e raffinato. I morbidi velluti ricamanti con fili d’oro vengono anche utilizzati per la realizzazione di morbidi berretti imbotti-ti, anche se i feltri di lana di colore nero vengono preferiti dai benestanti che ama-no l’eleganza che proviene dalla Francia, dove il cappello di feltro si diffonde più rapidamente che in Italia. Carlo VII fu uno dei primi ad indossare un feltro di fine pelo di castoro, segno distintivo della nobiltà che lo preferiva a quello di lana, ne sono testimonianza gli innumerevoli ritrat-ti conservati al Louvre. Durante la prima metà del Cinquecento, la Francia, sotto il regno di Francesco I, inizierà ad influen-zare fortemente la moda europea: in Fran-cia si indossano feltri a larga tesa ornati con fibbie e piume; in Germania i feltri di lana hanno una stretta tesa rialzata, men-tre l’Inghilterra, poco amante delle novi-tà provenienti da altri paesi, resta fedele a berrettoni e classici feltri con tesa alta e media. La Spagna preferisce forme a cono con cupola alta. Il fasto e lo splendore della corte borbonica, consentirono agli artisti e alle mode fiamminghe di divenire un punto di riferimento per l’intera Euro-pa. Dalle linee trecentesche sviluppate con uno slancio verticale deriva l’hennin, un

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cappello a forma di cono molto allungato, generalmente in cartone o tela inamidata che veniva poi rivestito con tessuti prezio-si come ad esempio la seta, da esso poi fuo-riusciva un velo leggerissimo e trasparente che ricadeva sulle spalle. In Italia durante la prima metà del Rinascimento si indossa-vano dei copricapo detti “alla di là” cioè al di la delle Alpi, alludendo alla loro ori-gine oltremontana; tipicamente italiano è invece il balzo, di forma rotondeggiante realizzato in tessuti preziosi che lasciava la fronte scoperta, ma più comunemente si usavano dei veli di lino fissati con spil-li o spille gioiello. Il copricapo usato dal-la nobiltà inizia a diffondersi anche tra i ceti più abbienti, prima in forma rotonda, poi in altre forme. Nella seconda metà del Cinquecento si afferma uno stile più for-male e rigido anche a causa della riforma protestante, il cappello si rimpicciolisce sulla testa, ma diviene sempre più elabora-to e decorato. Restano le piume e i ricevi-menti di Corte dove il cappello è d’obbli-go, come testimoniano i quadri dell’epoca.

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ritratto di donna, Rogier van der weyden. londra national gallery.

copricapo “a pan di zucchero” rivestito di tessuto prezioso bianco con alta fascia sul bordo inferiore.

il copricapo è sormontato da un velo bianco trasparente che copre la fronte e ricade

morbidmente sulle spalle

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acconciatura rinascimentale

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DAL BAROCCO AL FASTO DEL ROCOCÒ

Il mutamento della moda durante il XVII secolo prevede l’uso dell’ampia gorgiera fino al secondo decennio, per essere poi sostituita da un collaretto inamidato con merletti decorativi e punte in aria. In gene-rale le vesti femminili si fanno più pompose con l’uso di particolari sottostrutture. La figura è spezzettata in tante parti, i pezzi più importanti sono in qualche modo irrigidi-ti. Ma le esagerazioni delle forme, la diva-ricazione fra l’aspetto effettivo delle mem-bra e la loro apparenza, sono ancora più evidenti e volutamente accentuate. L’uso del busto e del corsetto, che stringe con forti lacci in vita per dar forma al corpo, determina anche una deformazione fisica che con gli anni, e soprattutto se applicata fin dalla giovane età, diventa permanente. Le sottostrutture applicate alle gonne le amplificano fino al farle divenire di di-mensioni esagerare durante il Settecento. Il corpo si modifica e si plasma per assume-re l’ideale di bellezza delle donne, con il seno e le spalle aperte e ampie, e la vita esile come le vespe. Il contrasto fra la durezza delle linee artificiali e la morbidezza della carne lasciata vedere, diviene arma di sedu-zione. La moda maschile vede l’abbandono delle imbottiture nei corpetti e nei calzoni e, anche per loro, le ingombranti e scomo-de gorgiere vengono sostituite da grandi colletti di lino o di merletto. I cappelli di feltro a cupola alta sono rigidi, a tronco di cono o più morbidi e tondeggianti. Alle piume i borghesi sostituiscono nastri di

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pelle di gros-grain con una fibbia al cen-tro, ma i signori con il mantello a ruota che seguono la nuova moda di baffi e piz-zetto amano il sontuoso cappello “alla mo-schettiera” ornato di piume e pennacchi. Le signore indossano piccoli cappellini con piume e gioielli, ma anche cappelli larghi in feltro come quelli maschili. Più spesso, e quasi senza distinzione di rango, indos-sano cuffiette di ogni genere, decorate con pizzi o plissettate, inamidate o morbi-de, modeste o sfarzose, ricamate o bianche. In questo secolo la storia del cappello si intreccia ed è fortemente determinata da un oggetto estetico di grande rilievo che, venuto dalla Francia, dilaga ben presto in tutti i paesi europei dove peraltro la cul-tura e la lingua francese predominano: la parrucca. Questo accessorio fino al Sette-cento coprirà le teste maschili e femminili costringendo ogni copricapo a fare i con-ti con la sua ingombrante presenza. Come spesso accade nei grandi mutamenti, e non solo in quelli della moda, fu un piccolo evento, anche se regale, a mettere in moto una vera e propria rivoluzione dell’imma-gine. Nel 1620 il re di Francia Luigi XIII non ancora ventenne rimase calvo e coprì la te-sta con una parrucca per non far perdere la dignità al suo capo coronato. Da quel momento in poi la parrucca divenne una vera e propria moda. Dapprima indossata solamente dagli uomini (le donne inizie-ranno ad utilizzarla solo nel Settecento), ne esistono di diverse forme e grandezze e portano i nomi più svariati. La funzione protettiva del cappello era fortemente

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insidiata da questa nuova “copertura”, ma non il suo ruolo estetico. Modificandosi il volume dei capelli grazie alle parrucche, cambiano naturalmente anche le forme dei copricapo. Portato sotto il braccio e usato pressoché unicamente per inchinar-si a rendere elegante omaggio alle dame, il cappello a tesa larga, troppo volumino-so, viene sostituito prima da un bicorno con ala aderente ai lati della testa e poi dal chapeau bas, il tricorno che, per gli aristocratici, è in feltro di castoro o in velluto profilato d’oro; anche le altre fa-sce sociali fanno uso di un tricorno meno raffinato, in feltro di lana e senza orna-menti. Sotto il re Sole, Luigi XIV, la Francia è ai vertici nella cappelleria. Le donne in questo periodo indossano ancora cuffie e cappucci ampi per coprire le acconciature all’aperto, ma dalle Fiandre e dall’Olanda si diffonde un curioso copricapo a for-ma di dischetto, con un rigido stelo dal quale pendeva una piccola nappa di seta. La sua funzione inizialmente era stata quel-la di fissare l’huiken, ma poi ne era stato separato. L’huiken è un ampio e imponente velo plissettato che raggiungeva i piedi. Verso la fine del secolo, quando le par-rucche sono ormai di regola, le loro for-me, sempre più esasperate, sono completate da un’ampia serie di copricapo e accessori, quali le cuffie, il cappello di paglia à la Pa-mela, il tricorno per la caccia o i grandi cappelli con tesa larga sui quali trovano posto fiocchi, nastri, piume, gioielli e, ver-so la fine del secolo, perfino piccoli velie-ri o altre costruzioni fantasiose. L’aristo-

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crazia francese, sotto il regno di Luigi XV, che sta per avviarsi verso il suo tragico declino, ha ancora il tricorno sotto il braccio. Occhialini, tabacchiere, fazzolet-ti di trine completano l’immagine rococò.

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parrucche, 1778. gallerie des modes et du costume française.

le acconciature a metà del 700 erano stravaganti e raggiunsero altezze vertiginose.

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La regina Maria Antonietta, M.E. Vigèe lebrun, 1783. Washington, National Gallery of Art.

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IN TESTA ALLA RIVOLUZIONE

Quando la parrucca si ridurrà a pochi riccioli, il tricorno tornerà sulla testa e i nostalgici continueranno ad usarlo an-che quando la moda proporrà la redingo-te, il corto soprabito indossato sui calzoni a culotte; i popolani preferiscono il bicor-no con tese fissate da spilloni. Si avvicina il 1789 e con esso la Rivoluzione francese, che segnerà la grande bufera sociale, po-litica e culturale che, partita dalla Fran-cia, investirà l’intera Europa. Buttate via le parrucche e gli abiti di seta, l’abbiglia-mento maschile diverrà semplice e di colo-re scuro; è una scelta consapevole, anche se in realtà la nuova semplicità nel vestire ha origini non francesi e precedenti alla Rivoluzione. Nel corso dei pochi anni del Terrore la Rivoluzione si interroga sul valore dell’abbigliamento come modo per esprimere opinioni, cioè sul valore dell’abi-to quale strumento ideologico. Durante la Rivoluzione francese tutti i modelli sem-plificati vivono il loro momento di gloria e ogni manifestazione di lusso viene aboli-ta. Le donne indossano anch’esse vesti sem-plici guarnite di sciarpe tricolori, motti ricamati, coccarde e berretti frigi. Con la fine del Terrore la moda riprese lentamen-te la sua vivacità e ricomparvero gli habit à la anglaise, ma a questi si aggiunsero al-tre forme: in particolare la redingote e la carmagnola. I capi rivoluzionari indossa-no austere redingote senza trine e ricami; in testa portano il berretto frigio che di-verrà l’emblema dei giacobini. Ci si veste da

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sanculottini: pantaloni lunghi, corto gi-let a doppio petto, giubbino detto alla car-magnola. Il bicorno di feltro con l’ala più voluminosa e delineato in spighetta, con coccarda tricolore laterale, tornerà a far parte dell’abbigliamento sobrio e decoro-so che caratterizza la reazione borghese seguita al Terrore e rappresentata dal Di-rettorio. Viene indossato con due punte opposte sulla fronte e sulla nuca, fino a quando Napoleone lo girerà per iniziare l’uso delle due punte ai lati. Il cappello di feltro detto “a staio” con ala arricciata ai lati di forma tronco conica molto arcua-ta che compare sulle teste sopravvissute dei nuovi ricchi sembra anticipare la for-ma cilindro che presto invaderà il mondo. Dalle cuffie rivoluzionarie ed ugualitarie delle donne rivoluzionarie si passerà pre-sto a graziosi e fantasiosi cappellini, come i cappelli di paglia, già indossati durante il Settecento per le passeggiate ed ancora molto amati per la loro semplicità ed ele-ganza, o la nuova forma tubolare della capote, un cappellino con piccola calotta e larga tesa che incornicia il volto. Ini-zialmente la tesa sarà molto grande, a om-breggiare il volto, ma nel corso dei primi anni dell’Ottocento essa si ridurrà, fino a divenire una graziosa ala attorno al viso nella metà del nuovo secolo. La Rivolu-zione francese è finita ma per il cappello si preparano grandi trasformazioni che lo vedranno protagonista nell’arte e nella cultura dell’Ottocento in quel passaggio dall’economia artigiana alla produzione su larga scala dei primi anni del ‘900.

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bicorno, 1794 circa

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grande varietà di cappelli e cuffie usati durante la fine della rivoluzione e l’inzio del primo impero.

erano caratterizzati da lunghe visiere e spesso legati sotto al mento.

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L’OTTOCENTO

In pochissimi anni in Francia, tra Rivolu-zione e Impero, la moda mutò completa-mente linee e stile, in modo che la nuova classe dirigente ben si distinguesse, anche nell’aspetto, da coloro che l’avevano pre-ceduta, anche se in realtà la nuova moda era già sorta prima della Rivoluzione. La borghesia che accresce il suo prestigio in Europa e in America impone una moda più pratica e sobria. L’ adozione di questa moda da parte di Napoleone è una scelta consa-pevolmente strategica. Durante gli anni della Rivoluzione si ci era già resi conto di come la moda può trasformarsi in una valida arma politica, e Napoleone, essendo un vero uomo rivoluzionario, se ne avvide ben presto e la sfruttò a suo vantaggio. Per l’uomo lo stile militare diviene la principa-le fonte di ispirazione per l’abbigliamento cittadino. Gli abiti mantengono colori di-screti, le forme sono di vario tipo; si in-dossa il frak con pantaloni lunghi e pan-ciotto. Ma il vero, nuovo segno dell’eleganza maschile è il cappello a cilin-dro, destinato ad un ruolo di vero prota-gonista nella storia del cappello. Origina-rio della Cina, dove veniva confezionato in seta da un cappellaio cantonese, arriva in Francia nel 1795, dove viene indossato dai giovani fondatori del movimento de-gli Incroyables sostenitori di un modo di vestire più adatto alle idee realiste. Alto, di forma cilindrica, detto anche bomba, canna, tuba , a torre, a staio, avrà la sua definitiva consacrazione in Inghilterra.

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“Fu infatti il signor Herrington forse il più famoso cappellaio di Londra che attor-no al 1805 confezionò il primo cilindro ispirandosi proprio al cappello di feltro “a staio” di marca francese. Sulle prime la no-vità fu giudicata eccessiva tanto che il Lord Mayor gli proibì di andare in giro con in testa quell’ arnese”1. Ma il mercato e la moda decisero il contrario: il gusto dell’epoca si incontrò a tal punto con quel cappello che il cilindro divenne fa-moso in tutto il mondo. La cupola nel tem-po subì diverse variazioni, ma la tesa rimase pressoché invariata: arricciata ai lati, ri-chiede abilità nella modellatura. I cappelli a cilindro venivano realizzati in feltro, spesso grigio, nero, o beige, oppure in pa-glia e perfino in angora a pelo lungo per l’inverno. Nel 1812 il francese Antoine Gi-bus ebbe un’idea che rese più maneggevole e pratico il cilindro. Realizzò un ingegnoso sistema di sottilissime molle d’acciaio e le introdusse al suo interno, in questo modo era possibile appiattirlo con la sola pres-sione di una mano. Così lo si poteva porta-re sottobraccio o riporre più facilmente nei guardaroba dei locali alla moda o all’Opera. Questo cilindro fu chiamato an-che chapeau claque per il rumore delle pic-cole molle quando lo si rimetteva in for-ma. Con la Restaurazione i cappelli diventano più voluminosi, come nel caso del bolivar con l’alta cupola svasata e i bordi larghi, derivato anch’esso dal cilin-dro. Le caratteristiche dell’abito femmini-le di questo periodo non sono che una conseguenza della semplificazione delle

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vesti intrapresa già durante la fine dell’An-cien Régime, che attraverserà la Rivoluzio-ne, il Direttorio e approderà nel Consola-to per giungere nell’Impero. Vita alta, maniche lunghe fino a metà mano o corte a palloncino, modesto strascico, scollo ampio, tendenzialmente quadrato con scollo anche sulle spalle. Si indossano an-che vesti provenienti dall’Inghilterra, come lo spencer, un corto giacchettino cucito alla gonna ma non sovrapposto; il guardaroba femminile inglese, che giunge-rà in Francia e in tutta Europa, si ispira alle regole del vestire militare, ma subisce an-che il fascino dei territori lontani in-fluendo velocemente sui drappeggi delle signore. Le voghe dello scialle di Kashmir e del turbante conoscono una diffusione esponenziale tra il 1798 e il 1801. I coprica-po più apprezzati dalle signore sono i cap-pellini di varie forme e cuffie fantasiose, ma piccole. La capote è il cappellino più dif-fuso, con la testa ampia che circonda tut-to il viso, realizzata in ogni genere di ma-teriale, di paglia per l’estate , di velluto per l’inverno e in stoffe di ogni genere per ogni altra occasione. È protagonista di una breve fortuna il cappello à la jockey o a fantino, caratterizzato da una visiera anteriore e accompagnato da un lungo velo, direttamente ispirato ai cappelli dei veri fantini e di solito indossato per l’equi-tazione. La donna nel corso dell’Ottocen-to perde quell’importanza,anche intellet-tuale, che aveva avuto tra la fine dell’Ancien Règime e il periodo Impero; torna ad essere custode dei valori della famiglia e testi-

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mone dei risultati raggiunti dal marito e dal padre, ciò si tradurrà nuovamente in un’attenzione assai forte per l’aspetto este-riore, per i beni di lusso e per la moda. Il periodo della Restaurazione vede una au-mento delle decorazioni e un’enfasi parti-colare nella trasformazione dei volumi. Nel decennio che va dagli anni Trenta agli anni Quaranta le forme seguono le nuove istanze romantiche, diminuiscono le de-corazioni e si enfatizzano i volumi e il pun-to vita torna ad essere nella sua posizione naturale. La ventata di estro e fantasia portata dal movimento romantico si fa sentire anche nella moda e intanto si subi-sce il fascino dell’eleganza inglese di cui Lord George Gordon Byron è esponente notissimo, mentre negli ambienti mondani fanno scuola il cilindro, il bastone e l’oc-chialino, inseparabili complementi del co-siddetto “dandysmo” di cui George Bryan Brummel sarà considerato signore inegua-gliabile. La forma a cilindro resta preva-lente anche se assume forme sempre più alte nella cupola fino ad arrivare alle tube di fine secolo. In generale il cappello resta rigido e voluminoso almeno fino alla metà del secolo. Il cappello in questo periodo storico assume un significato che non ha forse eguali nella storia occidentale. Uo-mini e donne non si mostrano in pubblico senza cappello, ed averlo o non averlo fa la differenza, perfino i bambini ne posseg-gono uno se fanno parte di una famiglia perbene. Caratteristico della figura dell’ar-tista è il berretto di velluto. Il cappello femminile segue le linee di quello maschile,

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oppure quelle infantili, con cappellini ro-tondi decorati da nastri e fiori. La capote muta la sua forma divenendo molto picco-la e incornicia graziosamente il volto. Verso gli anni Sessanta la posizione dei cappelli si sposta leggermente verso la fronte e le dimensioni si fanno più piccole, le guarnizioni amate per tutto il periodo sono le piume di ogni genere , dall’esprit a quelle di struzzo. L’Ottocento è soprat-tutto un secolo di grandi invenzioni che portano mutamenti notevoli sia nell’orga-nizzazione del lavoro che nella storia del costume. Le macchine da cucire modifica-no completamente la produzione dell’abbi-gliamento. L’industria tessile si sviluppa e invade il mercato con tessuti di ogni gene-re che andranno a sollecitare il desiderio di trovare nuove fogge per abiti ed acces-sori. Nascono le prime riviste di moda, che con l’invenzione della fotografia, diver-ranno un punto di riferimento per la com-parsa di nuove tendenze. Anche i cappellifi-ci vivono le grandi trasformazioni del tempo: le fabbriche prendono il posto del-le piccole aziende a conduzione familiare e le macchine permettono di ampliare la pro-duzione. Accanto al cilindro, che assume un carattere un po’ retrò ed è relegato alle occasioni ufficiali, mondane e galan-ti, comincia a farsi strada la bombetta sem-pre proveniente dall’Inghilterra. È un cap-pello duro che in un certo modo può considerarsi una riduzione del cilindro. Fu ideata dal cappellaio londinese Bowler, tanto che essa viene chiamata anche con questo nome. Con la calotta tonda e l’ala

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arricciata è inizialmente di colore nero ma successivamente prenderà le sfumature del grigio e del tortora. Nel sesto decen-nio compare il cappello in feltro morbido, alla Lobbia, con l’ala rialzata e la piega cen-trale simile ad un’ammaccatura. Il nome deriva da quello del deputato Cristiano Lobbia che nel 1869 durante un’aggressio-ne, che parve poi simulata, fu colpito alla testa con un bastone che infossò il suo cappello. Un cappellaio intraprendente ap-profittò della pubblicità suscitata dalla vicenda per mettere in vendita cappelli “alla Lobbia”. Il 1890 registra un altro even-to casuale destinato a lasciare traccia in-cancellabile sul cammino dei cappelli di feltro. Edoardo d’Inghilterra, figlio della regina Vittoria e futuro Edoardo VII, tro-vandosi per ragioni di salute a Bad Hom-burg, si fece fare qui un cappello che prese appunto il nome di quella località. Forse per merito di una splendida fotografia che lo immortalò sulla testa del principe in elegante completo a righe, l’homburg è ar-rivato fino ai nostri giorni chiamato an-che “alla diplomatica”. È un cappello con l’ala arricciata ai fianchi e rollata, un po’ come quella del cappello a cilindro, la cu-pola è floscia e morbida attraversata da un’infossatura per tutta la lunghezza. L’inizio della Belle Époque alla fine dell’Ot-tocento prepara quelli che saranno anni d’oro anche per il cappello.

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Figurino del 1828. particolare.alto cilindro, con la tesa rialzata ai lati.

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Dalla rivista “ladys Magazine”; prima ed .Philaderlphia 1792

I cappelli, come sempre, dovevano rispettare la

pettinatura a cui erano abbinati: questo è un esempio a tesa larga, ornati di piume , nastri e petali.

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IL NOVECENTO

Il nuovo secolo inizia sotto l’insegna del-la globalizzazione, della tecnologia, della celebrazione dell’elettricità. Nel primo de-cennio Parigi è la protagonista indiscussa della creatività e delle novità divenendo anche leader del settore moda. Tutto il mondo occidentale sembra essere avviato verso un periodo di vita brillante; i primi anni del secolo rappresentano il meglio della cosiddetta Belle Époque, ma la realtà è ben diversa: forti tensioni sociali, lotte sindacali e politiche, rivendicazioni, at-tentati, desideri espansionistici, contrasti tra nazioni e perfino cataclismi naturali. L’attentato a Sarajevo (giugno 1914) è solo la miccia che accende un conflitto ormai pronto ad esplodere: ed è la prima guerra mondiale. La nascita del cinema influenzò certamente l’immaginazione popolare, di-venendo veicolo delle nuove tendenze e delle nuove mode. L’eleganza maschile, an-che quando viene dalla Francia, porta il segno dell’equilibrio inglese, mai eccentri-ca o troppo personalizzata. Nel Novecento il cappello da uomo assume un diverso si-gnificato: si accentua la sua funzione so-ciale, il suo valore simbolico, si fa segno di distinzione e persino espressione di diversa appartenenza politica. I vecchi socialisti portano cappelli rotondi, flosci e con tesa piccola, mentre i mazziniani indossano morbidi cappelli neri con tesa larga. Il cap-pello è anche una concessione alla vanità, infatti i gentiluomini eleganti si fanno notare per le raffinate bombette color

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tortora bordate di raso, con il freddo usano un modello alla Homburg, mentre i più altezzosi indossano il cilindro semilu-cido con alta fascia di seta opaca. In estate si indossano i cappelli di paglia, detti pa-glietta, che vengono prodotti anche in Italia, dove l’industria della paglia e già attiva in Toscana fin da Settecento; è ap-punto un cappello di paglia dalla cupola dritta e piatta e dalla falda circolare, rigi-da e corta, spesso la cupola è circondata da un nastro nero. In Lombardia veniva chiamata anche magiostrina, poiché la si indossava a partire da maggio fino alla pri-ma vendemmia. Questo cappello rigido tro-va la sua consacrazione artistica nei dipin-ti degli impressionisti francesi: Renoir e Monet ci consegnano le immagini dei si-gnori francesi di inizio secolo che vanno in barca sul fiume e presentano i locali all’aperto indossando quella che loro chiamano canotier, veniva appunto chia-mato alla canottiera perché il suo utilizzo era associato allo sport del canottaggio. Dagli anni Venti entrò a far parte della moda femminile e fu adottato con parte della uniforme femminile dei collegi bri-tannici. Altro tipico accessorio estivo, chic e un po’ retrò, è il panama. Si è abituati a immaginarlo calcato sulla fronte di per-sonaggi famosi nei film in bianco e nero del primo Novecento, ricchi uomini d’affa-ri sudamericani o artisti dal look sobrio e chic dell’era del Jazz. Il nome del panama non deve il suo nome al luogo dov’è fab-bricato, ma anch’esso ad un particolare evento storico. È un copricapo di origini

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Equadorensi, precisamente della città di Cuenca: il suo nome originale è Jipi-japa. Deve il suo nome d’arte ad un curioso even-to del 1906, durante l’inaugurazione del canale di Panama, l’allora presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosvelt, si presentò alla celebrazione indossandone uno; le foto di quell’evento fecero il giro del mondo e cosi la forma e lo stile esotici di-vennero celebri sotto il nome di Panama. Il cilindro è ancora insostituibile comple-mento d’eleganza nella Parigi della Bella Epoque, spumeggiante di champagne, dove Giovanni Boldini dipinge ritratti che fan-no epoca e nelle tribune delle corse londi-nesi dove lo si preferisce di colore chiaro con nastro scuro. Per l’ufficialità e le oc-casioni eleganti è lucido, di morbida seta con la fascia di raso opaco. Accompagnato al tight, è in una tonalità media di grigio con nastro tono su tono e bottoncino, mentre il cilindro otto riflessi si indossa come complemento alla redingote e al frac di gala. In questo periodo il cappello divie-ne accessorio inseparabile, lo si vede sulla testa dei grandi artisti e letterati che ne fanno sfoggio come simbolo di stile e di riconoscimento al punto che non se ne se-parano mai; D’Annunzio, che a Parigi è mo-dello di eleganza, non si separa dal suo cappello in feltro rasato, non molto gran-de, leggermente arcuato e guarnito da un nastro impunturato. Un tocco raffinato è il bottone ricoperto di raso in tinta con il cordoncino che lo tiene fissato in funzio-ne antivento. Il cappello ”alla D’Annunzio” farà moda tra gli intellettuali innamorati

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dello stile Liberty. Il mito della velocità che accomuna i futuristi assesta duri col-pi al cilindro e alla bombetta; un baschet-to di belle a cui sono fissati gli occhiali sopra la visiera, bene si addice a chi vuole provare l’ebbrezza della velocità in moto-cicletta. Il bonnet, berretto a piccoli scac-chi in pesante tweed irlandese, ben si addi-ce al guidatore delle nuove automobili. Giacomo Balla, che insieme a Marinetti e Boccioni dà vita al Movimento Futurista, crea il cappello poligonale ed i berretti hanno il loro momento di gloria nell’ago-nismo sportivo che accompagna il culto della velocità. Le donne di tutto il mondo si recano a Parigi due volte l’anno per sce-gliere il nuovo guardaroba. La linea d’ini-zio secolo prevede una vita stretta, spesso segnata da alte cinture, bustino, con gon-ne che coprono il piede, le braccia coperte da lunghe maniche o altrettanto lunghi guanti, ampi cappelli decorati di piume e trine completano la mises. La linea a S, che esalta seno e fianchi, è ancora in vigore, insieme alla più sensuale linea a clessidra, amata in particolare dalle belle rappresen-tanti del demi-monde, le donne che rende-vano frizzanti le notti cafè-chantant, dei ritrovi alla moda, dei teatri e dei locali notturni. Lo stile delle vesti delle nobil-donne era più classico e maestoso, mentre quello delle suffragette, le femministe che lottavano ormai in tutto il mondo occi-dentale per il riconoscimento dei diritti delle donne, aveva uno stile più formale, quasi sempre limitato ad un tailleur dal ta-glio particolarmente maschile. Anche le

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donne indossano il capello di paglia alla canottiera per completare un nuovo abbi-gliamento chiamato alla Gibson Girl. Nel 1908 compaiono a Parigi abiti aderentissimi che fanno scandalo perché lasciano vede-re le forme del corpo femminile. Ma è lo stile parigino Paul Poiret ad andare anche oltre proponendo una silhouette di don-na dalla figura snella, dritta e slanciata, inoltre introduce, ispirandosi alle cultu-re arabe e orientali, le jupe-culotte, però ancora indossate sotto una larga tunica; esse accompagnano l’insieme dei turbanti. I cappelli delle signore si dilatano nel cor-so del primo decennio, per raggiungere di-mensioni davvero ragguardevoli attorno al 1913-14. Grandi costruzioni di stoffa si posano sugli alti chignon delle acconcia-ture: le più raffinate vi innalzano decora-zioni di nastri, piume, fiori artificiali, e i consueti uccellini imbalsamati ormai vici-ni all’estinzione. Poi il cappello diviene più piccolo, spesso aderente alla testa nella forma, anticipando la cloche degli anni Venti, ma ancora decorato da grandi pen-nacchi di piume. Lo sviluppo della politica coloniale diffonde mode esotiche: il Tar-bouch ovvero il grande fez rosso e nero ornato di nappa, il casco a spicchi, rigido e con nastro pieghettato. Si compiono molti viaggi e chi va in Oriente esibisce raffinati cappelli, spesso di paglia toscana, con tesa ampia e arricciata per ripararsi dal sole. L’eleganza italiana comincia ad essere ri-conosciuta ovunque nel mondo, ma sono gli anni della guerra e molti saranno co-stretti a mutare il propria produzione di

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cappelli per volerla agli armamenti milita-ri. Con la fine della prima guerra mondiale si riprende la vita di tutti i giorni ed an-che quella mondana; nelle sale da ballo torna lo smoking, è corto ed a un petto. Nel South Carolina, a Chrleston, si svilup-pa il ballo omonimo a partire da un fox trot ed è un successo mondiale. Sarà anco-ra più famoso da quando, a Parigi, una bal-lerina seducente ed esotica lo esegue al ritmo della musica jazz: Josèphine Baker, vestita di piume, perline o soltanto di un gonnellino di banane, scandalizza ed en-tusiasma tutta Europa. Da subito l’abito da sera femminile diviene corto, con lunghe applicazioni di perline canutiglie, tagliati quasi sempre dritti, hanno spesso profon-de scollature, sia davanti che dietro. Du-rante il giorno essere sportivi è di moda sia nell’abbigliamento femminile che ma-schile. Le donne indosseranno vesti dritte dalla vita segnata molto bassa e pullover abbinati con le gomme a pieghe. Tra l’abbi-gliamento maschile si fanno strada dei pantaloni estremamente larghi alle cavi-glie e sarà ancora una volta la moda ingle-se a prendere il sopravvento. Nei ricchi guardaroba dei nobili della Mitteleuropa, che viaggiano sull’Orient Express, si vedo-no di nuovo i lucidi cilindri. Si torna alle corse e i più giovani hanno in testa il Der-by, un’aggiornata versione americana della bombetta: più piccolo, meno impegnativo lo si può indossare di giorno anche in cit-tà. I nuovi feltri di Borsalino, pubblicizza-to da Dudovich, si adattano al modo di vestire disinvolto e consono all’esprit

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nouveau. Sotto feltri bizzarri si nascon-dono le idee artistiche dei dadaisti, che rifiutano la razionalità in nome di un’espressione incontrollata e spontanea. “L’illustrazione italiana” è la rivista di grande diffusione che fornisce le immagi-ni eloquenti dello stile di quegli anni. Il principe Umberto di Savoia si fa fotografa-re nel suo inappuntabile feltro grigio con tesa a cloche mentre dalla Casa reale in-glese arriva una nuova moda: il berretto alla Windsor che si porta schiacciato su un lato della fronte. Son anche anni d’oro per il berretti, soprattutto per quello à la basque, in lana blu lavorato in un solo pez-zo con al centro il cosiddetto lucignolo, o per quello in tweed spigato o quadretta-to usato per la caccia, o quello rigido, blu di gabardine per gli sport sulla neve. I divi dello spettacolo e del cinematografo sono modelli da imitare e Rodolfo Valentino, che lancia lo sguardo ammaliatore da sot-to l’ala del suo feltro maschettato con nastro a borchie, è un irresistibile emblema di fascino. Il vero protagonista degli anni Venti è la cloche, creato dalla stilista Ca-roline Reboux: è un cappello femminile , re-alizzato in feltro in moda da poter pren-dere la forma della testa, ha la calotta arrotolata e la tesa bassa, spesso sul cap-pello venivano cuciti differenti tipi di fiocchi, che assumevano diversi significati. Conferisce a chi lo indossa un’aria di in-trigante mistero e maliziosa sensualità. La parola francese cloche in italiano signifi-ca campana, ed è proprio la forma che assu-me il cappello. Con la nuova moda di anda-

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re in automobile le signore adottano berrette e cloche in panno, con grandi oc-chialoni e lunghe sciarpe che stringono la testa cercando di impedire alla polvere di rovinare le acconciature. Il 1929 segna il massimo successo del feltro ma anche l’inizio della grande crisi che si farà senti-re anche in Italia sia sul mercato interno che su quello estero. La bombetta all’ame-ricana e l’Homburg emblematici copricapo dei grandi finanzieri son testimoni del tracollo della borsa di New York. Le cam-pagne pubblicitarie su riviste e giornali cercano di arginare il difficile momento che non risparmia i cappellifici. Grande im-portanza è data all’eleganza maschile an-cora ispirata alla moda inglese. In genera-le il modo di vestire si fa più informale, grazie anche all’influenza delle uniformi e alla grande diffusione di nuovi capi tratti dal mondo militare. Trionfa il “su misura”, i sarti e le riviste illustrate dettano lo stile della vita elegante. Alle corse si va con il mezzo cilindro. Gli squash hats, feltri chiari, morbidi, cardati a mano portati con l’ala abbassata davanti si accompagnano con il gessato alla Gatsby con vita stretta e ben sagomata. Le tinte dei cappelli amplia-no la propria gamma in rapporto agli abiti e diventa abituale cambiarsi nei diversi mo-menti della giornata. Lo stile anni Trenta è fortemente influenzato dal modello ame-ricano che porta una ventata di rinnova-mento per l’intera Europa. Dagli Stati Uniti arriva il Trilby, spregiudicata variante del-la severa linea Borsalino. Ai giovani piace lo Scoop con un’ala formata a scodellot-

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to, molto curva e alta sul retro. Il Panama a tesa larga si orna di una fascia di cotone fantasia. Il Tweed Fishing Hat, il cappello impermeabile, si usa per gli sport all’aria aperta, ma nel golf non manca chi indossa il cappello alla Sherlock Holmes. Nelle lo-calità alpine di villeggiatura si acquistano cappelli tirolesi di feltro o di loden orna-ti d penne di fagiano o da uno spazzolino di tasso. Le piume di gallo forcello sono il massimo della raffinatezza. Cominciano a farsi sentire i venti di guerra. Vittorio Emanuele divenuto imperatore d’Etiopia si mostra in casco coloniale. Il basco blu ac-compagna i volontari italiani nella guer-ra di Spagna. Il segretario Starace rende obbligatorio il fez che non può mancare sulla testa degli “arditi”. Il modello era il copricapo a tronco di cono, di colore rosso, con fiocchetto di seta nera in uso nell’impero ottomano e più tardi nei paesi arabi. Il nome è quello della capitale del Marocco dove si fabbricava per esportarlo nei paesi islamici. Sotto il Fascismo venne-ro di moda quelli di orbace, il panno tinto fatto in Sardegna. Il materiale di fabbrica-zione finisce per dare il nome al berretto e l’orbace si affianca al casco coloniale co-lor kaki. Un’ ennesima rivoluzione nella moda si verifica nell’estate del 1930, quan-do gli stilisti e i designer decisero che era ora di abbandonare le linee angolose e ri-gide del modernismo, per preferire nuove morbidezze e linee curve nei drappeggi de-gli abiti, nelle linee ondulate delle accon-ciature e negli arredi. Gli abiti divengono leggermente ampi attorno al busto , ma la

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vita è nuovamente marcata, mentre le gon-ne iniziano ad allargarsi e a scendere a metà polpaccio e fino alla caviglia. Nel 1935 in Italia nasce l’ Ente Nazionale della Moda, favorito dal clima di completa au-tarchia portato avanti dal governo fasci-sta che per tutti gli anni al potere promos-se una moda nazionale. Con l’autarchia arriva il lanital, la fibra ottenuta dalla caseina del latte che fa rimpiangere i feltri di castoro e di garenne ormai solo un lon-tano ricordo. Essere belli diventa non solo un piacere, ma quasi un dovere. Quan-do nel 1942 la produzione di cosmetici in America fu fermata per due mesi, si crearo-no talmente tanti tumulti che il trucco fu considerato bene di prima necessità. Nel corso della guerra la donna doveva offri-re un aspetto curato ed elegante, per con-tribuire a sollecitare l’animo dei soldati. All’inizio del periodo, le forme dei cappelli alla moda si allargano nuovamente, con ampie tese, ricche decorazioni e guarnizio-ni floreali. Tra il 1930 e il 1935 si prediligo-no forme grandi e lievemente inclinate su di un lato per il giorno, mentre per la sera si adottano forme più piccole, più facil-mente abbinabili ai grandi colli di pellic-cia; negli anni seguenti le dimensioni si fa-ranno sempre più piccole e le creazioni talvolta quasi impalpabili. Le attrici pro-muovono modelli da imitare, e, secondo il gusto, si usano cloche tradizionali, cap-pelli sbarazzini alla Katherine Hepburn, o modelli più sensuali ispirati da Joan Craw-ford. In Italia la fantasia delle modiste adatta al cappello ogni genere di materia-

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le creativo, da quelli più tradizionali, come il feltro, il velluto, la paglia, il taffe-tà, le piume di struzzo e le aigrette, a quelli più innovativi, come il cellophane e il ra-yon. Le influenze surrealiste provenienti dalla Francia, di cui un esemplare molto noto è il cappello scarpa con tacco rosso di Elsa Schiaparelli e Salvador Dalì del 1937, avranno un seguito anche nella produzio-ne di cappelli dalle forme curiose e fanta-siose. È in questo periodo che si affermano in Italia ditte specializzate in accessori esclusivi e raffinati come Gucci, Franzi e Frattegiani. Ma i cappelli si fanno rari. La guerra demolisce anche l’eleganza ispirata alla “perfida Albione” (l’Inghilterra). Ci si copre alla meglio con vecchi feltri, ber-retti di lana e baschi. La inarginabile chiu-sura dei mercati transoceanici porta al de-clino della famosa industria cappelliera monzese. Terminata la guerra si sente un gran desiderio di risollevarsi, di cercare di nuovo eleganza, bellezza, lusso. La moda di fine anni Quaranta riprende rapidamen-te la sua ascesa. Le vetrine, specie nelle grandi città, tornano a riempirsi di arti-coli raffinati. In Europa l’esistenzialismo e il neo-positivismo diffondono nuovi mo-delli di riferimento e nuove riflessioni, fino a divenire veri e propri stili di vita. I giovani accolgono prontamente questi nuovi modelli e, se da una parte questo è il tempo dei frigoriferi bombati e dei juke-box, del rock and roll, di Elvis Presley, di Marilyn Monroe e di James Dean, dei tessu-ti sintetici e delle cucine plastificate, dall’altro canto è anche il tempo della ri-

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volta contro l’immagine paternalistica della piccola borghesia. L’eleganza maschi-le guarda ancora una volta all’Inghilter-ra, ma gli accessori di stile sono italiani. Attraverso il cinema arrivano le immagini dei divi di Hollywood. Il berretto nero e rigido con visiera militare accompagna il conturbante Marlon Brando in Fronte del porto mentre il tenebroso James Dean lancia i grandi cappelli da cowboy. Sull’on-da dei western i cappellifici propongono modelli casual morbidi, a colori pastello che sembrano incontrare il gusto dei gio-vani, ma quando si pensa al tipico cappello da cow boy ci si riferisce certamente allo Stetson. Fatto di feltro impermeabile, ma meno rigido del sombrero che fu il suo ispiratore latino-americano, è forse il cap-pello più famoso della storia americana. Secondo la tradizione gli uomini del West non se lo toglievano mai dalla testa. In Francia nasce il New Look con il modello Bar della collezione Dior primavera-estate del 1947, che è diventato il simbolo del rin-novamento dell’alta moda parigina. In Ita-lia la moda era ancora molto indietro, an-che perché le case produttrici facevano riferimento alla moda di Parigi. Milano era il centro di diffusione delle informa-zioni sulla moda. Ma è a Firenze che Giovan Battista Giorgini , nel febbraio del 1951, ebbe l’idea di investire sulla moda per lan-ciare la prima manifestazione internazio-nale di moda italiana: dapprima a casa sua, poi al Grand Hotel, per approdare infine nella cornice più suggestiva e appropriata, quella della Sala Bianca di Palazzo Pitti a

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Firenze. Gli stilisti che con coraggio sfi-darono il mercato parigino e vi partecipa-rono furono Carosa, Alberto Fabiani, le Sorelle Fontana, Germana Marucelli, No-berasko, il marchese Emilio Pucci, il princi-pe Emilio Schurberth, Simonetta Visconti di Cesarò, la Tessitrice dell’Isola, Vanna, Jole Veneziani, ed inoltre Franco Bertoli e Giuliano Fratti per gli accessori. Gli anni Cinquanta sono l’ultima grande epoca del cappello femminile, che presto perderà la sua importanza, spazzato via dai nuovi ven-ti di contestazione degli anni Sessanta. Al-lora però una signora non usciva mai di casa senza, e le forme sono inizialmente ampie, talvolta a pagoda e altre a tesa oriz-zontale e alta, simile a un disco, per diveni-re poi preferibilmente piccole, dalla calot-ta aderente alla testa, o turrite, ma senza mai esagerare. All’inizio degli Anni Cin-quanta si organizza a San Remo il Festival della moda maschile. L’obiettivo è quello di ricreare una clientela selezionata e di gusto raffinato dal momento che il cap-pello si va perdendo sempre più come og-getto d’uso quotidiano. In Svizzera si tiene il Congresso Internazionale del Cappello. L’Associazione delle Industrie europee di cappelleria studia nuove fogge per rilan-ciare alla grande il cappello di feltro. Ver-so la metà degli anni Cinquanta il cappello sembra già perdere il suo posto nella vita di ogni giorno mentre continua ad avere un ruolo di primo piano tra i personaggi che si dividono gli onori della cronaca. Un classico feltro grigio accompagna il divo Gregory Peck nelle sue vacanze roma-

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ne mentre si fa strada l’uso del cappello duttile e maneggevole in tweed quadretta-to o a pied-depoule simile a quello che di-venterà per eccellenza “il cappello da regi-sta” sulla fantasmagorica testa di Federico Fellini. Sono anni in cui il cappellaio è an-cora un consigliere prezioso che esercita la propria arte nel suo negozio-atelier. Le operazioni finali vengono fatte nelle cap-pellerie al momento della vendita. In que-ste boutiques si sagoma il cappello secon-do la moda del momento, lo si spazzola e si rifinisce la lucidatura; infine lo si guarni-sce: si applica la fodera, si cuce una striscia interna dove il feltro viene a contatto con la testa e, volendo, si applica una galla o una piuma. Gli anni Sessanta sono gli anni delle contestazioni giovanili, dei di-ritti alle donne, dei mezzi di comunicazio-ne di massa, primo fra tutti la televisione,ma sono anche gli anni in cui le tensioni cre-atesi nel corso degli anni Cinquanta tra Europa dell’Est ed Europa dell’Ovest si con-cretizzano prendendo la forma del Muro di Berlino. La moda giovanile deve essere nuova, la modernità è rappresentata da un corpo giovane e libero da costrizioni, da un abbigliamento che rifugge dal conside-rare la donna come un oggetto e facilita invece una vita attiva e agile, sia per la don-na che per l’uomo. Il cappello, indiscusso simbolo di eleganza per molti secoli, perde adesso la sua importanza, sia perché si mo-dificano le “regole del gioco”, la società stessa non desidera più riconoscere un va-lore alle antiche tradizioni, sia perché il nuovo taglio corto e sbarazzino non ama

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i cappelli troppo eleganti. I secoli seguenti saranno anni bui per il cappello fino alla sua riscoperta durante il XXI come acces-sorio d’Alta Moda.

odry hepburn in “my fair lady”film del 1964

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Cappelli e acconciature dall’ “album Blouses Nouvelles”, Francia 1902

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La cloche è un tipo di cappello femminile con la caratteristica forma a campana (Cloche appunto)

e fu ideato dalla stilista Caroline Reboux.

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Schizzi di cappelli, 1937Acconciatura ispirata da salvator dalì

e realizzata da elsa schiaparelli.

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IL CAPPELLO NELL’ALTA MODA

Per parlare dell’epoca attuale il cappel-lo furoreggia nelle sfilate internazio-nali, ma Londra oggi può essere conside-rata il centro creativo del mondo della modisteria;Stephen Jones e Philip Treacy creano i cappelli più fantasiosi e scioccan-ti che ammiriamo nelle collezioni delle case di moda più innovative, come Cristian Dior, John Galliano e Alexander McQe-en. Stephen Jones appare sulla scena della moda di Londra con la nascita dello stre-et style nella fine degli anni Settanta. Nel 1980 aveva già il suo primo salone modista nel cuore di Covent Garden di Londra. Fin dalla sua comparsa nel campo della modi-steria ha realizzato dei cappelli unici nel-lo stile e nelle forme che possono essere definiti a pieno titolo opere d’arte. I suoi copricapo, firmati con il brand “Stephen Jones Millinery”, sono stati indossati dalle personalità più celebri, da Lady Diana a i Rollin Stones; ha collaborato con stilisti del calibro di Jean Paul Gaultier, Vivien-ne Westwood, Thierry Mugler, Christian Dior, John Galliano, Comme des Garçons e Marc Jacobs. Philip Treacy, altro genio nella modisteria e anche lui londinese,ha disegnato cappelli per Alexander McQueen, per Karl Lagerfeld da Chanel, per Valen-tino, Ralph Lauren e Donna Karan. Molti altri sono i nomi di coloro che con la loro arte hanno riportato il cappello al suo ormai dimenticato splendore, facen-dolo rivivere come simbolo di stile ed ele-ganza ma donandogli quel pizzico di stra-

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vaganza, grazie all’utilizzo dei materiali più svariati. Indossando questi copricapo si ha la sensazione di entrare a far parte di una scena teatrale o di fare un salto nel passato. Il cappello d’alta moda diviene nel nostro secolo un accessorio indispen-sabile per definire per definire un look.

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philip tracy, londra 2010

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Stephen jons, londra 2008

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CENTO CAPPELLIpalermitani

collezione privatadi

Eleonora Saitta

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il progetto di seguito esposto ha lo scopo di svolgere un lavoro di catalogazione di una collezione di cento cappelli palermitani ap-partenuti alla Baronessa Giuseppi-na Cacciatore in Bagnasco e alla Baronessa eleonora Bagnasco in Saitta, attualmente sono in posses-so dell’architetto eleonora Saitta., loro nipote. in particolare la cata-logazione riguarderà una piccola parte della collezione. La selezione è stata effettuata seguendo un cri-terio di ricerca incentrato sulla si-militudine con la collezione “hat” da me realizzata.inoltre si stabilisce che la relazione con altri oggetti sia ciò che viene trasmesso per via documentaria.

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autore/ambito culturale: manifattura ita-liana

oggetto: cappello femminile

misure: O 56

datazione: 1920 circa

materia e tecnica: rasone di sintetico effetto stuola color nero; seta color nero; velluto di sin-tetico, liscio, unito color nero; taffetà di sintetico color nero; corona in gros di cotone color nero.

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n. 10; Palermo.

informazioni orali: Baronessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896 - 1988) ; informa-zione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile1920 circa

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autore/ambito culturale: manifattura ita-liana

oggetto: cappello femminile a tocco

misure: O 52

datazione: 1930 circa

materia e tecnica: rafia intecciata color lilla; nstro di sintetico cangiante color viola; corona di gros color lilla, cordoncino elasti-co color nero.

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo.

informazioni orali:Appertenuto alla Baro-nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896-1988), informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

relazione con altri oggetti: in abbina-mento con due tailleur in lino color lilla e verde. Informazione orale di Eleonora saitta; Palermo, 09/02/2012

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappeli editore ed.,Bologna 2004.

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cappello femminile a tocco1930 circa

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile

misure: O 52

datazione: 1935-40 circa

materia e tecnica: velluto di sintetico liscio unito color viola; tela di cotone color verde; tela di cotone color ceruleo; spilla in metallo, velluto di sintetico liscio unito color viola; spilla in metallo, velluto si sintetico liscio unito color nero; taffetà di sintetico color viola; anima in metallo; infustitu-ra interna rigida.

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo.

informazioni orali: appartenuto alla baro-nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896-1988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia specifica: Simonetta Trovato, seduzione e fascino d’altri tempi. Così vestiva-no le nostre nonne, <<giornale di Sicilia>>, 11 Marzo 2011, pag. 44-45

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile1930-40 circa

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile a cloche

misure: O 56

datazione: fine anni 20 del xx

materia e tecnica: velluto in sintetico li-scio a coste larghe color cammello, pelliccia color cammello; bottoni decorativi; taffetà color avorio; corona in gros color marrone.

informazioni orali:appartenuto alla baro-nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896-1988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo

bibliografia di riferiento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile a clochefine anni 20 del XX

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile a turbante

misure: O 56

datazione: 1928-1930 circa

materia e tecnica: tessuto sintetico elasti-co color beige; tessuto sintetico elastico co-lor marrone; spilla in metallo e plastica dura, color nero; taffetà color marrone.

luogo di conservazione:via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baro-nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896-1988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile a turbante1928-1930 circa

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto:cappello femminile a cloche

misure:O 56

datazione: anni 20 del xx

materia e tecnica: velluto di sintetico, li-scio, unito, peluchèe, color marrone, parzial-mente schiacciato; velluto liscio unito color marrone; taffetà di sintetico color marrone

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baro-nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896-1988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

etichette: ref.3454-00 / PP 2000

bibliografia specifica: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI seco-lo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

Page 71: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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cappello femminile a clocheanni 20 del XX

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile sagomato a clo-che

misure: O 57

datazione: 1960 circa

materia e tecnica: panno cotto di lana, pet-tinato, color blu; velluto di cotone liscio uni-to color indaco; taffetà sintetico color blu; corona in gros color blu

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baro-nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896-1988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

etichette: bagnasco/020/cappello

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

Page 73: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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cappello femminile sagomato a cloche1960 circa

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Autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile

misure: O 54

datazione:1940-50 circa

materia e tecnica: velluto di sintetico, li-scio unito color arancio; velluto di sintetico, liscio unito color avorio; taffetà di sintetico-moire color avorio; garza di sintetico color avorio; corona di gros color avorio; anima in metallo; infustitura della corona in cartone; spilla in metallo dorato e zircone; cordoncino elastico color nero

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baro-nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896-1988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia specifica: Simonetta Trovato, Seduzione e fascino d’altri tempi. Così vestiva-no le nostre nonne, << Giornale di Sicilia>>, 11 Marzo 2011, pag. 44-45

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

Page 75: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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cappello femminile 1940-50 circa

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile con falda

misure: O 56

datazione: anni 70 del xx secolo

materia e tecnica: paglia intecciata; cadì di misto seta color marrone; corona in gros co-lor beige

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baro-nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896-1988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia di specifica: Simonetta Trova-to, Seduzione e fascino d’altri tempi. Così vesti-vano le nostre nonne, << Giornale di Sicilia>>, 11 Marzo 2011, pag. 44-45

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile con faldaanni 70 del XX secolo

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile con falda

misure: O 54

datazione:1940 circa

materia e tecnica: paglia intrecciata; nastro in gros color avorio

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baro-nessa Eleonora Bagnasco in Saitta (1921-2008); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/01/2012

bibliografia di riferimento:PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

Page 79: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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cappello femminile con falda1940 circa

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile

misure: O 56

datazione: 1950 circa

materia e tecnica: paglia intreccia-ta plastificata; nastro di tessuto sinteti-co con decorazioni geometriche color blu, celeste,grigio,marrone

luogo di conservazione: via principe di belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baro-nessa Eleonora Bagnasco in Saitta (1921-2008); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

Page 81: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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cappello femminile1950 circa

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autore/ambito culturale: manifattura italiana o francese

oggetto:cappello femminile a tocco con tesa

misure: O 26

datazione: 1960 circa

materia e tecnica: panno cotto di lana co-lor beige, peluchèe; collant di sintetico color marrone; collant di sintetico color tanè; cor-doncino elastico color nero

luogo di conservazione: via principe di belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali:

etichette: bagnasco/020/cappello

timbri/marchi: flechet/ made in france

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

Page 83: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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cappello femminile a tocco con falda1960 circa

Page 84: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile a tocco con falda larga

misure: O 47

datazione: 1950-55 circa

materia e tecnica: rafia intrecciata color nero; velluto di sintetico, liscio, color nero; anima in metallo; cordoncino nero elastico

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto all Baro-nessa Eleonora Bagnasco in Saitta (1921-2008); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia specifica: Simonetta Trovato, Seduzione e fascino d’altri tempi. Così vestiva-no le nostre nonne, << Giornale di Sicilia>>, 11 Marzo 2011, pag. 44-45

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

Page 85: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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cappello femminile con falda larga1950-55 circa

Page 86: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile ad ampia falda

misure: O 54

datazione: anni 70 del xx secolo

materia e tecnica: panno in feltro di lana color rosso; pelle color nero; fibia in metallo color nero; corona in gros color rosso.

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla baro-nessa Eleonora Bagnasco in Saitta (1921-2008); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote , Palermo 09/02/2012

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

Page 87: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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cappello femminile ad ampia faldaanni 70 del XX secolo

Page 88: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile a tocco con ampia tesa

misure: O 46,5

datazione: fine anni 50 del xx secolo

materia e tecnica: tela di cotone color avorio, operata per schiacciamento; tela di sin-tetico xolor nero; corona in gros di cotone color nero; cordoncino elastico color nero; spilla in metallo dorato e materili plastici

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baro-nessa Eleonora Bagnasco in Saitta (1921-2008); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile a tocco con ampia tesafine anni 50 del XX secolo

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile a tocco con ampia falda

misure: O 49

datazione: fine anni 70 del xx secolo

materia e tecnica: panno cotto di lana inta-gliato, steccato, color nero; velluto di cotone liscio unito, color verde; velluto di cotone li-scio unito color rosso; corona in gros di co-tone color nero; cordoncino elastico color nero.

luogo di conservazione: via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla baro-nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896-1988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costu-me e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXIsecolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

Page 91: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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cappello femminile a tocco con ampia faldafine anni 70 del XX secolo

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red hatcirconferenza 90 cm

feltro rosso cucito a mano

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Il progetto di seguito esposto ha lo sco-po di misurare le conoscenze acquisite durante la frequenza del corso di proget-tazione della moda, ed in particolare nel campo del design dell’accessorio attraver-so l’analisi e la rielaborazione del coprica-po. La prima fase del progetto prevede lo studio del copricapo tramite la sua storia nei vari secoli, con lo scopo di acquisire le differenti tipologie per poi utilizzarle nella realizzazione di una collezione che è il fine ultimo del progetto. Varie esperien-ze segnano il percorso creativo;lo studio dei materiali come ad esempio il feltro, il panno, la carta, il carton cuoio e molti al-tri che saranno utilizzati come supporto fondamentale e necessario per dar vita a forme elaborate di copricapo. La parte spe-rimentale consiste in elaborate ed articola-te forme che daranno vita alla collezione vera e propria che è caratterizzata da for-me rigide che divengono un tutt’uno con gli elementi decorativi che ne fanno parte.

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white cone 2011circonferenza 88 cm

feltro bianco cucito a mano; cordoncino blu

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red cone 2011circonferenza 88 cm

feltro rosso cucito a mano; cordoncino blu

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modellazione 3D a cura di chiara amodei

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black cone 2011circonferenza 88 cm

feltro nero cucito a mano; nastro bianco

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modellazione 3D a cura di chiara amodei

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spirals 2011circonferenza 93 cm

feltro blu cucito a mano

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modellazione 3D a cura di chiara amodei

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red burton hat 2011circonferenza 93 cm

feltro rosso cucito a mano

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blu burton hat 2011circonferenza 93 cm

feltro blu cucito a mano

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white hat 2011circonferenza 53 cm

feltro bianco e panno nero cucito a mano

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black and white hat 2011circonferenza 59 cm

feltro bianco e panno nero cucito a mano

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black hat leavers 2012circonferenza 93 cm

feltro bianco e nero cucito a mano

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hat blue leavers 2012circonferenza 93 cm

feltro blu cucito a mano

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blue hat and red 2012circonferenza 57 cm

feltro blu e rosso cucito a mano

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book

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ELABORAZIONI

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156 blue hats

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157blue hats

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Page 163: HAT applicazioni dell'arte nella moda

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red cone hat 1

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red cone hat 2

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red cone hat 3

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red

hat

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red hat three horns 2011circonferenza 90

feltro rosso

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red hat horn 2011circonferenza 90

feltro rosso

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red hat three horns 2011circonferenza 90

feltro rosso

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disegni di tipogie di cappelli

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176 cappelli tipici

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177cappelli tipici

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178 cappelli tipici sovrapposti

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179cappelli tipici sovrapposti

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180180 cappelli tipici sovrapposti

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181181cappelli tipici sovrapposti

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BIBLIOGRAFIA

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A. COLONETTI G. SASSI M.M. SIGIANI ( a cura di ), Cosa ti sei messo in testa. Storia e geografia del cappello, Mazzotta, Milano, 1991.

Blumenkranz Bernhard, ”Il cappello a punta”. L’ebreo medievale nello specchio dell’arte cristiana, a cura di Chiara Frugoni, Laterza ed., Roma-Bari 2003, prima ed. francese, 1966

Henri Bresc, “Arabi per lingua Ebrei per religione”.L’evoluzione dell’ebraismo siciliano in ambiente latino dal XII al XV secolo,a cura di Laura Sciascia,Mesogea ed., Messina 2001.

Isidoro La Lumia,” Gli Ebrei siciliani” , Sellerio ed., Pa-lermo 1984, Biblioteca della regione Sicilia ,assessorato dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione, coll. 1644.6

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di sto-ria del costume e della moda, vol. 2 Dal Quattrocen-to al Settecento, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e 21. secolo, ibidem.

LEVI PISETZKY, ROSITA, Storia del costume in Italia, 2, Enciclopedia della moda vol. 2, Giovanni Treccani ed., Roma 2005.

L. B. SCARPELLI R. DI LORIO,il tempo del vestire: ma-nuale di storia del costume e della moda dall’anno mille al settecento, vol.2, zanichelli ed. , roma 2009.

L. B. SCARPELLI R. DI LORIO,il tempo del vestire: ma-nuale di storia del costume e della moda dall’anno mille al settecento, vol.3, ibidem.

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ringraziamenti

si ringrazia il Professore Sergio Pausig per la sua sapiente guida artistica, per avermi seguita con abile maestria in questo per-corso creativo e negli anni passati; il Pro-fessore Vittorio Ugo Vicari, per avermi in-dirizzata, grazie alla sua infinita cultura, alla scoperta della storia del cappello. la signora Eleonora Saitta per la sua dispo-nibilità. la mia famiglia e tutti coloro che mi hanno sostenuta in questa avventura culturale.