“Happy Deathday” di Anita Book

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Talia e Melinda sono amiche per la pelle. Malgrado le diversità caratteriali, si completano. Per il diciottesimo compleanno di Alexia Carrington, la più popolare e corteggiata della scuola, decidono di iscriversi alla lista degli invitati per partecipare agli esclusivi festeggiamenti, ma qualcosa va storto. Qualcosa di inquietante e oscuro che minaccerà le vite delle due ragazze e la cui sete di sangue sarà implacabile.

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Anita Book

HAPPY DEATHDAY

RaccontoIllustrazione di copertina di Cecilia Flumian

Happy Deathday©Anita Book 2014

A tutti i miei lettori, perché hanno sempre saputo aspettare e perché hanno incoraggiato i miei sogni a spiccare il volo.

1

Melinda fissò il menù tutta concentrata e alla fine scelse unmuffin alla vaniglia e un frappuccino al caramello. Fece scivolarela brochure sul tavolo, in direzione di Talia, la sua miglioreamica, che le sedeva di fronte e che si mise a leggere con fare svo-gliato. — Mi sembra di essere al McDonald’s — borbottò. Scorse la pa-

gina delle bevande e quando passò a quella dei dolci non potétrattenere una smorfia. — La gente è convinta che qui troveràcibi sani e nutrienti e invece ingurgita quintali di sostanze sinte-tiche, edulcoranti dai nomi raccapriccianti e roba che ti tappezzail cervello di schifezze.Si abbandonò contro lo schienale, prostrata. Melinda roteò gli

occhi al cielo.— Preferisco avere il cervello tappezzato di schifezze piuttosto

che sopravvivere con alghe marine. — Le indirizzò un’occhiataeloquente. — Quand’è che imparerai a goderti la vita, Tal?— Chi ha detto che non mi godo la vita? Sono vegetariana, e al-

lora? Scusa tanto se voglio campare senza trasformarmi in unadiscarica ambulante — sbottò. — Oh, sei una vera rompiscatole. — Melinda tirò fuori dalla

borsetta un cellullare super compatto. — Cacchio! Otto messaggie tre chiamate perse. Dannata vibrazione! — Mosse le dita sullatastiera prima di fermarsi e dichiarare: — Ehi, c’è anche un SMSper te. Talia assottigliò lo sguardo, curiosa e circospetta. — Per me? E

da parte di chi? — Non ti piacerà. È Leonard. Il viso di Talia divenne rubizzo. Allungò una mano. — Da' qua.

Melinda non fiatò e le consegnò il telefono. — Ma guarda… — Talia sfoderò un sorrisetto ironico. — “Non

so come chiederle scusa. Non risponde alle mie chiamate né aimiei messaggi in segreteria. Sono stato uno stronzo, lo so. Puoidirle che ho bisogno di vederla?” — Emise uno sbuffo e riconse-gnò il cellullare a Melinda. — Patetico. — Non vuoi rispondergli? — Non se lo merita.— Hai ragione, però ti farebbe bene. — Alzò le spalle e rimise il

cellulare in borsa. — Trattenere la rabbia incrementa il dolore.L'ho letto su Vanity Fair. — L'oracolo delle verità — ironizzò Talia. Melinda le lanciò il tovagliolo. — Ridi pure. Sto solo cercando

di darti una mano se non l'hai ancora capito. In quel momento, una ragazza con un berretto calato sulla testa

e una polo nera si materializzò al loro tavolo. Aveva un marchin-gegno elettronico tra le mani. — 'Giorno ragazze, cosa vi porto? — disse. La sua voce era calda

e cortese. — Un muffin alla vaniglia e un frappuccino al caramello, per

me — recitò Melinda con orgoglio. La ragazza ticchettò sullo schermo con l’unghia laccata dell’in-

dice. — E per te? — Niente, grazie — rispose Talia, e non le sfuggì l’occhiata truce

dell’amica. La ragazza allargò il sorriso, prese il menù che era sul tavolo e

si allontanò. Melinda tossicchiò. — Dunque — disse — mancano solo due

giorni alla festa e…— No, ti prego. — Talia levò gli occhi al cielo. — Non ricomin-

ciare. Non cambierò mai idea, Mel. La mia risposta sarà sempreno, no e no. Melinda si mosse sulla sedia, a disagio. — Ma… Insomma, è

soltanto un party di compleanno! — Di Alexia Carrington, o te ne sei dimenticata?

— Sì, ma il punto non è questo. A me serve un po' di vita so-ciale. Da quant'è che non ce la spassiamo, eh? — Il tono si erafatto supplichevole. — Spassarcela? Non ne avevamo già parlato? Niente occasioni

di contagio con il gregge, niente emulazioni di massa. Melinda sospirò, stanca. — Ma che problema c'è se per una

sera pensiamo a divertirci? Abbiamo quasi vent'anni. Non voglioarrivare ai quaranta con il rimpianto di ciò che avrei potuto farein gioventù. Piombò il silenzio. Talia intravide in lontananza la cameriera

che tornava con le loro ordinazioni e poi la porta d'ingresso siaprì. Alexia Carrington entrò circondata dalla sua congrega dischiavette pronte a esaudire ogni suo desiderio. Talia sentì lostomaco contrarsi, come quando le venivano i crampi per unaindigestione. Non poteva sopportarla. Quella ragazza era unconcentrato di arroganza e superbia che le dava la nausea.Quante ingiustizie aveva subìto per causa sua.— Tal? — Melinda le posò una mano sul braccio. — Tutto bene?

Non fare caso a quello che ho detto. Non ci andremo a quellastupida festa, tranquilla. Ma Talia non la stava ascoltando. I suoi occhi erano puntati su

Alexia, che si era avvicinata al bancone a si era issata su uno sga-bellino girevole facendo sollevare di parecchi centimetri la mi-nigonna che le fasciava i fianchi, calamitando l'attenzione ditutti i ragazzi presenti in sala. A Talia venne voglia di romperlequalcosa in testa e di cancellarle dalla faccia l'espressione capar-bia e insolente che aveva. — Ecco a voi. — La cameriera ricomparve al loro fianco e servì

Melinda. Alexia Carrington allora si voltò e finalmente le vide. Talia ne

fu felice, perché il sorrisetto beffardo che le regalò andò a segnoe, anche se per pochi secondi, osservò il viso della ragazza pie-trificarsi, negli occhi un guizzo di livida incredulità. Poi, però, accadde il disastro. L'imprevedibile. Alexia si portò il cellulare all'orecchio, tenendo lo sguardo fisso

su Talia, e le sue labbra scandirono un provocante e mellifluo«Ehi, Leonard». Una sfida. La rabbia l'accecò, ma sapeva che nulla poteva in quel mo-

mento. La vendetta le avrebbe concesso una gloria momentanea,rifletté, ma non avrebbe estinto l'odio. Così, le balenò un'idea. — Aspetti! — Talia sfiorò il braccio della cameriera che stava

lasciando il tavolo. — Mi è venuta una gran fame. Vorrei unafetta di cheesecake ai frutti di bosco e un the al limone. La ragazza appuntò il tutto sull’affare elettronico e mostrò il

suo sorriso affabile. — Arrivo subito. Melinda aveva la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite. — Cosa mi sono persa? È un sogno e tra poco mi sveglierò?— No — disse Talia lanciando l'ultima occhiata in direzione di

Alexia. — Nessun sogno. E, già che ci sei, inizia a pensare a qual-cosa di decente da prestarmi. Sono a corto di abiti da feste dicompleanno.

2

Il lungo sospirò che fuoriuscì dalle sue labbra appannò il vetrodello spec-chio. Proprio non andava. Faceva fatica a riconoscersi nell’imma-

gine riflessa. Aderire alla lista degli invitati alla festa era statoun grosso sbaglio, e solo perché l'orgoglio e la rabbia l'avevanosottomessa, facendole perdere il buonsenso. Che le importavase Alexia Carrington si portava a letto il suo ex fidanzato? Ave-vano chiuso, oramai, non avrebbe dovuto provare più niente. Epoi, Alexia Carrington poteva tutto. Era figlia di Mark Carrington, illustre avvocato, e Patricia

Browne, un'ereditiera che disponeva di mezza Kensington. Lasua era una vita senza sbavature, piena di amici ricconi amantidel golf, corteggiatori con una collezione di carte di credito aportata di tasca, guardaroba firmati e automobili con vasca idro-massaggio nel vano posteriore. A scuola non faceva che atteg-giarsi, umiliare i più deboli, minacciare i secchioni per avere lerisposte ai test di verifica, appartarsi durante la mensa con lasua cerchia di adepte senza scrupoli e tirare scherzi crudeli allematricole.Talia aveva imparato in fretta a tenerla alla larga. Era la cosa

più saggia da fare. Ruotò la manopola del rubinetto e si sciacquò il viso con dei

getti d’acqua fredda. Qualcuno bussò prepotentemente allaporta.— Scusa, hai finito? — Una voce femminile, lieve inflessione

francese. Una delle favorite della festeggiata, sicuro, e quindiuna rogna. Talia si asciugò la faccia gocciolante su una salvietta appesa

accanto al lavandino, e uscì. — Pensavo che fossi caduta nel cesso — disse la biondina che

stava di fronte alla porta con le braccia conserte e un’espressioneinsolente in viso. Talia accennò un sorrisino sarcastico. — No, ma dovresti starci attenta. Potresti essere tu la sua

prima vittima. La ragazza irrigidì i muscoli ma non ribatté. Si limitò ad alzare

il mento e a infilare la porta per poi sbattersela alle spalle. Talia imboccò uno dei corridoi di casa Carrington assiepati di

adolescenti in calore. Non la smetteva di sistemarsi la gonna del-l'abito che Melinda le aveva prestato per la serata. Le arrivavaal ginocchio ma per lei era di una lunghezza oscena. Afferrò un bicchiere di punch da uno dei vassoi sparsi per la

stanza e mandò giù un paio di sorsi. Strizzò gli occhi. Era disgu-stoso. — Talia! — Melinda sventolava una mano nel tentativo di farsi

notare in mezzo alla marmaglia di gente che la soffocava. Erabloccata dietro una pianta di ficus. Talia si fece largo e la raggiunse. L’aria era satura di odori sgra-

devoli, tipo sudore, formaggio e scarpe da tennis stagionate. — Ma dov’eri finita? — Melinda la trascinò in un angolo. — Ti

ho completamente perso di vista, cominciavo a preoccuparmi.— Sono sana e salva, mammina — la canzonò Talia. Melinda non approvò. — Scherza pure, credevo che mi avessi

scaricata. — Tranquilla, avevo solo bisogno di una rinfrescatina. Che stai

mangiando?Melinda abbassò lo sguardo sul piatto di plastica che teneva in

mano.— Crocchette di pollo — disse. — Risparmiati la ramanzina,

non ci sono additivi sospetti qui. Lo zio di Alexia ha una fattoriaa sud del paese. Tutti prodotti biologici. Talia fece un'espressione poco convinta, ma non aggiunse

altro. Invece disse: — Allora, come va con il tuo ritorno nel

mondo degli zombie?— Una meraviglia. C’è un sacco di gente interessante. Ho co-

nosciuto un ragazzo che è un appassionato di teosofia. Fico, eh?— Addentò una crocchetta. — E tu?— Teo cosa? — Talia ignorò la sua domanda. — Una specie di… religione degli schizzati — chiarì Melinda

gesticolando. — Vai a capire. Il fatto è che il tipo era davvero ca-rino, perciò… come dire, non sono stata molto attenta ai suoi di-scorsi. — Arrossì. — Capisco. — Talia scosse il capo. — Vuoi sapere cos'ho sco-

perto io, invece? Che il bagno dei Carrington è la stanza dellacasa che mi piace di più. Melinda ridacchiò. — Quanto tempo sei rimasta chiusa là den-

tro?— Abbastanza da poterne ammirare il raffinato gusto estetico.

Mi sembra di essere finita in un incubo. Mi rammenti perchél’ho fatto?Melinda le circondò le spalle. — Perché sei la mia migliore

amica ed eri in debito con me.Talia esalò un sospiro esausto. — Dimmi che l’ho saldato, que-

sto debito.— Vedremo. La notte è ancora lunga, mia cara. — Le strizzò un

occhio. — Forza, andiamo. Ho ancora fame. E smettila di allun-garti il vestito. Accetta il fatto che sei uno schianto stasera, baby.

La cucina era ancora più affollata del salone d’ingresso. Sul tavolo erano disseminate lattine di birra, confezioni di bi-

bite, vassoi ricolmi di tartine, tovaglioli appallottolati, bicchieridi plastica e macchie umide di punch. Melinda rimpinzò il piatto e riempì il bicchiere fino all'orlo.

Era felice come non mai, e anche se non vedeva l'ora che quellatortura finisse, Talia ne era contenta. — Oh, eccovi qui. Allora le voci erano vere. Melinda e Talia s'irrigidirono. Solo una persona poteva usare

quel tono aspro.

Si voltarono piano e videro Alexia Carrington ritta sulla soglia,le mani poggiate sui fianchi e la chioma biondo oro ad accarez-zarle le spalle abbronzate. Accanto alla sua figura imperiosa, treragazze vestite e truccate praticamente come lei, che ne imita-vano gesti e sguardi. Talia si disse di restare calma. Melinda, dal canto suo, con-

trasse i muscoli. — Mi fa così piacere che siate venute — cantilenò Alexia giran-

dole intorno. — Se posso essere sincera, questa festa non sa-rebbe stata la stessa senza di voi. — Rivolse un sorriso talmenteaffettato che Talia provò un moto di nausea. — Risparmia le tue stronzate — si sentì dire. Forse troppo ad

alta voce, però, visto che gli occhi di Alexia si fecero sottili e am-monitori. Ma evidentemente non era in vena di discussioni. — Per voi dev'essere una rarità partecipare a questi eventi. Non

è così? — chiosò con un certo subdolo compiacimento. Talia serrò i pugni e se Melinda non le avesse stretto la mano

intorno al polso la rabbia l'avrebbe fatta uscire fuori di senno.Decise comunque di intervenire. — Veramente questa è solo una delle tante. — Mantenere la

calma era difficile. I suoi neuroni le inviavano immagini provo-catorie di Alexia e Leonard avvinghiati l'un l'altra, intenti a con-sumare un impeto di passione, e più ci pensava più sentiva conchiarezza la stretta bruciante dell'odio che le offuscava la mente.— Sta' lontana da lui — le scappò in un ringhio. — Come scusa? — Alexia fece una faccia confusa. — Lascialo in pace — insisté Talia. Melinda fu pervasa da un senso di disagio. — Tal, che cavolo

combini? — sibi-lò.Alexia mosse un passo avanti e il suo viso fu a poca distanza

da quello di Ta-lia. — Non ho capito bene. Da chi dovrei star lontana, io? — Hai capito benissimo, schifosa sgualdrinella — ribatté Talia.

— Se ti azzardi…

Le labbra di Alexia si sollevarono in un ghigno astuto. — Mi-nacciarmi non è una mossa assennata. Io non lo farei, se fossiin te — Il suo alito aveva un odore acre.Tra le due trascorsero alcuni istanti di silenzio. Un silenzio tal-

mente teso da poterlo toccare. L'intento di Alexia era ovvio: ir-ritarla per tirare fuori la parte peggiore della sua indole, ma sisbagliava se pensava di riuscirci. Talia non batté ciglio. — Ragazze — disse allora Alexia, conscia dell'insuccesso — an-

diamo via. Non c'è più niente da vedere qui. Obbedienti come un branco di automi senza cervello, le tre ra-

gazze emisero uno sbuffo indignato e poi voltarono le spalle conostentazione, lasciando la cucina. — Che stronza. — Talia era ancora rossa di rabbia, ma il peso

sullo stomaco stava svanendo. Melinda la strinse a sé. — Già. Stronza e puttana. — Sospirò.

— Ma tu devi rifarti una vita e io accendermi una sigaretta. Stomorendo dalla voglia di fu-mare. — Sì — convenne Talia, — serve un po' d'aria fresca anche a

me. Uscirono sul terrazzino e la brezza serale scompigliò loro i ca-

pelli. Talia fu grata di bearsi di un po' di tranquillità. Melinda estrasse dalla borsetta il suo fedele pacchetto di siga-

rette e ne sfilò una lanciando occhiate di sottecchi all'amica, chese ne stava appoggiata alla balaustra, a fissare il nulla. Strinse la sigaretta fra le labbra e se l'accese. — Avanti, sputa

il rospo.Talia sbatté le palpebre. — Che?— Non provare a fregarmi, hai la stessa faccia di mia zia River

quando le morì il cane con cui aveva convissuto per sedici anni.Che ti prende? — È… è complicato — balbettò Talia chinando il capo.— Cosa è complicato? Avanti, Tal, hai appena fatto il culo a

quella smorfiosa e ti struggi nei sensi di colpa? Era ciò che simeritava e tu non puoi salvare il mondo. — Chi ha parlato di salvare il mondo? Io stavo solo pensando

che forse…— Che forse?— Che forse sono stata un tantino dura nei suoi confronti —

sbottò infine. Melinda stette un attimo in silenzio. — Mi auguro che tu stia

scherzando — disse poi, buttando fuori una nuvola di fumo. —Quella è Alexia Carrington e tratta da schifo chiunque non siase stessa. Sei stata anche fin troppo gentile. — Mel, non era ad Alexia che mi riferivo. — La stava fissando

dritto negli oc-chi. — Oh… Leonard — fu tutto ciò che riuscì a pronunciare l'amica. — Non riesco a smettere di amarlo — ammise Talia, gli occhi

velati. Melinda aspirò un'altra boccata. — Brutto affare — commentò. — Già. — Ehi, — Melinda le posò una mano sulla spalla — non è mica

il tuo funerale. Ti capisco, sei incazzata con quello stronzo e vor-resti prendere a pugni il mondo, anzi con molta probabilitàprenderesti a pugni persino me, ma non puoi martirizzarti. Talia levò lo sguardo. — Mel, non ho bisogno di…— Dico sul serio. Se lo ami ancora ed è lui ciò che vuoi, va' a ri-

prendertelo. Ma ti devi dare una mossa, o perderai il treno. — Se mia madre fosse qui forse… — La voce sfumò. Il coraggio

di pronunciare il resto di quella frase venne meno. — Tal…— Lascia stare. — Talia sfoderò un sorriso di circostanza e si

passò il dorso della mano sulla guancia, là dove una lacrima leaveva bagnato la pelle. — Sono soltanto una sciocca, ecco tutto.Non dovrei provare sentimenti per Leonard. È sbagliato. Melinda gettò il mozzicone oltre la ringhiera e le strinse una

mano.— Niente lo è, in amore. E tu devi ascoltare il tuo cuore — disse.

— Sei come una sorella per me e non permetterò a niente e anessuno di farti soffrire. — Non so proprio come farei senza di te.

Melinda drizzò le spalle e sollevò il mento. — Ah, dovrebberoinventarmi se non esistessi. — Si guardarono un secondo e simisero a ridere. — Cosa mi suggerisci di fare? — chiese poi Talia. — Vediamo… Per prima cosa una piccola vendetta. Se vuoi che

torni strisciando ai tuoi piedi come un cagnolino bastonato deviaccalappiarlo per le mutande. Fallo morire di gelosia. Potrestiposare nuda per la copertina di Playboy. — Mel!— Okay, okay, scherzavo. In realtà, il consiglio più intelligente

che possa darti è di lasciare che il tempo faccia la sua parte. Ve-drai, ne verrai a capo da sola, e senza nemmeno renderteneconto. Vi ritroverete a sbaciucchiarvi come due piccioncini e afare tante altre sconcezze molto piacevoli. Talia si sentì avvampare e le diede una spintarella giocosa. —

Sei disgustosa. Melinda si profuse in una serie di esclamazioni sommesse. —

Oh, Leonard, sì, sì — e buttò la testa indietro come all'apice diun amplesso. — Smettila! — ma mentre lo diceva Talia borbottò una risatina

divertita. — Non posso credere che tu l'abbia fatto davvero. — Oh, andiamo, e io non posso credere che tra te e Leonard

non vi sia intimi-tà.— Saranno affari miei — fu la risposta di Talia. Benché fosse

imbarazzata non si sentiva in collera con l'amica, che aveva solocercato di risollevarle il morale. — Su, entriamo. Si gela quifuori.Stavano per mettere piede in casa quando d'improvviso la cor-

rente andò via. Melinda sbuffò. — Perfetto. Ci mancava anche il blackout. Ma il silenzio che le avvolse era strano. Assoluto, pesante. Di-

verso. — C'è qualcosa che non va — mormorò Talia. — Dove sono

tutti?E nello stesso istante la casa si riempì di urla. Lontane, vicine,

strozzate. Le due amiche sobbalzarono. — Che cazzo è stato? — gridò Melinda artigliando il braccio di

Talia.— Non… non lo so — balbettò l'altra. Aveva brividi in tutto il

corpo. — Moriremo. Moriremo di sicuro — farfugliò Melinda in preda

al panico.— Chiudi la bocca Mel. Nessuno morirà. Dev'essere uno stu-

pido cortocircui-to. Melinda scuoteva la testa in mezzo alle lacrime. — No, no, no.

Moriremo…La situazione volgeva al peggio e Talia avvertì una cattiva sen-

sazione. Pericolo e una minaccia incalzante. Ma se volevauscirne non doveva perdere il controllo. Era la seconda volta inquella giornata che era costretta a ripeterselo. — Tieniti vicina a me, — sussurrò — proviamo a controllare di

là. Varcarono la soglia del salone d’ingresso, tastando l’aria per

evitare di andare a sbattere contro qualcosa, ma il buio sem-brava farsi sempre più fitto. I contorni dei mobili si distingue-vano a malapena e degli invitati nessuna traccia. La stanza era completamente vuota.— Ehilà, dove siete? Alexia, signori Carrington? — chiamò

Talia. Tese una mano e sfiorò la liscia superficie della parete. Unpo' umidiccia, a dire il vero. — Magari si sono spostati in giardino — suggerì Melinda. La

voce le tremava. — E perché avrebbero dovuto? — Talia iniziava a spazientirsi.

— Aggrappati alla mia schiena — ordinò all'amica. Aveva indi-viduato la porta d'ingresso, oltre il sofà, ma qualcosa per poconon la fece ruzzolare. — Ma che diavolo… A terra c'era un cadavere. Non un cadavere qualsiasi ma quello

di Vincent Davidson, l'ala forte della squadra di basket dellascuola. Le mani sopra la testa, gli occhi sbarrati, le labbra di-

storte, e sul petto lunghi squarci dai quali continuava a fiottaresangue.Talia si premette una mano sulle labbra e represse un conato. Melinda le strattonò il braccio. — Che cosa c'è? Cos'hai visto?

— strillò. Il terrore privò Talia della capacità di fare chiarezza su ciò che

stava accadendo.— Niente panico, niente panico — sussurrò a se stessa facendo

profondi respi-ri. Vincent Davidson era uno studente modello, perché mai qual-

cuno avrebbe voluto ucciderlo? Un momento, però. Poteva anche trattarsi di uno scherzo architettato dalla crew

di Alexia per vendicarsi dell’affronto che Talia le aveva riservato.O un’allucinazione. Forse il punch era stato mescolato con qual-che sostanza stupefacente. Le veniva da vomitare. Melinda le si piazzò davanti e nono-

stante il buio riuscì a scorgere l’espressione preoccupata cheadombrava il suo sguardo. — Tal, cosa c'è? — le chiese di nuovo. Ma visto che l'amica sem-

brava non volerle rispondere, gettò un'occhiata intorno e confare esasperato gridò: — Perché questa cazzo di luce non torna?Il gioco è bello quando dura poco. — Proruppe in un pianto a di-rotto e fu allora che Talia tornò in sé.— Ehi, — le parlò cercando di usare tono e maniere rassicu-

ranti — è tutto okay.— No, non è per niente okay! — singhiozzò l'altra. Un po' di

moccio le colò sulle labbra. Talia inspirò a fondo. — Ascoltami bene, sul pavimento c'è il

corpo di David-son.Melinda sgranò gli occhi. — Vincent?— Sì, ma credo che sia una messinscena. Per farcela pagare.

Forse vogliono solo che leviamo le tende. — Non sapeva proprioche cosa inventarsi. Melinda deglutì e non osò chinare il capo. — Come fai a es-

serne sicura?— Io non… Non fece in tempo a rispondere che da un punto imprecisato

della casa si udì lo scricchiolio sinistro di una porta. Si voltarono di scatto. — Merda — sibilò Talia. — Andiamo via — gemette l’amica, le lacrime che ripresero a

irrorarle il volto. Talia immaginò di ritornare nel tepore della sua camera, stesa

sul letto e con un romanzo avvincente da divorare in poche ore,ma qualcosa le disse che era troppo tardi.Una figura si stagliò davanti a loro, alla fine di un lungo corri-

doio illuminato dal fioco baluginio di alcune vecchie candele, si-mili a ceri votivi. Reggeva qualcosa tra le mani. Un oggettoallungato che terminava con un'appendice curva e affilata. Talia indietreggiò trascinando con sé l’amica. Il cuore prese a

batterle così forte da dare l'impressione di volerle schizzare fuoridal petto. La figura fece un passo avanti e il suo viso fu rischiarato dai

deboli fasci di luce. Una donna. Zigomi spigolosi, mascelle incavate, capelli unti,

occhi grandi, di un azzurro glaciale. Indossava una vestaglia danotte, anche se il nodo in vita si era allentato permettendo allasottoveste di uscire allo scoperto. Era magra, quasi deperita, mala cosa inquietante era un’altra. Aveva sangue dappertutto. E non intonava la canzoncina del

buon compleanno per sua figlia. Quello che aveva dipinto in visonon era affatto un sorriso radioso.— Signora Carrington… — sussurrò Talia.Fece in tempo a scambiarsi una rapida occhiata con Melinda,

poi l'aria fu attraversata da un sibilo seguito dal tonfo terrifi-cante di qualcosa che scava nella carne. La testa di Melinda volòper la stanza e il resto del suo corpo si accasciò al suolo.

3

Talia corse a perdifiato in cucina e l’unico nascondiglio che in-dividuò fu la porta del bagno di servizio. Abbassò la manigliama oppose resistenza, come se qualcosa la bloccasse interna-mente. Doveva trovare un modo per forzare la serratura. Perlustrò

ogni centimetro della stanza. Aprì i cassetti, controllò nelle cre-denze e sugli scaffali. Niente. Si mise le mani tra i capelli, pallida in viso. Non riusciva nem-

meno a urla-re. — Cazzo, cazzo, cazzo... Udì dei passi avvicinarsi e dal bagno di servizio provenne un

lamento soffocato. Talia si precipitò alla porta e prese a battere il palmo della

mano sulla superficie legnosa, sempre più forte. C’era qualcunolì dentro ed era la sua unica salvezza.— Per favore! Aprite! Fatemi entrare! — Le lacrime scorrevano

senza sosta.I passi si fecero più vicini. Voltò la testa. Sono spacciata, pensò,

eccola che arriva. Ma il rumore che captò l’attimo successivo lediede motivo di sperare. La persona che si era rintanata nel bagno aveva ascoltato la

sua preghiera e stava trafficando con la serratura. Click, click,click. La porta si spalancò all'improvviso e una mano dalla pellevellutata le afferrò il polso trascinandola dentro. Talia perse l’equilibrio e cadde sul pavimento, urtando la testa.Il nero la trascinò con sé.

Non seppe quanto tempo rimase in stato incosciente. Quando riaprì gli occhi distinse i contorni sfocati di una figura

che le toccava la fronte. Poi, lentamente, i tratti del volto riac-quistarono la loro vividezza e non poté credere a ciò che vide. — Alexia… — farfugliò stordita. Cercò di fare leva sui gomiti per mettersi in piedi ma le forze

le vennero meno e scivolò contro la parete. Qualcosa di umidoe caldo le scorreva sulla faccia. — Sta’ ferma — le intimò Alexia mentre le tamponava il viso

con un batuffolo di ovatta. Talia si accorse che ce n’erano una decina per terra già zuppi

di sangue. Il suo, suppose. Si ricordò della testa di Melinda, del corpo di Vincent, della

madre di Alexia che brandiva un’arma come una psicopatica, enon riuscì più a trattenersi. Vomitò. — Oh, cielo. — Alexia si coprì la bocca con il dorso della mano.

Si affrettò a passarle un asciugamano. — Tieni. — Grazie — gracchiò Talia. Trascorsero pochi secondi di silen-

zio, poi aggiunse: — Scusami, non deve essere stato un bellospettacolo. — No, non scusarti. Non sei tu quella che deve sentirsi in colpa. Sembrava sinceramente costernata.— Ascolta — disse Talia inumidendosi le labbra — tua mamma

ha…— Lo so — la interruppe Alexia. — So cos'ha fatto. Io… — scosse

il capo e a Talia parve di scorgere un tremolio al mento. — Dio,li ha ammazzati tutti. — Come sarebbe tutti? Ho visto solo il cadavere di Vincent Da-

vidson.— E allora non hai visto bene. Sono ovunque. Ammucchiati

come… come… — Si coprì il volto con le mani e scoppiò in la-crime. — Non avrei dovuto permetterglielo — gemette. Talia non sapeva come commentare. Se Alexia diceva la verità,

allora era davvero una tragedia. “La carneficina di Sugar Road”,già si figurava i titoli ai notiziari. — Perché? — domandò facendosi coraggio.

Alexia chinò lo sguardo. — È da un po' che si comporta in ma-niera strana. Talia aggrottò la fronte. — Strana? In che senso? — Si assenta, come se qualcuno le staccasse la spina del cer-

vello. Mio padre non vuole saperne niente di questa storia. Hapreso il largo, capisci? Pensavamo che lei avesse bisogno di ri-poso, che il lavoro la stressasse troppo, ma ci sbagliavamo. — Ma se va avanti da mesi, perché non l’avete fatta visitare? — Perché l’abbiamo fatto e non è servito a niente. — Alexia aprì

l'armadietto dei medicinali. — Questo era per il mal di testa —disse mostrandole una confezione di compresse quasi vuota. —Questo per la nausea, questo per le vertigini, per l'ansia, per l'in-sonnia, per le allucinazioni…Quella parola colpì Talia con la stessa potenza di un pugno.— Frena, frena. Allucinazioni? — Sì. Hai presente quando assumi droga e comincia a ballarti

tutto? Ecco, a mia madre succede la stessa cosa, solo che lei so-stiene di vedere un… essere.— Una specie di presenza? — azzardò Talia. La conversazione

iniziava a spaventarla. Alexia annuì. — Pazzesco, eh? Comunque dopo gli ultimi epi-

sodi avevamo deciso di tenerla segregata in camera. Il medicola imbottiva di tranquillanti per placare l'aggressività ma nonsempre ci riusciva. Spesso, senza una ragione ben precisa,mamma si alzava dal letto e impazziva. — Alexia si strinse lebraccia al petto. Talia si accorse che il suo corpo tremava vio-len-temente.— Avete preso in considerazione l’idea che potesse trattarsi… Alexia la guardò dritto negli occhi. — Di una possessione? Sì,

certo. Fui io ad arrivarci. Insomma, non poteva essere semplicestress. Andai alla ricerca di un buon esorcista, ma senza rica-varne niente. Per fortuna, però, la biblioteca è piena di testi in-teressanti sull'argomento. Mi sono tornati utili, sai?— Ma perché non viene a ucciderci, ora? Sa dove mi sono na-

scosta. Mi ha sentito bussare alla porta e implorarti di aprirmi.

— Be', perché non può farlo. — Alexia indicò una strisciabianca a poca distanza dall'uscio. — È una barriera protettivacontro gli spiriti maligni, che tradotto significa sale da cucina,uno dei rimedi più antichi, conosciuti ed effi-caci. Talia ricordò improvvisamente di aver visto qualcosa del ge-

nere in molti film. — E dici che funzionerà?Alexia scrollò le spalle. — Siamo ancora vive, no?— Sì, immagino che debba bastare a rassicurarmi. — Talia si

sistemò una ciocca dietro l'orecchio. — Ho un'altra domanda dafarti.— Spara.— Perché la festa? Sapevi che tua madre avrebbe potuto dare

di matto. — Sono stata incauta, lo ammetto. Credevo di avere la situa-

zione sotto controllo. — Il suo viso divenne stanco. — Forse do-vrei dar retta a mio padre. Lui mi odia. Detesta la mia condotta,dice che sono solo una ragazza arrogante e viziata. Di fronte a quella confessione, Talia si sentì a disagio. Non

aveva mai pensato al lato umano e sentimentale di Alexia Car-rington. Non lo riteneva possibile. — Mi dispiace Tal — la sentì mormorare. — Prima, con te e Me-

linda… Io non…— Nessun problema — la tranquillizzò Talia. L'immagine del

corpo di Melinda e del sangue che zampillava dal suo collo tran-ciato le fece salire di nuovo la nausea. Alexia fu al suo fianco. — Tutto bene?— Sì. — Talia faceva fatica a respirare. — È che… Mi sembra

peggio di un incubo e vorrei che non fosse mai successo. Me-linda, la mia migliore amica, è… morta. Un attimo prima scher-zavamo e ridevamo e poi le ha staccato la testa e…Alexia si sovrappose, nello sguardo una nuova determinazione. — Okay, ascolta, io so come uscire — la informò. Talia la fissò confusa. — È impossibile. Nessuna stanza è si-

cura.

— Conosco dei passaggi segreti.— Passaggi segreti? Non siamo mica nel sedicesimo secolo. Alexia emise un grugnito di protesta. — Fidati di me. Mia

madre aveva una fissa per quella roba stramba e mio padre fececostruire alcune stanze speciali. È l'unico modo che abbiamo persalvarci. Il silenzio che seguì diede il tempo a Talia di prendere una de-

cisione. Nonostante l'idea di esporsi al rischio non la convin-cesse del tutto, Alexia aveva ragione. Era la sola via che avevanoper tentare la fuga. Fece un respiro profondo e scelse il suo destino. — Va bene.

Andiamo.

4

Quando sgusciarono fuori dal bagno, la cucina era immersanel buio e nel silenzio. Talia seguì Alexia stringendo uno deglistrascichi di organza ai lati del suo abito. — Sicura di sapere dove stiamo andando? — le bisbigliò.— Ho detto che devi fidarti.Talia urtò qualcosa che rotolò sul pavimento, lontano. —

Merda…Alexia le rivolse un’occhiata obliqua. — Fa’ attenzione. Si ritrovarono nel salone d’ingresso. A dominare era l’odore

del sangue. Talia arricciò il naso e ignorò la fitta in fondo allo stomaco. — Per di qua — le fece strada Alexia. Scavalcarono un paio di corpi. La stanza ne era cosparsa, come

un campo minato solo assai più macabro. Era stato davvero unmassacro. Talia riconobbe qualche volto e barcollò. — Niente mancamenti — la avvertì Alexia in un soffio. Ciò che stupì Talia era la compostezza con cui Alexia si muo-

veva tra i cadaveri. Aveva i nervi straordinariamente saldi. Percorsero un corridoio ai lati del quale si aprivano svariate

stanze. — Alexia, ma…— Shh! — Alexia la fulminò con uno sguardo accusatore. —

Vuoi che ci scopra e che ci faccia a fette? Talia scosse energicamente il capo. —Scusami, scusami.Si fermarono davanti a una porta socchiusa. Alexia allungò una

mano e fece per sospingerla all’interno quando Talia la tirò in-dietro. — Si può sapere cosa ti salta in mente? — proruppe. — E se

fosse lì dentro?Un angolo delle labbra di Alexia si sollevò in un sorriso storto

che a Talia mise i brividi. Qualcosa balenò negli occhi della gio-vane Carrington. Talia sbatté le palpebre. Le ombre giocavano brutti scherzi, si

convinse. Alexia aprì la porta. I cardini cigolarono. — Mammina — disse, il tono non più quello di una giovane

adulta ma più infantile e languido. — Ti ho portato l'ultima.Tutto è andato come avevamo previsto.La signora Carrington sedeva su una sedia a dondolo, vicino

alla finestra. Cullava in grembo un’ascia sporca di sangue. Dallabocca le pendeva un filo di bava.— Mira alle vertebre e frantumagliele — le ordinò Alexia, il

volto deformato dalla rabbia, simile a quello di un mostro. Talia gridò e tentò di guadagnare l'uscita ma il colpo fu imme-

diato. Uno spruzzo di sangue imbrattò la parete, un altro finì sul de-

colté di Alexia e un altro ancora macchiò la pergamena che gia-ceva al centro di un pentacolo costituito da una serie di candeledivampanti. Recitava il giuramento della devota iniziata alla Dea Madre.

Un patto suggellato attraverso il sacrificio di un'anima pura, nelgiorno della diciotte-sima luna. Alexia si piegò accanto al corpo agonizzante di Talia. Le scarpe

affondarono nella pozza vermiglia che si stava allargando sottodi esso. — Mi è costato molto selezionare gli invitati, ma alla fine eri tu

quella perfet-ta. — Va' all'inferno — gorgogliò Talia sputando altro sangue. — Oh, ci sono dentro fino al collo, e credimi, è un posto pieno

di privilegi. Non è il caso che nascano equivoci tra noi. — Acco-stò le labbra al suo orecchio e sussurrò con crudele voluttà: —Non avremmo mai potuto essere amiche. Talia fu scossa da una fitta di dolore che le fece strabuzzare gli

gli occhi.— Fa' buon viaggio — proseguì Alexia rimettendosi in piedi. —

E, un'ultima cosa prima di lasciarti: il tuo è stato il più bel regalodi compleanno, Talia Carter.

UN ANNO DOPO

L’anta dell’armadietto sbatté con un fragore metallico. Gli studenti dell’Ashbourne College risposero al suono della

campanella di inizio lezioni sparpagliandosi lungo i corridoi perraggiungere le proprie aule.Anche Alexia Carrington si gettò nella mischia. La sua falcata,

elegante e felpata come quella di un giaguaro, magnetizzava losguardo di chi le stava attorno. Labbra di un intenso rosso sangue, capelli legati in un’alta coda

di cavallo, ciglia arcuate ripassate con del mascara extra allun-gante, occhi dal fulgore mortale. La sua bellezza abbagliava e intimoriva insieme. «’Giorno Alexia» la salutarono all'unisono due cheerleader. Alexia accennò un sorriso. «'Giorno ragazze». Benché il tono

suonasse affettuoso si poteva cogliere una sfumatura di austerae feroce severità nella sua voce.Le cheerleader ricambiarono il sorriso e si dileguarono tra la

calca. Alexia avanzò di qualche passo, e poi la vide. Una matricola, che maneggiava un foglio spiegazzato con aria

smarrita.Era un puntino invisibile in mezzo alla bolgia di facce ancora

mezze assopite ma a lei andava più che bene. Quell'aria anonimae un po' goffa era l'ideale. Alexia si inumidì le labbra, posseduta da una bramosia liquida

che diluì l'azzurro dei suoi occhi in un più luminescente e pro-fondo blu notte. Si avvicinò alla preda e quando le fu di fronte sventagliò il suo

sorriso migliore.— Ciao. — La coda le dondolava sul collo. — Hai bisogno di

aiuto?

La ragazza levò gli occhi e si sfregò la punta del naso. — Ciao— disse soltanto. Alexia pensò che fosse un po' tonta, il che era una seccatura,

ma avrebbe dovuto continuare a essere gentile se non volevafarsi sfuggire quella gustosa occasione.Si schiarì la gola e indicò il foglio che la ragazza reggeva in

mano.— È il tuo calendario delle lezioni? Posso accompagnarti io. So

quanto sia terribile il primo giorno. Un incubo. La ragazza abbassò gli occhi sul pezzo di carta e poi tornò a

sollevarli su Ale-xia.— In effetti, sì, avrei bisogno di aiuto — disse impacciata. —

Mi chiamo Su-san.Oh, allora ci sentiva, osservò Alexia tra sé. — Alexia. Prima le-

zione?Susan diede una scorsa veloce. — Letteratura inglese. Aula 4.— Seguimi — si limitò a risponderle l'altra. E mentre percorrevano i corridoi dal pavimento usurato, fo-

mentando l'invidia e la stizza delle studentesse più grandi, Ale-xia avvolse le dita sul ciondolo a forma di tre lune delbraccialetto che le tintinnava al polso.Le bastò un movimento, rapido e calcolato, e con la punta sme-

rigliata del piccolo oggetto praticò un taglietto superficiale sul-l'avambraccio della ragazza, che sentì solo un lieve fastidio,come la puntura di un insetto. La goccia di sangue che ne stillò tracciò un rigagnolo sottile

sulla pelle lattea ma Alexia vi passò l'indice e fu presto asciugata. Riluceva, quel sangue. Emanava un profumo corposo, di cose

vive e appetitose.Alexia si succhiò il polpastrello e un fremito la scosse. Ancora,

sembrava implorarle una voce nella testa. Era lei quella che cercava. Ora non aveva dubbi. — Susan — la chiamò, la voce arrochita dal desiderio — che im-

pegni hai sabato?

— Mmh… Le solite cose, penso — rispose alzando le spalle. —Perché?— Do una festa a casa, con qualche amico.— Forte! Uno di quei party esclusivi per confraternite?Alexia finse una risatina divertita. — Ma no, sciocchina. Qual-

cosa di molto più… elettrizzante.— Cioè? — la incalzò la matricola.— È il mio compleanno.