Hanno conquistato il denaro, sì. Hanno conquistato …..."Hanno conquistato il denaro, sì. Hanno...

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"Hanno conquistato il denaro, sì. Hanno conquistato il successo e il potere. Eppure sono frustrati perché si sono accorti di aver avuto una vita vuota. Non vorrei essere al posto loro quando viene l'ora dei lupi. Ingmar Bergman la chiama l'ora dei lupi, cioè l'ora antelucana, l'ora in cui ci troviamo soli anche se accanto c'è la compagna della nostra vita, e non possiamo mentire a noi stessi. La mia ora dei lupi è alle cinque del mattino, quando mi sveglio magari per riaddormentarmi, e nella penombra analizzo ciò che ho fatto il giorno prima." S.Pertini

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"Hanno conquistato il denaro, sì. Hanno conquistato il successo e il potere. Eppure sono frustrati perché si sono accorti di aver avuto una vita vuota. Non vorrei essere al posto loro quando viene l'ora dei lupi. Ingmar Bergman la chiama l'ora dei lupi, cioè l'ora antelucana, l'ora in cui ci troviamo soli anche se accanto c'è la compagna della nostra vita, e non possiamo mentire a noi stessi. La mia ora dei lupi è alle cinque del mattino, quando mi sveglio magari per riaddormentarmi, e nella penombra analizzo ciò che ho fatto il giorno prima." S.Pertini

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L’ORA DEI LUPI Quando i miei coetanei, riferendosi alla politica, mi dicevano “ma non ci capisco niente” o “ma chissene frega!”, provavo una certa rabbia. Insomma la politica è affare di tutti: perché non lo dovrebbe essere anche per noi giovani? E’ a distanza di tempo che mi sono accorto quanto, dietro a quelle parole magari dette ingenuamente, si nascondesse una grande ragione.

Viviamo in un’epoca di cambiamenti, dove la rivoluzione tecnologica corre, e sembra solo agli inizi. Io ho 19 anni, e mi ricordo ancora come appena sei o sette anni fa il touch screen mi sembrasse qualcosa di veramente magico. Se ci ripenso mi vien da ridere. E’ cambiato tutti quindi, a grandissima velocità, e lo è anche la politica. Per capire come, bisogna fare un salto indietro e vedere cosa significava questa parola al tempo dei nostri genitori o dei nostri nonni. Basta chiederglielo, o guardare qualche foto di oceaniche folle in piazza o alle riunioni di partito, o leggere ciò che pensavano (e il modo, il modo con cui lo facevano…) personaggi di altri tempi che almeno ognuno di noi nella vita sente nominare. Senza fare troppi giri di parole, che lo spazio è poco, arriviamo al punto: la politica una volta era fatta di ideali.

Faccio un esempio? Socialismo, comunismo, liberalismo, anarchia, cristianesimo sociale, repubblicanesimo…si potrebbe andare avanti per molto. Insomma ognuna di queste parole rappresentava una cultura, un modo di vedere e intendere il mondo, ma soprattutto una via per cambiarlo. Ci hanno provato, e molti lo hanno fatto. Fare politica nella nostra famosa “Prima Repubblica” (che va dagli anni ‘50 ai ’90 circa; anni fondamentali per capire la realtà di oggi e che spesso i professori non fanno, preferendo magari sproloquiare all’infinito sul Medioevo) significava aderire, almeno in parte, ad una di queste tante visioni: ci si sentiva parte di qualcosa di più grande. Non era il paradiso, non era un mondo roseo, attenzione, ma era entusiasmante. Raccontano che i giovani soprattutto, si sentivano quasi in dovere di fare politica, perché era bella, perché poteva plasmare il mondo come essi volevano. Era fatta anche di cose molto sporche la politica. Tra queste i soldi, che si faceva di tutto per averli; ma “la politica è fatta di sangue e di merda” disse una volta un dirigente socialista di nome Rino Formica* (* =chi è? Chiedi a Google): è fatta del sagnue che è l’ideale, e dalla merda che sono i soldi.

Oggi il sangue non c’è più. La politica non è più (veramente!) fatta di ideali, e come si diceva prima tolto il sangue quindi rimane solo la merda. Una magnifica sintesi della politica odierna no? No, non fermiamoci qui che siamo solo all’inizio. Gli ideali non ci sono più perchè i partiti di oggi (parliamo dei maggiori per ora, di quelli che si sentono sempre alla TV) non ne hanno uno al quale si riferiscono in particolare. Sono partiti “pigliattutto”: vogliono prendere i voti della maggioranza di persone possibile; perché se come dicevamo rimane la merda, e la merda sono i soldi, per prendere i soldi bisogna essere al potere, e bisogna essere “grossi”. Non troverete quindi un partito che si dichiara “comunista”, perché ammesso che di comunisti ce ne siano ancora nessuno si può permettere di prendere i voti solo di quelli. Molti parlano invece di “rivoluzione liberale”, ma parliamoci chiaro: qualcuno sa davvero cosa vuol dire? E di socialismo se ne parla, ma solo a livello europeo, perché “stranamente” in tutta Europa tra i principali partiti ci sono quelli socialisti; in Italia no.

La politica oggi si basa quindi sull’ambiguità dei propri obbiettivi per cercare di accontentare un po’ tutti, ed è quindi sempre più priva di punti di riferimento che aiutano a capire da che parte si vuole andare. Non si può biasimare del tutto quindi chi decide di estraniarsi dalla politica: non entusiasma, è fatta solo di merda, non ci si capisce niente, ed è inoltre fatta dai “grandi”: che se ne occupino loro come fanno con tutto! Anche questo è un punto cruciale: rendetevi conto che siamo una società di vecchi, che mentre molti di loro hanno la pensione ed eppure continuano a lavorare non lasciando il minimo spazio a noi giovani, noi fatichiamo ad avere esperienze di lavoro e inoltre ci dicono anche che dovremmo lavorare fino a 75 anni per andare in pensione, sgobbando il doppio perché i soldi non bastano per tutti. Siamo un paese a misura di anziano, perché gli anziani sono tanti e votano sempre; i giovani invece no, e si disinteressano: questo dato pesa nella politica, perché convincere l’elettorato anziano è fondamentale per vincere, mentre i giovani sono usati solo (e dico solo) come una bandierina per dimostrare “come siamo vicini ai giovani che sono il futuro!”. Balle: noi siamo il presente! Ma dico: anche noi viviamo ora, nella realtà presente, come loro no? Anche noi adesso abbiamo le nostre esigenze! Parole al vento, finchè non saremo noi a rimboccarci le maniche, invece di aspettare come degli eterni mammoni che non se ne vanno mai via di casa, che qualcuno ci venga a salvare con qualche parolina dolce.

Il motivo per cui state leggendo ora questo giornale è che c’è un gruppo di ragazzi che crede profondamente nell’estrema importanza e utilità della politica e nell’impegno. Una politica vera però, bella e chiara, che possa dare una visione del mondo e un percorso condiviso da portare a termine: l’ideale di cui parlavamo prima. Dobbiamo tornare agli ideali per salvarci da questo vuoto cosmico; da questo nichilismo (piccolo omaggio a Nietzsche, dai). E tra questi, quello che ci chiama è l’ideale socialista.

Che cos’è il socialismo? E’ un sentimento. Un sentimento che ha delle profondissime radici storiche. Un sentimento di giustizia e uguaglianza si, ma nella libertà. Socialista è chi prova rabbia vedendo le ingiustizie, e sente l’irrefrenabile impulso di fare qualcosa; socialisti significa essere anche un po’ “anarchici”: antiautoritari in tutto e per tutto. Questo sentimento ha dato vita, verso la fine dell’800, ad un ideale destinato a diventare famoso. La più profonda e antica cultura politica che per anni ha forgiato l’Italia, e che ancora ha un grandissimo compito da portare a termine. Chiedetelo ai “grandi”, chiedete del Partito Socialista Italiano: vi diranno che non c’è più, eppure siamo ancora qui. Non è un caso, ma è il frutto di una precisa volontà politica di continuare a tutti i costi un percorso iniziato anni fa da grandi personaggi come Filippo Turati*, Giacomo Matteotti*, Pietro Nenni*, Sandro Pertini*, e via cantando. Il socialismo italiano: che c’entra poco col comunismo russo, con Stalin e con luoghi comuni sulla sinistra che sinceramente hanno stancato.

Ma noi siamo giovani, non abbiamo vissuto quella storia tanto discussa, e non ha senso basare la nostra politica su quello che una volta era: occorre creare qualcosa di completamente nuovo. Il sentimento rimane quello, ma le idee devono essere del 2000. “Rinnovarsi o perire” è stato da sempre il motto dei socialisti, e vale ancora. Chiunque voglia fare qualcosa di serio in questo paese dovrà per forza aver a che fare con la storia del PSI, e noi abbiamo tutta l’intenzione di farlo: da questa storia occorre prendere tutto quello che c’è di buono e che ci può servire per il presente, ma da qui in poi basta pensare al passato: stavolta sta a noi. Socialismo (nel suo significato più letterale) significa anche e soprattutto unione: unirsi insieme per risolvere i problemi, fare gruppo contro chi ci vuole divisi e disorientati. Il famoso motto “uno per tutti, e tutti per uno” calza a pennello.

L’ora dei lupi è l’ora nella quale ognuno di noi fa i conti con se stesso e con la propria coscienza, ed è un’ora che prima o poi arriva. E’ quando per esempio si analizza ciò che si è fatto nella giornata prima di addormentarsi, o quando a fine anno si passano in rassegna i buoni propositi. Noi siamo qui a dirvi che si può aspirare a qualcosa di più. Noi siamo qui per dirvi che ognuno di noi ha il proprio posto nel mondo, da conquistarsi e da difendere, e che l’unico modo per farlo è fare unione e collaborare insieme. Realizzare la propria vita da soli, in una società dove tutti sono in conflitto e in concorrenza con tutti gli altri è un’illusione. Una roba da televisione alla quale pochi fortunati (e ricchi?) hanno accesso. Questo meccanismo ci rende terribilmente soli e vulnerabili.

Questa è l’ora dei lupi, e noi siamo qui a dirvi di usare la testa, e se volete, anche di criticare quello che leggerete: questo sarebbe già un primo e importante atto politico, nel vuoto al quale siamo già troppo abituati.

Enrico Maria Pedrelli

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MA LIBERI SI NASCE O SI DIVENTA? Guardando con occhi critici ció che ci circonda è giusto chiedersi: Era questa l'istruzione che volevamo? Avremmo mai pensato che saremmo arrivati a questo punto? La scuola è sempre stata fondamentale in quanto portatrice di cultura, tipica del nostro paese. La scuola era considerata un diritto (e questo perché la scuola È un diritto, un NOSTRO diritto, di cui abbiamo dimenticato il valore..). Esisteva l'idea di dovere che seppur all'inizio spiacevole o difficile in seguito si tramuta in soddisfazione o appagamento. Il problema fondamentale (come sottolinea il libro di paola mastrocola, intitolato saggio sulla libertà di non studiare) è stare. Soffermarsi e ragionare su ció che la scuola ci propone. Interrogarsi e porre ad esame critico la vita, accettando lo studio come conoscenza (e quindi arricchimento) invece che ad una scocciatura o ad una penitenza.

Basti pensare a quanti pochi ragazzi leggano. Ogni ragazzo che non legge è un fallimento del mondo che lo circonda. Al giorno d'oggi si pensa che un click su un cellulare sia molto di più di una lettura. Volevamo un'era della conoscenza, in cui attraverso il web potevamo approfondire le nostre conoscenze su fonti scientifiche e attendibili, ma che ora siamo corcondati dalla sindrome delle menti anestetizzate, dipendenti da un mondo che seppur nuovo e innovativo li blocca, li annienta.

Ora vi pongo un interrogativo: non è che questa "magia" scaturita dal web non sia altro che il colpo finale con cui riusciremo a far morire ed estirpare lo studio dalle nostre scuole?Questo nuovo mondo della conoscenza non potrebbe un giorno sostituire la scuola?

Questa era della rivoluzione tecnologica sta togliendo alla scuola (come alla nostra società talvolta) la componente umana, fondamentale per la formazione della nostra persona. La componente primaria della nostrà società un tempo era l'ascolto, ora invece non è altro che ammutinamento della parola. Senza contare che uno dei problemi fondamentali di questo nuovo mondo sono le fonti. Tutti sono considerati competenti e quindi degni di esprimere un parere, un giudizio o un'idea su qualsiasi tema. Tutti parlano, ma non si pongono il senso delle loro parole usate soltanto per apparire, esserci. Nessuno prova più imbarazzo nel dire idiozie. Questo ci sembra l'unico modo per essere riconosciuti dal mondo.

Siamo confusi, non capiamo cosa dobbiamo fare o ancor peggio su che cosa fare della nostra vita. Tutto si è miseramente abbassato! Nessuno vuole imparare, scoprire cose nuove.Ogni studente vuole che si parli degli argomenti che conosce in ambito scolastico, perchè sono conoscenze che già possiede. Ma in realtà si autocondanna a ció che sarà il suo destino di bassa ignoranza. Ed è così che si cerca di voltare di svalutare la scuola, passando la maggior parte del tempo su una realtà virtuale, ma che di realtà non possiede proprio nulla!

In questo modo saremo solo le vittime di noi stessi, non assaporando più la deliziosa meraviglia di crescere. Certo, vogliamo essere apprezzati, visti. Siamo stufi, infelici e frustrati di non poter provare quando valiamo. Rivogliamo il nostro presente. Ma da chi lo pretendiamo? Dagli altri o prima di tutto da noi stessi? Qual'è la medicina per tutto questo?

Vedere innanzitutto la scuola come una possibilità, come una struttura da cui dipende la nostra libertà. Spegnere per un secondo questo aggeggio elettronico che è parte di noi e guardare negli occhi le persone, capirle e parlare con loro.Interessarsi alla politica, che determina il nostro presente ma anche la nostra vita. Non consideriamo tutto ció come qualcosa di impossibile, ma pensì l'inizio di un piccolo passo che si svilupperà in un cammino comune, non fatto di emarginazione o derisione, ma bensì di una piccola parte di un mosaico che è il mondo!

Federica D’Isita, con Sofia Lasi e Indi Arumahandi

PARIGI: I TERRORISTI HANNO VINTO? Il 13 novembre 2015 la Francia e l’Europa intera ha subito il più sanguinoso attacco terroristico della sua storia (129 morti e più di 300 feriti). A Parigi, alle 21:20 un bastardo si fa esplodere nei pressi dello Stade de France mentre altri sparano contro i ristoranti Carillon e Petit Cambodge. Poco dopo altre due esplosioni allo Stade de France e assedio al cafè ‘Le Bonne Biere’. Infine, Bataclan: teatro dell’esibizione del gruppo californiano ‘Eagles of Death Metal’ e di tre ore di terrore e disperazione dopo un’esplosione e tanti, tanti spari su innocenti ragazzi e appassionati di musica. L’attacco è stato rivendicato dall’Isis.

Questo, in pillole, è quanto successo; ma non basta piangersi addosso e leccarsi le ferite: bisogna ragionare su quanto avvenuto e razionalmente cercare delle soluzioni. Il primo punto su cui è necessario soffermarsi è perché stata scelta proprio Parigi. Certo, l’Isis non ha mai fatto mistero di avere nella Francia il proprio “bersaglio prediletto”, e le ragioni sono molteplici, ma in secondo luogo Parigi è la città “europea” per eccellenza; in questo seconda solo a Roma forse. Volevano colpire lo stile di vita europeo, e mandare quindi un messaggio all’Europa tutta. L’Europa: un sistema complesso in un periodo di crisi: è sufficiente un solo errore per farlo collassare.

Tutti i terroristi erano residenti in Francia da molti anni, tranne due che erano entrati in Europa eludendo i controlli; il primo addirittura era stato accolto in Grecia come rifugiato politico per poi sparire una volta giunto in Croazia. Tuttavia, questo è un caso particolare del ‘terrorista che arriva col barcone’, solitamente raggiungono gli obiettivi in auto o aereo: sui barconi ci sono persone che scappano da situazioni complicate per proteggere la loro famiglia e garantire loro un futuro migliore, non terroristi. Certo è che non ci si può fermare qui: è evidente che nella gestione dei flussi migratori a livello europeo c’è una grossa falla che deriva dalla totale mancanza di comunicazione tra Stati e soprattutto un accordo veramente comune nella loro gestione. Come non è veramente comune e decisa la risposta europea a questa crisi.

“Le idee camminano sulle gambe degli uomini” Pietro Nenni – “Uccidete pure me, ma l’idea che c’è in me non la ucciderete mai”

Giacomo Matteotti

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Cosa si potrebbe quindi fare contro il terrorismo?

Unirsi: politiche di immigrazione comuni, equa distribuzione dei migranti nei vari paesi, comunicazione e collaborazione tra Stati più ‘sincere’ e meno orgogliose (la Turchia avvisò la Francia delle possibili intenzioni terroristiche di uno degli attentatori).

Smettere di bombardare a casaccio, solo per far vedere che si sta facendo qualcosa: nei bombardamenti si rischia anche di uccidere degli innocenti; e ciò non è la soluzione di alcun problema, questo è certo.

Smettere però anche di continuare la solita retorica della “pace a tutti i costi”, perché anche la pace a volte ha dei limiti dati dal fatto che non sempre si può scendere a patti. l’Isis vuole costruire un grande “califfato” e da lì conquistare il mondo intero: non ci può essere compromesso.

Tagliare i fondi all’Isis: punto fondamentale e anche più critico. Quando si parla di soldi purtroppo non esiste etica: sono un male assuefacente esattamente come l’integralismo, e i fatti lo dimostrano. E’ necessario smettere di fare affari con l’Isis: comprare petrolio o reperti saccheggiati e che non si vendano più armi allo Stato Islamico (o all’Arabia Saudita che, così pare, poi le rivende all’Isis).

Infine dobbiamo mantenere viva la lucidità necessaria con cui si affrontano i problemi e rimanere uniti, cercando soprattutto di parlare ai giovani e alle minoranze mussulmane, affinché tutti prendano parte al sistema di valori, di diritti e di doveri, su cui si fonda la nostra democrazia. Quella democrazia, quel modo di vivere, di pensare, di fare critica, che caraterizza noi europei, e che i terroristi vogliono mettere in crisi.

Ma abbiamo creato noi questa situazione? Spesso si ritiene che abbiamo una colpa parziale (o addirittura totale) in questi atti omicidi, bombardando in Siria, Afghanistan e Iraq per il petrolio e non lavorando abbastanza per integrare le minoranze presenti nei nostri paesi che si sentono estranee e alcuni di loro trovano rifugio e un ‘senso di appartenenza’ nello Stato Islamico dell’Isis. Non è così semplice. E speriamo che questo piccolo articolo sia l’inizio di un ragionamento, critico e razionale, su ciò che sta succedendo e su ciò che vada fatto: perché la democrazia si chiama così quando tutti prendono parte alle decisioni e interessandosi così contribuiscono. Ma se ciò non avviene, i terroristi hanno già vinto.

Simone Menghi

PENSIERI IN LIBERTA’: MA LA LEGALIZZIAMO? Un uomo ha il diritto di fare ciò che lo rende felice, senza recare danno ad altri individui?

A quanto pare no, perché nonostante chi la fumi non riscontri danni gravi rispetto agli accaniti consumatori di tabacco e alcool, la marijuana è illegale in Italia.

Proibita legalmente parlando, dato che ogni giorno si stima circa il 7% degli italiani ne faccia comunque uso.

Vorrei quindi sottolineare i vantaggi che si otterrebbero legalizzandole droghe leggere; vantaggi che sempre più stati al mondo comprendono e sfruttano per far ripartire la propria economia:

� Lo Stato guadagnerebbe sicuramente dalle tasse che senza dubbio verrano poste sulla compravendita. � La compravendita così sarebbe regolata e tolta dal controllo della Mafia che tuttora trae da ciò immensi guadagni. � Il controllo delle sostanze porterebbe un aumento della qualità che tutelerebbe i consumatori, impedendo che venga venduta marijuana tagliata

con sostanze nocive per l’organismo.

Io non sto scrivendo ciò per convincervi a farne uso: essere per la legalizzazione della cannabis non significa esserne a favore del consumo. Significa essere a favore delle libertà personali e di tutti quei vantaggi che la società tutta guadagnerebbe, al contrario di un proibizionismo che ad oggi non ha risolto nulla se non riempire le casse della malavita. Forse è giusto proibire agli altri qualcosa solamente perché non ci piace?

Tommaso Placucci

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Giovani e socialisti,

con il cuore nell’Ottocento ma le idee del Duemila!