GUSTAVE COURBET COME GIACOMO LEOPARDI. I SUOI … · La valle della Loue sotto un cielo tempestoso,...
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GUSTAVE COURBET COME GIACOMO LEOPARDI.
I SUOI PAESAGGI UNA GEOGRAFIA DELL’ANIMA
AL PALAZZO DEI DIAMANTI A FERRARA FINO AL SEI GENNAIO
Il rifugio dei caprioli in inverno, 1866, Lione, Musèe des Beaux- Arts
La natura nei paesaggi di Gustave Courbet, nato a Ornans nel 1819 e considerato
uno degli esponenti principali del realismo in pittura, ci affascina per il senso di
forza e d’esuberanza che si respirano al suo interno, ma essa non ha un carattere
protettivo. Vi è una naturale similitudine della sua pittura con la poesia di Giacomo
Leopardi in cui l’universo spesso non si rivela amico. L’esposizione Courbet e la
Natura apertasi a Ferrara a Palazzo dei Diamanti e che si protrarrà fino al 6 gennaio
mette in luce finalmente le qualità del pittore francese nel genere del paesaggio.
Passeggiare sulla nuda terra e toccare le dure e spigolose pietre che sporgono
dalle pareti rocciose, percepire la loro consistenza gessosa e interpretare tutto
questo sulla tela diventa il percorso intimo del pittore alla ricerca della verità
nascosta dei fenomeni naturali. La natura dipinta è spesso aspra e selvaggia,
raramente arricchita dai mille colori dei fiori e dei frutti e colta nei suoi elementi
essenziali che la rendono preziosa al pittore francese che la conosce dall’infanzia.
La valle della Loue sotto un cielo tempestoso, 1849, Strasburgo, Musèe des Beaux-Arts
Sono i paesaggi della Franca Contea a cui è legato sentimentalmente per esservi
nato. Una terra dove i fiumi hanno scavato l’altopiano calcareo creando valli
profonde su cui s’ innalzano rocce spoglie che contrastano con la verde vegetazione
del sottobosco, in cui l’ombra spesso contende la supremazia alla luce. Sono luoghi
reali e al tempo stesso appartengono al cuore: essi diventano protagonisti in tele a
volte monumentali. Le montagne si stagliano con forza contro un cielo plumbeo e
le sorgenti d’acqua fuoriescono dalle grotte scorrendo come i pensieri e le
emozioni dell’artista. Courbet è un pittore rivoluzionario nella scelta delle
dimensioni del quadro di paesaggio che secondo le regole accademiche vigenti non
doveva avere misure pari a quelle del quadro storico o mitologico. Il suo viaggio
di formazione sarà non in Italia ma nei Paesi Bassi dove farà propria, in parte, la
lezione dei paesaggisti olandesi come Hobbema e Ruisdael che guardavano ad una
realtà semplice e concreta, priva di spunti narrativi. Dopo i sentieri, le valli e i
ruscelli della sua amata Ornans egli colse nei suoi quadri la bellezza energica di
paesaggi privi di aspetti pittoreschi come la foresta di Fontainebleau e la
Normandia.
L’onda, 1869, Francoforte, Stadel Museum
L’interesse del pittore per le rocce fu alimentata dalla sua amicizia con il
paleontologo e geologo Jules Marcou per il quale dipinse la Roccia sgretolata. Qui la
pittura si consolida come quando il magma si trasforma in pietra dai contorni
definiti, dove il marrone vira a volte al rosso, poi al giallo ocra fino a diventare a
volte grigio, rivelando così la durezza della pietra e della vita. La luce in Gustave
Courbet permette l’emersione di un mondo che altrimenti giacerebbe in un fondo
oscuro. Il pittore dipinge i suoi soggetti sollevandoli dal buio con un movimento del
pennello paragonabile al suo cammino durante le passeggiate nella notte mentre
si districava nella vegetazione guadando ruscelli su tavole di fortuna, buttate
sull’acqua, per ritrovare la strada di casa. Emozioni irripetibili che rivelano la fatica e
il piacere dell’esistenza che egli vede racchiusa in un cerchio dove il bene e il male
mutano posizione e sembrano confondere le carte. Una lezione di vita racchiusa
nelle scene di caccia, che egli innova, anche per le grandi misure degli animali. Nel
cacciatore, un uomo a cavallo procede sulla superficie innevata dove le orme
macchiate di rosso di un animale ferito tingono il manto candido.
Cacciatore a cavallo, mentre segue le tracce, 1863-1864, New Haven, Yale University Art Gallery
Il freddo del ghiaccio avvolge lo sguardo malinconico del cavaliere immerso in
pensieri sulla sorte dell’animale e forse anche sull’idea della fragilità della vita,
dove cacciatori e prede possono scambiarsi i ruoli. In un altro quadro una famigliola
di caprioli seduta fra gli alberi, dove il biancore della neve e i marroni dei tronchi
sembrano avvilupparli e così proteggerli, rivela la pace della natura e la bellezza
dell’amore. E’ un’epifania che si svela. La felicità in quel momento è reale. Un
momento stupendo di serenità che scompare nella tela gigantesca dell’ultima sala
dell’esposizione dove un cervo cerca invano la salvezza nel fiume. Le corna
dell’animale si frantumano nel movimento scomposto e la vibrazione che sembra
risuonare fa eco a quello dello sparo che lo abbatte.
Cervo nell’acqua, 1861, Marsiglia, Musèe des Beaux- Arts
Il genere della caccia appassionava Courbet, che era un abile cacciatore, e diventava
un’occasione per mostrare le sue capacità non solo nella resa degli animali ma
anche della neve con le sue sfumature di colore che facevano risaltare anche gli
altri soggetti conferendo loro, come nella Volpe nella neve del 1860, una forte
vitalità. La neve imbiancando ogni cosa, pianta o sasso o roccia, si confonde con gli
oggetti che copre assumendo la loro consistenza e mentre si trasforma in ghiaccio
od acqua prende le sfumature di colore dei luoghi dove si appoggia. Ecco allora le
striature e le fosforescenze che brillano nei quadri di Gustave Courbet e che ci
incantano.
Volpe nella neve, 1860, Dallas, Museum of Art
Tramonto sul lago Lemano, 1874, Vevey, Musèe Jenisch
Negli anni dell’esilio in Svizzera seguito alla sua condanna per il coinvolgimento nel
governo della Comune di Parigi e in particolare per avere causato l’abbattimento
della colonna Vendome, simbolo del potere imperiale, il suo sguardo cambia i
soggetti e la maniera di dipingerli. Nel Tramonto sul lago Lemano non ci sono più le
onde marine che l’artista vedeva frangersi sulla battigia dalla finestra in Normandia
e dipingeva restituendone una consistenza paragonabile alle rocce di Ornans. La
spatola in luogo del pennello, stracci, dita e polpastrelli non volevano raccontare ma
esprimere sinteticamente i gemiti del mondo marino in burrasca. Qui la visione
apparentemente pacata si colora ora di nostalgia della sua terra che non può
rivedere. Davanti a quel lago di Lemano che egli guarda nelle varie ore del giorno e
in cui si tuffa sempre con immenso piacere egli scopre il variare della luce nel
passare delle ore del giorno, tema che sarà il campo di sperimentazione degli
impressionisti e in particolare di Claude Monet. La bellezza sintetica dei laghi e dei
monti come nel dipinto Panorama delle Alpi concentra le nuove emozioni
dell’artista e arricchisce nei crepuscoli e nei tramonti la sua tavolozza cromatica che
sembra aprirsi a nuove visioni. E’ l’immenso, lo spazio che non ha fine che egli
cerca in tantissimi suoi paesaggi. In una lettera al suo amico pittore James Whistler
egli scriveva: Mi trovo in un paese delizioso, il più bello al mondo, sul lago Lemano,
attorniato da gigantesche montagne. Qui davvero lo spazio vi piacerebbe perché da
un lato c’è il mare e il suo orizzonte … E’ lo sguardo sulle montagne, su
quell’orizzonte infinito dello stesso colore rosato del Panorama delle Alpi che
dipingerà a distanza di poco tempo.
Castello di Chillon, 1874
Patrizia Lazzarin