Guido Keller

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Guido Keller “Sei tu, Guido Keller, compagno che sai parlare all’aquila e sai persuadere il somiero, compagno che sai tener prigione l’aquila e caricare di pazienza il somiero, sei tu venuto al mio capezzale?” Gabriele D’Annunzio, L’ala d’Italia è liberata, Roma, La Fionda, 1919 * Guido Keller nasce a Milano nel 1892 (o 1894) da un’antica famiglia aristocratica elvetica, i conti Keller von Kellerer, che si era trasferita in Lombardia verso la metà del Diciottesimo secolo. Personaggio eccentrico, “un po’ guascone e un po’ Don Chisciotte” (Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume, il Mulino, 2002), da molti definito “scapigliato”, esteta e uomo d’azione, appassionato di letteratura italiana e straniera, di arti figurative, musica, filosofia e sport, amante del rischio e refrattario alla disciplina e alle convenzioni. “Keller era piccolo di statura, con una capigliatura sempre troppo abbondante e arruffatissima, con una barba selvaggia ma con baffi fieramente obbligati all’insù come quelli di un moschettiere. Aveva uno sguardo fra l’accigliato e il tenero; era alieno dagli scatti con i quali ognuno reagisce di fronte ad una enormità, contentandosi di una scrollatina di spalle o di un malinconico oscillare della grossa testa. Nessuno lo sentì mai alzare la voce. Sul più bello di una discussione nella quale stava per persuaderti (caso raro, perché di solito non lo capivi) ti lasciava, senza concludere la sua vittoria. Se mai sorrideva, ed era un sorriso che non dimenticavi più, niente ironia, niente superiorità: il bel sorriso puro di un fanciullo. Ma sorrideva rarissimamente perché tutto ciò che vedeva, anche la più grossa stramberia, era per lui cosa normalissima, e lo lasciava indifferente, o paternamente consenziente. Sorrideva di rado. Una vera risata, poi, non l’ha mai fatta. […] Sempre spiantato e sempre trasandato nel vestire ma con l’indifferenza del gran signore, un giorno ti capitava davanti con un capo di raffinata eleganza: una cravatta, un paio di scarpe indubbiamente provenienti da un ottimo negozio. Ma il giorno dopo la cravatta era lordata da una larga macchia d’olio che lui non si curava di togliere, e le scarpe erano orribilmente scalcagnate. Le aveva adoperate per una gita in montagna dove si era arrampicato

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Guido Keller

“Sei tu, Guido Keller, compagno che sai parlare all’aquila e sai persuadere il somiero, compagno che sai tener prigione l’aquila e caricare di pazienza il somiero, sei tu venuto al mio capezzale?”

Gabriele D’Annunzio, L’ala d’Italia è liberata, Roma, La Fionda, 1919

*

Guido Keller nasce a Milano nel 1892 (o 1894) da un’antica famiglia aristocratica elvetica, i conti Keller von Kellerer, che si era trasferita in Lombardia verso la metà del Diciottesimo secolo. Personaggio eccentrico, “un po’ guascone e un po’ Don Chisciotte” (Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume, il Mulino, 2002), da molti definito “scapigliato”, esteta e uomo d’azione, appassionato di letteratura italiana e straniera, di arti figurative, musica, filosofia e sport, amante del rischio e refrattario alla disciplina e alle convenzioni.

 

“Keller era piccolo di statura, con una capigliatura sempre troppo abbondante e arruffatissima, con una barba selvaggia ma con baffi fieramente obbligati all’insù come quelli di un moschettiere. Aveva uno sguardo fra l’accigliato e il tenero; era alieno dagli scatti con i quali ognuno reagisce di fronte ad una enormità, contentandosi di una scrollatina di spalle o di un malinconico oscillare della grossa testa. Nessuno lo sentì mai alzare la voce. Sul più bello di una discussione nella quale stava per persuaderti (caso raro, perché di solito non lo capivi) ti lasciava, senza concludere la sua vittoria. Se mai sorrideva, ed era un sorriso che non dimenticavi più, niente ironia, niente superiorità: il bel sorriso puro di un fanciullo. Ma sorrideva rarissimamente perché tutto ciò che vedeva, anche la più grossa stramberia, era per lui cosa normalissima, e lo lasciava indifferente, o paternamente consenziente. Sorrideva di rado. Una vera risata, poi, non l’ha mai fatta. […] Sempre spiantato e sempre trasandato nel vestire ma con l’indifferenza del gran signore, un giorno ti capitava davanti con un capo di raffinata eleganza: una cravatta, un paio di scarpe indubbiamente provenienti da un ottimo negozio. Ma il giorno dopo la cravatta era lordata da una larga macchia d’olio che lui non si curava di togliere, e le scarpe erano orribilmente scalcagnate. Le aveva adoperate per una gita in montagna dove si era arrampicato di notte per assistere allo splendore dell’alba. E ti raccontava, senza enfasi però, la commozione che ne aveva provato. Ma se gli proponevi di ripetere la gita insieme ti guardava come se tu fossi matto.”

Mario Fucini, generale dell’Aeronautica e personaggio di spicco della prima guerra mondiale (da Igino Mencarelli, Guido Keller, Ufficio storico dell’Aeronautica, 1970)

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Dopo le scuole elementari Keller viene mandato dai genitori a studiare in un convitto svizzero rigoroso e frequentato da famiglie illustri, ma vi resiste soltanto un paio di anni. Nel 1915 si iscrive al Battaglione aviatori civili di Mirafiori dove si distingue come uno dei migliori piloti e allievi. Ottiene il brevetto civile su apparecchio Blériot e si arruola nell’Aeronautica. Il primo giugno 1915 viene nominato pilota militare su Aviatik e il 15 novembre dello stesso anno diventa comandante della Terza Squadriglia Aviatik. Spericolato e imprevedibile, rischia spesso la vita: affronta ogni impresa con grande eccitazione e con un coraggio al limite della follia e s’incanta a guardare i paesaggi che sorvola tanto che il più delle volte perde di vista il proprio obiettivo e si dimentica

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degli attacchi nemici. Volare, per lui, è un momento estatico e, da vero dandy, porta un servizio da tè a bordo del suo velivolo e non indossa mai la divisa tradizionale.

 

“Keller era solito volare in abiti succinti, senza giacca, calzando in capo, in luogo del baschetto di cuoio, un fez da bersagliere munito di un lunghissimo cordone terminante in un grande fiocco: il cordone, come lui desiderava, si distendeva in aria, a guisa di una tremula manica a vento. E in volo talvolta leggeva tenendo il volume assicurato al ginocchio a mezzo di una funicella: leggeva l’Orlando Furioso, oppure liriche del Leopardi, del Petrarca, o tragedie di Shakespeare. Leggeva davvero perché, dopo l’atterraggio, più che riferire della missione compiuta, si preoccupava di commentare il libro.”

Igino Mencarelli, op. cit.

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Keller è un fanatico igienista, cultore del naturismo e del nudismo: gira sempre a torso nudo per il campo di aviazione e non si separa mai dalla sua aquila addestrata, chiamata proprio come lui, con la quale dorme, quasi sempre seminudo, appollaiato in cima a un albero.

 

“Così disdegnava passare la notte nello ‘alloggio signori ufficiali’ e si era trovato un albero in fondo al campo, sotto al quale una squadra di soldati, con abbondante lavoro di badile, era riuscita a scavare una specie di grotta o di ricovero. […] Nelle ore di libertà saliva sull’albero, nudo completamente e nell’aerea dimora svolgeva tutte quelle attività – anche le più naturali… – che molti uomini disimpegnano al livello del terreno.”

Atlantico Ferrari, L’Asso di cuori Guido Keller, Cremonese, 1933

“Nelle giornate serene, trascorreva le ore libere da impegni di servizio e di volo, nelle campagne circostanti: si denudava, prendeva bagni di sole, faceva lunghe marce, corse, esercizi ginnici. Ad eccezione dei mesi invernali, dormiva sotto la tenda. Una volta, in un campo di guerra, si fece costruire, come sua dimora, una grotta.”

Igino Mencarelli, op. cit.

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A Mirafiori gira voce che Keller abbia la testa talmente dura da riuscire a frantumare un’elica. Keller si indispettisce, convoca tutti i “calunniatori” e crea la bizzarra Società degli amici del pelo. A ognuno di loro taglia un ciocca di capelli e gli elenca le norme della società.

“Terminata la cerimonia, serio e solenne come un sacerdote che compie una cerimonia liturgica, seguito dai ‘soci’ in processione, raggiunse l’hangar e partì in volo recando, in una busta, i capelli degli stessi soci e arrivato su Torino li sparse nel cielo della città ‘in segno di promessa e di protezione dei piloti di Mirafiori’.”

Igino Mencarelli, op. cit.

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La popolarità di Keller dilaga nel periodo della cosiddetta “passione fiumana e dalmatica”. La sua fama di abile aviatore e di sostenitore della libertà di pensiero gli permettono di entrare in contatto con personaggi di un certo calibro: oltre a Francesco Baracca (Keller fa parte della sua squadriglia durante la grande guerra), conosce infatti l’ufficiale telegrafista Comisso e soprattutto Gabriele D’Annunzio. Keller aveva incontrato il Vate durante la guerra e ne era diventato seguace a Venezia, dopo l’armistizio. Nel settembre del 1919 D’Annunzio occupa Fiume con un piccolo gruppo di legionari, ma presto le gesta leggendarie del poeta-soldato richiamano migliaia di uomini, soprattutto ex combattenti, fra cui Keller: “Il Comandante lo consulta e gli vuol bene. I bambini piccini credono che sia il Diavolo” (Leone Kochnitzky, La quinta stagione o i centauri di Fiume, a cura di Alberto Luchini, Zanichelli, 1922). Non meno significativo è l’incontro con Giovanni Comisso, futuro scrittore e poeta:

“Un giorno sulle scale dell’albergo mi incontrai con l’aviatore Guido Keller, segretario d’azione del Comandante. Guardavo questo uomo strano di volto in cui brillavano acutissimi gli occhi neri, che mi scrutavano dalla testa ai piedi. Quando fummo vicini, mi tese la mano e subito ci mettemmo a parlare. […] Parlammo di fare la rivoluzione che cominciasse a mutare l’ordinamento dell’esercito, di abolire i gradi superiori al capitano, di ricreare le antiche compagnie di ventura di tradizione italiana, di prendere l’ardito come tipo esemplare del vero soldato italiano e di modificare la divisa, abolendo il colletto chiuso e la inutile spada”.

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Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Longanesi, 1963

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Insieme fondano il movimento Yoga, l’Unione di Spiriti Liberi tendenti alla perfezione, che assume come simbolo una svastica – allora allegoria del carro e del sole – e una rosa a cinque petali. Il movimento, con tendenze esoteriche e trasgressive, si pone l’obiettivo di contrastare gli elementi moderati e conservatori che circondano D’Annunzio e si apre al libero amore, alle orge gay, a ladri e prostitute. Nei proclami del gruppo viene teorizzata la necessità di “insegnare la scienza dell’Amore cioè della Trasformazione. L’Amore come sensazione, come sentimento, come idea; […] la filosofia non come amore della Scienza, ma come Scienza dell’Amore” (Ferdinando Gerra, L’impresa di Fiume. II: La Reggenza italiana del Carnaro, Longanesi). L’esperienza fiumana viene vissuta “come momento perennemente ludico”, come una festa continua, ma rimane ancorata all’impegno e alla realtà. I due progettano anche il Castello d’amore, una festa in costume con ambientazione medievale per il Carnevale del 1920, che viene però bocciata da D’Annunzio:

“Ma perché avete pensato a una festa così antiquata; sembra la mia Francesca da Rimini. No, no. Si direbbe ‘Ecco il solito D’Annunzio’. Penserò io a qualcosa di nuovo”.

Paolo Alatri, Gabriele D’Annunzio, Utet, 1983

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Keller, inoltre, dà vita a una compagnia destinata alla guardia del corpo del Comandante (come si fa chiamare D’Annunzio), denominata La Disperata e formata da un gruppo di giovani soldati scapestrati che non sono stati accolti dal Comando e si sono accampati nei cantieri navali della città.

“Andato a vedere cosa vi facevano, trovò che se ne stavano nudi a tuffarsi dalle prue delle navi immobilizzate, altri cercavano di manovrare vecchie locomotive che un tempo correvano tra Fiume e Budapest, altri arrampicati sulle gru, cantavano. Gli apparvero ebri e felici, li fece radunare e li passò in rassegna: erano tutti bellissimi, fierissimi e li giudicò i migliori soldati di Fiume. Inquadrò questi soldati che tutti chiamavano i disperati per la loro situazione di abbandono e li offerse al Comandante come una guardia personale. La sua decisione fece scandalo tra gli ufficiali superiori, ma il Comandante accettò l’offerta. Con la creazione di questa compagnia, Keller aveva cominciato a realizzare le sue idee di un nuovo ordine militare. Grande parte del giorno questi nuovi soldati facevano esercizio di nuoto e di voga, cantavano e marciavano attraverso la città a torso nudo con calzoncini corti, non avevano obbligo di rimanere chiusi in caserma, ma gli stessi esercizi con la loro piacevolezza li persuadevano a tenersi raggruppati e alla sera per loro divertimento se ne andavano in una località deserta chiamata La torretta, dove divisi in due schiere iniziavano veri combattimenti a bombe a mano, e non mancavano i feriti. [Era un] manipolo di uomini decisi, spregiudicati, violenti nell’adorazione e nell’impeto: fiore della rivolta e della libertà, passato attraverso il setaccio della guerra e degli stati d’animo, se non delle idee, rivoluzionari. Erano mastini ed erano fanciulli: sicuri come truppe di colore, consapevoli come ‘soldati della morte’, lieti e canori come atleti in gara continua. Alcuni elementi moralmente impuri non la deturparono, ma le diedero un colore crepuscolare di gente maledetta dai saggi e dai mediocri, che costituì il suo fascino più orgoglioso”.

Giovanni Comisso, op. cit.

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“Il motto dei legionari era: ‘Me ne frego!’ ed i cuori delle fanciulle si facevano rapire. Passavano svelti sfiorando la terra – il torso nudo – le gambe nervose – cantando inghirlandati di fiori dopo il nobile esercizio delle armi.”

Guido Keller, in Krimer, Incontro con Guido Keller, Mantero, 1938

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Tra Keller e D’Annunzio si instaura un forte legame e l’aviatore sarà l’unico autorizzato a dargli del tu.Il poeta attribuisce la mancata annessione di Fiume all’allora presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti e trova il pieno consenso dei legionari. È in questa occasione che Keller compie la sua impresa più memorabile: vola su Roma e lancia tre “messaggi”, rispettivamente sul Vaticano, sul Quirinale e su Montecitorio, con lo scopo di perorare la causa dannunziana e colpire l’opinione pubblica.

“Giunto a destinazione offro al Vaticano delle rose rosse per Frate Francesco, sul Quirinale lancio altre rose rosse alla Regina e al Popolo, in pegno d’amore. Su Montecitorio scaglio invece un arnese di ferro smaltato, con uno striscione di stoffa rossa, delle rape legate al manico e un messaggio: Guido Keller – Ala Azione nello splendore – dona al Parlamento e al Governo che si reggono da

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tempo con la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del Loro Valore. Roma, 14 del terzo mese della Reggenza.”

Igino Mencarelli, op. cit.

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L’arnese di ferro smaltato cade sul tetto dell’Hotel Milan. Sul momento tutti pensano che sia una bomba, ma non segue nessuna esplosione:

“…qualcuno del personale dell’albergo salito sul tetto e avvicinatosi con precauzione all’involucro caduto non tardò a riconoscere che non si trattava di una bomba, ma di un oggetto che sta abitualmente nei comodini vicino al letto, un po’ più grande dell’ordinario…”

[S.f.], Da Roma, in Yoga, n. 2, 20 novembre 1920

L’oggetto in questione altro non è che un pitale su cui Keller viene spesso ritratto.

Dopo l’esperienza di Fiume, Keller non riesce più a trovare un suo equilibrio anche a causa dell’enorme uso di cocaina. Si trasferisce prima in Turchia, dove cerca di allestire, fallendo, una scuola di pilotaggio, poi a Berlino, dove si distingue per il suo anticonformismo. Con l’intento di fondere le repubbliche sudamericane, si lancia in un’impresa rivoluzionaria di cui parla all’amico Sandro Pozzi.

“La bella tradizione di fede à dilagato il suo respiro nelle terre d’oltre mare. I morti sono pari a quelli di Fiume. Seguo il cammino dettato dal destino: ho cercato la mia terra tranquilla lontana e come Ulisse sono caduto dalla padella nella brace”.

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Sandro Pozzi, Guido Keller. Nel pensiero nelle gesta, curata da Sandro Pozzi, Mediolanum, 1933

Tornato in patria nel 1928, Keller si lega ai futuristi e sogna progetti come la Conquista del sole (uno spettacolo aereo che prevede la collaborazione del pittore e pilota futurista Fedele Azari) e la Città di vita, un luogo isolato per artisti ed esteti in cui riprodurre l’idea della vita-festa di Fiume.Keller muore nel 1929 in un incidente stradale insieme a due amici e colleghi, Vittorio Montiglio e Giovanni Battista Salina, nei pressi di Otricoli (Terni), mentre sono diretti a Vallombrosa. Viene sepolto vicino alla tomba di D’Annunzio.