Guido Horn d’Arturo e lo specchio a...

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Con queste parole Horn nel 1932 esprimeva la sua preoccupazione per la situazione in cui versava l’astronomia osservativa. Per migliorare le osservazioni astronomiche, ed osservare stelle più deboli o lontane, occorre raccogliere più luce con il telescopio. Guido Horn d’Arturo e lo specchio a tasselli

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Con queste parole Horn nel 1932 esprimeva la sua preoccupazione per la situazione in cui versava l’astronomia osservativa.

Per migliorare le osservazioni astronomiche, ed osservare stelle più deboli o lontane, occorre raccogliere più luce con il telescopio.

Guido Horn d’Arturo e lo specchio a tasselli

Per fare ciò è necessario aumentare le dimensioni dello specchio principale del telescopio, ma questa operazione è limitata dalle difficoltà tecniche che le officine incontrano nel tentativo di forgiare specchi di grandi dimensioni e di edificare montature in grado di reggere i pesanti specchi durante i movimenti che devono compiere per osservare regioni diverse del cielo. Altra difficoltà è data dalla diversa reazione ai cambiamenti di temperatura delle diverse parti dei grandi specchi, che dunque tendono a deformarsi.

Sembrava pertanto che i telescopi in uso negli anni ‘30 avessero le dimensioni massime raggiungibili dalle officine e non fossero possibili ulteriori miglioramenti nelle osservazioni.

Horn dedicò molti sforzi a cercare di superare queste difficoltà e creare specchi di grandi dimensioni. Temeva infatti che in mancanza di osservazioni migliori l’astronomia perdesse il suo fondamento, la sua connessione con i dati raccolti e quindi il suo stesso legame con la natura e sconfinasse nell’astrattezza.

“La mancanza di nuovo materiale d’ osservazione porta con sé anche una conseguenza di ordine morale: essa spinge il ricercatore ad immaginare là dove non può vedere; ora la facoltà immaginativa, fecondissima finché l’investigatore che ne è dotato debba interpretare fatti ben accertati, se vien meno il sostegno dei fatti, essa è fomite di aberrazione scientifica.”

(Coelum, 2, 1932, pp.25-27)

Questo specchio monolitico da 60 cm di diametro era il maggiore specchio d’Italia quando nel 1932 fu acquistato da Horn ed adibito ad uso fotografico nell’osservatorio di Loiano fondato da Horn stesso

Gli “specchi liquidi”

Attorno al 1850 fu proposta l’idea di sfruttare la proprietà dei liquidi di assumere forma parabolica (forma particolarmente funzionale per gli specchi principali dei telescopi) se messi in rapida rotazione per creare specchi da utilizzare in posizione orizzontale. L’idea fu quella di ricorrere al mercurio fatto ruotare a velocità costante.

Il progetto non diede i risultati attesi a causa della impossibilità di ottenere una velocità di rotazione uniforme, cosa che fa mutare continuamente la posizione del fuoco dello specchio.

Congegno per mettere in rotazione il mercurio

Ritchey ed il sistema “cellulare”

Nei primi lustri del XX secolo Ritchey ha cercato di ovviare al problema della deformazione ed a quello del peso eccessivo sostituendo allo specchio compatto (il cui spessore minimo supera di solito un settimo del diametro) un disco di vetro di uno o due centimetri di spessore sostenuto da una armatura posteriore anche essa di vetro, traforata e cementata al disco con una resina a presa fortissima.

Questo sistema è detto cellulare e con esso si riduce il peso dello specchio e quindi la difficoltà nella creazione dello specchio stesso da parte delle officine.

Inoltre, grazie all’aria che circola, fino nelle parti più interne dell’armatura, si stabilisce rapidamente l’equilibrio termico nello specchio. In questo modo si attenuano gli effetti dannosi della dilatazione non omogenea.

Anche con questo sistema, però, si raggiungono presto dimensioni degli specchi e delle armature grandi e non più superabili.

Le Torri solari

In queste strutture, sperimentate nella prima metà del XX secolo, lo specchio primario rimaneva immobile e per fargli giungere la luce proveniente da una qualunque direzione del cielo si ricorreva ad uno specchio mobile ausiliario detto cielostata.

Aumentando però le dimensioni dello specchio immobile crescono a dismisura anche quelle dello specchio mobile così che il costruttore viene a trovarsi di fronte agli stessi ostacoli incontrati nella costruzione delle montature dei grandi telescopi.

Lo specchio a tasselli di Horn

L’idea di Horn consiste nel sostituire alla superficie integra dello specchio un mosaico di tasselli che ne ricostruiscono la superficie.

“La fusione e la levigazione di così grandi blocchi di vetro trascendono le forze umane laddove la confezione di tasselli e’ impresa facilissima per una officina ben attrezzata e mentre intorno alla superficie integra di 1.10 m travagliano in molti per più di un anno, in poche settimane si preparerebbero gli 80 tasselli che valgono a comporre uno specchio della stessa apertura.”

“Il non ultimo vantaggio dell’area frazionata si avrà nello scomparire del nocivo effetto della deformazione, che i grandi blocchi di vetro subiscono col variare della temperatura; nella superficie frazionata ogni tassello si dilata pochissimo ed indipendentemente dai vicini, e quindi gli effetti della deformazione non si sommano, come nel blocco unico, all’orlo del quale raggiungono valori intollerabili e tali che una porzione non piccola del bordo deve essere diaframmata ed esclusa dalla riflessione.” Coelum, 6, (1932), pp. 121-125

Il prototipo dello specchio a tasselli di Horn

Il primo specchio a tasselli realizzato da Horn era appunto costituito da 80 tasselli uguali.

Le superficie levigate dei tasselli hanno curvatura sferica ed il raggio, uguale per tutti è di 20 metri. La distanza focale è di 10 metri per ciascun tassello e per la superficie che essi compongono nel complesso.

Sotto ai tasselli era posta una lastra di marmo traforata che fungeva da sostegno. Ciascun tassello poggiava su tre pioli a vite che passavano attraverso i fori della lastra. Il congegno porta-vite era munito di slitte per gli spostamenti laterali ed era solidale con il marmo.

Aggiustamento dello specchio

Agendo manualmente sui pioli a vite al di sotto del marmo si poteva variare la posizione dei tasselli sia lateralmente che verticalmente.

I tasselli devono giacere in modo che un punto luminoso infinitamente lontano incidendo con la sua luce sui tasselli dia di sé una immagine unica, puntiforme, che sia la somma delle 80 immagini.

L’aggiustamento si fa con una sorgente di luce artificiale che illumini col suo fascio di raggi paralleli due tasselli vicini. Partendo dall’immagine riflessa dal primo tassello si porta l’immagine riflessa dal secondo a coincidere con quella del primo. Spostando quindi il fascio in modo che illumini il secondo e terzo tassello si porta l’immagine riflessa dal terzo tassello a coincidere con quella riflessa dal secondo e così via per tutti i tasselli.

Collocazione originale dello specchio a tasselli

Lo specchio era originariamente collocato nella stanza più elevata della Torre dell’Osservatorio di Bologna. Esso giaceva a 50 cm da terra e riceveva luce da una apertura circolare praticata nel pavimento della terrazza sovrastante. L’altezza della stanza è circa uguale alla distanza del fuoco dal centro dello specchio (distanza focale). Dunque il fuoco dello specchio sovrastava di poco il pavimento della terrazza ove era possibile agire per collocare le lastre sensibili alla luce utilizzate per fotografare le immagini del cielo realizzate dal telescopio.

Lo specchio così composto rimaneva immobile ed osservava solo lo zenit. Questo ovviamente ne limitava le possibilità.

Horn presso l’imboccatura dell’apertura sulla sommità della Torre

Tasselli esagonali

Verso la metà del secolo XX iniziò la levigazione di tasselli esagonali per comporre uno specchio che sostituisse il prototipo nella sala dell’osservatorio.

Lo specchio composto da tasselli esagonali minimizza infatti le perdite di luce nelle cesure ove i diversi tasselli vengono a contatto.

Nel 1950 furono pronti i primi diciannove tasselli che formarono la superficie di un metro di diametro.

La doppia apotema di ciascun tassello è di 20 cm

e la distanza focale è di 10.41 m

Lo specchio così composto fu subito messo alla prova e diede immagini soddisfacenti. Si procedette dunque alla levigazione di altri tasselli uguali.

Intanto continuava anche il lavoro di perforazione della Torre dell’Osservatorio di Bologna e veniva allargata il più possibile l’apertura nel pavimento della terrazza dalla quale lo specchio riceveva la luce.

Lo specchio da 1.80 m di apertura

Lo specchio da 1.80 m di apertura

Nell’estate del 1952 lo specchio contava 61 tasselli e la sua apertura era di 1.80 metri.

Lo specchio così realizzato occupava tutto lo spazio a disposizione nella sala in cui era composto ed in cui è tutt’ora esposto.

A quel punto lo specchio dovette dirsi finito ed Horn con il rammarico che si legge in Coelum (5-6,1955 pp 66-68) rinunciò ad aggiungere un’altra serie di tasselli.

Tre di queste viti sotto ogni tassello ne consentono la regolazione della posizione

Un altro progetto di Horn

Il fatto che questi specchi restassero immobili limitava la libertà del loro utilizzo.

Horn pensò perciò di installare un simile specchio in varie località d’italia in modo che “ogni zenit avesse il suo telescopio”.