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Guido Celoni avvocato CAPTAZIONE TESTAMENTARIA Il dolo come causa di annullamento del testamento 1

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Guido Celoniavvocato

CAPTAZIONE TESTAMENTARIAIl dolo come causa di annullamento del testamento

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Guido Celoni

CAPTAZIONE TESTAMENTARIAIL DOLO COME CAUSA DI ANNULLAMENTO DEL TESTAMENTO

IndiceCapitolo primo Definizione, pag. 4Capitolo secondo Excursus storico, pag. 7Capitolo terzo Effetti della riforma dei motivi di ricorso per cassazione, pag. 8Capitolo quarto La prova presuntiva della captazione nella elaborazione dalla giurisprudenza di legittimità dall'entrata in vigore dell'attuale codice civile fino ad oggi, pag. 9Capitolo quinto, Conclusioni, pag. 35

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Capitolo primoDefinizione

La captazione testamentaria è regolata dall'art. 624 del codice civile, che al primo comma prescrive così:

La disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse, quando è l'effetto di errore, di violenza o di dolo.

In particolare la captazione testamentaria è il dolo con il quale taluno abbia indotto il de cuius testare in modo diverso da quella che altrimenti sarebbe stata la sua volontà. La Corte di cassazione, definendo la nozione di captazione, ha precisato che “La captazione consiste nel creare nel testatore la fallace convinzione di determinare spontaneamente e liberamente la propria volontà” (Cass. sent. n. 2008 del 1962)

La captazione presuppone che il testatore fosse capace di intendere e di volere, trovando altrimenti applicazione l'art. 591, secondo comma, n. 3, cod. civ., il quale prevede che sono incapaci di testare, oltre ai minorenni e agli interdetti, anche “quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere o di volere nel momento in cui fecero testamento”.

E' utile richiamare il concetto di dolo, espresso dal primo comma dell'art. 43 cod. pen.

“Il delitto: è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento

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dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione ; [...]”.

Ragionando in teoria, si hanno queste possibili ipotesi di captazione:1) indurre taluno a fare un testamento, quando non avrebbe voluto farlo;2) indurre taluno ad inserire nel testamento disposizioni che egli non avrebbe voluto inserire, oppure a omettere disposizioni che egli avrebbe voluto inserire;3) indurre taluno ad includere quali eredi o legatari persone che altrimenti egli non avrebbe voluto includere, oppure ad omettere eredi e legatari che egli avrebbe voluto inserire.

Il codice civile presuppone l'esistenza di una disposizione testamentaria e, quindi, non dà tutela nell'ipotesi in cui qualcuno abbia indotto il de cuius a non fare testamento, mentre egli avrebbe voluto farlo; questa scelta legislativa privilegia gli eredi legittimi.

Solitamente, si presume che chi abbia dolosamente influito sulla volontà del testatore, l'abbia fatto per interesse proprio o di un terzo del quale è connivente.

Tuttavia, l'art. 624 cod. civ. non presuppone tale circostanza, per cui ben potrebbe essere impugnato un testamento oggetto di captazione per mera inimicizia verso coloro che il testatore avrebbe voluto favorire o per mera amicizia verso coloro che il testatore avrebbe voluto penalizzare. Anzi, è anche possibile impugnare un testamento sul cui contenuto taluno ha influito

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per ideali religiosi, politici o di altra natura, senza riceverne alcun vantaggio o svantaggio economico, neppure indirettamente.

La natura di questo dolo verrà esaminata nel capitolo dedicato alla ricostruzione dei principi indicati dalla Corte di cassazione.

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Capitolo secondoExcursus storico

L'art. 624 del codice civile non ha subìto modifiche dal 1942 ad oggi (2015).

Risalendo indietro nel tempo, osserviamo che nel codice civile del 1865 non era prevista l'ipotesi del dolo operato da un terzo come causa di nullità testamentaria; infatti, l'art. 828 stabiliva che:Le disposizioni a titolo universale o particolare fondate sopra una causa espressa che risulti erronea, quando questa sia la sola che vi abbia determinato il testatore, non hanno alcun effetto.

Il Codice Civile Albertino del 1837 all'art. 810 prescriveva che:Le disposizioni a titolo universale o particolare fondate sopra una causa, che sola vi abbia determinato il testatore, e che sia falsa, non avranno alcun effetto.

Al successivo art. 811 il medesimo Codice stabiliva che:Se il testatore avrà bensì espressa una causa, ma senza che risulti dal testamento, che sia stata la sola, quand'anche si trovi falso, la disposizione avrà il suo effetto, eccetto che si provi da chi vuol impugnare la disposizione, che la volontà del testatore era unicamente appoggiata alla causa espressa.

Gli articoli 812 e 813 del Codice Estense e l'art. 572 del Codice Austriaco erano conformi a quello Albertino.

Il concetto di falsità della causa può essere assimilato a quello di erroneità che è espresso dal Codice Albertino.

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Capitolo terzoEffetti della riforma dei motivi di ricorso per cassazione

La maggior parte delle sentenze che la Corte di cassazione ha pronunciato dal 1942 ad oggi sull'art. 624 cod. civ. hanno avuto ad esame il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, che era prescritto come motivo di ricorso per cassazione dall'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., abrogato dal D. Lgs. n. 40 del 2006.Il novellato art. 360 cod. proc. civ. avrà l'effetto di rendere definitiva la motivazione che le Corti d'appello daranno in merito alla prova della captazione testamentaria.Ciononostante, lo studio dei precedenti della Corte di cassazione è fondamentale, perché offre i criteri logici per individuare la presenza di captazione come causa che ha influenzato il testatore oltre i limiti consentiti dal diritto.

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Capitolo quartoLa prova presuntiva della captazione

come elaborata dalla giurisprudenza di legittimità dall'entrata in vigore dell'attuale codice civile fino ad oggi

La prova della captazione può essere presuntiva, ma deve “fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l'attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore” (Cass. n. 824 del 2014; conf. Cass. n. 14011 del 2008, Cass. 6396 del 2003).

E' utile richiamare l'art. 2727 cod. civ., il quale definisce le presunzioni come le conseguenze che “il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”.

Dunque, il primo compito è quello di elencare i fatti da cui si presume che la volontà del testatore sia stata ingiustamente modificata da un terzo, ricordando che a norma dell'art. 2729 cod. civ. il giudice può ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”.

Attraverso l'esame dei precedenti portati all'attenzione della Corte di cassazione, possiamo ricostruire la logica argomentativa che fa discernere tra presunzioni probanti e presunzioni illusorie.

4.1 Cass. n. 824 del 2014, estensore L. Abete

Il principio di diritto relativo al tema che ci interessa è il seguente.

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In tema di impugnazione della disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l'attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore, non potendosi tale prova desumere unicamente dal fatto che il beneficiario (nella specie, figlio del testatore) convivesse col "de cuius".

Invero, dalla motivazione della sentenza della Corte di legittimità emergono le ragioni poste a base della sentenza della Corte d'appello di Catania, la quale ha escluso la presunzione di captazione non essendo stata raggiunta la prova (anzi essendo stata smentita) che la figlia convivente con la de cuius avesse isolato la madre negli ultimi tre anni della vita di lei ed, anzi, essendo emersa la prova che in tale ultimo periodo la madre avesse spontaneamente reciso i rapporti con il figlio pretermesso dall'eredità, sospettandolo di aver amministrato infedelmente il suo patrimonio. Oltre tali fatti è stato considerato che nel momento del decesso la de cuius aveva settantacinque anni, “età che non è certo così avanzata da lasciare di per sé sola presumere tangibile fragilità e confusione mentali" (passo della motivazione della Corte d'appello citato nella motivazione della sentenza della Cassazione).

Dunque, dei fatti dai quali il giudice avrebbe dovuto presumere la captazione ne rimaneva provato soltanto uno, quello della coabitazione della figlia beneficiata dal testamento a danno degli altri figli.

In presenza, di un solo fatto teoricamente favorevole alla tesi

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della captazione e di numerosi fatti discordanti, la Corte d'appello di Catania ha escluso il raggiungimento della prova per presunzioni della captazione della volontà della de cuius, motivazione che è stata ritenuta dalla Cassazione “ampia, articolata, esaustiva, congrua e coerente”.

La Corte d'appello di Catania ha molto approfondito l'esame delle prove circa l'isolamento della de cuius nell'ultimo periodo della propria vita, nel quale era anche stato redatto il testamento. Ciò fa ritenere che l'isolamento dei de quibus sia uno di quei fatti noti dai quali si può desumere la captazione, se esso corrisponde sia con l'epoca nella quale fu redatto il testamento sia con l'ultimo periodo della vita.

Ovviamente, l'isolamento può anche non essere assoluto, perché non con tutti si parla delle proprie ultime volontà o dei rapporti con i propri eredi legittimi: altro è incontrare, telefonare o comunicare con parenti e con amici molto affezionati, altro è andare a comprare il pane o ricevere in casa l'idraulico per una riparazione.

Quando risulta che l'isolamento è stato provocato da chi è stato beneficiato dal testamento, l'indizio di captazione è certamente più grave, essendo in tal modo più facile evitare che altre persone possano rendere consapevole il testatore della manipolazione a cui è stato sottoposto.

Se l'isolamento riguarda un breve periodo anteriore al decesso e corrisponde al periodo nel quale fu redatto il testamento, la gravità dell'indizio è ancora maggiore, specialmente se il decesso imminente era prevedibile a causa della malattia o della vecchiaia. Infatti, in tale frangente è impossibile per il

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testatore ricevere conferme o smentite sui fatti che l'hanno indotto a testare in un certo modo.

I figli che per anni si siano interessati del proprio genitore o che l'abbiano lasciato spesso solo nell'ultimo periodo della propria vita non potranno invocare l'isolamento come indizio di captazione, se il genitore ha preferito i figli o i parenti o gli amici che l'hanno accudito, essendo umanamente comprensibile la riconoscenza verso chi ci sostiene nei momenti di estrema sofferenza fisica o morale.

4.2 Cass. n. 14011 e n. 26258 del 2008, estensore V. Mazzacane

In tali sentenze, che esaminiamo congiuntamente perché redatte dal medesimo giudice, la Corte formula due principi di diritto che ci interessano.

4.2.A) La dichiarazione d'indegnità a succedere, ai sensi dell'art. 463, n. 4), cod. civ., per captazione della volontà testamentaria, richiede la dimostrazione dell'uso, da parte sua, di mezzi fraudolenti tali da trarre in inganno il testatore, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. (Cass. n. 26258 del 2008).

Nel caso di specie, deciso nel merito dalla Corte d'appello di Trieste, gli eredi pretermessi (nipoti del de cuius: dalla lettura della sentenza pare che non fossero diretti discendenti del medesimo) accusavano, tra l'altro, l'erede testamentaria di aver usato artifici e raggiri per indurre il testatore a nominarla erede.L'erede non era una congiunta del de cuius, ma lo frequentava

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nella casa di riposo, dove era addetta alla lavanderia, ma pare spacciandosi con il de cuius per assistente sociale; inoltre, il de cuius diceva che era in cerca di una donna da sposare e l'erede testamentaria disse falsamente di essere divorziata e promise di sposarlo, tanto che il de cuius aveva allontanato un'altra pretendente. Nel testamento vi era l'impegno a donare subito metà dei propri beni all'erede nominata, con lo scopo che l'accudisse per il resto della propria vita; la donazione avvenne quattro giorni dopo la redazione del testamento. La stessa erede testamentaria aveva sottoscritto in calce il testamento, dopo la firma del testatore.

Anche in questa ipotesi, per la decisione è stata fondamentale l'istruttoria: essa ha smentito sia la circostanza che l'erede testamentaria si fosse spacciata per assistente sociale (peraltro circostanza poco rilevante come indizio), sia che avesse promesso di sposare il testatore. Era anzi emerso che, dopo che rimase vedovo, il testatore avesse ripetutamente espresso la sua volontà di beneficiare con il suo patrimonio la donna che si fosse presa cura di lui, come poi si era verificato con l'erede testamentaria, la quale gli aveva prestato assistenza morale e materiale. Da ciò la Corte d'appello di Trieste, con motivazione avvalorata dalla Corte di cassazione, ha desunto che, quand'anche fossero stati provati gli assunti dei nipoti del de cuius, essi non avrebbero avuto alcuna incidenza sulla volontà del testatore.

Dalla lettura della sentenza non risulta che i nipoti abbiano dedotto di essere stati vicini al loro congiunto nell'ultimo periodo della vita, quando era ricoverato nella casa di riposo e quando ha redatto il testamento; circostanza non trascurabile nell'indagine della prova presuntiva della captazione.

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A prescindere dall'esito dell'istruttoria, possiamo desumere che la promessa di sposare e quella di prendersi cura del testatore sono indizi che potrebbero far presumere la captazione, specialmente se tali promesse non siano poi state mantenute e se il testatore vivesse in una condizione di disagio per la mancanza di un coniuge o di una persona che si prendesse cura morale e materiale di lui.

Nel caso di specie emerge incidentalmente che l'erede testamentaria si prese effettivamente cura del testatore, corrispondendo al suo bisogno, mentre - come abbiamo scritto - non emerge invece che i nipoti si fossero presi cura del loro congiunto.

4.2.B) In tema di impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, per potere configurarne la sussistenza non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti, i quali - avuto riguardo all'età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire la attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore. (Cass. n. 14011 del 2008).

Nel caso di specie, anch'esso deciso nel merito dalla Corte

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d'appello di Trieste, la sorella del de cuius impugnò il testamento con il quale veniva nominata unica erede la moglie del medesimo, deducendo che quest'ultima dopo il matrimonio aveva allontanato il medesimo dalla famiglia di origine: l'isolamento aveva come scopo quello di influenzare il de cuius, il quale aveva sempre avuto l'intenzione di lasciare parte dei propri beni alle nipoti, figlie ex sorore.

Dalle risultanze istruttorie è stato confermato l'allontanamento del de cuius dalla famiglia d'origine ad opera della moglie, la quale lo influenzava; tuttavia, la Corte di merito ha escluso che ciò fosse sufficiente per dichiarare la nullità del testamento, non essendo stato neppure dedotto a mezzo di prova che il de cuius avesse confidato a terze persone che la moglie l'avrebbe indotto a disporre dell'intero asse ereditario a suo favore. La Corte di cassazione condivide questi rilievi della Corte d'appello di Trieste, osservando che l'art. 624 cod. civ. richiede la prova che la volontà del testatore sia stata indirizzata in modo da come essa avrebbe potuto determinarsi: tale principio di diritto appare condivisibile perché conforme alla definizione di dolo offerta dal citato art. 43 cod. pen.

Evidentemente la ricostruzione dei fatti emersa dall'istruttoria non ha convinto né il Tribunale, né la Corte d'appello, ma ci pare eccessivo pretendere la prova che il testatore abbia confidato a terzi di non poter disporre liberamente per testamento; infatti, il testatore può anche essere stato vittima di dolo senza essersene accorto o non aver confidato a nessuno la propria costrizione per timore di gravi conseguenze: tutte ipotesi che rientrano totalmente nella fattispecie dolosa regolata dall'art. 624 cod. civ.

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L'altro principio di diritto è formulato dalla Corte di cassazione riferendosi a due sentenze precedenti (n. 7689 del 1999 e n. 8047 del 2001).

In esso si afferma che non è sufficiente una qualsiasi influenza di ordine psicologico che abbia come conseguenza il risultato di aver convinto il de cuius a formare un testamento, ma occorre una prova della fraudolenza.

4.3 Cass. n. 6396 del 2003, estensore G. Napoletano

Poiché, in tema di impugnazione di disposizione testamentaria, la captazione, costituendo una forma di dolo, non si concreta in una qualsiasi influenza psicologica esercitata sul testatore attraverso blandizie, sollecitazioni e consigli ma consiste in veri e propri raggiri o altre manifestazioni fraudolente che, ingenerando una falsa rappresentazione della realtà, siano in grado di ingannare il testatore, la prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire la attività captatoria e la influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore che altrimenti si sarebbe indirizzata in modo diverso

Il principio di diritto è simile a quello formulato nelle sentenze che abbiamo già esaminato. Nel caso di specie la Corte d'appello di Catanzaro ha valutato irrilevanti una lunga serie di circostanze, ritenendo che nessuna di esse “era espressione della condotta fraudolenta”, ma attribuendo a ciascuna di esse una giustificazione diversa da quella prospettata dalla parte appellante.

Invero, la definizione di presunzione data nel citato art. 2727

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cod. civ. consente di risalire alla prova della condotta fraudolenta anche da una serie di fatti che di per sé fraudolenti non sono.

4.4 Cass. n. 8047 del 2001, estensore U. Goldoni

Dopo aver espresso il medesimo principio di diritto della citata sentenza n. 6396, la Corte aggiunge: ai fini del convincimento del giudice in ordine alla capacità del testatore, può essere rilevante anche la forma con cui è stato redatto il testamento.

Nel caso di specie la Corte d'appello di Palermo annullava il testamento, pur ritenendo di per sé irrilevanti le provate patologie nervose di cui soffriva il de cuius e che lo portavano a stati d'animo altalenanti, sfocianti in numerosi episodi autolesionistici.

La motivazione dell'annullamento veniva posta dalla Corte d'appello sui seguenti indizi: dopo la sottoscrizione del testamento, vi era la postilla che la disposizione era formulata “senza alcuna costrizione fisica”, segno questo per la Corte palermitana che l'erede testamentaria “si era ben resa conto dell'instabilità psichica del de cuius e gli richiese anche l'aggiunta di tale precisazione”; l'erede testamentaria (vent'enne) aveva taciuto al de cuius (cinquant'enne ed amante dell'erede) l'esistenza di una propria relazione sentimentale con altra persona, circostanza che altrimenti avrebbe inciso sulla decisione del testatore; luogo di redazione del testamento (città turistica in cui si erano recati i due amanti: de cuius ed erede); supporto sul quale era stato scritto il testamento (foglio di bloc-notes); ciclotimia di cui era affetto il de cuius.

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La Corte di cassazione ha concluso che “l'attività di convincimento” dell'erede “non fu limitata a blandizie o simili, ma si concretò in un consapevole sfruttamento delle condizioni emozionali, caratteriali e di età [del testatore] [...], onde captarne dolosamente la volontà”.

Incidentalmente, la Corte di cassazione affronta l'importante tema del lasso temporale tra la data del testamento che si suppone nullo e la data del decesso: nel caso di specie erano trascorsi oltre sette mesi tra testamento e decesso e, quindi, teoricamente era possibile un ripensamento da parte del testatore.

La Corte di cassazione afferma che tale elemento temporale appare in contrasto con la tesi della captazione; ma, osserva la Corte, “se è vero che passarono più di sette mesi prima della morte del testatore, è pur vero che il decesso avvenne per circostanze impreviste ed imprevedibili, tanto che niente poteva far pensare al [de cuius] […] che la sua fine fosse prossima”.

4.5 Cass. n. 7689 del 1999, estensore RM. Triola

Anche nel presente caso la Corte di cassazione esprime il principio di diritto, secondo il quale per potersi configurare il dolo non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore.

Nel caso sottoposto alla Corte d'appello di Milano la de cuius prima aveva venduto la nuda proprietà di due appartamenti alla medesima persona e, due anni dopo il secondo trasferimento, con testamento olografo aveva nominato erede universale il

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medesimo acquirente, persona che frequentava abitualmente la medesima de cuius.

Gli eredi legittimi proponevano domanda nella quale chiedevano in via subordinata l'annullamento del testamento per incapacità di intendere e di volere o l'annullamento per dolo, oltre a domande riguardanti gli atti di compravendita.

L'istruttoria non raggiunse la prova dell'incapacità di intendere e di volere al momento della redazione del testamento e neppure quella del dolo: l'unico fatto provato fu che l'erede testamentario pochi giorni prima della redazione del testamento aveva consegnato alla de cuius una lettera inviatagli da una delle eredi legittime “per far credere che i parenti si disinteressavano di lei” e, inoltre, l'aveva circondata di attenzioni: la Corte d'appello milanese ha ritenuto che “in tale comportamento non era ravvisabile quella artificiosa immutazione della realtà che è elemento costitutivo del dolo”; la medesima Corte riteneva inammissibili gli altri capi di prova, in quanto essi non avevano ad oggetto fatti rilevanti ai fini dell'annullamento del testamento ai sensi dell'art. 624 cod. civ.

Prima di esaminare le conclusioni della Corte di cassazione, rileviamo che, sebbene possano formularsi in via subordinata, la domanda di annullamento per incapacità e quella per dolo non si fondano sulle medesime circostanze, tant'è vero che l'annullamento per dolo presuppone la capacità di intendere e di volere del testatore: non si può usare questa domanda come àncora di salvezza per il caso in cui la domanda di annullamento per incapacità risulti infondata.

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La Corte di cassazione condivide la motivazione della Corte d'appello di Milano sulle due circostanze che gli eredi legittimi hanno posto a fondamento della loro domanda di annullamento per captazione.

la consegna della lettera in questione poteva avere inciso sul piano dei motivi in ordine alla redazione del testamento, ma non aveva realizzato quella artificiosa immutazione della realtà nella quale si concreta la captazione. Per quanto riguarda le attenzioni rivolte [dall'erede testamentario] [...] [alla de cuius] [...], anche volendo ammettere che le stesse erano interessate, va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa S.C., per aversi dolo non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata mediante blandizie, richieste, suggerimenti, sollecitazioni e simili, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti, che - avuto riguardo all'età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito del testatore,- siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata (cfr., in tal senso: sent. 27 febbraio 1991 n. 2122; 22 gennaio 1985 n. 254).

Pare che in questo caso gli eredi legittimi non abbiano dedotto di essere stati vicini alla de cuius nel momento della redazione del testamento e nell'ultimo periodo di vita di lei, né che la loro lontananza sia stata l'effetto del convincimento dell'erede testamentario sulla de cuius. I giudici di merito e quelli di legittimità hanno evidentemente dato peso ad un principio di libertà nel disporre per testamento delle proprie sostanze, ritenendo degno di riceverle chi abbia prestato le proprie attenzioni – anche se interessate – alla de cuius, a scapito degli

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eredi legittimi.

Non conosciamo il contenuto della lettera che l'erede testamentario ha consegnato alla de cuius pochi giorni prima della redazione del testamento per convincerla del disinteresse dei propri congiunti: il fatto in sé ci pare però molto rilevante per presumere il dolo captatorio; evidentemente i giudici hanno concluso in modo opposto fondandosi su altri elementi che non hanno espresso nelle motivazioni.

Infatti, non è chiaro se tale lettera fosse autentica e se effettivamente dimostrasse il disinteresse degli eredi legittimi: in tale ipotesi, la nomina ad erede universale di chi assisteva la testatrice sarebbe giustificata e comprensibile, ponendosi fuori dall'ipotesi dolosa che è sanzionata dall'art. 624 cod. civ.

Inoltre, dalla sentenza rileviamo che tra la data del testamento e quella del decesso è trascorso oltre un anno: l'esame del comportamento delle parti in questo anno sarebbe stato fondamentale per dimostrare se fosse vero che i congiunti si disinteressavano alla testatrice: in caso contrario, sarebbe stata raggiunta la prova della falsa rappresentazione della realtà provocata dall'erede nella mente della testatrice. Ugualmente importante sarebbe stata la verifica se l'erede abbia continuato a circondare di attenzioni la testatrice anche nell'anno che è trascorso tra la redazione del testamento e il decesso.

L'esame di tali circostanze non trova riscontro nella motivazione della sentenza.

4.6 Cass. n. 2122 del 1991, estensore C. Maestripieri

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Per affermare l'esistenza della captazione, la quale deve essere configurata come il "dolus malus causam dans" trasferito dal campo contrattuale a quello testamentario, non basta una qualsiasi influenza esercitata sul testatore per mezzo di sollecitazioni, consigli, blandizie e promesse, ma è necessario il concorso di mezzi fraudolenti, che siano da ritenersi idonei ad ingannare il testatore e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificialmente e subdolamente deviato.

E' interessante l'accennato parallelismo tra dolo contrattuale e dolo testamentario, che però meriterebbe uno studio specifico, a causa delle differenze tra i due istituti.

Il caso di merito esaminato dalla Corte d'appello di Torino riguarda due testamenti: i beneficiati dal primo testamento hanno agito per ottenere l'annullamento del secondo per captazione.

E' utile notare che anche in questo processo la domanda di annullamento per captazione era stata formulata in via subordinata rispetto ad altre. Anche in questo caso la Corte di cassazione ha confermato sul punto la sentenza di merito, la quale aveva escluso la captazione per mancanza di prova e, specificamente, per mancanza di deduzione di capitoli di prova su fatti idonei a dimostrare il dolo dell'erede beneficiata dal testamento.

4.7 Cass. n. 254 del 1985 e n. 4561 del 1982, estensore E. Pietrantoni

4.7.A) […] quanto al dolo, ad integrare la captazione non

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basta unaqualsiasi influenza esercitata sul testatore attraverso blandizie, richieste, suggerimenti, sollecitazioni e simili, sia pure interessati, ma è necessario l'impiego di altri mezzi fraudolenti che, avuto riguardo all'età,allo stato di salute e alle condizioni psichiche del "de cuius", siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso verso il quale non si sarebbe spontaneamente indirizzata. (Cass. sent. n. 254 del 1985)

Il principio di diritto è ricorrente; il caso di merito è stato deciso dalla Corte d'appello di Roma e riguarda un testamento redatto 6 giorni prima del decesso, avvenuto in ospedale; il de cuius era un avvocato.

Anche nel presente giudizio la scelta del difensore è stata quella di formulare la domanda di annullamento per captazione in via subordinata a quella per incapacità di intendere e di volere.

La Corte d'appello, in riforma della sentenza del Tribunale, annullò il testamento, dichiarando che esso fu redatto in stato d'incapacità di intendere e di volere. Quindi, la Corte d'appello di Roma dichiarò assorbito il motivo di annullamento del testamento fondato sul dolo.

Al primo esame della Corte di cassazione, quest'ultima rinviò alla Corte d'appello di Roma sul punto della valutazione di incapacità di intendere e di volere e dichiarò assorbito il motivo riguardante l'annullamento per dolo.

Nel secondo giudizio in Corte d'appello, quest'ultima confermò

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la sentenza del Tribunale, escludendo l'incapacità di intedere e di volere, rilevando che “il de cuius aveva disposto a favore della [persona] […], con la cui sola assistenza aveva vissuto per molti anni lontano dalla famiglia, un legato di quattro milioni, inferiore alla quota disponibile, senza in alcun modo ledere le quote di riserva dei figli; d'altra parte, l'eventuale assistenza di un legale e la predisposizione di una minuta avrebbero potuto indicare che la stesura del testamento era stata preceduta da una fase di preparazione, di studio e valutazione che, semmai, avrebbero deposto a favore della serietà dell'intento del testatore”. Quanto alla domanda di annullamento ai sensi dell'art. 624 cod. civ., la Corte d'appello di Roma la respinse, motivando che non esisteva alcuna prova del dolo che avrebbe inficiato la volontà del testatore.

La Corte di cassazione fu investita nuovamente della questione dell'annullamento del testamento per dolo (sempre in via subordinata a quella per incapacità di intedere e di volere).

I ricorrenti affermavano che il dolo, la violenza e l'errore sarebbero risultati dal medesimo testamento, nel quale il de cuius aveva dichiarato che il lascito era disposto in riconoscimento dei servizi resi, servizi che i ricorrenti affermavano essere “apparenti, ostentati (però inesistenti)”: proprio tali “servizi” concretavano “la violenza (psichica), l'errore (altrettanto psichico) e il dolo (necessariamente pure esso psichico)”; inoltre, i ricorrenti indicavano a mezzo di prova un inteso carteggio tra il de cuius e l'erede testamentaria, dal quale emergevano le lusinghe di quest'ultima verso il testatore e la soggezione di lui alla prima.

Nel respingere il motivo di ricorso, la Corte di cassazione

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distingue le tre ipotesi disciplinate dall'art. 624 cod. civ. (errore, violenza, dolo), che erano state trattate congiuntamente dalla difesa delle ricorrenti, mentre si tratta di tre fattispecie fondate su diversi presupposti e, quindi, che possono essere provate sulla base di diverse circostanze di fatto.

Per quel che ci interessa, riguardo al dolo la Corte di cassazione, dopo aver enunciato il principio di diritto che abbiamo citato sopra nella massima, ha rilevato che il giudice di merito ha escluso la sussistenza del dolo con riferimento alle due circostanze dedotte dalle ricorrenti: infatti, le lusinghe non costituiscono di per sé dei mezzi fraudolenti, l'insussistenza dei servizi resi dall'erede non era stata provata, l'affetto passionale del testatore verso l'erede non è “di per sé dimostrazione di anomala formazione della volontà testamentaria”.

Rileviamo che la mancanza di attinenza tra i fatti dedotti ed il dolo e la mancanza di prova dei fatti costituiscono la ragione più frequente per cui la domanda di annullamento viene rigettata.

Quanto al fatto che le lusinghe di per sé non costituiscono mezzi fraudolenti, è opportuno considerare le sempre maggiori scoperte sulle tecniche di persuasione, che sono di per sé idonee a far redigere fraudolentemente un testamento, senza quasi lasciare traccia.

L'indagine è giustificata quando il testatore non avrebbe avuto ragione di nominare erede una determinata persona o un determinato ente giuridico e si deve indirizzare verso chi è stato beneficiato dal testamento.

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4.7.B) In tema di dolo in materia testamentaria (captazione), seppure l'idoneità dei mezzi usati dal preteso captante deve essere valutata con criteri di maggiore larghezza nei casi in cui il testatore per le sue anormali condizioni di spirito e di salute sia più facilmente predisposto a subire l'altrui volontà, tuttavia si può configurare captazione solo quando risultino posti in essere artifici o raggiri o altri mezzi che siano idonei a trarre in inganno il testatore, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso verso il quale non si sarebbe spontaneamente indirizzata. (Cass. Sent. n. 4561 del 1982).

La decisione impugnata della Corte d'appello di Messina riguardava anch'essa una domanda di annullamento per dolo presentata in via subordinata a quella per incapacità di intendere e di volere.

La domanda fu respinta in quanto non erano neppure stati dedotti i mezzi di cui si sarebbe avvalso l'erede testamentario per convincere la de cuius a testare a proprio favore.

La Corte di cassazione ha affermato che “si può parlare di dolo in quanto (art. 1439 c.c.) il soggetto, per effetto dell'altrui attività, sia caduto in una falsa rappresentazione della realtà che abbia inquinato la formazione della sua volontà”.

I ricorrenti avevano dedotto che la prova della captazione doveva ricavarsi dal fatto, riconosciuto dai giudici di merito, “che la de cuius aveva redatto il testamento in quanto edotta della nullità del fedecommesso disposto dal padre a favore del germano di lei […]: [solo il fratello ed l'erede testamentario] potè rendere edotta la sorella, incapace di comprenderlo ex se

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per la sua formazione e situazione culturale e mentale, della nullità del fedecommesso e quindi indirizzarla a redigere il testamento, nell'occasione predisponendo – come ammesso dai giudici di merito – il mezzo tecnico della scheda testamentaria preparata da un esperto di diritto e fatta firmare […] [alla de cuius]”.

La Corte di cassazione rileva che “è esatto che di norma (vedi da ult. sent. 4939/81) la prova della captazione si ricava mercè presunzioni e quindi può tra l'altro evincersi da comportamenti, atti, successione di eventi altrimenti non comprensibili sia del testatore che di coloro che del testamento beneficiano, ma nella fattispecie la circostanza che […] [l'erede testamentario] abbia edotta la sorella della nullità del fedecommesso paterno e che abbia eventualmente fatto predisporre da altri la scheda testamentaria poi copiata dalla sorella non dimostra affatto […] che la de cuius all'atto di copiare e sottoscrivere la scheda, non fosse in grado di rendersi edotta del suo contenuto e di adottarlo liberamente”.

Occorre evidenziare il riferimento della Corte ai comportamenti del testatore e dei beneficiari come oggetto di indagine per evincere la presunzione di captazione. Nel caso di specie essa è stato escluso che l'aver predisposto il modello di testamento da far copiare possa essere – almeno di per sé solo – un indizio di captazione.

Come indizio contrario alla captazione la Corte rileva la circostanza che l'erede beneficiato e la famiglia di lui l'avevano “continuamente assistita nelle sue necessità”. Dunque, il motivo del lascito ereditario entra nella valutazione degli indizi che fanno propendere a favore o contro la captazione.

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4.8 Cass. n. 4939 del 1981, estensore A. Buccarelli

La sentenza citata nella precedente decisione della Cassazione formula ulteriori ed utili precisazioni.

Poiché la prova di una attività captatoria della volontà del testatore non può aversi normalmente in via diretta, la stessa può desumersi da comportamenti, atti, successione di eventi altrimenti non comprensibili, e del testatore e di coloro che dalla frode stessa vengano a trarre beneficio. Ai predetti fini, sono, pertanto,ammissibili e rilevanti prove testimoniali dirette a dimostrare il comportamento dei parenti diretto ad isolare il testatore dal figlio naturale durante gli ultimi giorni di vita del primo, specie quando i rapporti fra i due soggetti, ottimi ed affettuosi fino agli ultimi giorni di vita del testatore, siano improvvisamente cambiati, senza alcuna evidente ragione, nell'ultimissimo tempo di vita dello stesso, tanto da indurlo a redigere un testamento pubblico malgrado avesse già provveduto, con precedenti olografi, a curare minuziosamente il trasferimento dei propri beni per il tempo successivo alla sua morte.

Nel caso sottoposto alla Corte d'appello di Roma un erede (figlio naturale del de cuius) impugnò il testamento pubblico, redatto negli ultimi giorni di vita, chiedendo di dichiarasi valido un precedente testamento olografo.

Le circostanze sono interessanti: il de cuius viveva a Roma; trovatosi a Napoli fu colto da infarto e ricoverato in ospedale, dove morì alcuni giorni dopo. Durante il ricovero erano presenti in ospedale tutti i parenti, ad eccezione del figlio

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naturale, che potè essere presente solo negli ultimi istanti di vita; poco tempo prima del decesso e prima della visita del figlio naturale fu chiamato un notaio per redigere il testamento pubblico, oggetto di impugnazione.

La Corte d'appello escluse la necessità di indagare sullo stato mentale di un uomo sofferente di malattia circolatoria, curato con farmaci non influenti sulla capacità di intendere e di volere; ma la Corte di cassazione ha rilevato che “se pure l'infarto non ha effetti diretti su quella sfera, sarebbe stato necessario considerare il caso concreto”, cioè quello di un uomo anziano che dettò il testamento dopo alcuni giorni di degenza “per accidente tanto grave” e sotto l'influenza di farmaci tranquillanti “tali da potere in astratto portare ad un qualche più o meno rilevante ottundimento della psiche, specie nel campo della determinazione della volontà”.

La Corte di cassazione prosegue osservando che “Se è anche vero che si presume la capacità e non l'incapacità del disponente, è ancor vero che, prima di pervenire a tranquillante giudizio, si deve tenere conto delle particolari circostanze verificatesi nella vita del soggetto, e in particolare in quel periodo in cui venne redatto il testamento; specie quando tale atto veniva confezionato negli ultimi giorni, per non dire nelle ultime ore, di vita, e si poneva in contrasto con precedenti disposizioni di ultima volontà, di data abbastanza recente, pur non risultando altre circostanze esteriori tali da far considerare normale, o almeno comprensibile, tale mutamento della volontà. Chè, anzi, il disponente si trovò a manifestare la sua ultima volontà in momenti drammatici, in ambiente estraneo al suo, gravemente limitato nei suoi movimenti e nella libertà di decisione circa la vita di relazione, come appare dalla

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impugnata sentenza; cosa tanto più rilevante se si considera che fu dedotto che il notaio, chiamato una prima volta e viste le condizioni del malato, si rifiutò di riceverne la dichiarazione di volontà, mentre in un secondo tempo, pur non essendovi remissione del male, tale manifestazione ricevette [non risulta dagli atti se si trattasse del medesimo notaio o di due diversi notai]”.

Oltre a tali circostanze, già risultanti agli atti, l'erede escluso aveva chiesto di provare che gli altri parenti avevano fatto di tutto per tenerlo lontano dal genitore negli ultimi giorni di vita e che i rapporti tra il padre e il figlio naturale erano sempre stati ottimi ed affettuosi fino agli ultimi giorni, mentre sarebbero cambiati dopo il ricovero senza alcuna ragione evidente.

Dunque, l'esame delle circostanze in cui fu redatto il testamento è fondamentale, anche quando il testamento risulti da atto pubblico.

La Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso, ha rinviato la causa ad altra sezione della Corte d'appello.4.9 Cass. n. 1315 del 1973, estensore Boselli.

Dopo aver ripreso la già vista definizione della captazione, in questa sentenza la Corte precisa:Al fine di accertare se raggiri vi siano stati, deve stabilirsi da un lato l'idoneità obiettiva degli stessi in relazione alle particolari condizioni psicologiche, culturali ed ambientali del testatore, e dall'altro la loro efficienza causale, necessaria ad escludere che l'atto di ultima volontà, anziche essere l'effetto della captazione, sia il prodotto della libera e spontanea

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determinazione del de cuius.

Nel caso sottoposto alla Corte d'appello di Milano l'ottantacinquenne de cuius aveva reso testamento pubblico, revocando un precedente testamento olografo di otto anni prima (mai più ritrovato): in esso disponeva per legato di due immobili; con atto pubblico del giorno successivo a quello del testamento e mediante il medesimo notaio, la de cuius alienava la nuda proprietà di due immobili a persone diverse dai legatari; due settimane dopo la de cuius trasferiva la propria residenza presso la nipote, che era una delle eredi nominate con il testamento e, due mesi dopo, chiamava in giudizio i due acquirenti della nuda proprietà per ottenere l'annullamento dell'atto, assumendo – tra l'altro – che il consenso le era stato carpito per dolo. Nelle more uno dei due acquirenti rivendeva la nuda proprietà alla de cuius. Nel frattempo (tre anni dopo il trasferimento della residenza e poco prima di morire), la de cuius aveva disposto mediante altro testamento pubblico, revocando quello precedente, lasciando unica erede la nipote presso la quale si era trasferita.

Apertasi la successione, l'erede indicato nel primo testamento pubblico (e che comunque era anche erede legittimo) agiva in giudizio – tra l'altro - per far annullare il secondo testamento pubblico per captazione ad opera dell'erede nominata con esso.In primo grado il Tribunale di Vigevano dichiarò la nullità dei due testamenti e l'apertura della successione legittima. La Corte d'appello di Milano, in totale riforma della sentenza del Tribunale, confermava la validità dei testamenti; in particolare con riferimento alla domanda di annullamento ai sensi dell'art. 624 cod. civ., la Corte d'appello aveva escluso la captazione per mancanza di prova; la Corte di cassazione conferma tale

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assunto, rilevando l'assenza di vizi di motivazione.

L'epilogo così sintetico della questione sulla captazione (nella lunga senenza della Corte di cassazione non emergono riferimenti specifici alla motivazione dei due giudici di merito sull'annullamento per dolo) fa presumere che tale domanda venne anche in questo processo trattata come subordinata di poca importanza o, comunque, come una subordinata di mero diritto rispetto alla domanda d'annullamento per incapacità di intendere e di volere, mentre la differenza sostanziale tra i due istituti si riflette su diversi fatti costitutivi.

Dal principio di diritto formulato dalla Corte di cassazione possiamo però desumere l'importanza dell'efficienza causale dei raggiri sulle determinazioni del testatore. Dunque, non solo condizioni fisiche o psichiche particolarmente vulnerabili e non solo la prova dell'esistenza di artifici e raggiri, ma anche quella del nesso di causalità tra essi e l'inquinata determinazione del de cuius.

In tale àmbito il caso più semplice da dimostrare è certamente quello in cui gli artifici e i raggiri siano posti in essere dai beneficiari del testamento o da loro stretti congiunti. Ma meritano pure un'indagine approfondita sull'efficienza causale le ipotesi in cui i beneficiari siano persone comunque legate da vincoli affettivi o d'interesse a chi ha posto in essere tali raggiri, come quando tra il raggirante e il beneficiario vi è un rapporto di debito o di credito, oppure di appartenenza ad un'associazione con forte identità ideologica (sia essa di natura religiosa, politica o sociale) o di convivenza o lavorativa. Non è, poi, da trascurare il caso in cui il beneficiario (persona fisica o giuridica) sia un estraneo: infatti, il lascito testamentario –

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almeno nella nostra cultura – ha sempre una ragione: disponendo delle proprie sostanze per il tempo in cui si avrà cessato di vivere, si intende beneficare qualcuno cui si è legati da forti vincoli di affettività o di riconoscenza, oppure fare un'opera di bene verso scopi filantropici che hanno sempre interessato il testatore.

4.10 Cass. n. 726 del 1965, estensore Tamburrino.

Benché di questa sentenza sia disponibile soltanto la massima, riteniamo utile citarla per uno spunto chiarificatore che essa contiene.

Al fine di accertare se raggiri vi siano stati, la valutazione deve essere complessa, in quanto deve stabilirsi, da un lato, l'idoneità obiettiva dei raggiri e, dall'altro, la loro idoneità subiettiva e, quindi, porli in relazione alle particolari condizioni psicologiche, culturali ed ambientali del testatore, nè deve dimenticarsi che occorre anche accertare il nesso di causalità e stabilire se quello che si pretende essere l'effetto della captazione non sia invece il prodotto della libera e spontanea determinazione del de cuius.

L'idoneità dei obiettiva raggiri e l'idoneità soggettiva del testatore possono essere valutate anche mediante una relazione medico-legale che abbia ad oggetto non tanto la capacità di intendere e di volere del testatore, quanto l'efficienza causale dei mezzi usati (come ad esempio, tecniche di persuasione inconscia, mobbing, …) in relazione alle due figure del testatore e del raggirante, tenendo in cosiderazione anche il loro eventuale rapporto di sudditanza psicologica (ad esempio, l'affermazione di impossibilità di dettare alcune disposizioni

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testamentarie formulata da persona che è impiegata in uno studio notarile, può avere grande efficacia nei confronti di persona dotata di bassa scolarizzazione; tale affermazione può indirizzare la volontà del testatore in modo diverso da quello che avrebbe voluto e beneficiare una persona vicina a chi ha dato la falsa informazione).

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Capitolo quintoConclusioni

Il campo di merito nel quale svolgere l'indagine sulla captazione testamentaria è vastissimo e richiede un attento ascolto dell'erede legittimo che si ritiene leso dal testamento o dell'erede testamentario che è accusato di aver circuito il de cuius.

La maggior parte delle cause esaminate dalla Corte di cassazione si sono concluse con il rigetto della domanda di annullamento per insufficiente deduzione o per insufficiente prova dei fatti costituenti l'illecito.Inoltre, la Corte di cassazione ha sempre ristretto la domanda di annullamento per dolo, chiedendo dei requisiti ulteriori a quelli richiesti dall'art. 624 cod. civ., il quale prescrive soltanto quello che il testamento sia l'effetto di dolo. Ma non è scontato il parallelismo tra il dolo che giustifica l'annullamento del contratto e quello che giustifica l'annullamento del testamento: le notevoli differenze devono essere oggetto di studio per la soluzione del singolo caso concreto che si presenta al professionista.

Alcune domande d'annullamento, come abbiamo visto, riguardano anche testamenti pubblici: infatti, la captazione può non essere rilevata dal notaio, anche in presenza del fatto che il testatore sia una persona avanti con gli anni o che il beneficiario non sia un parente stretto del testatore.

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Edito in proprio – gennaio 2016Avv. Guido CeloniCorso Francia 92 – [email protected] 9791220007276 Edizione fuori commercio - Distribuzione gratuita

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