Guida al Corso di Mineralogia e costituenti delle rocce...

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Guida al Corso di Mineralogia e costituenti delle rocce con laboratorio (Lezioni dettate dal Prof. Antonino Lo Giudice) 1 Anno Accademico 2009-10 1 Alcune delle figure presenti nel testo sono state tratte da siti web. A tutti gli Autori, anche anonimi, và il mio sentito ringraziamento.

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Guida al Corso di

Mineralogia e costituenti delle rocce con laboratorio

(Lezioni dettate dal Prof. Antonino Lo Giudice)1

Anno Accademico 2009-10

1 Alcune delle figure presenti nel testo sono state tratte da siti web. A tutti gli Autori, anche

anonimi, và il mio sentito ringraziamento.

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Indice Prefazione al corso. Pag. 2 I costituenti delle rocce " 3 Caratteri strutturali e morfologici dei minerali " 5 Considerazioni sui reticoli cristallini " 10 Introduzione strutturale alla cristallografia morfologica " 11 Cristallografia morfologica " 15 Cristallografia strutturale " 23 Richiami sui caratteri generali delle onde luminose " 24 La cristallografia X " 33 Applicazioni della cristallografia X " 42 Ottica Cristallografica " 46 Caratteristiche ottiche generali dei minerali " 46 Birifrangenza e segno ottico dei minerali " 52 Le indicatrici ottiche " 54 Definizione e costruzione delle indicatrici ottiche " 54 Forme e geometria delle indicatrici ottiche " 56 Orientazione delle Indicatrici Ottiche nei minerali " 59 Osservazioni ottiche sui minerali " 65 Il Microscopio da mineralogia " 66 I diversi tipi di osservazione al microscopio " 68 Osservazioni a luce parallela (ortoscopica) e ad un solo polaroide " 68 Osservazioni a luce parallela e a due polaroidi (Nicol’s incrociati) " 77

Riflessioni sull’equazione del ritardo e informazioni deducibili dall’osservazione dei colori d’interferenza

" 82

Riflessioni sulle posizioni d’estinzione " 85 I compensatori " 90

Osservazioni a luce convergente (conoscopica) e a due polaroidi (Nicol’s incrociati)

" 95

Figure d’interferenza dei minerali birifrangenti uniassici (dimetrici) " 96 Figure d’interferenza dei minerali birifrangenti biassici (trimetrici) " 100 Determinazione del segno ottico nei minerali uniassici e biassici " 104

Riconoscimento al microscopio delle principali fasi minerali costituenti le rocce " 108 Cristallochimica dei minerali " 128 I minerali e le loro strutture cristalline " 128 Le regole di Pauling " 131 Isomorfismo " 137 I tipi di isomorfismo " 141 Caratteristiche generali della cristallizzazione delle miscele isomorfe " 144 Polimorfismo " 157 I tipi di polimorfismo " 160 Rassegna dei principali minerali costituenti le rocce " 165 I silicati " 165 Nesosilicati " 170 Sorosilicati " 173 Inosilicati " 174 Fillosilicati " 182 Tectosilicati " 190 Carbonati, solfati, fosfati, alogenuri, solfuri, ossidi e idrossidi, elementi

nativi " 200

Appendice " 206 Peso specifico, Densità, Durezza, Suscettività magnetica, Piezoelettricità " 206 Le forme semplici nelle diverse classi dei diversi sistemi " 210 I geminati. Le principali leggi di geminazione nei feldspati " 218

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Prefazione al corso. Il corso di Mineralogia e costituenti delle rocce ha l’obbiettivo di fornire agli studenti del Corso di Laurea in Scienze Geologiche adeguate conoscenze e capacità di comprensione dei dati mineralogici ai fini della determinazione della composizione delle rocce. Il Corso si prefigge anche l’obbiettivo di sviluppare negli studenti le abilità nell’applicazione delle conoscenze acquisite con particolare riferimento alle tecniche e alle procedure per l’identificazione dei minerali costituenti le rocce. Costituiranno pertanto oggetto dell’insegnamento i seguenti grandi capitoli: - sistematica, composizione, descrizione e diffusione dei minerali. - principali caratteristiche fisiche. - caratteri cristallochimici, fisico-chimici e fisico-strutturali. Il Corso, oltre alle lezioni frontali, comprenderà anche una estesa attività in laboratorio tesa alla applicazione dei principi e delle nozioni apprese dallo studente ed avente come obbiettivo il riconoscimento delle principali fasi minerali presenti nelle rocce. La disciplina trattata ha un elevato contenuto scientifico e necessita di una adeguata conoscenza dei concetti basilari di chimica, fisica e matematica nonché della capacità dello studente di sapersi interrogare sul perché delle cose e di saper collegare quanto appreso nei diversi segmenti in cui la disciplina è necessariamente articolata. La disciplina necessita, di ragionamento, apprendimento continuo e maturazione dei concetti appresi; pertanto si raccomanda agli studenti l’assidua frequenza alle lezioni ed il contemporaneo studio di quanto illustrato nel corso delle medesime. Testi consigliati F. Mazzi e G. P. Bernardini – Carobbi Mineralogia 1 – Fondamenti di cristallografia e ottica cristallografica – USES W. A. Deer, R.A. Howie, J Zussman – Introduzione ai minerali che costituiscono le rocce – Zanichelli P. F. Kerr – Optical Mineralogy – Mc Graw Hill G. Gottardi – I minerali – Boringhieri S. Bonatti, M. Franzini – Cristallografia mineralogica – Boringhieri

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I costituenti delle rocce Per roccia si intende un aggregato naturale di minerali, sostanze amorfe, particelle e solidi di vario tipo; le rocce sono costituite da miscugli di fasi (minerali ed altro) e la loro composizione non è esprimibile con una formula chimica univoca; esse generalmente formano masse ben individuabili. Le rocce costituiscono la porzione esterna del pianeta Terra che viene chiamata litosfera. Prescindendo dalle sostanze amorfe e dalle particelle e solidi di vario tipo che come avrete modo di conoscere sono riconducibili ancora a frammenti di rocce, di minerali, di fossili o di sostanze amorfe, focalizziamo la nostra attenzione sui componenti minerali che nella stragrande maggioranza delle rocce sono i costituenti essenziali. Chiediamoci: cosa è un minerale? Cosa viene definito come minerale? I minerali sono sostanze naturali generalmente inorganiche, generalmente allo stato solido, formatesi attraverso processi geologici che coinvolgono equilibri e processi di tipo fisico e chimico. Una definizione di minerale, sufficientemente appropriata, benché datata e pertanto necessitante di opportune precisazioni, potrebbe essere la seguente: dicesi minerale un corpo solido, omogeneo, di origine naturale e componente della litosfera. Solido Il concetto di “solido” con riferimento alla definizione di minerale fa riferimento ad un corpo caratterizzato da una intima struttura reticolare (reticolo cristallino) in cui i componenti chimici che lo costituiscono risultano ordinati tridimensionalmente in modo omogeneo periodico e discontinuo. Un pezzo di legno non può essere definito quale minerale in quanto pur essendo solido non presenta un reticolo cristallino cioè un ordinamento tridimensionale omogeneo periodico e discontinuo dei componenti chimici che lo costituiscono. Lo stesso vale per i vetri (liquidi sottoraffreddati), ancorché di origine naturale. La modalità di transizione dello stato solido allo stato liquido, a pressione costante, può essere considerata come discriminante fra lo stato “solido cristallino” e lo stato “amorfo” ancorché apparentemente solido. Il passaggio di stato solido cristallino → liquido (e viceversa) avviene infatti in un intervallo di tempo (che è funzione della quantità di materia coinvolta nel processo e dalla

A B C Figura 1. Diagrammi T°/tempo illustranti i cambiamenti di stato solido → liquido in un sistema costituito da un

componente puro (A) o da una miscela isomorfa (B) al procedere del fornire calore uniformemente nel tempo. (C) = Comportamento di una sostanza vetrosa.

quantità di calore fornita (o sottratta) nell’unità di tempo) durante il quale, al permanere dell’equilibrio bifase solido + liquido, la temperatura o permane costante (temperatura di fusione o temperatura di cristallizzazione) o cresce (o decresce) regolarmente per tutto l’intervallo di tempo in cui si mantiene l’equilibrio bifase solido + liquido. Quanto sopra non si realizza allorché scaldiamo una sostanza amorfa, ad es. un vetro che al procedere del riscaldamento diverrà sempre più plastico

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sino a quando, abbassatasi sufficientemente la sua viscosità, assumerà tutte le caratteristiche del liquido (Figura 1). Omogeneo Poiché un corpo si definisce omogeneo quanto presenta le medesime caratteristiche chimiche e fisiche in tutte le sue parti, il concetto di “omogeneità” va trattato con una certa cautela. Infatti esso può essere definito solo in funzione della scala (grandezza) a cui va verificato: più è piccola la scala a cui cerchiamo di verificare il concetto di omogeneità più ci accorgiamo che un corpo, che a scala più elevata ci appariva omogeneo, di fatto risulta eterogeneo. Per quanto riguarda i minerali noi diremo che un corpo è omogeneo quando, anche a scala microscopica, presenta, in tutte le sue parti, le medesime caratteristiche chimiche e fisiche anche di tipo vettoriale. Naturale Con l’attributo “naturale” noi sottendiamo il fatto che il corpo in considerazione deve essere di origine naturale cioè, in altre parole, deve essere il prodotto di un processo naturale nel quale l’uomo non ha giocato alcun ruolo. Se prendiamo ad esempio il Diamante esso è certamente un minerale se si è formato in base a processi naturali mentre non lo è se è il prodotto del processo di trasformazione del Carbonio in condizioni di altissime pressioni e temperature messo in opera dall’uomo. In quest’ultimo caso si parla di minerali artificiali. Componente della litosfera Mentre appare assolutamente chiara la derivazione di questo attributo alla definizione di minerale (i minerali si trovano nella litosfera) il procedere dei progressi e delle conoscenze pone certamente dei limiti a questo concetto. Ci si potrebbe chiedere se i solidi cristallini che si ritrovano sulla superficie lunare e che si sono formati in base a processi naturali e presentano il carattere di omogeneità sopra ricordato siano o meno da considerare ancora dei “minerali” ancorché non sono componenti della litosfera intesa come la porzione esterna solida che circonda il pianeta Terra. Ritengo che allorché si utilizzano delle definizioni che, inevitabilmente, possono divenire più o meno obsolete o perdere di validità assoluta, con il procedere delle conoscenze e delle capacità investigative e esplorative dell’uomo, occorre adoperare senso critico e saper interpretare lo spirito con cui ogni definizione è stata data e saper valutare il grado di conoscenze al momento della sua formulazione. In calce alla presente introduzione vale la pena di porre attenzione ad un concetto che solitamente si accompagna a quello di minerale: il concetto di “cristallo”. Con la lettura delle prossime pagine e dei prossimi capitoli impareremo che i minerali, caratterizzati come già detto da una intima struttura cristallina (reticolo cristallino), in forza di ciò, presentano costantemente proprietà fisiche di tipo anisotropo (cioè che si manifestano con intensità o modalità differenti in funzione della direzione e talora anche del verso in cui esse sono verificate). Tale anisotropia può realizzarsi con una variazione di tipo “continuo”1 così come di tipo “discontinuo”2.

1 Per una data proprietà fisica si ha una anisotropia con variazione “continua” quando l’intensità con cui detta proprietà si manifesta varia con continuità al variare continuo della direzione in cui essa viene misurata. L’intensità della suddetta proprietà assumerà quindi infiniti valori compresi fra un valore massimo ed un valore minimo: Imim ≤ I ≤ Imax . 2 Per una data proprietà fisica si ha una anisotropia con variazione “discontinua” quando l’intensità con cui detta proprietà si manifesta varia assumendo valori discreti al variare discreto della direzione in cui essa viene misurata. L’intensità della suddetta proprietà assumerà quindi un numero “n” finito di valori compresi fra un valore massimo ed un valore minimo: Imim ≤ In ≤ Imax .

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Tutti i minerali presentano proprietà fisiche anisotrope a variazione discontinua; fra queste la velocità di accrescimento del minerale durante il proprio processo di formazione. Conseguenza di ciò è che se un minerale in via di formazione ha la possibilità di svilupparsi in un mezzo fisicamente e chimicamente isotropo, in conseguenza dell’anisotropia a variazione discontinua della velocità d’accrescimento, assumerà una forma geometrica che è la manifestazione macroscopica ed esteriore della suddetta anisotropia. Tale forma geometrica sarà sempre un poliedro cioè un solido delimitato da facce, di origine naturale, che con le loro intersezioni determinano spigoli e vertici. Tale solido prende il nome di “cristallo”. In base a quanto sopra potremo pertanto dire che tutti i cristalli naturali sono dei minerali e che tutti i minerali, se si realizzano le opportune condizioni ambientali a contorno, possono dar luogo a cristalli (Figura 2).

A – Fluorite CaF2

B – Tormalina Na(Li,Al)3(Al)6[(OH)4/(BO3)3/[Si6O18]

C – Quarzo SiO2

Figura 2. Esempi di cristalli.

Caratteri strutturali e morfologici dei minerali.

Abbiamo già detto che lo stato solido cristallino e, pertanto, la presenza di reticoli cristallini caratterizza tutti i minerali. Chiediamoci: cosa è un reticolo cristallino? Cosa significa che la materia costituente un minerale è distribuita ed allocata in un reticolo cristallino? Proviamo a rispondere a queste domande partendo dal concetto di reticolo cristallino o meglio dalla definizione delle modalità in cui la materia deve disporsi nello spazio perché si possa parlare di distribuzione reticolare e quindi di reticolo cristallino. Diremo che la materia (e per semplicità un oggetto) assume nello spazio una distribuzione reticolare quanto essa è distribuita nello spazio obbedendo alla legge della ripetizione omogenea, periodica e discontinua. Da ciò discende che con riferimento ad un qualsivoglia minerale la materia che lo costituisce (le diverse specie chimiche che lo compongono) si distribuisce nello spazio occupato dal minerale secondo una ripetizione omogenea, periodica e discontinua. L’insieme di questa distribuzione prende il nome di “reticolo cristallino”: ogni minerale ha un proprio reticolo cristallino che lo caratterizza; minerali della stessa specie hanno eguali reticoli cristallini; minerali di specie diversa hanno reticoli cristallini diversi. Quanto detto necessita di alcune riflessioni. Occorre infatti precisare bene i concetti di omogeneità, periodicità e discontinuità che stanno alla base della definizione della distribuzione reticolare della materia. Ripetizione omogenea. Diremo che la ripetizione di un oggetto (specie chimica, ione, radicale, gruppo ionico, ecc.) è omogenea allorché tutti gli oggetti che costituiscono la ripetizione sono fra loro identici per natura, posizione e orientazione (l’insieme dei libri eguali posti ordinatamente, uno adiacente all’altro, sul ripiano di uno scaffale, immaginato infinito, può rendere l’idea di una

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ripetizione omogenea: tutti i libri sono infatti fra loro eguali, posti nello stesso modo (stessa orientazione), e ognuno di essi è nella medesima posizione rispetto ai volumi che lo seguono o lo precedono). Ripetizione periodica. Diremo che la ripetizione di un oggetto è periodica quando considerato come punto di partenza un qualsiasi oggetto appartenente all’insieme ripetuto ed una qualsiasi direzione da esso irradiantesi, si ha la certezza che, percorrendo la suddetta direzione, dopo un certo spazio (periodo di ripetizione) ritroveremo un oggetto identico (omogeneo) a quello di partenza e che ciò si ripete all’infinito sempre dopo aver percorso lo stesso spazio (periodo). Ripetizione discontinua. Diremo che la ripetizione di un oggetto è discontinua quando considerato un qualsiasi oggetto appartenente all’insieme ripetuto tutti gli altri ad esso identici (omogenei) sono distanti da esso di una lunghezza finita non nulla. Nel sopra visto esempio dei libri disposti nello scaffale la distribuzione è continua in quanto ogni libro è adiacente a quello che lo precede e a quello che lo segue e pertanto è con essi a contatto: la distanza (periodo di ripetizione) fra un libro ed il precedente o il susseguente è nulla. Perché la distribuzione dei libri possa essere considerata discontinua dovremmo disporli in modo che fra un libro ed il precedente o il susseguente vi sia sempre interposto uno spazio vuoto sempre eguale. Chiarito quanto sopra vediamo come può essere descritta o rappresentata una distribuzione reticolare di tipo omogenea, periodica e discontinua. In geometria e in cristallografia ciò può essere fatto attraverso i reticoli di Bravais, dal francese Auguste Bravais che per primo li descrisse. Un reticolo di Bravais è generato da operazioni di traslazione. Riferendo il reticolo nello spazio ad un sistema di assi cartesiani avente origine in un qualsiasi punto del reticolo, ogni suo punto è individuato da un vettore della forma:

dove n1, n 2, n 3 sono numeri interi e a1, a2, a3 sono tre vettori detti “vettori primitivi” del reticolo. I vettori primitivi sono non complanari e la loro scelta può non essere univoca. La caratteristica del reticolo di Bravais è che per ogni punto scelto del reticolo quale sua origine, il reticolo appare esattamente lo stesso. Proviamo a rappresentare graficamente quanto detto. Reticolo di Bravais monodimensionale (filare). La costruzione di un reticolo Bravaisiano monodimensionale (filare) avviene nel seguente modo:

fissata una qualsiasi direzione a dello spazio, un qualsiasi punto su di esso quale origine ed un vettore a di modulo |a|, un qualsivoglia oggetto (nodo) si ripeterà, per traslazione infinite volte, omogeneamente periodicamente e discontinuamente lungo la direzione a con un intervallo di ripetizione pari a |a|. Ogni nodo è individuato rispetto all’origine da un vettore R = n a (dove n è un numero intero ed il vettore a con il suo modulo individua il periodo di ripetizione o periodo d’identità lungo il filare). La Figura 3 esemplifica quanto detto.

Fig. 3. Filare di nodi con periodo di ripetizione a.

Reticolo di Bravais bidimensionale (piano reticolare).

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Figura 4. Piano reticolato.

La costruzione di un reticolo Bravaisiano bidimensionale (piano reticolare) avviene nel seguente modo: fissato un qualsiasi piano nello spazio e definite su di esso due qualsivoglia direzioni a e b fra loro non

parallele e formanti fra loro l’angolo γγγγ, definito quale origine del sistema il punto d’intersezione fra dette direzioni e fissati due vettori a e b di modulo rispettivamente |a| e |b|, un qualsiasi oggetto (nodo) si ripeterà nel piano, per traslazione infinite volte, in modo

omogeneo periodicoe discontinuo lungo la direzione a con un intervallo di ripetizione pari a |a| e lungo la direzione b con un intervallo di ripetizione pari a |b|. Ogni nodo è individuato rispetto all’origine da un vettore R = n a + m b (dove n ed m sono numeri interi). La figura 4 esemplifica quanto detto. Un piano reticolare è adeguatamente descritto dalla geometria delle maglie elementari3 che lo compongono. Se si prendono in considerazione le possibili orientazioni reciproche delle due direzioni a e b e i moduli dei due vettori a e b, si possono individuare solo cinque tipi di reticoli piani di Bravais caratterizzati da cinque tipi di maglie elementari: obliqua, rettangolare, rettangolare centrata, esagonale e quadrata.

M. Obliqua M. Rettangolare M. Rettangolare centrata M. Quadrata M. Esagonale

Figura 5. Reticoli piani di Bravais e maglie elementari semplici e multiple.

Reticolo di Bravais tridimensionale. La costruzione di un reticolo Bravaisiano tridimensionale avviene nel seguente modo: fissate nello spazio tre qualsivoglia direzioni a e b e c fra loro non parallele e non complanari e

formanti fra loro gli angoli αααα, ββββ e γγγγ, definito quale origine del sistema il punto d’intersezione fra dette direzioni e fissati tre vettori a, b e c di modulo rispettivamente |a|, |b| e |c| un qualsivoglia oggetto (nodo) si ripeterà nello spazio, per traslazione infinite volte, omogeneamente periodicamente e discontinuamente lungo la direzione a con un intervallo di ripetizione pari a |a|, lungo la direzione b con un intervallo di ripetizione pari a |b| e lungo la direzione c con un intervallo di ripetizione pari a |c|. Ogni nodo è individuato rispetto all’origine da un vettore R = n a + m b + p c (dove n, m e p sono numeri interi).

3 Si definisce maglia elementare la più piccola porzione del piano, individuata da quattro nodi equivalenti posti a due a

due su filari paralleli, che risulti capace di descrivere la distribuzione planare dei nodi. Se i quattro nodi equivalenti giacciono su filari contigui la maglia è di tipo semplice, diversamente si dice multipla.

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La figura 6 esemplifica quanto detto.

Figura 6. Esempio di reticolo tridimensionale.

Se si prendono in considerazione le possibili orientazioni reciproche delle tre direzioni a, b e c e i moduli dei tre vettori a, b e c si possono individuare solo i quattordici tipi di reticoli di Bravais di seguito illustrati.

Caratteristiche del reticolo

Reticoli (celle) di Bravais e loro denominazione

a = b = c αααα = ββββ = γγγγ = 900

Cubico

Primitiva (P)

Corpo centrato (I)

Facce centrate (F)

a = b ≠≠≠≠ c αααα = ββββ = γγγγ = 900

Tetragonale

Primitiva (P)

Corpo centrato (I)

a = b ≠≠≠≠ c αααα = ββββ = 900

γγγγ = 1200 Esagonale

Base centrata (A)

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a = b = c αααα = ββββ = γ ≠γ ≠γ ≠γ ≠ 900 Romboedrico

Primitiva (P)

a ≠≠≠≠ b ≠≠≠≠ c αααα = ββββ = γγγγ ==== 900

Rombico

Primitivo (P)

Corpo centrato (I)

Base centrata (C)

Facce centrate (F)

a ≠≠≠≠ b≠≠≠≠ c αααα = γγγγ = 900

ββββ ≠ ≠ ≠ ≠ 900 Monoclino

Primitivo (P)

Base centrata (C)

a ≠≠≠≠ b ≠≠≠≠ c αααα ≠≠≠≠ ββββ ≠≠≠≠ γγγγ ≠≠≠≠ 900

Triclino

Primitivo (P)

I reticoli di Bravais si classificano in base alla forma della cella elementare4 e della presenza o meno di punti del reticolo al centro del corpo o delle facce di questa.

• Una cella si dice primitiva (P) se essa non presenta nessun punto oltre quelli ai vertici della cella.

• Una cella si dice a corpo centrato (I) se essa presenta un punto al centro della cella. • Una cella si dice a facce centrate (F) se essa presenta un punto al centro di ogni faccia. • Una cella si dice con una faccia centrata (A, B o C) se essa presenta un punto al centro delle

due facce in una sola direzione (a, b o c)

4 Si definisce cella elementare la più piccola porzione di spazio isolabile da otto punti equivalenti del reticolo giacenti a

quattro a quattro su piani reticolari paralleli, che risulti capace di descrivere la distribuzione tridimensionale dei nodi. Se gli otto nodi equivalenti giacciono su piani contigui la cella è di tipo semplice, diversamente si dice multipla.

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In qualsiasi minerale la cui composizione è data da n elementi il reticolo cristallino è dato dalla compenetrazione di almeno n reticoli bravaisiani dello stesso tipo ai cui nodi sono rispettivamente presenti gli n elementi che compongono il minerale. In ogni minerale la più piccola parte del proprio reticolo cristallino che comprende gli n reticoli bravaisiani fra loro compenetrati prende il nome di “cella elementare del minerale” i valori di |a|, |b|, |c|, α, β e γ di detta cella elementare sono detti costanti reticolari del minerale.

La figura 7 illustra l’esempio di quanto detto nel caso del Salgemma (NaCl). Per NaCl n = 2 ed il tipo di reticolo Bravaisiano in giuoco è quello di tipo Cubico a facce centrate (F). Un reticolo ha ai suoi nodi il Cl (sfere Verdi), l’altro ha ai suoi nodi il Na (sfere azzurre). I due reticoli sono mutuamente compenetrati lungo la direzione dello spigolo della cella per una quantità pari ad ½ dello spigolo. La sopra descritta struttura va intesa estesa all’infinito.

Figura 7

La figura 8 illustra l’esempio di quanto detto nel caso del Diamante (C). Nell’esempio n = 1 ed il tipo di reticolo Bravaisiano in giuoco è quello di tipo Cubico a facce centrate (F). Nel caso in questione si ha la compenetrazione di 2 reticoli ai cui nodi si trova sempre il C. I due reticoli sono mutuamente compenetrati lungo la direzione della diagonale della cella per una quantità pari ad ¼ della lunghezza della diagonale stessa. La sopra descritta struttura va intesa estesa all’infinito.

Figura 8

Considerazioni sui reticoli cristallini Se consideriamo il reticolo cristallino possiamo affermare che sono elementi del reticolo: i nodi, i filari di nodi, i piani reticolari di nodi. Definiamo i suddetti elementi. Nodi. Per un dato minerale intenderemo per nodi del suo reticolo cristallino tutte le posizioni dello spazio da esso occupato in cui si trova collocata la materia (elementi, gruppi di elementi, ioni, gruppi ionici, ecc.) che concorre alla costituzione del minerale. In un minerale la materia che lo costituisce è collocata nelle posizioni definite dai nodi del suo reticolo cristallino e si ripete nello spazio in modo omogeneo, periodico e discontinuo. Filari di nodi. Per un dato minerale intenderemo per filari di nodi del suo reticolo cristallino tutte quelle direzioni dello spazio da esso occupato in cui si ha una successione monodimensionale omogenea, periodica e discontinua di nodi. In un minerale la materia che lo costituisce è collocata sui filari di nodi del suo reticolo cristallino. Dato un qualsiasi filare di nodi la materia che costituisce il minerale è disposta sugli infiniti filari, ad esso paralleli, presenti nel suo reticolo cristallino; tali filari tutti fra loro paralleli s i giustappongono nello spazio in modo omogeneo periodico e discontinuo. Piani reticolari di nodi. Per un dato minerale intenderemo per piani reticolari di nodi tutti quei piani dello spazio da esso occupato in cui si ha una successione bidimensionale omogenea, periodica e discontinua di nodi. In un minerale la materia che lo costituisce è collocata sui piani reticolari di nodi del suo reticolo cristallino. Dato un qualsiasi piano reticolare di nodi la materia che costituisce il minerale è disposta sugli infiniti piani reticolari, ad esso paralleli, presenti

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nel suo reticolo cristallino; tali piani reticolari , tutti fra loro paralleli, si susseguono nello spazio in modo omogeneo periodico e discontinuo distanziandosi ognuno da quello ad esso immediatamente successivo di una distanza d (d = distanza interplanare fra i piani considerati).

Introduzione strutturale alla cristallografia morfo logica Abbiamo già accennato al fatto che qualsiasi minerale che cresca e si sviluppi in condizioni idonee (assenza o scarsa anisotropia dell’ambiente in cui si sviluppa), può dare luogo a dei cristalli cioè a solidi naturali con forma poliedrica delimitata da facce che con le loro intersezioni determinano spigoli e vertici. Appare evidente che, data la intima natura reticolare dei solidi cristallini, facce, spigoli e vertici di un cristallo altro non sono che la trasposizione macroscopica rispettivamente dei piani reticolari, dei filari di particelle e dei nodi. È da chiedersi a questo punto: come mai fra gli infiniti insiemi di piani fra loro paralleli solo alcuni daranno macroscopicamente luogo alle facce presenti in un cristallo? di quali caratteristiche godono in generale questi piani? quali sono i caratteri dei filari di nodi che si traspongono negli spigoli presenti nei cristalli? La risposta alle sopra viste domande risiede nella natura dei legami che ancorano la materia nei nodi reticolari e nella densità di nodi esistente per unità di superficie o di lunghezza rispettivamente nei piani reticolari o nei filari. La figura che segue cerca di illustrare con una trattazione bidimensionale quanto facilmente estensibile ad un reale tridimensionale. Immaginiamo una distribuzione bidimensionale omogenea, periodica e discontinua di nodi ed applichiamo ad essa quanto gia detto nelle considerazioni sui reticoli cristalli. L’intera distribuzione può essere descritta da un qualsiasi insieme infinito di filari fra loro paralleli fra loro giustapposti nel piano in modo omogeneo periodico e discontinuo.

Figura 9

La figura 9 rappresenta quanto detto. Si può immediatamente notare che tutti i punti del piano a – b giacciono su insiemi infiniti di filari fra loro paralleli (nella figura l’insieme è limitato a 4) e ciò vale sia per i piani 1, che per i piani 2 che per i piani 3; infiniti altri con diversa orientazione ne potrebbero essere determinati e disegnati. Si può parimenti notare che la densità della presenza dei nodi (numero di nodi per unità di lunghezza) sui diversi tipi di filare è differente risultando d1 > d2 > d3 (dn = densità dei nodi relativa ai filari di tipo n).

Parimenti si può notare che anche la distanza fra i filari (df) nel fascio di filari di tipo 1 è differente da quella nel fascio di filari di tipo 2 e da quella nel fascio di filari di tipo 3 risultando df1 > df2 > df3 (in altre parole i filari di tipo 1 si susseguono nello spazio più distanziati fra loro di quanto non avvenga per quelli di tipo 2; parimenti i filari di tipo 2 si susseguono nello spazio più distanziati fra loro di quanto non avvenga per quelli di tipo 3). Trasponendo queste semplici osservazioni dal piano allo spazio (quindi passando da un reticolo bidimensionale ad un reticolo tridimensionale) e sostituendo a quanto osservato per i filari quanto potremmo osservare per i piani reticolari, potremo dire che non solo tutti i nodi di un reticolo tridimensionale giacciono su insiemi infiniti di piani reticolari fra loro paralleli (fasci di piani) ma che fasci di piani diversamente orientati sono caratterizzati da densità di nodi diversi e che più per un dato fascio di piani è alta la densità di nodi più, per esso, risulta elevata la distanza fra i piani (dp) presenti nel reticolo (in altre parole i piani corrispondenti ai sopra visti filari di tipo 1 si susseguono nello spazio più distanziati fra loro di quanto non avvenga per quelli corrispondenti ai

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sopra visti filari di tipo 2; parimenti i piani corrispondenti ai sopra visti filari di tipo 2 si susseguono nello spazio più distanziati fra loro di quanto non avvenga per quelli corrispondenti ai sopra visti filari di tipo 3). Poiché, come è facilmente intuibile dall’esame della figura 9 ad una maggiore densità (dp) corrisponde una maggiore distanza interplanare (di) fra piani reticolari paralleli e contigui; per serie diverse di piani 1, 2, 3, 4, ………, n per cui risulti che dp1 > dp2 > dp3 > dp4 > …………….. > dpn si avrà che di1 > di2 > di3 > di4 > …….. > din . Senza entrare in più o meno complesse trattazioni fisiche e fisico–chimiche che esulano dalle finalità che il corso si prefigge, possiamo anche facilmente intuire che tanto più è alta la densità dei nodi su un determinato piano reticolare, tanto più intense saranno le forze di legame con cui la “materia” costituente il minerale si aggrega lungo quel piano. Possiamo facilmente intuire che durante il processo di crescita di un cristallo (supposto svilupparsi in un mezzo chimicamente e fisicamente isotropo cioè privo di gradienti) si avrà l’aggregazione della materia ed il suo ordinamento nel reticolo cristallino, tale aggregazione ed ordinamento avverrà con lo sviluppo preferenziale di quei piani (facce) e quei filari (spigoli) al cui interno più alte risultano le forze di legame. A seguito di quanto sopra possiamo affermare che in un cristallo si possono sviluppare solo le facce la cui orientazione ripete quella di un piano reticolare individuabile nel proprio reticolo cristallino . Possiamo parimenti affermare che in un cristallo sarà tanto più probabile che una faccia possibile si sviluppi quanto più alta è la densità di nodi del corrispondente piano reticolare e, pertanto, quanto più alta è la distanza interplanare che caratterizza il fascio di piani associato al suddetto piano.

Figura 10

Da quanto detto possiamo desumere la seguente affermazione: il processo di crescita di un cristallo si esplica mediante lo spostamento parallelo a se stessi delle facce e degli spigoli del cristallo; pertanto un cristallo ideale (cresciuto in un ambiente perfettamente isotropo) avrà sempre la medesima forma geometrica indipendentemente dal suo maggiore o minore

sviluppo. Questa affermazione fu dedotta già nella seconda metà del XVII° secolo da Niels Stensen (Niccolò Stenone (1638 – 1696) sulla base delle misure angolari fatte fra facce omologhe di cristalli diversi e della stessa specie che portarono alla formulazione della prima legge della cristallografia nota con nome di Legge della costanza dell'angolo diedro o di Stenone. Tale legge afferma che “in tutti i cristalli della stessa sostanza, a parità di condizioni di pressione e temperatura, gli angoli diedri che le stesse facce formano tra loro sono uguali” .

Quanto detto ci fa inoltre comprendere perchè in natura i “cristalli” siano oggetti sufficientemente rari e che “cristalli” della stessa specie pur presentando le medesime facce le espongono con differenti sviluppi. In un cristallo reale, comunque sproporzionato, l'angolo formato da due facce qualsiasi è sempre uguale a quello che

Figura 11 formano le due corrispondenti facce del cristallo ideale5.

5 Per forma ideale di un cristallo si intende la forma geometrica che il

cristallo assumerebbe se si sviluppasse in un mezzo assolutamente isotropo. La figura a fianco mostra un cristallo nella sua forma ideale (a) e in varie forme sproporzionate (b, c, d).

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Quanto sinora detto ci consente di pienamente comprendere, su base strutturale, quanto postulato da Haüy (1743 – 1822) nel 1784 con la sua “legge di razionalità degli indici” al fine di determinare un metodo univoco per l’individuazione degli elementi morfologici di un cristallo. La legge di Haüy (o legge di razionalità degli indici) è una legge fondamentale della cristallografia e regola la giacitura reciproca delle facce dei cristalli e venne formulata, sulla base di misure sperimentali, quale logica conseguenza della legge della costanza dell’angolo diedro. Il suo enunciato può essere espresso in questo modo: “se in un cristallo si assumono come terna di assi di riferimento (croce assiale) tre rette parallele a tre spigoli presenti o possibili nel cristallo, convergenti e non complanari, i rapporti fra le lunghezze dei segmenti omologhi (parametri) staccati da due facce qualsiasi del cristallo su detti assi stanno tra loro come tre numeri razionali, interi, primi tra loro e generalmente piccoli” . Pertanto se si indicano con a, b e c ed a’, b’ e c’ rispettivamente i parametri dalla faccia di riferimento e quelli della faccia da individuare e con h, k ed l tre numeri interi primi fra loro, la legge di Hauy trova la seguente espressione matematica

Figura 12

La figura 12 esplicita, su base reticolare quanto formulato dalla legge di Hauy. Poiché infatti agli spigoli e alle facce di un cristallo corrispondono su base reticolare filari e piani reticolari e poiché qualsiasi fascio di filari o piani definito da uno qualsiasi di essi contiene tutti i nodi del reticolo, potremo affermare che i tre spigoli (assi) di riferimento potrebbero essere individuati dai tre filari a, b e c e che le due facce qualsiasi potrebbero essere individuate nelle facce ABC ed A’B’C’. Si può notare che la la faccia ABC stacca sugli assi di riferimento i parametri OA, OB e OC mentre la faccia A’B’C’ stacca sui medesimi assi i parametri OA’, OB’ e OC’. Appare evidente dalla

figura 12 che: OA = 4a, OB = 3b, OC = 3c, OA’ = 2a, OB’ = 2b e OC’ = 4c ( in generale OA = na, OB = mb, OC = pc, OA’ = n’a, OB’ = m’b e OC’ = p’c dove n, m, p, n’, m’, p’ sono numeri interi). Se sulla scorta di tali dati applichiamo la legge di Hauy alle due facce ABC e A’B’C’ avremo:

Appare evidente che essendo i rapporti fra i parametri omologhi individuati dalle facce considerate rapporti fra numeri interi essi staranno fra loro come numeri interi. Nel caso in questione avremo:

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Figura 13

Si può osservare che se si assumono come assi di riferimento i tre filari più densi di nodi e come piano di riferimento costante (a cui corrisponde la faccia fondamentale) il piano reticolare che incontrando i suddetti filari risulta il più denso di nodi tali numeri interi risultano generalmente piccoli. Nel caso esemplificato nella figura a lato si ha:

Con riferimento alla figura 13, si noti come se consideriamo il piano ABC che stacca sugli assi di riferimento i segmenti (OA, OB, OC) definiti dall'intersezione del piano con la terna di filari a, b e c, detto piano corrisponde alla "faccia fondamentale" o

"faccia parametrica" in quanto individua il rapporto parametrico OA : OB : OC = a : b : c dove a, b e c sono le lunghezze dei segmenti OA, OB e OC corrispondenti ai periodi di traslazione lungo i filari a, b e c. I tre numeri interi, primi fra loro, (in generale h k ed l) secondo cui stanno fra loro i rapporti fra i parametri di una qualsiasi faccia e quelli della faccia fondamentale sono chiamati indici di Miller della faccia e sono idonei ad individuarne la posizione rispetto alla terna assiale di riferimento; essi vanno scritti fra parentesi tonde e senza alcun segno di interpunzione interposto: (h k l). Considerato che la posizione di una faccia (piano) rispetto ad una terna di riferimento può assumere un numero limitato di tipologie di orientazione (in totale pari a 7) ne consegue che saranno solo 7 le tipologie di indici che una qualsiasi faccia potrà assumere. Si ha infatti che una data faccia rispetto al sistema di riferimento dato da tre assi convergenti e non complanari (assi cristallografici: x, y e z corrispondenti ai tre filari a, b e c) potrà assumere solo una delle seguenti orientazioni:

1. La faccia incontra tutti e tre gli assi; 2. La faccia incontra due assi ed è parallela al terzo (tale asse potrà essere l’asse x, y o z); 3. La faccia potrà essere parallela ad due dei tre assi ed incontrare solo il terzo (tale asse potrà

essere l’asse x, y o z). A ciascuno dei casi sopra elencati corrisponde una specifica tipologia di indici. Caso 1: Appare già evidente da quanto si qui esposto che nel caso in questione i tre numeri h k l

saranno interi e tutti ≠ da 0. Caso 2: Essendo la faccia parallela ad un asse avremo che sarà pari ad ∞ il parametro relativo

all’asse cui la faccia risulta parallela e precisamente OC’ se la faccia risulta parallela a z, OB’ se la faccia risulta parallela a y o OA’ se la faccia risulta parallela a x. Poiché qualsiasi numero fratto ∞ può essere posto eguale a 0, applicando la legge di Hauy avremo che uno dei rapporti fra i parametri omologhi della faccia considerata rispetto a quella fondamentale sarà eguale a 0. Sarà pertanto nullo uno degli indici della faccia: h se la faccia risulta parallela a x, k se la faccia risulta parallela a y, l se la faccia risulta parallela a z.

Caso 3: Essendo la faccia parallela a due assi avremo che saranno pari ad ∞ i parametri relativi agli assi cui la faccia risulta parallela. Poiché qualsiasi numero fratto ∞ può essere posto eguale a 0, applicando la legge di Hauy avremo che due dei rapporti fra i parametri omologhi della faccia considerata rispetto a quella fondamentale saranno eguali a 0. Da ciò discende che dati tre numeri che stanno fra loro come h : k : l, se due di essi sono nulli, ad esempio h e k, si avrà: h : k : l = 0 : 0 : l ; dividendo per l otterremo h : k : l = 0 : 0 : 1. Potremo dire che gli indici di

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una faccia che risulti parallela a due assi cristallografici ed intersechi solo il terzo saranno due eguali a 0 ed il terzo eguale ad 1. Sarà pari ad 1 l’indice relativo all’asse incontrato; saranno pari a 0 gli indici relativi agli assi cui la faccia risulta parallela.

Da quanto sopra si ricava che i possibili indici di una faccia sono riferibili alle seguenti tipologie: 1 (h k l) La faccia incontra tutti tre gli assi (essa è inclinata rispetto a tutti gli assi) 2 (h k 0) La faccia incontra gli assi x e y mentre risulta parallela a z 3 (h 0 l) La faccia incontra gli assi x e z mentre risulta parallela a y 4 (0 k l) La faccia incontra gli assi y e z mentre risulta parallela a x 5 (1 0 0) La faccia incontra l’asse x mentre risulta parallela a y e a z 6 (0 1 0) La faccia incontra l’asse y mentre risulta parallela a x e a z 7 (0 0 1) La faccia incontra l’asse z mentre risulta parallela a x e a y È intuitivo che qualora una faccia risultasse orientata in modo da incontrare uno o più assi cristallografici lungo le loro direzioni negative, essa presenterebbe uno o più parametri negativi e pertanto anche i corrispondenti indici saranno negativi. La negatività di un indice viene espresso sovrapponendo il segno – all’indice corrispondente (cfr. Figura 19).

Figura 14

Considerazioni geometriche (che non riportiamo perché esulano dagli obiettivi del corso) consentono di utilizzare gli indici di Miller per individuare anche gli spigoli di un cristallo e quindi, in generale, le direzioni cristallografiche. Diciamo che il simbolo di una direzione viene espresso dagli indici di Miller posti fra parentesi quadre e senza interposti segni di interpunzione [h k l ] dove h k l sono tre numeri interi. Tali numeri individuano nel reticolo cristallino le coordinate del primo nodo, diverso dall’origine del sistema di riferimento, appartenente al filare individuato dall’origine del sistema di riferimento e dal suddetto nodo. La figura 14 esplicita quanto detto.

In base a quanto esposto potremo avere pertanto le seguenti tipologie di direzioni cristallografiche:

1 [h k l] La direzione si pone nell’ottante positivo (essa è inclinata rispetto a tutti gli assi) 2 [h k 0] La direzione si pone nel piano x – y 3 [h 0 l] La direzione si pone nel piano x – z 4 [0 k l] La direzione si pone nel piano y – z 5 [1 0 0] La direzione è parallela all’asse x 6 [0 1 0] La direzione è parallela all’asse y 7 [0 0 1] La direzione è parallela all’asse z

Cristallografia morfologica

La cristallografia morfologica studia e descrive le forme geometriche dei cristalli. Per far ciò si fa riferimento alle forme ideali dei cristalli (cfr. quanto detto in precedenza). Dall’osservazione di un cristallo ideale si ricava immediatamente che la distribuzione nello spazio dei suoi elementi (facce, spigoli e vertici) non avviene in modo casuale ma, al contrario, risponde a

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un determinato ordine dettato dalla simmetria che il cristallo nel suo complesso manifesta. In altre parole (tranne in un caso6) qualsivoglia elemento morfologico del cristallo si presenta in esso (si ripete) un numero n di volte sempre identico a se stesso. Un esempio valga per tutti: se consideriamo un cristallo di salgemma (NaCl) esso nella sua forma ideale assumerà la forma poliedrica di un cubo (Fig. 15). Osservando detta forma poliedrica noteremo immediatamente che un qualsiasi vertice di esso si ripete nello spazio per un totale di 8 volte (n = 8); un qualsiasi spigolo invece si ripete nello spazio per un totale di 12 volte (n = 12); una qualsiasi faccia si ripete complessivamente 6 volte (n = 6).

Figura 15 Ci chiediamo: come mai ciò avviene? Il quesito trova risposta nell’affermazione che tutti i cristalli (tranne che in un caso) presentano l’associazione di un determinato numero di operatori di simmetria (elementi di simmetria) che impongono che qualsiasi elemento del cristallo si ripeta nello spazio, sempre identico a se stesso, n volte.

Gli operatori di simmetria, macroscopicamente rilevabili in un cristallo, sono: Il piano di simmetria (P), l’asse di simmetria (An) ed il centro di simmetria (C). Un punto, una retta, un piano, si dicono rispettivamente centro, asse e piano di simmetria di un solido S se il simmetrico P’ di ogni punto P di S rispetto a quel punto, a quella retta o a quel piano appartiene al solido S.

Il piano di simmetria. Dato un piano α, si dice simmetrico di un punto qualunque P dello spazio rispetto ad α il punto P’, tale che il segmento PP’ sia perpendicolare ad α e sia intersecato da α nel suo punto medio. Il piano α si dice piano di simmetria (Fig. 16). Il piano di simmetria è pertanto un operatore che produce la ripetizione di qualsiasi oggetto in un altro che ne sia l’immagine speculare. Diremo che in un cristallo esiste un piano di simmetria allorché esiste un

Figura 16

piano interno al cristallo che lo divide in due parti specularmente eguali.

Figura 17: Piano di simmetria

Nell’esempio riportato in figura 17 sono specularmente eguali le due porzioni in cui, idealmente, il cubo può essere suddiviso da un piano (P) che lo interseca passando per i punti medi di quattro spigoli fra loro paralleli. Il piano (P) in questione è un piano di simmetria del cubo.

L’asse di simmetria. Data una retta r, si dicono simmetrici di un punto qualunque P dello spazio rispetto ad r l’insieme di punti P1, P2, ., ., ., ., Pn che congiuntamente a P determinano un piano perpendicolare alla retta r, godono della proprietà di essere equidistanti da r e sono angolarmente intervallati fra loro di un

angolo α costante. La retta r si dice asse di simmetria.

6 Come sarà visto più avanti esiste una classe di simmetria caratterizzata dall’assenza di elementi di simmetria (classe

pediale). Nei cristalli appartenenti alla suddetta classe ciascun elemento morfologico è presente identico a se stesso solo una volta (n = 1) cioè non appare ripetuto in quanto il cristallo è privo di elementi di simmetria.

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Diremo che in un cristallo esiste un asse di simmetria allorché esiste una direzione, interna al cristallo, che gode della proprietà che facendo ruotare il cristallo intorno ad esso ogni suo elemento si ripete (ricopre) n volte nel giro di 360° ad intervalli α pari a 360°/n , tutti eguali fra loro. Il valore di n individua l’ordine dell’asse e l’asse si dirà “asse di simmetria di ordine n (An)” .

Nei cristalli il valore di n può essere eguale solo a 2, 3, 4 o 6; non possono esistere assi di simmetria di ordine diverso da 2, 3, 4 o 67. Il Centro di simmetria. Dato un punto C, si dice simmetrico di un punto qualunque P dello spazio rispetto a C il punto P’ tale che C sia il punto medio del segmento PP’. C si dice centro di simmetria. Diremo che in un cristallo esiste il centro di simmetria (C) allorché esiste un punto, interno al cristallo, che gode della proprietà di essere il punto medio comune a tutti i segmenti che congiungono elementi identici del cristallo. Tenuto conto di quanto sopra esposto possiamo dire che in un cristallo:

- possono esistere diversi piani di simmetria diversamente orientati fra loro; - possono esistere diversi assi di simmetria del medesimo ordine diversamente orientati fra

loro; - possono esistere assi di simmetria di ordine diverso; - se esiste potrà esistere solo un centro di simmetria.

La coesistenza (contemporanea presenza) di diversi elementi di simmetria in un cristallo risulta regolata dal loro reciproco condizionamento geometrico. Possono essere enunciate diverse “leggi di coesistenza degli elementi di simmetria”. Fra queste ricordiamo: 1a legge di coesistenza degli elementi di simmetria: Asse di simmetria di ordine pari An (n = 2, 4 o

6), Piano di simmetria (P) ortogonale ad An e Centro di simmetria (C), sono elementi tali per cui

7 La ragione dell’affermazione trova spiegazione nella intima struttura reticolare dei cristalli. Poiché un asse di

simmetria è una direzione razionale del cristallo esso ha quale suo equivalente reticolare un filare; ne discende che nessun filare potrà coincidere con un asse di simmetria se non esiste un fascio di piani, perpendicolare al filare, i cui nodi rispondono alla simmetria dell’asse. Consideriamo un qualsiasi piano appartenente al suddetto fascio e consideriamo due qualsiasi nodi fra loro consecutivi (fra loro distanti p) e giacenti sul piano, se la perpendicolare al piano è un asse di ordine n ciascun nodo del piano (in quanto intersezione del piano con il filare coincidente con l’asse) ripeterà l’altro dopo una rotazione intorno a se stesso di un angolo α = 360°/n. Con riferimento alla figura

Figura 18

18 il punto A per rotazione di α intorno a B si ripeterà in D ed analogamente il punto B per rotazione di α intorno ad A si ripeterà in C. Poiché il quadrilatero ABCD risulta essere un trapezio isoscele sarà AB // CD e CD = k AB = k p dove k è un numero intero positivo, negativo o nullo (ciò in quanto il filare CD è parallelo a quello AB e pertanto ad esso equivalente).

Poiché CD = p + 2pcos(180– α) = p – 2pcosα = p(1 – 2 cosα) si avrà: p(1 – 2 cosα) = kp; cioè : 1 – 2 cosα = k; da cui: (1- k) / 2 = cosα. Si osserva che gli unici valori che k può assumere perché la vista equazione ammetta soluzioni per α sono: k = - 1 cos α = 0 α = 0° oppure 360° n = 1 (non ha significato) k = 0 cos α = ½ α = 60° n = 6 k = 1 cos α = 0 α = 90° n = 4 k = 2 cos α = - ½ α = 120° n = 3 k = 3 cos α = - 1 α = 180° n = 2

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la presenza di due di essi condiziona necessariamente la presenza del terzo. 2a legge di coesistenza degli elementi di simmetria: Asse di simmetria di ordine dispari A3, Piano di

simmetria (P) ortogonale ad A3 e Centro di simmetria (C), sono elementi tali per cui la presenza di due di essi esclude necessariamente la presenza del terzo.

3a legge di coesistenza degli elementi di simmetria: se in un piano giacciono n assi di simmetria di ordine pari formanti fra loro angoli α = 180° / n la perpendicolare a detto piano è un asse di simmetria di ordine n (An). Questa legge è invertibile nel senso che potremo dire che: se

perpendicolarmente ad un asse di ordine n (An) esiste un asse di ordine pari nel piano

perpendicolare ad An esisteranno altri n – 1 assi di ordine pari formanti fra loro angoli

α = 180° / n. 4a legge di coesistenza degli elementi di simmetria: se n piani di simmetria (P) si intersecano lungo

una direzione comune, tale direzione risulta essere un asse di simmetria di ordine n (An);

ciascun piano formerà con il suo successivo un angolo α = 180° / n. Anche questa legge è invertibile nel senso che potremo dire che: se un piano di simmetria (P) contiene un asse di ordine n (An) esisteranno altri n – 1 piani (P) passanti per detto asse di ordine n; ciascuno di

detti piani formerà con il suo successivo un angolo α = 180° / n. Si chiama grado di simmetria di un cristallo l’insieme degli elementi di simmetria in esso presenti. In ogni cristallo, caratterizzato dal grado di simmetria che gli è proprio, una faccia si ripete complessivamente n volte dando luogo ad un insieme di facce tutte fra loro equivalenti in base alla simmetria del cristallo; detto insieme di facce viene chiamato “forma semplice”. In un cristallo si dice forma semplice l’insieme di n facce fra loro equivalenti in base al grado di simmetria; tale insieme di facce si ottiene dalla ripetizione di una qualsiasi di esse operata da tutti gli elementi di simmetria presenti nel cristallo. Una forma semplice si dice “chiusa” se essa chiude compiutamente lo spazio; viceversa, se da sola non riesce a chiudere lo spazio, si dirà “aperta”. La morfologia complessiva di un cristallo è data dall’associazione e contemporanea presenza di una o più forme semplici. Mentre una “forma chiusa” può essere sufficiente a determinare la morfologia di un cristallo (es: cubo, ottaedro, tetraedro, ecc) è necessaria l’associazione di più “forme aperte” se sono solo queste ultime quelle presenti nel cristallo.

Figura 19

Noto il grado di simmetria di un cristallo, una sua forma semplice può essere identificata dagli indici di Miller relativi ad una qualsiasi faccia appartenente alla forma scritti fra parentesi graffe ( ad es: {h k l} ); per convenzione viene assunta quale faccia generante la forma quella che, fra tutte quelle appartenenti alla forma, ha in maggior numero gli indici positivi e posti in ordine decrescente (se ad esempio consideriamo la forma semplice “cubo” il suo indice sarà {1 0 0} dal simbolo della faccia (1 0 0) che risponde ai sopra visti requisiti – Figura 19).

Tutte le “forme semplici chiuse” danno luogo a poliedri che potranno essere sia di tipo regolare8 che di tipo irregolare. Ad esempio sono poliedri regolari: il cubo, il tetraedro, l’ottaedro, il

8 Un poliedro si dice regolare quando tutti gli angoli diedri formati fra facce contigue sono eguali e tutte le sue facce

sono poligoni eguali. Alcune forme semplici compatibili con le simmetrie possibili nelle classi di simmetria del sistema cubico (cfr. più avanti) sono poliedri regolari.

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rombododecaedro, il pentagonododecaedro ed altri. Sono ad esempio poliedri irregolari la bipiramide, il trapezoedro, lo scalenoedro, il bisfenoide tetragonale, il bisfenoide rombico, ecc. Fra le “forme semplici aperte” sono da ricordare tutti i prismi, le piramidi, lo sfenoide, il doma, il pinacoide, il pedione.

Esempi di Forme semplici date da poliedri regolari

Cubo

Facce: Quadrati N° Facce = 6 N° Vertici = 8 N° Spigoli = 12

Tetraedro

Facce: Triangoli equilateri N. Facce: 4 N.Vertici: 4 N.Spigoli: 6

Ottaedro

Facce: Triangoli equilateri N° Facce = 8 N° Vertici = 6 N.Spigoli = 12

Rombododecaedro

Facce: Rombi N° Facce = 12 N° Vertici = 24 N° Spigoli = 14

Pentagonododecaedro

Facce: Pentagoni N° Facce = 12 N° Vertici = 20 N° Spigoli = 30

Esempi di Forme semplici date da poliedri irregolari

Bipiramide esagonale, tetragonale e trigonale Facce: triangoli isosceli. N° Facce = 12, 8, 6 (2n) N° Vertici = 8, 6, 5 (n + 2) N° Spigoli = 18, 12, 9 (3n)

Trapezoedro esagonale, tetragonale e trigonale. Facce: quadrilateri irregolari. N° Facce = 12, 8, 6 (2n) N° Vertici = 14, 10, 8 (2n + 2) N° Spigoli = 24, 16, 12 (4n)

Romboedro e scalenoedro trigonale e tetragonale. Facce: Losanghe e triangoli scaleni. N° Facce = 6, 12, 8 N° Vertici = 8, 8, 6 N° Spigoli = 12, 18, 12

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Bisfenoide tetragonale e rombico Facce: triangoli isosceli e triangoli scaleni. N° Facce = 4, 4 N° Vertici = 4, 4 N° Spigoli = 4, 4

Si intende per prisma un insieme n (n = 3, 4, 6, 8, 12) di facce equivalenti e parallele ad una direzione comune (asse del prisma). Si intende per piramide un insieme n (n = 3, 4, 6, 8, 12) di facce equivalenti convergenti in un punto. Si intende per doma un insieme di due facce specularmente equivalenti e convergenti su uno spigolo. Si intende per sfenoide un insieme di due facce equivalenti convergenti su uno spigolo e simmetriche rispetto ad un asse di simmetria di ordine 2 (A2) orientato ortogonalmente a detto spigolo. Si intende per pinacoide un insieme di due facce parallele equivalenti. Si intende per pedione una sola faccia.

+

=

Figura 20

L’assetto morfologico di un cristallo è determinato dalla contemporanea presenza di diverse forme semplici fra loro compatibili in base al grado di simmetria del cristallo. La figura 20 mostra l’assetto morfologico di un cristallo di Zolfo

dato dall’associazione di due bipiramidi rombiche. Considerazioni sugli assi cristallografici e sul grado di simmetria: definizione dei “gruppi”, dei “Sistemi cristallini” e delle “Classi di simmetria”. Come si è avuto modo di dire per descrivere morfologicamente un cristallo si fa riferimento ad una terna assiale di riferimento (assi cristallografici) che ha il suo corrispondente strutturale in tre filari del reticolo; tali filari in relazione alla “opportunità” con cui si individuano gli assi cristallografici corrispondono a quelli a più alta densità di nodi. Con riferimento a ciò, considerati essere a, b e c i periodi d’identità lungo i suddetti filari, per un dato cristallo si potrà realizzare una delle seguenti evenienze: a = b = c; a = b ≠ c; a ≠ b ≠ c. Ci chiediamo se di ciò esiste una qualche manifestazione macroscopica che possa essere rilevata dall’esame morfologico dei cristalli. Le verifiche strutturali svolte sui cristalli evidenziano che in qualsivoglia cristallo a direzioni cristallografiche “equivalenti” corrispondono nel reticolo filari caratterizzati da periodi d’identità eguali. Pertanto, scelta in un cristallo la terna di assi cristallografici x, y e z, se rileveremo che essi sono fra loro “equivalenti” potremo dire che a = b = c; se rileveremo che solo due di essi sono fra loro “equivalenti”, ponendo che siano “equivalenti le direzioni x e y, potremo dire che a = b ≠ c; infine se rileveremo che tutti e tre gli assi sono fra loro “non equivalenti” potremo dire che a ≠ b ≠ c. Resta da comprendere a questo punto con quale criterio si può dedurre se due direzioni cristallografiche sono fra loro “equivalenti”.

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Diremo che due direzioni cristallografiche sono fra loro morfologicamente “equivalenti se osservando il cristallo attraverso le direzioni considerate e scambiando le suddette fra loro non appaiono distinguibili i due modi di presentarsi del cristallo (in altre parole è come che si continuasse ad osservare solo da una delle due direzioni). La figura 21 (a e b) esemplifica quanto detto: Dato un cristallo individuata la terna di riferimento data da tre assi (x, y e z) paralleli a tre spigoli presenti nel cristallo convergenti e non complanari notiamo che se osserviamo il cristallo lungo x o lungo y esso ci appare col medesimo aspetto: gli assi x e y sono equivalenti (Fig. 21a). Se viceversa il cristallo si mostrerà con aspetto differente gli assi x e y non sono equivalenti (Fig. 21b).

Figura 21a

Figura 21b

In relazione alla equivalenza o meno degli assi cristallografici tutti i cristalli (minerali) vengono inseriti in tre “gruppi” rispettivamente chiamati: Gruppo Monometrico, Dimetrico e Trimetrico le cui caratteristiche sono di seguito riportate:

Gruppo Assi equivalenti Periodi di identità Gruppo Monometrico x equivalente a y equivalente a z a = b = c Gruppo Dimetrico x equivalente a y non equivalente a z a = b ≠ c Gruppo Trimetrico x non equivalente a y non equivalente a z a ≠ b ≠ c

Si è già detto che i 3 assi cristallografici formano fra loro tre angoli che abbiamo chiamato α, β e γ; per convenzione essi vengono individuati nel modo seguente: α è l’angolo formato fra le direzioni dell’asse y e dell’asse z cioè y^z; β è l’angolo formato fra le direzioni dell’asse x e dell’asse z cioè

Figura 22

x^z; γ è l’angolo formato fra le direzioni dell’asse x e dell’asse y cioè x^y (Fig. 22). Con riferimento ad αααα, ββββ, γγγγ si osserva che nei cristalli (cfr. reticoli Bravaisiani) si realizzano le seguenti combinazioni di valori angolari:

- αααα = ββββ = γγγγ = 90° - αααα = ββββ = γγγγ ≠ 90° - αααα = ββββ = 90° ; γγγγ = 120° - αααα = γγγγ = 90° ; ββββ ≠ 90° - αααα ≠ ββββ ≠ γγγγ ≠ 90°

Associando dette combinazioni con quelle già viste in merito all’equivalenza o meno degli assi cristallografici x, y e z si producono le seguenti possibili orientazioni reciproche degli assi cristallografici da cui discendono i sette possibili sistemi cristallini.

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Caratteri angolari Caratteri d’equivalenza degli assi Sistema cristallino x equivalente a y equivalente a z (a = b = c) Monometrico x equivalente a y non equivalente a z (a = b ≠ c) Tetragonale αααα = ββββ = γγγγ = 90° x non equivalente a y non equivalente a z (a ≠ b ≠ c) Rombico

αααα = ββββ = γγγγ ≠ 90° x equivalente a y equivalente a z (a = b = c) Romboedrico9 αααα = ββββ = 90° ; γγγγ = 120°

x equivalente a y non equivalente a z (a = b ≠ c) Esagonale

αααα = γγγγ = 90° ; ββββ ≠ 90° x non equivalente a y non equivalente a z (a ≠ b ≠ c) Monoclino αααα ≠ ββββ ≠ γγγγ ≠ 90° x non equivalente a y non equivalente a z (a ≠ b ≠ c) Triclino

Se prendiamo adesso in considerazione il fatto che, come già detto, ogni cristallo è caratterizzato da un proprio insieme di elementi di simmetria (grado di simmetria), a fini tassonomici, si può procedere a raggruppare fra loro tutti i cristalli che presentano il medesimo grado di simmetria. Diremo che tutti i cristalli che presentano lo stesso grado di simmetria appartengono alla medesima “classe di simmetria”. I possibili raggruppamenti di simmetria, tenuto conto del loro mutuo condizionamento, portano all’individuazione di 32 classi di simmetria cristalline (elencate da Hessel nel 1830). Dette 32 classi trovano collocazione nei diversi sistemi cristallini come di seguito indicato. Sistema Monometrico → 5 classi di simmetria Sistema Tetragonale → 7 classi di simmetria Sistema Esagonale → 7 classi di simmetria Sistema Trigonale o Romboedrico → 5 classi di simmetria Sistema Rombico → 3 classi di simmetria Sistema Monoclino → 3 classi di simmetria Sistema triclino → 2 classi di simmetria Tutti cristalli riferibili alle classi di simmetria che appartengono al medesimo sistema presentano uno o più elementi morfologici che coincidono sempre con elementi di simmetria comuni; tali elementi sono:

Classi di simmetria del Sistema Monometrico

Le quattro direzioni bisettrici degli 8 angoli solidi fra loro opposti al vertice formati fra gli assi cristallografici x, y e z sono assi di simmetria di ordine 3 (A3).

Classi di simmetria del Sistema Tetragonale L’asse cristallografico delle z coincide sempre con un asse di simmetria di ordine 4 (A4).

Classi di simmetria del Sistema Esagonale L’asse cristallografico delle z coincide sempre con un asse di simmetria di ordine 6 (A6).

Classi di simmetria del Sistema Trigonale L’asse cristallografico delle z coincide sempre con un asse di simmetria di ordine 3 (A3).

Classi di simmetria del Sistema Rombico

Gli assi cristallografici x, y e z coincidono sempre o con assi di simmetria di ordine 2 (A2) o con direzioni perpendicolari a piani di simmetria (P).

9 I cristalli appartenenti al sistema romboedrico, aventi cioè celle elementari di tipo romboedrico, possono essere

descritti anche con una croce assiale di tipo esagonale; in tal caso si distinguono due sistemi: il sistema Esagonale e il sistema Trigonale caratterizzati rispettivamente dalla presenza di un asse di simmetria A6 e di un asse A3.

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Classi di simmetria del Sistema Monoclino

L’asse cristallografico y coincide sempre o con un asse di simmetria di ordine 2 (A2) o con una direzione perpendicolare ad un piano di simmetria (P) che coinciderà con il piano x – z (010).

Classi di simmetria del Sistema Triclino Gli assi cristallografici x, y e z non coincidono mai con assi di simmetria o con direzioni perpendicolari a piani di simmetria.

La cristallografia morfologica studia le forme dei cristalli e li classifica e descrive individuando per ciascuno di essi gruppo, sistema e classe d’appartenenza nonché individuando l’associazione delle forme semplici in essi presenti. Nel corso delle esercitazioni lo studente apprenderà come applicare quanto sin qui detto.

Cristallografia strutturale. Abbiamo detto che tutti i minerali sono caratterizzati da un proprio reticolo cristallino descrivibile attraverso la ripetizione omogenea periodica discontinua della materia che lo costituisce.

Esplicitiamo quanto detto con un esempio. Consideriamo il salgemma (NaCl): la materia che lo costituisce è data dalle specie elementali Na e Cl; pertanto la natura reticolare del salgemma sarà data dalla ripetizione omogenea periodica e discontinua di Na e Cl10. La figura 23 illustra quanto detto individuando con le sfere verdi il Cl e con le sfere azzurre il Na.

Figura 23 Ci chiediamo: è possibile avere una verifica sperimentale di quanto sinora ipotizzato per le strutture dei solidi cristallini? In altre parole è possibile “vedere” detto andamento reticolare? La risposta alle domande poste è che, mentre considerate le dimensioni degli atomi (o ioni) non è possibile visivamente “vedere” il reticolo cristallino di un minerale, esistono delle esperienze di tipo fisico che consentono sia di accertarne l’esistenza che di studiarne i caratteri sino a definirne il tipo di ordinamento omogeneo periodico discontinuo della materia che lo costituisce e pertanto descriverlo compiutamente. Tali esperienze fisiche si basano sui fenomeni di diffrazione che le radiazioni x subiscono quando attraversano la materia solida cristallina. La cristallografia strutturale utilizza queste esperienze e le diverse metodologie e strumentazioni che, nel tempo, da esse sono derivate e sono state messe in essere. I risultati di tali esperienze consentono oggi di conoscere l’intima struttura di quasi tutti i minerali noti. Poiché non rientra fra gli obiettivi del nostro corso il conoscere nel merito i metodi per la indagine strutturale dei minerali, tratteremo questo argomento in modo che lo studente possa avere gli elementi per comprenderne i fondamenti e quindi essere padrone delle conoscenze essenziali che stanno alla base delle applicazioni finalizzate al riconoscimento dei minerali quali costituenti delle rocce. A tal fine, considerato che le radiazioni x sono radiazioni elettromagnetiche analoghe a quelle luminose, richiameremo alcuni concetti basilari utili alla comprensione del loro modo di propagarsi e di essere emesse ed assorbite. Tali richiami saranno utili anche ai fini della

10 Vedremo in seguito che essendo il legame presente nel composto NaCl di tipo prevalentemente ionico a ripetersi nel

reticolo cristallino non saranno gli elementi Na e Cl ma bensì gli ioni Na+ e Cl-.

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comprensione dei fenomeni ottici che si realizzano allorché le radiazioni luminose attraversano i minerali e di cui avremo modo di parlare a proposito dell’ottica cristallografica. Richiamo sui caratteri generali delle onde luminose Tutte le onde luminose sono caratterizzate da specifiche frequenze e, nel vuoto, da ben definiti valori di λ (cfr. figura 24); fra tutte le possibili onde luminose l’occhio umano è capace di percepire solo quelle dello spettro del visibile (λ approssimativamente compreso fra 380 e 780 nm – 1 nanometro (simbolo nm) corrispondente a 10-9 metri – cioè un milionesimo di millimetro). Una radiazione viene detta di luce bianca quando in essa sono contemporaneamente presenti onde caratterizzate da tutte le lunghezze d'onda visibili ed aventi intensità proporzionale a quelle emesse dalla luce solare. Viceversa una radiazione viene detta monocromatica quando in essa è presente solo una lunghezza d’onda. Se allo spettro di luce bianca vengono sottratte una o più lunghezze d’onda o se ne variano i rapporti d’intensità, si ottiene ancora una radiazione policromatica che il nostro occhio sintetizza con un colore. Nell'elettromagnetismo classico la luce è descritta come un'onda11; l'avvento della meccanica quantistica, agli inizi del XX secolo, ha permesso di capire che questa possiede anche proprietà tipiche delle particelle. Nella fisica moderna tutte le radiazioni elettromagnetiche vengono descritte come composte da quanti del campo elettromagnetico chiamati fotoni.

Figura 24. Spettro delle radiazioni elettromagnetiche con inserto relativo allo spettro visibile.

11

Figura 25

La radiazione elettromagnetica è un fenomeno ondulatorio dovuto alla contemporanea propagazione di perturbazioni periodiche (vibrazione) di un campo elettrico e di un campo magnetico, oscillanti in piani tra di loro ortogonali. La vibrazione ha luogo in una direzione perpendicolare alla direzione di propagazione.

La Figura 25 mostra, in un certo istante,le intensità del campo elettrico (E) e magnetico (B) fra loro ortogonali di un’onda elettromagnetica.

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Tutte le onde elettromagnetiche, interagiscono con la materia. I fenomeni più comuni osservabili sono: l’assorbimento, la trasmissione, la riflessione, la rifrazione e la diffrazione. Mentre i fenomeni di trasmissione, riflessione, rifrazione e diffrazione possono essere adeguatamente descritti con le caratteristiche delle onde trasversali12, la quantificazione dei fenomeni di assorbimento e di emissione di radiazioni sono più adeguatamente descritti mediante i fotoni13. In una qualunque onda trasversale la vibrazione ha luogo in una direzione perpendicolare alla direzione di propagazione; tale vibrazione può avvenire allo stesso modo in tutte le direzioni perpendicolari alla direzione di propagazione. Se una sorgente luminosa produce (come è il caso per la maggioranza delle sorgenti reali) onde le cui direzioni di vibrazione sono uniformemente disposte intorno alla direzione di propagazione (cioè la vibrazione presenta una simmetria circolare attorno alla direzione di propagazione), nel fascio di radiazioni si ha una distribuzione statisticamente uniforme di queste direzioni, e tale fascio si chiamerà “non polarizzato” o “naturale”. Quando invece in una onda trasversale la vibrazione non avviene allo stesso modo in tutte le direzioni perpendicolari alla direzione di propagazione, cioè la vibrazione non presenta una simmetria di rotazione attorno alla direzione di propagazione, l’onda si dice “polarizzata”. La polarizzazione può avvenire in misura più o meno spinta; quando essa è massima, cioè esiste un solo piano di vibrazione dell’onda quest’ultima si dirà “linearmente polarizzata”14. Esistono diversi “strumenti” per polarizzare le radiazioni luminose. Il più semplice è il polaroide (polarizzatore); esso è un filtro capace di polarizzare la luce: cioè obbligare la luce che lo attraversa a vibrare su un solo piano. Proprietà delle radiazioni luminose. La velocità della luce. In tutti i mezzi omogenei la luce si propaga secondo le leggi del moto rettilineo uniforme ed è caratterizzata da velocità finita. La velocità della luce nel vuoto (c), nell'uso comune, viene assunta pari a 300.000 km/s. Nei mezzi isotropi, la direzione di propagazione di tutte le onde elettromagnetiche è perpendicolare al piano identificato dalle direzioni delle due oscillazioni dei campi elettrico e magnetico; detta direzione di propagazione è costante (legge della propagazione rettilinea15). Nei mezzi isotropi la velocità di propagazione è costante ed indipendente dalla direzione di propagazione.

12 La teoria ondulatoria fu formulata da Christiaan Huygens nel 1678.

La luce veniva vista come un'onda che si propaga (in maniera del tutto simile alle onde del mare) in un mezzo, chiamato etere, che si supponeva pervadere tutto l'universo ed essere formato da microscopiche particelle elastiche. La teoria ondulatoria della luce permette di spiegare un gran numero di fenomeni: oltre alla riflessione ed alla rifrazione, Huygens riuscì a spiegare anche il fenomeno della birifrazione nei cristalli di calcite. Nel 1801 Thomas Young dimostrò che i fenomeni della diffrazione e dell'interferenza potevano essere interamente spiegati dalla teoria ondulatoria.

13 La teoria quantistica fu proposta da Max Planck nel 1900. Max Planck, pensò che l'energia associata ad una onda elettromagnetica non fosse proporzionale al quadrato della sua ampiezza (come nel caso delle onde elastiche in meccanica classica), ma direttamente proporzionale alla frequenza e che la sua costante di proporzionalità fosse discreta (E = h v; h = costante di Planck). Albert Einstein attraverso l'interpretazione che diede dell'effetto fotoelettrico cominciò a parlare di pacchetti discreti di energia, battezzati fotoni, secondo cui si realizza l’emissione e l’assorbimento dell’energia legata ad una radiazione luminosa (∆E = hν) . Oggi il concetto di fotone sta alla base dell'ottica quantistica.

14 L’occhio umano non è capace di distinguere fra una radiazione normale ed una radiazione polarizzata. 15 La legge della propagazione rettilinea ammette deroghe solo se intervengono fenomeni di riflessione, rifrazione o

diffrazione e limitatamente al momento in cui detti fenomeni hanno luogo.

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Figura 26

Nei mezzi materiali la propagazione delle radiazioni elettromagnetiche diviene un fenomeno più complesso. La sua velocità è diversa rispetto a quella nel vuoto secondo un fattore che dipende dalle caratteristiche e proprietà del mezzo. Essa può inoltre dipendere dalla frequenza della

radiazione (cfr. figura 26 – dispersione). Lunghezza d'onda. La lunghezza d'onda è la distanza minima intercorrente tra punti equivalenti di una forma d'onda. Viene comunemente indicata dalla lettera greca lambda (λ).

Figura 27

In un'onda sinusoidale, la lunghezza d'onda è la distanza minima fra due punti che vibrano in coerenza di fase: ad esempio tra due creste successive (Figura 27). Nella figura 27 l'asse x rappresenta lo spazio percorso dall’onda nel tempo, e I indica l’ampiezza dell’oscillazione, variabile nel tempo, come funzione di x. La lunghezza d'onda è legata alla frequenza (numero

di oscillazioni nell’unità di tempo) tramite una relazione inversa.La lunghezza d'onda è uguale alla velocità dell'onda divisa per la sua frequenza. Nel caso di una radiazione elettromagnetica che si propaga nel vuoto con velocità c si ha la seguente relazione: λ = c / ν dove:

• λ = è la lunghezza d'onda di un'onda elettromagnetica • c = velocità della luce nel vuoto = 300.000.000 m/s • ν = frequenza dell'onda

Quando le onde luminose passano attraverso un materiale, la loro lunghezza d'onda viene ridotta di un fattore pari all'indice di rifrazione n del materiale, ma la frequenza dell'onda non cambia. La lunghezza d'onda λ' di un'onda in un materiale, è data da: λ' = λ0 / n dove λ0 è la lunghezza d'onda nel vuoto. Le lunghezze d'onda delle radiazioni elettromagnetiche sono normalmente riferite al vuoto, anche se ciò non è sempre esplicitamente dichiarato.

La frequenza. La frequenza (ν) è una grandezza che concerne tutti i fenomeni periodici o processi ripetitivi. In fisica la frequenza di un fenomeno che nel tempo si ripete in modo identico, viene data dal numero degli eventi che si ripetono nell’unità di tempo. Il risultato è dato nell'unità di misura chiamata hertz (Hz), dove 1 Hz caratterizza un evento che occorre una volta in un secondo.

La frequenza ν ha una relazione di proporzionalità inversa con λ. La frequenza è pari alla velocità

c dell'onda divisa per la lunghezza d'onda λ: ν = c/λ. Il Periodo. Il periodo è una grandezza fisica relativa alle onde, si indica generalmente con T e si misura in secondi (s).

Figura 28

Il periodo è l'intervallo temporale in cui l'onda compie un'oscillazione completa e torna alla condizione iniziale (ad esempio fra due culminazioni successive – Figura 28. t = tempo y(t) = ampiezza dell’oscillazione, variabile in funzione di t.

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Sfruttando la definizione di velocità c si possono legare fra loro la lunghezza d'onda e il periodo, ottenendo la formula: c = λ / T

Il periodo è la grandezza inversa della frequenza (T = 1/ν) , pertanto la espressione precedente si

può scrivere anche: c = λν. La rifrazione. Come già detto nei mezzi materiali la propagazione delle radiazioni elettromagnetiche avviene con velocità (v) diverse e dipendenti dalle caratteristiche e proprietà del mezzo. L'indice di rifrazione assoluto di un materiale è un parametro macroscopico, solitamente indicato col simbolo n, che rappresenta il fattore numerico di cui la velocità di propagazione di una radiazione elettromagnetica viene rallentata, rispetto alla sua velocità nel vuoto, quando questa attraversa uno specifico mezzo materiale (n = c/v)16. Poiché ciascun mezzo materiale è caratterizzato da una propria velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche ne consegue che nel passaggio da un mezzo materiale all’altro queste ultime subiscono una variazione di velocità. In questo caso potremo quantificare detta variazione attraverso l’indice di rifrazione relativo (n21) ai

due mezzi considerati (n21 = v1 / v2 dove v1 è la velocità della radiazione nel primo mezzo

materiale e v2 è la velocità della radiazione nel secondo mezzo materiale)17.

Figura 29

A causa di dette variazioni di velocità le radiazioni luminose, a seguito del loro passaggio da un mezzo materiale all’altro, subiscono, in generale18, anche una deviazione della loro traiettoria rispetto all’originaria (cfr. figura 29). Tale fenomeno prende il nome di rifrazione. La legge di Snell descrive, come vedremo di seguito, il comportamento delle

onde luminose quando passano da un mezzo materiale ad un altro e consente di quantificarne l’eventuale variazione di traiettoria.

Figura 30

Con riferimento alla figura 30 consideriamo due differenti mezzi isotropi caratterizzati rispettivamente da velocità v1 e v2 con v1 > v2 e consideriamo due qualsiasi onde luminose (1 e 2) appartenenti ad un ipotetico fascio e pertanto fra loro parallele. Tali onde incontreranno la superficie di separazione fra i due mezzi nei punti A e B. Se le onde luminose, come nel caso rappresentato, si propagano in una direzione obliqua rispetto a detta superficie di separazione, il loro fronte d’onda piano19

(perpendicolare alla direzione di propagazione) al momento in cui il raggio 1 incontra la superficie di separazione fra i due mezzi si trova nella posizione AC. Appare evidente che nel tempo t in cui il

16 L’indice di rifrazione in quanto rapporto fra due velocità è un numero puro, cioè privo di dimensioni. 17 Poiché v1 = c / n1 e v2 = c / n2 si ricava che n21 = n2 / n1 . 18 Tale deviazione, nei mezzi isotropi, non avviene se la traiettoria della propagazione delle onde è ortogonale alla

superficie di separazione fra i due mezzi materiali. 19 Il fronte d’onda associato ad un treno d’onde emesse da una medesima sorgente S è il luogo dei punti raggiunto, dopo

un definito tempo t, da tutte le onde emesse nello stesso istante. Se la sorgente S è puntiforme, il fronte d’onda è sferico; se t è grande (significa considerare un punto posto ad una distanza molto grande da S) il fronte d’onda in un dato punto può essere considerato coincidente con il piano tangente (fronte d’onda piano) al fronte sferico in quel punto; ne discende che tutte le direzioni di propagazione delle onde potranno essere considerate fra loro parallele e il fronte d’onda piano perpendicolare a dette direzioni di propagazione.

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raggio 2 coprirà, nel primo mezzo, lo spazio CB che lo separa dalla superficie di separazione, il raggio 1, penetrato nel secondo mezzo, percorrerà un spazio inferiore a CB dato che v1 > v2; il fronte d’onda relativo pertanto all’onda 1 che si irradia da A nel secondo mezzo dopo il tempo t può essere rappresentato da una semisfera il cui raggio è < di CB (cfr. figura 30). Appare evidente che trascorso il tempo t dal momento in cui il fronte d’onda piano si trovava in AC quest’ultimo ha cambiato orientazione trovandosi in DB (i punti D e B sono stati raggiunti rispettivamente dalle onde 1 e 2 dopo lo stesso tempo t). Ne consegue che le direzioni di propagazione delle onde 1 e 2 nel secondo mezzo variano rispetto a quelle che si avevano nel primo mezzo divenendo rispettivamente 1’ e 2’ fra loro parallele20. Poiché CB = v1t e AD = v2t si ricava t = CB / v1 = AD / v2 da cui

CB / AD = v1 / v2 (1) Se indichiamo con i e con r rispettivamente gli angoli formati dalle direzioni delle onde propagatesi nel primo e nel secondo mezzo con la perpendicolare alla superficie di separazione dei due mezzi (i = angolo di incidenza e r = angolo di rifrazione), semplici considerazioni trigonometriche ci consentono di dire che CB = AB sen i e che AD = AB sen r . Sostituendo CB ed AD nella relazione (1) si ottiene: AB sen i / AB sen r = v1 / v2 da cui sen i / sen r = v1 / v2 .

Ricordando che abbiamo definito indice di rifrazione relativo fra due mezzi (n21) il rapporto fra la velocità delle onde luminose relativa al primo mezzo e quella relativa al secondo mezzo, avremo:

n21 = sen i / sen r = v1 / v2 21

La riflessione. Quando una radiazione luminosa investe una superficie di separazione fra due differenti mezzi e tale superficie risulta non assorbente rispetto alle radiazioni incidenti e non superabile da parte delle medesime radiazioni, non potendosi estinguere l’energia trasportata dalle onde luminose, queste ultime devieranno il loro cammino ottico permanendo nel medesimo mezzo. Tale fenomeno prende il nome di riflessione e la superficie di separazione fra i due mezzi viene detta superficie riflettente. Il fenomeno della riflessione è regolato dalla 1a e 2 a legge di Cartesio che così recitano: 1a legge di Cartesio: nel fenomeno della riflessione il raggio incidente il raggio riflesso e la normale al punto d’incidenza sono fra loro complanari. 2 a legge di Cartesio: quando si realizza un fenomeno di riflessione gli angoli d’incidenza (i) e di riflessione (r) sono fra loro eguali – per angolo d’incidenza e di riflessione si indicano rispettivamente gli angoli che i raggi incidenti e riflessi formano con la normale al punto d’incidenza. La trattazione di Huygens fornisce come nel caso della rifrazione una adeguata spiegazione del fenomeno.

20 Seguendo la medesima procedura, lo studente può facilmente verificare che se la direzione di propagazione delle

onde è perpendicolare alla superficie di separazione fra i due mezzi (incidenza normale) non si ha variazione della direzione di propagazione delle onde rifratte ma solo la loro variazione di velocità. È parimenti da notare che la variazione dell’orientazione nello spazio del fronte d’onda relativo alle onde rifratte comporta solo una variazione di inclinazione e non di direzione: da ciò discende che il raggio incidente, il raggio rifratto e la normale alla superficie di separazione fra i due mezzi nel punto d’incidenza sono complanari.

21 Se i = 0 (incidenza normale) dalla relazione n21 = sen i / sen r si ha : n21 sen r = sen i = 0 da cui dovendo essere

n21 ≠ 0 sarà sen r = 0 cioè r = 0. Le onde proseguono nel secondo mezzo cambiando la loro velocità e lasciando

immutata la loro direzione di propagazione.

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Se si considerano due qualsiasi raggi (1 e 2) appartenenti ad un fascio di onde che incide obliquamente su una superficie riflettente rispettivamente nei punti A e B (cfr. figura 31) notiamo che allorché il raggio 1 investe la superficie riflettente nel punto A, l’onda associata al raggio 2 si trova in D (AD = traccia del fronte d’onda piano). Per il principio di Huygens da A si irradierà

Figura 31

un’onda sferica che nel tempo necessario all’onda 2 per percorrere lo spazio DB coprirà lo spazio rappresentato da una semisfera di raggio AC = DB. Il nuovo fronte d’onda piano che ne risulta sarà BC e pertanto i raggi riflessi saranno 1’ e 2’. Facili considerazioni geometriche sui triangoli ABC ed ABD (fra loro eguali) portano alla conclusione che i = r. Anche in questo caso è da notare che la variazione dell’orientazione nello spazio del

fronte d’onda relativo alle onde riflesse comporta solo una variazione di inclinazione e non di direzione: da ciò discende che il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale alla superficie riflettente nel punto d’incidenza sono complanari (1a legge di Cartesio). È opportuno sottolineare a questo punto che riflessione e rifrazione non sono fenomeni vicendevolmente esclusivi (l’uno esclude l’altro) ma si realizzano sempre contemporaneamente ma con intensità differenti. Se nel passaggio della luce da un mezzo materiale ad un altro il fenomeno della rifrazione avviene in misura notevolmente dominante il mezzo sarà detto “trasparente” e si trascureranno i minori effetti di riflessione. Se viceversa la riflessione avverrà in misura esclusiva o molto dominante, il mezzo sarà detto “opaco” e con superficie “riflettente”. Assorbimento L’ assorbimento delle onde luminose in un mezzo materiale è quel fenomeno per cui un fascio di radiazioni luminose, nel corso del suo propagarsi in un mezzo materiale, varia la propria energia diminuendola gradualmente. L’energia ∆E connessa a detta variazione per assorbimento viene trasformata in energia di altro tipo (termica) o dello stesso tipo: in questo caso si ha la diffusione di radiazioni con diversa frequenza: (effetto Compton)22 ed effetto fotoelettrico23 o con eguale 22 In accordo con la teoria quantistica della luce, i fotoni si comportano come particelle eccetto per la loro mancanza

Figura 32

della “massa a riposo”. Nel 1923 Arthur Compton realizzò il seguente esperimento. Egli indirizzò un fascio monocromatico di raggi X contro un bersaglio di grafite e analizzò le proprietà della radiazione in uscita (Fig. 32). I dati sperimentali mostrarono che la lunghezza d'onda λf della radiazione

diffusa finale è maggiore della lunghezza d'onda λi della radiazione incidente;

la differenza λf - λi, inoltre, dipende dall'angolo θ lungo la cui direzione la

radiazione viene diffusa. 23

Figura 33

L’effetto fotoelettrico è correlato all’interazione tra un fotone ed un elettrone fortemente legato ad un atomo dell’oggetto assorbente (Figura 33). Tutta l’energia del fotone, se sufficiente per rimuovere elettroni dagli orbitali atomici più interni, è assorbita e trasferita ad un elettrone degli orbitali interni all’atomo che viene estratto; l’atomo eccitato emetterà, nella successiva transizione elettronica necessaria per colmare la vacanza, delle radiazioni caratteristiche dell’elemento in cui accade il processo, la cui frequenza e lunghezza d’onda (λ) è funzione della variazione quantica d’energia coinvolta.

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frequenza che però si propaga in direzione diversa da quella del fascio da cui si origina (effetto Rayleigh)24. La radiazione che attraverserà un materiale omogeneo subirà nel suo cammino un’attenuazione che

può essere espressa dalla relazione I=I0*e-µd dove:

I: intensità della radiazione trasmessa; I0: intensità della radiazione incidente; µ : coefficiente d’attenuazione lineare; d: lunghezza del percorso della radiazione all’interno della materia. L’interferenza fra le onde luminose. Il fenomeno dell'interferenza è dovuto alla sovrapposizione, in un punto dello spazio, di due o più onde. Quello che si osserva è che l'intensità dell'onda risultante in quel punto può essere diversa rispetto alle intensità associate ad ogni singola onda di partenza; in particolare, essa può variare tra un minimo, in corrispondenza del quale non si osserva alcun fenomeno ondulatorio, ed un massimo coincidente con la somma delle intensità. In generale, si dice che l'interferenza è “costruttiva o positiva” quando l'intensità risultante è maggiore rispetto a quella di ogni singola intensità originaria, e “distruttiva o negativa” in caso contrario. Il termine viene usualmente utilizzato per parlare di interferenza tra due onde coerenti, di norma provenienti dalla stessa sorgente. In ottica si chiama coerenza (o coerenza di fase) la proprietà di un’onda elettromagnetica di mantenere una certa relazione di fase con se stessa durante la sua propagazione.

Figura 34a

Figura 34b

Figura 34c

La forma di un’onda A è descritta da un’equazione di tipo armonico: a = a0 cos (ωt + ϕ) dove a0 è l’ampiezza massima dell’onda, a l’ampiezza dell’onda al tempo t, ϕ è l’angolo di fase. Se si considerano due onde (A e B) di eguale fase (ϕ1 = ϕ2) la forma dell’onda (R) risultante dalla loro somma sarà:

R= A + B = a0 cos (ωt + ϕ1) + b0 cos (ωt + ϕ1) = (a0+ b0) cos (ωt + ϕ1) cioè l’onda risultante avrà un’ampiezza data dalla somma delle ampiezze delle onde che la compongono (figura Fig. 34a); se a0 = b0, l’ampiezza dell’onda risultante sarà doppia rispetto a quella delle onde componenti (interferenza costruttiva (positiva) piena). Se viceversa si considerano due onde (A e B) di eguale ampiezza e che hanno una differenza di fase eguale a π , cioè tali che ϕ1 – ϕ2 = π, la forma dell’onda (R) risultante dalla loro somma sarà:

Ar = A1 + A2 = a0 cos (ωt + ϕ1) + a0 cos (ωt + ϕ1 – π) = a0 cos (ωt + ϕ1) – a0 cos (ωt + ϕ1) = 0 cioè l’onda risultante avrà un’ampiezza nulla (figura Fig. 34b) e pertanto non esiste (interferenza distruttiva (negativa) piena). La Figura 34c descrive una condizione di interferenza parzialmente positiva (o negativa).

24 Una piccola parte dei fotoni appartenenti al fascio incidente viene diffusa elasticamente, ossia le radiazioni diffuse

mantengono la medesima frequenza (effetto Rayleigh). L’effetto Rayleigh, chiamato anche scattering elastico o coerente. I fotoni saranno diffusi in tutte le direzioni con intensità decrescente al crescere della deviazione rispetto alle radiazioni incidenti.

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Poiché due onde hanno la stessa fase anche se le loro fasi differiscono di 2nπ, dove n è un numero intero, e ad una differenza di fase di 2π corrisponde una differenza di cammino pari a λ potremo dire che due onde coerenti avranno interferenza positiva piena se il loro ritardo, espresso in termini di spazio, è eguale ad un numero intero di λ : cioè R = n λ dove n è un numero intero che definisce l’ ordine dell’interferenza. Analogamente poiché due onde hanno una differenza di fase di π anche se le loro fasi differiscono di π + 2k π, cioè (2k + 1)π dove k è un numero intero, e ad una differenza di fase di π corrisponde una differenza di cammino pari a λ/2 potremo dire che due onde coerenti avranno interferenza negativa piena se il loro ritardo, espresso in termini di spazio, è eguale ad un numero dispari (2k + 1) di λ/2 : cioè R = (2k + 1) λ/2 dove k è un numero intero. La diffrazione. La diffrazione è un particolare fenomeno che si realizza allorché una radiazione luminosa attraversa delle fenditure le cui ampiezze siano confrontabili con la propria lunghezza d’onda.

Figura 35

Più precisamente quando una radiazione caratterizzata da un dato valore di λ attraversa una apertura, ad esempio circolare, il cui diametro sia confrontabile con λ, essa non proseguirà indisturbata nel suo cammino, come dettato dalla legge di propagazione rettilinea, ma si irradierà, con intensità diverse in funzione dell’angolo di deviazione, dalla suddetta apertura che, nei fatti, assume la funzione di una nuova sorgente puntiforme di onde. La figura 35 esemplifica quanto detto nel caso di due aperture puntiformi.

Quanto detto trova la sua spiegazione nel Principio di Huygens: che può essere come di seguito espresso: Ciascun punto di un fronte d’onda si comporta come una sorgente puntiforme secondaria di fronti d’onda sferici: la forma in cui evolve il fronte d’onda è data dall’inviluppo di tutti i fronti d’onda sferici delle sorgenti secondarie. La figura 36 esemplifica quanto detto: sul fronte d’onda 1 si considerano i punti sorgente secondaria S1, S2, S3, S4, S5 esse emettono onde sferiche che

dopo un tempo t si trovano nella posizione 2 il cui inviluppo forma Figura 36 il fronte d’onda 2 concentrico ad 1 e così via. Quanto sopra consente di spiegare la propagazione rettilinea della luce quando essa attraversa delle aperture sufficientemente ampie: infatti (Figura 37) se consideriamo un’onda piana (il cui fronte d’onda sia un piano perpendicolare alla direzione di propagazione), allorché essa attraversa una apertura sufficientemente ampia, per il principio di Huygens (per cui ciascun punto del suo

Figura 37

fronte d’onda si comporta come una sorgente puntiforme secondaria che ha la stessa frequenza di quella primaria) il suo fronte d’onda sarà dato dalla sovrapposizione di tutte le onde sferiche delle sorgenti secondarie collocabili lungo l’apertura. La forma in cui evolve il fronte d’onda, data dall’inviluppo di tutti i fronti d’onda sferici delle sorgenti secondarie, sarà

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nuovamente un piano perpendicolare alla direzione di propagazione che, pertanto, rimane immutata. Il fenomeno della diffrazione può essere facilmente verificato attraverso l’osservazione delle bande di diffrazione che si formano allorché un fascio di luce investe un reticolo di diffrazione cioè un reticolo dato da una successione regolare di N fenditure sottili, parallele ed equidistanti (con N molto grande), la cui ampiezza e la cui equidistanza (periodo di ripetizione) siano dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda λ della radiazione costituente il fascio. Le bande di diffrazione che si osservano sono date da una sequenza di zone illuminate e scure più o meno sfumanti fra loro25 la cui intensità d’illuminazione decresce simmetricamente dal centro verso la periferia. L’insorgere delle bande di diffrazione è connesso al contemporaneo verificarsi del fenomeno di diffrazione e di interferenza positiva piena che si realizza fra le onde diffratte dal reticolo di diffrazione.

Figura 38

La figura 38 fornisce una utile chiave di lettura del fenomeno. Se consideriamo un reticolo di diffrazione ABC in cui A, B e C siano tre sue fessure successive e lo facciamo investire da un fascio di radiazioni ad esso ortogonali, fra le infinite onde del fascio ne esisteranno certamente tre – 1, 2 e 3 – che investiranno rispettivamente le aperture A, B e C. In coerenza a quanto detto per la diffrazione ed in base al principio di Huygens da ciascuno di detti punti si irradieranno delle onde sferiche che daranno luogo a

diversi fronti d’onda piani (indicati in tratteggio nella figura) e precisamente: uno parallelo a quello incidente e pertanto perpendicolare ai raggi 1, 2 e 3 (colore nero), ed altri diversamente inclinati rispetto al primo (colori rosso, bleu e verde). Con riferimento all’equazione della forma d’onda a = a0 cos (ωt + ϕ) si osserva che la differenza di fase fra le onde emesse da fenditure successive

che concorrono al fronte d’onda indicato in nero è nulla (∆ϕ = 0) mentre negli altri casi si ha: ∆ϕ = 2π (fronte rosso), ∆ϕ = 4π (fronte bleu) e ∆ϕ = 6π (fronte verde). Quanto sopra tradotto in ritardi significa rispettivamente: R = 0λ, 1λ, 2λ e 3λ cioè in generale R = nλ, dove n è un numero intero. Poiché abbiamo detto che questa situazione determina la condizione di interferenza positiva piena avremo che esisteranno per ciascuno di detti fronti d’onda i relativi raggi (nero, rosso, bleu e verde) che testimonieranno l’avvenuta diffrazione ed interferenza positiva fra le onde diffratte rispettivamente per i valori di n = 0, 1, 2, 3. Si osserva che al crescere di n cresce l’angolo di deviazione del raggio diffratto in interferenza positiva rispetto alla direzione del raggio diffratto in interferenza positiva che è naturale prosecuzione del raggio incidente (n = 0). Se immaginiamo N (N = numero delle fenditure sottili, parallele ed equidistanti costituenti il reticolo) molto grande avremo che al di là del reticolo di diffrazione avremo solo il propagarsi di fasci di onde in direzioni “discrete” (parallele ai raggi indicati per n = 0, 1, 2, 3)26. Poiché ad ogni variazione della direzione di propagazione di un’onda si associa una variazione (in diminuzione) dell’energia da essa trasportata ne consegue che l’intensità27 di una radiazione diffratta in interferenza positiva sarà tanto

25 Le bande saranno tanto più nette quanto più il reticolo di diffrazione è esteso e denso di fessure. 26 Una direzione si dice “discreta” rispetto ad un fenomeno quando il fenomeno si realizza solo in quella direzione. Il

manifestarsi di un fenomeno in “direzioni discrete” indica che esso ha carattere vettoriale discontinuo. 27 Se facciamo riferimento alla teoria quantistica diremo che ad una minore energia trasportata dal fascio corrisponde un

minor numero di fotoni per unità di tempo e per unità di superficie attraversata dal fascio; se ci riferiamo alla teoria ondulatoria diremo che ad un fascio che trasporta una minore energia corrisponde un treno di onde caratterizzate da

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minore quanto più alto è il valore del suo ordine d’interferenza (n = ordine d’interferenza). È facilmente desumibile dalla figura 38 che, se l’incidenza delle radiazioni sul reticolo di diffrazione avviene ortogonalmente ad esso, il fenomeno della diffrazione con interferenza positiva piena è un fenomeno simmetrico rispetto alla direzione di propagazione delle onde che sono naturale prosecuzione delle onde incidenti: in questo caso le bande di diffrazione saranno simmetriche rispetto a quella centrale che sarà anche la più intensa. La cristallografia X La cristallografia X utilizza quale strumento d’indagine le radiazioni X (radiazioni analoghe a quelle luminose ma caratterizzate da elevate energie e bassi valori di λ – λ ≈ Å; 1 Å = 10–10 m) e sfrutta le fenomenologie che insorgono quando dette radiazioni, attraversando la materia solida cristallina, interagiscono con essa. A questo proposito diciamo che nessuna sostanza è in assoluto “opaca” rispetto alle radiazioni X e che tutte le sostanze hanno indice di rifrazione praticamente = ad 1. Pertanto quando parliamo di interazione fra materia e radiazioni X ci riferiamo ai fenomeni che intervengono allorché queste ultime la attraversano. Spetta a Laue (1912) il merito di aver per primo indagato sull’interazione raggi X – materia cristallina ed avere scoperto come questa interazione si manifesti attraverso fenomeni di diffrazione con interferenza positiva.

Figura 39

L’ esperienza messa a punto da Laue consistette nel fare investire ortogonalmente una lamina cristallina da parte di un fascio di raggi X monocromatici e raccoglierne gli effetti su una lastra fotografica post–posta alla suddetta lamina (figura 39). Dopo un opportuno periodo d’esposizione ciò che si ottenne fu un insieme di macchie più o meno intense (testimonianti l’arrivo sulla lastra di radiazioni più o meno intense) disposte intorno ad una macchia centrale (la più intensa), rispecchiando la simmetria reticolare offerta dalla lamina ai raggi X che la investivano.

Appare evidente che se la macchia centrale testimonia l’esistenza di un intenso fascio di raggi che attraversa il cristallo nella stessa direzione in cui lo stesso viene investito dai raggi X, le altre macchie testimoniano l’esistenza di radiazioni che si propagano in direzioni diverse da quella corrispondente alla naturale prosecuzione dei raggi incidenti. Laue spiegò l’esistenza di questi raggi mediante fenomeni di diffrazione operata da parte del reticolo cristallino del minerale considerato a cui si accompagnano, per direzioni “discrete”, fenomeni di interferenza positiva piena. La spiegazione di quanto sopra può essere fornita nel modo seguente. Visto che il reticolo cristallino di un minerale è dato dalla ripetizione omogenea periodica e discontinua della materia che lo costituisce, supponiamo in prima approssimazione atomi28, le radiazioni X che investono il cristallo investiranno detti atomi e pertanto le loro nuvole elettroniche.

Figura 40

A causa dell’effetto Rayleigh pertanto ogni atomo diverrà sorgente di radiazioni coerenti e con λ eguale a quelle incidenti, diffuse in tutte le direzioni dello spazio; l’intensità di dette radiazioni sarà decrescente al crescere dell’angolo di deviazione rispetto alla direzione del raggio incidente. Ciò assimila il comportamento dell’atomo investito da raggi X a quello di una fenditura investita da radiazioni luminose con λ

frequenza eguale a quelle del fascio incidente ma con minore ampiezza.(se l’ampiezza di un’onda è nulla essa non trasporta energia pertanto non esiste).

28 Il ragionamento non muta se i nodi del reticolo cristallino fossero dati da ioni o gruppi ionici.

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confrontabili con l’ampiezza della fenditura. In altre parole l’atomo in seno al reticolo cristallino assume la stessa funzione della fessura in un reticolo ottico di diffrazione mentre il reticolo cristallino, stante che la distanza fra i suoi nodi (distanza interatomica) risulta ≈ alla lunghezza d’onda λ dei raggi X, assume, per questi ultimi, la funzione di reticolo di diffrazione. La domanda a cui occorre fornire risposta a questo punto è la seguente: come mai se il reticolo cristallino è costituito da un numero infinito di atomi che diffondono in tutte le direzioni le radiazioni X che li investono si hanno solo delle direzioni “discrete” di propagazioni di onde?

Figura 41

La risposta alla domanda può essere fornita mediante la seguente trattazione che si basa sulla distribuzione omogenea periodica della materia nei reticoli cristallini. Si assuma un filare di nodi caratterizzato dal periodo di ripetizione a (≈ alla lunghezza d’onda λ dei raggi X) e assumiamo che detti nodi vengano investiti da un fascio di radiazioni X di definita λ. Consideriamo (fig. 41) due qualsiasi nodi A e B appartenenti al filare

e fra loro consecutivi investiti dai raggi 1 e 2 appartenenti al fascio e siano 1’ e 2’ due generiche direzioni, fra loro parallele, di raggi diffusi (diffratti) dai nodi A e B. Appare evidente che essendo la direzione dei raggi emessi dai nodi A e B diversa da quella dei raggi incidenti si avrà un non parallelismo dei relativi fronti d’onda piani (BD e AC) con conseguente insorgenza di un ritardo complessivo fra le onde 1’ e 2’ che può essere quantificato dalla relazione R = AD – CB. Definiti α0 ed α gli angoli formati dal filare di nodi rispettivamente con i raggi incidenti e quelli diffratti, semplici considerazioni trigonometrice sui triangoli ABC ed ABD ci conducono alla seguente relazione : R = a*cosα – a*cosα0 da cui:

R = a* (cosα – cosα0) Essendo le due onde 1’ e 2’ fra loro coerenti, esse potranno interferire fra loro e, avendo eguale ampiezza, raddoppiare la loro intensità in condizioni di interferenza positiva piena solo se R = nλ. In altre parole: fra tutte le possibili direzioni di diffrazione formanti un angolo α con il filare di nodi, saranno possibili direzioni di diffrazione solo quelle per le quali è soddisfatta l’equazione:

R = a* (cosα – cosα0) = nλ (equazione di Laue relativa ad un filare)29

Si noti che per n = 0 risulta (cosα – cosα0) = 0 da cui α = α0. Ci chiediamo: quante sono le soluzioni dell’equazione di Laue per ciascuno degli specifici valori di n = 0, 1, 2, 3, ecc. che definisco i corrispondenti specifici valori di α = α1, α2, α3, ecc. ?

Poiché αn è l’angolo formato fra il filare e la generica direzione di diffrazione di ordine n e poiché il luogo delle direzioni dello spazio che gode della proprietà di formare con una data direzione un definito angolo α è una superficie conica con angolo al vertice eguale a 2α, potremo dire che:

29 L’equazione di Laue può essere espressa in modo vettoriale tramite la seguente equazione: a*(s – s0) = nλ dove a è il

vettore descrittivo del filare ed s0 ed s sono due versori che individuano rispettivamente la direzione dei raggi

incidenti e la direzione di possibili raggi diffratti (* = prodotto scalare). Lo studente ricordi che il prodotto scalare di

due vettori a e b del piano, applicati sullo stesso punto, è definito come a*b = |a| . |b| . cosθ dove θ è l’angolo tra i due

vettori. Se uno dei due vettori (ad es. b) è un versore (versore = vettore di modulo unitario) detto prodotto diventa a*b = |a| . cosθ.

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Figura 42

se esiste un valore dell’angolo αn che soddisfa per un dato n l’equazione di Laue, saranno soluzioni della suddetta equazione e pertanto possibili raggi diffratti in interferenza positiva di ordine n, tutti quei raggi che giacciono su una falda conica che ha come asse del cono il filare considerato e come generatrice del cono una direzione che forma con il suddetto filare l’angolo αn

30. Quanto detto è valido anche quando n = 0. In questo caso la falda

conica contiene la direzione dei raggi diffratti in prosecuzione di quelli incidenti (cfr. figura 42 e 43). Poiché la distribuzione dei nodi (materia) in un reticolo cristallino è di tipo omogeneo, periodico, discontinuo e tridimensionale appare evidente che la sola equazione di Laue già trovata non è sufficiente a descrivere il fenomeno della diffrazione con interferenza positiva operata da un cristallo sui raggi X. D’altra parte la trattazione svolta ha considerato quale reticolo di diffrazione un singolo filare. Dato che l’omogeneo, periodico, discontinuo e tridimensionale, come si è detto, può essere descritto mediante la ripetizione della materia in tre direzioni convergenti e non complanari (filari fondamentali ≡ con le direzioni degli assi cristallografici), appare evidente che occorre estendere la validità dell’equazione di Laue a detti tre filari imponendo, parimenti, che le condizioni di interferenza positiva siano contemporaneamente realizzate. Ciò, in altre parole, significa che per descrivere il fenomeno della diffrazione con interferenza positiva operata dal reticolo cristallino occorrerà imporre che siano contemporaneamente soddisfatte tre equazioni del tipo di quella di Laue, ognuna relativa a ciascuno dei tre filari idonei a descrivere il reticolo, il che matematicamente significa che perché si abbia da parte di un reticolo cristallino, investito da radiazioni X di data λ, una direzione di diffrazione con interferenza positiva occorre che sia soddisfatto il seguente sistema di equazioni:

a* (cosα – cosα0) = nλ b* (cosβ – cosβ0) = mλ c* (cosγ – cosγ0) = pλ

(Sistema di equazioni di Laue)

in cui a, b e c rappresentano, rispettivamente, i periodi d’identità dei tre filari descriventi il reticolo cristallino, α0, β0, γ0, α, β e γ rappresentano rispettivamente gli angoli formati dai raggi incidenti e dai raggi diffratti in interferenza positiva con i suddetti tre filari ed n, m e p sono tre numeri interi (detti indici o numeri di Laue)31.

30

Figura 43

È da dire che le falde coniche soluzioni dell’equazione di Laue vanno considerate in modo completo e quindi come coni opposti al vertice (cfr. figura 43). Ciò viene indicato definendo falde positive quelle che hanno quale asse la direzione positiva del filare e falde negative quelle che invece hanno come asse la direzione negativa del filare. Quanto detto si traduce anche nel definire n > 0 per le falde positive ed n < 0 per quelle negative. Quando n = 0 la falda conica contiene la direzione dei raggi incidenti e quelle dei raggi diffratti in naturale prosecuzione di quelli incidenti (cfr. figura 43).

31 Analogamente a quanto visto per l’equazione di Laue anche il sistema di equazioni di Laue può essere espresso nella seguente forma vettoriale:

a*(s – s0) = nλ b*(s – s0) = mλ c*(s – s0) = pλ

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È opportuno, a questo punto, studiare e geometricamente prevedere le soluzioni del sistema di equazioni di Laue. Per fare ciò procediamo, analogamente a quanto fatto per il filare di nodi, considerando un piano reticolato del reticolo cristallino. Dato che un piano reticolato è individuato quando sono individuati i suoi due filari generatori (non paralleli) di periodo di ripetizione rispettivamente a e b, potremo dire che si avrà diffrazione con interferenza positiva operata dal suddetto piano quando saranno contemporaneamente soddisfatte per entrambi i filari generatori le rispettive equazioni di Laue: cioè quando è soddisfatto il sistema

a* (cosα – cosα0) = nλ b* (cosβ – cosβ0) = mλ

in cui a e b rappresentano, rispettivamente, i periodi d’identità dei due filari determinanti il piano reticolato, α0, β0, α e β rappresentano rispettivamente gli angoli formati dai raggi incidenti e dai raggi diffratti in interferenza positiva con i suddetti due filari ed n e m sono due numeri interi. Le soluzioni di tale sistema possono essere geometricamente ricavate analogamente a quanto fatto per l’equazione di Laue relativa ad un filare. Ciascuna equazione del sistema infatti rappresenta per i diversi valori degli angoli di diffrazione (α = α1, α2, α3, ecc. oppure (β = β1, β2, β3, ecc.) e per i diversi ordini di interferenza (n = 0, 1, 2, 3, ecc. oppure m = 0, 1, 2, 3, ecc.) delle falde coniche, di vario ordine, aventi, rispettivamente, quali assi i filari con periodo di ripetizione a e b. Saranno soluzioni del sistema tutte quelle direzioni che risultano dall’intersezione di falde coniche che hanno come assi i due filari con periodo di ripetizione a e b . Dall’intersezione della falda conica di ordine n relativa al filare a e di quella di ordine m relativa al

Figura 44

filare b si hanno sempre due soluzioni: cioè si generano due raggi diffratti (X e Y in figura 44) in interferenza positiva piena. Tali raggi stante la simmetria delle falde coniche giaceranno da parti opposte rispetto al piano e saranno fra loro simmetrici rispetto al medesimo piano (cfr. figura 44). In altre parole il piano reticolato si comporta come un piano di simmetria rispetto a tutte le coppie di raggi diffratti che rappresentano le soluzioni del sistema di Laue relativo al piano.

È interessante notare che, se poniamo n = 0 ed m = 0, il sistema di Laue relativo alla diffrazione operata dal piano definito dai filari a e b ammette sempre due soluzioni. Infatti posto n = 0 ed m = 0 si ha:

a* (cosα – cosα0) = 0

b* (cosβ – cosβ0) = 0 da cui

cosα – cosα0 = 0

cosβ – cosβ0 = 0 da cui

cosα = cosα0

cosβ = cosβ0

In queste condizioni le due soluzioni del sistema, indipendenti dalle modalità di ripetizione della materia nel piano reticolare considerato, sono date dalle seguenti coppie di valori di α, α0, β, e β0:

1a soluzione 2a soluzione α = α0 e contemporaneamente β = β0 α = –α0 e contemporaneamente β = –β0

La comprensione geometrica della prima soluzione appare immediata: essa rappresenta la naturale prosecuzione dei raggi incidenti sul piano. Il significato geometrico della seconda soluzione discende invece dalla simmetria generale di ogni coppia di soluzioni del sistema di Laue relativo al piano reticolato. Infatti, essendo le due soluzioni generiche del sistema coincidenti con direzioni di

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diffrazione simmetriche rispetto al piano, se una soluzione è data dalla naturale prosecuzione (p) del raggio incidente (i), la seconda dovrà essere una direzione che si comporta rispetto ad esso come un raggio riflesso (r) (Figura 45). Si ricordi che questa coppia di soluzioni esiste sempre ed è indipendente dalla distribuzione della materia sul piano dal momento che, come visto, tali soluzioni non dipendono dai valori di a e di b.

Figura 45 Appare evidente a questo punto che se consideriamo il sistema di equazioni di Laue relativo al reticolo tridimensionale (definito da tre filari non complanari, le soluzioni di detto sistema sono quelle direzioni geometriche che risultano ciascuna dall’intersezione di tre falde coniche, relative

Figura 46

rispettivamente ai tre filari (a, b, e c) che determinano il reticolo. In altre parole fissati n, m e p esisterà un raggio diffratto in interferenza positiva se esisterà, in relazione ad α0, β0, e γ0, una

terna di valori di α, β, e γ tali da soddisfare il sistema di equazioni di Laue. Tale direzione X, orientata rispetto ai filari a, b e c in modo da formare rispettivamente gli angoli α, β, e γ , sarà generatrice comune di tre falde coniche di ordine n, m e p rispettivamente intorno ai filari a, b e c.

Considerazioni sul sistema di equazioni di Laue – Equazione di Bragg. Il sistema di equazioni di Laue ci consente di affermare che tutti i cristalli investiti da radiazioni X possono produrre effetti di diffrazione selettiva con interferenza positiva in direzioni singolari; tali direzioni possono essere determinate se sono noti i moduli dei tre vettori di base del cristallo (a, b e c), l’orientazione del cristallo rispetto alla direzione dei raggi X incidenti su di esso (α0, β0, e γ0) ed i valori dei numeri di Laue (n, m e p). Appare chiaro da quanto detto che, se si desiderano investigare le proprietà strutturali dei cristalli mediante gli effetti di diffrazione, l’impiego del sistema di equazioni di Laue risulta poco pratico in quanto la trattazione di Laue, benché elegante,

necessita della conoscenza di un numero eccessivo di variabili (6 angoli (α0, αn, β0, βn, γ0, γn), i

moduli di tre vettori (a, b e c) e i tre indici di Laue (n, m e p). Una più semplice descrizione del fenomeno di diffrazione è senza dubbio quella fornita da Bragg nel 1913. Bragg sviluppa le considerazioni insite nel sistema di equazioni di Laue relative alla diffrazione operata da piani reticolati e precisamente quella che, se si considera un fascio di raggi X che investe un piano reticolato di particelle, quest’ultimo (indipendentemente dalla distribuzione della materia su di esso) dà sempre luogo a due fasci di radiazioni diffratte con interferenza positiva che si comportano l’uno quale naturale prosecuzione dei raggi incidenti e l’altro come raggio riflesso (cfr.

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Fig. 45 e testo associato). In base a ciò Bragg, al fine di spiegare i fenomeni di diffrazione selettiva operata dai cristalli sui raggi X, immagina che i cristalli, per il tramite dei propri fasci di piani reticolati, si comportino come un sistema di superfici contemporaneamente riflettenti e trasparenti rispetto ai raggi X. In questa visione della realtà fisica, se consideriamo che una radiazione X (raggio), appartenente ad un fascio di raggi monocromatici (λ definita e nota) e fra loro paralleli, investa un fascio di piani reticolati (h k l) fra loro equidistanti (distanza interplanare = dhkl) e paralleli, potremo dire che tutti i piani, uno dopo l’altro, saranno investiti dalla radiazione che in parte li attraversa ed in parte viene da essi riflessa.

Figura 47

La figura 47 esemplifica quanto detto. La radiazione X incidente incontrando il primo piano viene da esso in parte riflessa (1) mentre in parte lo attraversa per essere nuovamente in parte riflessa (2) dal piano successivo e così via all’infinito per tutti i piani costituenti il fascio. È evidente che le radiazioni appartenenti al treno d’onde riflesso potranno interferire fra loro e che solo se tale interferenza sarà positiva si avrà realmente una propagazione di onde nella direzione considerata. In altre parole la riflessione delle radiazioni X operata dai piani reticolati non produrrà sempre delle onde che

saranno in grado di interferire positivamente; ciò avverrà soltanto per quelle poche e “discrete” direzioni d’incidenza che realizzeranno le condizioni d’interferenza positiva. Bragg mediante una semplice trattazione geometrica definì le condizioni perché fosse possibile l’interferenza positiva fra le onde diffratte (considerate come riflesse) da un fascio di piani reticolati fra loro paralleli.

Figura 48

Riprendiamo quanto rappresentato nella figura 47 e tracciamo il fronte d’onda piano relativo al treno d’onde riflesse dai vari piani (A-E-F-G); indichiamo parimenti con θ l’angolo formato dalla direzione dei raggi X incidenti con il piano reticolato (h k l) (θ = angolo di incidenza32). In base a quanto noto in merito ai fenomeni d’interferenza positiva, diremo che il treno d’onde riflesso dai piani (h k l) genererà interferenza positiva solo se il ritardo (R) fra due onde successive generate dalla loro riflessione su piani successivi è eguale a nλ. Cioè R = nλ. Dalla figura 48 si ricava che detto ritardo è sempre eguale ad AB + BE.

Semplici considerazioni geometriche sui triangoli ABH ed ABE ci consentono di calcolare il valore del suddetto ritardo33. Si ha infatti che: AH = dhkl;

l’angolo ABE = 180°–2θ; AB = dhkl /senθ;

BE = ABcos(180°–2θ) = –ABcos2θ = AB(sen2θ–cos2θ) = dhkl (sen2θ–cos2θ)/senθ

32 Lo studente noti che l’angolo di incidenza θ di Bragg non viene definito nello stesso modo in cui viene definito

l’angolo d’incidenza i di cui si è parlato a proposito dei fenomeni di riflessione e di rifrazione. 33 La trattazione geometrica che segue, leggermente più complessa di altre comunemente riportate in molti testi,

consente allo studente di avere chiaro ed univoco il comportamento dei piani reticolari contemporaneamente trasparenti e riflettenti nei confronti dei raggi X.

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Poiché R = AB + BE, sostituendo ad AB e a BE quanto sopra trovato si ha: R = dhkl /senθ + dhkl (sen2θ–cos2θ)/senθ da cui

R = (1 + sen2θ – cos2θ) dhkl /senθ che, ricordando che sen2θ = 1 – cos2θ , diviene:

R = 2 sen2θ dhkl /senθ cioè R = 2 dhkl senθθθθ Poiché la condizione affinché due onde siano in interferenza positiva è R = nλ, perché le onde riflesse dai pini successivi qui considerati diano interferenza positiva dovrà essere:

R = 2 dhkl senθθθθ = nλλλλ (n intero) (Equazione di Bragg). L’equazione di Bragg regola il fenomeno discontinuo (“discreto”) della rifrazione con interferenza positiva operata dai cristalli sui raggi X. Essa ci dice che ogni qual volta un minerale investito da radiazioni X monocromatiche (caratterizzate da una sola λ) emette radiazioni diffratte in interferenza positiva in seno al cristallo esiste un fascio di piani reticolati fra loro paralleli (h k l) caratterizzati da una distanza interplanare dhkl che risulta orientato rispetto ai raggi X incidenti e a quelli diffratti in modo da assumere la funzione di piano riflettente con un angolo di incidenza = all’angolo di rifrazione uguale a θ tale che il doppio prodotto della distanza interplanare relativa ai piani riflettenti per il seno dell’angolo d’incidenza θ sia eguale ad un numero intero di lunghezza d’onda della radiazione X adoperata. Si noti che fissato un fascio di piani reticolati (h k l) caratterizzati da una distanza interplanare dhkl

ed una data radiazione X (di dato λ) il fascio di piani sarà capace di riflettere le radiazioni X solo sotto quei particolari angoli che soddisfano l’equazione di Bragg per i diversi valori di n. Pertanto la riflessione operata dal piano sui raggi X è discontinua e discreta (avviene solo per particolari valori di θ). Se immaginiamo di fare investire un fascio di piani reticolati (h k l) con distanza interplanare dhkl sotto tutti i possibili angoli θ variabili da 0° a 90° (figura 49) potremo rilevare che:

Figura 49

Per θ = 0° non si ha alcuna riflessione dato che i raggi sono paralleli al fascio di piani; crescendo il valore di θ non si ha alcuna riflessione sin quanto non si ha θ = θ1 e l’equazione di Bragg è soddisfatta per n = 1; crescendo ulteriormente il valore di θ non si ha alcuna riflessione sin quanto non si ha θ = θ2 e l’equazione di Bragg è soddisfatta per n = 2;

crescendo ancora il valore di θ non si ha alcuna riflessione sin quanto non si ha θ = θ3 e l’equazione di Bragg è

soddisfatta per n = 3; quando θ = 90° i raggi incidenti attraversano indisturbati il cristallo a meno che non sia dhkl = nλ/2. In tal caso essi saranno riflessi all’indietro nella

medesima direzione dei raggi incidenti ma in verso opposto34. È interessante rilevare che l’intensità dei raggi riflessi dal medesimo piano di norma decresce al crescere del valore di θ e pertanto dell’ordine (n) di diffrazione in interferenza positiva. Riflessioni sull’equazione di Bragg. Nello svolgere le riflessioni che seguiranno poniamo preliminarmente la nostra attenzione su n.

34 Si noti che al crescere del valore di θ il valore del ritardo R va gradualmente crescendo con continuità in accordo con

l’equazione R = 2dhkl senθ e raggiunge il suo valore massimo quanto θ = 90° e quindi senθ = 1 ed R = 2dhkl .

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Noto che n (ordine delle diffrazioni con interferenza positiva)è un numero intero, proviamo a riscrivere l’equazione di Bragg dividendone ambi i membri per n. Si ha: 2(dhkl /n)senθθθθ = λλλλ. Dal momento che una tale scrittura dal punto di vista fisico significa riferire tutte le diffrazioni ad un unico ordine eguale ad 1, ci chiediamo se all’espressione dhkl /n corrisponde nel reticolo cristallino un qualche piano reticolare che abbia una realtà fisica. Per sgombrare il campo da ogni possibile incertezza o dubbio diciamo subito che se esiste un fascio di piani reticolati (h k l) con distanza interplanare dhkl dal momento che qualsiasi fascio di piani ricopre tutti i nodi del reticolo (cfr. pag. 11) e che per distanza interplanare si intende la distanza fra due piani reticolari successivi, non esiste alcun altro piano (h k l) che possa avere distanza interplanare minore di quella che gli è propria: pertanto l’espressione dhkl /n non può avere nessun corrispondente fisico in seno al cristallo. Fissato quanto sopra possiamo tuttavia dire che il valore di dhkl /n (sottomultiplo di dhkl) potrebbe esser inteso quale distanza interplanare di un fascio di piani parallelo a quello di simbolo (h k l) ma costituito da una successione in cui a ciascun piano reale si alternano altri n-1 piani fittizi (Figura 50).

Figura 50. È esemplificato il caso dhkl/3. Intervallati ai piani

reali (a tratto intero) si immaginano esistere altri due piani fittizi (a tratto punteggiato). La distanza interplanare fra due successivi piani, siano essi reali o fittizi risulta pari a dhkl /3.

Questo tipo di semplificazione, utile per altri fini, trova anche un riscontro formale se ammettiamo che i tre numeri h, k e l, che costituiscono gli indici del piano, non siano necessariamente primi fra loro come detto per gli indici di Miller (cfr. legge di Hauy). Si può verificare infatti che se h, k e l non sono primi fra loro, cioè hanno un fattore comune n risulta dnhnknl = dhkl /n. Dall’espressione matematica della legge di Hauy infatti si ricava

questa relazione ci consente di dire che, a meno di una costante di proporzionalità, i parametri staccati da una faccia sulla terna di riferimento possono essere assunti come segue: a’=a/h, b’= b/k c’=c/l (figura 51). Stante il significato strutturale delle facce di un cristallo potremo parimenti dire che dato un fascio di piani di simbolo (h k l) il piano reale più prossimo all’origine del sistema di riferimento staccherà su di esso le intercette a’=a/h, b’= b/k e c’=c/l dove a, b e c sono i moduli dei tre vettori che identificano gli assi di riferimento. Tale piano dista dall’origine del sistema di riferimento dhkl.

Figura 51

Si ricava immediatamente che se esiste un fascio di piani reali e fittizi, parallelo ad (h k l), caratterizzato da distanza interplanare dhkl /n il piano più prossimo all’origine appartenente a detto fascio avrà con gli assi di riferimento (X, Y e Z) intercette OA’ = a/nh, OB’ = b/nk e OC’ = c/nl: nella figura 51 è esemplificato il caso in cui n = 3. Ovvie considerazioni geometriche conducono alla conclusione che se il piano ABC dista dall’origine dhkl, il piano A’B’C’ disterà dall’origine dhkl /3. Se a

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questo punto ricerchiamo tramite la legge di Hauy gli indici del fascio misto (dato da piani reali e piani fittizi e con intercette OA’ = a/nh, OB’ = b/nk e OC’ troviamo:

Quanto sopra ci dice che il fascio di piani reali e fittizi caratterizzato da una distanza interplanare pari a dhkl /n ha indici (nhnknl).

In altre parole vale la relazione dnhnknl = dhkl /n. Quanto detto ci consente di scrivere l’equazione di Bragg35 in forma semplificata nel modo seguente: 2dhkl senθθθθ = λλλλ e di enunciarla come segue: ogni qual volta un minerale investito da radiazioni X monocromatiche emette radiazioni diffratte in interferenza positiva, in seno al cristallo esiste un fascio di piani reticolati, reali o fittizi, di simbolo (h k l), caratterizzati da una distanza interplanare dhkl, che rispetto ai raggi X incidenti e a quelli diffratti assume la funzione di piano

riflettente con angolo di incidenza eguale a θ tale che il doppio prodotto della distanza interplanare

35

Riflessione per gli studenti: l’equazione di Bragg e il sistema di equazioni di Laue, entrambi idonei a descrivere il medesimo fenomeno (la diffrazione con interferenza positiva operata dai cristalli sui raggi X), rappresentano modi formalmente diversi di spiegare lo stesso fenomeno; è pertanto giusto attendersi che l’una sia derivabile dall’altro e conseguentemente chiedersi che relazione esiste fra i valori dei numeri di Laue (n, m e p) ed i valori degli indici h, k e l che identificano per il medesimo raggio diffratto il piano reticolato riflettente. Si può dimostrare che: n = h, m = k e p = l cioè che ogni qual volta esiste una direzione di raggi diffratti in interferenza positiva che soddisfa il sistema di equazioni di Laue per dati valori di n, m e p, esiste nel cristallo un fascio di piani reticolati di simbolo (nmp) e dnmp che, soddisfacendo l’equazione di Bragg, si comporta come piano

riflettente rispetto ai raggi X incidenti e a quelli diffratti nella direzione di diffrazione considerata. La verifica di quanto detto può essere agevolmente fatta prendendo in considerazione il sistema di equazioni di Laue espresso in forma vettoraiale. Se indichiamo con S il vettore (s – s0) si ricava:

a*(s – s0) = nλ b*(s – s0) = mλ c*(s – s0) = pλ

da cui

a*S = nλ b*S = mλ c*S = pλ

da cui

S * a/n = λ S * b/m = λ S * c/p = λ

Dalla Figura 52 si può osservare che il vettore S = (s – s0) risulta, per costruzione,

perpendicolare ad un piano p rispetto al quale

Figura 52

i versori s ed s0, rappresentativi delle direzioni dei raggi X incidenti e

diffratti, individuano delle direzioni di raggi incidenti e riflessi dal suddetto piano. Parimenti si può ricavare che se indichiamo con θ l’angolo formato da s0 con il piano p risulta che il modulo del vettore S

è eguale a 2 senθ (|S| = 2 senθ ). Di seguito dimostreremo che il piano p è rappresentativo di un fascio di piani reticolari di simbolo (nmp). In questa ipotesi infatti, il piano appartenente al suddetto fascio e più prossimo all’origine staccherebbe, sulla terna di riferimento, tre parametri pari a a/n, b/m, c/p. Ricordando che una direzione risulta perpendicolare ad un piano se risulta contemporaneamente perpendicolare a due qualsiasi direzioni appartenenti al piano e che due direzioni sono fra loro perpendicolari se risulta nullo il loro prodotto scalare, dalla figura 53 ricaviamo che, poiché appartengono al

Figura 53

piano le due direzioni individuate dai vettori (b/m – a/n) e (c/p – b/m) e risulta nullo il loro prodotto scalare con S (infatti: S * (b/m – a/n) = λ − λ = 0 e parimenti S * (c/p – b/m) = λ − λ = 0), il piano p di simbolo (nmp) risulta perpendicolare ad S. Dalla stessa figura 53, essendo che OD = dnmp ,si ricava che se si

considera un versore t che abbia la medesima direzione di OD si ha dnmp = a/n * t. Poiché OD ha la medesima direzione di S il versore t

sarà eguale al vettore S fratto il proprio modulo, cioè: t = S / |S| cioè t = S / 2 senθ. Sostituendo t nella relazione dnmp = a/n * t si ha:

dnmp = a/n * S / 2 senθ e ricordando che a/n * S = λ si ha:

dnmp = λ / 2 senθ cioè 2 dnmp senθ = λ (equazione di Bragg).

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relativa ai piani riflettenti per il seno dell’angolo d’incidenza θ sia eguale alla lunghezza d’onda della radiazione X adoperata. L’equazione di Bragg risulta matematicamente meglio trattabile rispetto al sistema di equazioni di Laue e consente di ricavare più agevolmente informazioni utili all’identificazione e allo studio dei minerali. Applicazioni della cristallografia X La diffrazione con interferenza positiva operata dalla materia solida cristallina sulle radiazioni X viene oggi ampiamente adoperata per indagare sulla geometria dei reticoli cristallini e sulle specifiche modalità della distribuzione della materia che in essi si realizza; a tal fine sono state messe a punto diverse metodologie che utilizzano come soggetti d’indagine singoli cristalli della specie cristallina in studio ed adeguate tecniche strumentali e approcci matematici: la cristallografia strutturale moderna utilizza l’insieme di detti metodi e tecniche. Gli obiettivi che si prefigge il corso da noi svolto non ci consente di trattare, neanche superficialmente, i metodi d’indagine utilizzati dalla cristallografia moderna ma riteniamo indispensabile che lo studente sappia che detti strumenti esistono. Riteniamo invece che vadano trattate quelle metodologie d’indagine basate sulle applicazioni dei fenomeni che si realizzano dall’interazione raggi X – materia cristallina che risultano utili ed oggi comunemente utilizzati, ai fini dell’identificazione dei minerali. Fra esse il metodo del Diffrattometro delle polveri è certamente quello più largamente adoperato nell’indagine di routine. La strumentazione di base che viene adoperata nel metodo del Diffrattometro è data:

- da un generatore di radiazioni X (fornite da apposito tubo) che opportunamente collimate e filtrate vengono ricondotte ad un fascio di radiazioni monocromatiche fra loro parallele (ad es. Cu Ka = 1.54Å);

- da una camera di diffrazione a geometria cilindrica sul cui asse è posto il campione da esaminare costituito da un insieme (supposto infinito) di grani cristallini di dimensioni molto piccole (ϕ ≅ 0.002 – 0.005 mm) inserito su un portacampione piatto costituito da materiale amorfo (vetro);

- un sistema di collimazione e definizione della divergenza delle radiazioni diffratte; - un sistema di rivelazione (dato da uno scintillatore o da un contatore proporzionale); - un sistema di registrazione degli effetti di diffrazione (su carta o su file digitali); - un sistema di elettronica a corredo che consente la regolazione di tutti gli opportuni

parametri che presiedono alle misure. La figura 54 schematizza la geometria e i lineamenti essenziali di un diffrattometro per polveri36 e fornisce una immagine di un moderno goniometro per diffrazione su polveri. Nella Figura 54 R-X rappresenta un fascio di radiazioni X monocromatiche reso parallelo dal passaggio attraverso il collimatore S; C rappresenta l’asse (ortogonale al piano della figura) attorno

36 La geometria qui descritta è quella Bragg – Brentano 2θ /θ. Esistono altre geometrie ad es. Bragg – Brentano θ /θ in

cui, mentre il portacampione rimane fermo, si ha la contemporanea ed antitetica rotazione del tubo di raggi X e del rivelatore intorno a C.

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Geometria Bragg-Brentano

Figura 54

al quale può ruotare, con una nota velocità angolare ω, il campione costituito dalle polveri cristalline poste nell’apposito portacampione piano. R rappresenta il rivelatore dei raggi X diffratti dal campione a sua volta capace di ruotare intorno all’asse C in modo sincrono con il campione ma a velocità angolare 2ω. θ e 2θ sono rispettivamente gli angoli di cui dopo un tempo t sono ruotati rispettivamente il portacampione ed il rivelatore rispetto alla direzione dei raggi che proseguono nella medesima direzione dei raggi X incidenti. La geometria del diffrattometro consente agli infiniti cristalli, fra loro disorientati, costituenti la polvere di raggiungere, con piani diversi ed in momenti successivi, le condizioni selettive di diffrazione con interferenza positiva regolate dall’equazione di Bragg 2dhklsenθθθθ = λλλλ. In altre parole durante la rotazione del porta–campione piano intorno all’asse C, che consente di coprire tutti i possibili angoli 0° < θ < 90° , se una serie di piani (hkl), disposto parallelamente al porta–campione, si trova orientato rispetto ai raggi X incidenti in modo da essere investito sotto l’angolo θ che soddisfa l’equazione di Bragg, si avrà la formazione di raggi diffratti con interferenza positiva che si propagheranno in una direzione che rispetto alla direzione dei raggi X non deviati forma un angolo 2θ. Dal momento che il rivelatore di raggi X ruota con una velocità angolare doppia rispetto a quella con cui ruota il portacampione, esso si troverà esattamente nella posizione idonea per rilevare tale effetto di diffrazione (cfr. figura 54). Considerato che sul portacampione si trova un numero infinito di granuli cristallini fra loro disorientati dobbiamo aspettarci che molti piani reticolati, fra loro diversi, si potranno trovare paralleli alla superficie del portacampione e che, pertanto, durante la rotazione di quest’ultimo intorno all’asse C potranno, in momenti successivi, essere investiti dalle radiazioni X sotto i caratteristici angoli θ di Bragg: solo in questi momenti, fra loro diversi, detti piani emetteranno delle radiazioni diffratte che interferiranno positivamente fra loro e che si comportano come riflesse dai piani reticolati; dette radiazioni diffratte saranno rivelate dal rivelatore R. Poiché l’ingresso nel rivelatore di una radiazione X viene evidenziato con l’insorgere di una “corrente” la cui intensità è proporzionale all’intensità della radiazione rivelata37, assisteremo al fatto che il rivelatore evidenzierà quasi sempre un’intensità di corrente debole o quasi nulla – rumore di fondo corrispondente all’assenza di effetti di diffrazione con interferenza positiva – mentre solo sporadicamente e discontinuamente e solo per specifici valori di θ verranno evidenziate delle correnti significativamente diverse da quelle corrispondenti al rumore di fondo. Se registriamo i valori di dette intensità in funzione dei valori degli angoli θ raggiunti dal portacampione (o 2θ

37 L’intensità di una radiazione diffratta è funzione di diverse variabili. Fra queste vanno ricordate la densità con cui la

materia è distribuita nel piano e la natura della materia in esso presente. In termini generali i piani reticolati a simbolo più semplice (caratterizzati da una più elevata densità di nodi), a parità di altre condizioni, genereranno diffrazioni più intense rispetto ai piani ad indici più complessi ( ad es. I111 > I 321) .

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raggiunti dal rivelatore) avremo un diagramma (diffrattogramma) caratterizzato da picchi che si stagliano rispetto al rumore di fondo (Figura 55). La lettura di un diffrattogramma (determinazione dei valori di θ a cui si realizzano gli effetti di diffrazione con interferenza positiva) consente, risolvendo l’equazione di Bragg 2dhklsenθθθθ = λλλλ

rispetto a dhkl di ricavare, per ciascun effetto di diffrazione rilevato, il valore della distanza interplanare (dhkl) del piano responsabile della diffrazione considerata. La serie di valori di dhkl che si ottiene da un diffrattogramma trova applicazioni in cristallografia strutturale (ad es. calcolo delle costanti reticolari del minerale) ma soprattutto, dal nostro punto di vista, costituisce uno strumento utilissimo per la identificazione delle specie minerali presenti nelle rocce. La sua utilizzabilità a tal fine discende dalle seguenti considerazioni di ordine generale:

- ogni minerale dal momento che è caratterizzato da un reticolo cristallino che gli è proprio presenterà serie di piani reticolati caratterizzati da valori di dhkl che gli sono propri;

- ogni minerale presenterà uno spettro di diffrazione di polveri (diffrattogramma) che gli è proprio sia per quanto riguarda la posizione dei picchi che lo caratterizzano che per quanto riguarda i loro rapporti d’intensità;

- per ogni minerale lo spettro di diffrazione di polveri è una sorta di “impronta specifica” che, in quanto esclusiva, è sufficiente ad identificarlo.

Figura 55: Diffrattogramma del SiC. In ascissa i valori di 2θ, in ordinate i valori dell’intensità di corrente proporzionale al numero di fotoni X diffratti per unità di tempo (counts/sec). In considerazione di ciò già dal 1941 la ASTM (American Society for Testing and Materials) ha iniziato a pubblicare delle schede informative che riportavano per i diversi materiali cristallini le informazioni essenziali sulle loro caratteristiche e sulle serie di distanze interplanari ricavabili da diffrattogrammi di polveri. Successivamente tale attività è stata svolta dal Joint Committee on Powder Diffraction Standards (JCPDS) che, nel 1978 ha assunto l’attuale denominazione di International Centre for Diffraction Data (ICDD)38.

38 L’obbiettivo dichiarato dell’ ICDD è “The International Centre for Diffraction Data will continue as the world center

for quality diffraction data to meet the needs of the technical community, ICDD promotes the applications of materials characterization methods in science and technology by providing a forum for the exchange of ideas and information.”

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Il coniugarsi dello sviluppo delle capacità di calcolo ed elaborazione automatica di dati ha consentito la messa a punto di software più o meno complessi che, interfacciati ai moderni diffrattometri, consentono l’analisi dei diffrattogrammi di polveri e la loro elaborazione tesa all’identificazione delle fasi cristalline presenti nella polvere analizzata (analisi qualitativa) e alla determinazione delle percentuali in cui le suddette fasi sono in essa presenti (analisi quantitativa).