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PROGETTO “MORE THAN ONE DAY DADDYVS/2005/0444 DG EMPLOI/G/1 SI2.415171 Programma Comunitario per le Pari Opportunità fra donne e uomini GUIDA A SUPPORTO DEI PROCESSI DI CONDIVISIONE GENITORIALE E PROFESSIONALE Nell’ambito delle famiglie, del lavoro, delle organizzazioni sindacali, delle Istituzioni dei territori

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PROGETTO

“MORE THAN ONE DAY DADDY”

VS/2005/0444 DG EMPLOI/G/1 SI2.415171

Programma Comunitario per le Pari Opportunità fra donne e uomini

GUIDA A SUPPORTO DEI PROCESSI DI CONDIVISIONE GENITORIALE E

PROFESSIONALE

Nell’ambito delle famiglie, del lavoro, delle organizzazioni sindacali, delle Istituzioni dei territori

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 1

INDICE

1. Ringraziamenti

2. Premessa

3. Il progetto e la Guida di “More than one day daddy”

4. La presenza degli stereotipi

5. Dalla Conciliazione alla Condivisione

6. Valori e Linguaggi

7. Negoziare e Condividere

8. Le Buone Prassi (percorsi positivi di condivisione)

9. “More than one day daddy”: il film, uno strumento da utilizzare

10. La metodologia dei laboratori per ragionare sulla condivisione

11. Conclusioni

Allegati

• Sintesi della Ricerca “Il vissuto dei padri sul tema della conciliazione e della condivisione” –

Risultati dell’indagine qualitativa condotta in Italia e Catalogna (Spagna) a cura di Fidapa

• Sintesi Ricerca “Paternità e Lavoro - Normativa e buone prassi in Europa” a cura Università

di Verona, Facoltà di Giurisprudenza

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 2

1. RINGRAZIAMENTI

E’ con piacere che utilizziamo questo spazio per ringraziare tutti/tutte coloro che hanno contribuito alla realizzazione del Progetto “Papà non solo per un giorno” e alla realizzazione diretta e indiretta di questa GUIDA. Senza il loro piccolo o grande contributo non saremmo mai arrivati/e a questo risultato: questi progetti sono realizzati con molto impegno e fra, a volte, molte difficoltà (ad esempio conciliare i tempi di tutti..!) da persone che mettono a disposizione con passione la propria esperienza, il proprio tempo, a volte non remunerato, la propria passione. Ci sembra giusto ricordarle e speriamo di non dimenticare nessuno! Tutti hanno collaborato rispetto alla realizzazione di un sogno: una migliore qualità della vita delle persone, uomini e donne (e non dimentichiamo i bambini che ne beneficiano…), verso una reale parità condivisa. Prima di tutto i papà (e le mamme) che hanno partecipato ai Laboratori (e alle ricerche) o che hanno assecondato (o incoraggiato) i loro partner a partecipare. Le animatrici della Rete Cora che hanno organizzato, attivato e animato i diversi Laboratori, in particolare:

- Cora Bari (Cooperativa Itaca) - Tiziana Mangarella, Angela Bonvino - Cora Cagliari (IFOLD) - Valentina Corda - Cora Cosenza (Cooperativa Hoplà) - Gabriella Dragani e Tiziana Rovito - Cora Milano (Orientamento Lavoro) - Anna Maria Burnich, Marina Cavallini - Cora Roma - Claudia Piccini, Tiziana Amori - Cora Torino (Idealavoro) - Kezia Barbuio, Silvana Farina - Cora Venezia (Forcoop Cora Venezia) Eleonora Barbieri, Maria Grazia Trevisan

Lo staff di redazione della Guida: Paola Parente (Cora Nazionale), Adriana Cannavale (Cora Nazionale), Patrizia Loiola (Cora Nazionale), Eleonora Barbieri (Cora Venezia), Tiziana Mangarella (Cora Bari) Le/i responsabili, coordinatori ed esperti di tutti i partner di progetto che hanno dato utili suggerimenti e realizzato le ricerche che hanno fatto da sfondo alla redazione della Guida (Fidapa, Fondazione Seveso,Università di Verona, Facoltà di Giurisprudenza, Casa Artigiani di Torino, VenetoLavoro) Lucia Basso (Consigliera Regionale di Parità del Veneto, Donatella Barcolla (CPG di Torino) componenti del CTS del progetto che ci hanno fornito indicazioni preziose per i contenuti della Guida. Le aziende, le organizzazioni e le persone che hanno contribuito ad organizzare i Laboratori nei diversi territori. Le collaboratrici della cooperativa Escaler che hanno realizzato i Laboratori in Catalogna (Spagna) e i papà e le mamme che vi hanno partecipato. Un ringraziamento a chi ha collaborato all’organizzazione dei Laboratori e alla redazione di questa guida con lavori di ricerca, rilettura, traduzione ecc., in particolare Anna De Rosa della segreteria Cora, Alberto Ferri della Redazione di Cora e Michela Scoca del Centro Cora di Roma.

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2. PREMESSA

Di Marina Piazza

Come è noto, l’Italia è uno dei paesi membri dell’Unione Europea con la più accentuata asimmetria

del lavoro di cura a sfavore delle donne. Dai dati ISTAT si evince che, sommando lavoro

professionale e lavoro di cura, le donne italiane lavorano più ore degli uomini e molto più delle

donne di tutti gli altri Paesi europei. Proprio per questo, per questa quasi totale attribuzione alle

donne del lavoro di cura, il sistema dei valori consolidati considera ancora il lavoro di cura come un

valore debole, nascosto tra le pieghe della vita familiare, praticamente invisibile.

E molto segnato ancora da mentalità tradizionali e stereotipi, anche tra i giovani. Non è soltanto

una divisione materiale del lavoro, è soprattutto una divisione simbolica. Se un uomo pensa che il

lavoro di cura, di affettività, di accudimento, sia un attentato alla sua virilità; se una donna pensa

che se non raggiunge la perfezione nel lavoro di cura (a volte rasentando il delirio di onnipotenza)

non verrà considerata una buona moglie, una buona figlia, una buona madre, siamo sul terreno

simbolico, siamo sul terreno dell’identità sessuale e di genere, sullo schiacciamento sul ruolo. E’

questo accanimento sul ruolo che bisogna cercare di sviscerare, di approfondire.

Sulla base di queste considerazioni i nodi tematici da affrontare sono da un lato la scarsa visibilità

sociale del lavoro di cura (e quindi lo scarso valore ad esso attribuito), dall’altro la non percezione

da parte maschile dell’entità di questo lavoro (come se gli uomini, ancor prima che condividerlo

facessero fatica a riconoscerlo) e ancora il controllo che le donne stesse tendono a mantenere su

questo stesso lavoro, proponendosi spesso come “gate keeping”, guardiane di quei cancelli che

definiscono il ruolo di madre e moglie perfetta e tuttofacente.

Quindi, anche se sappiamo che, trattandosi di relazioni simboliche e di mentalità consolidate, il

lavoro sarà lungo e difficile, bisogna cominciare ad intervenire perché la condivisone del lavoro di

cura è alla base di qualsiasi progetto di conciliazione.

D’altra parte questo tema assume sempre più importanza e rilievo anche nell’acquis comunitario

sulla conciliazione

Nella relazione del febbraio 2005 della Commissione delle Comunità Europee sull’uguaglianza tra

donne e uomini al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e

al Comitato delle Regioni, un paragrafo (3.3) è esplicitamente dedicato a tale tema, con il titolo

“Rivolgersi agli uomini per raggiungere l’uguaglianza dei sessi”, in cui si afferma che “la

promozione dell’uguaglianza tra le donne e gli uomini implica cambiamenti sia per gli uomini che

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per le donne” e che per favorire tali cambiamenti “gli Stati membri e le parti sociali devono lanciare

azioni di sensibilizzazione per incoraggiare gli uomini a condividere le responsabilità in materia di

custodia dei figli e delle altre persone dipendenti”.

E tra i cinque policy briefs stabiliti dal Gruppo tematico europeo per i progetti Equal sulle pari

opportunità, si può annoverare la raccomandazione Farewell to the cave man (addio all’uomo delle

caverne).

Le strategie europee messe in campo per provare a cambiare gli atteggiamenti delle persone

hanno incluso importanti campagne di comunicazione – iniziate in alcuni Paesi membri già dal

1995 - per richiamare l’attenzione sul persistente gap di genere nella condivisione del lavoro non

pagato familiare, indicando anche forme creative di consapevolezza e di formazione sia per gli

uomini che per le donne, insegnanti, formatori,consulenti, genitori e datori di lavoro.

Il progetto More than one day daddy ha esattamente questo obiettivo: di mettere insieme un

patchwork di azioni che concorrono a creare maggiore consapevolezza tra i giovani padri:

formazione, animazione di gruppi di riflessione, un video.

E’ uno dei primi progetti in Italia dedicato interamente (anche nella sua parte di riflessione e di

proposta sulla legislazione) a questa tematica. La speranza è che da questo primo progetto altri ne

sorgano e soprattutto che non sia rinchiuso in circuiti autoreferenziali delle pari opportunità, ma

riesca a rompere barriere di genere e generazione e arrivi davvero ai giovani uomini.

D’altra parte se è vero che il contributo dei maschi al lavoro di cura in Italia è ancora risibile, è

anche vero che cominciano a esserci segnali tra i giovani uomini che indicano una certa

stanchezza dell’essere schiacciati nel ruolo di chi trova la sua ragione d’essere e la sua energia

esclusivamente nel lavoro professionale e nel ruolo di breadwinner senza anima e senza cuore. Su

questi “pionieri”, che intravedono la ricchezza psichica del lavoro di cura, su queste “pioniere” che

rinunciano al potere che implica – oltre la fatica – la gestione totalizzante del lavoro di cura è

riposta la speranza che cominci ad emergere, anche in Italia, una generazione di uomini e donne

legati da un nuovo e più equilibrato patto sociale di genere. Non è l’auspicio di una nuova, mielosa

e impossibile armonia, contraddizioni e conflitto continueranno ad esistere perché essere da più

parti comporta difficili scelte e patteggiamenti tra sé e sé e tra sé e gli altri (in primo luogo con i

protagonisti occulti di questa vicenda che sono i bambini), ma entrambi – uomini e donne –

cominceranno a condividere le difficoltà, ma anche la ricchezza di una vita “ambivalente”, in cui il

governo della complessità è la nuova competenza richiesta.

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3. IL PROGETTO E LA GUIDA DI “MORE THAN ONE DAY DADDY”

A cura di Patrizia Loiola

Introduzione Questa Guida a supporto dei processi di Condivisione in ambito familiare, del lavoro, delle

organizzazioni sindacali e dei territori è uno dei risultati del progetto “Papà non solo per un giorno”

(More than one day daddy) realizzato grazie al co-finanziamento della Commissione Europea

attraverso il programma comunitario Pari Opportunità per donne e uomini che si inserisce nella

Strategia Quadro Comunitaria di Pari Opportunità tra uomini e donne (2001-2005).

La Guida si configura come un prodotto operativo, di utilizzo immediato e rivolto a diverse tipologie

di persone; è il risultato di un lavoro congiunto fra i diversi partner del progetto, lavoro che è stato

coordinato dalla rete CORA.

Come è nata l’idea del progetto “Papà non solo per un giorno”?

I partner che aderiscono a questo progetto operano a diversi livelli per il raggiungimento della

parità tra uomini e donne e per una migliore presenza delle donne nel mercato del lavoro.

Per raggiungere questi obiettivi si può intervenire secondo diverse modalità e adottando differenti

strategie: questo progetto promuove ed incentiva la CONDIVISIONE fra papà e mamme che

lavorano (ma non solo), dei tempi di cura e accompagnamento educativo dei figli per il

raggiungimento di NUOVI EQUILIBRI, verso un nuovo modello culturale di famiglia, che supporti le

donne a permanere del mercato del lavoro o a sviluppare la loro professionalità anche se mamme.

In sostanza a poter fare delle scelte reciprocamente condivise. Fondamentale è il ruolo che

assumono anche i datori di lavoro, sindacati, i colleghi di lavoro e i servizi offerti dal territorio per

supportare e facilitare questo cambiamento.

Se infatti, dalle rilevazioni delle strutture sanitarie, emerge con forza la presenza e la

partecipazione dei padri nelle fasi pre-nascita e durante la gestazione, nel passaggio alle imprese

a questa presenza non seguono (proprio nei primi tre anni che costituiscono un ciclo

importantissimo per lo sviluppo psico-fisico del bimbo/a nonché un momento emozionalmente e

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praticamente densissimo di cambiamenti nel cosiddetto “menage familiare”), manifestazioni

concrete di condivisione dei compiti di cura tali da registrarsi anche nella fruizione di congedi

parentali, nella richiesta di maggiore flessibilità oraria o in una qualche altra forma di

differenziazione comportamentale lavorativa fra il prima ed il dopo il divenire padre.

In Europa la cura della famiglia continua a pesare maggiormente sulle spalle delle donne.

Questa in estrema sintesi è la principale conclusione anche di una ricerca condotta da Eurofound

sulle leggi e sui congedi parentali nell’UE. Benché, infatti, siano state previste diverse soluzioni per

una migliore condivisione fra uomini e donne, tuttavia non si può affermare che sia diventata prassi di intervento la cultura della condivisione. Siamo fermi ad una sperimentazione di

conciliazione in cui gli uomini, per diverse ragioni che andremo a vedere, non sono elementi

sufficientemente attivi, come conferma, ad esempio, lo scarso utilizzo della legge sui congedi

parentali da parte dei padri.

Laddove, come in Belgio, la negoziazione collettiva si è occupata a fondo dei congedi parentali con

accordi interconfederali dedicati, c’è stata a livello nazionale una significativa crescita dell’utilizzo di

questo strumento anche da parte dei padri. Lo stesso non si può dire di Italia e Spagna, dove –non

a caso- i livelli di contribuzione previsti per il congedo parentale sono fra i più bassi (30% dello

stipendio in Italia, non retribuito in Spagna).

L’atteggiamento ostile di molti datori di lavoro (e a volte anche dei colleghi di lavoro) rimane un

forte deterrente: gli uomini non usufruiscono dei congedi per paura di vedere compromesse le

proprie possibilità di carriera, mentre numerose donne lamentano discriminazioni al proprio ritorno

da un’assenza per maternità, specie se prolungata. Stereotipi ancora diffusi incidono nelle scelte

dei padri/compagni/lavoratori e quindi in quelle delle madri/donne /lavoratrici.

Eppure, emerge oggi da diverse ricerche, anche da parte degli uomini, la ricerca di un equilibrio

nell’adozione di un modello lavoro/famiglia/tempo personale meno fortemente sbilanciato sul

lavoro, in cui la qualità dell’impegno, il benessere psico-fisico della persona, il valore del bilancio

familiare, diventano poli d’attenzione.

Rispetto a questo bisogno le imprese e le organizzazioni che le rappresentano sono chiamate a

rendere sostenibili i processi di carriera, a studiare soluzioni di flessibilità, ad impegnarsi in quel

percorso d’assunzione di responsabilità sociale che implica prima di tutto un mutamento

culturale.

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Perché questa rivoluzione copernicana si attui, gli uomini devono essere protagonisti, insieme alle

loro donne/compagne/mogli/mamme, di un processo di valorizzazione della genitorialità.

Perché si attui il passaggio dalla conciliazione alla condivisione, bisogna agire sul triplice piano dei valori, delle istituzioni/legislazioni, delle prassi. Analizzare e confrontarsi sui valori, fare emergere i linguaggi degli uomini e delle donne, come padri/madri – lavoratori/lavoratrici, per

costruire una comprensione che diventi condivisione.

Cosa abbiamo realizzato?

Al fine di coinvolgersi in modo attivo nella promozione della parità di genere, un gruppo di papà è

stato chiamato a:

1. riconoscere come proprio il diritto/dovere alla condivisione ed il valore sociale della paternità

2. conoscere gli strumenti legislativi ed essere formati alla negoziazione con i datori di lavoro per usufruirne, senza ricadute negative sui processi di carriera

3. confrontarsi con esempi e percorsi di successo in termini di condivisione già avviati

Il progetto si è mosso su un duplice livello:

a. da una parte il coinvolgimento diretto degli uomini, con una fase di indagine che li ha colti nei

due diversi stati emozionali/sociali/di ruolo-funzione di neo-padri e lavoratori, cui è seguita, in

parte anche con altri papà, l’attivazione di laboratori di sperimentazione e confronto fra

uomini e fra uomini e donne;

b. dall’altro, indagine e rilevazione di buone prassi, di servizi aziendali e sociali, di efficaci

strumenti di negoziazione, percorsi e modelli di positiva condivisione già strutturati ed avviati,

che vanno ad arricchire e stimolare il confronto, con l’intervento di organizzazioni sindacali,

associazioni datoriali, università, istituzioni e associazioni di parità

Attraverso azioni di sensibilizzazione, informazione e formazione sono stati coinvolti direttamente

papà che lavorano, con almeno un figlio da 0 a 3 anni, e le loro mamme/compagne lavoratrici: il

coinvolgimento si è realizzato in particolare attraverso l’effettuazione di un ricerca esplorativa con

interviste rivolte a più di 250 papà in Italia e Spagna e attraverso la realizzazione di 10 Laboratori, sempre in Spagna e in Italia, di cui si dirà in seguito.

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Ma non ci siamo fermati qui: sono state realizzate ulteriori attività di ricerca e di comunicazione, fra

cui:

- 1 ricerca sulle buone prassi nelle attività di conciliazione/condivisione condotta in tutti i 25

Paesi dell’UE

- la realizzazione di 6 seminari transnazionali e di 3 workshop di diffusione

- un film sulle storie di vita di alcuni papà coinvolti nel progetto che evidenzia i percorsi

possibili e le criticità del nuovo modello di equilibrio e condivisione dei ruoli

La collaborazione fra i partner

Il lavoro di gruppo condiviso (!) fra i partner del progetto è stato essenziale per raggiungere gli

obiettivi del progetto e per arrivare a costruire questa Guida che speriamo possa essere di

supporto ai diversi soggetti a cui è rivolta.

Ogni partner del progetto ha messo a disposizione le proprie esperienze e competenze, le diverse

specializzazioni di appartenenza delle organizzazione coinvolte sono state essenziali per

rispondere ad una problematica che va affrontata globalmente nei diversi aspetti:

- L’Università di Verona, Facoltà di Giurisprudenza, e la rete delle Università in Europa a cui

è collegata, si è occupata di tutta la tematica legislativa, sviluppando un lavoro di analisi e

confronto sui 25 Paesi dell’Unione Europea, indicandoci le buone prassi

- La FIDAPA, attraverso la collaborazione con le sue associazioni locali, ha realizzato ed

elaborato le interviste ai 250 papà contribuendo a fornire elementi che sono confluiti nella

Guida

- Il contributo di VenetoLavoro, Agenzia Regionale dell’Impiego della Regione Veneto, ha

permesso di avere uno spaccato dei datori di lavoro, sia pubblici che privati e la loro

collaborazione per la realizzazione dei Laboratori

- La Fondazione Seveso ha messo a disposizione tutta la sua esperienza rispetto al mondo

delle organizzazioni sindacali e al ruolo che possono svolgere nei processi di condivisione

in azienda, coinvolgendo direttamente nella riflessione un gruppo di papà sindacalisti

- Alla ricerca sui papà ha collaborato anche l’organizzazione Casa Artigiani di Torino e, in

particolare la referente Barbara Chiavarino, che ha effettuato interviste rivolte a papà

artigiani per avere uno spaccato anche di questa particolare realtà

- La Cooperativa Escaler di Girona (Catalogna) ha svolto in parallelo il lavoro di indagine e i

Laboratori nel suo territorio

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- L’Union Retravailler Francia ha dato il suo contributo metodologico in relazione al tema

degli stereotipi e alla ricerca sulle buone prassi in Francia

- L’Associazione CORA ha progettato e realizzato i Laboratori di condivisione coinvolgendo

direttamente i papà in diversi regioni italiane, mettendo a disposizione tutta la sua

competenza nei processi di attivazione e animazione di gruppi in formazione

- Il soggetto proponente EWA ha coordinato tutto il lavoro, sostenendo il processo di

condivisione fra i partner del progetto.

Come si articola la Guida?

La Guida restituisce ai Papà (e alle mamme), alle Imprese e alle Organizzazioni sindacali e

territoriali un sistema valoriale ed un linguaggio per la condivisione, degli strumenti di negoziazione e

dei percorsi/modelli per una reale condivisione di lavoro e vita familiare.

La Guida è articolata in 3 sezioni:

1. Una parte “introduttiva” In questa sezione sono presenti 3 capitoli: questo stesso di presentazione “Il progetto/la

guida”, un capitolo di approfondimento sugli stereotipi considerati come fondamento teorico

e punto di partenza dell’impostazione della Guida “La presenza degli stereotipi” e il capitolo

“Dalla Conciliazione alla Condivisione” che rappresenta “l’orizzonte” verso il quale andare,

la meta da raggiungere!

2. Una parte di applicazione pratica rivolta sostanzialmente a 3 gruppi di soggetti

fruitori Questa sezione rappresenta “il cuore” della Guida, è rivolta ai papà, ai rappresentanti del

sindacato e delle aziende e alle Istituzioni territoriali e propone indicazioni per attivare e/o sostenere concreti processi di condivisione fra i diversi soggetti. Le indicazioni sono

frutto di quanto è emerso nei Laboratori che sono stati organizzati nei diversi territori e che

hanno visto il coinvolgimento diretto, in prima persona, dei papà (e in alcuni casi anche

delle mamme).

I temi affrontati sono suddivisi in tre capitoli:

- Valori e linguaggi

- Negoziare e condividere

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- Le buone prassi: percorsi positivi di condivisione

Ogni capitolo è organizzato in alcune sezioni:

- un’introduzione al tema proposto con approfondimenti sul concetto specifico di cui

stiamo trattando anche alla luce di quanto emerso nei Laboratori

- indicazioni sulle criticità che emergono rispetto alla tematica

- indicazioni utili suddivise rispetto ai 3 target di riferimento (papà, aziende/sindacato,

Istituzioni)

3. Una parte di analisi dei risultati complessivi dei Laboratori e delle indicazioni per l’utilizzo della Guida

Questa parte evidenzia i principali risultati ma anche le questioni “aperte” e le riflessioni da

approfondire, fornisce inoltre suggerimenti per l’utilizzo della Guida e anche del

documentario che è stato prodotto nel progetto “More than one day daddy” . E’ presente

anche una bibliografia di approfondimento di alcuni testi pubblicati recentemente.

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4. LA PRESENZA DEGLI STEREOTIPI

“Lo stereotipo non viaggia più in impunità, diamo la caccia allo stereotipo”

L’occupabilità femminile tra stereotipi, pregiudizi e primi segnali di svolta

di Adriana Cannavale - Rete Cora

Che cos’è allora dunque lo stereotipo, che parte gioca nella vita delle persone, nella vita delle

donne in particolare, nella definizione dei percorsi di vita e di lavoro, nei comportamenti sociali ?

1 ) QUALCHE DEFINIZIONE DI STEREOTIPO

Secondo la psicologia sociale l'assetto psicologico della persona, e quindi il comportamento di

essa risulta in larga misura costruito nell'arco della storia individuale a partire dal rapporto attivo

della persona stessa con le forze sociali (altre persone, norme, tradizioni, istituzioni, ecc.)

nell'ambito delle quali essa agisce e ha agito. E’ la persona che in relazione all’ambiente elabora e

filtra le informazioni, formando anche stereotipi, cioè visioni schematiche e generiche della realtà.

Secondo l’approccio cognitivo non vi sono cause oggettive per spiegare lo stereotipo:

1. Gli stereotipi sono il risultato di un processo di categorizzazione (le persone vengono

percepite come rappresentanti di gruppi sociali anziché come individui)

2. Stessi processi guidano categorizzazione nel mondo fisico e sociale

3. Lo stereotipo è un insieme di credenze a proposito degli attributi personali di un gruppo di

individui” (Ashmore e Del Boca, 1981).

4. “Nello stereotipo l’individuo (a) categorizza altri individui normalmente sulla base di

caratteristiche fortemente visibili, come il sesso e la razza; (b) attribuisce un insieme di

caratteristiche all’insieme dei membri di quella categoria; e (c) attribuisce quelle

caratteristiche a ciascun individuo membro di quella categoria” (Snyder, 1981).

5. Secondo Gordon W. Allport e Henri Tajfel gli stereotipi sono l'esito del nostro modo di

elaborare le informazioni che riceviamo dal mondo circostante: davanti a una realtà infinita

e complessa la mente tende a cercare di recepirla semplificandola e organizzandola in

categorie, accentuando le somiglianze tra i componenti della stessa categoria e le

differenze rispetto ai componenti delle altre categorie e, dunque, favorendo la produzione di

stereotipi

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Mentre in tali approcci lo stereotipo è riferito al rapporto tra individuo e realtà circostante, secondo

altri approcci lo stereotipo è una visione semplificata di un GRUPPO riconoscibile di persone che

condividono certe caratteristiche o qualità. Si tratta di un concetto di gruppo, ed è mantenuto da un

gruppo sociale riguardo ad altri gruppi. Il termine è spesso usato in senso negativo o

pregiudizievole, e gli stereotipi sono considerati da molti come credenze indesiderabili che

possono essere cambiate attraverso interventi mirati che chiamano in causa i membri del gruppo,

le istituzioni, la famiglia.

A volte uno stereotipo è una caricatura negativa (o un inversione) di alcune caratteristiche positive

possedute dai membri di un gruppo, esagerate al punto da diventare detestabili o ridicole. (

Wikipedia, Enciclopedia libera ).

Secondo altri contributi che derivano da studi psicologici, sociologici, filosofici la funzione degli

stereotipi è quella di :

a. garantire una visione del mondo coerente e capace di far stare la persona dalla parte del giusto (radici prospettiva psicodinamica)

b. in quanto prodotti della cultura hanno la funzione di creare omogeneità di valori e di credenze (prospettiva socio-culturale);

c. in quanto prodotti dell’interazione tra gruppi e tra gruppo e individuo rappresentano i sistemi di credenze a proposito degli attributi associati ai vari gruppi sociali (prospettiva cognitiva). “Probabilmente anche la cornice teorica appena enunciata non è niente di più di uno stereotipo:

una descrizione semplificata (e dunque deformata) di fenomeni alquanto complessi che hanno

appassionato i filosofi e gli scienziati sociali di tutti i tempi. Fenomeni che chiamano in causa sia

l'essenza della conoscenza - chi può affermare con assoluta certezza che sia possibile arrivare a

una comprensione corretta (non illusoria) della realtà? -, sia la natura dell'essere umano - e la sua

inclinazione o meno a disporsi in modo socievole nei confronti degli altri esseri umani: l'uomo è

intrinsecamente buono o cattivo? -, sia i processi di costruzione/conservazione delle identità.

Tuttavia, iniziare ad ammettere che ciascuno di noi è esposto a stereotipi e pregiudizi e che,

probabilmente, non riusciremo mai a recepire la realtà in modo del tutto libero da categorie, non

significa rinunciare automaticamente a contenere e controllare questi fenomeni. Significa piuttosto

diventare consapevoli di certi meccanismi in modo da non esserne agiti.” ( S. Lancioni ,”Le gabbie

della mente” ).

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2 ) STEREOTIPI E PROCESSI ORIENTATIVI

Le definizioni e i rilievi critici a tali definizioni ci aiutano a cogliere alcuni aspetti importanti dello

stereotipo:

- da una parte c’è una costruzione sociale di comportamenti, atteggiamenti, valori che segnano le

comunità : all’interno di tale processo comune lo stereotipo aiuta a riconoscersi tra persone affini e

fornisce strumenti di conoscenza tra i gruppi (pensiamo al linguaggio come stereotipo condiviso,

alla nazionalità, ai valori religiosi etc, ) Ogni persona , secondo questo approccio, si forma e

cresce in un’interazione dinamica con l’ambiente e interiorizza stereotipi, intesi come somma di

comportamenti e atteggiamenti collettivamente assunti e, in questo percorso di crescita, trova forza

proprio dal consenso sociale a comportamenti che va costruendo

- dall’altra parte però lo stereotipo ha anche quelle caratteristiche di generalizzazione,

massificazione, spersonalizzazione e categorizzazione astratta per cui l’individuo resta in ombra

così come la “sua “ collocazione individuale nel mondo e la sua libertà di scelta, di autonomia può

essere limitata o addirittura controllata, per cui diventa necessario “dare la caccia” a tutte

implicazioni negative che lo stereotipo si porta dietro e che impedisce di leggere liberamente le

variabili e le specificità individuali e collettive.

Gli studi femministi hanno inoltre messo ben in evidenza i pericoli insiti negli stereotipi sessisti o di

genere: per stereotipi di sesso si intendono delle costruzioni mentali rigide, che si basano su un

insieme di pregiudizi interiorizzati dalla collettività, che attribuiscono alle donne e agli uomini

caratteristiche e ruoli distinti e separati.

Essi accompagnano e legittimano i ruoli e i rapporti sociali detti di “sesso” o “di genere”. Da ciò

deriva il concetto di “contratto sociale di genere” definito dalla Commissione Europea come

segue: “Esempio di regole implicite ed esplicite che reggono le relazioni donne-uomini

attribuendo loro lavori, valori, responsabilità e obblighi distinti. Queste regole si applicano

a tre livelli : il substrato culturale (norme e valori della società), le istituzioni (protezione

della famiglia, sistema di istruzione e dell’occupazione …) e i processi di socializzazione, in

particolare all’interno della famiglia”.

Si può allora parlare di “Donne” e “Uomini” come se fossero universi scissi e opposti, si può parlare

di “attitudini e capacità maschili e femminili” come se fossero “naturalmente”o solo degli uni o solo

delle altre, si può, utilizzando lo stereotipo di semplificazione pensare che gli uni e le altre sanno

fare (o attribuiamo loro questa capacità di fare) solo determinate cose o possono ricoprire

determinati ruoli, quelli e non altri.

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Pensiamo a quante donne ancora oggi acquisiscono diplomi cosiddetti deboli o hanno qualifiche

assolutamente poco spendibili nel mercato e a come sono arrivate a queste scelte spesso perché

spinte dal contesto familiare o da persone che le hanno influenzate sulla base di uno stereotipi

molto semplici ( come, ad es. “donna = cura degli altri = maestra”; “donna-attitudine per l’area

umanistica-sociale= assistente sociale, insegnante” ).

Pensiamo a quante donne oggi maturano una sorta di diffidenza per i percorsi scientifici, come

risultato di un processo opposto a quello descritto per l’area umanistica, e anche se conseguono

titoli accademici nei percorsi tecnici sottovalutano se stesse e la loro preparazione professionale al

punto da trasformarla in un lavoro umanistico ( quante donne architetto, ingegnere, medico non si

trasformano in insegnanti di materie tecniche ) o sono sottovalutate nei contesti organizzativi

tecnici prevalentemente maschili ed inquadrate in mansioni inferiori ai maschi di pari livello

soprattutto perché una cultura diffusa non le aiuta a valorizzare concretamente risorse e

competenze che esse portano nel mercato.

Diventa dunque importante intervenire da un punto di vista dei processi orientativi (quei processi di

sostegno alle scelte delle persone) su tutti i livelli finora analizzati:

1. sul ruolo dei contesti sociali e familiari nei percorsi di scelta

2. sull’influenza degli stereotipi sessisti sui processi di scelta e di vita personale e lavorativa

3. su un immaginario stereotipato dei lavori e delle professioni

4. sulla necessità di un’informazione più articolata, più allargata

5. su metodi didattici che favoriscano lo scambio e il confronto e che consentano di analizzare

le differenti variabili ( cognitive, comportamentali, culturali, di linguaggio, di sesso), che

caratterizzano gli stereotipi

6. su un confronto più ampio e critico delle persone sull’intreccio tra identità personale, ruoli

sociali e ruoli lavorativi.

E’ un aspetto importante della Formazione orientativa quella rivolta agli stereotipi, anzi sempre più

importante come è emerso anche dal lavoro europeo “Stereo” ( Guida europea alla lotta agli

stereotipi, realizzata in risposta al Bando lanciato dal Quinto Programma d’Iniziativa Comunitaria

(VP/2003/31) relativo agli stereotipi di sesso che causano disuguaglianze tra le donne e gli uomini.

Alla sua elaborazione hanno partecipato sei Paesi, la Germania, il Belgio, la Bulgaria, la Francia,

l’Italia e l’Ungheria, ovvero sei contesti particolari e significativi di culture di riferimento differenti e

caratteristiche.)

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I risultati del Progetto STEREO ci dicono che da tempo è emersa la necessità dello “svelamento”

individuale e collettivo della segregazione di genere, orizzontale e verticale, in una fase in cui

sempre più donne si presentano sullo scenario del lavoro ( “Diamo la caccia allo stereotipo”-,

dicono le persone che hanno collaborato alla ricerca in 6 Paesi europei ) ma sono soggette

costantemente a discriminazioni e, ancora oggi, fanno fatica a vedere riconosciute le loro

competenze.

3) DATI OGGETTIVI E PROCESSI DI OCCUPAZIONE FEMMINILE

Si può ancora pensare che oggi, tenendo bene a mente le differenze generazionali, i passaggi

culturali e sociali che si sono sviluppati negli ultimi trent’anni, “si sono spezzati i cavi che avevano

fissato a certi attacchi la rete della nostra vita. Cavi che si possono definire non solo come

dispositivi di sicurezza ma anche catene” ( Christa Wolf, Il guasto.p.40 ) ?

Si può pensare che sia arrivato a maturazione quel processo di socializzazione ambivalente, come

lo chiamava Chiara Saraceno, sociologa dell’Università di Torino, che ha caratterizzato la

generazione delle donne sessantenni ieri e che le giovani donne oggi possano godere di

quell’assenza di vincoli prescrittivi di ruoli e percorsi ascritti che potevano essere inquadrati

all’interno di percorsi omologati negli anni sessanta? Si può pensare che i percorsi di crescita e di condivisione di maschi e femmine siano oggi meno influenzati di ieri da variabili di sesso e variabili culturali e sociali?

Analizziamo dunque i dati più recenti.

a ) Le evoluzioni constatate in Europa ( dati del progetto Stereo ) Il paragone tra le grandi tendenze attuali e le statistiche relative agli anni 1990/1995 fa emergere le

seguenti osservazioni :

- Il tasso di attività delle donne continua ad aumentare e avvicinarsi a quello degli uomini

nell’Europa dei 15, mentre negli ex Paesi comunisti continua ad abbassarsi e, soltanto nel 2000,si

stabilizza. L’unica eccezione è costituita dall’Ungheria, dove lo sviluppo dei settori bancario e

assicurativo è risultato vantaggioso per il lavoro femminile.

- La disoccupazione delle donne fa dei passi indietro nell’Europa dei 15, mentre continua ad

aumentare all’Est, fatta eccezione per l’Ungheria.

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Si nota tuttavia che i tassi di occupazione e di disoccupazione costituiscono indicatori relativi, se si

tiene conto dell’importanza del lavoro informale nelle economie di transizione e dello sviluppo della

creazione di imprese da parte delle donne nei Paesi del Sud dell’Europa.

Due constatazioni sono doverose per la pregnanza e rilevanza del loro carattere internazionale:

- La settorializzazione molto forte del lavoro delle donne, nell’azione sociale e nell’istruzione.

- La correlazione tra questa settorializzazione e gli indirizzi di studio prescelti.

L’analisi dei dati quantitativi relativi alla situazione comparata delle donne e degli uomini nel mondo

del lavoro nei sei Paesi ideatori di STERE/O, e più largamente nell’Europa allargata, stabilisce una

divisione sessuale del lavoro che si basa su due importanti fenomeni:

- La concentrazione del lavoro delle donne negli stessi settori professionali, indipendentemente dal Paese o dalla cultura di riferimento La constatazione della segmentazione orizzontale del lavoro delle donne è da mettere in

collegamento con il loro orientamento scolastico e universitario, ma se è vero che c’è

un’interazione diretta tra queste due realtà, non si è in grado di dire dove stanno le cause e dove

gli effetti. Il comportamento in termini di orientamento determina evidentemente le scelte

professionali, mentre la realtà della divisione sessuale del lavoro influenza probabilmente le scelte

d’orientamento per effetto di rimando.

- La concentrazione delle donne nei livelli subalterni o intermedi delle gerarchie o delle professioni è una rappresentazione significativamente inferiore a quella degli uomini nei ruoli direttivi. Questa segregazione verticale del lavoro, spesso illustrata dalla metafora del soffitto di cristallo,

costituisce il secondo pilastro della divisione sessuale del lavoro.

Le differenze di remunerazione tra uomini e donne risultano dalla combinazione di questa doppia segregazione. Nonostante le specificità storiche, politiche e culturali dei Paesi membri della comunità europea e

dei sei Paesi ideatori di STERE/O, la segregazione orizzontale e quella verticale costituiscono i

due meccanismi dell’ingranaggio della divisione del lavoro tra le donne e gli uomini.

E’ quindi su questi due meccanismi che si deve poter agire, il che presuppone prima di tutto la

comprensione del loro funzionamento.

Gli stereotipi di sesso rimangono pregnanti nelle rappresentazioni delle situazioni perché

continuano a rivestire un’importanza fondamentale in un buon numero di fatti, ma non viaggiano

più in tutta impunità.

E’ la prima lezione da imparare da questa indagine.

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B ) La situazione in Italia (dati Istat, Cnel, Ocse):

Si allarga la presenza femminile nel mercato, il lavoro diventa sempre più una chiave di identità

e di sviluppo individuale importante, con un investimento alto e creativo, che si incrocia con le

problematiche di conciliazione, ma che non è più (o perlomeno sempre meno) sentito come

tradimento rispetto al ruolo prevalente di moglie e madre

1. si allarga il campo di presenza femminile in più settori, compreso quello delle nuove

tecnologie, della politica, della dirigenza in organizzazioni complesse

2. aumenta il livello di istruzione e competenza professionale delle donne nel lavoro

3. le donne entrano nel mercato e tendono a restarci fino alla pensione, con una disponibilità

sempre più forte a ricoprire ruoli anche decisionali in organizzazioni complesse

4. da un punto di vista delle trasformazioni economiche aumentano le opportunità di lavoro

per le donne, create dallo sviluppo dell’economia sociale e dalla valorizzazione delle risorse

naturali e culturali; aumentano le opportunità di lavoro create dallo sviluppo di settori

strategici e innovativi (es. terziario avanzato).

Restano tuttavia aree di criticità:

o “debolezza” e stereotipi soggettivi (nelle scelte formative e nei percorsi lavorativi,

nell’accesso e nella progressione di carriera, specialmente in alcune fasi di vita,

scarsa valorizzazione di risorse personali e professionali)

o debolezza e vincoli oggettivi (stereotipi socio-culturali che ostacolano l’accesso delle

donne al mercato del lavoro, mancanza di strutture di assistenza per l’infanzia e agli

anziani, carenza di servizi alla persona in generale, scarsità di servizi di

orientamento, formazione e informazione rivolti alle donne, in particolare rivolti alle

donne di età medio-elevata, difficoltà di accesso al credito, difficoltà

all’accompagnamento alla creazione di impresa

o nonostante più donne si presentino sul mercato, il tasso di occupazione femminile è

ancora molto basso in Italia, così come quello di disoccupazione

o nel quadro dell’indagine sul precariato, i dati più alti riguardano le donne che

occupano l’85% dei lavori part-time: dato positivo, perché questo permette

l’inserimento e la permanenza nel lavoro, nonostante il doppio carico dei ruoli

lavorativo e familiare, dato negativo in relazione all’organizzazione del lavoro attuale

che penalizza un’effettiva progressione del carriera se non nel tempo pieno

o in caso di separazione le donne sono quelle che più facilmente rischiano condizioni

di povertà

o le carriere delle donne non conoscono la stessa evoluzione di quella degli uomini

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o permangono vistose differenze salariali a parità di mansioni

Se le disparità tra uomini e donne sono relativamente poco marcate all’inizio della carriera,

esse si accentuano gravemente nel momento in cui le donne formano una famiglia. Per conciliare vita professionale, che esse non interrompono più nella maggioranza dei casi, e vita familiare, le donne sono costrette a fare delle scelte che si rivelano per la gran parte del tempo sinonimo di stagnazione e regressione di carriera.

4 ) RIPENSARE LA FLESSIBILITÀ E LA CONCILIAZIONE: RIDURRE LA SEGREGAZIONE DI GENERE.

La crescente femminilizzazione del mercato del lavoro rappresenta, una rivoluzione silenziosa ma

costante degli ultimi trent’anni ed una risorsa in quanto esprime nuove esigenze delle lavoratrici

ma anche permette loro nuove opportunità, esperienza mutevole e flessibile nell’intero percorso di

vita: importante come la cura per la famiglia e per lo sviluppo personale, percepito per la prima

volta come un investimento molto importante e creativo, come qualcosa da potersi permettere e

non più come “tradimento” di un ruolo prevalente, cioè quello di madre e di moglie.

Tali cambiamenti invitano dunque a modulare differentemente il rapporto tra lavoro e famiglia in relazione ai cicli di vita ponendo attenzione al rischio di nuove ghettizzazioni e segregazioni

femminili e cercando invece di individuare nuove strategie per produrre stabili cambiamenti

organizzativi ed influenzare le politiche aziendali e degli enti locali.

E’ quindi necessario sviluppare accordi su valori condivisi, sperimentare politiche di flessibilità attente alle differenti situazioni e valorizzare le nuove forme di lavoro che rompono le vecchie regole della contiguità temporale, come il part-time, e spaziale come il “lavoro a distanza”. Il concetto di “conciliazione” è stato introdotto come ulteriore declinazione di quello di flessibilità.

Con l’introduzione del concetto di conciliazione, gli strumenti di flessibilità esistenti si stanno

gradualmente definendo come opportunità concrete per creare una coincidenza tra le esigenze

dell’Ente e le esigenze legate alla vita privata.

La tesi che si intende sostenere nell’illustrare casi di azioni positive fondate sul principio della

conciliazione è che l’insorgere di situazioni discriminatorie in un ambiente lavorativo sia leggibile

come uno squilibrio del sistema organizzativo dannoso per il sistema stesso.

Un altro passaggio importante riguarda l’ipotesi che le situazioni sperequative siano spesso

conseguenze di un uso improprio di strumenti contrattuali, di per se stessi positivi, come ad

esempio quello della flessibilità oraria. Se si analizzano i casi di innovazioni organizzative si

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 19

verifica che sono state progettate con l’obiettivo esplicito di rappresentare un vantaggio sia per la

persona che per il potenziale Ente, e con la finalità implicita di dimostrare nella pratica come una

buona organizzazione nasca dalla valorizzazione delle risorse umane delle quali dispone, nel

rispetto delle loro esigenze e capacità specifiche.

Si è tentato di dimostrare come l’uso degli strumenti di flessibilità e conciliazione rappresenti un

vantaggio oggettivo per l’Ente, e come tale vantaggio dal piano privato si rifletta su quello

professionale, oltre a configurarsi come possibile leva di cambiamento sostanziale

nell’organizzazione del lavoro.

Un’altra caratteristica comune è la temporaneità della prestazione concordata, che risponde

all’esigenza di una reale flessibilità dei tempi del lavoro che tendono in questo modo a configurarsi

come ricontrattabili in diversi periodi della vita privata e professionale. La “ricontrattabilità” della

prestazione professionale garantisce all’Ente una capacità di risposta a legittime richieste del

personale che può in questo modo ridimensionare il proprio impegno lavorativo senza che questo

incida negativamente sulla qualità del lavoro svolto.

Maggiore flessibilità organizzativa, nuovi regimi di orari e soggettività gestionale sembrano essere i

nuovi imperativi che comportano cambiamenti strutturali nell’organizzazione e nella gestione delle

risorse umane aziendali. Un’ organizzazione che le donne vogliono più flessibile in entrata ed in

uscita e nella gestione complessiva del lavoro, con la possibilità di svolgere attività che prevedano

un orario lavorativo strutturalmente concentrato in giornate, o ridotto, ossia part-time, per

rispondere alle esigenze nate dalla maggiore complessità del lavoro di cura e per l’affievolirsi di

quegli ammortizzatori sociali che ne avevano favorito, alla fine degli anni Settanta, l’entrata nel

mercato, ponendo limiti organizzativi nella conciliabilità tra vita familiare e lavorativa.

L’adozione del part-time come soluzione, e non come fonte di emarginazione dal mercato del

lavoro, potrebbe offrire alle lavoratrici (e ai lavoratori, soprattutto se padri) modalità di lavoro

idonee alla conciliazione tra vita lavorativa e vita sociale e familiare, migliorandone condizioni

lavorative e professionali a patto però che la strada del lavoro a tempo parziale sia una scelta e

non uno sbocco obbligato e favorisca peraltro una più equa distribuzione fra il tempo per sé, per la

famiglia e per la cura ed il tempo dedicato alla produzione.

L’incontro tra la flessibilità richiesta dalla nuova organizzazione del lavoro e le donne può portare a

soluzioni positive solo se lo strumento del part-time diventa parte del nuovo modello generale di

organizzazione del lavoro; se non è legato al genere, ma ai cicli di vita personali e familiari; se è

ammesso anche nelle qualifiche medio-alte; se è legato ad una riorganizzazione e maggiore

elasticità dei servizi; se è accompagnato dalla possibilità di formazione; se si prevedono coperture

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previdenziali adeguate; se è sottoposto a negoziazione fra soggetti, soprattutto per quanto

riguarda gli orari atipici e antisociali, e se è reversibile e soggetto a contrattazione con forme

garantite di reversibilità; se sempre più la conciliazione e la flessibilità si intrecceranno con una

ridistribuzione dei carichi domestici e di cura , oggi ancora prevalentemente femminili, e riportati

nell’ambito della condivisione dei ruoli.

Questi sono gli estremi per impostare una grande sfida sulla concezione della flessibilità,

sfondando verso l’alto il vecchio modello marginalizzato e residuale (e quindi femminilizzato) del

part-time e trasformandolo in flexitime. Soprattutto se i temi della conciliazione fra vita lavorativa e

vita familiare, fra tempo lavorato e tempo vissuto non saranno più “temi di donne” ma temi legati ad

una diversa qualità della relazione vita personale/affettiva/familiare e vita lavorativa. Rompendo il circolo vizioso della conciliazione solo per le donne, e quindi residuale e marginale, e legando invece, per quanto riguarda le donne, l’obiettivo di tenere insieme il tema della conciliazione con quello della condivisione e quello del lavoro con la valorizzazione delle nuove competenze, modalità importante per far diventare contrattualmente visibile il lavoro di cura, a patto di assumerlo come bene e come onere sociale, e non come affare privato delle donne.

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5. DALLA CONCILIAZIONE ALLA CONDIVISIONE

A CURA DI PAOLA PARENTE

La Commissione Europea ha sottolineato l’importanza di passare dal tema della conciliazione tra

lavoro e cura, soltanto a carico delle donne, ad una condivisione dei lavori familiari tra i due sessi.

La Direttiva Comunitaria sui congedi parentali (Direttiva n.96/34/CE) – recepita dai vari ordinamenti

nazionali – introduce, infatti, il principio della sostituibilità dei genitori lavoratori nei compiti di cura, estendendo anche ai padri molti diritti che in passato erano riconosciuti solo alle madri

lavoratrici. La Direttiva, prendendo spunto dalle avanzate legislazioni dei Paesi scandinavi, offre

alle coppie un periodo di permesso ulteriore, se anche il padre sceglie di usufruire di parte del

periodo di estensione dal lavoro per allevare il figlio. La prevalenza in Europa di famiglie a "doppio

reddito" ha, dunque, messo in discussione il modello tradizionale basato sull'uomo unico

percettore di introiti ed ha proposto una gestione familiare con ruoli interscambiabili nelle attività

domestiche e nella cura dei figli.

Nella condivisione le donne e gli uomini vengono chiamati ad impegnarsi a realizzare insieme un equilibrio tra aspirazioni/bisogni e individualità/collettività interne ed esterne alla coppia e/o alla famiglia. Questa esigenza è molto sentita in Italia poiché i carichi di lavoro e familiari delle donne italiane

sono i più alti in Europa.

La presente guida prende in considerazione i seguenti aspetti caratterizzanti della Condivisione e

della Conciliazione:

Condivisione

• Ragionamento sulle differenze analizzando le scelte individuali di donne e uomini

• Riconoscimento sociale, culturale ed economico delle aspirazioni dei singoli alla

realizzazione di sé attraverso la costruzione di ruoli differenziati e una adeguata politica dei

redditi

• Riequilibrio dei compiti di cura all’interno della famiglia

Conciliazione

• Rapporto tra lavoro, famiglia, tempo libero solo a carico delle donne

• Divisione rigida dei ruoli maschili e femminili all’interno della famiglia

• Rappresentazione del lavoro femminile come aggiunta al reddito familiare

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• Rappresentazione stereotipata dei ruoli femminili

Più in generale, il tema della conciliazione si è fortemente caratterizzato per la ricerca di un

equilibrio tra tempi di vita e di lavoro ed ha portato ad effettuare le seguenti distinzioni: misure delle

donne e misure per le donne (e quindi i soggetti beneficiari risultano anche gli uomini); dal punto di

vista della gestione delle risorse umane, tra impegni formalizzati (quelli che nascono dal contratto

di lavoro) e impegni non formalizzati o impliciti, quelli legati alla vita privata.

Il tema della condivisione coinvolge essenzialmente la vita privata delle donne cercando un

equilibrio all'interno della famiglia.

Nel passaggio dal concetto di Conciliazione a quello di Condivisione emergono problematiche e

complessità maggiori in quanto non ci si rivolge soltanto alle donne ma vengono chiamati in causa

i singoli uomini e le organizzazioni lavorative, sociali e politiche.

Nella presentazione della Condivisione è importante analizzare e valutare gli aspetti significativi di

cui sono portatori/trici oggi uomini e donne:

• La classe di età di appartenenza

• Reddito complessivo familiare e livello di autonomia individuale

• Tipologia di lavoro (contratto, tempi, benefit, etc.)

• Classe sociale

Una problematicità esterna alla famiglia ma condizionante per la Condivisione è la strutturazione

rigida dei Servizi Pubblici (scuole, ospedali, pubblica amministrazione) e privati:

• cosa manca ai figli oggi: tempo, cura, disponibilità di entrambi i genitori, chiarezza degli

obiettivi educativi e di un investimento della coppia, percezione di armonia e tranquillità dei

tempi di condivisione

• cosa porre al centro della conciliazione: il rispetto delle nuove identità femminili e maschili

• attenzione alla responsabilità individuale e di coppia

• consapevolezza della complessità: familiare, sociale, economica, lavorativa all’interno della

coppia e nel contesto esterno

• cambiamenti nel Mondo del Lavoro e normativa contrattuale

• cambiamenti nell’organizzazione del lavoro: rigidità / flessibilità

• cambiamenti nella gestione del tempo

• i cambiamenti e la percezione di modelli di welfare su misura per donne e uomini

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Partendo dalla consapevolezza che – come ha scritto Rodotà - il mondo dei diritti di nuova

generazione “vive di accumulazione, non di sostituzioni”, il passaggio dalla conciliazione alla condivisione viene letto – in questa guida - tenendo conto di questi due precisi confini: il passato o la tradizione (l’eguaglianza, la parità e le pari opportunità); il presente e l’emersione di nuove prospettive per la gestione di una maggiore complessità familiare e sociale.

Come sono cambiati i ruoli all'interno della famiglia In alcuni studi condotti in diversi paesi appare evidente un aumento del tempo che i padri

trascorrono con i loro figli, ma si è ancora lontani dalla completa interscambiabilità dei ruoli. In

Italia, in particolare, stenta ad aver luogo una significativa ridefinizione del ruolo dei padri, che è

ancora molto legato alla tradizionale e rigida specializzazione di genere. Una recente ricerca

comparativa (Smith 2004) ha messo in luce che in Italia appena l'11% dei padri si occupa in modo

"sostanziale" (con l'espressione sostanziale l'autrice intende un impegno di più di 28 ore

settimanali) dei figli in età prescolare, contro il 57% dei danesi, il 31% dei finlandesi, il 24% dei

britannici, il 20% dei tedeschi e il 16% dei francesi. La percentuale italiana aumenta per

"necessità", quando implica una sorta di sostituzione delle cure materne. Questa situazione si

verifica quando la donna lavora e/o vi sono più bambini. Secondo la teoria delle "risorse relative"

(relative resources and bergaining theory in Lundberg e Pollak 1996) o "regola del potere" (power

rule in Thomson 1990), maggiore è l successo professionale della donna e maggiore è il suo

potere di negoziazione con i papà nella cura de figli. La cura dei padri aumenta, quindi, in caso di

assenza della madre e in questi casi il grado d coinvolgimento dipenderebbe dalle caratteristiche

delle madri, piuttosto che dai padri stessi. Ma si ipotizza anche che il maggiore coinvolgimento dei

papà possa essere correlato alle caratteristiche dei padri stessi e prescindendo da situazioni di

necessità.

Ma come i padri si occupano dei figli e come condividono con la madre le attività di cura?

Rispetto al coinvolgimento dei papà l'indagine Multiscopo "famiglie e soggetti sociali " del 1998

mette in evidenza che per le attività di cura quali: a) vestire il bambino, b) preparargli i pasti, c)

cambiargli il pannolino, d) fargli il bagno, e) metterlo a letto, meno del 5% dei padri svolge

quotidianamente queste attività, i papà anche quando si prendono cura dei figli raramente lo fanno

ogni giorno e il loro ruolo è sostanzialmente di supporto alla madre. Se per i figli piccoli si può

pensare che il ruolo preminente delle cure materne sia dovuto anche ad ovvie e giustificate ragioni

biologiche (es. nel periodo dell'allattamento), sorprende notare che la situazione non cambia in

modo sostanziale per i padri con figli fra i tre e i cinque anni, i quali anzi hanno in media un indice

più basso.

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I padri prediligono le attività che si possono definire "interattive" (ad esempio il gioco), certamente

più gratificanti dal lato affettivo e relazionale, ma al tempo stesso tali attività non necessitano una

continuità e non sono legate alle esigenze primarie (Di Giulio e Carozza 2003).

Che cosa sta cambiando e perché è importante la condivisone? Le forme di partecipazione di entrambi i genitori alle vita familiare risentono oggi di mutamenti culturali che accompagnano la genitorialità conducendola ad una maggiore consapevolezza nella

scelta di avere figli. Questo comporta genitori più disponibile e più "desiderosi" di affrontare la

nascita di un figlio con tutte le sue conseguenze, compresa quella di dedicare tempo alle cure.

Spesso è proprio il desiderio di cura che porta alla decisone di aver un figlio. I padri sentono la

necessità (dovere e desidero) di dedicare più tempo ai figli spinti anche da una pressione sociale

che li porta a cercare di essere "buon genitore".

Inoltre cresce, grazie a diversi studi (Cabrera 2000), la consapevolezza dell'importanza del ruolo

paterno nel processo di sviluppo del bambino. L'investimento emotivo dei padri e il loro

coinvolgimento nella cura dei figli si associano allo sviluppo cognitivo e allo sviluppo delle

competenze relazionali dei figli e , in generale, del benessere reciproco. Quello che una volta

sembrava un modello "naturale" di ruoli genitoriali, in base al quale i padri erano visti più come

helpers delle madri, sta oggi lasciando il posto ad un modello di co-genitorialità.

Questo nuovo modello che rappresenta una grande novità non vuole stravolgere il significato di

maternità e più in particolare il rapporto madri-fgli, ma vuole ricercare nuove modalità di

partecipazione dei padri alla vita familiare fino ad arrivare ad affermare che sta emergendo (anche

nel nostro Paese) un nuovo stile d paternità che coinvolge i papà nell'assistenza fisica ed emotiva

dei figli.

I Papà dei Laboratori di Condivisione Per i Papà che hanno partecipato ai Laboratori del Progetto Daddy condividere significa:

Dividere i compiti nella gestione della casa e dei figli

Essere d’accordo su aspetti diversi

Condividere gioie e dolori della genitorialità

Risolvere insieme i problemi di vita quotidiana

Gestire insieme le responsabilità familiari

Armonizzare i tempi di lavoro, i tempi per sé e i tempi dei servizi

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In queste dichiarazioni esiste una maggiore responsabilità nell'essere genitori che porta i Papà a

fare delle scelte condivise con la mamma (molto forte l’idea dello scegliere tutto insieme). Molti

papà tengono a sottolineare che il tempo dedicato ai loro figli è concepito, intenzionalmente, come

un tempo che va oltre il “gioco”. Il ruolo paterno non può prescindere dalla piena assunzione dei

compiti di cura. E’ normale concepire l’interscambiabilità dei ruoli, soprattutto quando entrambi i

genitori lavorano e contribuiscono economicamente al sostentamento del nucleo familiare, in

maniera assolutamente equivalente.

Tale consapevolezza non si traduce sempre in atti concreti la piena condivisione è un optimum

verso cui tendere più che una realtà e questo per due motivi:

Uno culturale: i bambini piccoli hanno bisogno delle cure materne; si afferma la tesi per cui nei

primi anni di vita da parte del bambino esiste un bisogno di maggiore “fisicità” con la madre, che

attiene soprattutto ai bisogni primari, e ciò, inevitabilmente, si riflette sulle pratiche di cura (per

esempio in determinati momenti della giornata quando il bambino/ la bambina deve addormentarsi

o quando è nervoso/a, ecc.). A parere di qualcuno, ciò non implica un’organizzazione dei carichi di

lavoro impari, ma semplicemente il riconoscimento della specificità che il/la bambino/a stabilisce

con “ciascuno” dei genitori e viceversa.

Il secondo di gestione della complessità: le donne sanno risolvere meglio i problemi e le questioni

organizzative. Alle donne viene attribuita una competenza forte che è quella della capacità di

organizzare e risolvere problemi.

“Una cosa mi sento di poter generalizzare come tipicamente femminile… un senso pratico

sconvolgente, la capacità di concretizzare subito e agire… problema? soluzione! … e invece vedo

che gli uomini “si perdono”. Un esempio su tutti: io ho passato molto tempo in casa col bambino

nei primi mesi… be’ io in queste ore non riuscivo a fare niente altro che stare col bambino! Il

bambino stava benissimo ma si fermava il mondo… invece T. riesce a fare altro… per esempio

stirare…” (L.)

Esiste poi un aspetto fondamentale, esterno alla coppia, che mina fortemente la condivisione ed è rappresentato dall'impegno lavorativo. Anche qui si distinguono due limiti: uno dovuto alla volontà di fare carriera e trovare affermazione nel lavoro, l'altro legato al bisogno economico di non perdere il lavoro o intensificare l'attività per guadagnare di più. In entrambi i casi chi dei due può guadagnare di più sacrifica la famiglia per l'impegno lavorativo.

Nella maggior parte dei casi il "chi dei due" e quasi sempre la mamma. Questo "sacrificio" è legato

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a più motivi: culturali (emergono a questo punto gli stereotipi), alla strutturazione rigida del sistema

lavorativo, all'organizzazione dei servizi. Sono più le donne che sacrificano la carriera o che scelgono di lavorare meno o di lasciare il lavoro per "fronteggiare" la nuova gestione familiare.

In ogni caso i contesti di lavoro non concepiscono la possibilità che i papà possano dividersi gli impegni genitoriali con le compagne. Su questo punto, emerso in tutti i Laboratori, la condivisione diventa un problema sociale/lavorativo ed esce dalla sfera privata.

“Non sapevano neanche che io avessi diritto all'allattamento. Mi prendevano in giro i colleghi….le

colleghe no, loro sono state contente che anche un uomo ... però … , anche tra le donne, il fatto

che un uomo prenda il periodo dell'allattamento … è un fatto strano”

“La mia primaria è una donna e ha un titolo di studio molto alto (SI PARLAVA DELL’IMPORTANZA

O MENO DELL’ISTRUZIONE E DEL LIVELLO CULTURALE PER IL SUPERAMENTO DEGLI

STEREOTIPI TRADIZIONALI), è primaria, però fa di tutto per ostacolare i congedi parentali, delle

donne, poi quando ha saputo di me ... non ne parliamo.”

In ogni caso la divisione degli impegni familiari segue i tempi e le modalità del lavoro.

“Io papà mi occupo di portare il bambino al parco…e di cucinare poiché di pomeriggio mia moglie

lavora “

Sia un padre che una madre che scelgono di non mettere al primo posto il lavoro e che esplicitano

questa loro scelta con azioni tipo “richiesta part time, rifiuto di straordinari, richiesta di congedi

ecc.” vengono visti come soggetti sui quali l’azienda non può investire. Le politiche aziendali che

penalizzano i genitori, apparendo “miopi” nei confronti delle risorse umane, non tengono conto dei

“cicli di vita” che le persone attraversano.

Essendo di fatto queste richieste più frequentemente poste dalle lavoratrici, il “disinvestimento” da

parte del management penalizza il genere femminile.

I punti di forza e di criticità per sostenere la condivisione

GLI ASPETTI CHE SOSTENGONO O CHE GLI ASPETTI CHE OSTACOLANO LA

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POTREBBERO SOSTENERE LA CONDIVISIONE

PUNTI DI FORZA

CONDIVISIONE PUNTI DI DEBOLEZZA

La necessità di vivere bene la genitorialità in

entrambi i ruoli

La scarsa flessibilità del lavoro

Una dimensione del lavoro più umana La legge è fatta solo per i lavoratori subordinati

Una diversa politica dei redditi che non

penalizzi le donne

Una cultura lavorativa che non tiene conto delle

legittime esigenze dei genitori

Una famiglia che ti sostiene mettendo a tua

disposizione il suo tempo

La troppa flessibilità del lavoro che

paradossalmente ti imprigiona

Una famiglia d’origine conciliante Lavoro impostato sui tempi di permanenza in

azienda e non sui risultati raggiunti

Una rete di amici e di vicini che ti viene incontro Strutture e servizi non adeguati alle esigenze

del lavoratore/genitore

La presenza di asili aziendali Servizi poco economici che non incentivano le

forme di assistenza

Soluzioni alternative all’asilo (mamme di giorno) Genitori molto giovani che fanno vita sociale e

non possono sostituirsi sempre

Una legge che tuteli la genitorialità anche dei

lavoratori a progetto

Genitori troppo anziani che non ce la fanno a

prendersi cura dei figli

Centri servizi che ti sostengono nella gestione

quotidiana

Cattive relazioni con la famiglia d’origine

Una maggiore diffusione delle informazioni su

servizi esistenti

Assenza di reti sociali

Un supporto alla genitorialità per aiutare le

mamme e i papà (es. Centri Territoriali per la

famiglia (ex.L. 285/97)

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6. VALORI E LINGUAGGI

A cura di Eleonora Barbieri

In questo capitolo della Guida vogliamo fornire una riflessione sulla genitorialità, ed in particolare la

paternità, a partire da come essa si esprime nei vari ambiti vissuti dai papà: nella coppia, nel

rapporto con i figli, nel sistema famiglia, nel contesto sociale e lavorativo. Tale aspetto è

importante per avviare un confronto rispetto ai vissuti e alle opinioni dei papà e delle mamme,

vissuti che esprimono, attraverso specifici “linguaggi”, i “valori” dell’essere genitori e le

rappresentazioni del proprio ruolo genitoriale per il presente e per il futuro.

E’ a partire dai valori e dai significati che diamo ai ruoli ed alle dinamiche relazionali, che possiamo

pensare di avviare o rafforzare la valorizzazione della genitorialità; sono i valori che supportano la

scelta degli obiettivi che ci poniamo: confrontarsi sui valori e sui linguaggi che li sottendono, quindi,

può aiutare a scoprire – per superare – “vecchi” stereotipi e riscoprire invece identità e ruoli taciuti

o negati ma assolutamente importanti e fondamentali se vogliamo essere pienamente protagonisti

– i papà e le mamme assieme – di una genitorialità realmente condivisa.

A partire dai Laboratori di condivisione realizzati, abbiamo potuto avviare confronti interessanti

sull’identità genitoriale vissuta nei vari ambiti famigliari – sociali e lavorativi, sulle rappresentazioni

che ognuno/a ha dell’essere papà e mamma, sui significati del relazionarsi e prendersi cura dei

propri figli.

Sono emerse molte considerazioni interessanti ed una panoramica ricca di elementi attraverso i

quali ragionare proponendo anche idee e soluzioni alternative a quelle in genere adottate dai papà

e dalle mamme.

Questo aspetto ci sembra utile per fornire non tanto delle risposte assolute (che in ogni caso non

sarebbero plausibili dato che ognuno/a vive contesti differenti) quanto piuttosto stimoli utili perché ciascuno/a possa avere un maggior grado di consapevolezza di sé e degli strumenti a propria disposizione se vuole valorizzare e condividere il ruolo genitoriale.

Innanzitutto proviamo a condividere alcuni significati e rappresentazioni della genitorialità e nello

specifico della paternità rispetto ad alcune variabili emerse dai Laboratori realizzati in Italia ed in

Spagna. Per ciascun riferimento sarà possibile quindi riconoscersi o meno nelle dinamiche che

generalmente si instaurano dal momento in cui nasce un bambino o una bambina.

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1. ESSERE GENITORI - IL SIGNIFICATO DI ESSERE PAPA’

In molti casi sia per i papà che per le mamme diventare genitori cambia il senso della vita e

comporta una grossa trasformazione con il ribaltamento della prospettiva nell’organizzazione

pratica della propria giornata e con l’intensificarsi di pensieri ed attenzioni rivolte non più a sé o al

proprio partner, ma quasi esclusivamente ai propri figli/e.

“Sono molto più responsabile, la testa ce l’ho sempre là sulla bambina, come sta come non sta...”

In tal senso anche la rappresentazione o la prospettiva per il futuro si è allargata maggiormente ed

è molto più consapevole l’esigenza di una progettualità ed una programmazione che tenga conto

di un investimento sul lungo termine a favore della famiglia/dei figli.

“....garantire il futuro ... dare una certa sicurezza per il futuro del figlio...”

Andando ad esplorare aspetti più interiori, se da un lato la genitorialità rappresenta un aspetto

rilevante della vita dell’individuo, dall’altro, rispetto alla propria identità, soprattutto per quanto

riguarda i papà, non ci sono particolari cambiamenti; non vengono riconosciuti in sé cambiamenti

sostanziali di identità, identificando come novità alcuni aspetti concreti legati al proprio tempo

libero, che subisce modificazioni e limitazioni, oppure una maggiore responsabilità, sia dal punto di

vista economico, sia più strettamente connesso ad un cambiamento personale di atteggiamento, di

comportamento; è forse la visione da parte degli altri a dimostrare che qualche cambiamento c’è

stato, e non sempre il feedback è positivo: il padre con tre figli, ad esempio, sente di essere

“compatito” da parte degli altri.

“Fin che non è nata la piccola non mi sono mai posto più di tanto il problema..”

“..A livello di identità non ci sono state variazioni direi, sotto certi punti di vista ovviamente diventi

un po’ più responsabile e analizzi un po’ più certe situazioni”

“...però secondo me sei visto in maniera diversa se sei solo genero o se sei anche genero papà.

C’è una sottile differenza, quasi impalpabile però secondo me c’è. Non è la stessa cosa...”

Grande spazio invece assume la riflessione in ognuno sui valori che ruotano attorno alla

genitorialiltà ed all’educazione dei propri figli: i disagi o la felicità personali vissuti durante la propria

crescita, le maggiori conoscenze rispetto alla crescita evolutiva dei bambini, i veloci cambiamenti

sociali, ecc... sono elementi che persuadono a capire che per i propri figli i valori di qualche

decennio fa sono impraticabili, e non c’è possibilità di riproporre i modelli genitoriali che sono stati

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vissuti nella propria famiglia di origine; di tali modelli è più sul fronte educativo che si recupera

quanto esercitato dai propri papà e dalle proprie mamme (regole, permessi, divieti...).

Anche in Spagna, il tema dei valori è molto sentito ed i padri sottolineano che riescono a

recuperare i valori ricevuti (in particolare il senso di onestà, il rispetto, la responsabilità sul lavoro,

l’ambizione...) ma li trasmettono ai loro figli in un modo diverso; infatti, colgono la positiva

evoluzione del loro ruolo che li vede maggiormente vicini ai loro figli ed in grado di esprimere

direttamente a loro anche il legame emozionale/sentimentale. Tale aspetto, in particolare, li fa

sentire “persone migliori” proprio perché sono emerse anche le caratteristiche di empatia, di affetto

e di emozione che i loro padri (anche a causa delle condizioni socio-politiche della Spagna di

qualche decennio fa) non erano in grado di far emergere.

La quasi totalità dei partecipanti dichiara di non avere riflettuto sul proprio ruolo di padre prima

della nascita del figlio, né dal punto di vista personale (comportamento, atteggiamenti, aspetti del

ruolo) e neanche su quelli che sarebbero stati i cambiamenti nella gestione quotidiana del menage

familiare. Dopo la nascita dei figli si affidano alla “capacità naturale” di gestire la genitorialità e alla

capacità di affrontare momento per momento le necessità e le richieste che di volta in volta

emergono.

“...Ci viene tutto spontaneo...”

“...Una paternità abbastanza innata...”

“...Sostanzialmente si vive la giornata...”

A differenza del ruolo di papà di un tempo, ora la percezione è di essere un papà maggiormente

responsabile rispetto all’assunzione dei ruoli di cura, vale a dire che il tempo dedicato ai figli è

concepito, intenzionalmente, come un tempo che va oltre il “gioco”. Si delinea quindi un ruolo

paterno che non può prescindere dalla piena assunzione dei compiti di cura. E’ normale quindi

concepire l’interscambiabilità dei ruoli, in particolare quando entrambi i genitori lavorano e

contribuiscono economicamente al sostentamento del nucleo familiare, in maniera assolutamente

equivalente. Viceversa se lavora solo il papà o se il lavoro della mamma contribuisce solo

marginalmente al budget famigliare (part-time, lavoro precario, ecc...) l’interscambiabilità dei ruoli è

acquisita concettualmente ma solo parzialmente attuata nelle pratiche di condivisione (supporto

alla gestione della casa, poche ore a disposizione da trascorrere con i figli/e, ecc...)

“Noi uomini abbiamo scoperto che ci sono delle cose belle nel prendersi cura dei figli”

“La figura del papà se c’è aiuta molto la donna, se il papà riesce a stare a casa di più insieme, in

due va molto meglio...”

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In generale il passaggio è avvenuto attraverso l’assunzione di un ruolo paterno molto spesso complementare a quello della madre, nel senso che quest’ultima continua ad avere il “governo”

delle attività, rafforzato dal fatto che alle donne viene attribuita una competenza forte che è quella

della capacità di organizzare e risolvere problemi. Si evidenzia quindi in un certo senso

l’asimmetria dei ruoli rispetto al tipo di responsabilità assunta, soprattutto riguardo ad alcune

funzioni di cura primaria e/o straordinaria (ad esempio la malattia del bambino/a), nonché alla

funzione definita di “regia”, cioè alla capacità organizzativa di pianificare le cose da fare. Infatti i

papà molto spesso vedono il proprio ruolo come quello che “Fa le veci della mamma quando la

mamma non c’è” soprattutto quando i bambini sono molto piccoli “È chiaro che però devi

comunque contribuire all’educazione”, di sicuro spetta al papà “..garantire il futuro … “, “Sa

sacrificarsi”, essere “Protettivo”.

“...tipicamente femminile ...un senso pratico sconvolgente, la capacità di concretizzare subito e

agire... problema? Soluzione! E invece gli uomini si perdono...”

In sintesi, il ruolo di padre si prospetta delinearsi attraverso l’apprendimento dall’esperienza e

nell’unicità dell’esperienza che ognuno vive: probabilmente non serve aver avuto altri modelli

significativi e non serve avere modelli teorici, poiché è l’esperienza contingente a determinare le

strategie di fronteggiamento della vita quotidiana.

“...è chiaro che non ci si può comportare come si comportavano i nostri nonni con i nostri padri

perché erano tempi completamente diversi. Ci si comporta in base anche a quali sono le esigenze

della società attuale in cui ci si trova...”

“Vivo la realtà al momento...”

E QUELLO DI ESSERE MAMMA.... In genere per le donne vengono percepiti grandi cambiamenti:

quando arriva il bambino/a

Con l’arrivo di un neonato in casa, l’amore e l’attenzione emergono naturalmente: si generano

nuove energie, che non si sapeva di possedere. Man mano che passa il tempo questa "energia"

diventa fondamentale per acquisire gradatamente il ruolo di genitore. Ed è proprio su questo ruolo

che, purtroppo, "grava" un carico di lavoro e di responsabilità veramente notevole.

Ogni coppia di genitori deve risolvere, al suo interno, tutti i quotidiani problemi, guadagnarsi da

vivere, pulire la casa, fare la spesa, preparare i pasti e soprattutto accudire i bambini ed

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organizzare il loro tempo. Per fortuna esistono le scuole dell’infanzia, altrimenti molte persone

dovrebbero rinunciare al loro lavoro. Essere genitori, quindi, è un ruolo molto difficile.

“poi un bimbo divide tanto la coppia, mette alla prova la coppia, almeno io l’ho vissuta così,

...quando c’è un bambino se c’è amore vince altrimenti...”

“...c’è la perdita della propria centralità...”

Le mamme, inoltre, fanno riferimento alla limitazione che viene posta dalle rappresentazioni

veicolate dai mass media che “passano modelli culturali stereotipati dove la mamma fa alcune

cose e i papà ne fanno altre e li fanno passare attraverso modelli vincenti.”

rispetto al contesto lavorativo

Molte donne sentono che l’azienda è convinta che non sono più disponibili come prima, non sono

disposte a cambiare le abitudini per venire incontro a problematiche di conciliazione.

Avanzano sensi di colpa “...ho sentito la mia situazione come un handicap che non volevo far

pesare a nessuno...”. Sentono da parte dei colleghi un certo fastidio se usufruiscono delle ore per

l’allattamento, per esempio, oppure al rientro viene loro chiesto di darsi una mossa perché per

tanto tempo non hanno fatto niente.

“al mio capo dava fastidio che avessi le ore per l’allattamento...”

“..la donna non può pretendere di avere uno sviluppo di carriera e occuparsi dei figli..”

“...sono una brava lavoratrice perché non ne ho approfittato della maternità...”

In ogni caso, spesso devono mediare con se stesse rispetto al disagio che sentono per le assenze

dovute alla cura dei figli e provano sensi di colpa indotti dagli altri lavoratori/trici nei confronti

dell’organizzazione lavorativa; sentono in tal senso che l’intero contesto lavorativo non le

percepisce affidabili.

rispetto al contesto sociale

Dal punto di vista sociale viene dato per scontato il fatto che è la mamma che si occupa del

bambino piccolo: se il bambino al nido sta male è la mamma che viene chiamata, non il papà.

La discriminazione e l’esclusione iniziano già nel periodo precedente al congedo, non si è più

coinvolte nei progetti lavorativi che partono in quel periodo.

Il passaggio dal concetto di conciliazione a quello di condivisione non si fa naturalmente, la

condivisione deve essere conquistata da parte della donna. È un fattore culturale, l’uomo deve fare

uno sforzo su se stesso per ragionare su certe cose, non gli vengono spontanee.

“...ho sempre dato per scontato che mia moglie fa la moglie e sta a casa ad occuparsi dei figli...”

“...nella cultura popolare i figli sono della mamma...e certe volte ciò mi torna comodo...”

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Le mamme pensano anche che il ruolo genitoriale femminile sia fondamentale nell’educazione dei

maschi e delle femmine al fine di far sperimentare ai propri figli modalità diverse di essere maschi

e femmine senza dover ricorrere unicamente alle rappresentazioni stereotipate di genere

“Mio marito non è stato abituato così, i ruoli nella sua famiglia di origine erano ben distinti e quindi

da grande è stato educato alla cura dei figli, da me non dalla madre. Io voglio educare i miei figli in

un altro modo, con le parole gli voglio far capire che il lavoro di cura è importante per gli uomini e

per le donne e non ci sono cose solo per femmine o per maschi”

nell’identità personale

Viene evidenziato un cambiamento non solamente a livello personale ma, soprattutto, una

diversità nel rapporto di coppia e nella relazione con il contesto sociale/famigliare di appartenenza.

“...la tua persona deve essere accantonata, la mamma viene messa in secondo piano, basta

pensare a quando la gente ti viene a trovare a casa e la prima cosa che ti chiede è il bambino...”

Già da quando nasce il bambino/bambina, la mamma percepisce che tutte le attenzioni si

spostano sul neonato/a “...e tu non conti più niente...”

Affiora la consapevolezza, inoltre, che la nascita del figlio può comportare un cambiamento anche

in termini di rinuncia, ad esempio nel lavoro.

“le madri quando lo diventano sono costrette a lasciare il propiro lavoro...”

LA CONDIVISIONE TRA LA MAMMA ED IL PAPA’

... il tempo che dedica il papà

Anche laddove i papà sentono di essere assolutamente collaborativi, in maniera molto

consapevole emerge che, comunque, l’impatto della paternità è differente da quello della maternità, in termini di tempi di vita personale sottratti a vantaggio del tempo di vita famigliare. La condivisione, dunque, non è massima, in quanto le donne continuano a sacrificare,

più degli uomini, i propri spazi. Questo passaggio non è ancora compiuto a livello culturale, ma

anche nelle storie di vita raccolte, si tende ancora in parte a ricalcare gli stessi modelli.

“se prima si usciva poco adesso si esce ancora meno...”

“noi in quanto maschi viviamo accanto a lei ma non con i suoi sentimenti, con il suo tatto...”

“la donna è sempre più presente dell’uomo nella genitorialità anche se le cose stanno

cambiando..”

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La conciliazione è vista come un dialogo, importante, per trovare un accordo sulla gestione della famiglia in generale ma anche per coordinare le attività concrete di ogni giorno, a volte portate avanti in emergenza. In Spagna si conferma questo aspetto: anche se sono più

dipsonibili ad occuparsi dei figli anche nelle situazioni di emergenza, i papà dichiarano di non

averne il tempo; loro lavorano di più perché guadagnano di più rispetto alle compagne e quindi la

scelta sulla suddivisione dei compiti è scontata. Il papà procacciatore di reddito è infatti il modello

di padre attualmente in vigore.

“prima avevi degli spazi tuoi o di tua moglie, adesso tendi di condividerli...”

“le donne lavorano di più: questo è il motivo per cui noi dobbiamo essere più presenti....avete mai

pensato a pensarvi dlall’altra parte? Solo casa e figli!...”

... la differenza di genere

Si ripropone anche la suddivisione dei ruoli dei due genitori in relazione a caratteristiche di genere

inalienabili, laddove al papà spetta (o rimane) un ruolo di supporto/aiuto alla compagna.

Questa dinamica sembra essere alimentata soprattutto da alcuni stereotipi legati alle differenze di

genere:

“Noi le possiamo vivere, condividere ma più di là, non le sentiamo come nostre, la donna ha una

sensibilità che è diversa, eventualmente anche più fragile, noi come testa ce l’abbiamo più

staccata la faccenda...”

“...La vita familiare deve avere delle regole, la moglie ha un gusto estetico bello, io no, bisogna

cercare la complementarietà...”

“...La femminilità si nota, la donna è più precisina, perfettina, il papà no, sono le stesse cose

portate avanti con modalità diverse, mio marito lava i piatti e basta io asciugo le posate, piego

bene lo strofinaccio...”

2. QUANDO E COME SI CONCILIANO I RUOLI E SI ATTIVANO PRATICHE DI CONDIVISIONE: VALORI E LINGUAGGI CHE EMERGONO DALLE ATTUALI ESPERIENZE

La variabile lavorativa

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La condivisione si realizza nei casi in cui il lavoro del padre permette un’organizzazione

temporale autonoma “il mio partner mi ha permesso di tornare a lavorare, lui di giorno si

occupava della bambina e lavorava di notte”.

Oppure con altre forme di organizzazione, ad esempio il part-time della mamma il fine settimana,

giornate nelle quali il papà si occupa totalmente del figlio.

“il pubblico favorisce la genitorialità....il mio lavoro di dipendente pubblico mi consente di

assentarmi quando il bimbo è ammalato...” “Il privato danneggia la genitorialità, non ti consente di

esercitarla come vorresti”.

In Spagna, inoltre, la variabile lavorativa ha un peso molto rilevante rispetto alla condivisione dei

ruoli: solo se il lavoro della donna “merita” in quanto soddisfacente per lei, allora la donna continua

a lavorare e trova mediazioni con il compagno per quanto riguarda la cura dei figli. Tale aspetto

però sembra essere abbastanza circoscritto. Solo da poco in Spagna, infatti, le imprese hanno

cominciato a concedere maggiori flessibilità negli orari di lavoro (oltre a quanto dovuto per legge

rispetto ai congedi parentali, per altro recente).

La variabile “tipologia di cura”: conciliazione o condivisione?

A volte avviene una interscambialità tra i genitori rispetto alle faccende domestiche e alla cura dei

figli. Il padre si considera un padre presente in quanto ha partecipato con soddisfazione sin dalla

nascita al lavoro di cura: questo avviene solo però se ha un lavoro che gli consente di gestire gli

orari in autonomia.

“io sono uno dei pochi padri fortunati che ha potuto vivere il primo anno di vita del bambino...mi

svegliavo con mio figlio lo preparavo lo vestivo...”

“io papà mi occupo di portare il bambino al parco...e di cucinare poiché di pomeriggio mia moglie

lavora...”

Gli uomini, spesso, intervengono per giocare con i figli, lottare per ottenere l’asilo-nido,

“mettere una pezza quando la madre è in difficoltà”. Vanno incontro alle esigenze della famiglia

quando hanno un lavoro che permette loro di farlo anche da casa.

In particolare la conciliazione viene vissuta come un tentativo di gestire le attività da svolgere in

famiglia (dato che gli uomini e le donne non hanno più i ruoli stabiliti come un tempo), la condivisione può essere un passo successivo in cui l’uomo fa “più volentieri” alcune cose, ma il tutto è quasi sempre riferito alle faccende di casa, ad attività operative ....

La variabile “aspettative di genere”

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 38

Spesso può avvenire che sia la mamma a richiedere/imporre la sua prevalente presenza per la

cura dei figli: questo avviene di solito quando nel proprio progetto di vita c’è “il fare la mamma”.

“...è mia moglie ad aver scelto di stare con mio figlio per i primi anni della sua vita...”

Questa propensione, viceversa, può essere assecondata volentieri dal compagno che comunque,

pur contribuendo in parte alla cura del figlio, ritiene che esistono dei ruoli diversi ben definiti tra

padre e madre.

“...non sono d’accordo sul fatto che dobbiamo essere equivalenti...fino ai tre anni alla fine che il

padre ci sia o non ci sia è uguale...”

“la mamma la vedo più idonea, io lo posso fare ma sicuramente non riesco come fa lei, è

programmato nel DNA, la donna e l’uomo hanno compiti diversi, le donne sono più pazienti, siamo

nati donna e uomo per qualcosa...”

Spesso le donne sentono di avere, anche in presenza di padri che aiutano, la totale responsabilità

nell’organizzazione del lavoro di cura (di tutta la famiglia).

“sono intercambiabili tutte le cose che riguardano i figli ma non quello che riguarda la

casa....perchè ha degli standard così alti...”

La variabile sociale

Soprattutto la complessità dell’esistenza nella società in cui appartengono rende necessaria una

notevole flessibilità e interscambiabilità di ruoli all’interno della famiglia: i padri, tendono oggi a

lasciare spazio in alcune delle aree che erano di loro esclusiva competenza, dedicandosi a quelle

funzioni affettive che in passato erano delegate quasi totalmente alla figura materna. Le madri,

rinunciando in parte all’esclusività del rapporto con i figli, hanno maggiori possibilità di

realizzazione personale all’esterno della famiglia.

“essere in due fa diminuire l’ansia, non solo condivisione del tempo ma anche delle responsabilità

nelle prese di decisione...”

“i tempi sono cambiati e le donne non si occupano più solo della casa: il ruolo dell’uomo genitore è

cambiato in base a questo aspetto..”

Questo non senza difficoltà da parte di entrambe le figure.

I genitori di oggi risolvono il loro compito provando e riprovando, andando per tentativi ed errori.

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Gli attuali genitori, si trovano a vivere esperienze nuove rispetto al passato, cominciando dal fatto

che si trovano più facilmente soli ad affrontare la responsabilità della crescita dei figli.

“i nonni iniziano a pensare che il marito si possa occupare dei pasti...”

“a fine settimana ci si siede a tavolino e si parla di come è andata e di come andrà...”

“certe problematiche adesso noi le viviamo come coppia singola con molti più problemi di una volta

quando una famiglia era formata da 11/12 persone...”

La variabile biologica

Si fa largo la tesi per cui nei primi anni di vita da parte del bambino esiste un bisogno di maggiore “fisicità” con la madre, che attiene soprattutto ai bisogni primari, e ciò,

inevitabilmente, si riflette sulle pratiche di cura (per esempio in determinati momenti della giornata

quando il bambino/ la bambina deve addormentarsi o quando è nervoso/a, ecc.):

“il mio rapporto con mio figlio è improntato sulla base della complicità...ma molto spesso nel

gioco...invece la mamma la cerca in tutto!!!”

A parere di qualcuno, ciò non implica un’organizzazione dei carichi di lavoro impari, ma

semplicemente il riconoscimento della specificità che il/la bambino/a stabilisce con “ciascuno” dei

genitori e viceversa.

“il bambino ha dei momenti durante la giornata in cuoi vuole stare con il padre e dei momenti in cui

vuole stare con la madre...nel mondo del bambino ci sono tempi e modi per stare con lui o con

lei..” La fisicità per i papà si esprime, invece, in forme altre di intimità, soprattutto nel contatto

stabilito attraverso il gioco: tali momenti si posticipano, quindi, rispetto al momento della nascita.

4. ESSERE GENITORI RISPETTO AL CONTESTO LAVORATIVO E SOCIALE: LE VARIABILI VALORIALI

Il valore del lavoro: la variabile contratto di lavoro

...se precario

Quando i papà sono “professionisti” precari, con un livello culturale medio-alto, possono avere

compagne con contratti precari o con lavori più stabili, ma in generale si tratta di uomini che

trascorrono/hanno trascorso periodi più o meno lunghi della vita e della vita lavorativa a casa,

facendosi carico anche della gestione dei propri bambini.

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Ciò che emerge diffusamente è che:

- sono consapevoli del pari diritto delle donne ad una realizzazione personale e professionale;

- quando vi sono opportunità lavorative, sono maggiormente esonerati dai carichi di lavoro

familiare; al contrario, le donne che lavorano dedicano praticamente tutto il proprio tempo residuo

al lavoro domestico e di cura, secondo lo schema classico del “doppio lavoro”;

- la questione centrale, in questa tipologia di coppie, non è tanto legata alla divisione del lavoro

quanto quella del diritto al lavoro, per gli uomini, quanto per le donne.

“per me era normale accompagnare mio figlio il primo giorno di asilo e ieri non era necessario...ma

io sono andato...”

“per motivi di organizzazione famigliare sono stato molto presente nel primo anno di vita di mia

figlia...”

“io voglio che lei continui a lavorare, il lavoro le piace ed è importante per il suo modo di essere...”

In questo senso viene posta come prioritaria la questione dell’accesso agli stessi diritti di cui usufruiscono i padri/ le madri dipendenti e/o con un lavoro più o meno stabile, a maggior ragione laddove il luogo in cui vivono tali famiglie non offre servizi adeguati o sufficienti a supporto delle famiglie.

A fronte della nuova condizione di paternità, da una parte l’idea del lavoro si relativizza, dovendo

lasciare spazio anche ad altri impegni familiari “da conciliare”, dall’altra, diviene meno pregnante

nella sua componente autorealizzativa, tendendo a privilegiare quella strumentale.

... se dipendente o autonomo

Nella maggior parte dei casi, i papà con un lavoro dipendente danno priorità al proprio lavoro

soprattutto giustificato dal fatto che a parità di contratto, hanno migliori opportunità economiche e

di flessibilità rispetto alle loro compagne. Anche in Spagna si conferma questa dinamica.

Anche rispetto al lavoro autonomo la variabile reddito e flessibilità gioca un ruolo importante.

Il papà lavoratore dipendente, inoltre, solo in pochi casi conosce o vuole usufruire delle opportunità

di congedo parentale; chi ne usufruisce, nella maggior parte dei casi lo fa per “necessità” di

alternarsi alla mamma nella cura del bambino/bambina perché la compagna non può permettersi

l’assenza dal lavoro, o per problemi di salute della stessa o per problemi gravi di salute del

bambino/bambina che necessitano di una maggior presenza di entrambi.

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...se viene usufruito il “congedo parentale”

In ambito lavorativo, come riscontro esterno relativo all’esperienza del congedo parentale, viene

rilevata una lettura negativa, in quanto il congedo viene visto come un sistema per prendersi una

vacanza o per fare un secondo lavoro. “il primo pensiero degli altri poteva essere “ecco se ne

approfittano per stare a casa comunque remunerati”; “la gente mi vedeva stare a casa: ma beato

te” “sono stato un bel pezzo la pecora nera...”

I partecipanti ai laboratori non hanno rilevato un cambiamento nei rapporti con i colleghi o le

colleghe di lavoro in riferimento al loro essere padri; in realtà tendono a non relazionarsi a livello personale all’interno del posto di lavoro e di conseguenza neppure come genitori.

Un confronto con i colleghi emerge nel momento in cui si usufruisce delle agevolazioni della Legge

53. In questi casi sorgono alcune incomprensioni dovute alla scarsa conoscenza della Legge e da

una lettura superficiale dell’utilizzo delle opportunità che la legge consente: spesso ne viene data

una lettura pregiudiziale, tendente a considerare “furbi” ed “opportunisti” i papà che ne

usufruiscono. Nel complesso sembra però che questo sia dovuto anche ad una scarsa o nulla comunicazione tra i colleghi su tale scelta. “io da maggio a novembre sono sempre stato

additato come uno che è sempre stato a casa due ore, ma chissa perché due ore..”

Il valore del lavoro: la variabile struttura organizzativa di appartenenza

Sono molto diversificate le esperienze rispetto alla propria struttura organizzativa di appartenenza

e nei linguaggi utilizzati, i papà fanno spesso specifico riferimento ai valori e alla disponibilità che la

propria azienda ha nei confronti dei collaboratori:

“...niente da dire rispetto all’azienda....sempre ineccepibile ogni volta che ho avuto bisogno...”

“...l’azienda, nella persona della direzione Risorse Umane, è sempre stata molto disponibile...”

oppure

“...a quelli là non gliene interessa niente che io ho il bambino a casa ammalato...”

“se devo scappare perché l’asilo ci ha chiamato ... mia moglie il suo capo non la fa uscire... io sono

in giro col furgone, vado a prenderlo, in azienda neanche lo sanno...”

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Nel primo caso la maggioranza dei partecipanti esprime un buon grado di soddisfazione nel

rapportarsi con la struttura che in genere, però, è già abbastanza sensibile alle problematiche di

gestione famigliare, a partire ad esempio dall’utilizzo delle opportunità della Lg53.

Nel secondo caso, invece, può essere che il buon rapporto si abbia ad un livello inferiore, nel

ristretto gruppo di lavoro, dove a volte si può riscontrare comprensione e disponibilità

nell’agevolarsi a vicenda, ad esempio con cambi di turno o con sostituzioni.

Il valore della propria sfera sociale:

la variabile “rete sociale di appartenenza”

La discussione nei vari Laboratori, rispetto al proprio vissuto di genitori esternamente alla famiglia,

non ha portato ad una analisi di come vengono visti dall’ambiente esterno nel ruolo di genitori,

quanto piuttosto ad un esame dei contesti in relazione al supporto o meno alla genitoralità.

Soprattutto il contesto sociale/culturale è stato fonte di molte riflessioni e considerazioni; si tende a considerare negativo il cambiamento riscontrato confrontando le famiglie d’oggi rispetto alle famiglie allargate di un tempo, la necessità di controllare i figli (per il traffico, la

delinquenza,ecc.) rispetto alla libertà di movimento permessa dagli spazi aperti, e al

controllo/accudimento che una volta veniva esercitato dalla comunità.

“poi di questi tempi devi stare attento ad avere duemila occhi...” “una volta potevi lasciare andare i

bambini sul cortile...adesso come fai?” “

la variabile “vita sociale ed aspetti economici”

Ancora nel contesto sociale, i genitori sono consapevoli e rammaricati di non riuscire a mantenere una vita pubblica più attiva senza penalizzare la famiglia.

Emerge inoltre un disagio che coinvolge aspetti economici e nuovi stili di vita, interconnessi, che complicano ulteriormente la gestione familiare.

Ulteriore disagio viene espresso da quegli uomini che, nel fare i papà “all’aperto”, si sentono “penalizzati” quando in determinati contesti o situazioni trovano presenti molte (o solo) mamme. (Es. vaccinazioni, al parco, dal pediatra, ...)

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Le testimonianze dei partecipanti, invece, sono generalmente positive rispetto ad alcune

restituzioni avute dall’esterno, sul loro ruolo di padri, quando sono consapevoli, soprattutto se

usufruiscono del congedo parentale, che alcuni aspetti del loro essere papà oppure il fatto di

esserci in alcune situazioni è importante; anche se la loro presenza viene vista come “particolare”,

“anomala” in questo caso ne sono generalmente orgogliosi piuttosto che infastiditi. Tale aspetto si

esplicita in ambito amicale, in ambito famigliare ma anche nel conteso sociale in generale.

Specifici riferimenti inoltre vengono fatti rispetto a quanto la scuola oggi possa giocare un ruolo

incisivo e decisivo nell’educazione dei bambini perché è a contatto con loro gran parte della

giornata, dato che spesso i genitori per questioni lavorative sono entrambi assenti, ma la scuola

stessa a volte tende a perpetrare stereotipi di genere nei confronti dei bambini. “Come attività

sportiva la scuola di mia nipote faceva fare il calcio per i maschi e la danza per le femmine, lei

avrebbe voluto giocare a calcio ma non ha potuto”.

Il valore della propria cultura: la variabile contesto in cui si vive

Nelle varie situazioni famigliari che si sono delineate nei Laboratori, emerge senz’altro

l’importanza e la differenza che a volte possono fare le diverse culture di appartenenza. La

propria cultura di origine porta a volte con sé modelli e vissuti che si differenziano da quelli ritrovati

nell’attuale nazione in cui si vive e si lavora.

... uno dei due genitori proviene da una nazione/cultura diversa

Quando la mamma proviene ad esempio da un paese anglosassone, il modello della mamma che

si prende cura in modo esclusivo dei figli e della casa salta immediatamente.

“io per esempio tante volte rompo le scatole a mia moglie perché...lei odia per natura stirare, però

è una cosa che qualche volta faccio io...all’inizio io dicevo “Ascolta: ma c’è una bella montagna di

cose da stirare, datti da fare...!”

“...torno a casa stanco da lavoro...lei è sul divano e mi dice “Amore per favore mi prepari una tazza

di te?”.. “

Sono evidenti anche le differenze tra le varie nazioni rispetto alle variabili economiche, le

sovvenzioni dello stato, i servizi messi a disposizione sia dal pubblico che dal privato... e la

discussione in merito nella coppia può agevolare scelte lavorative o nello stile di vita.

“in Inghilterra, che è cara di suo, i vestitini ed il latte per i neonati costano molto meno che da noi...”

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“...in un bagno normalissimo abbiamo trovato il bagno per i maschi, quello per le femmine e la

nursery separata...così non avevo l’imbarazzo di entrare nel bagno delle donne con mia figlia...”

“...per allattare, molti negozi hanno la saletta apposita...”

... entrambi i genitori provengono da una nazione/cultura diversa da quella italiana

Ancora più complessa e ricca di confronti è la situazione in cui entrambi i genitori provengono da

nazioni diverse da quella italiana ed addirittura sono diverse le loro culture di appartenenza:

l’intreccio di modelli genitoriali della coppia fa emergere immediatamente la sua eventuale capacità

o meno di mediare, negoziare e condividere.

“altra cosa invece mia moglie perché lei dice “no, a me non interessa cosa mi è stato insegnato, io

penso in questa maniera e quindi mi comporterò in questa maniera...”

Inevitabilmente però si rileva, anche grazie a questa variabile emersa, che la rete sociale a

sostegno, i servizi pubblici e privati del territorio e le condizioni lavorative ed economiche delle

persone sono aspetti assolutamente imprescindibili dalla possibilità per le coppie di agire

dignitosamente i propri ruoli individuali, genitoriali, sociali, ecc...

“io non ho avuto....fino adesso, perché da noi leggi sono un po’ diverse, il mio bambinio è disabile

però non ha nessun tipo di assegno disabile perché papà non ha una carta di soggiorno ...

bisognerebbe aspettare sei anni...”

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PUNTI DI CRITICITÀ Rileggendo criticamente quanto emerso dai laboratori proponiamo di seguito alcuni aspetti che

meritano una attenzione specifica e per i quali verranno forniti punti di osservazione diversi, al fine

di ridurre il rischio che alcune pratiche di cura della famiglia si sedimentino su singole modalità.... e

di far emergere invece altre soluzioni che potrebbero condurre a migliori pratiche di condivisione, a

beneficio del ruolo paterno/materno, a beneficio della coppia stessa e soprattutto a beneficio dello

sviluppo del bambino/della bambina all’interno della famiglia.

Spesso, infatti, nel linguaggio utilizzato e nelle scelte valoriali si nascondono alcuni stereotipi che minano la concezione e le pratiche di condivisione.

Questo vale per i papà, soprattutto, ma anche per agenzie e negoziatori se vogliono realmente

supportare l’esercizio del ruolo paterno ed incentivare reali pratiche di condivisione della

genitorialità. Molte delle difficoltà che i papà e le mamme incontrano nel “condividere” appieno

valori e pratiche nella cura dei figli, infatti, non risiedono solo negli stereotipi di genere o nel voler

mantenere a tutti i costi il “potere” che il proprio ruolo consente (chi rispetto all’organizzazione della

famiglia, chi rispetto alla gestione del proprio tempo...).

Si tratta anche di oggettive “costrizioni” che provengono dall’organizzazione del lavoro e dall’assenza/presenza limitata di servizi a supporto della genitorialità: differenze salariali tra

uomini e donne, negative ripercussioni contrattuali/psicologiche per scelte più consistenti a favore

della famiglia, costi sostenuti per i servizi all’infanzia (oltre che alla difficoltà di accesso agli stessi),

fino ad arrivare a scoprire una reale mancanza a priori di corrette informazioni sui diritti alla

genitorialità che minano ovviamente la crescita di una cultura di condivisione, questi sono alcuni

dei principali problemi denunciati dai papà e dalle mamme che hanno partecipato al progetto.

Proviamo, quindi, ad individuare alcuni elementi che ci permettono di portare in luce stereotipi o

consensi sociali, legittimati nel tempo perché validi probabilmente per la cultura di allora ma che in

quella attuale risultano stridenti; successivamente presentiamo alcune indicazioni per riflettere

sulle proposte che la letteratura attuale propone, provare a “vedere” alcune dinamiche da una

prospettiva diversa, avviare un confronto rispetto alle specifiche esperienze di ognuno/a,

allargando la riflessione sia ai papà che ai Negoziatori (Sindacato, Aziende, Responsabili Risorse

Umane, ...) che alle Agenzie (Province, Comuni, CPI, Sportelli e Associazioni dei genitori,

Consigliere Pari Opportunità, ...).

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SI DICE CHE:

La mamma ha un insostituibile legame corporeo con il bambino/la bambina, comunque

superiore a quello che può avere il papà.

La fisicità per i papà si esprime in altre forme di intimità e questo avviene soprattutto nel

contatto stabilito attraverso il gioco.

Il bambino/la bambina ha bisogno solo della mamma in alcuni momenti specifici (quando è

appena nato/a, quando è ammalato/a, quando piange, quando deve addormentarsi, ecc...).

Le donne sono più capaci di programmare e governare il lavoro di cura, per cui gli uomini,

anche se collaborativi, rivestono spesso un “ruolo complementare”.

Soprattutto per quanto riguarda i papà, quando nasce un bambino/a non avvengono particolari cambiamenti, in particolare in termini di identità personale.

In genere i papà non riflettono sul proprio futuro ruolo di padre prima della nascita del

figlio/della figlia.

La suddivisione dei ruoli dei due genitori avviene in relazione alle caratteristiche di genere

che sono prestabilite e supportate dal consenso sociale.

La conciliazione delle attività di cura della famiglia e la condivisione della genitorialità si

riferisce soprattutto alla necessità di organizzare e gestire le faccende di casa, le attività

operative e concrete che nel quotidiano attengono al menage famigliare.

E’ difficile per i papà relazionarsi rispetto a questo ruolo nel contesto lavorativo.

Nell’idea comune di genitorialità, il genere comporta “per natura” la suddivisione dei compiti, ed

un comportamento paterno che contraddice tale senso comune non trova altro riconoscimento

linguistico se non nel termine “mammo” che di fatto risulta al contempo canzonatorio rispetto

alle partiche di cura messe in atto e prefigura il fallimento della parternità.

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MA BISOGNA SAPERE ANCHE CHE ...

Né la donna né l’uomo nascono già “mamma” e “papà”.

Ha un valore fondamentale per lo sviluppo psico-fisico la figura paterna e questa è

centrale come riferimento nella vita affettiva, educativa e sociale tanto del bambino

quanto della bambina.

È oramai assodato che anche un papà, contro lo stereotipo dell’uomo “imbranato” coi

bambini, è in grado come una mamma di accudire perfettamente i figli.

Ognuno ha un ruolo specifico:

bisogna fare attenzione a distinguere tra “funzione” e “ruolo”. Le funzioni sono

interscambiabili i ruoli no: la cena può essere preparata indifferentemente dalla mamma

o dal papà; invece il papà che cambia il pannolino, gioca o dà da mangiare al figlio/figlia

non sta facendo le veci della mamma ma sta esercitando appieno il suo ruolo: quando

il papà fa una cosa col bambino, anche se lo pensa, in realtà non sta aiutando la mamma ma sta facendo il papà!!! (è importante quindi che ci sia una piena

consapevolezza di questo aspetto perché ovviamente il “come” interagisce il papà in

questi momenti è importantissimo; significa trovare una modalità specifica di relazione,

non necessariamente (anzi!) le azioni del papà devono essere la “copia” di quello che

fa la mamma...).

“...la mano del papà è diversa da quella della mamma. E proprio qui sta il bello, sembra

dire il bambino!”: questo significa mettere in discussione il principio secondo il quale

“certe cose” le sa fare meglio la mamma (se questo implica che quindi le deve fare lei

per forza); piuttosto la mamma agisce diversamente ...

Nelle teorie dell’attaccamento la “reciprocità è la dimensione dominante nel processo di

accudimento...solo dando, un genitore riceve dal proprio cucciolo energia ed elementi

che lo mantengono in gioco”...

Sempre rispetto all’attaccamento...”se il padre non compare sulla scena, egli in nessun

modo diverrà figura di attaccamento” tanto più che la relazione di attaccamento

comincia molto prima che il bambino venga al mondo e per questo è auspicata la

presenza del papà al momento della nascita e la sua presenza a casa per le prime

settimane ... questo consente di creare un clima meno stressato che permette al

neonato di avere ritmi alimentari e sonno-veglia migliori.

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Instaurare una relazione fisica è importante per creare una relazione solida tra bambino

e papà: le coccole fin da piccoli non significa viziare ma .... non occorre aspettare l’età

del gioco quindi....è importante rompere le barriere che ostacolano la vicinanza dei

corpi (anche se questo aspetto molte volte ingenera ansie, paure e tabù soprattutto

rispetto al rapporto papà/bambina: le coccole sono invece l’espressione di tenerezza

per far sentire il bambino/la bambina importante e speciale...).

Attenzione ai ruoli stereotipati

E’ forse più presente nell’uomo che nella donna la tendenza ad identificarsi soprattutto

nel ruolo “sociale” che prevalentemente è dato dal proprio lavoro, forse la prospettiva

della nascita del figlio mette in discussione quanto già acquisito e consolidato...e che

non si vuole perdere: è abbastanza difficile quindi conciliare...

È meno presente una rappresentazione sociale del “papà che lavora”... esiste “il

lavoratore” e questo può diventare una scusa/difesa per non mettersi in gioco: è

importante quindi cominciare ad assumersi responsabilità e gioie associate al

cambiamento che deriverà dalla nascita del figlio...condividere questi momenti con la

propria compagna rinforza la relazione con lei ....

La dimensione emotiva, inoltre, spesso è vissuta in solitudine, senza condividerla con

altri ... è come se la dimensione emotiva costituisse un aspetto della paternità di cui non

si deve o non si può parlare...

Attenzione anche da parte delle mamme

Per quanto il bambino possa dimostrare maggior piacere ad essere “curato” dalla

mamma sta anche alla mamma sollecitare il compagno a continuare le operazioni

anche se il bambino piange....è così che si acquisiscono le competenze per la cura del

bambino ed è così che si conquista un ruolo specifico..ed il bambino si potrà rivolgere

in maniera distinta per alcune azioni solo al papà o solo alla mamma...”le mamme non

ne sanno di più o di meno... è che non smettono mai di provarci. A volte, vista la

latitanza dei padri, sono obbligate a farlo.”

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È un diritto dei papà prendersi cura degli aspetti pratici fin dai primi giorni (fare il

bagnetto, cambiare il pannolino, ecc...) sta anche alle mamme lasciare lo spazio ai

papà per acquisire queste competenze...

I momenti di paura o dolore del bambino sono gestiti dalla mamma non perché lei sia

più brava ma spesso è perché il papà non sa cosa fare (manca l’esperienza...questione

di esercizio...) in questo modo continua a mantenersi stabile la percezione che il papà

in alcuni frangenti è incompetente ed inefficace...

Attenzione a come si interagisce con i bambini/e

È un diritto anche dei papà trascorre quanto più tempo possibile con i propri

bambini/bambine e... bisogna imparare anche a dire dei no a quelle richieste/attività

che spostano il focus all’esterno della famiglia...

Viceversa non è esclusivo compito del papà dettare le regole e le dinamiche di

negoziazione delle stesse...attenzione però che il ruolo “normativo” non venga più

assunto da nessuno: è in questi aspetti che si vive la condivisione come dimensione

intima della genitorialità, nel fare delle scelte valoriali condivise che permettano ad

entrambi i genitori di “rispondere” efficacemente alle sollecitazioni dei figli anche nei

momenti di crisi, ecc... Nei laboratori realizzati in Spagna, ad esempio, è emerso un

aspetto molto interessante: ai papà non piace che le mamme usino il ruolo paterno

come “sanzionatorio”, ad esempio quando dicono ai bambini “...attento, sennò lo dico a

papà...” “vedrai quando torna papà”, ancora più negativa ritengono la cosa quando i

papà sono contestualmente presenti.

La vicinanza con i bambini e le bambine è possibile inoltre per entrambi i genitori se

l’adulto sa mettersi alla loro altezza in tutti i momenti di interazione.

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RISPETTO AI PAPÀ, QUINDI, SONO IMPORTANTI ALCUNE CONSIDERAZIONI:

L’assunzione del ruolo è legata alle scelte che la coppia genitoriale compie.

A volte i padri interpretano il proprio ruolo, assumendo un modello già conosciuto che li induce ad autolimitarsi.

Anche le donne, talvolta, tendono a ricalcare questi modelli, confermando il vissuto di

“non competenza” degli uomini.

La ricerca sul campo, gli studi ed i modelli proposti rispetto alla condivisione della

genitorialità, mostrano che è possibile scardinare alcune delle idee/stereotipi che anche

inconsapevolmente ci si porta nella pratiche quotidiane.

Anche il padre può instaurare un legame corporeo con il figlio/ la figlia I papà possono

imparare a non avere timore di cambiare il pannolino, dare la pappa, fare il bagnetto, far

addormentare…

Nei momenti critici il bambino/la bambina ha bisogno di chi sappia prendersi cura del suo

bisogno specifico. Sia le mamme che i papà possono imparare a riconoscere i bisogni nella relazione empatica.

Il contatto tra papà e bambino può essere stabilito in molti modi e la fisicità non necessariamente deve aspettare i tempi di crescita del bambino/bambina in cui

l’interazione avviene attraverso il gioco.

Il governo delle funzioni può essere condiviso a monte nelle contrattazioni che la coppia

stabilisce, in una pari divisione del lavoro. Si impara a non delegare quando si impara a

condividere anche un metodo per la determinazione delle scelte.

La propria identità ha molteplici aspetti, non esiste solo l’identità sociale/lavorativa: elaborare ed esprimere i vissuti intimi ed emozionali, quindi, permette di mettere in luce e

valorizzare altre componenti della propria identità che esistono in virtù dell’essere

compagno e padre.

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INDICAZIONI PER I papà

Riconoscere che anche nel rapporto tra padre e bambino può instaurarsi empatia corporea.

Riconoscere l’esclusività di ciascuno dei ruoli, seppure nell’esperienza del “noi” familiare.

Riconoscersi la capacità di prendersi cura del bambino anche nei momenti di crisi (es:

malattia).

Aprirsi alla conoscenza e alla consapevolezza dei diritti di conciliazione e condivisione, anche

attraverso la partecipazione ad eventi che elaborano tematiche sulla famiglia.

Considerare il proprio ruolo “maschile” fondamentale nella costruzione dell’identità dei propri

figli (femmine e maschi) fin da quando sono molto piccoli e non solo come sostituto della

mamma/procacciatore di sicurezza economica.

Supportare le proprie compagne rispetto ad un loro auto-riconoscimento complessivo delle

proprie competenze che non si esauriscono solo con la cura minuziosa della casa o

l’allattamento del neonato (motivo per cui a volte su tali aspetti viene esercitato particolare

controllo per non perderne il potere).

Imparare a comunicare efficacemente con la propria compagna in maniera tale da

“condividere” innanzitutto valori e linguaggi, che successivamente possono supportare la

condivisione di pratiche in maniera equivalente nella coppia.

Avviare confronti anche strutturati con chi è gia genitore, in virtù del fatto che si possa

apprendere dall’esperienza, oltre che dall’istinto innato.

I negoziatori

Promuovere una cultura dell’organizzazione del lavoro flessibile ed una effettiva

intercambiabilità tra Uomini e Donne.

Promuovere una cultura delle buone relazioni sindacali a favore della conciliazione e della

condivisione.

Promuovere una cultura della condivisione a partire dalla riflessione sui valori genitoriali e

l’utilizzo di linguaggi appropriati a tale fine.

Favorire e sostenere pratiche di condivisione sia in termini economici che di flessibilità

nell’organizzazione del lavoro.

Rivedere l’equazione oramai superata tra quantità di orario lavorativo e qualità della

performance lavorativa, dato che molto del tempo sottratto alla vita personale e alla cura della

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 52

famiglia dipende dai tempi a volte eccessivamente allargati o addirittura inutili da riservare per

stereotipo all’ambito lavorativo.

Rafforzare una cultura della condivisione nelle realtà locali piccole (es.: localizzazione in

provincia, lavoro dei papà in imprese piccole, ...) poiché è ancora più radicata una visione della

famiglia con ruoli rigidi e stereotipati.

Sensibilizzare al concetto di condivisione non solo come suddivisione più o meno equa delle

attività domestiche, ma come cura e coinvolgimento in senso lato nella famiglia, in un’ottica

sistemica.

Prevedere forme di riconoscimento a supporto della famiglia adeguate: al di là dell’aspetto

economico in sè, ad esempio, gli assegni famigliari nelle buste paga vengono considerati

ridicoli rispetto al significato che dovrebbero avere.

Agevolare la presenza a casa dei papà nelle prime settimane di vita del bambino (vedi

esempio in Svezia: i papà hanno il permesso di astensione dal lavoro retribuita per almeno 10

giorni).

Le agenzie territoriali

Promuovere nuova cultura della contrattazione del tempo per la conciliazione attraverso

campagne informative.

Promuovere una cultura del diritto individuale non antagonista al diritto collettivo sulla

conciliazione e condivisione.

Sensibilizzare il territorio rispetto al concetto di condivisione attraverso la circolarità delle

informazioni ed un più facile accesso alle medesime.

Favorire la presenza e la permanenza delle donne nel MdL, ma anche nell’associazionismo e

negli organismi di rappresentanza.

Patrocinare o realizzare attività a sostegno della diffusione di una cultura di parità innanzitutto

e quindi anche di condivisione della genitorialità in un’ottica sistemica.

Coinvolgere la stampa letta dagli uomini e le riviste maschili nel promuovere e diffondere

informazioni e una cultura di condivisione.

Sorvegliare i messaggi pubblicitari a scapito degli stereotipi che ostacolano la genitorialità

condivisa.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 53

Bibliografia del capitolo

Lo Sapio G., (2005), “Se non è grande che babbo è”, Armando ed., Roma

Sellenet C., (2005), “Nuovi papà...bravi papà”, RCS Libri, Milano

Pellai A., (2004), “Nella pancia del papà-Padre e figlio: una relazione emotiva”, F.Angeli, Milano

Bortolotti N., (2005), “Neomamme allo stato brado” Un ritratto lucido e ironico della maternità,

Baldini Castoldi Dalai editore, Milano

Antilogus P., Festjens JL., (1991) “La guida del giovane papà”, E.D.T., Torino

Saraceno C., (2005), “Paternità e maternità. Non solo disuguaglianze di genere”, Atti del convegno ISTAT La Paternità in Italia, 20 Ottobre 2005

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7. NEGOZIARE E CONDIVIDERE

A cura di Tiziana Mangarella

I cambiamenti strutturali e culturali della società contemporanea determinano una ridefinizione dei

modelli familiari, che si orientano sempre più verso la flessibilità e l’interscambiabilità dei ruoli

genitoriali. Il mutamento sociale in atto è effetto di un duplice movimento: il primo, già avviato da

diversi decenni, che vede le donne premere per entrare nel mercato del lavoro, diventando

produttrici di reddito; il secondo, più recente, che vede gli uomini farsi maggiormente carico delle

responsabilità familiari e del lavoro di cura.1

A ciò si aggiunga che cambiano gli scenari dentro cui tali dinamiche si esprimono: da una parte

aumenta la solitudine delle coppie nel sostenere le responsabilità familiari, non potendo più

contare sulla “famiglia allargata” e sulla funzione della “comunità”, ma neppure su politiche in

grado di fornire risposte esaustive in termini di programmazione dell’offerta di servizi; dall’altra,

muta la struttura del mercato del lavoro, introducendo le figure degli “atipici” privi di alcuni diritti -

che consentono l’accesso alle tradizionali forme di conciliazione - riservati ai lavoratori “standard”.

Come tutto ciò venga gestito nella vita quotidiana, attiene alla capacità di trovare risposte, spesso

procedendo per tentativi ed errori, talvolta scontrandosi, più spesso mediando tra scelte valoriali e

possibili soluzioni a bisogni concreti. I processi di negoziazione sono, pertanto, intrinseci a quelli

di condivisione all’interno della coppia.

Gli uomini e le donne scelgono e agiscono in relazione a quelle che sono le proprie

rappresentazioni dei ruoli e dei modelli familiari. Ma anche un sistema familiare “a regime” può

essere messo in crisi dall’arrivo di un figlio, poiché questo evento turba l’equilibrio precedente.

“I primi tempi sono stati terribili… ma poi è andata bene… abbiamo dovuto lavorare molto “noi”.

La condivisione nel nucleo familiare è il risultato della ricerca di un equilibrio non scontato nella ri-

definizione dei ruoli, che presuppone:

- la ricerca di un accordo di massima rispetto alla gestione delle responsabilità familiari e alla

risoluzione di alcuni problemi di vita quotidiana

1 Cfr. Saraceno, C, “Usi e abusi del termine conciliazione”, Economia & lavoro - Anno 2006, fascicolo 40, n.1 pp. 31-34

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- l’esistenza di risorse/ vincoli interni ed esterni alla coppia (tempi di lavoro, reti di supporto, servizi,

ecc.).

D’altra parte, le scelte di condivisione che la coppia compie devono fare i conti con variabili non

controllabili direttamente:

- la struttura del mercato del lavoro e le posizioni lavorative dei singoli componenti del nucleo

familiare

- il sistema dei diritti (o l’assenza di diritti per alcune categorie di lavoratori e lavoratrici)

- la struttura del reddito familiare

- l’esistenza di reti di supporto

- l’organizzazione e l’accessibilità dei servizi di sostegno alla genitorialità (nidi, ludoteche, ecc.)

- la percezione culturale di tutti questi fattori nei diversi ambienti sociali di vita (contesti lavorativi,

contesti informali, familiari).

La condivisione concerne, dunque, tutto ciò che, concordato nel privato, contribuisce al ri-

assestamento del sistema-famiglia, pur non potendo prescindere dal ruolo giocato da altri attori e,

di conseguenza, dai meccanismi di conciliazione agiti con l’esterno.

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1. CAMBIAMENTI NELLA VITA FAMILIARE

Diventare genitori comporta una riorganizzazione della vita familiare che attraversa trasversalmente tutti gli ambiti di vita.

Il primo elemento tangibile in questa ridefinizione che tocca il nucleo è legato al fattore tempo.

Cambia la scansione dei tempi e, di conseguenza, si modificano le priorità: il tempo libero si riduce

visibilmente, le esigenze del bambino o della bambina diventano centrali, mutando completamente

la prospettiva e, in parte, la percezione di sé come singoli e all’interno della coppia.

Il progetto di vita, personale e lavorativo, viene ora ad intersecarsi con una pianificazione che

tocca l’intero nucleo, con varie implicazioni.

“Aver avuto un figlio mi ha aiutato molto a ridimensionare non tanto l’importanza dell’esperienza

lavorativa, ma metterla in un pezzo della mia vita che non era la totalità, a darle il giusto valore…”

“Gli spazi personali si sono ridotti… non posso più decidere solo per me…”

“Ho allungato la prospettiva temporale dei progetti…”

“Ho paura di appiattirmi in un unico ruolo… ti rivedi dopo 40 anni e tu “sei” la tua famiglia…”.

L’impatto della riorganizzazione del tempo è evidente nella riduzione di tutti quegli impegni non

strettamente legati alla riproduzione della vita quotidiana. Spesso, dunque, in agenda si alternano

un tempo del lavoro “fuori casa” e un tempo del “lavoro domestico e di cura”, che lasciano ben

poco spazio ad altro: una vita “a due dimensioni” che riduce i tempi da dedicare alla partecipazione

sociale e politica e alla vita di relazione esterna alla famiglia.2

“Lo stop alla vita sociale, la pesantezza di star dentro casa…”

“Io ho continuato a seguire le riunioni politiche… ora sono preoccupato per il secondo figlio… ieri

sono andato alla riunione e ho pensato che a gennaio devo lasciare T. con il bambino e un altro

piccolo…. e io alle 8 devo andare alla riunione? […]

Se è vero che questo cambiamento investe la coppia, per le donne il prezzo da pagare in termini di

rinunce è superiore, soprattutto con l’arrivo del secondo figlio.

2 Ibidem.

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La maggior parte degli uomini riesce, infatti, a “difendere” meglio i propri spazi vitali.

“Per fare un esempio pratico: io negli ultimi due anni sono andato a cinema 4 volte… lei 2 volte… e

non ho nemmeno sensi di colpa… mi sento responsabile della mia meschinità”

Pur rilevando un orientamento ad una maggiore assunzione di responsabilità da parte dei padri, in

maniera più o meno marcatamente diffusa, non è rara una distribuzione iniqua dei carichi, che

impedisce una piena e consapevole “condivisione”.

“Quello che faccio io è molto meno rispetto a quello che fa lei… perché io non ci sto mai….

Dovrebbe essere così, ma non è così… in ogni famiglia ci sarà sempre una differenza, perché

dipende dal lavoro che svolgono i due…” .

Dopo la nascita di un figlio l’organizzazione della sfera domestica diviene una sorta di cartina di

tornasole della reale capacità di condivisione.

Non è raro sentire affermare che le donne abbiano propensioni naturali nella gestione di alcune

attività: non si parla qui solo del lavoro di cura e del “legame biologico” su cui, pure, si è detto nel

precedente capitolo, ma anche della capacità femminile di “organizzare”, “gestire la casa”, “gestire

più attività contemporaneamente”.

“Dio ha creato l’uomo e la donna e li ha creati uno diverso dall’altro e quindi per natura la donna si

trova a fare più facilmente alcune cose e l’uomo altre…”

“Preferisce se sa che ci sono io casa, dedicarsi più alla casa e sa che ci sono io con il bambino…”.

Con sfumature anche molto diverse, molti dei papà intervistati affermano che “il governo della

sfera domestica e del lavoro di cura” è femminile e il ruolo paterno è di supporto, se non marginale:

dunque, non è infrequente che gli uomini si limitino ad intervenire su alcuni segmenti del lavoro

domestico, prevalentemente ritagliandosi il ruolo di esecutori o concedendosi di poter scegliere le

attività di cui occuparsi.

Anche nelle coppie paritarie, ciò che prima dell’acquisizione dello status di genitori può essere dato

culturalmente per scontato e per acquisito – la con-divisione totale - viene successivamente

rimesso in discussione.

“C’è stato uno scarto tra come mi pensavo da coniuge e quello che è stato veramente…”

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 58

Si rilevano, in altri termini, scarti elevati tra le rappresentazioni della vita di coppia e della paternità

e quelle che sono poi le funzioni realmente assunte. Ciò sembra imputabile al fatto che, di fronte

alla complessità delle situazioni da fronteggiare, si attinge a molteplici e contraddittori modelli

culturali interiorizzati.

Questo vale anche per le donne, quando, pur rivendicando una più equa suddivisione dei carichi,

difficilmente riescono a rinunciare al ruolo primario di accudimento, con affermazioni del tipo:

“La mamma è sempre la mamma…”

“Mio marito non segue la bambina così, non ha molta pazienza… io sono contenta così la gestisco

come voglio…”

Spesso viene sottovalutato il vissuto maschile di “non essere adeguati quanto le donne nella cura

del bambino”: stereotipo che, se non scardinato, diviene facilmente un alibi per evitare alcune

responsabilità.

“Nella cultura popolare i figli sono della mamma… e certe volte ciò mi torna comodo…”.

Anche l’esterno – talvolta i nonni, gli amici, i datori e i colleghi di lavoro - restituisce immagini

stereotipate dell’uomo “mammo”, laddove ci sia una maggiore intercambiabilità di ruoli.

Le contrattazioni che attengono alla condivisione sono relative, dunque, sia alle percezioni

personali, sia a quelle sociali che di rimando contribuiscono a definire l’ identità di padre/madre.

L’organizzazione interna alla coppia, d’altra parte, non prescinde dal contesto esterno e, in

particolare, da variabili strutturali. Occorre, pertanto, fare una lettura della evoluzione dei modelli familiari in rapporto ai cambiamenti strutturali del Mercato del Lavoro. La famiglia, intesa

anche come unità economica, deve individuare sue proprie strategie di fronteggiamento e modalità

di alternanza/ condivisione, anche rispetto al lavoro “fuori casa”. Non si tratta, dunque, solo di

condividere il lavoro in casa, ma di capire anche se il lavoro esterno possa o meno essere

conciliabile con le esigenze della famiglia. Questo accade sia per gli uomini che per le donne,

soprattutto per la componente precaria del nucleo (uno dei due o entrambi), che è più flessibile. Si

cerca, pertanto, a fronte di una proposta lavorativa, di capire quali siano i margini di fattibilità,

convenienza e contrattazione, sia negli equilibri della coppia, sia con il datore/committente.

“Ogni volta che mi viene proposto un nuovo lavoro devo parlarne con mia moglie e comunque

cerco di conciliare con i tempi da dedicare alla famiglia… la contrattazione con il mio datore di

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lavoro, ad esempio, può essere fatta sull’orario… Di solito dico <perché ho già un altro lavoro>…

le esigenze della famiglia non possono essere esplicitate… non vengono comprese… sia che il

datore di lavoro sia uomo, sia che sia donna…”

“E allora precaria tu, precario io… non si può…”.

Un cambiamento che si può imputare alla nuova condizione di genitore è quello della necessità di

“ottimizzare i tempi e scegliere in maniera più oculata” tra le diverse offerte, condizione tipica di

chi, specialmente se libero professionista e/o precario, si muove in un mercato che richiede

estrema flessibilità: una minore disponibilità a farsi “invadere” dal lavoro, che corrisponde ad una

esigenza di maggiore efficacia/ produttività nei tempi riservati al lavoro; una tendenza a soppesare

tutte le opportunità e le implicazioni delle proposte lavorative, sia in termini di sottrazione di tempo

alla famiglia, sia in termini di impatto economico.

“Il lavoro è cambiato perché si sono ridotti i tempi di lavoro… perchè ci si è un po’ ripiegati sulla

famiglia, sempre per il discorso della bambina… ci si propone di meno, ci si spende di meno per

tutta una serie di progetti e ci si concentra di più su cose che danno un risultato concreto a breve

termine…”.

Da tale discorso non esula il concetto di “carriera” o riqualificazione professionale. In situazioni

complesse di “transizione professionale” da parte di entrambi, non esistono risposte assolute e le

soluzioni vengono individuate di volta in volta. Senz’altro il contributo femminile al lavoro sembra

irrinunciabile, per le implicazioni economiche, soprattutto se si è entrambi precari o se è l’uomo ad

esserlo, ma anche perché si inizia a riconoscere alle donne il pieno diritto alla realizzazione

personale e professionale. Dunque nella precarietà, sotto certi aspetti, si innescano meccanismi di

flessibilità che farebbero pensare ad una maggiore parità.

“Io voglio che lei continui a lavorare, il lavoro le piace ed è importante per il suo modo di essere…

lei è psicologa come me e lavora a contratti a tempo determinato… lei sta studiando per

un’opportunità che può dare una certa garanzia… un contratto a tempo indeterminato…”

Ciononostante, alcuni papà intervistati portano la problematica/ tematica della conciliabilità non del

lavoro, bensì della carriera con la condizione di mamma, talvolta contraddicendosi e scivolando

nello stereotipo per cui “la donna in carriera non riesce a rivestire adeguatamente il suo ruolo di

mamma”. Carriera e figli, per la componente femminile, sono percepiti come autoescludenti.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 60

“La donna che decide di avere dei figli deve pagare, deve aver gia scelto di non voler fare carriera,

altrimenti non deve fare i figli se vuole fare carriera.” afferma un’intervistata.

“Qualche anno fa si stavano creando delle condizioni perché lei potesse fare un salto di qualità…

poi per altri motivi non è andata in porto… ma quando mi sono soffermato a pensare qualche

mese fa cosa stava per succedere e che cosa è oggi la sua vita [ndr: è in attesa del secondo

figlio], io sono fermamente convinto che quella situazione sarebbe stata incompatibile con questo

modo di vivere la maternità…[…] il prezzo che pagano i figli è molto alto… ”

D’altra parte, i padri che più condividono e tentano di conciliare sono quelli meno orientati al lavoro

e alla carriera.

Ad ogni modo, rientrare nel mondo del lavoro dopo la maternità è cosa ben diversa che esserci

restati in quanto padri. Non solo le donne scontano le difficoltà del rientro, accusando la battuta

d’arresto che tocca la percezione delle proprie competenze, dopo mesi di disabitudine al lavoro, di

solitudine e di routine domestica, ma, spesso, nelle percezioni esterne, oltre che nella percezione

di sé, il ruolo lavorativo resta per sempre intrecciato con quello di genitore, in misura decisamente

più rilevante per la componente femminile. L’immagine rimandata dai contesti lavorativi tende a

strutturarsi intorno alla figura della “madre-lavoratrice”, mentre l’uomo resta “lavoratore” e il suo

status di padre concerne, nella maggior parte dei casi, esclusivamente la vita privata.

“Io mi sento vista a lavoro sempre come madre con figli piccoli, come se avessi un alone intorno…,

diversa…”.

Ecco, dunque, che la riorganizzazione della vita quotidiana, dopo la nascita di un figlio, risulta

ancora essere non tanto, o non solo, un meccanismo espulsivo per le donne dal MdL, ma anche

un ostacolo alle progressioni di carriera. Gli stereotipi, più o meno latenti da una parte, la

descrizione di un Mercato del Lavoro penalizzante per chiunque non riesca ad essere

costantemente competitivo e a livelli elevati di produttività, dipingono uno scenario ancora piuttosto

inquietante.

“In realtà... noi stiamo confermando lo stereotipo per cui le donne sono oggettivamente meno

competitive nei contesti di lavoro… ora vuoi vedere che oltre all’età e al curriculum si vedrà pure se

sei o vuoi diventare mamma…!”

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 61

Se a questo si aggiunge la fatica individuale e di coppia nel fronteggiare la complessità e

l’incertezza, soprattutto in assenza di una qualsiasi forma di supporto (servizi efficienti e/o reti

personali), diviene chiaro come una mancata condivisione possa lasciare posto alla perdita di

fiducia nella coppia, alla conflittualità o alla rinuncia ad un confronto costruttivo.

“La precarietà, la non sicurezza economica mette ansia sulla coppia, sulla famiglia… ci sono

settimane in cui io devo lavorare 24h su 24 ed è “chiuso per ferie”… in quei momenti… la

catastrofe! Questa è la realtà con cui ci confrontiamo… ”.

COSA STA CAMBIANDO

Gli uomini - e le donne – sono piuttosto consapevoli del fatto che sia “la coppia” a dover essere

investita di responsabilità nell’esercizio della genitorialità. Nel pensiero comune è ormai

diffusamente accettato che anche i padri possano (e debbano) occuparsi di alcune mansioni

attinenti alla cura e al lavoro domestico. Ciò, naturalmente, è oggetto di contrattazione all’interno di

ciascun nucleo familiare, soprattutto in rapporto alla divisione dei ruoli e alla gestione dei tempi.

PUNTI DI CRITICITÀ Di fatto, nonostante cambiamenti non irrilevanti nelle pratiche e nelle percezioni degli individui,

modelli vecchi e nuovi si confrontano e si scontrano, a volte sovrapponendosi. Ciò accade in

maniera più o meno consapevole, per uomini e donne, nella gestione del menage familiare con

una distribuzione asimmetrica dei carichi, soprattutto per tipologia di lavoro: c’è una maggiore

condivisione, ma questa non investe la totalità del ventaglio delle attività.

Anche in virtù di una spiegazione “biologica”, richiamando ciò che è “naturale”, alle madri vengono

attribuite alcune funzioni per le quali vengono considerate insostituibili. In particolare queste

riguardano alcuni bisogni specifici del bambino, la gestione delle criticità e dell’organizzazione del

lavoro domestico e di cura. Ma soprattutto, non è infrequente rilevare come il contributo maschile

in questo ambito, spesso, sia considerato come “complementare” a quello femminile.

Queste dinamiche si riproducono, talvolta in maniera più accentuata, anche nei contesti esterni,

quando si vanno a ri-negoziare i ruoli definiti nel proprio sistema familiare con altri attori: datori di

lavoro, colleghi e colleghe, ma anche organizzazioni partitiche e, non ultime, reti parentali estese e

amicali.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 62

Essendo la sensibilità comune ancora intrisa di stereotipi sessisti, ciò che viene contrattato con

fatica nel nucleo familiare ristretto, deve subire una seconda negoziazione con altri contesti, che

non necessariamente ne condividono logiche, valori, linguaggi.

Anche il salto generazionale non aiuta i giovani padri: non è raro intercettare ambienti di vita che

non riescono a cogliere la portata del cambiamento, che investe la generazione dei trentenni, alle

prese con scelte non scontate, contraddizioni, bisogno di conciliare e mediare tra lavoro - vita

familiare - vita privata – impegno sociale.

2. EVOLUZIONI DEI CONTESTI DI LAVORO

Un dato che emerge in maniera assolutamente evidente dalle interviste è che in alcuni ambienti di lavoro:

1) sono ampiamente diffusi stereotipi sessisti, sia tra colleghi (e anche spesso tra colleghe), sia

con i datori, uomini o donne che siano

2) non sono ancora accettati culturalmente i dispositivi di legge che dovrebbero garantire la

conciliazione per uomini e donne.

Se, come riferisce una mamma intervistata, i congedi e i permessi vengono percepiti come un

peso per le organizzazioni quando a usufruirne sono le donne,

“La maternità è vissuta come un ostacolo, qualcosa che ostruisce, un granello nell’ingranaggio

complessivo della macchina aziendale…”

“Quando ho richiesto il congedo parentale per accudire mio figlio il mio capo mi ha chiesto perché

non lo richiedeva mia moglie”

a maggior ragione ciò vale quando a farne richiesta siano gli uomini.

Per fare un esempio concreto, i moduli per la richiesta dei congedi parentali, sono solo impostati al

femminile e ciò dimostra come le organizzazioni siano ben lontane dal concepire una eguaglianza

tra sessi.

D’altra parte c’è ancora scarsa informazione circa la possibilità per gli uomini di usufruire dei

congedi.

“Non sapevo neanche io che avessi diritto all’allattamento… mi rendevano in giro…”

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“Ma cosa fai? allatti? come fai ad allattare se non hai le tette?... anche tra le donne il fatto che un

uomo prenda il periodo dell’allattamento è un fatto strano…”

In ambienti di lavoro competitivi, c’è poco spazio per questioni di carattere personale, legate alla

cura dei figli e alla conciliazione tempi di vita e di lavoro.

“Non gliene può fregare di meno… non puoi dire <ho dovuto accompagnare la bambina>… è

come dimostrare un punto debole… ti fanno fuori… ci sarà qualcun altro che ha le tue stesse

capacità che non ha i tuoi problemi… io posso dare 18 ore e lui ne potrà dare 20!!”

Se un padre o una madre scelgono di dare priorità a bisogni privati, in rapporto al ciclo di vita

familiare, con azioni del tipo “richiesta di part-time, rifiuto di straordinari, richiesta di congedi, ecc.”,

vengono visti come soggetti su cui l’azienda non può investire.

Poiché richieste di questo genere provengono generalmente da lavoratrici, ne consegue che il

management più frequentemente penalizzi le donne in termini di “disinvestimento”.

“La mia primaria è una donna e ha un titolo di studio molo elevato… è primaria però fa di tutto per

ostacolare i congedi parentali, delle donne… poi quando ha saputo di me… non ne parliamo…”

Una conoscenza scarsa della legge, ma anche una separazione tra ambito lavorativo e vita

personale, tra obiettivi produttivi e vita delle persone, induce spesso a dare una lettura

pregiudiziale della fruizione dei congedi.

Chi usufruisce dei congedi, soprattutto se uomo, viene considerato “furbo” e “opportunista”.

“Da maggio a novembre sono sempre stato additato come uni che è stato a casa due ore, ma

chissà perché due ore…”

“I permessi e i congedi parentali mi sono stati concessi sempre con molta burocrazia…”

Anche quando l’azienda applica la legge, favorendo i congedi paterni, il problema resta di ordine

culturale.

“I colleghi di lavoro vedono un padre che vuole dedicare tempo ai figli come qualcuno che non c’è

mai, con diffidenza e incomprensione”.

Accanto a giustificati timori di mobbing e ritorsioni relative alle progressioni di carriera o al tipo di

responsabilità ottenute, si pone ancora forte la questione della svalutazione dell’identità di genere.

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“Gli uomini si sentono a disagio a prendere un congedo parentale quando prima di loro nessuno lo

ha fatto, quindi non è in gioco soltanto il rischio reale di mobbing ma anche di svalutazione della

loro identità di genere”.

Se a ciò si aggiunge anche una valutazione di tipo economico, si comprende facilmente perché,

anziché utilizzare i congedi, i lavoratori spesso richiedano, piuttosto, giornate di ferie, in una cultura

aziendale ancora scarsamente orientata alla genitorialità

Esistono poi anche altri stereotipi del tipo:

“E’ una madre brava perché è riuscita a rientrare presto dalla maternità… perché non ha

approfittato della maternità…”

Fortunatamente, tra quelle raccolte, vi sono anche testimonianze di segno opposto, a

dimostrazione del fatto che l’applicazione della legge, unitamente ad un lavoro di sensibilizzazione

al tema e di consapevolizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici, nei diversi ruoli, consente di

trovare soluzioni flessibili e soddisfacenti per tutti.

“E’ invalsa come una sorta di codice interno… viene anche messo per iscritto e recuperi l’ora in un

altro momento… è una certificazione anche approvata dalla preside…”.

Una seconda macroquestione, emersa da più testimonianze registrate su tutto il territorio

nazionale, è quella della disparità di trattamento per i lavoratori e le lavoratrici in rapporto alle diverse posizioni contrattuali. Se è vero che nel settore pubblico, almeno dal punto di vista legislativo, alcuni diritti sono acquisiti,

“Il mio lavoro da dipendente pubblico mi consente di potermi assentare quando il bimbo è

malato…”

in particolare, nelle strutture più piccole, nel privato e nella posizione di atipico, si rileva una

sensibile riduzione degli stessi diritti. Ciò è imputabile sia a lacune normative, sia a limiti culturali-

organizzativi dei contesti che mostrano maggiore resistenza ad accettare le misure di sostegno

alla genitorialità, in rapporto alle logiche di mercato e ai paventati rischi di riduzione di

“produttività”.

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Il lavoro autonomo, soprattutto quando non corrisponde ad entrate economiche congrue, limita la

possibilità di esercitare i propri diritti, imponendo orari di lavoro più lunghi e impedendo la

possibilità di assentarsi usufruendo di permessi, rendendo, in altri termini, “indispensabili e

insostituibili”.

“Le garanzie non ci sono… vieni pagato per la prestazione che fai…”

Questa situazione diffusa può addirittura indurre a mettere “in forse” la scelta procreativa.

“Avevamo addirittura accantonato l’idea di avere un bambino perché specialmente nel suo caso

non poteva assentarsi dal lavoro essendo lei l’unica presente in negozio…”

“Oggi il tempo del lavoro non è più conciliabile con il tempo della famiglia. Non è pensabile fare un

figlio senza un sostegno…”

Ci si riferisce qui soprattutto alla categoria degli atipici, spesso lavoratori qualificati con livelli

elevatissimi di precarietà, che vengono considerati alla stregua di “liberi professionisti”, pur non

avendo una disponibilità economica che possa compensare l’assenza di garanzie. Siamo di fronte

ad una differenza di “trattamento” tra precari - categoria ampiamente diffusa tra giovani uomini e

donne in età riproduttiva - e lavoratori subordinati garantiti. Una giovane lavoratrice con un

contratto coordinato e continuativo, ad esempio, difficilmente potrà permettersi anche solo il

periodo di congedo obbligatorio, perché l’assegno è troppo basso.

“… la differenza tra il diritto e la concessione… il lavoratore sempre più ha <zero diritti

contrattuali>… questo tipo di contratti non garantisce i diritti… anzi, il lavoratore autonomo

dovrebbe avere un surplus di diritti…”

“E’ già tanto se puoi permetterti di ammalarti…”

“Mia moglie ha un’attività in proprio e di conseguenza […] il problema della gravidanza, il problema

tra parentesi, era già diciamo stato preso in considerazione…”

“Questo mondo del lavoro… non era per le mamme… e non lo è nemmeno per i papà che cercano

di condividere e conciliare…”.

Se è vero che questa condizione limita entrambi, non si può dire che le conseguenze siano

identiche per uomini e donne.

Quando una donna ha un lavoro precario, in genere meno retribuito dell’equivalente maschile, il

suo lavoro tende a diventare “complementare ed integrativo”.

D’altra parte accade anche che, quando vi sono opportunità lavorative, i padri precari siano

maggiormente esonerati dai carichi di lavoro familiare; al contrario, le donne che lavorano

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dedicano praticamente tutto il proprio tempo residuo al lavoro domestico e di cura, secondo lo

schema classico del “doppio lavoro”.

“Il fatto di lavorare in maniera saltuaria mi garantisce una sorta di alibi, per cui i miei impegni

vengono anteposti… se dovesse diventare più stabile, la negoziazione andrebbe rimodulata…”

“Adesso lei si libererà il pomeriggio, anche perché con l’arrivo del secondo bambino sarà tutto più

difficile…”.

Questi meccanismi, che sussistono in un mercato del lavoro che priva di diritti una larga fascia di

lavoratori e lavoratrici,

“L’importante è lavorare e se anche questo comporta una rinuncia di certe agevolazioni,

pazienza…”

hanno ripercussioni dirette sulla componente femminile, agendo meccanismi espulsivi su un

duplice livello e rimettendo in discussione diritti che sembravano ormai acquisiti.

COSA STA CAMBIANDO

L’affermazione delle donne nei contesti lavorativi è ormai un dato. Difficilmente si mette in

discussione il contributo femminile alla produzione del reddito e, d’altra parte, si riconosce il diritto

delle donne ad esprimersi anche in ambito professionale. Da qualche anno anche la legge italiana

prevede dispositivi di sostegno alle pari opportunità, introducendo e premiando i congedi parentali

per i padri.

PUNTI DI CRITICITÀ A fronte di un Mercato del Lavoro complesso e competitivo è più facile che la componente

femminile sia quella maggiormente penalizzata. Ancora oggi la maternità è paventata come un

rischio di perdita di produttività per l’azienda e le lavoratrici sono di fatto considerate, in molti

contesti lavorativi, meno produttive degli uomini, perché “distratte” dalle esigenze di conciliazione

con la vita privata. Gli stereotipi sessisti sono ancora diffusi in larga misura, traducendosi in

meccanismi discriminatori.

Ancora forti, dunque, risultano essere le resistenze culturali nell’accettare una sostanziale parità

tra uomini e donne, anche nell’esercizio della genitorialità: gli stessi padri che hanno usufruito dei

congedi parentali riferiscono di essere stati oggetto di discriminazioni e, più o meno velate, forme

di ostilità.

I contesti lavorativi non sono ancora culturalmente pronti ad un’applicazione indolore della

Lg.53/00. Anche laddove sostenuto dai dirigenti, lo spirito della legge non viene ancora facilmente

compreso dai colleghi (e anche dalle colleghe, sebbene in misura minore), che si concentrano

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soprattutto sulle implicazioni pratiche in termini di organizzazione del lavoro e (percezione dell’)

aumento dei carichi di lavoro per sé. Occorre, dunque, lavorare ancora tanto sulla

sensibilizzazione, affinché i meccanismi di riequilibrio tra sessi possano essere meglio compresi e

condivisi socialmente.

Un ultimo nodo critico sembra essere quello che riguarda l’ampia categoria dei lavoratori atipici,

per i quali va completamente ripensato il sistema dei diritti; se meccanismi di riequilibrio tra sessi

esistono, sembra che si possa piuttosto parlare di “parità nell’assenza di diritti”. Ma, anche in

questo caso, le lavoratrici, più dei lavoratori, sembrano pagare le conseguenze in termini di

possibili progressioni di carriera, soprattutto se non sostenute da altri meccanismi di tutela e

compensazione.

3. CARENZE ISTITUZIONALI E ALTRI FATTORI CHE RENDONO PIÙ DIFFICOLTOSA LA CONDIVISIONE

Se non tutto può risolvere, è certamente vero che un reddito adeguato consente di organizzare la

condivisione in maniera più agevole, delegando alcune funzioni all’esterno e permettendo al

nucleo familiare di compiere scelte in maniera serena, senza il condizionamento di fattori

economici. La legge prevede che, in fase di congedo parentale, venga erogato il 30% dello

stipendio; dunque, viene da sé che, nella maggior parte dei casi, le scelte si facciano

semplicemente sulla base delle implicazioni economiche. Che quasi sempre sia la donna a

lasciare il lavoro o scegliere il part-time è, d’altra parte, imputabile al fatto che la componente

femminile, in genere, sia anche quella che porta un reddito meno consistente.

“Avere dei figli è come avere una macchina di lusso, una barca…”.

Coerentemente con questa analisi, l’assenza/carenza di servizi o la loro scarsa accessibilità

sono i temi centrali che i padri intervistati hanno portato nel focus.

Se vi fossero servizi pubblici garantiti per tutti sarebbe più semplice innescare meccanismi paritari,

favorendo il rientro delle donne nel Mercato del Lavoro. Ma, come risulta dalle numerose

testimonianze, i nidi pubblici e/o gestiti dal privato sono insufficienti, da una parte, e costosi,

dall’altra, a meno che non si riesca ad ottenere una buona posizione in graduatoria o un sostegno

economico (voucher).

A queste condizioni, in assenza di servizi efficaci, efficienti ed accessibili, l’accudimento del

bambino diventa, dunque, una partita da giocarsi con il/la partner o all’interno della rete familiare,

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spesso coinvolgendo nonne e nonni, mentre poco conosciuti o discutibili risultano essere progetti

sperimentali-innovativi quali quelli dei micronidi.

Dunque la rete parentale primaria supplisce all’assenza di servizi, al Sud ancor più che al Nord.

“Se non ci fossero i nonni…! o fai il figlio o lavori! L’alternativa è avere una serie di servizi

veramente efficienti o avere la baby sitter… e il lavoro non è solo atipico, ma anche

economicamente instabile… Ecco perché scoppiano le coppie… l’insicurezza… Ridateci il tempo o

dateci i soldi!!! ”

“Oppure dateci i servizi!! dove sono?”

“Un asilo nido oggi non è facile sostenerlo… o hai i nonni o è dura…”

“I micronidi sono altamente contraddittori dal punto di vista della programmazione: da una parte

chiedi standard elevatissimi per i nidi… penso agli spazi verdi… dall’altra autorizzi uno spazio in

appartamento in un condominio…”

In rapporto a standard medio-alti di qualità di vita, un ulteriore problema per chi vive nelle grandi

città - ma anche nei ring urbani – è quello della relazione tra mobilità e offerta dei servizi.

“Se io devo andare a […] per un nido pubblico che costa 200 euro, preferisco andare a quello di

fronte a casa che ne costa 300…”

“Adesso i nonni abitano anche a 10-15 km, devi prendere una baby sitter e quindi è un

problema…”

I padri intervistati denunciano città non “a misura di bambino” (e neppure “a misura di

genitore”), sentendo prioritario il problema della sicurezza e del benessere.

“Una volta il bambino lo lasciavi libero adesso è nel tuo cortile, nella tua casa…”

In un assetto urbano modificato e a fronte di un forte ridimensionamento della rete informale di tipo

comunitario, occorre ripensare l’organizzazione degli spazi e dei servizi, sperimentando modelli più

rispondenti ai bisogni delle diverse categorie di lavoratori e lavoratrici, nonché alle nuove forme di

famiglia.

La condivisione del lavoro di cura potrebbe essere facilitata – suggeriscono gli intervistati - dalla

creazione di Centri Servizi interni alle organizzazioni lavorative, anche associate, allo scopo di

sostenere i genitori nella loro doppia presenza e rendere le città più vivibili, prevedendo: nidi

aziendali, materne, servizio prenotazione visite mediche, pagamento bollette, servizio

accompagnamento dei figli per le discipline extrascolastiche.

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D’altra parte, le stesse strutture a servizio dei bambini, non contemplando la funzione di cura della

figura paterna, ricalcano alcuni stereotipi sessisti:

“Mio marito non può portare la bambina in piscina perché non può entrare negli spogliatoi

femminili”.

“In Inghilterra c’era il bagno apposta… come si chiama… uomini e donne e quello per cambiare i

pannolini… siamo entrati nella nursey, c’era il fasciatolo tutto in ordine, tutto bello pulito e se

dovevi allattare c’era la stanzetta…”

“Un giorno sono andata in un centro commerciale io ero alla cassa e mio marito voleva cambiare il

pannolino al bambino, non è stato possibile perché il fasciatoio era presente soltanto nel bagno

delle donne”.

“All’Ikea il fasciatolo per il cambio del pannolino è presente sia nel bagno delle donne sia in quello

degli uomini”.

Che un papà sia presente in un luogo “normalmente frequentato” dalle donne, d’altra parte,

costituisce “un evento” raro, a dimostrazione del fatto che ancora tanti sono i passaggi da fare

culturalmente. Ci sono, infatti, compiti e luoghi che sono visti come di pertinenza delle donne,

mamme, baby sitter o nonne che siano (vaccinazioni, riunioni scolastiche, passeggiata mattutina al

parco, ecc.).

“La presenza maschile era sicuramente in minoranza… anche alle riunioni alla sera della scuola

materna…”

“Mi capitava di essere visto all’esterno come il mammo… io giravo, facevo un passeggiata in

centro con il mio bambino che era piccolissimo… fermarmi magari per negozi a cambiargli il

pannolino ed essere visto come il mammo non mi dispiaceva, però mi sembrava di essere un po’

fuori dal comune…”

Un altro elemento rilevante, a proposito di misure a sostegno della condivisione, è costituito dalla

possibilità di effettuare una riflessione sull’assunzione del ruolo genitoriale. Se per le donne è

abbastanza usuale che vi siano occasioni di scambio di esperienze e competenze, in contesti

informali, amicali, familiari, per gli uomini spesso mancano luoghi di confronto sull’esperienza della

paternità. Occorre, in altri termini, favorire questo tipo di opportunità anche per i padri, lavorando

sulle resistenze culturali in atto.

Alcuni servizi per la famiglia - legati ad esempio all’esperienza dei Centri Territoriali per la

Famiglia (ex. L. 285/97) – sebbene con una contenuta presenza maschile, hanno avviato un

processo culturale di riflessione su una genitorialità consapevole.

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“Porto l’esperienza dei centri famiglia che hanno offerto consulenze per le coppie, scuola-genitori,

corsi pre-parto… e altre attività… hanno funzionato…”.

Di particolare interesse possono essere considerate le esperienze di banca del tempo, tese a

rinforzare le reti informali: per quanto ancora in fase di sperimentazione, esse sono pensate a

sostegno dei processi di ri-costruzione dei rapporti solidaristici e fiduciari tipici delle strutture sociali

comunitarie.

Ma è, probabilmente, proprio sul senso di responsabilità sociale, cittadinanza e di genitorialità

diffusa che occorrerebbe ancora lavorare, riconoscendo l’estensione del principio della

condivisione alla comunità tutta.

“Quando faccio un progetto di vita con il mio compagno, non è solo mio e del mio compagno, ma

della comunità… ed io chiedo alla comunità di darmi gli strumenti per facilitare la condivisione”

“Una volta c’era più l’abitudine di aiutarsi senza chiedere qualcosa in cambio, adesso uno dice se

vado devo avere qualcosa”… è questa la mentalità sbagliata, una volta ti arrangiavi con il vicino,

adesso bisogna che ti arrangi da solo… una volta il tuo bambino era di tutti adesso è solo tuo e te

lo devi tenere dalle 8 di mattina alle 8 di sera…”

La discussione, all’interno dei laboratori, è approdata ad un’analisi delle politiche per la famiglia e

della capacità di programmazione locale, sottolineando l’importanza:

- della continuità nell’offerta di tali servizi

- della rispondenza a bisogni reali che si modificano in rapporto ai cambiamenti sociali e del

Mercato del Lavoro

- della valutazione di efficacia di esperienze innovative (es: consultori, centri-gioco, nidi),

concepite ad integrazione dei servizi di base accessibili, garantiti, diffusi e fruibili per tutti.

D’altra parte, l’attuale offerta dei servizi ancora ricalca un modello che risponde ai bisogni e agli

orari del “popolo dei dipendenti pubblici”:

“I nidi chiudono alle 14.00… e io devo lavorare ancora diverse ore dopo… come si fa?”.

In generale, i genitori esprimono disagi e disappunto rispetto a:

- assenza di sostegno economico (diretto, in forma di erogazioni, o indiretto, rispetto ad un

possibile “calmiere” dei prezzi dei beni di prima necessità)

- insufficienti e contraddittorie politiche per la famiglia (scarsi o inadeguati servizi pubblici a

sostegno della genitorialità)

- informazioni carenti, circa le opportunità previste dalla legge e/o attivate nei diversi territori.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 71

COSA STA CAMBIANDO

I padri sempre più frequentemente e con orgoglio si sperimentano in ruoli di accudimento, pur

dovendo affrontare i pregiudizi che spesso sono ancora molto diffusi nel sentire comune.

Comincia a farsi strada una sensibilità diversa, che riconosce agli uomini il diritto-dovere alla cura

del bambino molto piccolo. Cresce tra i giovani papà il desiderio di confrontarsi sui dubbi, sulle

gioie, sulle esperienze fatte, sentendosi liberi di esprimere la funzione affettiva paterna e non solo

quella di sostentamento, legata all’assunzione della responsabilità genitoriale.

In diversi territori sono stati portati avanti con successo progetti e servizi sperimentali, tesi a

favorire e sostenere la genitorialità e i diritti dei bambini e delle bambine, costruendo sensibilità

sociale e rinforzando reti e competenze delle persone e delle comunità.

PUNTI DI CRITICITÀ Ancora tanti sono i fattori (interni ed esterni) che limitano i padri nella piena assunzione del lavoro

di cura.

Alcuni sono di natura meramente culturale. Un papà con il carrozzino al supermercato o al parco,

che acquista un vestito o una pappa, che cambia il pannolino in un bar, è ancora “atipico” e

assimilabile alla categoria di “mammo”. Anche le donne, come già detto, tendono a riservare per

sé alcune funzioni tipiche del maternage, non sostenendo adeguatamente il cambiamento della

percezione dell’identità genitoriale.

Delle resistenze culturali e organizzative alla piena assunzione di parità nei contesti lavorativi, si è

già riferito, a proposito di tutti quegli atteggiamenti che, espliciti o impliciti, di fatto vengono agiti nei

confronti degli uomini che usufruiscono di congedi e permessi.

Altri elementi che non favoriscono l’assunzione paterna dei ruoli di cura sono di carattere

strutturale, economico, normativo. Le carenze istituzionali sono ancora numerose e riguardano le

politiche per la famiglia, così come i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori atipici, l’assenza di

servizi, la insufficiente diffusione e promozione dei dispositivi di legge a “sostegno della maternità e

paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”

(Lg.53/2000).

Queste inadempienze ancora ricadono, per i meccanismi riproduttivi di sussistenza dei nuclei

familiare e per le resistenze culturali in atto, pesantemente e frequentemente sulla componente

femminile, limitando comunque di fatto anche il diritto ad esercitare la paternità in modo pieno e

consapevole.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 72

INDICAZIONI PER I papà

Imparare a confrontarsi con le proprie compagne rispetto ai processi di condivisione e alla

genitorialità

Condividere con la partner l’organizzazione di tempi e responsabilità familiari

Concordare strategie condivise di fronteggiamento della vita quotidiana, nelle diverse fasi di

vita, prevedendo l’alternanza tra i due partner

Coinvolgere/farsi coinvolgere nell’organizzazione/ programmazione delle attività di cura

Dividere anche i carichi del lavoro domestico

Riconoscere alla compagna pari diritto ad avere aspirazioni di realizzazione lavorativa e di

carriera (esiste un’identità lavorativa/professionale delle compagne, a prescindere dal bisogno

di integrare il reddito)

Riconoscere alle donne lo stesso diritto alla gestione di spazi di tempo per sé e per i propri

interessi

Promuovere scambi di esperienze con altri padri, diffondere una nuova identità genitoriale e un

possibile modo di vivere la paternità

I negoziatori

Esplicitare/ non negare le problematiche di conciliazione di cui sono portatori sia uomini che

donne nei contesti di lavoro

Promuovere accordi aziendali per sperimentare flessibilità positive per la condivisione e per

l’applicazione della legge 53/00

Promuovere accordi per prevenire i rischi discriminatori nella carriera e nel salario, a causa di

assenze legate ad esigenze di conciliazione e condivisione da parte di lavoratori e lavoratrici

Affrontare dal punto di vista normativo la questione dei diritti di conciliazione per le lavoratrici e

i lavoratori cosiddetti “atipici”

Promuovere accordi sulla responsabilità sociale delle aziende riguardo alla conciliazione e

condivisione

Sperimentare buone pratiche e replicarne la diffusione nell’azienda

Monitorare i bisogni specifici dei lavoratori e delle lavoratrici in rapporto ai cicli di vita familiare,

garantendo spazi di negoziazione e flessibilità

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Aumentare la circolarità delle informazioni in azienda rispetto alle opportunità che conducono

ad una maggiore condivisione (conoscenza delle leggi, motivazioni delle scelte aziendali,

ecc...)

Favorire una migliore informazione nei gruppi di lavoro per arginare situazioni di

disparità/equivoci sulle scelte fatte/rischi di mobbing

Le agenzie territoriali

Monitorare il numero e la tipologia di servizi a sostegno della prima infanzia e della

genitorialità, incrementando la circolarità delle informazioni in merito (creazione di un

Osservatorio)

Garantire nelle programmazioni locali l’erogazione di servizi di base

Garantire servizi di base che rispondano alle esigenze dei lavoratori atipici (es: ridefinizione

degli orari di erogazione del servizio diversi da quelli dei dipendenti pubblici)

Promuovere azioni di sostegno alla genitorialità, nonché luoghi di discussione, confronto e

analisi

Sostenere processi di orientamento alla scelta per cui gli uomini e le donne possano costruire

la definizione dei propri percorsi individuali, in rapporto ad esigenze di condivisione e

conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro

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8. LE BUONE PRASSI: PERCORSI POSITIVI DI CONDIVISIONE

A cura di Patrizia Loiola

Ma che cosa è una buona prassi in questa Guida?

Per buona prassi s’intende ogni iniziativa, programma o misura, assunta sia da enti pubblici che da imprese private, allo scopo di facilitare e promuovere la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, ma altresì la condivisione delle responsabilità familiari tra uomo e donna. Attraverso una ricerca condotta nel progetto “More than one day daddy” dall’Università di Verona,

Facoltà di Giurisprudenza, con la supervisione della prof.sa Laura Calafà, sono state rilevate

diverse buone prassi, analizzando la situazione nei 25 Paesi Europei. Per definire le buone prassi

sono stati utilizzati i seguenti parametri.

PARAMETRI DI RIFERIMENTO NELL’ANALISI: 1) Quali sono gli aspetti di contesto in cui si sviluppa la prassi?

2) La prassi presentata è portatrice di innovazioni? Quali sono gli aspetti rilevanti?

3) Quali sono gli elementi (di contesto e di contenuto) confrontabili e che possono anche essere

trasferiti nel nostro contesto?

4) Le prassi individuate permettono il passaggio dalla conciliazione alla condivisione?

Applicando questo parametri sono state individuate alcune “buone prassi” che descriviamo

suddivise rispetto ai Paesi di applicazione.

In realtà la ricerca è molto più complessa e individua anche una serie di altre esperienze

interessanti ma che non è possibile definire come “buona prassi” perché mancanti di alcuni

elementi: rimandiamo per un approfondimento a questo lavoro di cui trovate, negli allegati, una

sintesi.

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BELGIO

La Bekaert Group, impresa siderurgica leader nel settore della trasformazione dei metalli, con

sede principale in Belgio, più di 80 impianti dislocati in tutto il mondo ed una rete globale di uffici

per le vendite e agenti, occupa circa 17.000 dipendenti.

All’interno del gruppo sono diffuse forme di flessibilizzazione dell’orario di lavoro (politica seguita in

generale e non solo nel caso di maternità o paternità) e del rapporto di lavoro (soprattutto nella

forma del telelavoro), nonché la costruzione di asili aziendali.

La flessibilizzazione dell’orario e l’introduzione del telelavoro riguardano una complessiva politica

aziendale, comune all’intero gruppo societario.

La creazione di asili all’interno dell’azienda è anch’essa comune al gruppo ma è stata decisa

attraverso la contrattazione collettiva.

Innovatività La prassi non presenta elementi particolari di innovazione anche perché il flexitime è una misura

che non viene collegata in maniera diretta alla maternità o alla paternità.

Conciliazione/condivisione La flessibilizzazione dell’orario e il telelavoro sono concessi tanto ai padri quanto alle madri e

dunque assecondano solo necessità di conciliazione.

OLANDA Comune di Muizen: organizza gratuitamente servizi di custodia e di accompagnamento dei figli

dei propri dipendenti e analoghi servizi a pagamento per le imprese. La prassi si sviluppa

nell’ambito dell’iniziativa del Comune, finanziato dallo stesso per i dipendenti. Tale pratica cessa di

essere prassi locale nel momento in cui il medesimo servizio viene venduto dal Comune

all’esterno.

Innovatività E’ interessante il finanziamento del servizio da parte del Comune, in assenza di fonti di

finanziamento esterne (ad esempio regionali, nazionali o comunitarie). Quando il servizio viene

proposto a pagamento alle imprese esso rappresenta un meccanismo sulla base del quale tali

imprese, se non in grado di promuovere da sole analoghi servizi (come quelli di custodia ad

esempio mediante la creazione di un asilo aziendale), possono a loro volta dare corso ad una

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 76

prassi che però rimane confinata alla mera iniziativa datoriale (il servizio offerto dal comune è a

pagamento e quindi costituisce un onere per il datore di lavoro).

Conciliazione/condivisione Si tratta di un servizio offerto a tutti i dipendenti padri e madri quindi permette conciliazione e non

condivisione.

Randstad: agenzia di somministrazione con sede principale in Olanda ma presente in molti paesi

europei. Prevede programmi di telelavoro e di flessibilizzazione dell’orario di entrata e di uscita dal

lavoro, nonché servizi di asilo all’interno dei locali dell’impresa.

La flessibilizzazione dell’orario e del rapporto è stata introdotta attraverso l’accordo collettivo.

Innovatività Utilizzo di forme di lavoro e di orario flessibile adottate esplicitamente quali meccanismi di

conciliazione tra lavoro e famiglia.

Conciliazione/condivisione La flessibilizzazione è prevista sia per i padri che per le madri: non si favorisce la condivisione ma

solo la conciliazione tra lavoro e cura dei figli.

AUSTRIA Programma per la parità di trattamento, promosso dalla Commissione per la parità della Bassa

Austria e finanziato dal Governo.

Il programma prevede specifici strumenti di accompagnamento (come tutorato e mentoring) per le

lavoratrici e i lavoratori che ritornano al lavoro dopo aver fruito del periodo di congedo di maternità,

di paternità o parentale, in modo da facilitare il rientro al lavoro, in vista soprattutto del recupero di

eventuali attività (ad esempio di formazione) che il lavoratore o la lavoratrice abbiano perso a

causa del congedo.

Da notare che tale programma è stato utilizzato in un primo momento solo per le donne ( non

necessariamente madri) quale programma di parità sul lavoro; in un secondo momento è stato

destinato in via specifica alle lavoratrici madri per le difficoltà di rientro al lavoro dopo la

gravidanza; solo in seguito anche sui padri poiché anche per loro si presentavano analoghe

difficoltà di “reinserimento” al ritorno dal congedo.

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Innovatività Il programma prende atto delle difficoltà che il padre e la madre possono incontrare sul lavoro, una

volta cessato il congedo e delle eventuali discriminazioni che da ciò possono derivare.

Conciliazione/condivisione Il programma persegue politiche di conciliazione tra lavoro e cura della famiglia.

KMU Forschung Austria: impresa non profit. In un primo momento quando l’impresa era ancora

di piccole dimensioni (meno di 20 dipendenti) è stato introdotto il congedo parentale part time

mediante la contrattazione collettiva aziendale. In seguito, all’aumento del numero dei dipendenti, il

contratto collettivo ha introdotto anche il telelavoro e forme di flessibilizzazione dell’orario in entrata

e in uscita.

Innovatività L’introduzione del congedo parentale part time, ovviamente in assenza di identica previsione da

parte della legge.

Conciliazione/condivisione Tutte le misure riguardano sia il padre sia la madre e dunque favoriscono la conciliazione e non la

condivisione.

GERMANIA Baden Wuttemberg: il Ministero dell’economia ha finanziato un progetto per l’incentivazione del

telelavoro a favore dei dipendenti padri e madri con mansioni impiegatizie.

Il programma prevede incentivi e sgravi di natura economica a favore dei datori di lavoro che vi

aderiscono e che quindi introducono il telelavoro.

Innovatività La novità consiste nel finanziamento ministeriale, laddove l’incentivo economico non sempre può

coprire i costi per l’introduzione del telelavoro ma può consistere anche in sgravi economici di altra

natura, destinati ai fini dell’applicazione di altre normative, non afferenti alla maternità o alla

paternità.

Conciliazione/condivisione Il programma riguarda padri e madri e non sembra favorire la condivisione dei compiti.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 78

Studio medico Hemming (Baviera): i lavoratori (non solo padri e madri) hanno predisposto a loro

iniziativa un sistema di turni concordati a loro discrezione e che devono essere solo comunicati al

datore di lavoro. Si tratta di una iniziativa spontanea dei dipendenti che trova l’accordo del datore

di lavoro ma senza la formalizzazione in un contratto collettivo.

Innovatività L’auto organizzazione dei lavoratori è scarsamente innovativa e, se non sfocia in accordi collettivi

o individuali generalizzati, rischia di fallire.

Conciliazione/condivisione E’ una misura di conciliazione dei compiti che peraltro non riguarda solo le esigenze di cura della

famiglia ma più genericamente le esigenze di conciliazione tra lavoro e vita privata.

FRANCIA Alcune iniziative sono nate nel solco di una contrattazione collettiva non vincolata dalla legge.

Sono quindi frutto di un’iniziativa autonoma delle parti sociali che si sono mosse in settori ben

specifici come quelli del credito e delle telecomunicazioni. La dinamica innescata da accordi

specifici a livello categoriale (accordo sulla parità uomo-donna nel settore delle telecomunicazioni)

o di vantaggi introdotti nel Ccnl di riferimento (caso del credito), spiega la ripresa e lo sviluppo del

tema in alcuni accordi aziendali di grandi gruppi.

Su un altro versante, che non tratta specificamente dei congedi, esistono a livello aziendale diversi

meccanismi di incentivazione e di supporto alla maternità e alla paternità introdotti

contestualmente alla negoziazione sull’abbassamento dell’orario di lavoro a 35 ore. Gli strumenti

più diffusi consistono soprattutto nell’utilizzo di meccanismi di flessibilizzazione o riduzione

dell’orario di lavoro.

D’altra parte, lo stato con la finanziaria del 2006 mette a disposizione fondi per che finanziano il

25% delle spese (fino a un tetto di 500000 euro all’anno) sostenute dalle imprese per la creazione

ed il funzionamento di asili nido aziendali (per bambini fino a 3 anni), per la formazione dei

dipendenti in congedo parentale, per l’integrazione della retribuzione dei dipendenti in congedo

(paternità, parentale o di cura) o infine per il rimorso delle spese eccezionalmente sostenuto dal

dipendente in caso di un obbligo imprevisto del dipendete fuori degli orari di lavoro.

Al di là della contrattazione collettiva e delle iniziativa unilaterali delle aziende sostenute dallo

Stato, la giurisprudenza mostra casi in cui i vantaggi riconosciuti al lavoratore sono scaturiti da

pattuizioni individuali (caso di un aumento della durata del congedo parentale).

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Da segnalare infine lo strumento dell’auto-organizzazione da parte dei lavoratori. Si segnala in

particolare l’esperienza innovativa dell’Hopital Saint Camille, dove i dipendenti dell’ospedale

hanno creato una cooperativa di lavoro attraverso la quale dei disoccupati provvedono alla cura

dei loro figli (accompagnamento a scuola o all’asilo, preparazione dei pasti, organizzazione di

esperienze di gioco come le visite allo zoo).

Innovatività Nel panorama contrattuale si segnalano le seguenti prassi:

- Aumento del congedo parentale o congedo supplementare a quello di maternità o adozione

- Modalità particolare per le “coppie” di dipendenti dal punto di vista della mobilità territoriale:

in caso di trasferimento di un lavoratore, l’azienda si impegna a favorire il trasferimento del

coniuge

- Mantenimento della retribuzione laddove lo stipendio superi il tetto dell’indennità dovuto per

il congedo di paternità o di adozione.

- Presa in considerazione del congedo di paternità o di adozione a fine delle ferie annue

- Sostegno economico per le spese di asili nido o la baby-sitter

- Aiuto nella ricerca degli asili nido

- Collochi e bilanci in merito al percorso professionale

- Formazione al rientro del congedo

Mentre le integrazioni retributive e l’intervento sulla formazione sono aspetti classici delle buone

prassi, sono da sottolineare l’attenzione portata al percorso professionale in quanto tale anche

sotto forma preventiva, nonché alle evenienze che si collocano al di fuori del rapporto di lavoro: si

tratti della presa in considerazione del rapporto di coppia nell’ambito della mobilità professionale e

territoriale, oppure del sostegno alle spese di baby-sitter (in casi di urgenze finanziate in parte dallo

Stato, cf. par. precedente).

Il contesto dei vantaggi concessi dalla contrattazione collettiva sul piano retributivo è un fenomeno

conosciuto in Italia (aumento al 100% dell’indennità in caso di congedo di maternità nei contratti

collettivi italiani). I finanziamenti statali in Francia non sono condizionati dall’intervento della

contrattazione collettiva, e ciò forse spiega che non vi siano a livello categoriale stati previsti

interventi in merito alla flessibilità degli orari. Tale forme di flessibilità sono potute intervenire a

livello aziendale nell’ambito della contrattazione sul passaggio alle 35 ore.

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Sul piano dei contenuti, si sottolinea appunto l’assenza di intervento sugli orari nella contrattazione

collettiva nazionale, forse dovuto dal fatto che già il quadro legislativa prevede la possibilità di

trasformare il congedo in lavoro part-time eventualmente fruibile simultaneamente con l’altro

lavoratore genitore. Nel nostro ordinamento, la contrattazione sul part-time sembra ferma ad una

visione - ben evidenziabile nelle modifiche apportate con la riforma del mercato del lavoro del 2003

- che considera la flessibilità quale strumento a vantaggio del datore di lavoro. Fanno eccezione le

esperienze ex art. 9 l. n. 53 del 2000 sulle azioni positive a favore della flessibilità.

Potrebbero essere introdotti nel nostro contesto contrattuale soluzioni innovative nei casi di copie

di dipendenti lavorando per la medesima azienda. Occorre sottolineare il parallelismo tra alcune

buone prassi francesi l’esistenza anche in Italia di sostegni economici erogati per ragioni familiari

nel settore del credito. Un altro parallelismo esiste nei finanziamenti stanziati per l’istituzione di asili

nido. Sarebbe interessante l’estensione del finanziamento alle spese dei dipendenti per la baby-

sitter.

Sarebbero in generale da valutare è prospettabile nel sistema italiano l’introduzione di buone

prassi che non richiedano l’intervento sindacale, si trattino di provvedimenti unilaterali dell’azienda

o di forme di autoregolazione. In Francia, tale modalità possono poggiare sui rappresentanti eletti

del personale e non sul sindacato in senso stretto.

Conciliazione/condivisione Come indicato sopra, già il quadro legislativo presenta vari profili che incitano alla condivisione, in

prima linea l’esistenza di un congedo di paternità specifica, ma anche la possibilità di trasformare i

congedi parentali o di cura in congedi simultanei part-time. In questo modo il congedo può essere

fruito simultaneamente o alternativamente, il padre e la madre avendo quindi una scelta ampia e

elastica tra varie formule (congedi simultanei a tempo parziale, congedi pieni goduti

alternativamente, ecc.). Il principio della flessibilità scelta tuttavia viene intaccato dal fatto che la

giurisprudenza riconosce al datore di lavoro la scelta finale con riguardo al nuovo orario part-time.

Un intervento della contrattazione sarebbe quindi necessario per correggere tale orientamento ed

inquadrare con precisione il passaggio al part-time, eventualmente facendo riferimento alla

situazione di famiglia e agli orari fatti dall’altro genitore lavoratore.

Le buone prassi incontrate intervengono soprattutto per rimuovere gli ostacoli che si potrebbero

ostacolare alla condivisione del congedo da parte del padre o della madre: si tratta soprattutto di

ostacoli alla fruizione del congedo sul piano retributivo o del futuro professionale. Quale elemento

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favorevole alla condivisione si segnala che gli interventi della contrattazione spesso parificano i

vantaggi, ad esempio in termine di congedo supplementare.

Invece le azioni in materia di asili nido o dei baby-sitter non sono riconducibili alla condivisione ma

piuttosto a forme di conciliazione.

SPAGNA Hewlett – Packard: pratica abitualmente una politica di flessibilità dell’orario che consente, in

particolare: una maggiore elasticità dell’orario di entrata e di uscita, seppure entro limiti

determinati; la possibilità di optare per il telelavoro; la possibilità di optare per una riduzione

dell’orario giornaliero di lavoro.

IBM: anche in questo caso viene perseguita una politica di flessibilità totale dell’orario. I lavoratori

e le lavoratrici dell’area servizi dell’azienda hanno la possibilità di iniziare la loro giornata lavorativa

da casa - mediante l’uso di Internet e della posta elettronica possono impostare il lavoro per la

giornata – e recarsi presso il posto di lavoro solo successivamente, quando lo desiderano. Viene

eliminato il controllo della presenza, valorizzando il lavoro in funzione del risultato.

Nel momento in cui un lavoratore o una lavoratrice usufruiscono di un congedo di più di sei mesi -

per ragioni di malattia non solo propria, ma anche di un familiare – l’assenza viene colmata

mediante l’inserimento di un altro lavoratore. Egli mantiene, tuttavia, il diritto alla conservazione del

posto di lavoro alle medesime condizioni.

Innovatività Non particolarmente nota, e quindi meritevole di segnalazione, appare la possibilità di cominciare

la giornata lavorativa da casa mantenendo la facoltà di proseguirla all’interno della struttura

lavorativa, attraverso uno schema che unisce il telelavoro con la libera gestione della prestazione –

fermo restando il limite della natura della stessa - in funzione del risultato.

Conciliazione/condivisione Nelle 2 esperienze analizzate (HP, IBM) la conciliazione, e non la condivisione, appare l’obiettivo

da perseguire. La connotazione neutra impressa alle misure adottate non si presta ad incentivarne

l’uso da parte dei padri.

Vodafone: prevede un ampliamento del congedo di paternità da 2 a 5 giorni retribuiti. Inoltre, viene

riconosciuto un aiuto economico per ciascun figlio o figlia di età inferiore ai 4 anni, per ragioni

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legate alla cura; è previsto un periodo retribuito di permesso in caso di ricovero ospedaliero di un

familiare entro il secondo grado di consanguineità; è previsto, altresì, un permesso di 4 anni per la

cura del figlio o della figlia durante il quale l’impresa paga i contributi alla sicurezza sociale e

garantisce la conservazione del posto di lavoro. Infine, viene ampliato il permesso in caso di

affidamento permanente o preadottivo di un figlio.

Innovatività L’azienda procede secondo un programma di miglioramento di congedi, e diritti ad essi connessi,

già previsti.

Conciliazione/condivisione Certamente, l’ampliamento del congedo di paternità appare finalizzato all’incentivazione dell’uso

da parte dei padri e, quindi, alla condivisione. La misura non è neutra, ma destinata direttamente al

genitore padre. L’integrazione retributiva relativa al ricovero ospedaliero del familiare, e quindi

anche del figlio, seppure avente natura neutra, appare apprezzabile, tenuto conto del fatto che

sovente congedi e permessi successivi alla maternità non sono retribuiti o lo sono in misura

insufficiente. Infine, con riguardo al riconoscimento di un permesso di cura di 4 anni, non vi è una

vera e propria integrazione retributiva, tuttavia, la previsione appare senz’altro migliorativa rispetto

al congedo parentale spagnolo non retribuito.

Mercadona: i lavoratori dell’impresa possono contare su due asili nido con orario dalle 6.00 alle

14.00 e dalle 14.00 alle 22.00. Presso tale struttura sono impiegati una serie di educatori

specializzati che offrono diverse programmazioni scolastiche per anno. Si tratta, inoltre, di strutture

molto ben attrezzate.

Innovatività Si tratta del potenziamento di una misura già diffusa: da valorizzare l’aspetto qualitativo

dell’iniziativa.

Conciliazione/condivisione Rispetto all’obiettivo della condivisione, la misura prevista non aggiunge nulla di nuovo.

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PORTOGALLO Radiotelevisione portoghese Sa: prevede diverse misure di sostegno dei lavoratori con figli a

carico (madri e padri) dalle forme di lavoro flessibile (part – time e telelavoro), alla flessibilizzazione

dell’orario di lavoro (in entrata e in uscita o nella forma della pausa giornaliera prolungata), alla

creazione di asili aziendali. Tutte le misure derivano dalla contrattazione collettiva aziendale.

Innovatività Diffusione del flexitime.

Conciliazione/condivisione Tutte le misure favoriscono conciliazione e non tanto la condivisione.

ITALIA Sony Italia Spa (Rovereto – Trento). L’azienda è composta da 170 operai (di cui 80 uomini) e 30

impiegati (di cui 20 uomini). Sono stati introdotti accordi aziendali definiti “accordi di pari

opportunità e di azioni positive per la realizzazione delle pari opportunità in azienda. Gli accordi

prevedono part time con diverse modulazioni di orario, in occasione della maternità e della

maternità e diversificati a seconda dell’età del figlio. Sono previsti anche corsi di aggiornamento

professionale in occasione del ritorno in azienda.

Innovatività La flessibilizzazione dell’orario di lavoro secondo vari tipi di modulazioni, in relazione alle esigenze

del lavoratore/lavoratrice. La previsione dell’aggiornamento professionale tiene conto delle

eventuali difficoltà che possono essere connesse al rientro sul lavoro dopo un periodo di congedo,

difficoltà che possono riguardare tanto la madre quanto il padre.

Conciliazione/condivisione Anche in tal caso le misure a sostegno della maternità e della paternità sono indifferenziate per i

genitori, sicché non sembra incentivata la condivisione.

Delta elettronica Spa (Varese). Si tratta di un’azienda manifatturiera che opera nella produzione

di sistemi di protezione per le auto. La produzione è stagionale con flusso in aumento durante

l’estate. Occupa circa 100 dipendenti di cui metà uomini. Sono previsti: orario giornaliero flessibile

in entrata di 45 minuti e la possibilità di compensazione, anche durante la pausa per il pranzo. Le

ferie annuali possono essere utilizzate ad ore, mediante richiesta preventiva al datore di lavoro. E’

prevista anche la banca delle ore allo scopo di trovare una compensazione temporale e non

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monetaria alle ore lavorate in più. Tutte le misure sono previste nell’ambito della contrattazione

collettiva aziendale.

Innovatività La previsione della banca delle ore e l’utilizzo delle ferie in maniera scandita nel tempo, anche a

ore e non solo a giorni.

Conciliazione/condivisione Tutti gli strumenti di flessibilità e la banca delle ore sono previsti a favore di tutti i lavoratori.

DANIMARCA La Novozymes, azienda leader nel campo della bioetica – enzimi e microrganismi – ha adottato

politiche aziendali volte alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro attraverso la predisposizione di

servizi di cura per i figli dei dipendenti e la possibilità di usufruire di schemi di orario flessibile.

Innovatività La prassi adottata dall’azienda non appare particolarmente innovativa, sul versante dei contenuti,

poiché riguarda l’utilizzo, già ampiamente praticato, di strutture espressamente dedicate alla cura

dei figli come gli asili – nido. Lo stesso è possibile osservare anche con riguardo alla flessibilità di

orario.

Conciliazione/condivisione. Si tratta di misure di sostegno neutre, accessibili indistintamente da ambo i sessi, prive di una

finalizzazione espressa nei confronti del padre, che consentirebbe il superamento del concetto di

conciliazione in favore di quello di condivisione.

Una ricerca condotta all’interno delle aziende danesi Amagerforbrændingen, Novo Nordisk Engineering, NCC ed Oracle ha evidenziato come le aziende in questione non avessero previsto

in forma scritta alcuna politica in favore della famiglia. Tuttavia, esse praticano stabilmente

politiche family-friendly come la previsione di un orario lavorativo flessibile; di retribuzioni complete

durante il permesso di maternità/paternità (soltanto una su quattro integra completamente la

retribuzione, le altre lo prevedono per un periodo di tempo limitato); di un giorno libero retribuito in

corrispondenza del primo giorno di malattia del bambino; di una stanza riservata ai bambini

ammalati nei locali dell’azienda; di un asilo nido, ecc…

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Innovatività Anche in questo caso si registrano, nella maggior parte dei casi, esperienze già note. Non

particolarmente diffusa, seppure neutra, e, pertanto, trasferibile anche in altri contesti, appare la

predisposizione di una stanza riservata ai bambini ammalati.

Conciliazione/condivisione. Si tratta di misure orientate verso una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ma non

verso una vera e propria condivisione dei ruoli. Fa eccezione l’integrazione retributiva concessa a

favore del padre che usufruisce del congedo di paternità. Tale integrazione può chiaramente

fungere da incentivo nell’utilizzo del congedo, facoltativo, da parte del padre, favorendo la

condivisione dei ruoli e delle responsabilità legate alla cura dei figli.

FINLANDIA I Comuni possono pagare un assegno di cura, finalizzata alla permanenza presso un asilo privato

o all’assistenza di una persona scelta dai genitori, di un bambino, residente in Finlandia, di età

inferiore a quella scolare. Tale sostegno può essere usufruito a far data dalla conclusione del

periodo parentale e fino a che il bambino non raggiunga l'età della scuola dell’obbligo. Esso si

compone di un assegno di base di €.118 al mese per figlio e di un supplemento a cui la famiglia

può accedere secondo parametri legati al reddito. Il supplemento è pagato fino ad un massimo di

€.135 al mese per bambino. Il sostegno in questione è pagato direttamente alla persona o struttura

di cura.

Inoltre, i comuni prevedono la possibilità che la cura del bambino possa avvenire sia presso asili

nido, che presso l’abitazione di chi si occupa di attività di cura di bambini (tipo baby-sitter). L’attività

di cura può essere resa sia tempo parziale che a tempo pieno, anche 24 ore al giorno per favorire i

lavoratori in turni.

Innovatività L’innovazione della prassi in questione è certamente innegabile, perlomeno con riferimento alla

tipologia di servizi normalmente offerta dal comune. Essa si aggiunge, non si sostituisce, al

periodo di congedo parentale, fornendo ai genitori un ulteriore supporto. Non trascurabile, inoltre, il

fatto che venga valorizzata la possibilità di scelta della struttura o della persona deputata alla cura

del bambino.

Conciliazione/condivisione Nonostante l’innovatività della prassi esaminata, sarebbe arduo sostenere che essa favorisca il

passaggio dalla conciliazione alla condivisione dei ruoli, dato che la finalità sembra essere

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piuttosto quella di alleggerire i carichi di cura della famiglia, senza per ciò stesso incentivare o

stimolare un ruolo più attivo del padre nella cura dei figli.

Ospedale municipale di Jorvi: ha elaborato un programma di lavoro finalizzato ad introdurre

elementi di flessibilità in un sistema di gestione dell’orario di lavoro come quello dei turni, per sua

natura piuttosto rigido. In precedenza, l’unica modalità esistente era quella dalle ore 8.00 alle ore

16.00 (non modificabile). Ora è previsto un sistema che consente una maggiore personalizzazione

dei turni, organizzabili all’interno di una fascia oraria flessibile che inizia alle 7.00 e termina alle

18.00.

Innovatività Classica formula di flessibilità dell’orario di lavoro. Non particolarmente innovativa.

Conciliazione/condivisione L’accesso agli schemi di flessibilità è neutro e non favorisce la condivisione dei ruoli tra madre e

padre.

Azienda chimica, di proprietà di una importante S.p.A. (non meglio specificata): la metà dei

dipendenti lavora su tre turni, l’altra metà svolge lavoro diurno. I dipendenti turnisti hanno

organizzato un sistema non ufficiale di scambio dei turni, fondato sull’aiuto reciproco

nell’organizzazione del tempo per lavoro e famiglia. Tale sistema risulta basato sulla fiducia e

sulle responsabilità di squadra. L’esperienza degli operai turnisti è, infine, sfociata nella creazione

di un sistema non ufficiale di sostegno concretizzatosi nella formazione di un gruppo di discussione

composto da soli padri.

Innovatività Seppure il sistema di scambio dei turni, sotto il profilo del contenuto, non sia particolarmente

innovativo, ciò che appare apprezzabile è il metodo attraverso il quale la buona prassi si è

sviluppata: si tratta infatti di un fenomeno di autorganizzazione dell’orario di lavoro in turni,

modulato sulla base dei carichi di cura. Il gruppo di discussione che ne è conseguito può, inoltre,

divenire bacino di idee per ulteriori diverse esperienze.

Conciliazione/condivisione A favore della condivisione dei ruoli depone positivamente il fatto che ad accedere a tale sistema

siano solamente i padri.

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SVEZIA Stockholm County Council: pubblica amministrazione che ha elaborato un sistema di flessibilità

degli orari di lavoro al fine di garantire una migliore conciliazione dell’attività lavorativa con quella

familiare da parte dei suoi dipendenti.

Ericsson: in materia di congedi parentali, propone misure di integrazione dell’indennità prevista, in

modo da incentivare la scelta del congedo, senza perdita di guadagno.

Innovatività Non può registrarsi alcuna innovatività rispetto alle già note misure della flessibilità di orario e

dell’integrazione retributiva del congedo.

Conciliazione/condivisione Anche le esperienze svedesi non si pongono in un’ottica diversa da quella relativa alla

conciliazione dei ruoli. Nessuna delle esperienze segnalate mostra caratteristiche incentivanti

rispetto al ruolo dei padri nella cura dei figli.

REPUBBLICA CECA R-Presse: editore del settimanale RespeKt. La linea editoriale è volta alla massima valorizzazione

della conciliazione tra vita e lavoro. Sono allo scopo previste alcune specifiche misure per i

dipendenti genitori:

• non obbligo di lavoro nei fine settimana;

• congedi speciali, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge;

• modulazioni dell’orario di lavoro in senso flessibile, come part-time o la possibilità di lavoro da

casa.

Innovatività Anche in questo caso non vi sono aspetti particolarmente rilevanti o innovativi.

Conciliazione/condivisione Le misure adottate sono neutre e la condivisione dei ruoli appare un aspetto ancora da

approfondire.

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GRAN BRETAGNA

Il 55% dei luoghi di lavoro, in cui sia presente almeno qualche dipendente maschio, riconosce al

padre una retribuzione piena (e quindi superiore all’indennità statutaria – “statutory pay”) durante il

congedo di paternità ovvero durante un congedo discrezionale. Di questa percentuale, il 49%

appartiene al settore privato, l’84% a quello pubblico. Due settimane di congedo a paga piena

sono previste, per esempio, da Tower Homes, Lexis Public Relations, Power Technology Solutions, Microsoft, Boehringer Ingelheim, Penna, Deutsch Bank, Vodafone UK, i-level, Mondial UK. Meno diffusa è la prassi di aumentare, invece, la durata del congedo. Alcune imprese, come per

esempio BT, Ashtons e Trading Partners, riconoscono, oltre alle due settimane a paga piena,

anche due ulteriori settimane non retribuite.

Se le prassi ora evidenziate riguardano esclusivamente l’operatività del congedo di paternità, altri

possibili strumenti di incentivo di più generale applicazione sono forniti da asili nido (The Body Shop, Addenbrooke’s NHS Trust), servizi di “telefono amico” ovvero di consulenza via internet

(Holy Cross Sixth Form Collage) e voucher per sostenere l’assistenza all’infanzia (Vodafone UK, Boehringer, Lexis PR). Sono soprattutto le politiche di lavoro flessibile (Glaxo Wellcome, BT), tuttavia, a presentare una più spiccata potenzialità nell’innovazione organizzativa

dell’azienda, incentivate, tra l’altro, dalla disciplina sui congedi parentali che demanda agli accordi

collettivi e individuali il compito di formulare il modello flessibile per rendere operativo l’istituto nello

specifico luogo di lavoro.

Innovatività Le prassi che presentano più evidenti profili di innovatività sono quelle che sperimentano nuovi

strumenti per agevolare l’assistenza all’infanzia, dai centri multi-funzionali per le esigenze familiari

(asili nido e non solo), ai servizi di “telefono amico”, alla consulenza via internet, ai voucher per

sostenere le spese di cura.

Nella prospettiva dell’organizzazione aziendale, elevate potenzialità sono da riconoscersi ai

modelli di lavoro flessibile, che permettono di rendere operativi i congedi e bilanciare i tempi di vita

e lavoro attraverso accordi collettivi o individuali.

Conciliazione/condivisione La normativa statutaria già prevede un congedo specifico ed autonomo per la paternità, il cui

utilizzo, però, è ostacolato nel concreto dal fatto che l’indennità è fissata in modo rigido entro un

tetto massimo di 106 £ settimanali. La prassi, diffusasi in molte imprese, di corrispondere al

lavoratore la paga piena (o di calcolare l’indennità su base percentuale rispetto alla retribuzione

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effettiva, come suggerito da alcune proposte di riforma), durante le due settimane di congedo,

sicuramente incentiva l’operatività dell’istituto e rafforza la prospettiva della condivisione, anche tra

lavoratori con qualifiche professionali di alto profilo (e, di conseguenza, con una retribuzione ben

più elevata dall’indennità statutaria), i primi a declinare l’utilizzo del congedo di paternità così come

previsto a livello statutario.

IRLANDA

L’Irish Civil Service riconosce 3 giorni di congedo speciale retribuito da utilizzare entro 4

settimane dalla nascita o dal collocamento in famiglia (in caso di adozione) del bambino. Così

anche l’Irish Nurses Organisation e il Trinity College Dublin. L’Electricity Supply Board riconosce 3 giorni, ma riduce il termine di utilizzo a 2 settimane.

La Bank of Ireland prevede, invece, una settimana retribuita per i dipendenti che abbiano

maturato un anno di servizio, da spendere entro 4 settimane dalla nascita o collocamento in

famiglia del bambino.

Spostandoci ad un’analisi delle buone prassi finalizzate ad una più generale tutela della

conciliazione vita - lavoro, le più comuni iniziative riguardano la previsione di congedi speciali e di

congedi d’emergenza (da affiancarsi al diritto statutario al congedo parentale, di cura e di forza

maggiore), di lavoro part-time e di orari flessibili.

Innovatività Il livello di tutela raggiunto dalle buone prassi è ampiamente inferiore a quello previsto nel Regno

Unito e in altri paesi europei, per quanto riguarda sia la durata del congedo (pur eventualmente

retribuito) sia l’arco di tempo in cui può essere utilizzato, sia, infine, il periodo di servizio

qualificante. Il quadro che si delinea non presenta alcun profilo di innovazione, se non rispetto al

proprio contesto normativo di appartenenza, che non riconosce alcun congedo specifico e

autonomo di paternità, ma solo il congedo parentale, di forza maggiore e di cura.

Conciliazione/condivisione Appaiono evidenti le criticità in merito alla capacità di incentivare la prospettiva della condivisione.

ALCUNE CRITICITA’ EMERSE DURANTE I LABORATORI DI CONDIVISIONE

Presentiamo alcune considerazioni emerse nel Laboratorio di Cagliari.

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“E' necessario, dopo anni, di politiche a favore della conciliazione dei tempi lavoro-famiglia, fare un

salto di qualità culturale e andare verso la condivisione delle responsabilità familiari uomo-donna.

Sebbene si siano costruite molte opportunità verso la conciliazione, come ad esempio, in Italia, la

legge n° 53/2000 sui congedi parentali, a conciliare sono spesso e, in alcuni casi solo, le donne.

Ciò che è stato fatto fino ad oggi, ha sicuramente aiutato molto le donne, perché potessero

conciliare il tempo del lavoro e quello degli impegni familiari, ma gli uomini sono entrati poco in

questo processo.

La situazione all'estero è invece diversa. Paesi come la Francia, la Germania, l'Olanda hanno

dedicato molti finanziamenti e grande attenzione da parte degli organi governativi e per questo

stanno promuovendo numerose iniziative e avviando molti progetti di grande interesse.

Sembra però ancora improbabile che le buone pratiche europee trovino applicazione in Italia dove

pare non esserci un retroterra culturale, sociale e soprattutto politico che possa accogliere

determinate scelte aziendali.

Dalle riflessioni dei genitori emerge quindi una visione abbastanza priva di fiducia verso la possibilità del cambiamento: viene rimarcato l’aspetto relativo alla disoccupazione e al

conseguente adattamento da parte dei lavoratori ad occupazioni anche temporanee ma

sufficientemente retribuite. In tal senso le politiche di conciliazione e condivisione passano in

secondo piano, sostanzialmente le riflessioni si muovono in questo senso: “l’importante è lavorare

e se anche questo comporta una rinuncia di certe agevolazioni, pazienza”

TRA LE BUONE PRASSI PROPOSTE SONO STATE CONSIDERATE DI PARTICOLARE INTERESSE:

Germania – Baden Wuttemberg – Ministero dell’Economia

E’ stato concesso il telelavoro.

Il telelavoro in Italia come postazione a casa è molto raro, vi sono invece alcuni casi di impiegati

che prendono il servizio per via telematica e si recano sul posto di lavoro più tardi nel corso della

giornata.

In Italia il telelavoro non è capillare in quanto sfugge al controllo del datore di lavoro. E’ oneroso

dal punto di vista economico dell’azienda installare delle postazioni presso l’abitazione del

lavoratore/trice. Nei casi in cui sono state offerte possibilità di telelavoro queste sono state colte

dai lavoratori/trici.

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Sarebbe importante convincere le aziende a sperimentare nuove forme organizzative

dimostrando il vantaggio che ne può scaturire per l’azienda. Si nota anche una maggiore

attenzione alla specificità femminile in quei settori a prevalenza di manodopera femminile

(commercio/servizi, tessile). Ci sono stati casi di aziende costrette a trovare soluzioni organizzative

che agevolano la conciliazione in presenza di una manodopera femminile prevalentemente

concentrata nella fascia di età fertile. E’ quindi la contrattazione aziendale lo strumento che

maggiormente può influire su un’ organizzazione del lavoro favorevole alla conciliazione.

Spagna – IBM

Il controllo non è fatto su quante ore lavori ma sui risultati che consegui.

Questa soluzione sarebbe l’ideale ma presume un’assunzione di responsabilità nel conseguimento

dei risultati da parte dei/delle lavoratori/trici. Ci sono casi di aziende che prevedevano molta

flessibilità che si sono scontrate con dipendenti poco affidabili nel conseguimento dei risultati.

Olanda – Comune di Muizen

Organizza gratuitamente servizi di custodia e di accompagnamento dei figli dei propri dipendenti e

analoghi servizi a pagamento per le imprese.

E’ un esempio che potrebbe essere trasferito anche da noi, utile per chi non ha una rete familiare

di supporto, per il costo che dovrebbe sostenere l’aziende bisognerebbe avere a disposizione un

fondo.

Finlandia – Azienda chimica

Sistema non ufficiale di scambio dei turni

E’ una buona soluzione ma non di facile realizzazione in Italia, dipende dall’impostazione culturale.

Belgio – Bekaert Group

Asilo aziendale.

E’ una soluzione che non sempre viene utilizzata dai lavoratori, il suo utilizzo dipende dalla

distanza tra l’abitazione e il luogo di lavoro.

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Viene riferito l’esempio di un’azienda che ha aperto l’asilo-nido interno. Questa soluzione non ha

diminuito la richiesta di part-time da parte delle lavoratrici in quanto per loro il fattore più

importante è la disponibilità di tempo.

Elementi di criticità delle buone prassi:

1) Purtroppo alcune delle prassi analizzate (job sharing, micronidi, telelavoro, banca del tempo)

hanno in comune l’essere esperienze isolate, temporanee e non di sistema.

2) Altro elemento che hanno in comune è il fatto di presupporre una forte fiducia nell’”altro”:

- il collega, con il quale ci si suddivide il posto di lavoro e le responsabilità,

- il genitore (non educatore professionale) al quale si affida il bambino/a, nell’ambito

propria casa,

- il datore di lavoro che non può operare un controllo immediato e puntuale ( come di solito

è) rispetto all’operato del personale

- il socio della banca del tempo con il quale attivo uno scambio paritario di prestazioni

3) le politiche educative a sostegno della genitorialità poco si integrano con altre politiche

legate al mercato del lavoro e delle politiche sociali in genere e di genere. Ogni servizio

programma per sé senza integrazione.

4) La flessibilità totale dell’orario sarebbe la soluzione ideale per la condivisione ma presume

un’assunzione di responsabilità nel conseguimento dei risultati da parte dei/delle

lavoratori/trici. Ci sono casi di aziende che prevedevano molta flessibilità che si sono

scontrate con dipendenti poco affidabili nel conseguimento dei risultati.

5) L’offerta di servizi gratuiti di custodia e di accompagnamento dei figli dei dipendenti da

parte delle aziende potrebbe essere trasferito anche da noi, utile soprattutto per chi non

ha una rete familiare di supporto, il costo dovrebbe essere sostenuto da un apposito

fondo.

6) Molte delle esperienze straniere sono state considerate non trasferibili in Italia soprattutto

a causa di un’impostazione culturale non appropriata sia delle aziende che dei

lavoratori/delle lavoratrici.

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Ma non sono solo le “buone prassi” in senso stretto che possono facilitare i processi di

condivisione, interessanti sono anche le campagne di comunicazione.

Evidenziamo alcuni commenti e valutazioni da parte dei papà sulla concreta applicazione di alcune

esperienze di strategie di comunicazione che vanno verso la condivisione, cercando di modificare

atteggiamenti culturali, abitudini, organizzazione interna

In Belgio:

1. Nella seconda metà degli anni 90 è stato lanciato un kit action comprendente un

programmatore domestico, ovvero un tabellone in cui inserire settimanalmente, mediante

simboli visivi, la distribuzione dei compiti familiari all’interno della famiglia. Il riepilogo

settimanale di chi fa che cosa può servire come base di discussione sia per la

pianificazione del lavoro di cura sia per la ripartizione delle responsabilità.

Alcuni papà ritengono che possa essere utile solo per le coppie giovani, ritengono di avere

sufficiente conoscenza con la loro compagna da non aver bisogno di pianificare o confrontarsi

ulteriormente. Di fatto l’analisi si basa soprattutto sulla suddivisione nelle faccende di casa/pulizie

ecc (elementi oggettivi, facilmente suddivisibili); anzi molte rotture di rapporti e divorzi sono

imputati al fatto che le persone non hanno preso ben coscienza del loro ruolo all’interno della

famiglia.

2. Lancio, nel 1995, di una campagna di sensibilizzazione, attraverso cartoline illustrate e

manifesti affissi negli autobus e dei tram delle principali città, che evocava in modo giocoso

le possibilità di condivisione non tradizionali dei compiti domestici.

“Bisogna vedere intanto che stile di vita avevano gli uomini dei Paesi Bassi, perché magari se sono

giunti a questi livelli avranno degli stili un po’ particolari, andavano al bar non so, passavano poco

tempo in famiglia e più ad attività che erano più confacenti, qualcuno ha gridato, cioè dico forse

c’era un malessere sociale, bisognerebbe magari capire il rapporto”

“Finché siamo in azienda, nel contesto tipo il nostro diciamo che ha una certa struttura

organizzativa e anche a livello di dimensioni è un conto, però quando vai su un contesto più

piccolo voglio vedere se vai a chiedere i permessi parentali quali sono le risposte. E quindi può

essere una sensibilizzazione proprio per cambiare il modo di vedere le cose”

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3. Lancio, nel 1997 da parte della Henkel, di una campagna pubblicitaria e di un concorso

per un detersivo per stoviglie intitolata “Vincete un uomo con Per”: le 10 vincitrici

avrebbero avuto in premio i servizi di un cameriere per un giornata. Gli uomini che poi

avrebbero costituito il premio sono stati scelti tra 40 candidati e formarti da specialisti un

giorno alla settimana per due mesi.

“Un simbolo anche quello. Cioè lavo i piatti, quello che vuoi, ma dopo c’è anche il tempo per

qualcos’altro. Comunque può essere un esempio no dell’uomo attivo in casa che lava i piatti da

solo”

“Se uno è single sicuramente, deve riconoscersi per forza”

“Tanti amici sono diventati single, dove prima le cose che non avevano mai fatto, stirato, lavato per

terra, pochissimo voglio dire, perché sempre tornando al discorso la moglie era più a casa e via..”

LE AZIONI PER LA FLESSIBILITA’ ORARIA

Sempre nella ricerca “Paternità e Lavoro”, a cu si rimanda per ulteriori dettagli, vengono presentati

alcuni percorsi/progetti di conciliazione e, talora, di condivisione attuati attraverso il dispositivo

della Legge nr. 53/2000: di seguito si citano in sintesi le esperienze più significative che hanno

riguardato il coinvolgimento dei padri.

CAD ITALIA a r.l. (Roma) Introduzione di una nuova soluzione lavorativa: telelavorocon valenza positiva ai fini della flessibilità di orario Con il progetto è stato introdotto in azienda il telelavoro per 3 lavoratori padri residenti nei comuni della provincia di Roma, dotati di un elevato livello di autonomia operativa e in grado di autogestire la suddivisione del lavoro secondo tempi e ritmi autonomi, pur mantenendo la reperibilità durante il normale orario di lavoro. Il progetto si avvale dell’accordo territoriale tra la CAD ITALIA e la UILM-UIL. I dipendenti, non essendo inutilmente costretti a sostenere costi economici e di tempo per il raggiungimento della sede di lavoro, hanno riscontrato fruito di più tempo da dedicare alle proprie famiglie. Inoltre, l’azienda ha ottenuto la contrazione dei tempi medi di consegna dei lavori. DETTO FATTO Società cooperativa a r.l. Milano Genitori al lavoro

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L’intervento ha previsto la sperimentazione di diverse forme di flessibilità di orario e della prestazione lavorativa all’interno della cooperativa proponente. Per il padre socio lavoratore che è stato destinatario del progetto è stato usato il part time reversibile annuale (poi rinnovato). Il progetto beneficia dell’accordo aziendale con Fisascat-Cisl. La cooperativa ha messo a punto un nuovo modello organizzativo che oggi viene sistematicamente utilizzato da quanti si trovano nella necessità di conciliare il tempo di lavoro e le responsabilità di cura familiari. LA CASCINA Società cooperativa a r.l. Roma MARY POPPINS Attraverso l’impiego di baby sitter a domicilio, il progetto ha offerto l’opportunità alle lavoratrici madri e ai lavoratori padri della Cooperativa, di gestire meglio il problema dei rientri pomeridiani in ufficio e della sospensione dell’attività scolastica nei periodi festivi. Sui rientri pomeridiani grava infatti la doppia fatica di trovare personale qualificato per l’assistenza ai figli minori e risorse economiche necessarie a coprire tutto il monte ore pomeridiano. I servizi delle baby sitter a domicilio sono state messe a disposizione da una società cooperativa che opera nel settore. Il progetto si avvale dell’accordo aziendale tra la Cascina e la Fisascat CISL. Si è realizzata la riduzione delle assenze giustificate e per malattie. ZETEMA PROGETTO Società a r.l. Roma Azioni di flessibilità concernenti turnazione fissa antimeridiana, part-time reversibile, convenzioni con centri ricreativi La società cura tra l’altro la custodia, la promozione e l’organizzazione delle mostre all’interno dei Musei Capitolini. L’attività produttiva è divisa in tre aree: progettazione, restauro e didattica. Altre commesse sono nei dintorni di Roma. L’esigenza cui il progetto ha inteso rispondere è il sostegno ai lavoratori padri e madri che sono impegnati in turni presso servizi di pubblica accoglienza, anche nei giorni festivi, e non riescono a organizzare la cura dei propri figli piccoli. Il progetto ha previsto quattro azioni, due nel corso del primo anno di attuazione e due nel secondo anno. Per il primo anno l’intervento ha proceduto alla sperimentazione della turnazione fissa antimeridiana e del part time reversibile (peraltro già previsto dal contratto collettivo e in alcuni casi concesso tramite graduatorie). Nel corso del 83 secondo anno è stata stipulata una convenzione con un centro ricreativo al quale i lavoratori possono affidare i figli per l’intera giornata; è stato introdotto il telelavoro per quei lavoratori che per esigenze familiari e compatibilità hanno la necessità di lavorare presso la propria abitazione. L’azienda ha verificato il miglioramento del servizio, grazie alla maggior presenza di personale e al mantenimento di un alto standard qualitativo nella prestazione lavorativa, dovuti alla soddisfazione delle esigenze di conciliazione dei lavoratori e alla scarsa incidenza sulla retribuzione delle flessibilità organizzative apportate. AZIONI DI FORMAZIONE E DI REINSERIMENTO APRILIA Spa Noale (Ve) Aprilia Famiglia Vicina

L’intervento ha avuto lo scopo di agevolare i tempi di vita di quel personale (operai e impiegati) che avverte l’esigenza di disporre di parte della giornata da dedicare a impegni di tipo familiare mediante una flessibilizzazione dell’attività, realizzata attraverso due misure: 1) riduzione mirata dell’orario di lavoro, part time reversibile nel periodo maggio-settembre, orario che viene ricoperto con nuovo personale a tempo determinato; 2) concessione dei periodi di ferie individuali,

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complementari alla chiusura collettiva, fino ad una settimana anche nei periodi di massima produzione solitamente non disponibili per ferie. Inoltre l’intervento mira ad agevolare il reingresso, nell’unità produttiva di origine, del personale di tipo impiegatizio e/o operaio al termine del periodo di congedo, attraverso la previsione di uno specifico ciclo di formazione/affiancamento. Il progetto si avvale di un accordo sindacale, stilato con le rappresentanze delle RSU aziendali assistite dalle segreterie provinciali di FIM CISL e FIOM CGIL.

INDUSTRIA VETRARIA VALDARNESE Società cooperativa a r.l. Arezzo Flexform, flessibilità e formazione

Il progetto è diviso in due fasi: 1) Flessibilità totale di orario in entrata ed in uscita della durata di un mese per ogni lavoratore/lavoratrice con l’uso di un badge. A questa totale flessibilità l’azienda ha sopperito con una nuova assunzione nel settore commerciale appositamente addestrata; 2) Formazione per il reinserimento dei lavoratori in aziende dopo il periodo di congedo: affiancamento con i responsabili di settore per il riappriopriamento delle competenze necessarie a riprendere le stesse mansioni. E’ stato inoltre diffuso materiale informativo sui cambiamenti dell’azienda nel periodo di assenza dei lavoratori/trici. Il progetto ha facilitato il reinserimento dei lavoratori dal congedo mediante l’aggiornamento professionale.

LE AZIONI PER LA SOSTITUZIONE DEL TITOLARE DELL’IMPRESA O DEL LAVORATORE AUTONOMO

NETFLY a r.l. Salerno Chiara e Jamila Il progetto proviene da una piccola società della provincia di Salerno e risponde all’esigenza di due imprenditori soci, padri di due bambine appena nate, i quali volevano continuare a svolgere la propria attività imprenditoriale e contemporaneamente condividere il lavoro di cura familiare. Il progetto ha previsto due fasi. In un primo momento la rideterminazione dei bisogni e la promozione dell’intervento è stata coordinata dai due imprenditori con la propria associazione sindacale (Assoprovider) per favorire il monitoraggio continuo. La fase successiva ha previsto la rotazione e la sostituzione con un lavoratore autonomo per un totale di 30 ore settimanali e l’utilizzo del telelavoro.

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INDICAZIONI PER:

I papà

Nel laboratorio realizzato a Treviso, un papà ha scelto di cambiare per 1 anno i turni di lavoro (solo

pomeridiano e notturno) per prendersi cura al mattino della figlia e consentire alla compagna di

mantenere il posto di lavoro.

Nel laboratorio di Padova:

Il confronto con culture diverse (uno od entrambi i genitori non italiani) è stato molto utile rispetto

ad alcuni stereotipi che in altre culture sono meno presenti; importante anche il confronto rispetto a

papà con figli che hanno problemi fisici permanenti

Nel gruppo di Torino si sono analizzate delle buone prassi a partire da quelle direttamene

sperimentate dai partecipanti, per poi accedere a buone prassi conosciute (magari all’estero) ma

non sperimentate, ed infine una lettura di una buona prassi in Svezia.

Le prassi analizzate sono le seguenti:

- utilizzo della legge 53 congedi per allattamento (utilizzata da un padre partecipante)

- utilizzo della legge 53 congedi per inserimento bambino al nido (utilizzata da un altro padre

partecipante)

- utilizzo telelavoro per un periodo di 4 mesi – 3 giorni alla settimana (utilizzata da un altro

padre partecipante con un bambino nel primo anno di vita)

- micronidi (sperimentati da un partecipante)

- assegni familiari in Germania (un padre partecipante ha la compagna tedesca che ne ha

usufruito)

- esperienza Ericcson (integrazione stipendio nel caso di congedi presi dal genitore con

stipendio più alto)

I negoziatori Le buone prassi possono consistere nelle seguenti misure:

- Aumento del congedo parentale o congedo supplementare a quello di maternità o adozione

- Modalità particolari per le “coppie” di dipendenti dal punto di vista della mobilità territoriale

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- Mantenimento della retribuzione laddove lo stipendio superi il tetto dell’indennità dovuto per il

congedo di paternità o di adozione.

- Presa in considerazione del congedo di paternità o di adozione a fine delle ferie annue

- Sostegno economico per le spese di asili nido (« indemnité de crèche ou « de garde»).

- Colloqui e bilanci di competenze in merito al percorso professionale

- Formazione al rientro del congedo

Inoltre, a livello aziendale, possono anche esistere diversi meccanismi di incentivazione e di

supporto alla maternità e alla paternità introdotti contestualmente alla negoziazione

sull’abbassamento dell’orario di lavoro a 35 ore.

E’ da segnalare, quale forma di autoregolazione da parte dei dipendenti, l’esperienza dell’Hopital

Saint Camille, dove i dipendenti dell’ospedale hanno costituito una cooperativa di lavoro formata

da disoccupati che provvede alla cura dei loro figli (accompagnamento a scuola o all’asilo,

preparazione dei pasti, organizzazione di esperienze di gioco come le visite allo zoo).

Indichiamo le iniziative “più gettonate” nei Laboratori, a cui far riferimento nelle diverse trattative:

- promozione e concessione dei congedi parentali

- concessione del part time per maternità

- disponibilità dell’azienda alla variazione di turni per favorire la paternità di 1 persona

- flessibilizzazione dell’orario di lavoro anche senza riferimenti normativi ed autogestito

all’interno del gruppo di colleghi

Portiamo ad esempio il caso della ZF Motori Marini di Padova in cui, attraverso un progetto

finanziato dalla Legge 53/2000 sono state portate avanti in modo concertato fra i diversi soggetti

dell’azienda, le seguenti iniziative:

- promozione e concessione dei congedi parentali

- concessione di ulteriori ore di astensione per la cura dei figli

- disponibilità della responsabile delle Risorse Umane per la flessibilizzazione del lavoro anche

senza riferimenti normativi

- disponibilità per iniziative come quella dei Laboratori di condivisione (interviste, laboratorio,

ripresa per il film/documentario)

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Le agenzie territoriali

Gli approfondimenti su questo versante sarebbero molti, si citano alcune esperienze:

E’ stato rilevato che la decisione di prendere parte alla condivisione del lavoro di cura con la compagna è dettato non solo da una propria scelta ma anche da questioni economiche e di tutela della genitorialità, nel contesto del Comune di Roma i dipendenti hanno delle migliorie rispetto alla legge 53/00, possono usufruire di 30 giorni di congedo al 100% dello stipendio e di 30 giorni di malattia del bambino entro il primo anno di vita sempre pagato al 100%. In Norvegia, oltre alla legge a sostegno della bigenitorialità risalente a trenta anni fa (obbligatorietà del congedo parentale per gli uomini), esiste una legge promulgata recentemente (1 gennaio 2006) che impone alle imprese di avere almeno 4 donne su 10 membri in consiglio di amministrazione. L’obbligatorietà dovuta dalle leggi permette di intaccare inizialmente modelli culturali resistenti al cambiamento, che però se non sono supportati da altre azioni di sostegno/valorizzazione di tali cambiamenti finiscono per perdere lo slancio iniziale e rientrare nella inezia conservatrice. Ed è per questo che, sempre in Norvegia, oltre alle due leggi sopra descritte ne esiste una terza, quella delle quote rosa, che ha facilitato l’ingresso in parlamento delle donne, dall’interno le donne parlamentari hanno creato una lobby femminile che lavora trasversalmente al di fuori dell’appartenenza dei partiti soprattutto in merito a questioni di pari opportunità da una parte sostegno alla bigenitorialità dall’altra sostegno all’occupazione lavorativa delle donne e alla progressione delle carriere femminili. L’obbligatorietà dell’astensione dal lavoro (Legge 53) per padri e madri nei paesi scandinavi è stata valutata una buona prassi trasferibile, inoltre anche l’obbligatorietà (Norvegia) inerente la presenza femminile al 40% nel Parlamento e nei CdA delle aziende. La legge 53/00 è un’ottima legge, anche se talvolta non conosciuta, ma potrebbe rimanere isolata se non supportata da altre leggi/azioni che permettano alle donne di ricoprire ruoli decisionali nella politica e nell’economia italiana e promuovere il valore della condivisione con gli uomini non soltanto interno alla famiglia, ma nei luoghi decisionali/politici/lavorativi.

Voucher per i nidi privati a fronte di un’offerta pubblica insufficiente

Un investimento e un sostegno (anche operativo ed economico) da parte delle amministrazioni

locali nel caso di micronidi e banche del tempo

Istituzione di Centri Famiglia, luoghi di incontri con famiglie con bambini piccoli in cui vengono

date istruzioni ai genitori sulla quotidianità, luoghi organizzati dove lasciare i bambini qualche

ora per fare la spesa

Divulgare maggiormente le informazioni sui congedi e sugli strumenti legislativi in genere: nei

consultori/reparti maternità, nei corsi per fidanzati, all’anagrafe, nelle scuole: per i padri e madri

e come educazione civica fra i giovani studenti, nei centri per l’impiego

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9. “MORE THAN ONE DAY DADDY”: UNO STRUMENTO DA UTILIZZARE

IL DOCUMENTARIO

Nel progetto è stato realizzato un documentario sulla paternità e la condivisione attraverso le

testimonianze di alcuni papà. Il Film - documentario, attraverso le parole, le storie, il percorso

realizzato anche nel progetto, diventa un veicolo nuovo ed efficace di una cultura di parità fatta propria dagli uomini per se stessi e per le loro donne e compagne. Il film è realizzato a partire

dalle storie e dai momenti vissuti dai papà, esprime il linguaggio ed il valore della condivisione (e

delle sue contraddizioni) attraverso le parole e i gesti degli uomini fra loro e degli uomini con e

verso le donne e verso i loro figli, diventando veicolo comunicativo di una cultura di parità fatta

propria dagli uomini per sé stessi e per le loro donne e compagne.

Presentazione

Diventare genitori segna un’esperienza fondamentale e fondante nell’esistenza degli

individui. E l’arrivo di un figlio viene generalmente vissuto con attesa, trepidazione, desiderio,

sia da parte della madre che del padre.

Ma spesso, dopo i primi giorni o settimane, l’accudimento del bambino diventa pertinenza

quasi esclusiva della madre: è lei che deve fare trasformazioni radicali e cercare di

combinare, spesso con notevole fatica e costi umani altissimi, le varie dimensioni (famigliari,

lavorative e sociali) di cui viene a comporsi la sua nuova vita. E molto spesso il prezzo che

una donna paga sul piano dell’inserimento o della realizzazione professionale è davvero

rilevante.

E gli uomini? In una società che si trasforma, e in cui anche il mondo del lavoro chiede agli

individui grandi sforzi per adattarsi alle sempre più pressanti richieste di flessibilità, il modo di

vivere la paternità rimane lo stesso?

Esistono nuove figure di padri, più disposti o capaci di una reale condivisione con le loro

compagne della responsabilità e della cura dei figli? Hanno voglia, disponibilità, desiderio di

vivere da protagonisti un ruolo che spesso li ha visti ritagliare per sé poco più che spazi e

tempi residui, lasciando praticamente solo sulle spalle delle donne la cura della famiglia?

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 101

Forse qualcosa è cambiato e sta cambiando, e, anche sull’onda delle richieste e esigenze

avanzate dalle loro compagne e di una legislazione che tenta di promuovere soluzioni e

strumenti per far fronte ai disequilibri fra tempi di vita e di cura e lavoro che le donne da sole

sopportano, in molti uomini stanno crescendo consapevolezze e comportamenti diversi.

All’interno del progetto “Papà non solo per un giorno” prende vita così un documentario

(della durata di circa 30’) che, traendo spunto dai presupposti del progetto e dalle pratiche

che promuove, ma muovendosi anche svincolato da esso, racconta storie ed esperienze

concrete di padri “nuovi o meno nuovi”, capaci di mostrarci modi diversi di vivere la paternità

e di parlarci delle loro emozioni, paure, fatiche e scoperte.

E attraverso la verità di alcune storie individuali, che pure non vogliono rappresentare

paradigmi, il documentario racconterà i cambiamenti, le sfide e le contraddizioni che questi

padri si trovano ad affrontare e sperimentare, nella vita di coppia, nel lavoro, nella società,

nel rapporto con se stessi; contribuendo anche a restituire l’immagine di un mutamento

culturale e sociale ancora in embrione, ma dalla portata profonda.

Come utilizzarlo Il documentario è disponibile in DVD e potete richiederlo alla segreteria organizzativa del progetto

([email protected]). Può essere un valido strumento di riflessione e spunto per successivi

approfondimenti e confronti.

Indicazioni per:

I papà

Può essere semplicemente proposta una visione in famiglia o con gli amici per poi animare una

bella discussione! Oppure portatelo sul posto di lavoro e proponetelo a colleghi meno sensibili o al

Responsabile del personale. Ancora, se fate parte di associazioni di genitori, consigli di classe a

scuola, associazioni culturali potrebbe essere un buon veicolo di comunicazione per proporre il

tema della genitorialità e della condivisione anche in altri ambiti.

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I negoziatori

Gli utilizzi possono essere i più diversi: vanno dalla sensibilizzazione con i colleghi o le

rappresentanze dei lavoratori fino al supporto rispetto a specifici progetti di conciliazione avviati

con le aziende. Se utilizzate la metodologia dei Laboratori di condivisione può essere utilizzato per

aprire la riflessione nel primo incontro di gruppo, oppure proposto in altri gruppi dove si discute e ci

si confronta sul tema dei congedi parentali o della flessibilità e delle pari opportunità. Come

concretamente utilizzarlo? Presentate brevemente il film, senza raccontare molto per non influire

sulle emozioni che esso suscita, a ripresa ultimata aspettate qualche minuto prima di proporre una

domanda di questo genere: “Vi è piaciuto?” oppure “Che emozioni vi ha suscitato?” e poi dalle

prime risposte potete sviluppare un percorso di approfondimento, ponendo attenzione al fatto di far

intervenire anche i più timidi… Raccogliete alla fine le considerazioni emerse. Si può collegare

alla metodologia dei Laboratori di condivisione.

Le agenzie territoriali

Anche per le Istituzioni gli utilizzi possono essere i più diversi. Può essere utilizzato come

proposta di apertura o di chiusura di un convegno che affronta questi temi. Nelle scuole può

essere proposto agli insegnanti per sviluppare il tema delle pari opportunità con i ragazzi e le

ragazze, o quello della genitorialità o un ragionamento sugli stereotipi, coinvolgendoli

nell’immaginarsi come futuri padri o future madri. Analizzare un film, concedendosi l'arbitrio di

attraversarlo in tutte le direzioni e al limite di fermarlo anche su una sola immagine (arbitrio

consentito dal videoregistratore), insegna progressivamente a vedere di più, a cogliere di più (e

quindi, alla fine, a godere di più) anche al momento della visione «normale» in sala. Si comincia

con lo scegliere un film, segmentarlo in sequenze e poi con l'individuare i momenti forti del testo:

l'incipit (che spesso è una sorta di manifesto del progetto-film), la presentazione dei personaggi, la

costruzione delle coordinate spazio-temporali ecc. A partire, quindi, da singole sequenze, si vede

come il film metta in campo e attualizzi una strategia linguistica e testuale che ne fanno un opera

unica e peculiare. (Giulia Carluccio, “Didattica del cinema e analisi del film”)

Il documentario può essere consegnato alle Associazioni dei genitori o altre associazioni culturali

per proporre degli incontri sul tema della condivisione. L’utilizzo di immagini incide profondamente

sulla visione collettiva e sugli stereotipi, così tanto diffusi proprio dai media. Il film propone un modello

di padre e compagno, non sempre “esemplare”, che veicola il valore sociale della genitorialità e della

condivisione. Mostra storie raccontate dai protagonisti. Mostra momenti del confronto nei laboratori.

Parla linguaggi in cui uomini di differenti territori e contesti sociali possono riconoscersi.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 103

9. LA METODOLOGIA DEI LABORATORI PER RAGIONARE SULLA

CONDIVISIONE: I RISULTATI

A cura di Paola Parente

I contenuti dei Laboratori

In Italia sono stati attivati dai centri Cora otto laboratori di condivisione: 4 al nord, 1 al centro,

2 al sud e 1 in Sardegna. Cinque di questi laboratori hanno visto il coinvolgimento esclusivo dei

papà e tre hanno coinvolto anche una rappresentanza di mamme per attivare un confronto a

partire da differenti punti di osservazione. Altri 2 Laboratori sono stati realizzati in Catalogna

(Spagna).

Seguendo il filo rosso del progetto i laboratori hanno focalizzato l'attenzione su tre macro temi che conducono la riflessione sul concetto di condivisione, oggi più che mai auspicato, ma

che lascia ancora molti papà sul dubbio su "che cosa si intende per condivisione".

"…credo che almeno nel mio caso ci sia condivisione, almeno nella mia percezione…ma

dall'altra parte lei non pensa così…...ma qual è il parametro?"

Il confronto attivato nei laboratori ha tenuto conto di:

- un livello culturale/personale (Area valoriale/del linguaggio) dove si è cercato di far

emergere come si percepiscono i genitori nel loro ruolo (con le dovute "differenze")

all'interno del contesto familiare e come si percepiscono e/o come vivono il contesto

lavorativo e quello sociale. Da queste riflessioni è emersa una descrizione del concetto di

condivisione.

- Il secondo aspetto di riflessione ha proiettato i genitori nella realtà sociale/lavorativa (Area della concertazione/negoziazione all’interno ed all’esterno della coppia, sul lavoro, nella

società), si è cercato di cogliere le evoluzioni positive e negative dei contesti lavorativi

rispetto ai cambiamenti del mercato del lavoro, i maggiori limiti (economici, di contesto,…)

dei padri nel prendersi cura dei figli e le maggiori carenze istituzionali per facilitare la

conciliazione. Queste riflessioni hanno messo in relazione il piano privato e quello sociale

(sfera privata e pubblica si intrecciano inevitabilmente per la gestione familiare) e più in

particolare lavorativo e da questo confronto sono emerse le maggiori criticità.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 104

- In un terzo ambito i/le partecipanti sono stati invitati a riflettere su alcuni percorsi positivi di

condivisione evidenziati dall'indagine europea condotta all’interno del progetto (Area delle

buone prassi).

Modalità e metodologia di conduzione dei Focus group

La metodologia scelta, per facilitare la partecipazione attiva di tutti, è stato il focus group. La/il

conduttrice/tore, al fine di focalizzare ed orientare la discussione, ha avuto a sua disposizione,

oltre alla domanda centrale, una serie di domande-stimolo (quali sviluppi coerenti della breve

domanda essenziale e/o delle due o tre domande di corollario) con alcune parole-chiave, che

costituiscono le prime ipotetiche infrastrutture della piattaforma concettuale relativa

all’argomento. Per ogni domanda chiave sono state costruite delle griglie di lettura confrontabili

tra i vari laboratori.

E' stato fondamentale condividere con i partecipanti del Laboratorio un patto formativo che ha

permesso anche un processo di elaborazione delle tematiche da affrontare e non

semplicemente la presa d’atto di un problema, la strada scelta è stata quella della maggiore

consapevolezza, per arrivare anche a proposte concrete da confrontare con le prassi europee

già in corso di realizzazione.

Nella realizzazione dei Focus Group si è fatta molto attenzione alle quattro fasi fondamentali:

1. RISCALDAMENTO – è la fase più delicata in cui si determina l'esito del focus group,

poiché a volte conduttrice/tore e osservatrice/tore possono essere percepiti con una

qualche forma di diffidenza. E' risultato molto positivo promuovere un clima di accoglienza

con un approccio amichevole e soft, ma soprattutto condividendo le finalità e gli obiettivi

del focus stesso.

2. RELAZIONE – in questa fase si promuove il clima del gruppo. Per questo ci si è

soffermati sui valori comuni e sullo status di genitori. Si è poi iniziato a strutturare la

comunicazione sul contenuto.

3. CONSOLIDAMENTO – in questo momento, di solito, emergono le problematiche

interne più sentite. Sono stati attivati dei processi per promuovere atteggiamenti e tensioni

decisamente orientati al compito (capacità di mediazioni efficaci da parte della/del

conduttrice/tore al fine di evitare le strutture comunicative tipiche della svalutazione di sé,

degli altri e del contesto), nella contemporanea attenzione al potenziamento della

relazione.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 105

4. DISTACCO – la quarta fase è quella del momento dell’allontanamento: per evitare di

deludere le aspettative, ma soprattutto per valorizzare le attese delle/dei partecipanti, è

stato fatto un breve bilancio dell’incontro, ringraziando per la collaborazione dimostrata.

Il lavoro dei Focus group è stato sintetizzato in una matrice basata sull’intreccio delle tre Aree

indicate nel Progetto (valoriale/linguaggi, negoziazione/condivisione, percorsi positivi di

condivisione) con le tre macro-tipologie di soggetti ai quali la presente guida si rivolge e che sono

rappresentati da:

- i PADRI (E LE LORO COMPAGNE)

- i NEGOZIATORI (SINDACATO/AZIENDE RESPONS, RISORSE UMANE)

- le AGENZIE DEL TERRITORIO (COMUNI, CPI, ASSOCIAZIONI ECC.)

Fig. 1 La matrice di confronto dei risultati dei 10 Laboratori

VALORI/LINGUAGGI NEGOZIAZIONE/CONDIVISIONE ESP. POSITIVE

NEGOZIATORI

AGENZIE

PADRI

La/il conduttrice/tore dei Focus al fine di capire come ha funzionato tale iniziativa e quali sono stati

gli eventuali problemi sorti dalla stessa partecipazione (tempi e modalità di partecipazione) ai

laboratori hanno risposto a loro volto ad un griglia che abbiamo definito di lettura della metodologia

ed hanno sviluppato alcune importanti riflessioni che influenzano lo stesso modo di interpretare il

concetto di condivisione, tra questi spunti è emerso significativo capire i climi d’aula, i livelli di

partecipazione, il rapporto tra aspettative e lavoro di gruppo e più in particolare le aree tematiche e

i contenuti effettivamente sviluppati e quali tra queste hanno suscitato particolare interesse.

I temi trattati

Nei laboratori è stato ampiamente trattato (tema che ha visto una forte partecipazione) il ruolo dei

genitori nella crescita dei figli, i temi che coinvolgono il lavoro e più in generale le istituzioni sono

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 106

stati a volte penalizzati dalla scarsa informazione sui nuovi contratti, sulla legislazione di

riferimento e sulle strutture territoriali a supporto della famiglia e/o del genitore lavoratore.

Per la prima area sono stati raggiunti in maniera più che buona gli obiettivi dichiarati a priori: è

parso abbastanza chiaramente che oggi non è più pensabile avere una divisione simile a quella

della famiglia di origine.

I modelli genitoriali di riferimento sono ormai superati, non più utilizzabili

Sono sicuramente emersi stereotipi di natura sociale e culturale ed alcuni di questi "sopravvivano"

alle differenti generazioni. I padri hanno espresso liberamente la gioia nell'occuparsi dei propri figli,

ma anche il peso della responsabilità che sentono in una società dove i valori di riferimento

cambiano, rispetto a quelli trasmessi dai propri genitori.

Oggi abbiamo molta più paura di quanta ne avessero i nostri genitori

Il confronto su questi temi ha funzionato meglio nei gruppi di soli papà, nel gruppo misto c'è stata

una grossa differenza nel livello di approfondimento. Le donne avendo più elementi di riflessione

hanno spesso avuto il sopravvento nella discussione, creando un contraddittorio tra donne e

uomini in cui gli uomini hanno assunto una posizione difensiva che ha impedito loro di appropriarsi

a livello più personale delle tematiche.

Per quanto riguarda la seconda area è emersa sicuramente in maniera chiara la percezione che i

partecipanti hanno della conciliazione e la poca conoscenza che hanno della legge. Una volta

approfonditi i contenuti della legge i partecipanti sono stati perfettamente in grado di definirne i

punti di forza e di debolezza. E' emersa, inoltre, una scarsa informazione sui servizi di supporto

alle famiglie.

La conoscenza della legge avviene per iniziativa personale, attraverso amici e conoscenti

Nel confronto tra i vari contesti di lavoro il lavoro pubblico, in linea generale, permette di esercitare

la genitorialità, il privato danneggia la genitorialità, non ti consente di esercitarla come vorresti.

Nessuna forma di tutela è prevista per i nuovi contratti (gli atipici, tra i quali vi è una fortissima

presenza di donne).

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 107

I contratti di collaborazione non prevedono nessun tipo di agevolazione, è già tanto se puoi

permetterti di ammalarti

La legge non risponde al nuovo mercato del lavoro e alle nuove tipologie contrattuali

L’idea che emerge per gli autonomi (uomo o donna) è che debbano poter contare solo sulla

proprie forze (economiche innanzitutto ma anche familiari, amicali ecc). e non possano avanzare

richieste a livello sociale (“e già … noi siamo solo evasori”!). Soprattutto l’autonomo/a “non

affermato” (in fase di costruzione dell’attività) e/o che per tipologia lavorativa non può essere

sostituito (es professione medica) sembra non avere scelta, cioè non può proprio prendere in

considerazione l’idea di assentarsi dal lavoro per prendersi cura dei figli, a meno che il suo lavoro

di autonomo non divenga, per il nucleo familiare, un’entrata economica “accessoria”.

La terza area è quella che ha suscitato maggiore interesse ma la maggior parte dei partecipanti ha

avuto difficoltà ad analizzare criticamente le buone prassi e soprattutto a considerare gli aspetti

trasferibili nel proprio contesto.

Il vincolo di partecipazione dall’inizio alla fine ha reso tutto molto più complesso, soprattutto per i

liberi professionisti e i collaboratori a progetto che sono legati a ritmi di lavoro più flessibili e

paradossalmente sono meno disponibili.

Una sintesi dei risultati

In tutti i laboratori è evidente una multiproblematicità dei soggetti, sempre più famiglie sono a

rischio di povertà specialmente se tutti e due sono a contratto atipico, il problema dell’inserimento

e reinserimento si incrocia con aspetti di bisogno a tutto campo: abitazione, assistenza, servizi per

i figli etc. Cresce la consapevolezza della condivisione in ambito privato ma a questa non segue un

maggiore sostegno sociale.

I contesti di lavoro – sia che il capo sia donna che uomo – non capiscono che un papà abbia

piacere ad occuparsi del figlio. La genitorialità è vista sempre e comunque come una minore

produttività. Questo ultimo aspetto è tanto più forte quando il lavoratore è donna.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 108

Diventa sempre più importante stimolare, nelle istituzioni, cambiamenti culturali ed approcci

differenziati all’utenza, costruire reti articolate coinvolgendo più strutture territoriali per il sostegno

alle famiglie.

La complessità dei bisogni e delle problematiche dei soggetti richiede una diversa gestione del

tempo e dei tempi di lavoro e di cura e una strutturazione adeguata ai tempi di vita delle persone

Il part time reversibile, il telelavoro e lavoro a domicilio, la flessibilità di entrata e di uscita, la banca

delle ore, la flessibilità dei turni e l'orario concentrato dovrebbero favorire ma non sono di fatto

fruibili.

Non è stata, pertanto, portata a compimento l'operazione che pure la legge sui congedi spinge ad

uno stadio evoluto: il riconoscimento a ciascun figlio del diritto alla cura da parte di entrambi i

genitori e l'eliminazione della assimilazione tra non lavoro e lavoro di cura. Mancano ancora

numerosi tasselli per completare il quadro.

Queste riflessioni cambiano parzialmente rispetto alle fasce di età degli intervistati, per i più giovani

sale la situazione di precarietà e tutto viene subordinato alle possibilità lavorative ed ai relativi

tempi.

“questo mondo del lavoro non è fatto per i papà… non lo era per le mamme… e non lo è nemmeno

per i papà che cercano di condividere e conciliare…”

Dalle riflessioni dei genitori emerge una visione abbastanza priva di fiducia verso la possibilità del

cambiamento: viene rimarcato l’aspetto relativo alla disoccupazione e al conseguente adattamento

da parte dei lavoratori ad occupazioni anche temporanee ma sufficientemente retribuite. In tal

senso le politiche di conciliazione e condivisione passano in secondo piano, sostanzialmente le

riflessioni si muovono in questo senso: “l’importante è lavorare e se anche questo comporta una

rinuncia di certe agevolazioni, pazienza”

Rispetto al contesto sociale si evidenzia un maggiore senso di isolamento rispetto alla generazione

dei genitori dove esisteva una forte solidarietà all'interno di famiglie più ampie e con i vicini.

"….una volta ti arrangiavi con il vicino adesso bisogna che ti arrangi da solo, una volta il tuo

bambino era di tutti adesso è solo tuo e te lo devi tenere dalle 8 di mattina alle 8 di sera

Certe problematiche adesso noi le viviamo come coppia singola con molti più problemi di una volta

quando una famiglia era formata da 11/12 persone, se non era la mamma che strettamente lo

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 109

accudiva c’era il fratello, i nonni, un zio….adesso i nonni abitano anche a 10/15 km, devi prendere

una baby sitter e quindi è un problema

La richiesta è quella di un supporto maggiore dei servizi per l'infanzia, che sia adeguato alle

esigenze lavorative ed economiche.

In questo panorama quello che emerge come di "impossibile conciliazione" sono i tempi

dell'impegno politico, le riunione, il numero di ore di presenza, rendono impossibile la presenza.

L'impossibilità, quindi, a riportare le proprie problematiche in ambito politico – sindacale.

“io ho continuato a seguire le riunioni politiche… ora sono preoccupato per il secondo figlio… ieri

sono andato alla riunione e ho pensato che a gennaio devo lasciare. con il bambino e un altro

piccolo…. e io alle 8 devo andare alla riunione? […]

Modelli vecchi e nuovi si confrontano e a volte si scontrano. Anche il salto generazionale non aiuta

i giovani padri: non è raro intercettare ambienti che non riescono a cogliere la portata del

cambiamento, che investe la generazione dei trentenni, alle prese con scelte non scontate,

contraddizioni, bisogno di conciliare e mediare tra lavoro - vita familiare - vita privata – impegno

sociale:

“in provincia, la vecchia guardia era lì al partito tutti i giorni, ma c’era un’altra concezione della

famiglia… se ti devi occupare dell’aspetto domestico non riesci… Non ti dico poi se una mamma

vuole seguire l’attività del partito….”

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10. CONCLUSIONI

Se in futuro un numero crescente di bambine e bambini avrà con sempre maggiore probabilità

madri che lavorano a tempo pieno fuori casa, se il coinvolgimento emotivo dei papà e il

coinvolgimento nella cura è, secondo molti studi, fondamentale per lo sviluppo emotivo e

relazionale dei figli, se cresce la consapevolezza e quindi la scelta di avere figli, sembra inevitabile

che il ruolo dei papà cambi comportando una grande novità in quella che era la tradizionale

gestione familiare alla nascita dei figli.

L'impegno dei papà va verso nuovi modelli per due motivi sostanziali:

• il primo legato alla "necessità", le donne sono più presenti nel mercato del lavoro e i papà

devono per forza di cose colmare le esigenze di cura dei figli;

• il secondo culturale nasce dal bisogno che anche i papà hanno di "sperimentare" la

genitorialità in tutti i suoi aspetti compresa la cura.

Dall'esperienza di questo progetto emerge che spesso i papà sono più presenti per necessità, per

scoprire poi il "piacere" di occuparsi dei loro figli, avviando nuove relazioni emotive prima

sconosciute, che li porta a dichiarare di aver imparato molto ed anche di aver acquisito maggiore

sicurezza e considerazione sociale. La relazione con il proprio figlio comporta quindi un benessere

reciproco.

Questo non mette in discussione il rapporto dei figli con la madre ma apre la strada ad una

condivisone dove i papà con un nuovo "stile" di paternità partecipano attivamente alla vita

familiare, sostenendo la mamma nei primissimi mesi di vita del bambino ed affiancandola poi nel

lavoro familiare e di cura.

Il modello di co-genitoralità rappresenta una grande novità poiché mette in discussione la

tradizionale divisione di genere del lavoro familiare e delle responsabilità, aprendo la strada alla

condivisone e in particolare alla necessità e volontà nel condividere.

Ma rispetto a questo modello che sembra rappresentare il futuro della maggior parte dei

Paesi europei a che punto siamo?

Una ricerca svolta tra il 1992 e il 1994 su Paternità e politiche per l'infanzia3 mette in evidenza

(sulla base dei papà intervistati) che i papà hanno ancora un ruolo di supporto nei compiti familiari

e più in particolare nella cura del bambino/a. Tale ricerca divide i papà in categorie dandone

3 Ventimiglia C., Paternità in controluce. Padri raccontati che si raccontano, Milano, Franco Angeli, 1996

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definizioni eloquenti: padre partecipe, padre delegante, padre teoricamente partecipe, fino al padre

ospite che sembra maggiormente rappresentativo anche della figura di padre che emerge dal

progetto Daddy.

Il padre ospite, secondo Ventimiglia, affianca una donna-madre lavoratrice per un numero d ore

non superore alle sei giornaliere, dichiara una generale disponibilità a giocare e ad accudire la

bambina o il bambino, ma contemporaneamente delega alla compagna tutte le attività che

riguardano i lavori di casa. Rispetto a questa definizione possiamo aggiungere che i papà da noi

intervistati partecipano ai lavori di casa e di cura in sostituzione della madre in caso di necessità.

Il nodo del problema sembra quindi essere legato alla quotidianità alla possibilità di dividersi

compiti e responsabilità al di là delle esigenze occasionali..

Cosa e come cambia la vita di un uomo e di una donna alla nascita di un figlio al di là delle

dichiarazioni di disponibilità alla collaborazione? Come si riorganizza la nuova famiglia?

I papà che hanno partecipato a Laboratori definiti della Condivisione ci hanno fornito interessanti

spunti per riflettere su questi interrogativi che da tempo la letteratura e la statistica si pongono per

capire come e se possiamo raggiungere in Italia la Condivisone, tanto sostenuta dall'Unione

europea.

La condivisone vista da papà

In generale, i nostri papà si dichiarano quasi tutti fortemente collaborativi, entrano in relazione e si

prendono cura4 dei propri figli compiendo una serie di azioni quotidiane, che sono identiche a

quelle delle loro compagne, ma sottolineano in un certo senso l’asimmetria dei ruoli rispetto al tipo

di responsabilità assunta, soprattutto riguardo ad alcune funzioni di cura primaria e/o straordinaria

(es: malattia), nonché alla funzione definita di “regia”. Alle donne viene attribuita una competenza

forte che è quella della capacità di organizzare e risolvere problemi, anche se in alcuni casi i papà

4 Va precisato che la definizione del lavoro di cura è in letteratura complessa e coglie differenti livelli di coinvolgimento dei padri. La cura può essere vista come attività prevalentemente quotidiana, come "engagement" ed include la condivisone tra padre e figlio di attività di varia natura (es. tempo libero) o come "accessibilità" e include il tempo in cui il padre resta disponibile (per esempio per la compresenza nello stesso luogo), pur in assenza di condivisone di attività. Queste definizioni rendono chiaro il divario che può aprirsi nell'interpretazione delle dichiarazioni dei papà ma quello che emerge dai nostri laboratori è anche l'incertezza degli stessi padri a definire il concetto di condivisone. Anche quelli che sostengono di condividere si interrogano sul concetto di cura, dichiarando: "…credo che almeno nel mio caso ci sia condivisione, almeno nella mia percezione…ma dall'altra parte lei non pensa così…!...ma qual è il parametro?"

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dichiarano che questa competenza attribuita alle donne e solo un modo comodo per evitare

responsabilità.

Nonostante una apertura ai lavori di cura, in tutti i laboratori è emersa forte la tesi per cui nei primi

anni di vita da parte del bambino esiste un bisogno di maggiore “fisicità” con la madre, che attiene

soprattutto ai bisogni primari, e ciò, inevitabilmente, si riflette sulle pratiche di cura (per esempio in

determinati momenti della giornata quando il bambino/ la bambina deve addormentarsi o quando è

nervoso/a, ecc.). A parere di qualcuno, ciò non implica un’organizzazione dei carichi di lavoro

impari, ma semplicemente il riconoscimento della specificità che il/la bambino/a stabilisce con

“ciascuno” dei genitori e viceversa.

I padri sembrano avere una capacità selettiva, dichiarano di collaborare ma poi emerge la

"necessità" biologica che li porta a delegare la maggior parte dei lavori di cura alla mamma nei

primi anni di vita del bambino/ della bambina e spesso anche oltre.

Bisogna però affermare che quando si parla di genitoralità spesso è la mamma a

richiedere/imporre la sua prevalente presenza per la cura dei figli: questo avviene di solito quando

nel proprio progetto di vita c’è “il fare la mamma”. Spesso le donne sentono di avere, anche in

presenza di padri che aiutano, la totale responsabilità nell’organizzazione del lavoro di cura (di

tutta la famiglia).

Rispetto a questa ancora presente divisione di genere del lavoro familiare si fa strada nei papà una

maggiore consapevolezza del loro ruolo. Se è vero che tendono a delegare, quando sono presenti

non vogliono essere definiti come MAMMO . Quando il papà fa una cosa col bambino/a in realtà

non sta aiutando la mamma ma sta facendo il papà!!! E' importante, per i padri, affermare una

modalità specifica di relazione: non necessariamente (anzi!) le azioni del papà devono essere la

“copia” di quello che fa la mamma... e da questa giudicate…..o più in generale giudicate su un

modello di gestione al femminile.

Emerge una evoluzione culturale che porta i papà a confrontarsi con le emotività e a riscoprire

proprie risorse. Questo comporta inevitabilmente la volontà di entrare in relazione con il/la

bambino/a a prescindere dalla madre. La riflessone dei papà in questo contesto è partita dai disagi

o dalla felicità personali vissuti durante la propria crescita, le maggiori conoscenze rispetto alla

crescita evolutiva dei bambini, i veloci cambiamenti sociali, ecc... tutti questi elementi hanno

condotto i nostri papà a capire che per i propri figli i valori di qualche decennio fa sono

impraticabili, e non c’è possibilità di riproporre i modelli genitoriali che sono stati vissuti nella

propria famiglia di origine; di tali modelli è più sul fronte educativo che si recupera quanto

esercitato dai propri papà e dalle proprie mamme (regole, permessi, divieti...).

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 113

Questo nuova visone della paternità porta due problemi, il primo di relazione con il/la bambino/a:

se nessuno mi ha detto che cosa fare alla nascita del figlio, come faccio a capire se faccio bene?,

il secondo di ordine pratico: come faccio a condividere gli impegni pubblici se tutti i servizi sono

pensati per le mamme (spazio bimbi, fasciatoi ,,,,).

Questi problemi vengono in generale superati affidandosi alla “capacità naturale” di gestire la

genitorialità e alla capacità di affrontare momento per momento le necessità e le richieste che di

volta in volta emergono…"si vive alla giornata". In sintesi, il ruolo di padre si prospetta delinearsi

attraverso l’apprendimento dall’esperienza e nell’unicità dell’esperienza che ognuno vive. Secondo

i papà non servono modelli teorici, poiché è l’esperienza contingente a determinare le strategie di

fronteggiamento della vita quotidiana.

La condivisone di compiti e responsabilità non è, dunque, definita in un progetto familiare ma viene

di volta in volta rinegoziata in base alle "necessità" contingenti.

Che cosa sicuramente cambia all'interno della famiglia:

• la gestione del tempo. Il primo elemento tangibile in questa ridefinizione che tocca il

nucleo è legato al fattore tempo. Cambia la scansione dei tempi, e di conseguenza, si

modificano le priorità: il tempo libero si riduce visibilmente. L’impatto della riorganizzazione

del tempo è evidente nella riduzione di tutti quegli impegni non legati strettamente alla

sopravvivenza. Quello che differenzia l'uomo dalla donna e che i papà penalizzano il tempo

libero, che diventa tempo dedicato alla cura dei figli e non penalizzano il tempo del lavoro la

mamma spesso penalizza entrambi.

• La prospettiva per il futuro si allarga maggiormente ed è molto più consapevole l’esigenza

di una progettualità ed una programmazione che tenga conto di un investimento sul lungo termine a favore della famiglia/dei figli.

• Il "valore" che si attribuisce ai vari impegni compresi il lavoro ed è sulla base di una nuova

scala di valori che si riorganizza la vita familiare

Questi cambiamenti comportano una nuova relazione con il lavoro e con la vita sociale in genere.

Essendo la sensibilità comune ancora intrisa di stereotipi sessisti, ciò che viene contrattato con

fatica nel nucleo familiare ristretto, deve subire una seconda negoziazione con altri contesti, che

non necessariamente ne condividono logiche, valori, linguaggi.

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Il contesto lavorativo

In quasi tutti i Laboratori emerge che non solo i contesti di lavoro hanno una cultura sessista ma

che non esiste una attenzione alla genitorialtà, rendendo difficile, se non impossibile, conciliare le

esigenze del lavoro con le esigenze della famiglia. Questo accade sia per gli uomini che per le

donne, ed in particolare per la componente precaria del nucleo (uno dei due o entrambi), che è più

"flessibile".

I contesti di lavoro non concepiscono la possibilità che i papà possano dividersi gli impegni

genitoriali con le compagne. Su questo punto, emerso in tutti i Laboratori, la condivisione diventa

un problema sociale/lavorativo ed esce dalla sfera privata. Molto spesso le famiglie sono sole a

fronteggiare la complessità del lavoro ed oggi spesso l'incertezza dei nuovi contratti.

Per i giovani padri non è raro intercettare ambienti di lavoro che non riescono a cogliere la portata

del cambiamento (sia che il capo sia uomo sia che sia donna) che investe la paternità, alle prese

con la necessità di conciliare e mediare tra lavoro - vita familiare - vita privata – impegno sociale.

Sia un padre che una madre che scelgono di non mettere al primo posto il lavoro e che esplicitano

questa loro scelta con azioni tipo “richiesta part time, rifiuto di straordinari, richiesta di congedi

ecc.” vengono visti come soggetti sui quali l’azienda non può investire. Le politiche aziendali che

penalizzano i genitori, apparendo “miopi” nei confronti delle risorse umane, non tengono conto dei

“cicli di vita” che le persone attraversano.

Anche laddove l’azienda applica la legge, favorendo i congedi paterni, il problema resta di ordine

culturale: è sempre strano che un papà prenda l'allattamento! Questo è percepito direttamente dai

papà, grazie alle considerazioni molto spesso espresse chiaramente dagli stessi colleghi di

entrambi i sessi.

La diretta conseguenza di questa diffusa cultura porta i papà a difendere la propria identità

lavorativa e quindi a non esplicitare il motivo dall'assenza dal lavoro, prendendo ferie piuttosto

che congedi parentali, rinunciando ad incarichi piuttosto che imporre orari più flessibili.

Una conoscenza scarsa della legge, ma anche una separazione tra ambito lavorativo e vita

personale, tra obiettivi produttivi e vita delle persone, induce spesso a dare una lettura

pregiudiziale della fruizione dei congedi. Chi usufruisce dei congedi, soprattutto se uomo, viene

considerato “furbo” e “opportunista”e viene svalutata la sua identità di genere.

La possibilità di condividere per i papà cambia in base alle tipologie di contratto. Se è vero che nel

settore pubblico, almeno dal punto di vista legislativo alcuni diritti sono acquisiti,in particolare, nelle

strutture più piccole, nel privato e nella posizione di atipico, si rileva una sensibile riduzione degli

stessi diritti. Ciò è imputabile sia a lacune normative, sia a limiti culturali-organizzativi dei contesti

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che mostrano maggiore resistenza ad accettare le misure di sostegno alla genitorialità, in rapporto

alle logiche di mercato e ai paventati rischi di riduzione della “produttività”. Il lavoro autonomo,

soprattutto quando non corrisponde ad entrate economiche congrue, limita la possibilità di

esercitare i propri diritti, imponendo orari di lavoro più lunghi e impedendo la possibilità di

assentarsi usufruendo di permessi, rendendo, in altri termini, i lavoratori “indispensabili e

insostituibili”.

Alcuni papà intervistati hanno portano la problematica/ tematica della conciliabilità non del lavoro,

bensì della carriera con la condizione di mamma, talvolta contraddicendosi e scivolando nello

stereotipo per cui si afferma che “la donna in carriera non riesce ad assolvere al suo ruolo di

mamma”: La nascita dei figli esclude, dunque, le donne da posizioni decisionali ed apicali.

Tale penalizzazione si basa ancora su un'idea diffusa nelle organizzazioni lavorative (sia pubbliche

che private) che la grande quantità di ore di presenza al lavoro non possa essere sostituta dalla

qualità e dagli obiettivi da raggiungere. Infatti molte donne devono rinunciare a posti di

responsabilità per poter conciliare i tempi di cura con quelli lavorativi. Carriera e figli sono percepiti

come termini autoescludenti.

Più in generale le madri lavoratrici si sentono spesso inadeguate ed ogni giorno devono dimostrare

di essere in grado di rispondere alle esigenze di contesti lavorativi che le percepiscono come poco

affidabili. Spesso sono "vittime" di un “disinvestimento” da parte del management e al ritorno dalla

maternità devono riconvertirsi e ricoprire ruoli diversi e di minor rilievo.

La cultura lavorativa, quindi, se è vero che non aiuta i papà di certo continua a penalizzare le

donne aprendo un divario tra uomo donna che si sostanzia in una diversa gestione del tempo:

quando nasce un figlio i papà aumentano le ore di lavoro per guadagnare di più e garantire reddito

alla famiglia (se sono dirigenti non è una priorità avere tempo delimitato per tornare a casa), le

donne decidono di impegnare più tempo per la famiglia.

Questa tendenza è messa in discussione solo dai lavoratori atipici. Se si è entrambi precari o se è

l’uomo ad esserlo, senz’altro il contributo femminile al lavoro sembra irrinunciabile, per le

implicazioni economiche, ma anche perché si riconosce il diritto alla realizzazione personale e

professionale per le donne. Dunque nella precarietà, sotto certi aspetti, si innescano meccanismi di

flessibilità che farebbero pensare ad una maggiore parità.

Dalle riflessioni dei genitori emerge, infine, una visione abbastanza priva di fiducia, viene rimarcato

l’aspetto relativo alla disoccupazione e al conseguente adattamento da parte dei lavoratori ad

occupazioni anche temporanee ma sufficientemente retribuite.

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In tal senso le politiche di conciliazione e condivisione passano in secondo piano, sostanzialmente

le riflessioni si muovono in questo senso: “l’importante è lavorare e se anche questo comporta una

rinuncia di certe agevolazioni, pazienza”.

Questi meccanismi, che sussistono in un mercato del lavoro che priva di diritti una larga fascia di

lavoratori e lavoratrici, hanno ripercussioni dirette sulla componente femminile, agendo

meccanismi espulsivi su un duplice livello e rimettendo in discussione diritti che sembravano ormai

acquisiti. Questa situazione diffusa può addirittura indurre a mettere “in forse” la scelta procreativa.

Quali sono, quindi, gli aspetti del lavoro che incidono sulla condivisione?

La condivisione è fortemente influenzata dai carichi di lavoro e dal contributo al reddito familiare.

Esistono, quindi, due varabili fondamentali che bisogna considerare nella relazione famiglia e

lavoro e sono rappresentate dai tempi (numero di ore di impegno del lavoratore) e dalla

questione economica. Rispetto al primo punto è evidente che i tempi del lavoro escludono la genitorialità, sono tempi

costruiti su una organizzazione al maschile e non è considerata la doppia "identità" di

lavoratore/trice e di genitore. I lavoratori, ed i particolare i papà, che scelgono di stare a casa lo

fanno solo all'interno di contesti di lavoro che lo permettono, molto spesso, invece devono

difendere il proprio contratto di lavoro. In questa situazione la condivisone non è una scelta decisa

con la propria partner ma diviene il risultato di un percorso naturale di eventi. La flessibilità degli

orari di lavoro su esigenze familiari resta ancora un obiettivo da raggiungere.

Per quanto riguarda la questione economica, le donne sono penalizzate da redditi più bassi,

mettendo a confronto i due redditi familiari è "facile" decidere chi prende i congedi rinunciando ad

una parte del reddito o chi rinuncia al lavoro. Anche nell’ampia categoria dei lavoratori atipici, per i

quali va completamente ripensato il sistema dei diritti; se meccanismi di riequilibrio tra sessi ci

sono, tanto da poter parlare di “parità nell’assenza di diritti”, sono evidenti differenze di trattamento

per i lavoratori e le lavoratrici. Anche in questo caso, le lavoratrici, più dei lavoratori, sembrano

pagare le conseguenze della genitorialtà, sia per la conferma dei contratti che per le possibili

progressioni di carriera. Una giovane lavoratrice con un contratto coordinato e continuativo, ad

esempio, difficilmente può permettersi anche solo il periodo di congedo obbligatorio, perché

l’assegno è troppo basso e in questa situazione le donne dedicano tutto il proprio tempo residuo al

lavoro domestico e di cura, secondo lo schema classico del “doppio lavoro”.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 117

Quando una donna ha un lavoro precario, in genere meno retribuito dell’equivalente maschile, il

suo lavoro spesso diventa “complementare ed integrativo”. I padri restano i "portatori di reddito" e

per questo aumento dei loro carichi di lavoro vengono esonerati dai lavori familiari.

La flessibilità attualmente presente nei contesti di lavoro non è pensata per le esigenze dei genitori

e da questi è vista spesso come maggiore rigidità.

I laboratori hanno messo a confronto padri conviventi ma tali problematiche vanno rilette anche per

le coppie separate che comunque cercano una condivisone a distanza e ripropongono i temi dei

tempi e dei redditi con maggiore forza, visto che spesso si trovano a gestire più famiglie.

In sintesi gli elementi che condizionano fortemente la condivisone sono:

• I carchi di lavoro

• Il contributo al reddito familiare

• Le tipologie di contratto

• Le culture aziendali favorevoli

• La flessibilità degli orari.

Il contesto sociale

Rispetto al contesto sociale da tutti i laboratori ed in particolare da quelli del nord emerge forte una

"denuncia" di isolamento della famiglia, rispetto alla generazioni precedenti che condividevano la

genitorialità, in tutti i suoi aspetti – compresa la cura – con la famiglia allargata e i vicini. La fine di

un sostegno sociale nella crescita dei figli mette in difficoltà e genera "sofferenze" nelle giovani

coppie che si trovano da sole a fronteggiare i problemi della vita quotidiana.

L'esigenza emersa dai laboratori è una "condivisione sociale" per la crescita dei figli, un

sostegno alle neo famiglie: chi supporta la coppia oggi e ne condivide difficoltà, emozioni e

richieste oggettive di supporto? Il modello di famiglia dei propri genitori viene visto sotto altri aspetti

e la fine della rete sociale è vista come grave e insostituibile perdita. Si "pensa" che le strutture

istituzionali dovrebbero aiutare in questo senso ma si è talmente chiusi nel proprio mondo che non

si riesce a dar voce ai propri bisogni. Modelli vecchi e nuovi si confrontano e a volte si scontrano. Il

salto generazionale non aiuta i giovani padri: si conferma una visione ancora sessista della

divisione dei compiti dentro e fuori la famiglia ma non esiste più il supporto della rete sociale che

sosteneva quella divisione.

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Su questo punto sono evidenti le richieste di servizi a supporto della gentorialità e di servizi a

supporto della vita quotidiana.

In questo panorama quello che emerge come di "impossibile conciliazione" sono i tempi

dell'impegno politico, le riunione, il numero di ore di presenza, rendono impossibile la presenza.

La condivisione concerne, dunque, tutto ciò che, concordato nel privato, contribuisce al ri-

assestamento del sistema-famiglia, pur non potendo prescindere dal ruolo giocato da altri attori e,

di conseguenza, dai meccanismi di conciliazione agiti con l’esterno.

Le scelte di condivisone che le coppie compiono devono fare i conti con variabili legate al sistema

sociale non controllabili direttamente come:

- il sistema dei diritti (o l’assenza di diritti per alcune categorie di lavoratori e lavoratrici)

- l’organizzazione e l’accessibilità dei servizi di sostegno alla genitorialità (nidi, ludoteche, ecc.)

- la percezione culturale di tutti questi fattori nei diversi ambienti sociali di vita (contesti lavorativi,

contesti informali, familiari)

Alcune proposte

Il passaggio alla genitorialità ha ancora un forte impatto differenziato rispetto al genere e il ruolo

della mamma e quello del papà sono, in Italia, ancora legati ad una visone tradizionale degli stessi.

Se la divisone dei ruoli è fondamentale per la crescita del/della bambino/a (per quanto affermato

anche nel dibattito di chiusura del presente progetto), questo non significa non poter pensare ad

una "nuova paternità" che non sia solo sostitutiva della mamma ma che partecipi allo scambio

emotivo e relazionale con il figlio anche attraverso il lavoro di cura, per arrivare ad un equilibrio di

ruoli che sostiene la mamma nei primi anni di vita del figlio e assicura un maggior benessere al/alla

bambino/a.

Dai risultati del Progetto Daddy si evince che siamo ancora lontano dal definire un nuovo modello

di genitorialità ed in particolare una "nuova paternità", ma questo non dipende solo da quello che

mamma e papà concordano nel privato ma (anzi!) spesso i genitori possono concordare solo

quello che la loro vita sociale e lavorativa gli "concede".

Per questo il problema del passaggio dalla conciliazione alla condivisione è ancora tutto da

ridiscutere in ambito politico e sindacale, per cercare insieme le modalità e gli strumenti per

favorire poi un libero accordo all'interno della sfera familiare.

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CORA - Guida a supporto dei processi di condivisione genitoriale e professionale 119

Terminiamo, quindi, questa sintesi con alcuni brevi spunti emersi nella giornata conclusiva del

Progetto Daddy che ha messo a confronto alcuni partner stranieri del progetto con rappresentanti

del nostro mondo politico e sindacale.

Gli spunti emersi che potrebbero facilitare la Condivisione sono rappresentati da:

• la possibilità di strutturare servizi che permettano ai genitori di essere supportati nella loro

doppia presenza quotidiana (es. asili nido aziendali, prenotazioni viste mediche,

pagamento bollette, accompagnamento dei figli alle attività extrascolastiche ,,,,)

• la necessità di ampliare le esperienze di sostegno alla maternità (es. Centri Territoriali per

la famiglia (ex L. 285/97),

• la possibilità di rivedere il testo di legge italiano (legge 53/2000) e prevedere pochi giorni di

congedo per i padri remunerati e/o rendere obbligatorio il congedo alla nascita del figlio,

• la necessità di rivedere il sistema di tutela per i lavoratori atipici,

• l'esigenza di innalzamento dell'età prevista dalla Legge 53 per includere anche la fascia

adolescenziale.

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ALLEGATI

1. Ricerca “Il vissuto dei padri sul tema della conciliazione e della condivisione” – Risultati

dell’indagine qualitativa condotta in Italia e Catalogna (Spagna) a cura di Fidapa

2. Ricerca “Paternità e Lavoro - Normativa e buone prassi in Europa” a cura Università di

Verona, Facoltà di Giurisprudenza

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QUESTA GUIDA E’ STATA REALIZZATA ALL’INTERNO DEL PROGETTO COMUNITARIO “MORE THAN ONE DAY DADDY” E VERRA’ DIFFUSA ATTRAVERSO TUTTI I SOGGETTI PARTNER DEL PROGETTO.

PROGETTO COMUNITARIO “MORE THAN ONE DAY DADDY” - VS/2005/0444 DG EMPLOI/G/1 SI2.415171 – IL PROGETTO EUROPEO PER LE PARI OPPORTUNITA’ FRA DONNE E UOMINI REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO FINANZIARIO DELL’UNIONE EUROPEA.

La Guida è stata prodotta con il Cofinanziamento della

I diritti di questa pubblicazione sono riservati. E’ vietata la riproduzione e la diffusione non autorizzata da parte dell’editore, del presente prodotto, anche parziale o ad uso interno o didattico, con qualsiasi mezzo effettuata. Edizioni CORA – via della Lungara, 19 - 00165 ROMA Web www.retecora.it Email [email protected] Questo documento è riprodotto anche in versione informatica

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