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Guerra e propaganda Prof. Giovambattista Fatelli

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Guerra e

propaganda

Prof. Giovambattista Fatelli

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L’immagine piace così tanto che ogni nazione in guerra contro i tedeschi viene dipinta come una donna oltraggiata (vediamo nell’ordine Serbia, Romania, Russia e Armenia) insidiando l’iniziale identificazione fra la patria e la mamma.

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La patina di «ufficialità» fornita dal Rapporto Bryce alle storie di violenza, che vengono ampiamente diffuse e credute, carica queste immagini di una nazione plasticamente legata e violentata di una forza inaudita.

(Gullace, 714, e Ward, 29)

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Emergono così in superficie alcuni meccanismi che - ancora velati da un’ingombrante organizzazione narrativa tutta incentrata sul «ricatto sentimentale» - tuttavia riflettono aspetti tipici della massificazione della cultura (sia nell’evoluzione dei prodotti che nel «contratto di fruizione»), riconducibili, in modo più o meno sottinteso, alla sfera della sessualità.

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Intanto i rudi giovanotti che invocano aiuto dalla prima linea cedono il posto sui muri a giovani donne lacere ed esauste alla mercé di ogni insidia e a teneri bimbetti recisi nel fiore degli anni.

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I propagandisti, ad

esempio,

individuano con

sapiente scaltrezza

nelle donne e nei

bambini i soggetti

che più di ogni altro

ispirano pietà e

sentimenti di

protezione.

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Negli anni successivi la damsel in distress sarà

un punto fermo delle copertine pulp che

strizzano l’occhio al lettore con una punta di

morbosità.

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Inoltre queste immagini, che obbediscono per loro

natura a criteri di sintesi e d’immediatezza, dilatano

e quasi fissano quella che nei racconti è una scelta

stilistica, cioè l’abbandono del registro del

«realismo» e della verosimiglianza (che consente la

valutazione critica e la ricerca delle cause) per

indugiare sulla rifinitura dei topoi, sull’eccitazione

della carica emotiva e sulla ricerca degli «effetti».

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L’interazione con il fruitore è costruita in modo simile

a quella del teatro del Grandguignol: è cioè definita

molto più dalla punteggiatura visiva, dalla

spettacolarizzazione della violenza (esibizione della

follia, della deformità, dello smembramento dei

corpi), che non da qualunque dato di fatto narrativo.

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Il consumo di certi temi viene pertanto ad assumere le fattezze tipiche del freak-show o del peep-show, che scavalca a pie’ pari ogni forma di mediazione intellettuale.

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Il regista David Cronenberg descrive l’interazione basata sull’orrore come qualcosa che va “diritto alle viscere, prima di raggiungere il cervello”

Hand and Wilson, p. 71

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Nella reazione alla raffigurazione «spettacolare» dell’orrore, la mente analitica svolge un ruolo molto modesto, comunque nettamente sopravanzato da una performance essenzialmente fisica (gemiti, gridolini, ecc.) che è il responso automatico e catartico, semioticamente inerte, del corpo terrorizzato.

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Come al teatro, o al cinema, a una ricezione delle immagini di tipo viscerale si accompagna spesso il fenomeno della «sospensione dell’incredulità». La sensazione di spavento e poi di «salvezza» si attiva solo se si dimentica la realizzazione tecnica dell’effetto e la sua innocua cornice, se cioè si partecipa attraverso un condizionamento volontario della psiche che ci sospende in uno stato di consapevole menzogna.

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Il trafficare con la paura in condizioni di sicurezza produce familiarità con la violenza e il pericolo e permette di «scaricare» in modo catartico i propri istinti sadici e/o masochistici (Hand and Wilson, 68). Anche nel consumo di orrore veicolato dalla propaganda agisce il meccanismo della «negazione» proprio del teatro dal vivo, favorendo l’immedesimazione emotiva e relegando sullo sfondo il senso critico.

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In tutti i casi, la violenza su donne e bambini è associata ai tedeschi come un carattere tipico del loro comportamento, mentre quello dei soldati inglesi, all’opposto, sarebbe contraddistinto da «onore, moralità, giustizia e lealtà» (Harris 29). Questa concezione della mascolinità britannica che tratta cavallerescamente le donne e i bambini, si incrina alla fine della guerra, quando in tutte le nazioni belligeranti aumentano le violenze domestiche (Thébaud 68).

John William Waterhouse, Tristano e Isotta con la pozione, 1916

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Riferimenti

Richard J. Hand e Michael

Wilson, Grand-Guignol:

The French Theatre of

Horror, University of Exeter

Press 2007

Philip Brophy, Horrality -

the Textuality of

Contemporary Horror

Films, Ed. Ken Gelder,

Routledge, Londra 2000

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Per quanto riguarda le contraddizioni della sessualità femminile nei romanzi, il contesto sociale della guerra influenza l’immaginario esplorando gli intrecci fra passione amorosa e violenza e portando l’attenzione sulle differenze di classe. Il tema dello stupro, ad esempio, ritorna ne Lo Sceicco (1921), il celebre film con Rodolfo Valentino.

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La protagonista della storia, l’aristocratica Lady Diana Mayo è una donna d’indole appassionata sensuale, ma non può ammetterlo, perché ciò significherebbe sentirsi degradata sul piano della morale e della dignità.

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Le eroine della prima ondata femminista, la New Woman, che cercano una loro identità sessuale appartengono tutte alle classi elevate e sono quelle che pattugliano le strade, tentando di reprimere i comportamenti licenziosi delle giovani, preoccupate per la versione troppo hard che della liberazione sessuale fornirebbero le donne della classe operaia e inferiore.

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Nel romanzo, come nel film, lo stupro permette a

lady Diana di scoprire la sua sessualità senza

perdere lo status di eroina vergine e virtuosa. Non

solo quindi sopporta lo stupro, ma vi partecipa con

piacere: la violenza si trasforma quindi in sesso

consenziente e perfino nell’abbozzo di una moderna

relazione paritaria con lo Sceicco.

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Quando il mese di prigionia finisce, nonostante le

occasionali «ricadute» dello Sceicco nella crudeltà,

una notte Diana si accende per lo Sceicco, quando

Ahmed «le racconta gli eventi della giornata e quasi

senza accorgersene passa a parlare dei suoi piani

per il futuro, come se fossero le confidenze intime di

un marito a una moglie o a una compagna” (Hull 283).

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Il confuso tentativo di conciliare amore romantico,

passione sensuale e violenza suscita probabilmente

l’interesse degli spettatori maschi che, tornati dal fronte

traumatizzati, in difficoltà nell’affrontare di nuovo la vita

domestica, talvolta si abbandonano alla violenza.

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Le somiglianze fra gli elementi usati dal Grandguignol per sintetizzare i propri contenuti horror e quelli messi in evidenza dalla propaganda sembrano assai marcate.

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La mutilazione dei corpi, immancabilmente femminili

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Manslaughter (1922)

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Le punizioni corporali intrise di feticismo

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La crudeltà estrema delle uccisioni, compiute con modalità molto simili.

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L’esibizione dell’intimità

del corpo femminile in

circostanze scabrose.

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Il «bruto e la bella» s’incardina nell’immaginario collettivo come la figura perfetta per unire i caratteri del sesso e della violenza.

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Opinione pubblica

«Delle tante conclusioni da trarre rispetto alla prima guerra mondiale, una delle più significative è quella che l’opinione pubblica non poteva più essere trascurata come fattore determinante nella formulazione delle politiche pubbliche».

(Sanders & Taylor 1)

Philip M. Taylor, 1954-2010

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Morale della nazione

Il morale della nazione sarebbe dipeso da

quanto rapidamente le reclute avrebbero firmato

e a quanta comodità e serenità I cittadini

sarebbero stati disposti a rinunciare.

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Pentimenti

Dopo la guerra, un certo numero di persone che

avevano giocato una parte importante nella

conduzione della campagna di propaganda

vennero assalite dai sensi di colpa per le

grossolane falsità che avevano prodotto.

Ciascuna delle due parti in causa aveva detto le

peggiori menzogne sul conto dell’altra e,

quando queste erano state diffuse attraverso i

media, erano state spesso credute.

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Pentimenti

Una persuasione così a larga scala di intere popolazioni attraverso l’uso di mass media non si era mai vista in precedenza e fu gestita con grande abilità e capacità di coordinamento. Erano anche tempi evidentemente più ingenui, in cui perfino la parola “propaganda” non era comprensibile all’individuo medio. Dopo la guerra, quando gli ex propagandisti pubblicarono un’intera serie di sensazionali atti di denuncia sulle falsità che avevano diffuso durante la guerra, il pubblico si fece più disincantato (DeFleur, Ball-Rokeach 1995, 177).

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La scoperta che l’ampollosa enfasi del Rapporto

Bryce, come gran parte degli scritti di

propaganda, nascondeva una comunicazione

esagerata e fasulla, molto contribuì alla

sottovalutazione della denuncia dell’olocausto,

venticinque anni più tardi.

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Comunque, la guerra è violenta e la «brutalità e le sofferenze sono tutt’uno con essa e l’invenzione di atrocità diventa presto la base principale della propaganda. […] Nel migliore dei casi, la testimonianza umana è inaffidabile, perfino nelle circostanze più comuni, senza conseguenze, ma dove faziosità, sentimento, passione e cosiddetto patriottismo interferiscono con le emozioni, un’affermazione personale perde comunque ogni valore». Arthur Ponsonby, Falsehood in Wartime, Institute for Historical Review, 1928, p. 128.

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Uno statista morto (1924)

Io non potrei lavorare; non ho il coraggio di rubare, Per questo ho mentito, per compiacere la folla. Ora tutte le mie bugie sono state scoperte e devo fronteggiare gli uomini che ho ammazzato. Quale frottola mi aiuterà qui in mezzo, ragazzo mio, infuriato e ingannato?

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«Il suolo d’Europa non solo ha tremato per più mesi o per più anni sotto il peso delle armi, ma anche sotto quello degli spropositi. Francesi, inglesi, tedeschi e italiani si vergogneranno, e chiederanno venia pei giudizi che hanno pronunciati, e diranno che non erano giudizi ma espressioni di affetti».

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«E anche più arrossiremo noi, neutrali, che molto spesso abbiamo parlato, come di cosa evidente, della ‟barbarie germanicaˮ. Fra tutti gli spropositi, frutti di stagione, questo otterrà il primato, perché è certo il più grandioso».

Benedetto Croce, L’Italia dal 1914 al 1918. pagine sulla guerra, 1919

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Fatto nuovo

La propaganda è il fatto nuovo nella Prima guerra mondiale. La manipolazione strumentale dell’informazione si era già vista negli anni precedenti. In occasione della Comune di Parigi, tanto per fare un esempio, erano state diffuse false fotografie di massacri di sacerdoti ad opera degli insorti. Ma nella grande guerra la propaganda assume dimensioni e sistematicità inedite. Sono i governi ad assumersene in prima persona il compito, coinvolgendo nello sforzo intellettuali e giornalisti, utilizzando le tecnologie più avanzate, adottando metodi della pubblicità che facevano leva sulle pulsioni più profonde della psicologia collettiva (il terrore per un nemico “disumano”, il bisogno dell’individuo di identificarsi in un’entità superiore come la nazione, l’anelito a vita eroica e non mediocre).

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Stampa carogna

La stampa viene ampiamente coinvolta in questo sforzo e ne rimane travolta. Con scarse eccezioni, in tutti i paesi i giornali falliscono nel dovere di informare i cittadini su che cosa sia veramente la guerra: il sacrificio di un’intera generazione mandata al massacro; il fetore delle trincee; la brutalità delle battaglie, con le orrende scene di mutilazione e sventramento; la supponenza e l’incompetenza degli ufficiali; gli ammutinamenti; le diserzioni; le decimazioni; le proteste; le fraternizzazioni fra eserciti nemici. Tutto questo non viene mai raccontato, se non in minima parte, e la guerra è presentata essenzialmente come inevitabile scontro difensivo in cui una gioventù eroica si immola per il bene della patria.

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Anche recentemente, le modalità di sostegno alla guerra da parte dei mezzi di informazione non sembrano aver risolto i problemi di natura etica posti dalla questione. A proposito della Prima guerra del Golfo, l’allora portavoce della Casa bianca, Marlin Fitzwater dichiara alla Cnn il 26 marzo 1991: «Il presidente (Bush sr) trova che la copertura mediatica di questo conflitto è straordinaria!»

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L’infermiera Nayirah

Questi giudizi entusiastici sul lavoro dei mezzi d’informazione appaiono grotteschi se si riflette sui colpi di genio mediatici che permettono all’Amministrazione americana, nell’agosto del 1990 di “arruolare” l’opinione pubblica mondiale nella “sacrosanta prima guerra del bene contro il male”.

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L’infermiera Nayirah

La tv americana racconta l’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein sottolineando la brutalità del comportamento delle truppe irachene. In particolare, viene dato ampio risalto alla testimonianza di una «volontaria all'ospedale di Kuwait City» resa durante un’udienza davanti al Congresso Usa.

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L’infermiera Nayirah

La giovane e fragile

quindicenne, l’«infermiera

Nayirah» per i media,

racconta singhiozzando

davanti alle telecamere di

tutto il mondo, l’irruzione dei

soldati iracheni nel reparto

maternità dell’ospedale di

Kuwait City: bambini strappati

dalle incubatrici e lasciati

morire sul freddo pavimento.

L’effetto è dirompente,

l’indignazione enorme.

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L’infermiera Nayirah

I giornalisti non hanno

accesso al Kuwait e la

sua storia, inizialmente

confermata

da Amnesty

International e dalle

dichiarazioni di altri

profughi, è reputata

credibile e ampiamente

pubblicizzata, più volte

riresa dal presidente

Bush e dai senatori per

incitare alla Guerra.

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L’infermiera Nayirah

Dopo la liberazione del Kuwait, i giornalisti hanno di nuovo accesso al paese e un servizio della ABC conferma che «molti pazienti, inclusi neonati prematuri, sono morti in seguito alla fuga di infermieri e medici» ma quasi certamente le truppe irachene non c’entrano niente. Nel 1992 viene rivelato che la ragazza si chiama Nayirah al-Sabah ed è la figlia di Saud bin Nasir Al-Sabah, ambasciatore del Kuwait negli Stati Uniti.

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L’infermiera Nayirah

La ragazza era stata ingaggiata dalla Hill & Knowlton, nota società di pubbliche relazioni che aveva un contratto faraonico con l’associazione Citizens for a Free Kuwait (probabilmente emanazione dell’emirato) per organizzare la campagna d’opinione a favore del piccolo Stato ghermito dall’orco iracheno.

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L’infermiera Nayirah

L’agenzia ha ideato la storia dell’uccisone di neonati ispirandosi proprio alla propaganda della Prima Guerra Mondiale, ai presunti infanticidi durante l’invasione del Belgio, e ha filmato l’udienza, inviando il video a Medialink, un fornitore che serve circa 700 televisioni negli Stati Uniti. Il padre della ragazza è seduto accanto a lei durante la testimonianza, ma finge di non conoscerla.

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Riferimenti

Gli appunti del corso

«I media e la politica

internazionale»,

della Prof.ssa

Marcella Emiliani

(Storia e Istituzioni

del Medio Oriente,

Università di

Bologna), offrono

una panoramica

ampia del rapporto

tra politica e media.

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Riferimenti

• Aaron Delwiche, “Of Fraud and Force Fast Woven:

Domestic Propaganda during the First World War”,

in www.firstworldwar.com/features/propaganda.htm&gt marzo 2007.

• Paul Fussell, The Great War and Modern Memory,

New York-Oxford, 1975.

• M. L. Sanders, Philip M. Taylor, British Propaganda

during the First World War, Macmillan, London

1982.

• David Welch, Germany, Propaganda, and Total

War, Rutgers University Press, New Jersey 2000.

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Riferimenti

• Philip M. Taylor, Munitions of the Mind. A History

of Propaganda, Third Edition, Manchester

University Press, 15/nov/2003 - 344 pagine

• Jacques Ellul, Propaganda. The Formation of

Men’s Attitudes, Knopf, 1968 - 320 pagine

• Garth Jowett, Victoria O’Donnell, Propaganda

and Persuasion, SAGE, 2006 - 422 pagine

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Riferimenti

• Anthony R. Pratkanis, Anthony Pratkanis, Elliot

Aronson, Age of Propaganda. The Everyday Use

and Abuse of Persuasion, Henry Holt Co., 2001

• Stanley B. Cunningham, The Idea of Propaganda.

A Reconstruction (Google eBook), Greenwood

Publishing Group, 2002

• András Szántó, What Orwell didn’t know:

propaganda and the new face of American politics,

PublicAffairs, 2007

• Simon Adams, Propaganda in War and Peace,

Heinemann Library, 2005

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Riferimenti

• Bruce Lannes Smith, Harold Dwight Lasswell, Ralph Droz Casey, Propaganda, communication, and public opinion. A comprehensive reference guide, Princeton University press, 1946

• Robert King Merton, Marjorie Fiske Lowenthal, Alberta Curtis, Mass persuasion. The social psychology of a war bond drive, Harper, 1946

• Robert Cole, Propaganda in twentieth century war and politics. An annotated bibliography, Scarecrow Press, 1996

• Arthur Conan Doyle, The German War and To Arms!, Cambridge Scholars Publishing, 2009

• Robert Jackall, Propaganda, New York University Press, 1995