Guercino - Tavola

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Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666) Bologna, ante 1652 Silvio che Ritrova Dorinda Ferita, olio su tela, 240 x 292 cm, Erminia che Ritrova Tancredi Ferito, olio su tela, 240 x 292 cm Le due grandi tele che il destino ha voluto unite, dalla loro creazione fino ad oggi, per secoli vennero ritenute versione uniche originali e quando vennero prese a modello da Pietro Bonato (1765-1820), artista amico di Canova, nel 1805-1806, per delle incisioni su rame (acquaforte e bulino), recarono la leggenda “FRANCESCO BARBIERI DETTO IL GUERCINO DIPINSE / DOMENICO DEL FRATE DISEGNÒ / PIETRO BONATO VENETO BASSANESE INCISE ROMA /...”. Lo studio più importante sulle opere è merito di Sir Denis Mahon, che ricorda ancor oggi d’aver visto le tele la prima volta a Roma, nella Raccolta del Barone Zezza. In effetti la prima versione di Silvio che Trova Dorinda, di 224 x 291 cm, è oggi a Dresda, alla Staatliche Gemäldegalerie ed Erminia che Trova Tancredi di 244 x 287 cm, è oggi alla Galleria Nazionale di Edinburgo (nuova acquisizione). Lo scrupoloso Libro dei Conti nel quale le opere elencate dovevano essere solo quelle per le quali il Guercino stesso aveva incassato personalmente i pagamenti, riporta solo queste due prime versioni. Ricordiamo però che già ai tempi del Guercino si confondevano le opere di bottega con gli originali. Visti gli stretti legami del Guercino con la famiglia Gennari, suoi collaboratori, la distinzione è ancor più ardua. Come concordano tutti gli studiosi, la qualità delle opere fornite dalla “ditta Barbieri-Gennari” è in effetti sempre molto elevata e nelle grandi opere toccava comunque ai collaboratori occuparsi delle figure secondarie e degli elementi decorativi e di sfondo. Un altro aspetto da considerare dal punto di vista della spartizione dei compiti, delle spese e dei profitti è certo l’importanza data dal Guercino all’acquisto dei colori, in particolare il prezioso pigmento blu oltremare, 12 Ducatoni d’argento l’oncia quello fino e la metà, 6 Ducatoni d’argento, il cosiddetto mezzo azzurro e alle costosissime tele. Deve essere stato alquanto difficile, in effetti, ricondurre in una regolare contabilità, seppur di famiglia, i costi del materiale impiegato, il lavoro eseguito ed infine i pagamenti incassati. Ricordiamo che il Guercino stesso si era lamentato dei costi del materiale, in particolare del prezioso blu oltremare (lapislazzuli), dando così evidentemente importanza anche alla destinazione di questo ed alla spartizione degli utili Resta il fattore qualità, sul quale sia sir Mahon che Luigi Salerno concordano, giudicandolo risolutivo del grado o misura di autograficità dell’opera.

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Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666)Bologna, ante 1652

Silvio che Ritrova Dorinda Ferita, olio su tela, 240 x 292 cm,

Erminia che Ritrova Tancredi Ferito, olio su tela, 240 x 292 cm

Le due grandi tele che il destino ha voluto unite, dalla loro creazione fino ad oggi, per secoli vennero ritenute versione uniche originali e quando vennero prese a modello da Pietro Bonato (1765-1820), artista amico di Canova, nel 1805-1806, per delle incisioni su rame (acquaforte e bulino), recarono la leggenda “FRANCESCO BARBIERI DETTO IL GUERCINO DIPINSE / DOMENICO DEL FRATE DISEGNÒ / PIETRO BONATO VENETO BASSANESE INCISE ROMA /...”.

Lo studio più importante sulle opere è merito di Sir Denis Mahon, che ricorda ancor oggi d’aver visto le tele la prima volta a Roma, nella Raccolta del Barone Zezza.

In effetti la prima versione di Silvio che Trova Dorinda, di 224 x 291 cm, è oggi a Dresda, alla Staatliche Gemäldegalerie ed Erminia che Trova Tancredi di 244 x 287 cm, è oggi alla Galleria Nazionale di Edinburgo (nuova acquisizione).

Lo scrupoloso Libro dei Conti nel quale le opere elencate dovevano essere solo quelle per le quali il Guercino stesso aveva incassato personalmente i pagamenti, riporta solo queste due prime versioni.

Ricordiamo però che già ai tempi del Guercino si confondevano le opere di bottega con gli originali. Visti gli stretti legami del Guercino con la famiglia Gennari, suoi collaboratori, la distinzione è ancor più ardua. Come concordano tutti gli studiosi, la qualità delle opere fornite dalla “ditta Barbieri-Gennari” è in effetti sempre molto elevata e nelle grandi opere toccava comunque ai collaboratori occuparsi delle figure secondarie e degli elementi decorativi e di sfondo.

Un altro aspetto da considerare dal punto di vista della spartizione dei compiti, delle spese e dei profitti è certo l’importanza data dal Guercino all’acquisto dei colori, in particolare il prezioso pigmento blu oltremare, 12 Ducatoni d’argento l’oncia quello fino e la metà, 6 Ducatoni d’argento, il cosiddetto mezzo azzurro e alle costosissime tele.

Deve essere stato alquanto difficile, in effetti, ricondurre in una regolare contabilità, seppur di famiglia, i costi del materiale impiegato, il lavoro eseguito ed infine i pagamenti incassati.Ricordiamo che il Guercino stesso si era lamentato dei costi del materiale, in particolare del prezioso blu oltremare (lapislazzuli), dando così evidentemente importanza anche alla destinazione di questo ed alla spartizione degli utili

Resta il fattore qualità, sul quale sia sir Mahon che Luigi Salerno concordano, giudicandolo risolutivo del grado o misura di autograficità dell’opera.

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Nonostante che lo strato di sporcizia che le ricopriva nascondesse i dettagli e mutasse i colori, Sir Mahon quando le vide a Roma, le ritenne comunque entrambe provenienti dalla bottega del Guercino e certamente dipinte quando la versione antecedente, quasi contemporanea, non era ancora stata consegnata al rispettivo committente.

Al contrario di quelle oggi a Dresda e ad Edinburgo, di dimensioni leggermente diverse, le due Opere qui presentate, nate come pendant destinate allo stesso committente e pertanto di dimensioni identiche, sono ancor oggi fortunosamente unite e grazie al rispettoso restauro effettuato da Sabrina Pedrocchi a Losone in Svizzera nel corso del 2000, oggi oggetto di questo studio.

Il committente che vide dal Guercino le due prime versioni, destinate come sappiamo a due diversi committenti, ne scoprì l’affascinate legame barocco, forse l’ammonimento a non mascherare i propri sentimenti, e volendole entrambe, dovette ordinarle al Guercino prima che i modelli lasciassero la bottega. Così facendo le unì fino ad oggi. (Tancredi ed Erminia, in Torquato Tasso, 1544-1595, Gerusalemme Liberata, del 1575, XII, 64-69; Silvio e Dorinda nel dramma pastorale di Battista Guarini, 1538-1612, Pastor fido, del 1595)

Sir Denis Mahon vide la documentazione fotografica delle fasi di restauro e il resoconto delle analisi mercoledì 27 settembre 2000 a Londra. Felicitandosi per lo scrupoloso intervento di restauro che ha ridato luce e volume alle opere, è stato felice di riconoscere, in particolare nel volto di Silvio, ma anche in diverse altre parti delle due opere, interventi diretti del Guercino stesso.

Dopo aver rivisto finalmente le opere di persona, Sir Denis Mahon scrisse il 24 gennaio 2003, che la qualità pittorica di diversi dettagli – riferendosi in particolare ancora al volto di Silvio - conferma inequivocabilmente l’intervento del Guercino stesso nell’esecuzione.Il contributo della Bottega nelle persone di Bartolomeo Gennari e – in Erminia che Ritrova Tancredi Ferito – di Ercole, il fratello più giovane di Bartolomeo, è invece ancora solo una proposta di lettura.