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DIANE GASTON

Gentiluomo ma non troppo

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Not So Respectable Gentleman?

Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2012 Diane Perkins

Traduzione di Mariadele Scala

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici gennaio 2013

Questo volume è stato stampato nel dicembre 2012

presso la Rotolito Lombarda - Milano

I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410

Periodico settimanale n. 858 del 16/01/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

Primavera 1826 Fiamme. Incandescenti, accecanti fiamme rosse, arancio-ni, blu. Sibilanti come le fauci di draghi, che ser-peggiavano nelle scuderie, lambivano e si inerpi-cavano su per le pareti, distruggevano e divorava-no tutto ciò che incontravano. Leo Fitzmanning continuava a vederle, avvertiva il loro calore, sentiva i nitriti disperati dei cavalli mentre varcava la soglia della biblioteca di un'abi-tazione londinese. Le sue narici erano ancora intri-se dell'odore acre del fumo e aveva i muscoli indo-lenziti per aver lottato contro l'incendio per quasi due giorni. Un attimo di disattenzione, la distrazione di un secondo gli erano costati le scuderie e due capanni degli attrezzi. Non si era accorto che il gancio che reggeva la lanterna si era allentato: la lanterna era caduta e le fiamme erano divampate all'istante. Scuotendo il capo scacciò quel ricordo e si im-pose di concentrare l'attenzione sull'uomo che at-tendeva di incontrare da più di un mese.

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Mr. Cecil Covendale si alzò dalla sedia dietro la scrivania e gli tese la mano sopra la catasta di carte che la ingombravano. «Buongiorno, Fitzmanning» pronunciò in tono affabile. Era un buon segno. «Come vi sentite, dopo l'incendio? Sembra che sia-te illeso.» La notizia aveva percorso in fretta le dieci miglia che separavano Welbourne Manor, nei dintorni di Richmond, da Mayfair. «Solo qualche lieve ustione, signore» rispose Leo, stringendo la mano che l'anziano signore gli tendeva. Ricostruire le scuderie e i due capanni degli at-trezzi e acquistare nuovi cavalli sarebbe stato molto impegnativo e oneroso, e Covendale lo sapeva. Leo ne era sicuro. «Si dice che abbiate rischiato di perdere la casa» osservò l'uomo, ma la sua espressione mostrava so-lo preoccupazione e non il disprezzo che Leo si era aspettato per il fallimento della sua impresa. «Sa-rebbe stato un vero peccato» soggiunse con tono comprensivo. Non per chi avrebbe gioito nel vedere Welbour-ne Manor distrutta. La giusta punizione per il suo scandaloso passato, avrebbero detto, anche se Leo aspirava a riabilitare la sua reputazione. Lui e i suoi fratelli amavano Welbourne Manor e non si sareb-be mai perdonato se avesse perduto quel rifugio si-curo, la casa in cui avevano trascorso la loro singo-lare e spensierata infanzia. «La casa è intatta. Il resto si può ricostruire» re-plicò, stringendosi nelle spalle. Sempre che avesse avuto il denaro necessario, naturalmente. Chissà se Covendale era al corrente del fatto che aveva investito nelle scuderie, ridotte

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ormai a un cumulo di cenere, quasi tutto ciò che possedeva? Il suo pensiero era rivolto alle tante cose che a-veva lasciato in sospeso per recarsi a quell'appun-tamento. Trovare scuderie disposte a ospitare i po-chi cavalli che erano sopravvissuti all'incendio; fornire una sistemazione agli uomini che lavorava-no per lui e che erano rimasti senza un tetto sopra la testa nel giro di pochi minuti. Li aveva lasciati a rovistare fra la cenere per controllare che sotto le macerie non vi fossero più tizzoni ardenti pronti a riaccendere le fiamme. Sarebbe dovuto rimanere a lavorare con loro, preparando la ricostruzione. Niente tuttavia lo avrebbe trattenuto dal recarsi all'appuntamento con Covendale, che aveva rinvia-to l'incontro per settimane. Alcune questioni erano più importanti di Welbourne Manor. «Suppongo sappiate perché desideravo parlare con voi» esordì Leo. «Sì» rispose l'altro, smettendo di sorridere. Perché quel cambiamento di espressione?, si do-mandò Leo, sentendo che i capelli gli si drizzavano sulla nuca. «Vostra figlia ve lo ha detto?» «Sì» ripeté l'altro tornando a prendere posto die-tro la scrivania. Tuttavia non invitò il suo ospite ad accomodarsi. «Dunque sapete che sono venuto a chiedervi il consenso alle nostre nozze.» «Sì» ribadì Covendale sospirando e scuotendo il capo, come se fosse in difficoltà. «Io... be', come posso spiegarvi?» Leo udì di nuovo il sibilo del fuoco. «Vi assicuro che la perdita delle scuderie è un problema di scar-sa importanza» si affrettò a replicare. «A vostra fi-glia non mancherà mai niente.»

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Avrebbe recuperato tutto ciò che aveva perso, si ripromise. Avrebbe chiesto un prestito a suo fratel-lo, se fosse stato necessario. Avrebbe ricostruito delle scuderie più grandi e più belle, reso il suo al-levamento di cavalli più prospero e rinomato. «Forse» commentò Covendale storcendo la boc-ca. «Tuttavia...» «Siete preoccupato per la sua eredità?» lo inter-ruppe Leo. «Non ne ho bisogno.» La prozia di Mariel le aveva lasciato una consi-derevole somma di denaro della quale sarebbe en-trata in possesso al compimento del venticinquesi-mo anno di età, qualora non si fosse sposata. La somma le sarebbe stata versata prima se avesse sposato un uomo che godeva dell'approvazione di suo padre. Ma se lui non avesse dato il proprio consenso al suo matrimonio, l'intera eredità sarebbe stata destinata a una delle tante oscure e inutili isti-tuzioni benefiche verso le quali la prozia si era mo-strata molto generosa. «Ho chiesto il vostro consenso solo perché non voglio che Mariel rinunci al suo denaro per me.» Avevano discusso di quell'argomento parecchie volte. Lei si era detta sicura che il padre non avreb-be mai approvato il loro matrimonio. Avevano an-che preso in considerazione l'eventualità di una fu-ga in Scozia, ma se a Mariel non interessava di perdere il denaro, tuttavia era preoccupata dello scandalo che un'eventuale fuga avrebbe provocato, e che avrebbe colpito la sua famiglia, soprattutto le sue sorelle minori. Anche Leo non voleva far na-scere scandali. Aveva intenzione di ottenere il ri-spetto della buona società allevando i migliori pu-rosangue di tutta l'Inghilterra, più belli e selezionati persino di quelli di suo fratello Stephen. E non a-

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vrebbe mai toccato un centesimo dei soldi di Ma-riel, sui quali lei avrebbe sempre avuto l'assoluto controllo. «Vi garantisco che il denaro resterà nelle mani di vostra figlia» asserì, guardando Covendale dritto negli occhi. «Firmerò un documento, al riguardo. Potremo stipulare l'impegno prima del matrimonio, se volete.» L'altro sollevò una mano. «Basta così, Fitzman-ning. La storia fra voi e mia figlia è stata una sor-presa per me. Ignoravo che le facevate la corte prima che Mariel mi spiegasse il motivo di questo appuntamento.» Leo non si era mai spiegato il motivo di tanta se-gretezza, ma lei aveva voluto così. «Come sapete, vostra figlia e io ci conosciamo fin dall'infanzia. Mariel e le mie sorelle sono tuttora amiche. Ci sia-mo rivisti durante una delle visite che rende loro.» In gennaio, fra gli strepiti dei bambini di Charlotte e i guaiti dei suoi carlini, Leo aveva in-contrato Mariel dopo parecchi anni che non la ve-deva. Lei non era più la petulante bambina con le trecce che lo rincorreva nei viali e nelle stanze di Welbourne Manor. Era diventata una giovane don-na così bella da fargli perdere il fiato. Si erano in-contrati altre volte in casa di Charlotte e in seguito si erano dati appuntamenti segreti. Nessuno era a conoscenza della loro relazione, del forte legame che si era creato fra loro. Nessuno sapeva che Ma-riel era il motivo che aveva spinto Leo a lasciare l'impiego presso il fratello per creare un proprio al-levamento di cavalli e fare di Welbourne Manor una dimora accogliente e rispettabile. Covendale liquidò quell'argomento con un gesto secco della mano. «Non ha importanza. Quando è

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stata l'ultima volta che avete parlato con mia fi-glia?» Era stato il giorno in cui avevano deciso di orga-nizzare quell'appuntamento. «Circa un mese fa» ri-spose lui. Da allora non c'era più stata l'opportunità di co-municare con lei. Leo si era gettato a capofitto nel-la sistemazione della sua scuderia e il tempo era volato. Covendale distolse lo sguardo, come se stesse rimuginando su qualcosa. Poi si passò una mano sul viso e tornò a girarsi verso Leo. «Un mese è lungo, possono accadere molte cose.» Lui si avvicinò alla scrivania e si piegò verso il suo interlocutore. «È successo qualcosa a Mariel? Ditemelo. È malata? Sta male?» «No! Si è fidanzata.» Lui si sollevò e fece un passo indietro. «Fidanza-ta?» ripeté corrugando le sopracciglia. «Sì, certo, con me.» «No, non con voi» lo contraddisse Covendale, tornando a girare la testa dall'altra parte. «Con Lord Ashworth.» Ashworth? Edward Ashworth? Un suo vecchio compagno di scuola. Era stato un ragazzo educato e affabile e adesso era un uomo ri-spettabile e gentile. Possedeva un titolo, era ricco e benvoluto da tutti. Insomma, il marito ideale. Covendale gli porse un foglio di carta. «È tutto stabilito. Questa è una licenza speciale di matrimo-nio. Posso mostrarvi anche il contratto di nozze...» I nomi di Mariel e di Ashworth erano scritti in modo leggibile sul foglio, con il quale si permette-va alla coppia di sposarsi in un luogo diverso da

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una chiesa e li si esentava dall'obbligo della pub-blica lettura delle pubblicazioni. «Mariel sa di questo documento?» domandò lui restituendo il foglio a Covendale. «Sì, è ovvio» rispose l'altro tossicchiando. «Desidero parlare con lei, signore. Mandatela a chiamare.» Mariel non avrebbe mai fatto una cosa del genere senza avvertirlo. «Non è qui» ribatté Covendale stringendosi nelle spalle. «È andata con sua madre nello Herefordshi-re, ospite nella tenuta di Ashworth.» La tenuta di Ashworth? Leo si sforzò di guardare il suo interlocutore ne-gli occhi. Dentro di lui le emozioni bruciavano co-me le travi del tetto della sua scuderia. Perché Mariel si era recata laggiù, se non...? «Ashworth è un gentiluomo di buona famiglia, con un titolo di antica discendenza. Mariel non è una stupida, quindi sa che è un buon matrimonio per lei, un vero balzo in alto in fatto di rango» pro-seguì Covendale con tono conciliante. «Dovete ve-dere la situazione dal mio punto di vista, ragazzo mio. Devo preferire voi a un giovanotto che pos-siede un titolo? Chi sarà un marito migliore per mia figlia?» «Non potete obbligare Mariel a sposarsi, è mag-giorenne.» «Non sto facendo niente del genere» insistette l'altro. «Del resto, dovete considerare la sua età. Ha ventun anni, è ora che si sposi. Sua madre e io te-mevamo che non avrebbe mai fatto un buon matri-monio. Credo che anche lei cominciasse a essere preoccupata... Forse è per quello che aveva preso in considerazione l'idea di sposare voi.» «No. Noi ci eravamo scambiati una promessa di

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devozione reciproca» obiettò Leo ignorando l'offe-sa. Mariel lo amava davvero. Era pronto a scom-mettere tutto ciò che possedeva sull'autenticità di quel sentimento. Anche se la maggior parte di ciò che possedeva era ridotta a un cumulo di cenere. «Devozione?» Covendale sogghignò. «Mio po-vero ragazzo! La devozione è fugace. Le belle pa-role che voi e mia figlia vi siete scambiati non con-tano di fronte a ciò che è davvero importante.» «Vale a dire?» ribatté Leo sentendo di nuovo il sibilo delle fiamme. L'altro si agitò sulla sedia. «Un nome rispettabi-le, relazioni importanti, una solida posizione in so-cietà. Mia figlia merita tutto questo e non lo avrà, se sposerà voi.» Si trattava di quello? Nome rispettabile? Posi-zione in società? Leo aveva intenzione di ottenere quelle cose da solo. E le relazioni importanti non gli mancavano. Suo padre e Re Giorgio erano stati amici fraterni, che diamine! Covendale sorrise. «Come tutte le giovani don-ne, mia figlia desidera fare un matrimonio rispetta-bile.» Leo serrò i pugni. «Mi sono mai comportato in modo men che rispettabile?» «No, che io sappia» ammise l'altro agitando l'in-dice verso di lui. «Con la sola eccezione che avete corteggiato mia figlia in segreto.» Leo bruciava come se le fiamme fossero state ancora attorno a lui. «Dovete guardare alla situazione in modo pratico ed essere ragionevole, figliolo» proseguì il padre di Mariel tornando ad assumere un tono mellifluo. «Dal momento che è in grado scegliere, mia figlia

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non può abbassarsi a sposare un... uomo con i vo-stri natali.» Un bastardo, intendeva dire. «Vostro padre, nonostante i suoi titoli e le amici-zie altolocate, si è fatto beffe delle regole della so-cietà. Non solo. Lui e la vostra scandalosa madre vi hanno allevato in un'atmosfera di assoluta immora-lità...» Era necessario che lo dicesse? Leo era sempre stato consapevole delle sue origini. Suo padre, il Duca di Manning, aveva abbando-nato sua moglie per andare a vivere a Welbourne Manor con la Contessa di Linwall, anche lei sposa-ta. Avevano convissuto per vent'anni, liberi da vin-coli e paghi della loro felicità, e dalla loro unione peccaminosa erano nati Leo e le sue due sorelle. Anche i due figli legittimi di suo padre, Nicholas, ora nuovo Duca di Manning, e Stephen, un apprez-zato allevatore di cavalli e proprietario di un ippo-dromo, avevano trascorso la maggior parte della lo-ro infanzia a Welbourne Manor. Con loro c'era an-che Justine, la sorellastra di Leo, nata dalla relazio-ne che il padre aveva avuto con una donna francese prima di incontrare sua madre. La buona società li chiamava la Miscellanea Fitzmanning, anche se nessuno osava farlo di fronte a Leo, per evitare di ritrovarsi con qualche osso rotto. Tornò a serrare i pugni. «Anche i miei fratelli sono cresciuti a Welbourne Manor» osservò. Fatta eccezione per Brenner, il figlio legittimo di sua madre, l'attuale Conte di Linwall. Leo e i suoi fra-telli e sorelle avevano conosciuto Brenner solo do-po la morte dei loro genitori. «Li considerate per-sone scandalose?» «Sì!» esclamò Covendale. «Tuttavia sono figli

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legittimi e la società li accoglie solo per questo mo-tivo. Voi, invece, non sareste accettato da nessuna parte se non foste il figlio di un duca. È stata l'uni-ca ragione che mi ha indotto a permettere a Mariel di fare amicizia con le vostre sorelle.» Leo sapeva bene che la buona società lo tollera-va a fatica. E il medesimo discorso valeva per le sue sorelle. La differenza fra essere un figlio legit-timo e un bastardo gli era sempre stata ben chiara nella mente. A dire il vero anche i suoi fratelli lo trattavano in modo diverso, ma lo facevano per l'affetto che pro-vavano per lui. Nicholas e Stephen cercavano sem-pre di salvaguardarlo dal modo spregevole in cui gli altri lo trattavano. I loro sforzi tuttavia erano umilianti quasi quanto le allusioni maliziose che aveva dovuto sopportare a scuola da ragazzo. O le calunnie gli erano state mosse da adulto. La società si aspettava che diventasse un liberti-no come il padre, ma lui era deciso a dimostrare a tutti che si sbagliavano. Fin da ragazzo si era impo-sto di comportarsi in modo irreprensibile. Un uomo doveva essere giudicato per il proprio carattere e per le sue azioni. Leo era determinato a dare il meglio di sé in entrambe le cose. Mariel lo aveva capito e lo aveva sostenuto. Lei ammirava la sua grinta e non le era mai importato che sua madre e suo padre non fossero stati sposati al momento della sua nascita. Lei lo amava. «Non vi credo» asserì fissando Covendale negli occhi. «La giovane di cui parlate non è la Mariel che conosco io. Lei non sposerebbe un uomo solo per il suo titolo nobiliare. È impossibile.» L'altro increspò le labbra. «Be', c'è tuttavia anche la questione della vostra situazione finanziaria. Un

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allevamento di cavalli non è niente in confronto al-la fortuna di Ashworth. E adesso, con l'incendio, dovete ricostruire le scuderie, per non parlare del-l'acquisto di nuovi cavalli. Se possiamo passar so-pra alla diversità di nascita fra voi e Ashworth, al presente non avete niente da offrire a mia figlia.» L'incendio. Nonostante i propositi di conquistare il massimo rispetto, il suo sogno era ridotto a un cumulo di cenere, testimonianza del suo fallimento. Covendale ricorse alla comprensione. «Mi rendo conto che è difficile per voi da accettare, come lo è per me comunicarvi la notizia, ma vi assicuro che Ashworth le ha fatto la corte e... questo è il risulta-to» concluse sollevando la licenza speciale che a-veva appoggiato sulla scrivania. Leo scosse il capo. «Mariel sarebbe dovuta veni-re da me, dirmi di persona che i suoi sentimenti e-rano cambiati.» «Mi era quasi sfuggito di mente» riprese Coven-dale sollevando una mano. «Mia figlia ha scritto un biglietto per voi.» Aprì un cassetto della scrivania e tirò fuori un foglio ripiegato e sigillato con la cera-lacca, e glielo porse. Leo lo prese e strappò il sigillo. Poi lesse. Caro Leo, non ho il tempo di scrivere una vera lettera. Avrei voluto essere presente al vostro incontro, ma papà ti spiegherà tutto. Con l'augurio di ogni bene, Mariel Impossibile sbagliarsi. Era la sua calligrafia e la carta emanava il suo inconfondibile profumo.

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Accartocciò il foglio nella mano. Papà ti spie-gherà tutto. «Mi dispiace, figliolo» mormorò Covendale in tono sommesso. Il fuoco sibilò di nuovo dentro di lui e le fiamme gli accecarono gli occhi. La licenza speciale. L'assenza di Mariel. Il bi-glietto. Il suo fallimento. Era inutile negare o rifiutare la realtà. Lei aveva scelto la rispettabilità. Aveva preferito un uomo na-to all'interno di un matrimonio legale a un figlio bastardo di un'unione adulterina. E, per giunta, a-veva preferito un uomo ricco e provvisto di un tito-lo a un fallito. Covendale allargò le braccia. «Non so che altro dirvi» aggiunse. Leo non lo udì neppure. Pensava ai cavalli che aveva perso, alla sua scu-deria. Perdere Mariel, però, era mille volte peggio. La sofferenza era talmente intensa che dovette fare uno sforzo per rimanere in piedi. Gli sembrava che le fiamme avessero consumato anche lui, lascian-dogli dentro solo un cumulo di cenere, un vuoto che niente avrebbe più ricolmato. Al diavolo la rispettabilità! Al diavolo la scude-ria e l'allevamento di cavalli! Cosa aveva ottenuto con un comportamento i-neccepibile e il duro lavoro? Nient'altro che un cu-mulo di cenere. L'abbandono da parte di Mariel. «Avete ragione, signore» affermò, raddrizzando le spalle a fatica. «A questo punto non c'è nient'al-tro da aggiungere. Non mi rimane che augurarvi una buona giornata.»

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Quindi, con un cenno del capo, si congedò da Covendale e uscì dalla biblioteca e dalla casa del padre di Mariel, incamminandosi nel piovigginoso pomeriggio londinese verso il vuoto che la sua vita era diventata. Un deserto, senza di lei.

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Giugno 1828, due anni dopo Un forte colpo alla porta strappò Leo da un sonno profondo. Aprì gli occhi e fu accecato dalla luce di un rag-gio di sole che filtrava dalla finestra, preludio di una bella giornata di primavera. Istintivamente si coprì il viso con le mani. La sera prima aveva bevuto troppo brandy e a-desso ne pagava le conseguenze. Un altro colpo lo fece sussultare. Era già l'ora delle visite? Perché Walker non aveva mandato via l'impor-tuno? Probabilmente il suo valletto non si era ancora alzato. La sera prima si era intrattenuto con lui a bere dopo che Leo era tornato dai tavoli da gioco. Walker poteva comportarsi come un valletto, ma non aveva l'apparenza di un domestico. Un tempo furfante delle Rookeries, i quartieri malfamati di Londra, trasmigrato a Parigi per una serie di circo-stanze e in cerca di una nuova vita, aveva incontra-to Leo per caso. Più che un valletto, era diventato

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per lui un amico... e adesso anche socio in affari. I colpi alla porta ripresero e Leo udì indistinta-mente la voce di un uomo che chiedeva di poter en-trare. Borbottando, si alzò dal letto, guardandosi attor-no alla ricerca dei vestiti che si era tolto la sera prima. I colpi cessarono e lui tornò a sedersi sul let-to. Perfetto. Walker si sarebbe occupato della fac-cenda e avrebbe congedato il visitatore. In passato, Leo si sarebbe alzato all'alba per re-carsi nelle sue scuderie e a quell'ora avrebbe già espletato il lavoro di mezza giornata. Ma quelle a-bitudini risalivano un'altra vita, pensò passandosi una mano sul viso. Appartenevano a un altro uomo. Essere a Londra riportava alla memoria molti ri-cordi, ma adesso si era ritagliato una nuova vita, scavata nella dura roccia, poteva aggiungere, ma che gli si addiceva alla perfezione. Walker bussò ed entrò nella camera. «I vostri fratelli sono venuti a farvi visita.» I suoi fratelli? «Quali?» «Tutti.» Tutti e sei? Anche le sue sorelle? «Che accidenti vogliono?» «Non me l'hanno detto.» Leo si passò le mani fra i capelli arruffati. «Per-ché non hai inventato una scusa per mandarli via? Potevi dire che ero fuori.» Non gli faceva onore il fatto di averli evitati da quando era tornato in città, quindici giorni prima, ma era stato molto occupato. E poi loro ignoravano quale direzione avesse preso la sua vita durante il soggiorno all'estero. «Ho pensato che fosse imprudente fare a pugni con un duca, un conte e un cane ringhioso» rispose l'altro inarcando un sopracciglio.

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Santo cielo! Sua sorella Charlotte aveva portato uno dei suoi carlini. «D'accordo. Li riceverò» acconsentì Leo indos-sando la camicia dalla testa. Senza dubbio i suoi fratelli erano lì per offrirgli aiuto e rimproverarlo del suo comportamento, che aveva preso una brutta piega dall'ultima volta che era stato a Londra, anche se sperava che non a-vrebbero mai saputo tutto ciò che faceva. Che cre-dessero pure alle chiacchiere che circolavano su di lui, che lo dipingevano come un libertino emulo di suo padre, purché non scoprissero mai che aveva dovuto affrontare situazioni dalle quali il loro geni-tore si sarebbe tenuto accuratamente alla larga. «Ho la sensazione che non gradirò questo incon-tro» borbottò, infilando le braccia nelle maniche della marsina e indossando gli stivali. Poi uscì dalla stanza e si diresse verso il salotto. Quando entrò, i suoi fratelli e le sue sorelle si gi-rarono tutti verso di lui. Erano riuniti in cerchio. Per la verità avevano spostato le poltrone in modo da formare un cerchio. «Leo! Buongiorno» lo apostrofò Nicholas per primo. In quanto duca, era il capo della famiglia. Il carlino che Charlotte teneva in braccio prese a guaire. Justine corse verso di lui e gli prese entrambe le mani fra le sue. «Leo, che bello vederti! Hai un a-spetto orribile» osservò, toccandogli la guancia con espressione allarmata. «Sì, davvero orribile» confermò Brenner. Doveva essere proprio uno spettacolo disgustoso con la barba lunga, i vestiti sgualciti e gli occhi ar-rossati. «Stai male?» chiese Brenner scrutandolo in viso.

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«No. Ieri sera ho fatto tardi» rispose Leo. Brenner e Justine erano la parte più complessa della sua insolita famiglia. Lei era la sua sorellastra per parte di padre e Brenner, il nuovo Conte di Lin-wall, era suo fratellastro da parte di madre, ed era-no sposati fra loro. Il loro amore era sbocciato dopo la morte dei genitori di Leo. Brenner gli rivolse uno sguardo preoccupato, poi lo avvolse in un abbraccio fraterno, mentre gli altri gli si accalcavano attorno. Charlotte scoppiò in la-crime contro il suo petto; Nicholas e Stephen gli sferrarono affettuose pacche sulla schiena. Persino il carlino gli saltellò attorno ai piedi e cercò di ar-rampicarsi sulle sue gambe. Solo Annalise rimase in disparte, ma era tipico della sorella. Era probabi-le che volesse osservare la scena per riprodurla in uno dei suoi quadri, che avrebbe probabilmente chiamato Il ritorno del figliol prodigo. Leo non aveva intenzione di rientrare nel premu-roso seno della sua famiglia. Era passato oltre, sta-va letteralmente aspettando l'arrivo della sua nave. «Che cosa fate qui?» chiese. Nicholas gli prese le mani. «Vieni a sederti e te lo diremo.» Una poltrona era stata spinta all'interno del cer-chio. Era quella destinata a lui. «Siamo preoccupati per te» sentenziò Nicholas quando tutti si furono seduti. Era chiaro. «Preoccupati?» I suoi fratelli voleva-no prendersi cura di lui come avevano sempre fat-to. «Siamo davvero in ansia per te, Leo!» confermò con un singhiozzo strozzato Charlotte, l'autrice di drammi. «Che ne sarà di te?» Il carlino le saltò in grembo e le leccò il viso.

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Quante sciocchezze! «Di cosa stai parlando?» obiettò Leo. «Passi il tempo a bere, giocare e a correre dietro alle donne» intervenne Nicholas. Quel mattino aveva proprio l'aspetto del dissolu-to libertino. «Non puoi continuare così» riprese il duca. «È tempo che tu dia un nuovo indirizzo alla tua vita.» «Devi dedicarti a un'occupazione utile» rincarò Stephen. «Prima che sia troppo tardi» soggiunse Char-lotte. Sembrava che i pettegolezzi sulla sua vita disso-luta lo avessero preceduto. D'accordo, stava spesso in piedi tutta la notte a giocare a carte, ma non cor-reva più appresso alle donne e beveva pochissimo. Eccetto la sera prima. I suoi fratelli non potevano sapere delle sue rela-zioni e dei suoi affari clandestini, per i quali aveva anche rischiato di venir ucciso, e dei traffici che e-ludevano la legge e gli procuravano ingenti guada-gni. «Vi assicuro che so badare a me stesso» dichia-rò, accingendosi ad alzarsi in piedi. Brenner, che era seduto accanto a lui, gli mise una mano sulla spalla per invitarlo silenziosamente a rimanere seduto. «Non preoccupatevi per me» ripeté Leo. «Non possiamo farne a meno» sussurrò Annali-se. «Voglio dire, dobbiamo preoccuparci.» «Abbiamo capito il tuo bisogno di andare via, di viaggiare» asserì Brenner con tono comprensivo. «Era utile che vedessi un po' di mondo, ma ades-so...» «Adesso non fai altro che bere e giocare a carte»

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intervenne Justine. «Eviti la tua famiglia, hai ri-nunciato a realizzare i tuoi progetti.» Con quanta facilità pensavano il peggio di lui e ritenevano che fosse loro dovere intervenire! «Non potete sapere quali sono i miei progetti» ribatté a denti stretti. «Oh, sì, possiamo» asserì Nicholas, fissandolo negli occhi. «Abbiamo il modo di scoprire tutto.» Non tutto, lo corresse lui mentalmente. Di certo ignoravano degli investimenti che aveva fatto. Era pronto a scommettere che non avevano mai saputo che cosa lui e Walker avevano passato. E non a-vrebbero mai saputo il vero motivo che lo aveva indotto a partire dall'Inghilterra, perché non fre-quentava la buona società di Londra. Uno dopo l'altro, i suoi fratelli lo implorarono di cambiar vita, di abbandonare la vuota ricerca del piacere. Lo pregarono di tornare a interessarsi di qualcosa di utile, di investire sogni e speranze in progetti validi. Avrebbe dovuto dir loro la verità, ma il carico della nave che aspettava non era del tutto in sinto-nia con le disposizioni di legge, anche se non a-vrebbe danneggiato nessuno. «Il fatto è che...» Nicholas si interruppe e guardò verso Brenner, il quale annuì con fervore. «Abbia-mo una sorpresa per te.» Stephen si spostò sul bordo della sua poltrona e annunciò: «Abbiamo fatto ricostruire le scuderie a Welbourne Manor! E anche i capanni degli attrezzi. Sono più grandi e più belli di prima. È tutto pronto per te». Sorrise, raggiante. «C'è anche una coppia di cavalli da riproduzione. Di' che accetti e ti ac-compagnerò oggi stesso a Tattersalls ad acquistare altri animali. Se hai bisogno di denaro...»

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Leo sentì il sangue salirgli al viso. «No.» «A Welbourne Manor non è cambiato niente» in-tervenne Charlotte. «Anche i domestici sono sem-pre gli stessi: Halton, Mr. Napoli, Thomas...» «Ti aspettano» aggiunse Justine. «Che cosa ne dici, Leo?» Lui guardò in viso ciascuno di loro. «Ho venduto Welbourne Manor a voi, non né più mio. E non ho più intenzione di allevare cavalli, né di andare a vi-vere laggiù.» «Leo...» iniziò Brenner. «No. Non ho bisogno di aiuto. E neppure che mi diciate quello che devo fare.» «Noi non...» protestò Brenner. Era inutile dare una spiegazione ai fratelli. Leo non aveva bisogno del loro aiuto, non aveva biso-gno di nessuno. Lo aveva dimostrato a se stesso. Aveva lasciato l'Inghilterra dopo che aveva perso tutto e, quasi dal nulla, si era miracolosamente co-struito una solida fortuna. Senza una reputazione ri-spettabile, senza relazioni importanti. Quel che era più importante, non ambiva più a ottenere l'appro-vazione del ton. Aveva scoperto che fare affida-mento su se stesso contava più dell'opinione che gli altri avevano di lui. «Mi rifiuto di continuare a discutere di questo argomento» affermò in tono deciso. «E se vi osti-nerete a farlo, uscirò da questa stanza.» Poi si rab-bonì e soggiunse: «Parlatemi di voi. Come state? Quanti nipotini e nipotine ho? Confesso di aver perso il conto». Ascoltò distrattamente gli orgogliosi racconti dei fratelli sui loro bambini e sulle loro vite. Mentre parlavano, i loro volti sprizzavano gioia e soddisfa-zione. Erano felici e ciò lo rallegrava.

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Quella visita però aveva fatto affiorare molti a-mari ricordi. Ricordi di sogni e progetti per Wel-bourne Manor, della speranza di una felicità simile alla loro. Più tardi, in serata, Leo sedeva di nuovo a un ta-volo da gioco in una bisca clandestina di Mayfair. Celato fra rispettabili edifici di una laterale di St. James's Street, il locale risuonava di voci maschili e di risate femminili, ed era impregnato del fumo dei sigari. Inquietante. Il fumo gli procurava sem-pre un vago senso d'angoscia. Aveva in mano carte eccellenti. Magari un colpo di fortuna avrebbe placato l'agitazione che lo tor-mentava da quando aveva ricevuto la visita dei suoi fratelli e delle sue sorelle. «Avete saputo la novità su Kellford?» domandò l'uomo che gli sedeva alla destra del tavolo di whist, mentre metteva in ordine il suo mazzo di carte. Leo sollevò gli occhi dalle carte senza mostrare particolare interesse per il Barone di Kellford, che aveva conosciuto a Vienna. «Tocca a voi, signore» replicò, per esortarlo a fare il suo gioco. L'altro però era determinato a riferire il prezioso on dit di cui era venuto a conoscenza prima di get-tare sul tavolo la sua carta. Aveva un asso, oppure no? L'avversario di Leo continuava a riordinare le sue carte. «La notizia è proprio divertente» asserì, serrando le carte contro il petto e facendo scorrere gli occhi fra i compagni di tavolo. «Kellford sarà presto ricco sfondato» annunciò appoggiandosi contro la spalliera della sedia, in attesa che gli altri lo subissassero di domande.

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Il compagno di gioco di Leo abboccò all'amo e chiese: «Ha sfidato qualche sprovveduto sbarbatel-lo a una partita di piquet?». Era risaputo che Kellford era solito approfittare dell'inesperienza di qualche giovincello appena ar-rivato a Londra per spennarlo. «Oh, non ha vinto una mano a carte, ma ha vinto una mano» rispose l'altro ridendo per il suo arguto gioco di parole e decidendosi a gettare sul tavolo una delle sue carte. Leo si affrettò a impossessarsene, vincendo la partita. Apparentemente incurante di aver perso, l'altro sorrise e soggiunse: «Kellford si è fidanzato e pre-sto sposerà un'ereditiera». Poverina, pensò Leo, raccogliendo i gettoni che aveva vinto. «Chi è la fortunata?» domandò il suo compagno di gioco mentre mischiava le carte prima di distri-buirle per una nuova partita. «Qualche figlia strabi-ca di un ricco borghese?» L'uomo scosse il capo. «No. Sposerà Miss Co-vendale.» Leo si irrigidì, come paralizzato. Non era possibile. Mariel aveva sposato Ashworth. Oppure no? A-veva trascorso due anni sul continente proprio per non sentir più parlare di lei e del suo matrimonio con Ashworth. Il primo giorno dopo il rientro a Londra, in Oxford Street aveva intravisto proprio Ashworth e si era aspettato di vedere Mariel al suo fianco. Invece lei non c'era. Che cosa era successo? E perché mai avrebbe dovuto sposare Kellford? Il rumore e l'odore di fumo attorno a lui svaniro-no e Leo rivide davanti agli occhi il barone con una

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frusta in mano mentre si accingeva a colpire una spaurita cameriera di una locanda di Vienna, nella quale entrambi avevano preso alloggio. Leo aveva strappato la frusta dalle mani dell'uomo e lo aveva buttato fuori dalla locanda. «Che vi prende? Ho pagato per stare con lei!» aveva protestato Kellford. Leo chiuse gli occhi e vide il viso di Mariel al posto di quello della sconosciuta ragazza. «Mariel Covendale?» domandò il compagno di gioco di Leo, appoggiandosi contro la spalliera del-la sedia. «Molti uomini hanno cercato di mettere le mani sulla sua fortuna. Com'è riuscito quel demo-nio di Kellford a fare il colpaccio?» Già. Come? «Non ne ho idea» rispose l'altro scuotendo il ca-po. «So soltanto che le pubblicazioni sono già state lette una volta. Scommetto che prima della cerimo-nia, riuscirò a sapere come ha fatto.» Il quarto giocatore seduto al tavolo sentenziò: «E io scommetto che non ci riuscirete». Mentre i suoi tre compagni di tavolo stabilivano la posta della scommessa, Leo si alzò in piedi. «Che fate? Non abbiamo finito di giocare» pro-testò il suo compagno. «Devo andare» borbottò lui senza dare spiega-zioni, dirigendosi verso l'uscita. Era una notte fredda e umida e i ciottoli del sel-ciato, ancora bagnati per la pioggia insistente che era caduta durante il giorno, luccicavano sotto la luce dei lampioni a olio. Si incamminò a piedi lungo il marciapiede, spe-rando che l'aria tersa raffreddasse le emozioni che aveva pensato fossero ormai cancellate da tempo. Una volta Kellford si era vantato di essere un

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ammiratore e seguace del Marchese de Sade, il li-bertino francese. Un uomo talmente depravato che persino Napoleone aveva messo al bando i suoi li-bri. «Quell'uomo era un genio» aveva decretato il barone. «Un profondo intenditore e cultore del pia-cere. Perché non dovrei concedermi il piacere, se lo desidero?» Leo immaginò il barone intento a concedersi quel piacere con Mariel. Un cocchiere gli lanciò un grido di avvertimento mentre attraversava Piccadilly senza guardarsi at-torno. A un tratto si ritrovò a vagare attorno a Gro-svenor Square, dove era situata la residenza londi-nese di Covendale. Dalle finestre aperte di un ele-gante palazzo giungevano le note di Bonnie High-land Laddie, una vivace danza scozzese. Era quasi la fine della stagione delle feste e qualche membro della buona società stava dando un ballo. Anche Mariel partecipava alla festa?, si doman-dò. Stava ballando con Kellford, in quel momento? Volse le spalle alla casa e tornò verso Grosvenor Square, lo sguardo fisso su Hereford Street, dove sorgeva la casa di Covendale. Il padre di Mariel approvava quel matrimonio? Doveva aver sentito parlare delle abitudini partico-lari di Kellford. O forse non sapeva niente. Ignorare fino a che punto potesse arrivare la depravazione degli uomini era lo svantaggio di condurre una vita rispettabile. Serrò la mano a pugno. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe più avuto niente a che fare con Covendale o con sua fi-glia, ma come avrebbe potuto tacere? Se aveva sal-vato una cameriera viennese dalla crudeltà di Kel-lford, doveva salvare anche Mariel.

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Cambiò direzione e si incamminò spedito verso casa sua. Basta con il brandy, per quella sera, decise. Il mattino successivo si sarebbe recato a fare visita a Covendale e voleva avere la mente lucida.

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ANNE HERRIES Riscatto d'amore

ANN LETHBRIDGE La doppia vita di Rose

INGHILTERRA, 1193 - Lord Raphael ha giurato che non si innamorerà mai più. Ma Rosamunde, la sua bella prigionie-ra, mette a dura prova la sua determinazione.

INGHILTERRA, 1817 - Chi è veramente Rose? Cosa nascon-de il suo fascino esotico? È quanto si chiede il Barone Stan-ford, deciso a svelare il mistero... e ad avere quella donna!

Gentiluomo ma non troppo DIANE GASTON

INGHILTERRA, 1828 - Dopo alterne fortune, Leo Fitzman-ning riprende infine il proprio posto in società. Ma saprà ri-conquistare anche Mariel, l'unica donna che abbia amato?

La sposa francese MARGUERITE KAYE

SCOZIA, 1747 - Pur di non perdere Madeleine, l'affascinante francese a cui ha salvato la vita, Calumn è disposto a tutto. Anche a sedurla. Cosa non facile, visto che lei...

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MICHELLE WILLINGHAM Il silenzio del guerriero

MARGARET MCPHEE Vendetta per amore

SCOZIA, 1305 - Marguerite è figlia di un duca, Callum uno scozzese ribelle che ha perduto la voce. Il sentimento che li unisce basterà a sfidare un destino che pare già segnato?

LONDRA, 1810 - Quando Marianne scopre che dietro la ma-schera del brigante che l'ha rapita si nasconde l'attraente Sir Rafe, non lo denuncia. Anzi, decide addirittura di sposarlo!

Il ritorno di Lord Montague CAROLE MORTIMER

INGHILTERRA, 1816 - Tra Giles, l'arrogante primogenito dei Montague, e Lily, umile trovatella, scoccano scintille. Ma sotto le braci del risentimento, cova in realtà la passione...

Misteri a teatro AMANDA MCCABE

LONDRA, 1589 - Affascinante e scanzonato, Robert è un mascalzone dallo spirito indomabile. Ed è colpa sua se la vita di Anna si trova in pericolo... così come il suo cuore!

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