Grazie mila - Eboli, San Nicola Varco: cronaca di uno sgombero - Anselmo Botte

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Anselmo Botte Grazie mila - Eboli, San Nicola Varco: cronaca di uno sgombero

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Anselmo BotteGrazie mila - Eboli, San Nicola Varco:

cronaca di uno sgombero

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Titolo: Grazie mila - Eboli, San Nicola Varco: cronaca di uno sgombero.

Autore: Anselmo Botte

Editore: Ediesse

Pubblicazione: Ottobre 2010

Pagine: 114

Biografia

Anselmo Botte è nato a Barile (Pz) nel 1953. Ha aderito al gruppo politico

extraparlamentare del Manifesto ed è stato tra i protagonisti del movimento studentesco

del ‘77, partecipando all’occupazione dell’Università. Nel 1980 si è laureato discutendo

una tesi sperimentale sull’analisi delle classi sociali in agricoltura, relatore Prof. Enrico

Pugliese. Ha svolto una delle prime ricerche sul campo sulla presenza degli immigrati in

Campania. Per alcuni anni ha lavorato nei laboratori di ceramica di Vietri sul Mare,

nelle fabbriche conserviere dell’Agro Sarnese-Nocerino e in quelle metalmeccaniche

del bresciano. Alla fine degli anni ‘80 è stato tra gli organizzatori del movimento dei

disoccupati di Salerno: suo è il progetto di assistenza domiciliare agli anziani che ha

trovato uno sbocco occupazionale per centinaia di disoccupati. Nel 1988 la Cgil di

Salerno gli affida la responsabilità della direzione del C.I.D. (Centro Informazione

Disoccupati). L’anno successivo entra nella segreteria della FLAI (Federazione

Lavoratori dell’Agro Industria), nella quale resterà, con diversi incarichi, fino al 2009,

quando verrà eletto nella segreteria della Camera del Lavoro di Salerno. Mannaggia la

miserìa. Storie di braccianti stranieri e caporali nella Piana del Sele è il suo primo

libro.

Abstract

Con lo sgombero del ghetto di San Nicola Varco di Eboli, dove da anni erano costretti a

vivere, in un assoluto degrado, più di ottocento braccianti marocchini impiegati

nell’agricoltura della Piana del Sele, si scrive un’altra pagina nera della storia dei

migranti nel nostro paese. Le ragioni che mi spingono ad esporre quegli eventi derivano

dal profondo dolore che ho avvertito quel giorno. Sarà solo quello a guidare la penna nel

racconto tormentato di chi l’ha subito, attingendo alle sensazioni che ho vissuto. Quel

giorno, tra i più tristi della mia vita, ho sentito un peso che mi ha travolto interamente e

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sotto il quale gemevo impotente. Oggi, mentre percorro pensieroso le strade della Piana,

li rivedo ancora tutti, i ragazzi di San Nicola Varco. Stanno ancora qui, non si sono

mossi. Vivono in baracche, ruderi rurali, stalle, qualcuno ha trovato casa nei centri

urbani, qualcuno dorme sotto le serre e sotto gli alberi. Tutti sono più deboli, spremuti e

sfruttati nel lavoro dei campi, come e più di prima, dai caporali. Cosa possono aspettarsi

dalla vita questi girovaghi instancabili a cui nessuno presta aiuto? Porte chiuse in faccia

e malasorte. Il peso di una vita che vita non è, e ad ogni passo lo spirito maligno che

mostra la via della salvezza nella fuga da volti duri e gente ostile.

Anselmo Botte

Grazie mila

Grazie mila è la storia dello sgombero del ghetto di San Nicola Varco di Eboli,

avvenuto la sera del 10 novembre 2009. Anselmo Botte, autore dello scritto e testimone

diretto dell’accaduto, mediante l’espediente narrativo dell’immedesimazione, espone

con estrema accuratezza e dovizia di particolari il succedersi delle fasi che hanno

portato alla diaspora di centinaia di marocchini impiegati come braccianti agricoli al

servizio dei caporali nella Piana del Sele. L’utilizzo di un lessico caldo, ricco di

riferimenti alle condizioni disumane in cui versavano i protagonisti della vicenda,

incentrato su di una descrizione attenta del loro stato d’animo, sono prova del pieno

coinvolgimento emotivo da parte di chi scrive e palesano l’obiettivo perseguito durante

tutto il corso della narrazione: sensibilizzare il lettore spingendolo ad assumere un

atteggiamento solidale nei riguardi dei migranti, ai fini di una costruzione collettiva di

un presente vivibile per le classi subalterne della società contemporanea. Due prefazioni

introducono la tematica trattata nei capitoli successivi, fornendo una chiara esposizione

degli antefatti e dei precedenti storico-politici che hanno condotto ad una sempre

maggiore degenerazione delle condizioni esistenziali dei braccianti nel contesto

geografico della Piana del Sele e non solo.

La prima, di Stefania Crogi, segretario generale della Flai-Cgil, si configura come

quadro teorico in relazione al quale interpretare il fenomeno analizzato, descrivendo gli

antefatti in termini di provvedimenti disciplinari attuati dal governo e di inefficacia

degli stessi alla luce degli esiti registrati a Rosarno.

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La seconda, di Franco Tavella, segretario generale della Cgil Salerno, contiene

un’aspra critica nei riguardi della tendenza attuale dei cittadini all’indifferenza rispetto a

problematiche di tale gravità ed implicazione sociale. Segue un prologo, scritto da

Anselmo Botte stesso, che consiste nella trascrizione di un suo articolo pubblicato su “Il

Manifesto” del 12 novembre 2009, nel quale si riporta sommariamente ciò che nelle

pagine successive sarà oggetto di una più approfondita riflessione di stampo

sociologico. Si apre quindi la narrazione effettiva della vicenda oggetto d’indagine

critico-analitica, che si articola in undici sezioni differenti. L’autore rende narratore dei

fatti Dris Quastalani, bracciante marocchino quarantottenne della Piana del Sele, il

quale, sin dall’inizio, si pone l’obiettivo di esporre dal punto di vista procedurale la

vicenda dello sgombero, congiuntamente alla caratterizzazione fisionomica e

psicologica dei suoi compagni di sventura, attraverso un’analisi introspettiva della

propria condizione emotiva nelle fasi precedenti e successive rispetto all’intervento

delle forze dell’ordine.

Inizialmente, gli interventi coercitivi erano sporadici e non invadevano il “ghetto”

nella sua integralità: generalmente gli arresti riguardavano solo coloro che si erano

rifugiati nella prima palazzina in prossimità del cancello d’ingresso. Eloquente è la

similitudine della quale il narratore si serve per descrivere, in modo incisivo ed efficace,

la condizione in cui versavano i marocchini del ghetto, sempre più rassegnati al loro

ineluttabile destino: “Come in uno stormo di passeri che sul calare della sera volava

compatto come una nuvola, rassegnato alle scorribande dei rapaci che attaccavano dai

lati, beccandone sempre alcuni, imponendo allo sciame brusche e repentine deviazioni

che disegnavano nel cielo sagome ovoidali”. Successivamente, la situazione subisce un

radicale mutamento.

Iniziano a giungere testimonianze dell’avvistamento di numerosi mezzi e uomini

delle forze dell’ordine: circolava da tempo la notizia che quello sarebbe stato l’anno

dello sgombero definitivo del “ghetto”. Era la sera del 10 novembre 2009. “Cupo

destino”, “scompiglio totale”, “singolare inquietudine”: sono alcune delle espressioni

utilizzate in questa fase della narrazione per trasmettere al lettore l’incupirsi ulteriore

dello stato d’animo dei braccianti. Il registro linguistico si tinge di tonalità scure, tristi,

cupe. Inizia il racconto effettivo della vicenda con una prima descrizione

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dell’indecisione degli abitanti del ghetto circa l’alternativa di abbandonare lo stesso

prima dello sgombero effettivo, rispetto a quella di restare.

La terza sezione è dedicata ad un monologo interiore del protagonista che, in un

momento di isolamento dal trambusto circostante, ripercorre il succedersi delle fasi più

importanti del suo percorso di vita. Inquietudine e paura, tormento e indecisione, ansia e

nervosismo: in un climax ascendete di stampo emozionale, Dris avverte sempre più

intensamente quel sentore di pericolo che si sarebbe poi concretizzato in un crudele atto

di invasione. Un lungo flashback che coinvolge il lettore emotivamente, inducendolo ad

una riflessione sulle difficoltà concrete degli immigrati in termini di precarie condizioni

di vivibilità del presente ed assenza di migliori possibilità per il futuro.

Segue una descrizione particolareggiata del passato del protagonista-narratore che,

a partire dalla nascita, fino agli anni della formazione, per arrivare a quelli della scelta

migratoria, dipinge un quadro situazionale di degrado sociale ed abbandono della

comunità di provenienza. L’insostenibilità delle condizioni economiche e sociali in cui

si ritrova a dover vivere, induce Dris a seguire le orme di molti suoi connazionali,

decidendo per la soluzione della migrazione. La narrazione delle fasi preliminari di

attuazione delle procedure burocratiche di regolamentazione inizia con l’esposizione dei

fatti relativi all’affidamento, da parte del protagonista, della sua ormai intollerabile

situazione a Lakbir, marocchino “ben vestito” incontrato in un bar, che si rivelerà poi

uno sconsiderato truffatore. Dris, dopo aver consegnato cinquemila euro, cifra

necessaria per il rilascio del visto d’ingresso e per essere successivamente assunti presso

un’azienda agricola nel salernitano, a quello che credeva essere un provvidenziale

datore di lavoro, assieme ad altri suoi compagni di sventura, nella primavera del 2007,

giunge in Italia, più precisamente a Salerno.

Dopo aver più volte tentato di contattare telefonicamente la sua pseudo-agenzia di

collocamento senza alcun risultato, avendo compreso di essere stato letteralmente

truffato, decide di affidarsi ad un gruppo di suoi connazionali incontrati in stazione, che

come lui avevano seguito lo stesso percorso verso un futuro migliore in realtà

inesistente. Dopo un lungo tragitto, Dris arriva nel campo dove si sarebbe potuto

momentaneamente rifugiare. “La prima impressione fu quella di un posto abbandonato,

lontano da tutti i luoghi civili, smarrito nell’immensità della campagna”, da queste

parole prende avvio una descrizione dettagliata e minuziosa del “ghetto” di San Nicola

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Varco: il registro linguistico subisce un radicale mutamento, adattandosi alle

caratteristiche negative proprie del luogo in cui si sviluppa la vicenda. Il protagonista,

introdotto in un “enorme capannone”, ne descrive la struttura fatiscente, focalizzandosi

su dettagli piuttosto macabri che, tuttavia, concorrono ad un’elaborazione visiva da

parte del lettore dell’immagine così magistralmente presentata.

Terminata la narrazione delle fasi precedenti rispetto al suo arrivo nel campo, Dris,

continua con l’esposizione delle modalità di attuazione del piano di sgombero del

ghetto. In particolare, egli mette in evidenza la divergenza di punti di vista esistente tra i

suoi compagni in relazione all’alternativa più opportuna per cui optare, al fine di avere

maggiori possibilità di fuggire da quella che si sarebbe poi rivelata una strategia

estremamente crudele ed inefficace. “Quel giorno regnava il silenzio, cupo e denso di

terribili presagi”: l’11 novembre 2009, data di attuazione concreta dello sgombero. La

scansione delle fasi dell’episodio narrato è minuziosa e precisa, seguendo una logica

temporale estremamente dettagliata in termini di descrizione delle procedure ora per

ora, con riferimento continuo allo stato d’animo delle vittime ed alle caratteristiche del

contesto circostante.

Nello specifico, Dris impressionato dalla quantità di mezzi giunti presso il campo,

dopo averne specificato il posizionamento strategico all’interno dello stesso, procede

con l’elencare le tipologie dei corpi armati, al fine di palesare il loro obiettivo strategico,

evidenziare la sproporzione numerica esistente tra di essi e gli abitanti del campo,

descrivere, per volontà di completezza ed esaustività, il loro ricco equipaggiamento

costituito da armi e scudi protettivi. I militari, dopo aver concesso ai braccianti muniti di

documenti di abbandonare il campo liberamente senza alcun tipo di provvedimento

disciplinare, iniziano ad effettuare controlli al fine di individuare i marocchini sprovvisti

di regolari permessi. Questi, prima di essere condotti al di fuori del ghetto, chiedono alle

forze dell’ordine di poter rientrare negli accampamenti in modo da poter prelevare dagli

stessi quei pochi effetti personali e qualche logoro indumento: dopo un primo

temporeggiamento da parte delle autorità nel concedere tale richiesta, a Dris ed ai suoi

compagni viene data la possibilità di raccogliere i propri miseri oggetti.

In questo preciso punto della narrazione della vicenda, si comprende il motivo per

il quale Anselmo Botte intitola il suo scritto “Grazie mila”. Dris descrive con stupore ed

ammirazione il comportamento dei suoi compagni nell’esprimere sincera riconoscenza

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nei confronti delle forze dell’ordine per aver loro concesso di portare con sé i loro luridi

stracci: «Misero nei ringraziamenti tutta la gratitudine del loro cuore. “Grazie mila”,

dicevano, piegando leggermente in avanti la testa e il busto, e portandosi con leggerezza

la mano destra sul cuore. “Grazie mila”, mentre frugavano dentro le tane alla ricerca di

quello che poteva essere utile. “Grazie mila”, mentre i militari controllavano che non si

portassero via cose che non appartenevano a loro». L’operazione di sgombero si

conclude nel pomeriggio, obbligando coloro che prima abitavano il campo a cercare un

luogo dove trascorrere il resto della loro misera vita.

Le successive sezioni si focalizzano sulla diversità delle tipologie di strategie

attuate dai migranti al fine di trovare una soluzione al problema della mancanza di un

luogo dove trascorrere la notte. Dris ed alcuni suoi compagni decidono di allestire un

accampamento momentaneo in un pescheto adiacente al campo oramai deserto; altri si

dirigono verso un centro di accoglienza del comune di Eboli.

In queste pagine, la voce narrante si incupisce, assume toni tristemente pacati e

dimessi, si connota per l’utilizzo di un registro linguistico ricco di termini ed espressioni

che palesano una condizione interiore del protagonista di disagio, sconforto, afflizione.

Dris riflette sull’ingiustizia di cui è stato vittima in quegli ultimi anni della sua vita,

sentendosi “assediato da ogni sorta di difficoltà”. Afflitto dalla fame, si reca presso un

supermercato per comperare qualche vivanda. In questo contesto, prende avvio un’altra

tragica ed amara constatazione da parte di chi narra, in merito alla mancanza di

sensibilità ed all’opportunismo dei “caporali”: questi, infatti, approfittando della misera

condizione in cui versavano i braccianti, si recano nel luogo in cui si erano essi si erano

riuniti dopo lo sgombero per “offrire” loro possibilità di lavoro nei campi. Lo stesso

Dris, dopo aver trascorso una gelida notte in balia dei pensieri più cupi, il giorno

successivo si reca in un campo della Piana, per effettuare, assieme ad altri compagni di

lavoro, la concimazione dello stesso mediante l’utilizzo di apparecchiature rudimentali,

senza alcun tipo di protezione, per guadagnare una cifra irrisoria rispetto alle prestazioni

richieste dal tipo di lavoro proposto. Per Dris si sarebbe riattivato lo stesso processo

innescatosi prima dello sgombero: lavoro e sfruttamento.

A tal proposito, è significativo notare che, l’epilogo posto a conclusione del testo

in analisi è dedicato all’esposizione della situazione dei migranti tre mesi dopo lo

sgombero. In questo articolo, scritto dallo stesso Anselmo Botte e pubblicato su il

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“Corriere del Mezzogiorno” del 13 febbraio 2010, si mette in evidenza l’inefficacia dei

provvedimenti disciplinari presi dalle autorità locali, in relazione al riformarsi di zone

“ghetto” dopo lo sgombero di un campo presentemente costituitosi.

Nelle parole dell’autore, è necessario che “ognuno si assuma le sue responsabilità:

le imprese, che la legge obbliga ad offrire un alloggio a tutti i migranti assunti; le

amministrazioni comunali, che non hanno mai avviato alcuna politica di accoglienza per

affrontare il disagio alloggiativo”. Segue una galleria di immagini che costruiscono un

percorso visivo in termini di fasi della procedura di sgombero del campo di San Nicola

Varco di Eboli.

Al testo è stato accluso un contributo multimediale di tipo filmico che ripercorre

dinamicamente le fasi dello sgombero, mediante il montaggio di un video che ne

evidenzia le caratteristiche descritte nell’opera.

AUGUSTO COCORULLO - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” -

DIPARTIMENTO DI SCIENZE SOCIALI - DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE

SOCIALI E STATISTICHE - XXIX CICLO

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