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OBIETTIVO GENERALE

Raccogliere ed interpretare le storie di vita dei medici a partire da:

Motivazione per la scelta della facoltà

Aspettative di allora ed attuali

Difficoltà,speranze.

La relazione medico-paziente: cambiamenti

Per

Stimolare la riflessione

Individuare le criticità

Aumentare la consapevolezza del proprio ruolo nella relazione con il paziente.

Individuare le possibili prospettive per il futuro

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METODOLOGIA DI LAVORO

Fonti : medici appena laureati , medici che frequentano il Corso di Formazione in Medicina generale e medici che lo hanno terminato, medici che pur provando a superare gli esami dei Corsi a numero chiuso non sono riusciti ad entrare in alcun corso.

Tempi del progetto : Da Giugno-Settembre

Incontro preliminare di informazione

Consegna racconto semistrutturato .

Invio elaborato scritto agli autori del progetto per email

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RACCONTO SEMISTRUTTURATO

Titolo ( a piacere)

La scelta della laurea

Ho scelto di fare il medico…

Un episodio che ritengo essere stato decisivo / significativo nella scelta del mio percorso professionale ….

Mi aspettavo di….

Il mio primo contatto con il paziente …..

Ho imparato …..

Dopo la laurea

Quando mi sono laureata/o è arrivato il momento della scelta…

Un episodio che ritengo essere stato decisivo / significativo nella scelta del mio percorso professionale ….

Attualmente mi sto preparando a ….

I miei rapporti con il tutor ( se c’è o altra figura)…

Sto imparando ….

Nella mia professione mi aspetto di trovare…e di occuparmi di…

Le persone in cura da me si aspetteranno….

Mi ricordo in particolare di un episodio con un paziente…

Ho provato…

I miei punti di riferimento oggi nel mio percorso professionale….

Con i miei colleghi ….

Immagino il mio futuro percorso….

Questa mia scelta oggi…

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METODOLOGIA ANALISI DEI RACCONTI

Individuare macroaree (nodi) nelle quali

raccogliere frammenti di narrazione significativi

Individuazione di brani di Disease/ illness;

Quest/Chaos; Stable/Progressive

La figura di medico che emerge e la relazione di

cura Citazioni e Metafore

Analisi quantitativa delle parole ricorrenti

Criticità e proposte

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ELABORAZIONE DEI TESTI

la scelta del titolo

la scelta della facoltà e le motivazioni

episodi o persone che hanno influenzato la scelta

il percorso universitario

il primo contatto con il paziente

aspettative prima della laurea

la scelta della specializzazione

aspettative dopo la laurea

episodi importanti con i pazienti ( disease,illness)

i rapporti con i colleghi e tutor

riflessioni, aspettative per il futuro.

I racconti, inviati via email, sono stati dodici, nove femmine e tre maschi.

Sono state individuate macroaree(nodi) nelle quali sono stati raggruppati frammenti di storia, estrapolati dai vari testi inviati

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IL TITOLO DEL RACCONTO FORNISCE GIÀ DELLE INFORMAZIONI SULLA MOTIVAZIONE ED È UN MODO PER RIFLETTERE SUL PROPRIO PERCORSO:

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DI QUESTI TRE RACCONTI, SENZA TITOLO, IL TITOLO NASCE DA QUESTE PAROLE CHE COLPISCONO

La scelta giusta : “Sono sempre più convinta di aver fatto la scelta giusta”

Amare questa professione, nonostante la fatica: “…amare questa professione che permetteva di avere un rapporto con la gente straordinario…. responsabilità, è stata un fardello pesantissimo due anni di stanchezza perenne”

Una scelta fatta con il cuore:“non volevo lavorare in ospedale, non volevo diventare un manovale di quella depersonalizzante fabbrica-della-non-malattia. Così mi rimboccai le maniche e decisi di scegliere la strada che più mi piaceva, la fatica non avrebbe avuto la meglio sulla motivazione. Ed infatti così è stato.”

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MOTIVAZIONI PER LA SCELTA DELLA FACOLTÀ

sentirsi utile

prendersi cura delle persone

aiutare gli altri , ascoltarli

“curiosità di conoscere, di capire quello che sconfina da me, quello

che è diverso da me,

“creare un collegamento con un’altra persona per cambiarle in

qualche modo la vita”

far qualcosa per migliorare il “mondo”.

per il fascino di conoscere il funzionamento del corpo

umano.

“ imparare un mestiere ,… solido e concreto.”

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L’INFLUENZA DELLA FAMIGLIA E LE FIGURE DI RIFERIMENTO

“mia mamma aveva sempre sognato che facessi il lavoro di suo marito”

-“mio zio, medico di famiglia da tanti anni ora in pensione, mi ha fatto amare questa professione che permetteva di avere un rapporto con la gente straordinario.” “mia mamma aveva sempre sognato che facessi il lavoro di suo marito”

“Il mio Nunquam Retrorsum sono i miei due figli … Loro sono la rappresentazione vivente che con la tenacia, la passione e la razionalità si può andare lontano.”

“una sera sentii mio babbo, anche lui medico, che dopo una lunga giornata di lavoro parlava al telefono con un collega di un caso difficile.. ascoltavo meravigliata il gergo medico

“Ogni lezione di scienze e biologia, grazie anche alla grande competenza e al trasporto che la nostra prof. metteva nelle sue lezioni, mi faceva immergere in quel mondo che avevo sempre desiderato conoscere”

“ il medico che assisteva la mia famiglia. Era un uomo alto e dalla corporatura imponente, o almeno i miei occhi di bimbo lo ricordano così; sempre cordiale ed accogliente, attento ai problemi dei suoi assistiti e disponibile.” –

“i miei migliori amici del liceo volevano fare Medicina”

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RIFLESSIONI SUL PERCORSO UNIVERSITARIO : GIOIE E DOLORI

Il percorso universitario non è stato facile:

-“tanti anni a lottare per superare le difficoltà, per cercare di capire quello che studi, per imparare quello che il prof si vuole sentir dire e per cercare di applicare un minimo quello che pensi di aver imparato. ..

“perdevo tempo,non avevo voglia di applicarmi “

Ma anche soddisfazioni e conquiste:

-“Gli anni dell'Università sono stati i più belli e pieni della mia vita. Esperienze indimenticabili, tessendo tele di rapporti divenuti indistruttibili. I miei compagni di corso sono stati il traino principale, la forza motrice per arrivare in fondo, nonostante i periodi di stanchezza e i (frequenti) ripensamenti.”

Con qualche nota di Humor:“Credo fermamente che lo studente di Medicina sia mediamente più malato dei suoi coetanei. Non so se ci si è in partenza o se ci si diventa, forse entrambe le cose. Certo è che ognuno di noi ben si presterebbe ad un Case Report di psico-patologia. Io sicuramente potrei far vincere un Nobel.”

E qualche proposta pratica :

“Per questo motivo, oltre che per la fondamentale necessità di acquisire un buon bagaglio di conoscenze pratiche e di sperimentare la relazione quotidiana con il paziente ritengo che i tirocini non siano valorizzati come meritano dal nostro corso di laurea e che dovrebbero essere organizzati in maniera strutturata e rigorosa.”

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IL PERCORSO UNIVERSITARIO, NONOSTANTE LE DIFFICOLTÀ E LE CRITICITÀ , HA AIUTATO A FAR RIFLETTERE SU ALCUNI ASPETTI DELLA PROFESSIONE CHE INFLUENZERANNO ANCHE IL PERCORSO POST LAUREA

“Alla fine del percorso mi sono ritrovata un po’ meno “secchiona” e un po’ più umana e imperfetta… Il rapporto con il paziente si era fatto molto più equilibrato: niente più imbarazzo, partecipazione e comprensione, ma anche gli indispensabili “paletti”.

“Innanzitutto ho imparato tante cose sul nostro corpo, il suo funzionamento nel benessere e nella malattia. Poi ho scoperto che la medicina non è una scienza esatta, ma un'interpretazione probabilistica di dati empirici. Per arrivare infine a intuire che la nostra medicina tradizionale ne sa pochissimo di ciò che riguarda la salute perché non siamo fatti di solo corpo, e la salute comprende il benessere e l'armonia di tutte le parti di cui siamo composti. La salute è un concetto attivo, non semplicemente la cura dalle malattie.”

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SI IMPARA ANCHE SULLA PROPRIA PELLE

“Ho imparato dalle persone sia nella vita privata sia nell’esercizio del mio mestiere, ma non sono stata pronta ad affrontare le esigenze e il dolore altrui fino a che non sono stata io stessa una paziente, attraversando un percorso difficile, che ha richiesto molte risorse e mi ha fatto capire che ascoltare ha un peso enorme nel nostro mestiere.”

“Ho conosciuto presto il dolore acre che la malattia può portare in una famiglia e dentro le mura di un casa. Era proprio la mia. Ed ho capito presto che la vita non è e non può essere segnata solo dalla felicità e dalla spensieratezza. …Ero in seconda media quando mia nonna incominciò a manifestare i primi segni della malattia.

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I PRIMI CONTATTI CON IL PAZIENTE SONO COMPLESSI

“Il primo contatto con il paziente è stato sicuramente caratterizzato da grande imbarazzo: quel povero signore allettato, circondato da venti camici bianchi, apostrofato con severità dal professore e “costretto” a farsi posare sulla pancia decine di mani estranee, più o meno esperte, più o meno delicate.”

“I primi contatti con il paziente mi hanno subito fatto capire la grande differenza tra la medicina ideale dei vari trattati specialistici con i suoi ferrei passaggi logici e la medicina reale che esercitiamo ogni giorno: la complessità e l’unicità di ogni paziente, le difficoltà nell’intraprendere una terapia il più possibile ritagliata sulle sue esigenze, la condivisione di scelte importanti, la capacità di affrontare imprevisti e di gestirli in maniera rassicurante, la capacità di farsi carico del peso di una cattiva notizia o di una diagnosi infausta, la ricerca del giusto grado di empatia e del necessario distacco emotivo per mantenersi lucidi.

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SPECIALMENTE SE SI TRATTA DI UN FAMILIARE O NEL CASO DI UN PAZIENTE TERMINALE

“Il primo malato cui mi sono realmente avvicinata (oltre a me stessa) è stata mia nonna..A mia nonna con la mano tremolante ho praticato la mia prima iniezione e ho messo la mia prima flebo ( "oh bimba, se 'un mi fido di te di chi mi dovrei fidare")....

“Grazie a mia nonna ho iniziato a prendere confidenza con i farmaci. Di mia nonna ho ascoltato le lamentele, ho imparato a leggerle sul volto il dolore. Il suo rantolo di fine vita è stato il primo che ho sentito, da allora non mi ha più fatto paura. A lei ho tenuto stretta la mano prima di lasciarla andare.”

“Non mi scorderò mai un episodio successo poco tempo fa. Ero andata a casa di un paziente terminale per il peggioramento in serata della dispnea e per la comparsa di febbre… Mi ha ringraziato guardandomi fissa negli occhi, mi ha stretto la mano e sorridendomi mi ha detto: “Arrivederci dottoressa! Grazie! Ci vediamo domattina! L’aspetto!”. Sono andata via con una stretta allo stomaco e con la consapevolezza che probabilmente non lo avrei più rivisto.”

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ILLNESS E DISEASE (KLEINMAN)

L’Illness di “Nunquam retrorsum

“Ho imparato che affrontare e gestire i miei limiti, le mie debolezze, è una delle azioni più importanti per me stessa e fondamentale nel mestiere di Medico… Il mio Nunquam Retrorsum sono i miei due figli ….. Loro sono la rappresentazione vivente che con la tenacia, la passione e la razionalità si può andare lontano. Ho imparato anche da loro, ovviamente…. le mie esperienze di vita mi facevano capire che forse ero in grado di affrontare le richieste di aiuto, il dolore degli altri”.”

Il Disease di “ La scelta giusta”

“Ho scelto di fare il medico perché volevo imparare un mestiere, che fosse solido e concreto”,

Le motivazioni “ascoltavo meravigliata il gergo medico che un giorno sarebbe diventato parte integrante del mio vocabolario quotidiano e mi sentivo orgogliosa di far parte della classe medica… Mi aspettavo di studiare e lavorare tanto perché l’esempio che ho avuto in famiglia è stato questo”, aspetti che ritiene più importanti da acquisire: “Da questa esperienza ho imparato quanto sia fondamentale possedere un prontuario pediatrico (che da quel giorno porto sempre con me)… penso che dovrò anche occuparmi di diagnosticare precocemente, se possibile prevenire alcune malattie, molto spesso gestire patologie croniche in particolare nell’anziano con tutte le sue disabilità e problematiche di assistenza… il pz talvolta si aspetta da lui che risolva anche problemi che esulano di molto la sfera strettamente sanitaria”,

fino all’aspettativa principale: “spero e mi aspetto che questo percorso che ho scelto mi porti a una stabilità e tranquillità maggiore (anche economica) per potermi fare una famiglia”.

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ALTRI SGUARDI TRA OSPEDALE E TERRITORIO

“entrata nel corso di Medicina Generale, direi che mi si è aperto davanti agli occhi un altro mondo rispetto all’ambiente universitario: i colleghi mi hanno fin da subito considerata una di loro, sono stata accolta molto cordialmente sia dal tutor che nei reparti frequentati e ho cominciato ad imparare tantissimo in un clima molto più rilassato e produttivo”;

“il tirocinio post-laurea dal Medico di medicina generale fu la mia svolta. Mi piacque da subito. L’idea di poter avere un contatto col paziente sia dal punto di vista medico che personale-familiare mi entusiasmò”;

“Mentre in parallelo facevo esperienza in Medicina Nucleare e rafforzavo le mie conoscenze sul campo medico, dall’altra le mie esperienze di vita mi facevano capire che forse ero in grado di affrontare le richieste di aiuto, il dolore degli altri”;

“Quando mi sono laureata ho scelto di fare la tesi a medicina legale, mi piacevano i libri di Key Scarpetta e l’indagine medico legale, poi frequentando l’istituto mi sono resa conto che sarei andata a fare “l’avvocato” in mezzo a tante scartoffie e la cosa non mi allettava”;

“Frequentando il distretto ho capito e toccato con mano cosa significhi lavorare sul territorio con pochi mezzi ed entrare letteralmente in casa delle persone con le loro preoccupazioni, i loro dolori ed i loro problemi”;

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PAZIENTI SENZA VOLTO

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QUEST ( FRANK)

“Ho imparato che non esistono soluzioni facili e immediate ai problemi, spesso si devono intraprendere percorsi lunghi e incerti, avendo la mente libera da schemi rigidi e aperta a ogni tipo di soluzione, a volte anche solo per dire a se stessi “ci ho provato”…

“Ho imparato che a volte cercare di lenire il dolore, psichico o fisico che sia, è un punto di partenza fondamentale nella cura di una persona…”

Ho imparato che la preparazione professionale senza la capacità empatica è come un carro dorato senza cavalli… ho imparato che a volte il modo di non arrendersi è anche cambiare via, farsi altre domande, creare terreno fertile per altre soluzioni. Non uno stare ferma immobile a prendere a testate un muro”;

“Giorno dopo giorno, sto imparando quello che l’università non è riuscita a trasmettermi. Innanzitutto impari la differenza tra i vari piani: all’inizio per una banale febbre e tosse vai a pensare alle malattie più disparate, anche se poi alla fine è solo una banale influenza oppure ti spaventi allo stesso modo per una dolenzia addominale o per un aneurisma dell’aorta in rottura. Sto imparando che talvolta bastano terapie semplici per risolvere problemi che sembrano talvolta complessi e che si risolvono tranquillamente da soli.”

“Ho imparato che in questo lavoro ci sono anche i lati negativi e che non siamo “eroi”. Devi scontrarti tutti i giorni con persone ottuse, che non sanno apprezzare o non capiscono il tuo lavoro, e con la sofferenza fisica e psichica. “

“Alla fine di questi due anni, posso dire di non aver nessun rimpianto di non esser entrata subito in specializzazione, anzi mi è servito a crescere e a capire che sarei voluta diventare un medico a tutto tondo prima di mettermi i “paraocchi” da specialista”

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CHAOS

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STABLE (LAUNER)

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PROGRESSIVE (LAUNER)

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CITAZIONI E METAFORE

“Il secondo tentativo andò a buon fine e felice intrapresi questa odissea. Sì, direi che si addice come termine: tanti anni a lottare per superare le difficoltà, per cercare di capire quello che studi, per imparare quello che il prof si vuole sentir dire e per cercare di applicare un minimo quello che pensi di aver imparato”

“Ho imparato che la preparazione professionale senza la capacità empatica è come un carro dorato senza cavalli.”

“Ho imparato che i libri di studio sono un’astrazione, per quanto accurata, di quello che può essere una persona. Che ogni persona è un libro da leggere, più o meno interessante, a volte appassionante.”

“Con meno pregiudizi possibili, perché, come ha detto Einstein: “La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.”

“mi sento come un contenitore che seppur pieno è sempre capace di aggiungere materiale ed elaborare continuamente il contenuto”

“nella mia professione mi aspetto di trovare un forte rapporto umano e di occuparmi dei pazienti a tutto tondo, di fare, come dire, il direttore d'orchestra affinché l'armonia della persona sia conservata”.

“talvolta mi immaginavo come un’eroina in un pronto soccorso a salvare vite umane o in africa in un ospedale da campo”

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GLI STUDI UNIVERSITARI PRIVILEGIANO GLI ASPETTI CLINICI RISPETTO A QUELLI RELAZIONALI ED I GIOVANI MEDICI, DA POCO USCITI DALL’UNIVERSITÀ, RIVELANO PROPRIO QUESTO ASPETTO: SONO MOLTO INFORMATI SULLE PATOLOGIE E SU COME TRATTARLE MA POCO SANNO DI RELAZIONI E COMUNICAZIONE

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medico

paziente

persona/e

lavoro

famiglia

scelta

professione

colleghi

cura

rapporto

contatto

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SEMBRA CHE IL GIOVANE MEDICO ABBIA BISOGNO DELLA AFFERMAZIONE DEL SÉ E PREDILIGA IL “FARE” NELLA PROFESSIONE RISPETTO ALL’ “AVERE” . CONSIDERARE IL MESTIERE DI MEDICO COME LAVORO È IMPORTANTE MA L’ “AVERE” RISPETTO ALL’ “ESSERE” VIENE MESSO IN SECONDO PIANO.

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“Sono molto felice di quello che sono adesso, spero che la mia generazione di Medici di MG che andranno a sostituire i “vecchi”, vogliano perseguire l’obiettivo di aiutare le persone, rendere loro la vita migliore, entrare nelle loro realtà, capirle e ascoltarle.”

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Project Work Medicina Narrativa Grazia Chiarini, Manuela Walker

Narrazioni di giovani medici agli inizi della professione con particolare riferimento

alla Medicina Generale . Aspettative, sogni e realtà.

Premessa

Una volta terminato il corso di Laurea in Medicina, i neolaureati si trovano a dover scegliere quale

via intraprendere. Alcuni cercano di superare la difficile prova di ingresso per entrare in una scuola

di Specializzazione e ci riescono , altri entrano nel Corso di Formazione in Medicina Generale che

prepara alla professione di Medico di famiglia. Anche questo corso è a numero chiuso e non tutti

riescono a superare la prova di ingresso. Alcuni medici scelgono questa strada perché non sono

riusciti ad entrare nella specializzazione che avrebbero voluto, altri la scelgono volontariamente .

Altri ancora non riescono ad entrare in alcun corso ed iniziano a fare sostituzioni e guardie

mediche. Accanto alle difficoltà legate alla professione che stanno imparando come il complesso

rapporto con i pazienti e con i tutor , sul territorio o in Ospedale, si sommano le inquietudini

legate alle incertezze del futuro e delle scelte che hanno fatto. Permettere loro di esprimere

queste difficoltà può aiutarli ad acquisire maggiore consapevolezza sulle motivazioni del perché

hanno scelto la facoltà di medicina, quali erano le aspettative allora e come sono ora alla luce della

loro attuale esperienza e se ci sono desideri di cambiamento.

Obiettivo generale :

Raccogliere ed interpretare le storie di vita dei medici a partire dalla motivazione per la scelta della

facoltà , aspettative di allora, alla fine della facoltà e aspettative attuali . Difficoltà. Speranze. La

relazione medico paziente : è cambiato nel tempo il concetto di relazione con il paziente? Ci sono

storie esemplificative da raccontare?

Obiettivi specifici

Stimolare la riflessione

Analizzare i vissuti dei medici, le aspettative, i sogni confrontando il passato con il presente.

Individuare le criticità e le possibili prospettive e proposte per il futuro

Aumentare la consapevolezza del proprio ruolo nella relazione con il paziente.

Fonti delle storie

medici appena laureati , medici che frequentano il Corso di Formazione in Medicina generale e

medici che lo hanno terminato, medici che pur provando a superare gli esami dei Corsi a numero

chiuso non sono riusciti ad entrare in alcun corso.

Tempi del progetto : Giugno- Luglio-Agosto- primi di Settembre

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Metodologia di raccolta di dati : raccolta di racconti semistrutturati .

Dopo incontro preliminare in cui si indica la traccia della storia i partecipanti invieranno l’elaborato

scritto via email agli autori del progetto.

Metodologia analisi dei racconti :

-Individuare macroaree ( nodi) nelle quali raccogliere frammenti narrativi significativi

-individuazione di Disease/ illness; Quest/Chaos; Stable/Progressive

- la figura di medico che emerge e la relazione di cura

- metafore

- analisi quantitativa delle parole ricorrenti

- Criticità e proposte

Racconto semistrutturato proposto

Titolo ( a piacere)

La scelta della laurea

Ho scelto di fare il medico…

Un episodio che ritengo essere stato decisivo / significativo nella scelta del mio percorso

professionale ….

Mi aspettavo di….

Il mio primo contatto con il paziente …..

Ho imparato …..

Dopo la laurea

Quando mi sono laureata/o è arrivato il momento della scelta…

Un episodio che ritengo essere stato decisivo / significativo nella scelta del mio percorso

professionale ….

Attualmente mi sto preparando a ….

I miei rapporti con il tutor ( se c’è o altra figura)…

Sto imparando ….

Nella mia professione mi aspetto di trovare…e di occuparmi di…

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Le persone in cura da me si aspetteranno….

Mi ricordo in particolare di un episodio con un paziente…

Ho provato…

I miei punti di riferimento oggi nel mio percorso professionale….

Con i miei colleghi ….

Immagino il mio futuro percorso….

Questa mia scelta oggi…

Elaborazione dei testi

I racconti, inviati via email, sono stati dodici, nove femmine e tre maschi. Con riferimento alle indicazioni del racconto semistrutturato, si è cercato di individuare, in primis, delle macroaree (nodi) nelle quali raggruppare frammenti di storia, estrapolati dai vari testi inviati, con lo scopo di confrontarli , valutando aspetti comuni e differenze: la scelta del titolo, la scelta della facoltà e le motivazioni, episodi o persone che hanno influenzato la scelta, il percorso universitario, il primo contatto con il paziente, aspettative prima della laurea, la scelta della specializzazione, aspettative dopo la laurea, episodi importanti con i pazienti ( disease, illness ) i rapporti con i colleghi e tutor, riflessioni, aspettative per il futuro.

La scelta del titolo

Fornisce già delle informazioni sulla motivazione ed è, per chi scrive, un modo per riflettere sul proprio percorso . La scelta della facoltà viene considerata, in uno stile epico, come un’odissea , senza arrendersi mai:

La mia odissea : “tanti anni a lottare per superare le difficoltà, per cercare di capire quello che

studi, per imparare quello che il prof si vuole sentir dire e per cercare di applicare un minimo quello

che pensi di aver imparato.”

NUMQUAM RETRORSUM “La mia massima preferita è Numquam Retrorsum, mai indietreggiare,

sia perché motto tradizionale di una delle squadre di Tramontana del Gioco del Ponte di Pisa, sia

perché per mio modo di essere non mi arrendo mai.”

Per alcuni è una via tracciata, una scelta scontata:

Sempre sulla mia strada “Per questo motivo e per mille altri, a dispetto di tutte le complicazioni

che si pareranno sul mio cammino, so che ho fatto la scelta giusta. E forse l’ho sempre saputo. Non

so precisamente dove mi porterà questo mio cammino, tra l’altro comincio a pensare che sia una

delle cose più stimolanti che lo caratterizza, ma so che andrò avanti. Sempre sulla mia strada.” Una scelta scontata “ Non ricordo un particolare episodio decisivo nel mio percorso di scelta degli studi, è stato più un insieme di esperienze e sensazioni, quasi come se avessi davanti una via già tracciata… ho mangiato pane e medicina fin da ragazzetta”

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Ed anche per dare gioia e riceverne :

LA GIOIA NEL CUORE : “Durante i miei studi, spesso mi hanno chiesto il motivo della mia scelta: “Perché

hai scelto di fare il medico?”. Ed io in testa avevo sempre una sola risposta: “ Vorrei curare le persone per regalar loro un sorriso”. Sembra una risposta banale e da eterna sognatrice, ma avete mai provato la gioia che nasce dentro di voi dopo aver aiutato una persona ed aver ricevuto un singolo grazie?...allora

immaginatevi quella dopo aver strappato un sorriso. …..Ho fatto la volontaria sull’ambulanza che mi ha aperto gli occhi su tante realtà e tolto tante paure, oltre a farmi capire che quella che stavo percorrendo era la strada giusta.” Di questi tre racconti, senza titolo, colpiscono :

- “Sono sempre più convinta di aver fatto la scelta giusta”

- “…amare questa professione che permetteva di avere un rapporto con la gente straordinario….

responsabilità, è stata un fardello pesantissimo due anni di stanchezza perenne”

-“non volevo lavorare in ospedale, non volevo diventare un manovale di quella depersonalizzante

fabbrica-della-non-malattia. Così mi rimboccai le maniche e decisi di scegliere la strada che più mi

piaceva, la fatica non avrebbe avuto la meglio sulla motivazione. Ed infatti così è stato.”

Ed il titolo nasce da quelle parole : La scelta giusta, Amare questa professione nonostante la

fatica, Una scelta fatta con il cuore.

Per altri due giovani medici la scelta è stata un caso :

MEDICO...PER CASO “Mentre attraversavo l'aula pensai che Medicina non faceva per me, che non ce l'avrei mai fatta a passare il test e quindi dovevo rassegnarmi….Arrivai 154 esimo. Ero tra i 220 aspiranti medici”

E'STATO UN ATTIMO. “ potevo aiutare le persone esattamente come avevo sempre cercato di fare e poteva diventare un lavoro,potevo essere utile,realizzata ed in più il fascino della scienza non sarebbe certamente andato perduto. “

Per un giovane medico fare il medico è una missione:

La decisione di fare il medico “non nasce così, all’improvviso. Credo che l’idea di fare il medico

passi da una serie di processi, esperienze di vita e considerazioni personali che portano ad

intraprendere questo percorso. Si dice che fare il medico sia una missione… Aiutare la gente è una

missione. Tutto questo non è per niente un luogo comune.”

Ci sono anche dei ripensamenti :

Ripensamenti, fiocchi rosa.” Iniziai a pensare che io non avrei potuto certo condurre quel tipo di vita: il prezzo da pagare era troppo alto. Nel corso del 2° anno di specializzazione sono rimasta incinta. Ho lavorato fino al termine dell’ottavo mese di gravidanza. Il 25 gennaio 2010 è nata …, la mia prima bimba. L’esperienza della maternità mi ha sconvolto la vita, in positivo. Ho definitivamente capito che quella che avevo intrapreso non era la mia strada. Ho trascorso brutti momenti in quei mesi di transizione: non è facile ammettere di aver sbagliato. Non è facile

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rimettersi in discussione, ricominciare tutto da capo.”

Motivazioni per la scelta della facoltà

La scelta della facoltà e della professione di medico ha motivazioni diverse. Prevalgono il sentirsi

utile , il prendersi cura delle persone, l’aiutare gli altri , ascoltarli, avere responsabilità ma anche

per il fascino di conoscere il funzionamento del corpo umano:

- “perché volevo sentirmi utile, in particolare per la mia famiglia, e poi mi ha sempre affascinato

l’idea di capire come funziona un corpo e riuscire a farlo funzionare.”

-“Pur sforzandomi non riesco a ricordare quale sia stato il momento preciso ed il primo pensiero

che mi ha spinto a prendere la decisione di diventare medico, so solo che da quando ne ho ricordo

ho sempre pensato che da grande sarei voluto diventarlo. Fin da molto piccolo ho subito avvertito il

fascino della biologia e dell’incredibile funzionamento del nostro organismo.”

-“Non ricordo il momento in cui ho scelto di fare il medico. Fin da piccola, immaginandomi a lavoro, mi sono vista con un camice bianco indosso e un fonendoscopio in mano. Sicuramente questa visione è stata influenzata dal fatto che la mia mamma è pediatra. La scelta era chiara: il mio lavoro sarebbe stato prendermi cura della salute delle persone.”

- “Figlia di un’infermiera, primogenita di tre, si può dire che fin da piccola ho avuto familiarità con i concetti di cura e responsabilità.” -“ perché sono sempre fin da piccola stata incline ad aiutare gli altri, le amiche mi sceglievano per

parlarmi dei loro problemi e anche quando sono stata all’università dicevano che avevo una voce “

dolce” e che parlandomi riuscivano a risolvere i loro problemi spesso sentimentali.”

-“La mia carriera scolastica: un susseguirsi di brillanti risultati, a fronte di un oserei dire

modestissimo impegno. Per parafrasare: minima spesa, massima resa .I sei anni di studio matto e

disperatissimo perciò non mi spaventavano affatto, io da grande avrei fatto il dottore. Non sono

figlia d'arte, ho soltanto seguito il mio istinto. Ero curiosa di comprendere il funzionamento della

macchina uomo. Ero giovane, e romanticamente volevo rendermi utile al mondo. In particolare,

sognavo di far nascere i bambini.”

- “Vorrei curare le persone per regalar loro un sorriso. …Da piccola ho sempre voluto fare la veterinaria e solo in seguito mi sono orientata verso la medicina “dell’uomo”, anche se tutt’ora ritengo che gli animali meritino molto più di noi. Tutto è iniziato 15 anni fa, purtroppo, quando una persona a me cara ha scoperto di essere affetta da un tumore. Mi aveva tenuta all’oscuro di tutto e quando sono venuta a saperlo mi ero arrabbiata molto. Però soltanto dopo ho capito che questa voleva solo proteggermi dalla sofferenza. Da quel momento in poi ho cominciato a pensare che forse avrei potuto far qualcosa per migliorare il “mondo”. Credo che a tutti, durante l’adolescenza, siano passati per la testa pensieri del tipo: vorrei fare qualcosa di diverso, vorrei non esser dimenticato, vorrei lasciare il segno, vorrei cambiare il mondo. Per tutti questi motivi ed essendo una persona sensibile e altruista, mi sono avvicinata sempre di più alla medicina.”

-“Si può scegliere di essere medici in modi diversi, ma personalmente credo che esista solo un

modo di fare il medico, e cioè al massimo delle proprie possibilità, potenzialità e facoltà. Occorre

anche il buon senso …Fin da piccolo ho sempre creduto che nella vita avrei fatto qualcosa di utile,

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utile al mondo, utile forse e più probabilmente a qualcuno. Non ho mai pensato in senso stretto al

denaro, ma a un meritato guadagno per aver fatto qualcosa di buono, di utile. Non so… Non è per

sentirmi in pace con me stesso, ma è qualcosa di inspiegabile. Lo si sente e basta.”

L’ascolto e la curiosità di conoscere aiuta le persone ad essere più coscienti dei propri problemi

con la possibilità di cambiare in qualche modo la vita, anche di chi ascolta:

-“Non ho mai pensato a "Cosa vuoi fare da Grande".Al tempo non credevo di avere reali affinità con nessun

lavoro in particolare,l'unica cosa che mi era sempre riuscita bene era ascoltare i "racconti" delle persone. Ho

sempre adorato farlo ed ho sempre capito che questo in qualche modo le aiutava,le rendeva più coscienti dei

loro problemi e sentivo che in quel momento loro stesse realizzavano l'eventualità di una soluzione in un modo

o in un altro.”

-“curiosità di conoscere, di capire quello che sconfina da me, quello che è diverso da me, notare e

cercare un significato alle somiglianze e alle differenze tra le persone. L’altro motivo è che per me

creare un collegamento con un’altra persona per cambiarle in qualche modo la vita è una sfida,

quando vinta un orgoglio, quando persa un motivo di riflessione.”

Scegliere di fare il medico può voler dire anche :

- “ imparare un mestiere ,… solido e concreto. “

Oppure non c’è inizialmente una motivazione profonda ma :

-“perchè...i miei migliori amici del liceo volevano fare Medicina e perchè mia mamma aveva

sempre sognato che facessi il lavoro di suo marito (cioè mio padre!). Volevo fare l'architetto. E

invece mi iscrissi a Medicina. Ma dopo varie vicissitudini alla fine : L’idea di poter avere un contatto

col paziente sia dal punto di vista medico che personale-familiare mi entusiasmò.”

Influenza della famiglia o di altre figure di riferimento

L’influenza della famiglia è stata molto importante per la scelta della facoltà’ :

-“volevo sentirmi utile, in particolare per la mia famiglia”

-“Figlia di un’infermiera” - “una sera sentii mio babbo, anche lui medico, che dopo una lunga giornata di lavoro parlava al

telefono con un collega di un caso difficile…”

- “mia mamma aveva sempre sognato che facessi il lavoro di suo marito”

-“mio zio, medico di famiglia da tanti anni ora in pensione, mi ha fatto amare questa professione

che permetteva di avere un rapporto con la gente straordinario.”

-“Sicuramente questa visione è stata influenzata dal fatto che la mia mamma è pediatra.”

-“la grande passione che ha sempre nutrito mia madre per la medicina e la sua sensibilità nel cogliere questa mia predisposizione e nell’incoraggiarla.”

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- “mia mamma aveva sempre sognato che facessi il lavoro di suo marito” - “Soprattutto devo ringraziare mio padre che mi ha trasmesso l’amore per questo lavoro.” Forse anche senza saperlo : -“Ho interrotto la specializzazione, con grande rammarico di mia madre che già mi vedeva ginecologa” Ma importanti sono anche alcune figure di riferimento

- “il Dottore”( di famiglia) , ... Seppure in costume da bagno come tutti noi, sebbene fosse un uomo gioviale e scherzoso, era sempre circondato da un’aura di autorità e saggezza.

…Ancora più affascinanti erano le dottoresse che incontravo e conoscevo. Ancora a quei tempi una donna che si dedicava a questa professione veniva considerata una “tosta”, quasi una pioniera, soprattutto se aveva famiglia e ci si chiedeva un po’ ipocritamente, come qualcuno fa ancora oggi, come facesse a conciliare lavoro e vita privata.” -“Ogni lezione di scienze e biologia, grazie anche alla grande competenza e al trasporto che la nostra prof. metteva nelle sue lezioni, mi faceva immergere in quel mondo che avevo sempre desiderato conoscere: le basi della biologia delle cellule, la loro perfetta organizzazione in tessuti, organi ed apparati con i loro fini meccanismi di comunicazione ed interconnessione…” -“ il medico che assisteva la mia famiglia. Era un uomo alto e dalla corporatura imponente, o

almeno i miei occhi di bimbo lo ricordano così; sempre cordiale ed accogliente, attento ai problemi

dei suoi assistiti e disponibile. Ricordo ancora benissimo la curiosità con la quale accompagnavo

mia nonna al suo studio in occasione di una visita. Il grande ambiente con il lettino in mezzo alla

stanza, l’armadietto con all’interno i vari strumenti ben riposti, la vecchia libreria piena di testi

medici e l’imponente scrivania sono ancora ricordi estremamente precisi e nitidi nella mia mente. E

ancor più nitido è il ricordo della sua maestria nell’eseguire la visita al letto del paziente: i

movimenti armoniosi e sicuri, il suo metodo nell’esaminare i vari organi ed apparati, la chiarezza

delle spiegazioni fornite in seguito….”

-“In quel periodo un caro amico di famiglia, medico di medicina generale, mi ha invitato a frequentare il suo ambulatorio. Insieme a lui, giorno dopo giorno, ho fatto pace con la medicina, ho ritrovato i perché delle mie vecchie scelte.”

-“Il mio Nunquam Retrorsum sono i miei due figli … Loro sono la rappresentazione vivente che

con la tenacia, la passione e la razionalità si può andare lontano.”

-“i miei migliori amici del liceo volevano fare Medicina”

- “una sera sentii mio babbo, anche lui medico, che dopo una lunga giornata di lavoro parlava al

telefono con un collega di un caso difficile.. ascoltavo meravigliata il gergo medico che un giorno

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sarebbe diventato parte integrante del mio vocabolario quotidiano e mi sentivo orgogliosa di far

parte della classe medica.”

Riflessioni sul percorso universitario : gioie e dolori

Il percorso universitario non è stato facile fin dall’inizio, mettendo in evidenza mancanza di

informazioni adeguate circa l’organizzazione dell’Università :

-“Andai ai corsi di orientamento sia in IV che in V liceo in cui invece di spiegarmi come funziona

l’università, come è organizzata, come scegliere la facoltà ecc. si limitavano a dirti “non lo fare,

non c’è lavoro”; vero o non vero sono andata avanti per la mia strada.”

Problematiche relative all’esame di ingresso:

- “Il primo concorso non andò bene, non entrai per pochissimi posti, quindi mi rimboccai le

maniche, mi iscrissi a un’altra facoltà che mi avrebbe permesso eventualmente di recuperare gli

esami fatti. Il secondo tentativo andò a buon fine e felice intrapresi questa odissea……”

E alla difficoltà degli esami, alle domande dei Professori, al tipo di formazione strettamente

accademica, ai rapporti con i colleghi, alle divagazioni personali :

-“tanti anni a lottare per superare le difficoltà, per cercare di capire quello che studi, per imparare

quello che il prof si vuole sentir dire e per cercare di applicare un minimo quello che pensi di aver

imparato. ..Mi aspettavo di imparare di più, mi aspettavo una formazione a trecentosessanta

gradi, non solo accademica, non solo classificazioni o meccanismi patogenetici che una volta dato

l’esame elimini per far spazio a nuove nozioni.”

-“Il primo impatto con l’ambiente universitario non è stato tenero, non tanto per l’impegno e i sacrifici richiesti, già preventivati e non molto diversi da come ero abituata al Liceo, quanto per i rapporti con i colleghi, che non sono stati da subito improntati a grande simpatia: avevo l’impressione di essere circondata da scostanti “primi della classe”, almeno fino a che nel giro di qualche mese mi sono creata un piccolo gruppo di amici più simili a me.”

-“Gli anni di Università furono durissimi pieni di insoddisfazioni, frustrazioni, delusioni, patimenti...insomma

non auguro a nessuno studente di fare la mia carriera universitaria. Non so ancora come ho fatto ad uscirne

sano di mente: presi il blocco del 3°anno, per 2 anni non riuscivo a fare gli esami propedeutici per continuare il

percorso. Ogni esame era una fatica, nottate a studiare, pessima organizzazione,insicurezza e voti sul libretto

che rispettavano alla fine quella che era l'effettiva preparazione..rallentavo.”

-“I primi anni di università sono stati purtroppo un po' disordinati ,perdevo tempo,non avevo voglia di

applicarmi,forse perché il mio percorso scolastico era stato fino a quel momento eccessivamente

pesante,avevo scoperto un mondo nuovo dove potevo anche divertirmi...forse fin troppo i primi anni....Poi ho

preso coscienza,anche grazie ad amici che mi hanno fatto "redimere", che dovevo e potevo terminare gli studi.

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-Mi aspettavo che l’università mi desse tutti i mezzi per coronare il mio piccolo sogno e mi facesse diventare un buon medico. Poi mi sono accorta che ti apre solo una porta.” Ma anche soddisfazioni e conquiste:

-“Mi aspettavo di …studiare e lavorare tanto perché l’esempio che ho avuto in famiglia è stato

questo; i pronostici non sono stati disattesi.”

-“Furono 2 anni pesanti, ripresi in mano tutto, libri, appunti, libretto e soprattutto coraggio. Tanto.

Trovai un luogo ideale, la Casa dello studente, studiavo la sera dopo cena fino a tardi, ricominciai a

dare esami, uno dopo l'altro. Con pause, anche di mesi;ma non mi fermai più…. Mi laureai a 35

anni, con un atipico “100/110”. I miei vecchi compagni ormai avevano già finito la specializzazione,

eppure quel giorno mi sentii all'altezza di tutti. Fu un giorno meraviglioso, un grande trionfo per

me. Senza la mia famiglia non avrei mai potuto finire questo percorso,soprattutto

economicamente,ma quel giorno fu il MIO trionfo. Ce l'avevo fatta.”

-“Gli anni dell'Università sono stati i più belli e pieni della mia vita. Esperienze indimenticabili,

tessendo tele di rapporti divenuti indistruttibili. I miei compagni di corso sono stati il traino

principale, la forza motrice per arrivare in fondo, nonostante i periodi di stanchezza e i (frequenti)

ripensamenti.”

Con qualche nota di Humor:

-“Credo fermamente che lo studente di Medicina sia mediamente più malato dei suoi coetanei.

Non so se ci si è in partenza o se ci si diventa, forse entrambe le cose. Certo è che ognuno di noi ben

si presterebbe ad un Case Report di psico-patologia. Io sicuramente potrei far vincere un Nobel.”

Argomenti interessanti :

-“Il tanto sospirato ingresso al corso di medicina, che ritengo essere la mia prima grande conquista

personale, mi permetteva finalmente di scavare a fondo ogni aspetto di quell’entità complessa e

mirabile che è il nostro corpo. Lo studio delle materie di base, della semeiotica e di tutte le varie

cliniche è stato molto gratificante ed al contempo duro ed impegnativo per l’enorme mole di

argomenti che era necessario padroneggiare. Non l’ho mai sentito come un peso, non sono certo

mancati momenti difficili di stress e scoramento, ma ho sempre avuto la ferma convinzione che ne

valesse la pena.”

Buoni rapporti con colleghi e vari professionisti della salute

-“Grazie ad alcuni tirocini ho avuto modo di conoscere medici, infermieri, ricercatori e professori

esemplari che tutt’ora sono dei modelli di riferimento intoccabili per la loro competenza, etica,

correttezza ed umanità. Persone che spesso, a mio parere, non hanno il riconoscimento e la

visibilità che meriterebbero per il loro lavoro alacre, appassionato ed instancabile.”

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E qualche proposta pratica :

“Per questo motivo, oltre che per la fondamentale necessità di acquisire un buon bagaglio di

conoscenze pratiche e di sperimentare la relazione quotidiana con il paziente , ritengo che i tirocini

non siano valorizzati come meritano dal nostro corso di laurea e che dovrebbero essere organizzati

in maniera strutturata e rigorosa.”

Ho imparato Il percorso universitario, nonostante le difficoltà e le criticità , ha aiutato a far riflettere su alcuni aspetti della professione che influenzeranno anche il percorso post laurea:

-“Alla fine del percorso mi sono ritrovata un po’ meno “secchiona” e un po’ più umana e imperfetta… Il rapporto con il paziente si era fatto molto più equilibrato: niente più imbarazzo, partecipazione e comprensione, ma anche gli indispensabili “paletti”.

-“Ho imparato che avevo forza di volontà da vendere e che anche io potevo arrivare ad essere un

Medico.”

-“Innanzitutto ho imparato tante cose sul nostro corpo, il suo funzionamento nel benessere e nella

malattia. Poi ho scoperto che la medicina non è una scienza esatta, ma un'interpretazione

probabilistica di dati empirici. Per arrivare infine a intuire che la nostra medicina tradizionale ne sa

pochissimo di ciò che riguarda la salute perché non siamo fatti di solo corpo, e la salute

comprende il benessere e l'armonia di tutte le parti di cui siamo composti. La salute è un concetto

attivo, non semplicemente la cura dalle malattie.”

Si impara anche sulla propria pelle e su quella di chi ci sta vicino:

-“Ho imparato dalle persone sia nella vita privata sia nell’esercizio del mio mestiere, ma non sono

stata pronta ad affrontare le esigenze e il dolore altrui fino a che non sono stata io stessa una

paziente, attraversando un percorso difficile, che ha richiesto molte risorse e mi ha fatto capire che

ascoltare ha un peso enorme nel nostro mestiere.”

-“Ho conosciuto presto il dolore acre che la malattia può portare in una famiglia e dentro le mura

di un casa. Era proprio la mia. Ed ho capito presto che la vita non è e non può essere segnata solo

dalla felicità e dalla spensieratezza. …Ero in seconda media quando mia nonna incominciò a

manifestare i primi segni della malattia. In quei sei mesi sperimentai la sofferenza che ti può dare

un emocromo sballato che non accennerà più a migliorare se non per qualche timido, fugace,

crudele ed illusorio miglioramento dei valori di emoglobina che per un attimo facevano intravedere

una speranza di poter perlomeno tamponare la situazione, la consapevolezza di una diagnosi dura

come quella di linfoma di Hodgkin dopo un doloroso prelievo di midollo osseo, l’improvviso velo di

tristezza e malinconia che aleggiava in casa, velava gli occhi di mia mamma e spegneva giorno per

giorno, fino a quel piovoso giorno di marzo, quelli di mia nonna. Questa prima forte esperienza,

così come altre che ho vissuto successivamente non solo da studente di medicina prima e medico

poi ma anche come amico, parente, conoscente, nuovamente nipote o tirocinante mi hanno molto

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segnato e lasciato il monito di quanto sia importante cercare sempre di immedesimarsi nella

persona che ci si trova davanti, cercando di stabilire una connessione con il dolore che sta

provando e magari condividendo con i suoi familiari.”

- “Grazie a mia nonna ho iniziato a prendere confidenza con i farmaci. Di mia nonna ho ascoltato le lamentele, ho imparato a leggerle sul volto il dolore. Il suo rantolo di fine vita è stato il primo che ho sentito, da allora non mi ha più fatto paura. A lei ho tenuto stretta la mano prima di lasciarla andare. “ -“Ho imparato che l’università ti fa studiare tanto e ti lascia delle buone basi teoriche, ma non ti dà nessun insegnamento, purtroppo, sulla pratica e sul tipo di approccio psicologico da avere con il paziente: elementi importantissimi per la formazione. Quelli li devi scoprire da sola. Ho imparato che ci vuole dedizione e costanza, passione e curiosità, umanità e risolutezza ma soprattutto la forza di mettersi sempre in discussione per migliorare sempre di più.”

E sto imparando: -“Giorno dopo giorno, sto imparando quello che l’università non è riuscita a trasmettermi. Innanzitutto impari la differenza tra i vari piani: all’inizio per una banale febbre e tosse vai a pensare alle malattie più disparate, anche se poi alla fine è solo una banale influenza oppure ti spaventi allo stesso modo per una dolenzia addominale o per un aneurisma dell’aorta in rottura. Sto imparando che talvolta bastano terapie semplici per risolvere problemi che sembrano talvolta complessi e che si risolvono tranquillamente da soli.”

Il primo contatto con il paziente.

Non è stato facile , come emerge da questi racconti, ma può anche dare delle soddisfazioni:

- “Il mio primo contatto con il paziente è stato durante il tirocinio di psichiatria in cui fui lasciata, direi proprio abbandonata, con una povera paziente che per venti minuti continui non faceva altro che chiedere “la sonda” per andare in bagno……..in quel momento ho avuto conferma che la psichiatria non era il mio forte, il mio unico pensiero era quello di uscire dal reparto chiuso indenne.”

-“Il primo contatto con il paziente è stato sicuramente caratterizzato da grande imbarazzo: quel povero signore allettato, circondato da venti camici bianchi, apostrofato con severità dal professore e “costretto” a farsi posare sulla pancia decine di mani estranee, più o meno esperte, più o meno delicate. Sensazione che si è velocemente dissolta di fronte alla necessità e alla voglia di imparare il più possibile, cercando sempre però di non perdere d’occhio l’umanità e la sensibilità del malato.” -“Il primo contatto con il paziente …è avvenuto appena laureata con le prime responsabilità

lavorative come guardia medica. Si trattava di un bambino di appena due anni e della sua mamma

con cui ebbi una discussione dai toni molto accesi.. che per fortuna si è risolta a mio favore e con

poco danno per il piccolo paziente se non quello di aver trovato una dottoressa alle prime armi e

un po’ inesperta di formulazioni pediatriche… Da questa esperienza ho imparato.. quanto sia

fondamentale possedere un prontuario pediatrico (che da quel giorno porto sempre con me) e

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molte altre cose…è stato come il battesimo del fuoco per me che fino al giorno prima ero stata

unicamente con la testa china sui libri e per la prima volta mi approcciavo al complesso rapporto

psicologico medico-pz, e forse alla vita vera stessa!”

- “Mi ero messo in testa di fare il Neuropsichiatra infantile : frequentai il reparto per 3 mesi al CTO,

e pensando di unire l'utile al dilettevole iniziai col fare l'educatore per un ragazzo autistico. Avevo

bisogno di soldi per pagarmi l'affitto e volevo lavorare in un ambito che, in quel momento non

sembrava essere troppo lontano da quello che ,sempre in quel momento, pareva essere il mio

futuro. L'esperienza fu molto intensa ma devastante e di dilettevole c'era veramente poco. Non ero

assolutamente adatto al tipo di lavoro e l'autismo, o almeno quello che ho conosciuto io, è

veramente un mondo a parte, in cui la medicina conta relativamente poco e in cui, per fare

l'educatore ci vogliono doti personali, e non scientifiche, che io sicuramente non avevo.”

-“I primi contatti con il paziente mi hanno subito fatto capire la grande differenza tra la medicina ideale dei

vari trattati specialistici con i suoi ferrei passaggi logici e la medicina reale che esercitiamo ogni giorno: la

complessità e l’unicità di ogni paziente, le difficoltà nell’intraprendere una terapia il più possibile ritagliata

sulle sue esigenze, la condivisione di scelte importanti, la capacità di affrontare imprevisti e di gestirli in

maniera rassicurante, la capacità di farsi carico del peso di una cattiva notizia o di una diagnosi infausta, la

ricerca del giusto grado di empatia e del necessario distacco emotivo per mantenersi lucidi. Tutto quello che ho

scritto sembra un macigno da sopportare e non nascondo che in certi momenti, penso che sia capitato a tutti

noi medici, mi sono soffermato nel silenzio della mia auto quando tornavo dall’ospedale a chiedermi se fossi in

grado di sopportarlo. In tutte quelle occasioni però mi sono sempre risposto di si. Per il semplice motivo che

quando mi alzo al mattino sono felice e soddisfatto di andare all’ospedale o nello studio del mio tutor di

medicina generale e di conoscere nuovi pazienti, affrontare nuovi o vecchi problemi e confrontarmi con i

colleghi.”

- “Trovarsi alle cinque del mattino su un caso di tentato suicidio ,scoprirsi a parlare con una perfetta

sconosciuta riuscendo a farle strappare anche una risata è solo una delle esperienze che ho avuto e che

avrò;tutto questo riesce a riempire un bagaglio di emozioni e insegnamenti che forse al termine della vita

possiamo avere noi medici e poche altre figure professionali.”

-“Il mio primo contatto con il paziente è avvenuto in ambito tirocinio, all'interno di quella grossa

catena di montaggio che è l'ospedale S.Chiara. Se di contatto con il paziente si può parlare, perchè

l'unica cosa che veniva presa in considerazione in quegli ambulatori era solo la malattia, quel pezzo

di persona che si era guastato e attendeva il nostro onnisciente intervento.”

-“Il mio primo contatto con un paziente è stato al tirocinio di gastroenterologia al quarto anno, quando ci hanno mandato a fare le prime anamnesi ai pazienti del reparto. Mi capitò un paziente itterico, sulla sessantina, con una cirrosi epatica. Non mi scorderò mai quei suoi occhi blu mare quando mi diceva: “Quando mi riprenderò?” Tre giorni dopo è deceduto.” Può essere anche molto coinvolgente:

-“Il primo malato cui mi sono realmente avvicinata (oltre a me stessa) è stata mia nonna. Pur

avendo frequentato i reparti e le corsie durante il tirocinio degli ultimi anni di corso, non avevo mai

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preso "contatto" col paziente. Ero sempre rimasta nelle retrovie. Osservavo, ascoltavo, cercavo di

imparare il famoso "ragionamento clinico". Il paziente insomma era come un appendice dei testi su

cui studiavo. Oltretutto non era il "mio" paziente. A mia nonna con la mano tremolante ho

praticato la mia prima iniezione e ho messo la mia prima flebo ("oh bimba, se 'un mi fido di te di

chi mi dovrei fidare").... La mia prima paziente è morta il 27 gennaio 2004, esattamente 6 mesi

prima della mia laurea”

La scelta dopo la laurea

Per alcuni il Corso di Medicina Generale non è stata la prima scelta:

-“Quando mi sono laureata è arrivato il momento della scelta della specializzazione. O meglio, la

mia scelta l’avevo fatta: mi ero inserita per fare la tesi in un reparto di ginecologia oncologica.

Inizialmente ero dubbiosa dato che puntavo a frequentare un reparto ginecologico “ordinario” e

invece alla fine sono stata lì due anni.”

-“scelsi di fare la tesi di laurea presso il reparto di geriatria; perché ,per quanto avessi le idee

ancora parecchio confuse sul mio futuro professionale, sapevo che prima di tutto avrei voluto

diventare un buon medico generalista e mi sembrava che geriatria mi preparasse a questo scopo

meglio di altre branche.”

-“Da li fu tutta una discesa...nonostante non avevo nessuna idea di come poter fare il Medico, il

tirocinio post-laurea dal Medico di medicina generale fu la mia svolta. Mi piacque da subito. L’idea

di poter avere un contatto col paziente sia dal punto di vista medico che personale-familiare mi

entusiasmò.”

-“La mia prima scelta è stata la Medicina Nucleare, una specialità molto innovativa e in crescita

continua rispetto alla Radiologia Tradizionale, rappresentando un’altra sfida interessante che

stuzzicava la mia curiosità. Confesso che lo scarso contatto con il paziente mi rassicurava, le poche

guardie mediche che avevo fatto mi avevano messo a confronto con utenti spesso arroganti,

troppo esigenti e prepotenti, inoltre per la mia scarsa esperienza clinica non mi sentivo all’altezza

di azzardare diagnosi con così pochi mezzi a disposizione.”

-“Quando arriva il giorno della laurea si ha per pochi giorni la sensazione di aver finalmente scalato

la vetta della grande montagna e di potersi godere la meritata discesa. In realtà, come mi piace

dire spesso quando parlo di questo argomento, dopo poco tempo ci si rende conto di aver finito di

iniziare. ..Purtroppo il tanto atteso concorso per alcune dinamiche e circostanze non è andato come

avrei sperato e, forse, meritato. E’ stato sicuramente il momento più difficile della mia strada e

forse quello in cui le mie convinzioni hanno vacillato di più, offuscate dalla rabbia e dalla delusione

e da una situazione personale al tempo non facile. Ho avuto la grande fortuna di non essere solo e

ciò mi ha permesso di ripartire.”

-“Quando mi sono laureata ho scelto di fare la tesi a medicina legale, mi piacevano i libri di Key

Scarpetta e l’indagine medico legale, poi frequentando l’istituto mi sono resa conto che sarei

andata a fare “l’avvocato” in mezzo a tante scartoffie e la cosa non mi allettava.L’episodio decisivo

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di rinuncia è stato quando mi è stato detto che le carriere di medico e di specialista erano separate

e se facevo il medico legale mi sarebbe stata preclusa la strada della medicina generale , così

durante l’esame di specializzazione ho deciso di lasciare tutto e venirmene via con grande

dispiacere del mio tutore di laurea.”

-“Dopo la laurea il mio percorso sembrava chiaro: fuori dall'ospedale, a indirizzare i pazienti

tramite l'attività di medico di medicina generale, verso un concetto olistico di salute.”

-“Ho trovato molte opinioni sfavorevoli riguardo a questa scelta, da parte dei colleghi, giovani e

meno, professori e amici. A detta di tutti mi stavo apprestando a diventare un burocratico, un

“copia ricette”.

-“Poi è arrivato il tanto atteso momento dell’ingresso in specializzazione. Ho frequentato la scuola di specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Pisa a partire dal marzo 2008. Finalmente il sogno diventava realtà. Amavo l’odore della sala parto, il buio della stanza ecografie, il rumore del cardiotocografo, amavo le donne ricoverate in reparto .Eppure quotidianamente mi scontravo con una realtà ospedaliera troppo “asettica”, totalmente diversa dalla mia idea di esercizio della professione medica…. Iniziai a pensare che io non avrei potuto certo condurre quel tipo di vita: il prezzo da pagare era troppo alto. …. Quando mi sono iscritta al corso di Formazione Specifica in Medicina Generale, avevo ben chiaro cosa mi ero lasciata alle spalle, e cosa andavo cercando.” -“Quando mi sono laureata è arrivato il momento della scelta del percorso post laurea. Mi è sempre piaciuta la medicina interna, ma dopo aver ascoltato vari consigli, inizialmente ho optato per una branca medica più specialistica. Sarei voluta entrare in specializzazione in diabetologia per continuare il percorso sul piede diabetico che avevo iniziato con la tesi, ma purtroppo non vinsi il concorso. Continuai ad andare in ambulatorio del piede diabetico come tirocinante volontaria, ma volevo anche iniziare a lavorare.”

“….quando scelsi di iscrivermi alla facoltà di medicina pensavo: “La Medicina Generale non fa

per me”. Pensavo che mi sarei dedicato ad una branca specialistica della medicina, non alla

medicina. ….Un giorno, quasi per caso, mi sono iscritto al concorso per l’accesso alla scuola di

formazione specifica in medicina generale.”

Un episodio importante per la scelta dopo la laurea

-“Quando mi sono ritrovata dall’altra parte, come paziente, ho imparato che la percezione dello

stesso problema è profondamente diversa tra chi lo vive personalmente e chi per professione è

chiamato a studiarlo e se possibile risolverlo.”

-“Ho imparato che non esistono soluzioni facili e immediate ai problemi, spesso si devono

intraprendere percorsi lunghi e incerti, avendo la mente libera da schemi rigidi e aperta a ogni tipo

di soluzione, a volte anche solo per dire a se stessi “ci ho provato”.Ho imparato che a volte cercare

di lenire il dolore, psichico o fisico che sia, è un punto di partenza fondamentale nella cura di una

persona. Ho imparato che la preparazione professionale senza la capacità empatica è come un

carro dorato senza cavalli.

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Questa prima forte esperienza, così come altre che ho vissuto successivamente non solo da

studente di medicina prima e medico poi ma anche come amico, parente, conoscente, nuovamente

nipote o tirocinante mi hanno molto segnato e lasciato il monito di quanto sia importante cercare

sempre di immedesimarsi nella persona che ci si trova davanti, cercando di stabilire una

connessione con il dolore che sta provando e magari condividendo con i suoi familiari. L’università

mi ha anche permesso di intravedere alcuni di quegli aspetti negativi legati al nostro mondo che

poco o nulla hanno a che vedere con l’esercizio della medicina in senso stretto ma che lo

influenzano e zavorrano in maniera pesante: la burocrazia che rallenta pratiche anche banali, la

scarsità e il contemporaneo spreco di risorse economiche, le difficoltà che incontrano i giovani

medici nell’accedere alla formazione post-laurea, le invidie e le cattiverie gratuite tra colleghi e tra

reparti, l’eccessiva compartimentazione delle cure fornita al paziente legata ad un approccio

specialistico mirato alla cura della patologia più che della persona.”

-“Per i miei superiori, le pazienti non erano donne, non erano madri, erano solo numeri. Non c’era tempo per parlare, conoscere, capire la paziente. C’era solo un breve lasso di tempo intercorrente tra la visita e l’azione. Le decisioni venivano prese secondo protocolli fissi, standardizzati, che non tenevano conto della diversità interindividuale. Di fronte alle urgenze (un distacco intempestivo di placenta, una brutta decelerazione in un tracciato cardiotocografico) la donna perdeva il suo volto. La corsa in sala cesareo non lasciava tempo a spiegazioni. Tutto era tecnicamente ineccepibile, ma freddamente spersonalizzante. Forse è così che si deve lavorare in un grande centro di 3° livello. …Nel corso del 2° anno di specializzazione sono rimasta incinta… L’esperienza della maternità mi ha sconvolto la vita, in positivo. Ho definitivamente capito che quella che avevo intrapreso non era la mia strada” -“ho cominciato a seguire mio padre e ad imparare il mestiere di flebologo e della cura delle lesioni cutanee. Contestualmente ho preso anche il diploma di ecografia clinico. Alla fine di questi due anni, posso dire di non aver nessun rimpianto di non esser entrata subito in specializzazione, anzi mi è servito a crescere e a capire che sarei voluta diventare un medico a tutto tondo prima di mettermi i “paraocchi” da specialista.” -“Ho frequentato Ospedali, ambulatori ed ho partecipato a progetti di ricerca che mettevano il mio

nome tra tanti, in uno dei numerosi articoli che ogni giorno vengono sfornati dalle Università di

tutto il mondo. Qualcosa di impersonale, che non mi metteva direttamente in contatto con la vita

delle persone. Le persone hanno una vita oltre alla malattia che li spinge a presentarsi negli

ambulatori. E questo, purché banale, spesso negli ospedali passa in secondo piano.”

Attualmente mi sto preparando

-“letteralmente a tutto! non so come cambierà nel futuro la professione del medico, in particolare

il medico generico che io vorrei intraprendere; non so dove potrò esercitarla ne se mi saranno

richieste competenze aggiuntive.. per cui non escludo la possibilità di frequentare successivamente

un corso di specializzazione e di imparare una nuova lingua.”

- “Entrare al corso( di MG) è stato il coronamento di un percorso, ma il Corso in sé, non è stato

come mi aspettavo. In realtà l’unica vera crescita professionale la si fa lavorando, entrando nelle

case della gente, ascoltando le persone, i familiari, i malati, la loro realtà sociale.”

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-“Mi sto preparando per migliorare ed ottenere sempre più sicurezza ,per dare il massimo di professionalità a

quelli che saranno i miei pazienti,sperando di saper affrontare un lavoro che appaga,dona emozioni,insegna

ma non regala niente,tutti gli sbagli saranno di aiuto come tutte le mie,spero tante, vittorie.”

-“ho partecipato ad alcuni corsi dove i medici si confrontavano con le loro esperienze ( Balint) e sono per me risultati molto utili soprattutto per capire che le mie difficoltà sono anche degli altri.” -“Attualmente mi sto preparando a superare il concorso o di medicina generale o di specializzazione in medicina interna che è sempre stata la mia passione, poi vedremo.” -“Nella vita è necessario fare delle scelte, io ho scelto di essere mamma prima di tutto. Non critico e non biasimo chi sceglie altrimenti. Perciò non mi sono occupata di nient'altro che non di lei nei suoi primi mesi. ….Da marzo 2015 lavoro come sostituta di continuità assistenziale… La guardia medica non mi piace, è un lavoro pericoloso (sicurezza zero), usurante e a mio avviso offre scarsissime soddisfazioni, ma è l'unico modo efficace per accumulare punteggio in graduatoria regionale. E d'altro canto lascia molto tempo libero da dedicare alla famiglia. Perciò ben venga. In più faccio sostituzioni a medici di medicina generale, spesso e volentieri.” -“….. scuola di formazione specifica in medicina generale…Ho vinto un posto e adesso mi accingo

a iniziare il terzo e ultimo anno con la voglia di finire al più presto e di iniziare a lavorare. Sono

contento.”

Criticità della professione e differenza tra Ospedale e Territorio

- “la burocratizzazione di ogni attività, i sempre maggiori impegni che nulla hanno a che vedere con la clinica o con il rapporto medico-paziente stanno mettendo a dura prova il mio amore per questo lavoro. Il fatto di esercitare in un piccolo paese forse è un bene, mi aiuta a tenere il tutto in una dimensione un po’ più umana, a non perdere di vista la vita e i bisogni di tutti i giorni degli assistiti e delle loro famiglie, con il rovescio della medaglia di una vita sempre “in vetrina”.”

-“Le mie aspettative si sono concretizzate due anni fa e devo dire che sono state più difficili del

previsto, finito il triennio di medicina generale la titolarità di g.m e la convenzione sono arrivate

velocemente e poi i pazienti ma la responsabilità, è stata un fardello pesantissimo due anni di

stanchezza perenne, arrivare a casa e sentirsi distrutta la notte riportare i problemi del lavoro e

pensare…pensare… Ho sbagliato? Ho fatto bene… ci sarà rimasta male… avrò detto tutto… ecc.ecc

e mio marito che insiste … devi staccare, non puoi fare così… E alcune persone che più dai e più

chiedono senza limiti….poi però ci sono quelle che hai aiutato e ti ringraziano allora capisci che il

tuo mestiere ti piace.”

-“E’ stato sicuramente il momento più difficile della mia strada e forse quello in cui le mie

convinzioni hanno vacillato di più, offuscate dalla rabbia e dalla delusione e da una situazione

personale al tempo non facile. Ho avuto la grande fortuna di non essere solo e ciò mi ha permesso

di ripartire. C’è stata anche una grande occasione per ripartire. Un’occasione data dalla decisione

di iscrivermi in quello stesso anno al concorso di medicina generale, figura che mi aveva ispirato,

come ho detto prima, durante la mia infanzia e che per un po’ avevo messo da parte. Arrivai al

giorno del concorso molto teso, ancora deluso, quasi svuotato. Nonostante tutto ho cercato di dare

il mio massimo e sono riuscito a guadagnarmi un posto nel corso.”

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-“Anche la medicina generale non è esente da molte incognite ed aspetti negativi che in parte condivide con quella ospedaliera: una burocrazia opprimente, l’ingerenza dello stato e della politica sanitaria che minano l’autonomia del medico nella sua pratica, l’incertezza riguardante il futuro di questa professione, l’eccessiva solitudine di questa figura in questi tempi difficili e la scarsa propensione al lavoro in team che tanto amo e che permea la vita di un reparto.”

-“Il mio primo lavoro è stato abbastanza traumatizzante,difficile,non credo che proverò mai più tanta paura in

vita mia,ma è stato quello che mi ha regalato più emozioni e che mi ha ricordato che in fondo è il lavoro più

importante e bello dl mondo.”

-“Ho imparato che in questo lavoro ci sono anche i lati negativi e che non siamo “eroi”. Devi scontrarti tutti i giorni con persone ottuse, che non sanno apprezzare o non capiscono il tuo lavoro, e con la sofferenza fisica e psichica.” -“quotidianamente mi scontravo con una realtà ospedaliera troppo “asettica”, totalmente diversa dalla mia idea di esercizio della professione medica. Per i miei superiori, le pazienti non erano donne, non erano madri, erano solo numeri. Non c’era tempo per parlare, conoscere, capire la paziente. C’era solo un breve lasso di tempo intercorrente tra la visita e l’azione. Le decisioni venivano prese secondo protocolli fissi, standardizzati, che non tenevano conto della diversità interindividuale. .. Tutto era tecnicamente ineccepibile, ma freddamente spersonalizzante….. Quando mi sono iscritta al corso di Formazione Specifica in Medicina Generale, avevo ben chiaro cosa mi ero lasciata alle spalle, e cosa andavo cercando. Non mi interessavano lezioni illuminanti e cattedratiche. Volevo solo capire, cambiare atteggiamento mentale, acquisire un metodo di lavoro diverso da quello a cui ero stata addestrata negli anni universitari. Volevo diventare un medico “di fiducia”, assicurare ai miei pazienti alti standard di relazione, oltre ad un buon livello di assistenza clinica. Da qui il mio interesse crescente per le tematiche relazionali, che nei tre anni di corso sono state ampiamente e sapientemente trattate.” -“Ho frequentato Ospedali, ambulatori …. Qualcosa di impersonale, che non mi metteva

direttamente in contatto con la vita delle persone. ….. E questo, purché banale, spesso negli

ospedali passa in secondo piano.”

Rapporti con i colleghi/ tutor

Sono buoni e costruttivi:

-“Con i colleghi ho un buon rapporto, li ho sempre trovati molto disponibili a insegnarmi.”

-“ i colleghi mi hanno fin da subito considerata una di loro, sono stata accolta molto cordialmente

sia dal tutor che nei reparti frequentati e ho cominciato ad imparare tantissimo in un clima molto

più rilassato e produttivo…. Con i colleghi non ho mai avuto grandi problemi, considero la maggior

parte di loro persone corrette e solidali, a dispetto del clichè che vuole ciascuno di noi impegnato

solo nel proprio orticello.”

- “purtroppo non credo di aver ancora trovato una figura di riferimento; però i miei rapporti con

figure professionali docenti sono più costruttivi: oggi ciò che non so è occasione di

approfondimento e fonte di dialogo senza imbarazzo.”

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-“i consigli preziosi dei miei colleghi più “grandi”, i Medici di Medicina generale che sostituivo mi facevano crescere.”

-“vivere a stretto contatto per più di un anno con il medico ricercatore che considero il mio mentore ed ho ora la fortuna di poter chiamare anche amico. Anche la frequenza dal tutor di medicina generale è stata estremamente gratificante…. Ho avuto la fortuna di conoscere un medico attento, preparato, appassionato al suo lavoro e sensibile alla moltitudine di problemi e criticità dei suoi pazienti.”

-“Durante questo corso ho già conosciuto persone eccezionali,molto valide professionalmente come il mio

tutor di medicina generale che oltre ad insegnarmi come diagnosticare eventuali patologie e darmi direttive

sull'approccio terapeutico mi ha indirizzato sulla modalità di approccio al paziente.”

-“ho una collega a cui faccio riferimento quando non riesco a superare psicologicamente un evento “

-“Sono i tutor e i docenti del mio corso di formazione nonché i miei colleghi con i quali ho

instaurato un rapporto di collaborazione costante e diretta.”

-“ I miei punti di riferimento oggi nel mio percorso professionale sono i miei colleghi più anziani” -“sono andata una settimana ad affiancare in ambulatorio un’amica medico di famiglia che si è

proposta di mostrarmi come si struttura il lavoro, come destreggiarmi fra la burocrazia e

soprattutto per riuscire a superare l’avversione verso questo lavoro causato da un tutor durante

l’esame di stato: ebbene c’è riuscita. ….I miei rapporti con le varie figure che mi hanno insegnato

in questi anni sono ottimi e gli sono riconoscente per tutto quello che mi hanno trasmesso.

Soprattutto devo ringraziare mio padre che mi ha trasmesso l’amore per questo lavoro.”

-“Il tutor, il coordinatore ed i vari docenti del corso (la maggior parte medici di famiglia) mi hanno fatto sentire finalmente per la prima volta una "collega". Niente a che vedere con lo spiacevole senso di sottomissione, i ricatti psicologici e la pressante competizione di quando ero specializzanda. Forse è stato anche il mio diverso habitus mentale... Mi sono finalmente rilassata, mi sono sentita nel posto giusto al momento giusto. …Il martedì e il giovedì mattina, quando sono libera, mi siedo accanto al mio mentore, il dott. …., e da lui cerco di imparare ciò che apprendibile non è... perché lo si impara negli anni con l'esperienza e la dedizione.” -“Con i miei colleghi ho sempre avuto un rapporto corretto e di stima. Se non condividevo alcune terapie cercavo di farmelo spiegare, ma sempre in privato. Comunque credo che la collaborazione tra noi e lo scambio di idee sia una delle più grosse opportunità di crescita. Inoltre con alcuni colleghi condivido anche bellissime amicizie che vanno al di la del lavoro.”

Nella mia professione mi aspetto di..

Ostacoli ma anche soddisfazioni:

-“Nella mia professione mi aspetto di trovare tanti altri ostacoli, che siano concorsi, che siano notti in bianco, che siano arrabbiature ci saranno e saranno costruttive, almeno spero, come dice Pirandello “gli esami non finiscono mai” , però arriveranno anche le soddisfazioni, anzi qualcuna è già arrivata, alla fine basta pochino per farti sentire che hai lavorato bene, che hai saputo fare qualcosa di utile.”

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-“Quello che mi aspetterei attualmente dalla mia professione è tragicamente diverso da ciò che viene richiesto al medico oggi: la burocratizzazione di ogni attività, i sempre maggiori impegni che nulla hanno a che vedere con la clinica o con il rapporto medico-paziente stanno mettendo a dura prova il mio amore per questo lavoro. Il fatto di esercitare in un piccolo paese forse è un bene, mi aiuta a tenere il tutto in una dimensione un po’ più umana, a non perdere di vista la vita e i bisogni di tutti i giorni degli assistiti e delle loro famiglie, con il rovescio della medaglia di una vita sempre “in vetrina”.”

-“Nella mia professione mi aspetto di trovare alcuni lati noiosi e molti atti burocratici, cose di cui

non so assolutamente niente e tantissime persone che hanno un disperato bisogno di parlare ,ma

penso che dovrò anche occuparmi di diagnosticare precocemente, se possibile prevenire alcune

malattie, molto spesso gestire patologie croniche in particolare nell’anziano con tutte le sue

disabilità e problematiche di assistenza.”

-“Sono molto felice di quello che sono adesso, spero che la mia generazione di Medici di MG che

andranno a sostituire i “vecchi”, vogliano perseguire l’obiettivo di aiutare le persone, rendere loro

la vita migliore, entrare nelle loro realtà, capirle e ascoltarle.”

-“Ma io sono sicura del valore della mia scelta: nella mia professione mi aspetto di trovare un forte

rapporto umano e di occuparmi dei pazienti a tutto tondo, di fare, come dire, il direttore

d'orchestra affinché l'armonia della persona sia conservata.”

-“Nella mia professione mi aspetto di trovare tante soddisfazioni, anche se saranno poche in rapporto alle sconfitte, perché la morte non si può vincere. Talvolta hai la meglio, talvolta riesci solo a rallentare la malattia, in altre solo a ridurre la sofferenza: qualsiasi risultato va accettato, basta che sia il migliore che tu potessi ottenere. Mai arrendersi, bisogna sempre migliorare. Spero di esser capace non solo di occuparmi dei malati, ma anche di essere un sostegno per le famiglie quando ce ne sarà il bisogno. Spero di esser in grado di curare le persone e non di essere solo un proscrittore di farmaci e esami.”

-“Nella medicina generale il medico è tutt’oggi il “dottore”, colui il quale oltre a prescrivere

farmaci e produrre impegnative è anche una sorta di consigliere, una figura certamente importante

nella vita di tutti…..” Anche il posto fisso è importante:

-“Intanto ho quasi 36 anni. Una famiglia splendida e nemmeno l'ombra del posto fisso. Aspetto . Aspetto con ansia che si crei un posto per me come medico di medicina generale, se

esisteranno ancora... Intanto faccio tesoro di ogni minima esperienza clinica, mi confronto con i

colleghi (dai più ai meno giovani), cerco di mettere sempre al centro l'interesse del paziente”

Le persone in cura da me si aspetteranno

Non solo clinica

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-“Le persone in cura da me si aspetteranno il meglio, si aspetteranno che io sappia risolvere sempre tutto, a volte anche faccende non mediche, qualcuno pretenderà che io faccia semplicemente quello che a loro torna comodo, o che abbia la risposta per tutto; un episodio ricorrente, che capita molto più spesso in guardia medica, è quando ti chiedono di “venire a dare un’occhiata” perché “sa, entriamo nella notte”, come se tu avessi il potere tale per cui una volta visto non possa più accadere nulla e tu con timore rispondi “al momento sta bene”. “

- “nella mia esperienza della medicina ambulatoriale ho potuto constatare che quando instaura un

buon rapporto fiduciario con il proprio medico, il pz talvolta si aspetta da lui che risolva anche

problemi che esulano di molto la sfera strettamente sanitaria.”

-“Le persone in cura da me si aspetteranno professionalità,capacità di interpretare i loro bisogni e

le loro paure,un indirizzo verso una diagnosi e se necessario l'attivazione di un giusto percorso

specialistico per poi essere seguiti durante l' eventuale terapia. “

-“Le persone da me si aspetteranno, spero, un punto di riferimento, una sorta di consulente che

fornisca loro le competenze necessarie per potersi prendere cura di se stesse nel migliore dei modi.”

-“Le persone in cura da me si aspetteranno che sia una guida e una persona di riferimento durante un percorso diagnostico e un supporto psicologico sia per i malati che per le persone a loro vicine. Talvolta si aspetteranno anche cose che non potrai dargli e dovrai spiegargli che la medicina non è infallibile, ma sempre senza togliergli la speranza.” -“alti standard di relazione, oltre ad un buon livello di assistenza clinica.” -“Adesso sono un Medico e so che tra non molto diverrò un vero “dottore”. Per qualcuno sarò: il

suo dottore!”

Un episodio con un paziente

-“Un episodio spiacevole è stato in uno dei miei primi turni di guardia, un uomo di 40 anni che aveva solo febbre dal giorno precedente e un’ora dopo la mia visita è morto per arresto cardiaco, io lo avevo mandato a casa con la prescrizione dell’antibiotico perché durante la visita non era emerso nulla e ora questo spauracchio mi accompagna fedelmente durante i miei turni di guardia.”

- “ricordo una ragazza di circa 30 anni, paziente del Prof da una decina di anni, fissa lì perchè ricadeva ogni volta. Ricordo anche una ragazzina di 17 anni con un tumore che penso non ritroverò mai più in vita mia (tumore di Triton) che si è spenta nel giro di pochissimi mesi. Un episodio che mi ha fatto riflettere, sempre nel reparto in cui frequentavo per la tesi, è stato quando ho visto una paziente giovane, circa 40 anni, che dopo il primo ciclo di chemioterapia ha firmato per non continuare...ho provato tanta rabbia, perchè così facendo si è “condannata a morte”..... però è così, c’è chi lotta fino all’ultimo, c’è la ragazzina di 17 anni che ti dice “anche io da grande voglio medicina” e due mesi dopo non c’è più, c’è chi nemmeno ci prova. Sto imparando che ci vuole molta pazienza, molta più di quanta pensassi…”

-“Il mio incontro più significativo con un paziente è stato anche il più triste, un ragazzo giovane che poco dopo se n’è andato; non saprei descrivere nei particolari il motivo, ma con lui è stato subito

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amore reciproco a prima vista e con la sua mamma anche, tanto che tuttora siamo molto amiche. La dignità di questa donna mi ha certamente facilitata e aiutata in quel poco che ho potuto fare per il suo sfortunato figlio: una medicina per il medico.”

-“Tuttavia le prime Guardie Mediche furono un incubo..non avevo la benché minima idea di cosa

fosse davvero questa realtà. Io che fino a pochi mesi prima sapevo in pratica solo misurare

pressioni,mi trovavo davanti la vita reale, le persone che non respiravano, che avevano dolori

toracici, che morivano.”

-“Non mi scorderò mai un episodio successo poco tempo fa. Ero andata a casa di un paziente terminale per il peggioramento in serata della dispnea e per la comparsa di febbre. Ho risistemato la terapia, parlato con tutti, preparandoli alla situazione e alla fine sono andata a salutarlo. Mi ha ringraziato guardandomi fissa negli occhi, mi ha stretto la mano e sorridendomi mi ha detto: “Arrivederci dottoressa! Grazie! Ci vediamo domattina! L’aspetto!”. Sono andata via con una stretta allo stomaco e con la consapevolezza che probabilmente non lo avrei più rivisto. Talvolta ho provato impotenza di fronte alla sofferenza e la morte. L’unica cosa che ti fa continuare a fare il tuo lavoro è l’idea di aver fatto tutto il possibile e la speranza in un futuro di trovare il modo per evitare tali situazioni.”

Immagino il mio futuro percorso

-“Immagino il mio futuro percorso molto tortuoso, pieno di incognite, non so se tra un anno sarò sempre qui a fare i miei lavoretti che mi consentono la mia indipendenza e farmi le ossa, o sarò lontana da casa e da tutti per fare una specializzazione. -Tutto sommato la mia odissea non è ancora finita.”

- “Il futuro non lo vedo roseo, al momento: mi immagino gravata da un fardello sempre più pesante di responsabilità aliene al mio lavoro e sempre più lontana dalla vera professione. Anche se non mi posso dire “anziana”, spero nei giovani, che portino tanto entusiasmo e abbiano abbastanza grinta per recuperare almeno qualcosa di quella che una volta era la professione più appagante del mondo.”

-“ogni giorno succederà sempre qualcosa che ti lascerà un segno. Ci sarà una bambina che ti darà un bacino sulla guancia dopo averle dato un punto di sutura. Ci sarà una Franca che aspetterà di avere un tuo parere riguardo la PET che ha appena eseguito in vista del suo intervento allo stomaco e che ti saluterà ringraziandoti con un sorriso per il tempo passato a spiegarle ciò che il chirurgo ha dato per scontato. Ci sarà una Marta che ,dopo averti fatto vedere i suoi esami del sangue finalmente normalizzati dopo la chemio per un tumore al seno, ti farà vedere le foto della sua splendida nipotina. Ci sarà in generale una nuova storia, un problema stimolante a cui dare risposte, la scoperta di risorse e capacità inaspettate, la soddisfazione di essere di aiuto a qualcuno.”

-“Spero di non perdere mai la voglia di comprenderli durante il mio cammino ma allo stesso tempo di provare a

distinguere sempre lavoro da vita privata.”

-“Con i miei colleghi spero di avere un rapporto di continuo scambio e reciproca stima e non meno importante

di sostegno nei momenti di incertezza.”

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-“Il mio futuro è ad oggi nebuloso ,non conosco la direzione precisa di quella che sarà la nuova

Medicina generale,sinceramente mi auguro che possa essere considerata come punto centrale e

insostituibile nella gestione del paziente.”

- “Immagino il mio futuro percorso nella medicina generale, affiancata da un infermiera e da una

segretaria che mi sgravino da tutti quegli oneri accollati al MMG che gli impediscono di fare il suo

lavoro: ascoltare e visitare il paziente, trovare l'inghippo di cui la malattia è solo sintomo.”

-“Invece un altro tipo di lavoro è venuto a bussare insistentemente alla mia porta, finché non ho

aperto. Attualmente mi sto occupando di cure palliative oncologiche domiciliari. A prima vista

sembrerebbero due branche diametralmente opposte, ed invece io le vedo sempre più simili

nell'essenza: il prendersi cura della persona, più che il curarla, mantenendo la visione del paziente

globale, estesa oltre a quello che l'Harrison insegna, come una sorta di resa dello scettro di

onnipotenza del medico e di onniscienza della medicina tradizionale.”

-“Il futuro…Ci penso non lo nego, ma ho imparato a non fossilizzarmi su di esso. Quel che sarà prenderò. Ora sto aspettando di sapere il risultato dei vari concorsi. Non so se farò il medico di base, l’internista o il chirurgo. Farò quello dove mi porterà il mio percorso, ma so che lo farò sempre con la speranza di diventare un buon medico. …I miei punti di riferimento oggi nel mio percorso professionale sono mio padre, un obiettivo da eguagliare e me stessa, con i miei sogni, i miei valori e quello che vorrei diventare.” -“Aspetto con ansia che si crei un posto per me come medico di medicina generale, se esisteranno ancora... Ci troviamo adesso in un momento particolare di tagli, manovre e riforme... Quello che proprio non sopporto è vedere come l'interesse politico ed economico di pochi prevarichi l'interesse di molti. Ma si fa tardi. Le mie bimbe mi stanno chiamando per fare colazione. Qualcosa sicuramente succederà.”

Questa mia scelta oggi

-“sono sempre più convinta di aver fatto la scelta giusta; spero e mi aspetto che questo percorso

che ho scelto mi porti a una stabilità e tranquillità maggiore (anche economica) per potermi fare

una famiglia. “

-“Sono molto felice di quello che sono adesso, spero che la mia generazione di Medici di MG che

andranno a sostituire i “vecchi”, vogliano perseguire l’obiettivo di aiutare le persone, rendere loro

la vita migliore, entrare nelle loro realtà, capirle e ascoltarle.”

- “Per questo motivo e per mille altri, a dispetto di tutte le complicazioni che si pareranno sul mio cammino, so

che ho fatto la scelta giusta. E forse l’ho sempre saputo. Non so precisamente dove mi porterà questo mio

cammino, tra l’altro comincio a pensare che sia una delle cose più stimolanti che lo caratterizza, ma so che

andrò avanti.”

-“La mia scelta è voler diventare un buon medico...sperando...di non annoiarmi mai.”

-“Se tornassi indietro? Rifarei questa scelta un milione di volte.”

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-“faccio tesoro di ogni minima esperienza clinica, mi confronto con i colleghi (dai più ai meno giovani), cerco di mettere sempre al centro l'interesse del paziente” -“Sono contento. Sento che tutti gli sforzi assieme alle delusioni e alle gioie mi fanno da piedistallo,

da fondamenta, sono la sopra e con scienza e coscienza cerco di fare del mio meglio nonostante il

periodo di crisi che stiamo attraversando. Sono ancora “piccolo”, ma so che crescerò e che le

insicurezze a poco a poco si attenueranno.”

Citazioni , metafore

“Il secondo tentativo andò a buon fine e felice intrapresi questa odissea. Sì, direi che si addice come termine:

tanti anni a lottare per superare le difficoltà, per cercare di capire quello che studi, per imparare quello che il

prof si vuole sentir dire e per cercare di applicare un minimo quello che pensi di aver imparato”

“Ho imparato che la preparazione professionale senza la capacità empatica è come un carro

dorato senza cavalli.”

“Ho imparato che i libri di studio sono un’astrazione, per quanto accurata, di quello che può essere

una persona. Che ogni persona è un libro da leggere, più o meno interessante, a volte

appassionante.”

“Con meno pregiudizi possibili, perché, come ha detto Einstein: “La mente è come un paracadute.

Funziona solo se si apre.”

“mi sento come un contenitore che seppur pieno è sempre capace di aggiungere materiale ed

elaborare continuamente il contenuto”

“nella mia professione mi aspetto di trovare un forte rapporto umano e di occuparmi dei pazienti a

tutto tondo, di fare, come dire, il direttore d'orchestra affinché l'armonia della persona sia

conservata”.

“talvolta mi immaginavo come un’eroina in un pronto soccorso a salvare vite umane o in africa in un

ospedale da campo”

Classificazione di Kleinman

Nelle narrazioni riportate prevale la componente di illness, sia dal punto di vista del linguaggio

utilizzato, che resta semplice e aperto e non è nascosto da tecnicismi e dal “gergo medichese”, sia

per quanto riguarda i contenuti, ricchi di descrizioni della sfera emozionale vissuta nelle diverse

fasi del percorso universitario e professionale.

Una delle storie più rappresentativa della illness è “Nunquam retrorsum”, sia per il linguaggio che

per il contenuto che mette al centro l’esperienza personale vissuta durante le gravidanze: “Ho

imparato che affrontare e gestire i miei limiti, le mie debolezze, è una delle azioni più importanti

per me stessa e fondamentale nel mestiere di Medico… Il mio Nunquam Retrorsum sono i miei due

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figli ….. Loro sono la rappresentazione vivente che con la tenacia, la passione e la razionalità si può

andare lontano. Ho imparato anche da loro, ovviamente…. le mie esperienze di vita mi facevano

capire che forse ero in grado di affrontare le richieste di aiuto, il dolore degli altri”.”

Solo in una narrazione si sente in maniera preponderante la disease, soprattutto per i contenuti

espressi che sono rappresentativi dell’idea della narratrice della sua professionalità: “Ho scelto di

fare il medico perché volevo imparare un mestiere, che fosse solido e concreto”, di una parte delle

sue motivazioni: “ascoltavo meravigliata il gergo medico che un giorno sarebbe diventato parte

integrante del mio vocabolario quotidiano e mi sentivo orgogliosa di far parte della classe medica…

Mi aspettavo di studiare e lavorare tanto perché l’esempio che ho avuto in famiglia è stato

questo”, degli aspetti che ritiene più importanti da acquisire: “Da questa esperienza ho imparato

quanto sia fondamentale possedere un prontuario pediatrico (che da quel giorno porto sempre con

me)… penso che dovrò anche occuparmi di diagnosticare precocemente, se possibile prevenire

alcune malattie, molto spesso gestire patologie croniche in particolare nell’anziano con tutte le sue

disabilità e problematiche di assistenza… il pz talvolta si aspetta da lui che risolva anche problemi

che esulano di molto la sfera strettamente sanitaria”, fino all’aspettativa principale: “spero e mi

aspetto che questo percorso che ho scelto mi porti a una stabilità e tranquillità maggiore (anche

economica) per potermi fare una famiglia”.

Dalla disease alla illness: contrasto tra la disease dell’ambiente ospedaliero/specialistico e la

illness del contesto di medicina generale

Ricorre in alcune delle narrazioni il contrasto tra le prime esperienze vissute in un ambiente

ospedaliero, durante le prime fasi del percorso formativo e professionale antecedente la scelta di

specializzarsi in medicina generale, ed il contesto dell’ambulatorio sul territorio. I due ambienti e

gli stili di vita professionale conseguenti vengono contrapposti nettamente: l’ambiente

ospedaliero è presentato come disease-centered, un luogo in cui il paziente arriva a “perdere il

volto” per la necessità di concentrarsi sui dettagli clinici e nel contempo far fronte alle gravose

richieste; la medicina generale, secondo il vissuto dei narratori, permette invece di recuperare la

vicinanza con le persone in cura e mantenere un approccio illness-centered. Le prime esperienze

sul campo di questi neo-medici li porta ad un percorso di passaggio da un approccio più focalizzato

sulla disease e la clinica, così come assimilato dagli insegnamenti durante l’università, alla

consapevolezza che tutto questo non basti per curare effettivamente ed efficacemente le persone;

si inizia a scoprire l’importanza della componente relazionale:

“entrata nel corso di Medicina Generale, direi che mi si è aperto davanti agli occhi un altro mondo

rispetto all’ambiente universitario: i colleghi mi hanno fin da subito considerata una di loro, sono

stata accolta molto cordialmente sia dal tutor che nei reparti frequentati e ho cominciato ad

imparare tantissimo in un clima molto più rilassato e produttivo”;

“il tirocinio post-laurea dal Medico di medicina generale fu la mia svolta. Mi piacque da subito.

L’idea di poter avere un contatto col paziente sia dal punto di vista medico che personale-familiare

mi entusiasmò”;

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“Mentre in parallelo facevo esperienza in Medicina Nucleare e rafforzavo le mie conoscenze sul

campo medico, dall’altra le mie esperienze di vita mi facevano capire che forse ero in grado di

affrontare le richieste di aiuto, il dolore degli altri”;

“Quando mi sono laureata ho scelto di fare la tesi a medicina legale, mi piacevano i libri di Key

Scarpetta e l’indagine medico legale, poi frequentando l’istituto mi sono resa conto che sarei

andata a fare “l’avvocato” in mezzo a tante scartoffie e la cosa non mi allettava”;

“Frequentando il distretto ho capito e toccato con mano cosa significhi lavorare sul territorio con

pochi mezzi ed entrare letteralmente in casa delle persone con le loro preoccupazioni, i loro dolori

ed i loro problemi”;

“Il mio primo contatto con il paziente è avvenuto in ambito tirocinio, all'interno di quella grossa

catena di montaggio che è l'ospedale S. Se di contatto con il paziente si può parlare, perchè l'unica

cosa che veniva presa in considerazione in quegli ambulatori era solo la malattia, quel pezzo di

persona che si era guastato e attendeva il nostro onnisciente intervento…Dopo la laurea il mio

percorso sembrava chiaro: fuori dall'ospedale, a indirizzare i pazienti tramite l'attività di medico di

medicina generale, verso un concetto olistico di salute”;

“Per tre anni ho lavorato in laboratorio tra cellule, cavie e provette, portando avanti progetti di

ricerca nell’ambito della neuroendocrinologia ginecologica. Ho pubblicato, insieme al mio gruppo,

diversi lavori su riviste scientifiche nazionali ed internazionali. Poi è arrivato il tanto atteso

momento dell’ingresso in specializzazione. Ho frequentato la scuola di specializzazione in

Ginecologia e Ostetricia dell’Università di P. … Amavo l’odore della sala parto, il buio della stanza

ecografie, il rumore del cardiotocografo, amavo le donne ricoverate in reparto. Eppure

quotidianamente mi scontravo con una realtà ospedaliera troppo “asettica”, totalmente diversa

dalla mia idea di esercizio della professione medica. Per i miei superiori, le pazienti non erano

donne, non erano madri, erano solo numeri. Non c’era tempo per parlare, conoscere, capire la

paziente. C’era solo un breve lasso di tempo intercorrente tra la visita e l’azione. Le decisioni

venivano prese secondo protocolli fissi, standardizzati, che non tenevano conto della diversità

interindividuale. Di fronte alle urgenze (un distacco intempestivo di placenta, una brutta

decelerazione in un tracciato cardiotocografico) la donna perdeva il suo volto. La corsa in sala

cesareo non lasciava tempo a spiegazioni. Tutto era tecnicamente ineccepibile, ma freddamente

spersonalizzante. Forse è così che si deve lavorare in un grande centro di 3° livello. Iniziai a pensare

che io non avrei potuto certo condurre quel tipo di vita: il prezzo da pagare era troppo alto…Ho

definitivamente capito che quella che avevo intrapreso non era la mia strada. Ho trascorso brutti

momenti in quei mesi di transizione: non è facile ammettere di aver sbagliato. Non è facile

rimettersi in discussione, ricominciare tutto da capo. In quel periodo un caro amico di famiglia,

medico di medicina generale, mi ha invitato a frequentare il suo ambulatorio. Insieme a lui, giorno

dopo giorno, ho fatto pace con la medicina, ho ritrovato i perché delle mie vecchie scelte. Ho

interrotto la specializzazione, con grande rammarico di mia madre che già mi vedeva ginecologa.

Non mi vanto di essermene andata, ma non avrei potuto fare altrimenti. Quando mi sono iscritta

al corso di Formazione Specifica in Medicina Generale, avevo ben chiaro cosa mi ero lasciata alle

spalle, e cosa andavo cercando. Non mi interessavano lezioni illuminanti e cattedratiche. Volevo

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solo capire, cambiare atteggiamento mentale, acquisire un metodo di lavoro diverso da quello a

cui ero stata addestrata negli anni universitari. Volevo diventare un medico “di fiducia”, assicurare

ai miei pazienti alti standard di relazione, oltre ad un buon livello di assistenza clinica. Da qui il mio

interesse crescente per le tematiche relazionali, che nei tre anni di corso sono state ampiamente e

sapientemente trattate”.

“Ho frequentato Ospedali, ambulatori ed ho partecipato a progetti di ricerca che mettevano il mio

nome tra tanti, in uno dei numerosi articoli che ogni giorno vengono sfornati dalle Università di

tutto il mondo. Qualcosa di impersonale, che non mi metteva direttamente in contatto con la vita

delle persone. Le persone hanno una vita oltre alla malattia che li spinge a presentarsi negli

ambulatori. E questo, purché banale, spesso negli ospedali passa in secondo piano”.

Classificazione di Frank

Nelle narrazioni è molto presente la quest, ovvero la componente della riflessione scaturita dal

percorso di formazione raccontato. Bisogna però considerare che è stata indotta dalla traccia di

storia, in quanto obiettivo specifico del project work:

“Sto imparando che ci vuole molta pazienza, molta più di quanta pensassi”;

“l’unica vera crescita professionale la si fa lavorando, entrando nelle case della gente, ascoltando

le persone, i familiari, i malati, la loro realtà sociale. Sono molto felice di quello che sono adesso”;

“Ho imparato che non esistono soluzioni facili e immediate ai problemi, spesso si devono

intraprendere percorsi lunghi e incerti, avendo la mente libera da schemi rigidi e aperta a ogni tipo

di soluzione, a volte anche solo per dire a se stessi “ci ho provato”…Ho imparato che a volte cercare

di lenire il dolore, psichico o fisico che sia, è un punto di partenza fondamentale nella cura di una

persona…Ho imparato che la preparazione professionale senza la capacità empatica è come un

carro dorato senza cavalli… ho imparato che a volte il modo di non arrendersi è anche cambiare

via, farsi altre domande, creare terreno fertile per altre soluzioni. Non uno stare ferma immobile a

prendere a testate un muro”;

“Questa esperienza si sta rivelando molto importante nella mia formazione. Frequentando il

distretto ho capito e toccato con mano cosa significhi lavorare sul territorio con pochi mezzi ed

entrare letteralmente in casa delle persone con le loro preoccupazioni, i loro dolori ed i loro

problemi”;

“Trovarsi alle cinque del mattino su un caso di tentato suicidio ,scoprirsi a parlare con una perfetta

sconosciuta riuscendo a farle strappare anche una risata è solo una delle esperienze che ho avuto e

che avrò; tutto questo riesce a riempire un bagaglio di emozioni e insegnamenti che forse al

termine della vita possiamo avere noi medici e poche altre figure professionali”.

-Giorno dopo giorno, sto imparando quello che l’università non è riuscita a trasmettermi. Innanzitutto impari la differenza tra i vari piani: all’inizio per una banale febbre e tosse vai a pensare alle malattie più disparate, anche se poi alla fine è solo una banale influenza oppure ti spaventi allo stesso modo per una dolenzia addominale o per un aneurisma dell’aorta in rottura.

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Sto imparando che talvolta bastano terapie semplici per risolvere problemi che sembrano talvolta complessi e che si risolvono tranquillamente da soli. Ho imparato che in questo lavoro ci sono anche i lati negativi e che non siamo “eroi”. Devi scontrarti tutti i giorni con persone ottuse, che non sanno apprezzare o non capiscono il tuo lavoro, e con la sofferenza fisica e psichica.

“Alla fine di questi due anni, posso dire di non aver nessun rimpianto di non esser entrata subito in

specializzazione, anzi mi è servito a crescere e a capire che sarei voluta diventare un medico a tutto

tondo prima di mettermi i “paraocchi” da specialista”

Viene qualche volta anche descritto il chaos lungo il percorso di formazione o delle prime

esperienze professionali, dato dalle difficoltà a far fronte al grande e lungo impegno di studio e ad

approcciarsi ai pazienti le prime volte:

“Gli anni di Università furono durissimi pieni di insoddisfazioni, frustrazioni, delusioni,

patimenti...insomma non auguro a nessuno studente di fare la mia carriera universitaria. Non so

ancora come ho fatto ad uscirne sano di mente: presi il blocco del 3°anno, per 2 anni non riuscivo a

fare gli esami propedeutici per continuare il percorso. Ogni esame era una fatica, nottate a

studiare, pessima organizzazione, insicurezza e voti sul libretto che rispettavano alla fine quella che

era l'effettiva preparazione…rallentavo….. le prime Guardie Mediche furono un incubo…non avevo

la benché minima idea di cosa fosse davvero questa realtà. Io che fino a pochi mesi prima sapevo in

pratica solo misurare pressioni, mi trovavo davanti la vita reale, le persone che non respiravano,

che avevano dolori toracici, che morivano”;

“Le mie aspettative si sono concretizzate due anni fa e devo dire che sono state più difficili del

previsto, finito il triennio di medicina generale la titolarità di g.m e la convenzione sono arrivate

velocemente e poi i pazienti ma la responsabilità, è stata un fardello pesantissimo due anni di

stanchezza perenne, arrivare a casa e sentirsi distrutta la notte riportare i problemi del lavoro e

pensare…pensare… Ho sbagliato? Ho fatto bene… ci sarà rimasta male… avrò detto tutto…

ecc.ecc”;

“non nascondo che in certi momenti, penso che sia capitato a tutti noi medici, mi sono soffermato

nel silenzio della mia auto quando tornavo dall’ospedale a chiedermi se fossi in grado di

sopportarlo”;

“Purtroppo il tanto atteso concorso per alcune dinamiche e circostanze non è andato come avrei

sperato e, forse, meritato. E’ stato sicuramente il momento più difficile della mia strada e forse

quello in cui le mie convinzioni hanno vacillato di più, offuscate dalla rabbia e dalla delusione e da

una situazione personale al tempo non facile”;

“I primi anni di università sono stati purtroppo un po' disordinati ,perdevo tempo, non avevo voglia

di applicarmi, forse perché il mio percorso scolastico era stato fino a quel momento

eccessivamente pesante, avevo scoperto un mondo nuovo dove potevo anche divertirmi...forse fin

troppo i primi anni....”.

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“Ho definitivamente capito che quella che avevo intrapreso non era la mia strada. Ho trascorso

brutti momenti in quei mesi di transizione: non è facile ammettere di aver sbagliato. Non è facile

rimettersi in discussione, ricominciare tutto da capo”.

Classificazione di Launer

Le narrazioni si suddividono tra una parte che è tra lo stable e il progressive, perché viene

raccontato un percorso che sta ancora cercando la via per svilupparsi al meglio e si cerca di

dipanare i dubbi e le incertezze che ancora persistono:

“Immagino il mio futuro percorso molto tortuoso, pieno di incognite, non so se tra un anno sarò

sempre qui a fare i miei lavoretti che mi consentono la mia indipendenza e farmi le ossa, o sarò

lontana da casa e da tutti per fare una specializzazione. Tutto sommato la mia odissea non è

ancora finita”;

“Il futuro non lo vedo roseo, al momento: mi immagino gravata da un fardello sempre più pesante

di responsabilità aliene al mio lavoro e sempre più lontana dalla vera professione”;

“Sto imparando a confrontarmi con i pazienti nel modo più consono ma non è facile”;

“Il mio futuro è ad oggi nebuloso ,non conosco la direzione precisa di quella che sarà la nuova

Medicina generale, sinceramente mi auguro che possa essere considerata come punto centrale e

insostituibile nella gestione del paziente. La mia scelta è voler diventare un buon

medico...sperando...di non annoiarmi mai”;

“Aspetto con ansia che si crei un posto per me come medico di medicina generale, se esisteranno

ancora.... Ci troviamo adesso in un momento particolare di tagli, manovre e riforme... Quello che

proprio non sopporto è vedere come l'interesse politico ed economico di pochi prevarichi l'interesse

di molti... Qualcosa sicuramente succederà”.

C’è poi un’altra metà di narrazioni che si può definire esclusivamente progressive, per la

soddisfazione espressa rispetto alla scelta professionale e alle prime esperienze in corso:

“a dispetto di tutte le complicazioni che si pareranno sul mio cammino, so che ho fatto la scelta

giusta. E forse l’ho sempre saputo. Non so precisamente dove mi porterà questo mio cammino, tra

l’altro comincio a pensare che sia una delle cose più stimolanti che lo caratterizza, ma so che andrò

avanti. Sempre sulla mia strada”;

“Sono molto felice di quello che sono adesso”;

“mi sento come un contenitore che seppur pieno è sempre capace di aggiungere materiale ed elaborare continuamente il contenuto. Non ho dubbi sul fatto che la mia scelta di Medicina e Chirurgia sia dipesa soprattutto da questa curiosità di conoscere, di capire quello che sconfina da me, quello che è diverso da me, notare e cercare un significato alle somiglianze e alle differenze tra le persone”.

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“Il futuro…Ci penso non lo nego, ma ho imparato a non fossilizzarmi su di esso. Quel che sarà prenderò. Ora sto aspettando di sapere il risultato dei vari concorsi. Non so se farò il medico di base, l’internista o il chirurgo. Farò quello dove mi porterà il mio percorso, ma so che lo farò sempre con la speranza di diventare un buon medico. Se tornassi indietro? Rifarei questa scelta un milione di volte.”

Frequenza di parole significative

Nella scelta delle parole più frequenti abbiamo privilegiato le parole riferite alle persone ed al

lavoro e quelle relative ai verbi.“Medico” e “Paziente” sono ai primi posti seguiti da “persona”, il

“lavoro” precede la “professione”, la “ famiglia” precede “i colleghi”, “cura” ,“rapporto”,

“contatto” sono agli ultimi posti. Gli studi universitari privilegiano gli aspetti clinici rispetto a quelli

relazionali ed i giovani medici, da poco usciti dall’Università, rivelano proprio questo aspetto: sono

molto informati sulle patologie e su come trattarle ma poco sanno di relazioni e comunicazione.

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medico

paziente

persona/e

lavoro

famiglia

scelta

professione

colleghi

cura

rapporto

contatto

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Dall’analisi dei verbi “sono” precede “ero” e “avrei”, “fare” precede “essere”, seguito a distanza da

“ dare”, “capire”, “dire”, “diventare”, “avere”. Sembra che il giovane medico abbia bisogno della

affermazione del sé come persona ma anche il “fare” nella professione rispetto all’ “avere” .

Considerare il mestiere di medico come lavoro è importante ma l’ “avere” rispetto all’ “essere”

viene messo in secondo piano.

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RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Inizialmente c’è stata qualche difficoltà da parte dei giovani medici a mettersi in gioco. Sono state

raccolte, infatti,nel frattempo, dieci storie di volontari clown , pensando eventualmente di

considerare queste nel Project work, se i racconti dei medici fossero stati insufficienti. Dopo vari

stimoli e dopo aver inviato loro anche la mia storia, hanno risposto dodici medici. La difficoltà

iniziale è stata ampiamente compensata dalla lettura dei testi che sono stati inviati: intensi e

coinvolgenti, pieni di informazioni e proposte. La figura di medico che appare dai racconti è quella

di un professionista che, pur con incertezze e ripensamenti,con un bagaglio di nozioni ma anche di

storie di vita personali che lo hanno arricchito, è capace di prendersi cura, a tutto tondo dei propri

pazienti sia dal punto di vista clinico che relazionale. Gli aspetti burocratici, la spersonalizzazione di

certi ambienti di lavoro non aiuta. Ecco perché la voce di questi medici e degli altri professionisti

deve continuare a risuonare per poter, come dice una giovane dottoressa “ cambiare il mondo” e

per tener presenti i valori fondamentali della professione di aiuto come auspica un giovane medico

“Sono molto felice di quello che sono adesso, spero che la mia generazione di Medici di MG che

andranno a sostituire i “vecchi”, vogliano perseguire l’obiettivo di aiutare le persone, rendere loro

la vita migliore, entrare nelle loro realtà, capirle e ascoltarle.”

Grazie a tutti i medici che hanno partecipato ed allo staff dell’ISTUD, in particolare a Paola

Chesi, che ci ha seguite, da vicino, in questo percorso.

RACCONTI

1)

La mia odissea

La scelta della laurea

Ho scelto di fare il medico perché volevo sentirmi utile, in particolare per la mia famiglia, e poi mi ha sempre affascinato l’idea di capire come funziona un corpo e riuscire a farlo funzionare. Ho sempre avuto le idee ben chiare in merito e al Liceo ho solo rafforzato le mie convinzioni. Andai ai corsi di orientamento sia in IV che in V liceo in cui invece di spiegarmi come funziona l’università, come è organizzata, come scegliere la facoltà ecc. si limitavano a dirti “non lo fare, non c’è lavoro”; vero o non vero sono andata avanti per la mia strada. Il primo concorso non andò bene, non entrai per pochissimi posti, quindi mi rimboccai le maniche, mi iscrissi a un’altra facoltà che mi avrebbe permesso eventualmente di recuperare gli esami fatti. Il secondo tentativo andò a buon fine e felice intrapresi questa odissea. Sì, direi che si addice come termine: tanti anni a lottare per superare le difficoltà, per cercare di capire quello che studi, per imparare quello che il prof si vuole sentir dire e per cercare di applicare un minimo quello che pensi di aver imparato. Mi aspettavo di imparare di più, mi aspettavo una formazione a trecentosessanta gradi, non solo accademica, non solo classificazioni o meccanismi patogenetici che una volta dato l’esame elimini per far spazio a nuove nozioni. Il mio primo contatto con il paziente è stato durante il tirocinio di psichiatria in cui fui lasciata, direi proprio abbandonata, con una povera paziente che per venti minuti continui non faceva altro che chiedere “la sonda” per andare in bagno……..in quel momento ho avuto conferma

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che la psichiatria non era il mio forte, il mio unico pensiero era quello di uscire dal reparto chiuso indenne.

Dopo la laurea

Quando mi sono laureata è arrivato il momento della scelta della specializzazione. O meglio, la mia scelta l’avevo fatta: mi ero inserita per fare la tesi in un reparto di ginecologia oncologica. Inizialmente ero dubbiosa dato che puntavo a frequentare un reparto ginecologico “ordinario” e invece alla fine sono stata lì due anni. Col senno di poi sono contenta sia andata così, era una sorta di piccola medicina interna, molto piccola ma sicuramente più utile che passare due anni a vedere ecografie morfologiche che, se non diventi ginecologo, ti servono a poco. Non era tutto rosa e fiori, ci son state situazioni forti: ricordo una ragazza di circa 30 anni, paziente del Prof da una decina di anni, fissa lì perchè ricadeva ogni volta. Ricordo anche una ragazzina di 17 anni con un tumore che penso non ritroverò mai più in vita mia (tumore di Triton) che si è spenta nel giro di pochissimi mesi. Un episodio che mi ha fatto riflettere, sempre nel reparto in cui frequentavo per la tesi, è stato quando ho visto una paziente giovane, circa 40 anni, che dopo il primo ciclo di chemioterapia ha firmato per non continuare...ho provato tanta rabbia, perchè così facendo si è “condannata a morte”..... però è così, c’è chi lotta fino all’ultimo, c’è la ragazzina di 17 anni che ti dice “anche io da grande voglio medicina” e due mesi dopo non c’è più, c’è chi nemmeno ci prova. Sto imparando che ci vuole molta pazienza, molta più di quanta pensassi.

Nella mia professione mi aspetto di trovare tanti altri ostacoli, che siano concorsi, che siano notti in bianco, che siano arrabbiature ci saranno e saranno costruttive, almeno spero, come dice Pirandello “gli esami non finiscono mai” , però arriveranno anche le soddisfazioni, anzi qualcuna è già arrivata, alla fine basta pochino per farti sentire che hai lavorato bene, che hai saputo fare qualcosa di utile.

Le persone in cura da me si aspetteranno il meglio, si aspetteranno che io sappia risolvere sempre tutto, a volte anche faccende non mediche, qualcuno pretenderà che io faccia semplicemente quello che a loro torna comodo, o che abbia la risposta per tutto; un episodio ricorrente, che capita molto più spesso in guardia medica, è quando ti chiedono di “venire a dare un’occhiata” perché “sa, entriamo nella notte”, come se tu avessi il potere tale per cui una volta visto non possa più accadere nulla e tu con timore rispondi “al momento sta bene”. Un episodio spiacevole è stato in uno dei miei primi turni di guardia, un uomo di 40 anni che aveva solo febbre dal giorno precedente e un’ora dopo la mia visita è morto per arresto cardiaco, io lo avevo mandato a casa con la prescrizione dell’antibiotico perché durante la visita non era emerso nulla e ora questo spauracchio mi accompagna fedelmente durante i miei turni di guardia.

Con i colleghi ho un buon rapporto, li ho sempre trovati molto disponibili a insegnarmi.

Immagino il mio futuro percorso molto tortuoso, pieno di incognite, non so se tra un anno sarò sempre qui a fare i miei lavoretti che mi consentono la mia indipendenza e farmi le ossa, o sarò lontana da casa e da tutti per fare una specializzazione.

Tutto sommato la mia odissea non è ancora finita.

2)

UNA SCELTA SCONTATA

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Figlia di un’infermiera, primogenita di tre, si può dire che fin da piccola ho avuto familiarità con i

concetti di cura e responsabilità.

La mia famiglia ha sempre avuto rapporti di cordiale amicizia con molti medici e infermieri,

compreso naturalmente il nostro medico curante, che condivideva con mio padre la passione per la

barca a vela.

Decine di volte siamo usciti in mare con lui e con la sua famiglia, in un clima di confidenza e

divertimento.

Lui restava però “il Dottore”, guai a dare del tu, impensabile chiamarlo per nome, sempre il

massimo riguardo da parte di tutti. Seppure in costume da bagno come tutti noi, sebbene fosse un

uomo gioviale e scherzoso, era sempre circondato da un’aura di autorità e saggezza.

Ancora più affascinanti erano le dottoresse che incontravo e conoscevo. Ancora a quei tempi una

donna che si dedicava a questa professione veniva considerata una “tosta”, quasi una pioniera,

soprattutto se aveva famiglia e ci si chiedeva un po’ ipocritamente, come qualcuno fa ancora oggi,

come facesse a conciliare lavoro e vita privata.

Quindi la mia scelta è stata quasi scontata, potrei dire che ho mangiato pane e medicina fin da

ragazzetta.

Non ricordo un particolare episodio decisivo nel mio percorso di scelta degli studi, è stato più un

insieme di esperienze e sensazioni, quasi come se avessi davanti una via già tracciata.

Il primo impatto con l’ambiente universitario non è stato tenero, non tanto per l’impegno e i

sacrifici richiesti, già preventivati e non molto diversi da come ero abituata al Liceo, quanto per i

rapporti con i colleghi, che non sono stati da subito improntati a grande simpatia: avevo

l’impressione di essere circondata da scostanti “primi della classe”, almeno fino a che nel giro di

qualche mese mi sono creata un piccolo gruppo di amici più simili a me.

Il primo contatto con il paziente è stato sicuramente caratterizzato da grande imbarazzo: quel

povero signore allettato, circondato da venti camici bianchi, apostrofato con severità dal

professore e “costretto” a farsi posare sulla pancia decine di mani estranee, più o meno esperte, più

o meno delicate. Sensazione che si è velocemente dissolta di fronte alla necessità e alla voglia di

imparare il più possibile, cercando sempre però di non perdere d’occhio l’umanità e la sensibilità

del malato.

Alla fine del percorso mi sono ritrovata un po’ meno “secchiona” e un po’ più umana e imperfetta:

con un bel pancione di otto mesi e i piani tutti scombinati ho dato gli ultimi esami.

Il rapporto con il paziente si era fatto molto più equilibrato: niente più imbarazzo, partecipazione e

comprensione, ma anche gli indispensabili “paletti”.

Dopo la laurea, entrata nel corso di Medicina Generale, direi che mi si è aperto davanti agli occhi

un altro mondo rispetto all’ambiente universitario: i colleghi mi hanno fin da subito considerata

una di loro, sono stata accolta molto cordialmente sia dal tutor che nei reparti frequentati e ho

cominciato ad imparare tantissimo in un clima molto più rilassato e produttivo.

Il mio incontro più significativo con un paziente è stato anche il più triste, un ragazzo giovane che

poco dopo se n’è andato; non saprei descrivere nei particolari il motivo, ma con lui è stato subito

amore reciproco a prima vista e con la sua mamma anche, tanto che tuttora siamo molto amiche.

La dignità di questa donna mi ha certamente facilitata e aiutata in quel poco che ho potuto fare per

il suo sfortunato figlio: una medicina per il medico.

Quello che mi aspetterei attualmente dalla mia professione è tragicamente diverso da ciò che viene

richiesto al medico oggi: la burocratizzazione di ogni attività, i sempre maggiori impegni che

nulla hanno a che vedere con la clinica o con il rapporto medico-paziente stanno mettendo a dura

prova il mio amore per questo lavoro.

Il fatto di esercitare in un piccolo paese forse è un bene, mi aiuta a tenere il tutto in una

dimensione un po’ più umana, a non perdere di vista la vita e i bisogni di tutti i giorni degli

assistiti e delle loro famiglie, con il rovescio della medaglia di una vita sempre “in vetrina”.

Con i colleghi non ho mai avuto grandi problemi, considero la maggior parte di loro persone

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corrette e solidali, a dispetto del clichè che vuole ciascuno di noi impegnato solo nel proprio

orticello.

Il futuro non lo vedo roseo, al momento: mi immagino gravata da un fardello sempre più pesante

di responsabilità aliene al mio lavoro e sempre più lontana dalla vera professione.

Anche se non mi posso dire “anziana”, spero nei giovani, che portino tanto entusiasmo e abbiano

abbastanza grinta per recuperare almeno qualcosa di quella che una volta era la professione più

appagante del mondo.

3)

TITOLO

Ho scelto di fare il medico… perché volevo imparare un mestiere ,che fosse solido e concreto.

Un episodio che ritengo essere stato decisivo/significativo nella scelta del mio percorso professionale..

Ero ancora ai primi anni di università, chimica e fisica sembravano ostacoli insormontabili per me che

venivo dal liceo classico, una sera sentii mio babbo, anche lui medico, che dopo una lunga giornata di lavoro

parlava al telefono con un collega di un caso difficile.. ascoltavo meravigliata il gergo medico che un giorno

sarebbe diventato parte integrante del mio vocabolario quotidiano e mi sentivo orgogliosa di far parte della

classe medica.

Mi aspettavo di …studiare e lavorare tanto perché l’esempio che ho avuto in famiglia è stato questo; i

pronostici non sono stati disattesi.

Il primo contatto con il paziente …è avvenuto appena laureata con le prime responsabilità lavorative come

guardia medica. Si trattava di un bambino di appena due anni e della sua mamma con cui ebbi una

discussione dai toni molto accesi.. che per fortuna si è risolta a mio favore e con poco danno per il piccolo

paziente se non quello di aver trovato una dottoressa alle prime armi e un po’ inesperta di formulazioni

pediatriche…

Da questa esperienza ho imparato.. quanto sia fondamentale possedere un prontuario pediatrico (che da

quel giorno porto sempre con me) e molte altre cose…è stato come il battesimo del fuoco per me che fino

al giorno prima ero stata unicamente con la testa china sui libri e per la prima volta mi approcciavo al

complesso rapporto psicologico medico-pz, e forse alla vita vera stessa!

Quando mi sono laureata è arrivato il momento della scelta… scelsi di fare la tesi di laurea presso il reparto

di geriatria; perché ,per quanto avessi le idee ancora parecchio confuse sul mio futuro professionale,

sapevo che prima di tutto avrei voluto diventare un buon medico generalista emi sembrava che geriatria

mi preparasse a questo scopo meglio di altre branche .

Un episodio che ritengo sia stato decisivo/significativo nella scelta del mio percorso professionale

Non ci sono dei veri e propri eventi decisivi a tal proposito.

Attualmente mi sto preparando a….letteralmente a tutto! non so come cambierà nel futuro la professione

del medico, in particolare il medico generico che io vorrei intraprendere; non so dove potrò esercitarla ne

se mi saranno richieste competenze aggiuntive.. per cui non escludo la possibilità di frequentare

successivamente un corso di specializzazione e di imparare una nuova lingua.

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I miei rapporti con il tutor… purtroppo non credo di aver ancora trovato una figura di riferimento; però i

miei rapporti con figure professionali docenti sono più costruttivi: oggi ciò che non so è occasione di

approfondimento e fonte di dialogo senza imbarazzo.

Nella mia professione mi aspetto di trovare alcuni lati noiosi e molti atti burocratici, cose di cui non so

assolutamente niente e tantissime persone che hanno un disperato bisogno di parlare ,ma penso che dovrò

anche occuparmi di diagnosticare precocemente, se possibile prevenire alcune malattie, molto spesso

gestire patologie croniche in particolare nell’anziano con tutte le sue disabilità e problematiche di

assistenza.

Le persone in cura da me si aspetteranno.. nella mia esperienza della medicina ambulatoriale ho potuto

constatare che quando instaura un buon rapporto fiduciario con il proprio medico, il pz talvolta si aspetta

da lui che risolva anche problemi che esulano di molto la sfera strettamente sanitaria.

I miei punti di riferimento oggi nel mio percorso professionale sono i tutor e i docenti del mio corso di

formazione nonché i miei colleghi con i quali ho instaurato un rapporto di collaborazione costante e

diretta.

La mia scelta di oggi… sono sempre più convinta di aver fatto la scelta giusta; spero e mi aspetto che

questo percorso che ho scelto mi porti a una stabilità e tranquillità maggiore (anche economica) per

potermi fare una famiglia.

4)

MEDICO...PER CASO

La scelta della laurea

Ho scelto di fare il medico….perchè...i miei migliori amici del liceo volevano fare Medicina e perchè

mia mamma aveva sempre sognato che facessi il lavoro di suo marito (cioè mio padre!), chirurgo

molto apprezzato nel circondario e grande esempio di umanità e professionalità. Io avevo la

passione per il disegno, volevo fare l'architetto. E invece mi iscrissi a Medicina

Il giorno dell'esame di ammissione fu tragico. Aule stracolme di studenti, noi “empolesi ci

sedemmo tutti accanto in fondo ad un'aula per vedere di riuscire a scopiazzare..ma dopo neppure

mezz'ora dall'inizio del test fui spostato di posto dalla professoressa Farnararo di biologia..-

”lei!con la maglia a stelle!venga qua”-non potevo crederci, diceva proprio a me. Mentre

attraversavo l'aula pensai che Medicina non faceva per me, che non ce l'avrei mai fatta a passare il

test e quindi dovevo rassegnarmi. Feci il test accanto a lei, alla cattedra, tra la vergogna e la rabbia

di chi è stato punito ingiustamente. Ricordo sempre la risata di mio padre quando gli raccontai

che, alla domanda su chi avesse inventato il vaccino per il vaiolo, avevo risposto:“Galeno”.

Arrivai 154 esimo. Ero tra i 220 aspiranti medici

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Gli anni di Università furono durissimi pieni di insoddisfazioni, frustrazioni, delusioni,

patimenti...insomma non auguro a nessuno studente di fare la mia carriera universitaria. Non so

ancora come ho fatto ad uscirne sano di mente: presi il blocco del 3°anno, per 2 anni non riuscivo

a fare gli esami propedeutici per continuare il percorso. Ogni esame era una fatica, nottate a

studiare, pessima organizzazione,insicurezza e voti sul libretto che rispettavano alla fine quella che

era l'effettiva preparazione..rallentavo;mi trasferii a Firenze in pratica “scappando”di casa; cercai

lavoro a Firenze per pagarmi l'affitto. Mi ero messo in testa di fare il Neuropsichiatra infantile :

frequentai il reparto per 3 mesi al CTO, e pensando di unire l'utile al dilettevole iniziai col fare

l'educatore per un ragazzo autistico. Avevo bisogno di soldi per pagarmi l'affitto e volevo lavorare

in un ambito che, in quel momento non sembrava essere troppo lontano da quello che ,sempre in

quel momento, pareva essere il mio futuro. L'esperienza fu molto intensa ma devastante e di

dilettevole c'era veramente poco. Non ero assolutamente adatto al tipo di lavoro e l'autismo, o

almeno quello che ho conosciuto io, è veramente un mondo a parte, in cui la medicina conta

relativamente poco e in cui, per fare l'educatore ci vogliono doti personali, e non scientifiche, che

io sicuramente non avevo.

Lavorai in Ikea per quasi 3 anni. Nonostante smisi praticamente di dare esami fu un'esperienza

bellissima, che sicuramente rifarei. Mi aiutò molto, caratterialmente ed economicamente. Ma

soprattutto capii che, nonostante avessi ancora molti esami da fare, non avrei mai potuto finire

nella scatola giallo-blu..o meglio: avevo stima per chi lavorava là dentro,alcune mansioni erano

molto faticose;la maggior parte delle persone erano senza laurea, per loro il meglio che potessero

avere era un contratto in quel posto. Per me quello non era il meglio, era una parentesi, lo sentivo.

Ikea in quel momento aveva bisogno di me e io di “lei” ma sapevamo entrambi che un giorno ci

saremmo lasciati..senza rancore. Ma mentre Ikea senza di me andò avanti alla grande, io dovetti

vedermela col mio presente: avevo 33 anni, non volevo accettare l'idea di non finire l'università,

ma di fatto dovevo prendere una decisione. Furono 2 anni pesanti, ripresi in mano tutto, libri,

appunti, libretto e soprattutto coraggio. Tanto. Trovai un luogo ideale, la Casa dello studente,

studiavo la sera dopo cena fino a tardi, ricominciai a dare esami, uno dopo l'altro. Con pause,

anche di mesi;ma non mi fermai più. Scelsi una tesi in Radiologia, non perchè mi piacesse molto la

specialità ma perchè era una tesi breve, che , grazie all'aiuto di un mio amico radiologo svolsi in

poco tempo ed esposi tra l'altro molto bene il fatidico 21/10/2010 in Aula Magna. Mi laureai a 35

anni, con un atipico “100/110”. I miei vecchi compagni ormai avevano già finito la specializzazione,

eppure quel giorno mi sentii all'altezza di tutti. Fu un giorno meraviglioso, un grande trionfo per

me. Senza la mia famiglia non avrei mai potuto finire questo percorso,soprattutto

economicamente,ma quel giorno fu il MIO trionfo. Ce l'avevo fatta. Se penso a qualche anno fa

non so ancora come abbia fatto. Posso dire senza vanità che laurearsi a 35 anni è molto più

difficile che a 26, almeno per quel che riguarda la Facoltà di Medicina e Chirurgia a Firenze.

Da li fu tutta una discesa...nonostante non avevo nessuna idea di come poter fare il Medico, il

tirocinio post-laurea dal Medico di medicina generale fu la mia svolta. Mi piacque da subito. L’idea

di poter avere un contatto col paziente sia dal punto di vista medico che personale-familiare mi

entusiasmò. Tuttavia le prime Guardie Mediche furono un incubo..non avevo la benché minima

idea di cosa fosse davvero questa realtà. Io che fino a pochi mesi prima sapevo in pratica solo

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misurare pressioni,mi trovavo davanti la vita reale, le persone che non respiravano, che avevano

dolori toracici, che morivano..

Iniziai con le mie prime sostituzioni, le ansie piano piano si placavano. Arrivavano i complimenti

degli anziani che la maggior parte delle volte volevano solamente essere ascoltati. il timore di

sbagliare e di non saper affrontare cose che sembravano più grandi di me era sempre minore e i

consigli preziosi dei miei colleghi piu “grandi”, i Medici di Medicina generale che sostituivo mi

facevano crescere. Entrai nel Corso di Mecicina Generale, adesso sono al terzo anno e finalmente

a novembre sarò un Medico Di MG. Entrare al corso è stato il coronamento di un percorso, ma il

Corso in sé, non è stato come mi aspettavo. In realtà l’unica vera crescita professionale la si fa

lavorando, entrando nelle case della gente, ascoltando le persone, i familiari, i malati, la loro realtà

sociale.

Sono molto felice di quello che sono adesso, spero che la mia generazione di Medici di MG che

andranno a sostituire i “vecchi”, vogliano perseguire l’obiettivo di aiutare le persone, rendere loro

la vita migliore, entrare nelle loro realtà, capirle e ascoltarle.

5)

NUMQUAM RETRORSUM

Ho imparato molto dalle persone. Prima di tutto perché sono curiosa di conoscere gli

altri, il loro modo di vivere, di pensare, di agire e reagire. In secondo luogo perché mi

sento come un contenitore che seppur pieno è sempre capace di aggiungere materiale

ed elaborare continuamente il contenuto.

Non ho dubbi sul fatto che la mia scelta di Medicina e Chirurgia sia dipesa soprattutto

da questa curiosità di conoscere, di capire quello che sconfina da me, quello che è

diverso da me, notare e cercare un significato alle somiglianze e alle differenze tra le

persone. L’altro motivo è che per me creare un collegamento con un’altra persona per

cambiarle in qualche modo la vita è una sfida, quando vinta un orgoglio, quando

persa un motivo di riflessione.

Ho imparato dalle persone sia nella vita privata sia nell’esercizio del mio mestiere,

ma non sono stata pronta ad affrontare le esigenze e il dolore altrui fino a che non

sono stata io stessa una paziente, attraversando un percorso difficile, che ha richiesto

molte risorse e mi ha fatto capire che ascoltare ha un peso enorme nel nostro

mestiere.

La mia prima scelta è stata la Medicina Nucleare, una specialità molto innovativa e in

crescita continua rispetto alla Radiologia Tradizionale, rappresentando un’altra sfida

interessante che stuzzicava la mia curiosità. Confesso che lo scarso contatto con il

paziente mi rassicurava, le poche guardie mediche che avevo fatto mi avevano messo

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a confronto con utenti spesso arroganti, troppo esigenti e prepotenti, inoltre per la mia

scarsa esperienza clinica non mi sentivo all’altezza di azzardare diagnosi con così

pochi mezzi a disposizione.

Ho imparato che affrontare e gestire i miei limiti, le mie debolezze, è una delle azioni

più importanti per me stessa e fondamentale nel mestiere di Medico.

Quando mi sono ritrovata dall’altra parte, come paziente, ho imparato che la

percezione dello stesso problema è profondamente diversa tra chi lo vive

personalmente e chi per professione è chiamato a studiarlo e se possibile risolverlo.

Ho imparato che non esistono soluzioni facili e immediate ai problemi, spesso si

devono intraprendere percorsi lunghi e incerti, avendo la mente libera da schemi

rigidi e aperta a ogni tipo di soluzione, a volte anche solo per dire a se stessi “ci ho

provato”.

Ho imparato che a volte cercare di lenire il dolore, psichico o fisico che sia, è un

punto di partenza fondamentale nella cura di una persona.

Ho imparato che la preparazione professionale senza la capacità empatica è come un

carro dorato senza cavalli.

Tutto questo l’ho imparato perdendo spontaneamente cinque bambini nel primo

trimestre di gravidanza. Ho registrato ogni risposta mi fosse data, qualcuna

pertinente, qualcuna assolutamente poco calzante con la mia situazione, comunque

pochi hanno capito che le parole di empatia, che non sminuissero né sottovalutassero

il mio vissuto, facevano parte delle mie richieste come paziente, facevano parte della

cura stessa.

Mi sono ripromessa che agirò con i miei assistiti così come avrei voluto che agissero

con me.

La mia massima preferita è Numquam Retrorsum, mai indietreggiare, sia perché

motto tradizionale di una delle squadre di Tramontana del Gioco del Ponte di Pisa, sia

perché per mio modo di essere non mi arrendo mai. Con la saggezza degli anni ho

imparato che a volte il modo di non arrendersi è anche cambiare via, farsi altre

domande, creare terreno fertile per altre soluzioni. Non uno stare ferma immobile a

prendere a testate un muro.

Il mio Nunquam Retrorsum sono i miei due figli ….o e ….a. Loro sono la

rappresentazione vivente che con la tenacia, la passione e la razionalità si può andare

lontano.

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Ho imparato anche da loro, ovviamente. Mi hanno insegnato a cercare di

comprendere il loro disagio dal linguaggio non verbale, a mettermi nei loro panni per

cercare davvero di andare incontro alle loro esigenze. Loro due, insieme in qualche

modo agli altri figli non nati, sono stati i miei insegnanti più esigenti ed efficaci.

Così, mentre in parallelo facevo esperienza in Medicina Nucleare e rafforzavo le mie

conoscienze sul campo medico, dall’altra le mie esperienze di vita mi facevano capire

che forse ero in grado di affrontare le richieste di aiuto, il dolore degli altri.

Ho imparato che i libri di studio sono un’astrazione, per quanto accurata, di quello

che può essere una persona. Che ogni persona è un libro da leggere, più o meno

interessante, a volte appassionante.

Con meno pregiudizi possibili, perché, come ha detto Einstein: “La mente è come un

paracadute. Funziona solo se si apre.”

6)

Ha terminato corso di formazione in MMG

Ho scelto di fare il medico perché sono sempre fin da piccola stata incline ad aiutare gli altri, le amiche mi

sceglievano per parlarmi dei loro problemi e anche quando sono stata all’università dicevano che avevo una

voce “ dolce” e che parlandomi riuscivano a risolvere i loro problemi spesso sentimentali.

Un episodio che mi ha fatto scegliere di fare il medico non c’è ma mio zio, medico di famiglia da tanti anni

ora in pensione, mi ha fatto amare questa professione che permetteva di avere un rapporto con la gente

straordinario.

Le mie aspettative si sono concretizzate due anni fa e devo dire che sono state più difficili del previsto,

finito il triennio di medicina generale la titolarità di g.m e la convenzione sono arrivate velocemente e poi i

pazienti ma la responsabilità, è stata un fardello pesantissimo due anni di stanchezza perenne, arrivare a

casa e sentirsi distrutta la notte riportare i problemi del lavoro e pensare…pensare… Ho sbagliato? Ho fatto

bene… ci sarà rimasta male… avrò detto tutto… ecc.ecc e mio marito che insiste … devi staccare, non puoi

fare così… E alcune persone che più dai e più chiedono senza limiti….poi però ci sono quelle che hai aiutato

e ti ringraziano allora capisci che il tuo mestiere ti piace.

Quando mi sono laureata ho scelto di fare la tesi a medicina legale, mi piacevano i libri di Key Scarpetta e

l’indagine medico legale, poi frequentando l’istituto mi sono resa conto che sarei andata a fare “l’avvocato”

in mezzo a tante scartoffie e la cosa non mi allettava.

L’episodio decisivo di rinuncia è stato quando mi è stato detto che le carriere di medico e di specialista

erano separate e se facevo il medico legale mi sarebbe stata preclusa la strada della medicina generale ,

così durante l’esame di specializzazione ho deciso di lasciare tutto e venirmene via con grande dispiacere

del mio tutore di laurea.

Sto imparando a confrontarmi con i pazienti nel modo più consono ma non è facile ho una collega a cui

faccio riferimento quando non riesco a superare psicologicamente un evento e ho partecipato ad alcuni

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corsi dove i medici si confrontavano con le loro esperienze ( Balint) e sono per me risultati molto utili

soprattutto per capire che le mie difficoltà sono anche degli altri.

7)

Sempre sulla mia strada

Pur sforzandomi non riesco a ricordare quale sia stato il momento preciso ed il primo pensiero che

mi ha spinto a prendere la decisione di diventare medico, so solo che da quando ne ho ricordo ho

sempre pensato che da grande sarei voluto diventarlo. Fin da molto piccolo ho subito avvertito il

fascino della biologia e dell’incredibile funzionamento del nostro organismo. Ricordo ancora i

pomeriggi passati a guardare e riguardare le videocassette di “ esplorando il corpo umano”,

l’entusiasmo che provavo quando usciva un nuovo numero della collana in edicola e la

soddisfazione di poter esaminare il plastico anatomico con gli organi interni, le strutture del

sistema nervoso, le ossa ed i muscoli. Questa passione è cresciuta sempre di più con gli anni delle

scuole ed è maturata in una solida convinzione durante il liceo. Ogni lezione di scienze e biologia,

grazie anche alla grande competenza e al trasporto che la nostra prof. metteva nelle sue lezioni,

mi faceva immergere in quel mondo che avevo sempre desiderato conoscere: le basi della biologia

delle cellule, la loro perfetta organizzazione in tessuti, organi ed apparati con i loro fini meccanismi

di comunicazione ed interconnessione, l’evoluzione nel corso dei millenni degli organismi viventi

pluricellullari attraverso il processo di selezione naturale che ha portato a quello che siamo oggi. Il

tutto racchiuso in quel microscopico scrigno che è il nucleo cellulare con all’interno il DNA, la stele

di rosetta della nostra esistenza e retaggio più prezioso che lasciamo su questa terra. Rimasi

talmente folgorato da questi argomenti che la vita, la struttura ed il funzionamento del codice

genetico e la teoria di Darwin furono il fulcro della tesina che presentai all’orale della maturità.

Se mi sforzo ad analizzare più a fondo il motivo di questa precoce se non innata scelta ci sono tanti

fattori che hanno inciso in maniera importante. Ha giocato sicuramente un ruolo fondamentale la

grande passione che ha sempre nutrito mia madre per la medicina e la sua sensibilità nel cogliere

questa mia predisposizione e nell’incoraggiarla. Il suo entusiasmo verso il mondo della medicina è

stato sicuramente contagioso e tutt’ora è molto stimolante parlare con lei di medicina a tutto

tondo. Scavando nei ricordi non posso poi dimenticare la grande ammirazione, stima e simpatia

per il medico che assisteva la mia famiglia. Era un uomo alto e dalla corporatura imponente, o

almeno i miei occhi di bimbo lo ricordano così; sempre cordiale ed accogliente, attento ai problemi

dei suoi assistiti e disponibile. Ricordo ancora benissimo la curiosità con la quale accompagnavo

mia nonna al suo studio in occasione di una visita. Il grande ambiente con il lettino in mezzo alla

stanza, l’armadietto con all’interno i vari strumenti ben riposti, la vecchia libreria piena di testi

medici e l’imponente scrivania sono ancora ricordi estremamente precisi e nitidi nella mia mente.

E ancor più nitido è il ricordo della sua maestria nell’eseguire la visita al letto del paziente: i

movimenti armoniosi e sicuri, il suo metodo nell’esaminare i vari organi ed apparati, la chiarezza

delle spiegazioni fornite in seguito.

Ho conosciuto presto il dolore acre che la malattia può portare in una famiglia e dentro le mura di

un casa. Era proprio la mia. Ed ho capito presto che la vita non è e non può essere segnata solo

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dalla felicità e dalla spensieratezza. Questa precoce consapevolezza, che un giorno o l’altro e nei

modi più disparati coglie ognuno di noi nell’arco di una vita, non ha reso la mia adolescenza più

triste, anzi, mi ha dato modo di apprezzare e di gustare con maggior partecipazione ciò che di bello

la vita ti riserva e di affrontare con maggior equilibrio ciò che di brutto sarebbe avvenuto dopo.

Ero in seconda media quando mia nonna incominciò a manifestare i primi segni della malattia. In

quei sei mesi sperimentai la sofferenza che ti può dare un emocromo sballato che non accennerà

più a migliorare se non per qualche timido, fugace, crudele ed illusorio miglioramento dei valori di

emoglobina che per un attimo facevano intravedere una speranza di poter perlomeno tamponare

la situazione, la consapevolezza di una diagnosi dura come quella di linfoma di Hodgkin dopo un

doloroso prelievo di midollo osseo, l’improvviso velo di tristezza e malinconia che aleggiava in

casa, velava gli occhi di mia mamma e spegneva giorno per giorno, fino a quel piovoso giorno di

marzo, quelli di mia nonna. Questa prima forte esperienza, così come altre che ho vissuto

successivamente non solo da studente di medicina prima e medico poi ma anche come amico,

parente, conoscente, nuovamente nipote o tirocinante mi hanno molto segnato e lasciato il

monito di quanto sia importante cercare sempre di immedesimarsi nella persona che ci si trova

davanti, cercando di stabilire una connessione con il dolore che sta provando e magari

condividendo con i suoi familiari.

Il tanto sospirato ingresso al corso di medicina, che ritengo essere la mia prima grande conquista

personale, mi permetteva finalmente di scavare a fondo ogni aspetto di quell’entità complessa e

mirabile che è il nostro corpo. Lo studio delle materie di base, della semeiotica e di tutte le varie

cliniche è stato molto gratificante ed al contempo duro ed impegnativo per l’enorme mole di

argomenti che era necessario padroneggiare. Non l’ho mai sentito come un peso, non sono certo

mancati momenti difficili di stress e scoramento, ma ho sempre avuto la ferma convinzione che

ne valesse la pena. Con i tirocini del secondo triennio ho finalmente provato, seppur da studente,

cosa volesse dire indossare quel camice bianco con tutte le responsabilità che ne derivano. E

quelle prime esperienze nelle corsie dei vari reparti dell’ospedale mi hanno dato la certezza che

ero sulla strada giusta. Grazie ad alcuni tirocini ho avuto modo di conoscere medici, infermieri,

ricercatori e professori esemplari che tutt’ora sono dei modelli di riferimento intoccabili per la loro

competenza, etica, correttezza ed umanità. Persone che spesso, a mio parere, non hanno il

riconoscimento e la visibilità che meriterebbero per il loro lavoro alacre, appassionato ed

instancabile. Per questo motivo, oltre che per la fondamentale necessità di acquisire un buon

bagaglio di conoscenze pratiche e di sperimentare la relazione quotidiana con il paziente , ritengo

che i tirocini non siano valorizzati come meritano dal nostro corso di laurea e che dovrebbero

essere organizzati in maniera strutturata e rigorosa. Inoltre, al contrario di oggi, i voti dei tirocini

dovrebbero pesare nel computo del voto di laurea in modo che quest’ultimo non sia espressione

della sola preparazione teorica dello studente. L’università mi ha anche permesso di intravedere

alcuni di quegli aspetti negativi legati al nostro mondo che poco o nulla hanno a che vedere con

l’esercizio della medicina in senso stretto ma che lo influenzano e zavorrano in maniera pesante: la

burocrazia che rallenta pratiche anche banali, la scarsità e il contemporaneo spreco di risorse

economiche, le difficoltà che incontrano i giovani medici nell’accedere alla formazione post-laurea,

le invidie e le cattiverie gratuite tra colleghi e tra reparti, l’eccessiva compartimentazione delle

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cure fornita al paziente legata ad un approccio specialistico mirato alla cura della patologia più che

della persona.

I primi contatti con il paziente mi hanno subito fatto capire la grande differenza tra la medicina

ideale dei vari trattati specialistici con i suoi ferrei passaggi logici e la medicina reale che

esercitiamo ogni giorno: la complessità e l’unicità di ogni paziente, le difficoltà nell’intraprendere

una terapia il più possibile ritagliata sulle sue esigenze, la condivisione di scelte importanti, la

capacità di affrontare imprevisti e di gestirli in maniera rassicurante, la capacità di farsi carico del

peso di una cattiva notizia o di una diagnosi infausta, la ricerca del giusto grado di empatia e del

necessario distacco emotivo per mantenersi lucidi. Tutto quello che ho scritto sembra un macigno

da sopportare e non nascondo che in certi momenti, penso che sia capitato a tutti noi medici, mi

sono soffermato nel silenzio della mia auto quando tornavo dall’ospedale a chiedermi se fossi in

grado di sopportarlo. In tutte quelle occasioni però mi sono sempre risposto di si. Per il semplice

motivo che quando mi alzo al mattino sono felice e soddisfatto di andare all’ospedale o nello

studio del mio tutor di medicina generale e di conoscere nuovi pazienti, affrontare nuovi o vecchi

problemi e confrontarmi con i colleghi.

Quando arriva il giorno della laurea si ha per pochi giorni la sensazione di aver finalmente scalato

la vetta della grande montagna e di potersi godere la meritata discesa. In realtà, come mi piace

dire spesso quando parlo di questo argomento, dopo poco tempo ci si rende conto di aver finito di

iniziare. Il periodo immediatamente successivo alla laurea è stato molto costruttivo da un punto di

vista formativo ed umano. L’assidua frequenza nel reparto dove avevo realizzato la mia tesi mi ha

permesso di applicare quotidianamente la pratica clinica e di rapportarmi in maniera assidua con i

pazienti. Le decine e decine di anamnesi che ho raccolto sono un ricordo ed un tesoro molto

prezioso. Ho potuto inoltre approfondire gli aspetti pratici della professione, la vita e le dinamiche

di quel microcosmo che è un reparto ospedaliero, assistere e collaborare nel mio piccolo

all’attività di ricerca, vivere a stretto contatto per più di un anno con il medico ricercatore che

considero il mio mentore ed ho ora la fortuna di poter chiamare anche amico. Purtroppo il tanto

atteso concorso per alcune dinamiche e circostanze non è andato come avrei sperato e, forse,

meritato. E’ stato sicuramente il momento più difficile della mia strada e forse quello in cui le mie

convinzioni hanno vacillato di più, offuscate dalla rabbia e dalla delusione e da una situazione

personale al tempo non facile. Ho avuto la grande fortuna di non essere solo e ciò mi ha permesso

di ripartire. C’era mia mamma che nonostante tutto quello che le stava capitando e quello che

stavamo passando a casa non ha mai smesso di essere madre e di sostenermi. C’era mio padre,

uomo di poche parole ma sempre sagge e misurate, molti fatti e grande esempio. Se penso a lui

vedo una persona che ha raggiunto grandi soddisfazioni contando solo sulle sue forze, con

un’ammirevole forza di volontà e una grande determinazione, senza che nessuno gli regalasse mai

nulla. C’era Valentina, dolce compagna di questi anni di formazione liceale ed universitaria che sto

raccontando. Punto di riferimento insostituibile che mi è stata vicina come nessuno avrebbe

saputo fare e che anche nei giorni più neri ha saputo strapparmi sempre un sorriso ed è riuscita a

distogliere la mia mente da quella cocente delusione dandomi l’amore di cui avevo bisogno per

riprendere da dove avevo interrotto. C’erano pochi e fidati amici che hanno risposto presente nel

momento del bisogno. C’è stata anche una grande occasione per ripartire. Un’occasione data dalla

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decisione di iscrivermi in quello stesso anno al concorso di medicina generale, figura che mi aveva

ispirato, come ho detto prima, durante la mia infanzia e che per un po’ avevo messo da parte.

Arrivai al giorno del concorso molto teso, ancora deluso, quasi svuotato. Nonostante tutto ho

cercato di dare il mio massimo e sono riuscito a guadagnarmi un posto nel corso. Questa

esperienza si sta rivelando molto importante nella mia formazione. Frequentando il distretto ho

capito e toccato con mano cosa significhi lavorare sul territorio con pochi mezzi ed entrare

letteralmente in casa delle persone con le loro preoccupazioni, i loro dolori ed i loro problemi.

Anche la frequenza dal tutor di medicina generale è stata estremamente gratificante. Ho avuto la

fortuna di conoscere un medico attento, preparato, appassionato al suo lavoro e sensibile alla

moltitudine di problemi e criticità dei suoi pazienti. Abbiamo condiviso pareri, esperienze,

conoscenze, momenti difficili di pazienti in difficoltà in cui era impossibile non sentirsi coinvolti. In

tanti frangenti ho avuto la sensazione di essere vicino a quel medico che tanto ammiravo quando

ero un bambino delle elementari ed è stato molto bello. Anche le turnazioni nei vari reparti

ospedalieri si stanno rivelando estremamente utili e mi stanno fornendo un bagaglio di abilità

pratiche di vario genere fondamentali per riuscire ad essere dei medici indipendenti ed autonomi

anche in situazioni non ottimali. Bagaglio che, come ho già accennato prima, non viene

sufficientemente valorizzato ed incentivato dall’università. Per non parlare della conoscenza di

tanti medici appartenenti a diverse branche specialistiche che mi stanno dando la possibilità di

arricchire la mia preparazione grazie alle loro esperienze e conoscenze. Anche la medicina

generale non è esente da molte incognite ed aspetti negativi che in parte condivide con quella

ospedaliera: una burocrazia opprimente, l’ingerenza dello stato e della politica sanitaria che

minano l’autonomia del medico nella sua pratica, l’incertezza riguardante il futuro di questa

professione, l’eccessiva solitudine di questa figura in questi tempi difficili e la scarsa propensione

al lavoro in team che tanto amo e che permea la vita di un reparto. So che vista da fuori questa

situazione può sembrare troppo ostile e quasi opprimente ma ciò nonostante le mie convinzioni

non cambiano. Non cambiano perché ogni giorno succederà sempre qualcosa che ti lascerà un

segno. Ci sarà una bambina che ti darà un bacino sulla guancia dopo averle dato un punto di

sutura. Ci sarà una Franca che aspetterà di avere un tuo parere riguardo la PET che ha appena

eseguito in vista del suo intervento allo stomaco e che ti saluterà ringraziandoti con un sorriso per

il tempo passato a spiegarle ciò che il chirurgo ha dato per scontato. Ci sarà una Marta che ,dopo

averti fatto vedere i suoi esami del sangue finalmente normalizzati dopo la chemio per un tumore

al seno, ti farà vedere le foto della sua splendida nipotina. Ci sarà in generale una nuova storia, un

problema stimolante a cui dare risposte, la scoperta di risorse e capacità inaspettate, la

soddisfazione di essere di aiuto a qualcuno. Per questo motivo e per mille altri, a dispetto di tutte

le complicazioni che si pareranno sul mio cammino, so che ho fatto la scelta giusta. E forse l’ho

sempre saputo. Non so precisamente dove mi porterà questo mio cammino, tra l’altro comincio a

pensare che sia una delle cose più stimolanti che lo caratterizza, ma so che andrò avanti.

Sempre sulla mia strada.

8)

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E'STATO UN ATTIMO

Non ho mai pensato a "Cosa vuoi fare da Grande".Al tempo non credevo di avere

reali affinità con nessun lavoro in particolare,l'unica cosa che mi era sempre

riuscita bene era ascoltare i "racconti" delle persone.Ho sempre adorato farlo ed

ho sempre capito che questo in qualche modo le aiutava,le rendeva più coscienti dei

loro problemi e sentivo che in quel momento loro stesse realizzavano l'eventualità

di una soluzione in un modo o in un altro.

Durante l'ultimo anno di liceo ,spulciando le varie opportunità di studi universitari,

mi cascò l'occhio su "Università di Medicina e Chirurgia";fino a quel momento mi

ero sempre vista come futuro ingegnere ,visto il mio percorso

liceale,probabilmente chiusa in un ufficio a far conti fino al giorno della mia

pensione.

FU UN ATTIMO: potevo aiutare le persone esattamente come avevo sempre

cercato di fare e poteva diventare un lavoro,potevo essere utile,realizzata ed in

più il fascino della scienza non sarebbe certamente andato perduto.

I primi anni di università sono stati purtroppo un po' disordinati ,perdevo

tempo,non avevo voglia di applicarmi,forse perché il mio percorso scolastico era

stato fino a quel momento eccessivamente pesante,avevo scoperto un mondo nuovo

dove potevo anche divertirmi...forse fin troppo i primi anni....Poi ho preso

coscienza,anche grazie ad amici che mi hanno fatto "redimere", che dovevo e

potevo terminare gli studi.

Ho imparato che avevo forza di volontà da vendere e che anche io potevo arrivare

ad essere un Medico.

Al momento della Laurea tutto e' cambiato,quel giorno sono stata l'unica a

piangere per la commozione,avevo sudato,era caduta più volte ma adesso...adesso

ero un Dottore in Medicina.

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Da quel momento non ero più una studentessa ,dovevo lavorare e tutta la

responsabilità e l'ansia della terra mi erano ricadute sulle spalle.

Il mio primo lavoro è stato abbastanza traumatizzante,difficile,non credo che

proverò mai più tanta paura in vita mia,ma è stato quello che mi ha regalato più

emozioni e che mi ha ricordato che in fondo è il lavoro più importante e bello dl

mondo.

Trovarsi alle cinque del mattino su un caso di tentato suicidio ,scoprirsi a parlare

con una perfetta sconosciuta riuscendo a farle strappare anche una risata è solo

una delle esperienze che ho avuto e che avrò;tutto questo riesce a riempire un

bagaglio di emozioni e insegnamenti che forse al termine della vita possiamo avere

noi medici e poche altre figure professionali.

Mi sto preparando per migliorare ed ottenere sempre più sicurezza ,per dare il

massimo di professionalità a quelli che saranno i miei pazienti,sperando di saper

affrontare un lavoro che appaga,dona emozioni,insegna ma non regala niente,tutti

gli sbagli saranno di aiuto come tutte le mie,spero tante, vittorie,

Durante questo corso ho già conosciuto persone eccezionali,molto valide

professionalmente come il mio tutor di medicina generale che oltre ad insegnarmi

come diagnosticare eventuali patologie e darmi direttive sull'approccio

terapeutico mi ha indirizzato sulla modalità di approccio al paziente.

Le persone in cura da me si aspetteranno professionalità,capacità di interpretare i

loro bisogni e le loro paure,un indirizzo verso una diagnosi e se necessario

l'attivazione di un giusto percorso specialistico per poi essere seguiti durante l'

eventuale terapia.

Spero di non perdere mai la voglia di comprenderli durante il mio cammino ma allo

stesso tempo di provare a distinguere sempre lavoro da vita privata.

Con i miei colleghi spero di avere un rapporto di continuo scambio e reciproca

stima e non meno importante di sostegno nei momenti di incertezza.

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Il mio futuro è ad oggi nebuloso ,non conosco la direzione precisa di quella che

sarà la nuova Medicina generale,sinceramente mi auguro che possa essere

considerata come punto centrale e insostituibile nella gestione del paziente.

La mia scelta è voler diventare un buon medico...sperando...di non annoiarmi mai.

9)

Titolo -

La scelta della laurea

Non ricordo il momento in cui ho scelto di fare il medico. Fin da piccola, immaginandomi a lavoro,

mi sono vista con un camice bianco indosso e un fonendoscopio in mano. Sicuramente questa

visione è stata influenzata dal fatto che la mia mamma è pediatra.

La scelta era chiara: il mio lavoro sarebbe stato prendermi cura della salute delle persone. Ma il

percorso per arrivare ad essere medico mi appariva incredibilmente duro e troppo faticoso per le

mie possibilità, che sembravano un po' scarse al liceo. Così feci qualche turno infermeristico in un

reparto, per capire se poteva essere un lavoro, sempre in ambito sanitario, ugualmente adatto alle

mie inclinazioni ma con un percorso meno lungo e ripido. Quell'occasione fu preziosa per chiarirmi

le idee: sicuramente non volevo lavorare in ospedale, non volevo diventare un manovale di quella

depersonalizzante fabbrica-della-non-malattia. Così mi rimboccai le maniche e decisi di scegliere la

strada che più mi piaceva, la fatica non avrebbe avuto la meglio sulla motivazione. Ed infatti così è

stato.

Il mio primo contatto con il paziente è avvenuto in ambito tirocinio, all'interno di quella grossa

catena di montaggio che è l'ospedale S.Chiara. Se di contatto con il paziente si può parlare, perchè

l'unica cosa che veniva presa in considerazione in quegli ambulatori era solo la malattia, quel pezzo

di persona che si era guastato e attendeva il nostro onnisciente intervento.

Innanzitutto ho imparato tante cose sul nostro corpo, il suo funzionamento nel benessere e nella

malattia. Poi ho scoperto che la medicina non è una scienza esatta, ma un'interpretazione

probabilistica di dati empirici. Per arrivare infine a intuire che la nostra medicina tradizionale ne sa

pochissimo di ciò che riguarda la salute perchè non siamo fatti di solo corpo, e la salute

comprende il benessere e l'armonia di tutte le parti di cui siamo composti. La salute è un concetto

attivo, non semplicemente la cura dalle malattie.

Dopo la laurea

Dopo la laurea il mio percorso sembrava chiaro: fuori dall'ospedale, a indirizzare i pazienti tramite

l'attività di medico di medicina generale, verso un concetto olistico di salute.

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Ho trovato molte opinioni sfavorevoli riguardo a questa scelta, da parte dei colleghi, giovani e

meno, professori e amici. A detta di tutti mi stavo apprestando a diventare un burocratico, un

“copia ricette”.

Ma io sono sicura del valore della mia scelta: nella mia professione mi aspetto di trovare un forte

rapporto umano e di occuparmi dei pazienti a tutto tondo, di fare, come dire, il direttore

d'orchestra affinchè l'armonia della persona sia conservata.

Le persone da me si aspetteranno, spero, un punto di riferimento, una sorta di consulente che

fornisca loro le competenze necessarie per potersi prendere cura di se stesse nel migliore dei

modi.

I miei punti di riferimento oggi nel mio percorso professionale sono i miei colleghi più anziani che

condividono con me queste convinzioni.

Immagino il mio futuro percorso nella medicina generale, affiancata da un infermiera e da una

segretaria che mi sgravino da tutti quegli oneri accollati al MMG che gli impediscono di fare il suo

lavoro: ascoltare e visitare il paziente, trovare l'inghippo di cui la malattia è solo sintomo.

Invece un altro tipo di lavoro è venuto a bussare insistentemente alla mia porta, finchè non ho

aperto.

Attualmente mi sto occupando di cure palliative oncologiche domiciliari.

A prima vista sembrerebbero due branche diametralmente opposte, ed invece io le vedo sempre

più simili nell'essenza: il prendersi cura della persona, più che il curarla, mantenendo la visione del

paziente globale, estesa oltre a quello che l'Harrison insegna, come una sorta di resa dello scettro

di onnipotenza del medico e di onniscienza della medicina tradizionale.

10)

Ripensamenti, fiocchi rosa.

Il 1998 fu il mio ultimo anno di liceo. Anno di sbandamenti neuro-ormonali, studio sommario,

pensieri prospettici rivolti al futuro. La mia carriera scolastica: un susseguirsi di brillanti risultati, a

fronte di un oserei dire modestissimo impegno. Per parafrasare: minima spesa, massima resa.

I sei anni di studio matto e disperatissimo perciò non mi spaventavano affatto, io da grande avrei

fatto il dottore. Non sono figlia d'arte, ho soltanto seguito il mio istinto. Ero curiosa di

comprendere il funzionamento della macchina uomo. Ero giovane, e romanticamente volevo

rendermi utile al mondo. In particolare, sognavo di far nascere i bambini.

Me ne andai in vacanza all'Elba con le mie amiche dopo la maturità, sole e salsedine a condire i

miei sogni. Il segno indelebile di quella vacanza fu un piercing all'ombelico cui mi sottoposi in

modo scriteriato senza alcuna nozione di microbiologia né di infettivologia, nel retrobottega di un

negozietto etnico dall'odore pungente di incenso. Alla vista del sangue quel pomeriggio svenni.

Rientrata sulla terraferma seguitai a bighellonare per tutta l'estate e fu così che non aprii libro.

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Arrivò settembre, abbronzata e ignara di cosa mi aspettasse mi recai in Via Buonarroti a Pisa per

sostenere il test di ingresso a Medicina. Non avevo mai visto tante teste tutte insieme in un'aula.

In quel frangente per un attimo pensai che forse avrei fatto meglio a prepararmi un minimo per

sostenere l'esame. Subito dopo pensai... pazienza. Da sempre mi caratterizzano una buona dose di

fatalismo e una scarsissima inclinazione al senso di colpa. Pensai che al limite avrei fatto altro,

magari l'architetto, o la cuoca.

Invece, sempre per l'assioma che ho enunciato nelle prime righe (minima spesa, massima resa)

superai il test d'ingresso, forte dei sessanta sessantesimi della maturità.

Gli anni dell'Università sono stati i più belli e pieni della mia vita. Esperienze indimenticabili,

tessendo tele di rapporti divenuti indistruttibili. I miei compagni di corso sono stati il traino

principale, la forza motrice per arrivare in fondo, nonostante i periodi di stanchezza e i (frequenti)

ripensamenti.

Credo fermamente che lo studente di Medicina sia mediamente più malato dei suoi coetanei. Non

so se ci si è in partenza o se ci si diventa, forse entrambe le cose. Certo è che ognuno di noi ben si

presterebbe ad un Case Report di psico-patologia. Io sicuramente potrei far vincere un Nobel.

Il primo malato cui mi sono realmente avvicinata (oltre a me stessa) è stata mia nonna. Pur avendo

frequentato i reparti e le corsie durante il tirocinio degli ultimi anni di corso, non avevo mai preso

"contatto" col paziente. Ero sempre rimasta nelle retrovie. Osservavo, ascoltavo, cercavo di

imparare il famoso "ragionamento clinico". Il paziente insomma era come un appendice dei testi

su cui studiavo. Oltretutto non era il "mio" paziente.

A mia nonna con la mano tremolante ho praticato la mia prima iniezione e ho messo la mia prima

flebo ("oh bimba, se 'un mi fido di te di chi mi dovrei fidare"). Grazie a mia nonna ho iniziato a

prendere confidenza con i farmaci. Di mia nonna ho ascoltato le lamentele, ho imparato a leggerle

sul volto il dolore. Il suo rantolo di fine vita è stato il primo che ho sentito, da allora non mi ha più

fatto paura. A lei ho tenuto stretta la mano prima di lasciarla andare.

La mia prima paziente è morta il 27 gennaio 2004, esattamente 6 mesi prima della mia laurea. Il 27

luglio 2004 sono diventata dottoressa in medicina e chirurgia, discutendo una tesi sulla

correlazione tra i valori plasmatici di alcuni steroidi e l’insorgenza del maternity blues (depressione

post-partum). L’anno seguente è stato un anno di "parcheggio". Ginecologia all'epoca era una

specializzazione piuttosto inflazionata ed i posti erano pochi e l'ingresso regolato secondo strane

leggi gerarchiche che non si spiegano in poche righe. Fatto sta che, mettiamola così, "non era il

mio momento". Le prime disillusioni, le prime delusioni. Nel 2005 ho vinto tramite concorso una

borsa di dottorato di ricerca in Neurofisiologia della Riproduzione. Non era quello che desideravo,

ma fui vivamente consigliata di accettare. Per tre anni ho lavorato in laboratorio tra cellule, cavie e

provette, portando avanti progetti di ricerca nell’ambito della neuroendocrinologia ginecologica.

Ho pubblicato, insieme al mio gruppo, diversi lavori su riviste scientifiche nazionali ed

internazionali.

Poi è arrivato il tanto atteso momento dell’ingresso in specializzazione. Ho frequentato la scuola di

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specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Pisa a partire dal marzo 2008. Finalmente il sogno diventava realtà. Amavo l’odore della sala parto, il buio della stanza ecografie, il rumore del cardiotocografo, amavo le donne ricoverate in reparto Eppure quotidianamente mi scontravo con una realtà ospedaliera troppo “asettica”, totalmente diversa dalla mia idea di esercizio della professione medica. Per i miei superiori, le pazienti non erano donne, non erano madri, erano solo numeri. Non c’era tempo per parlare, conoscere, capire la paziente. C’era solo un breve lasso di tempo intercorrente tra la visita e l’azione. Le decisioni venivano prese secondo protocolli fissi, standardizzati, che non tenevano conto della diversità interindividuale. Di fronte alle urgenze (un distacco intempestivo di placenta, una brutta decelerazione in un tracciato cardiotocografico) la donna perdeva il suo volto. La corsa in sala cesareo non lasciava tempo a spiegazioni. Tutto era tecnicamente ineccepibile, ma freddamente spersonalizzante. Forse è così che si deve lavorare in un grande centro di 3° livello. Iniziai a pensare che io non avrei potuto certo condurre quel tipo di vita: il prezzo da pagare era troppo alto. Nel corso del 2° anno di specializzazione sono rimasta incinta. Ho lavorato fino al termine dell’ottavo mese di gravidanza. Il 25 gennaio 2010 è nata …, la mia prima bimba. L’esperienza della maternità mi ha sconvolto la vita, in positivo. Ho definitivamente capito che quella che avevo intrapreso non era la mia strada. Ho trascorso brutti momenti in quei mesi di transizione: non è facile ammettere di aver sbagliato. Non è facile rimettersi in discussione, ricominciare tutto da capo. In quel periodo un caro amico di famiglia, medico di medicina generale, mi ha invitato a frequentare il suo ambulatorio. Insieme a lui, giorno dopo giorno, ho fatto pace con la medicina, ho ritrovato i perché delle mie vecchie scelte. Ho interrotto la specializzazione, con grande rammarico di mia madre che già mi vedeva ginecologa. Non mi vanto di essermene andata, ma non avrei potuto fare altrimenti. Quando mi sono iscritta al corso di Formazione Specifica in Medicina Generale, avevo ben chiaro cosa mi ero lasciata alle spalle, e cosa andavo cercando. Non mi interessavano lezioni illuminanti e cattedratiche. Volevo solo capire, cambiare atteggiamento mentale, acquisire un metodo di lavoro diverso da quello a cui ero stata addestrata negli anni universitari. Volevo diventare un medico “di fiducia”, assicurare ai miei pazienti alti standard di relazione, oltre ad un buon livello di assistenza clinica. Da qui il mio interesse crescente per le tematiche relazionali, che nei tre anni di corso sono state ampiamente e sapientemente trattate. Ho frequentato il corso dal 2010 al 2013, medico part-time e mamma full-time. E' stata un'esperienza (l'ennesima!) piacevolmente formativa, sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista umano. Il tutor, il coordinatore ed i vari docenti del corso (la maggior parte medici di famiglia) mi hanno fatto sentire finalmente per la prima volta una "collega". Niente a che vedere con lo spiacevole senso di sottomissione, i ricatti psicologici e la pressante competizione di quando ero specializzanda. Forse è stato anche il mio diverso habitus mentale... Mi sono finalmente rilassata, mi sono sentita nel posto giusto al momento giusto. Quando sono rimasta incinta della mia seconda bimba frequentavo l'ultimo anno di corso. A dicembre 2013 ho discusso la tesi finale, una tesi sul possibile ruolo dei gruppi Balint come strumento formativo e ausilio nella professione nell'ambito della nuova organizzazione territoriale della medicina generale. Dopo il termine del corso di medicina generale, cavalcando la vecchia passione per l'ecografia, ho frequentato il corso SIUMB, di cui ho attualmente il diploma. La notte del 5 maggio del 2014 ho dato alla luce Bianca, il mio secondo capolavoro.

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Di nuovo nel vortice delle poppate, pannolini, ninnananne e ancora poppate. Di nuovo l'immensa gioia di essere madre e tutto il resto non conta. Nella vita è necessario fare delle scelte, io ho scelto di essere mamma prima di tutto. Non critico e non biasimo chi sceglie altrimenti. Perciò non mi sono occupata di nient'altro che non di lei nei suoi primi mesi. Da ottobre a dicembre 2014 ho sostituito un collega che -purtroppo- è deceduto nella scorsa primavera. Sono stati 3 mesi impegnativi ma davvero soddisfacenti. Da marzo 2015 lavoro come sostituta di continuità assistenziale per la ASL 2 di Lucca. La guardia medica non mi piace, è un lavoro pericoloso (sicurezza zero), usurante e a mio avviso offre scarsissime soddisfazioni, ma è l'unico modo efficace per accumulare punteggio in graduatoria regionale. E d'altro canto lascia molto tempo libero da dedicare alla famiglia. Perciò ben venga. In più faccio sostituzioni a medici di medicina generale, spesso e volentieri. Il martedì e il giovedì mattina, quando sono libera, mi siedo accanto al mio mentore, il dott. Carignani, e da lui cerco di imparare ciò che apprendibile non è... perché lo si impara negli anni con l'esperienza e la dedizione. Intanto ho quasi 36 anni. Una famiglia splendida e nemmeno l'ombra del posto fisso. Aspetto . Aspetto con ansia che si crei un posto per me come medico di medicina generale, se esisteranno ancora... Intanto faccio tesoro di ogni minima esperienza clinica, mi confronto con i colleghi (dai più ai meno giovani), cerco di mettere sempre al centro l'interesse del paziente. Ci troviamo adesso in un momento particolare di tagli, manovre e riforme... Quello che proprio non sopporto è vedere come l'interesse politico ed economico di pochi prevarichi l'interesse di molti. Ma si fa tardi. Le mie bimbe mi stanno chiamando per fare colazione. Qualcosa sicuramente succederà. 11)

LA GIOIA NEL CUORE

La scelta della laurea

Durante i miei studi, spesso mi hanno chiesto il motivo della mia scelta: “Perché hai scelto di fare il medico?”. Ed io in testa avevo sempre una sola risposta: “ Vorrei curare le persone per regalar loro un sorriso”. Sembra una risposta banale e da eterna sognatrice, ma avete mai provato la gioia che nasce dentro di voi dopo aver aiutato una persona ed aver ricevuto un singolo grazie?...allora immaginatevi quella dopo aver strappato un sorriso. Da piccola ho sempre voluto fare la veterinaria e solo in seguito mi sono orientata verso la medicina “dell’uomo”, anche se tutt’ora ritengo che gli animali meritino molto più di noi. Tutto è iniziato 15 anni fa, purtroppo, quando una persona a me cara ha scoperto di essere affetta da un tumore. Mi aveva tenuta all’oscuro di tutto e quando sono venuta a saperlo mi ero arrabbiata molto. Però soltanto dopo ho capito che questa voleva solo proteggermi dalla sofferenza. Da quel momento in poi ho cominciato a pensare che forse avrei potuto far qualcosa per migliorare il “mondo”. Credo che a tutti, durante l’adolescenza, siano passati per la testa pensieri del tipo: vorrei fare qualcosa di diverso, vorrei non esser dimenticato, vorrei lasciare il segno, vorrei cambiare il mondo. Per tutti questi motivi ed essendo una persona sensibile e altruista, mi sono avvicinata sempre di più alla medicina. Dopo la maturità, ho deciso di provare il test di ammissione a medicina che riuscii a superare. Ero galvanizzata all’idea di diventare dottore, e tra i noiosi studi dei primi anni, talvolta mi immaginavo come un’eroina in un pronto soccorso a salvare vite umane o in africa in un ospedale da campo oppure come un “semplice” medico di famiglia. Ho fatto la volontaria sull’ambulanza che mi ha aperto gli occhi su tante realtà e tolto tante paure, oltre a farmi capire che quella che stavo percorrendo era la strada giusta. Mi

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aspettavo che l’università mi desse tutti i mezzi per coronare il mio piccolo sogno e mi facesse diventare un buon medico. Poi mi sono accorta che ti apre solo una porta. Il mio primo contatto con un paziente è stato al tirocinio di gastroenterologia al quarto anno, quando ci hanno mandato a fare le prime anamnesi ai pazienti del reparto. Mi capitò un paziente itterico, sulla sessantina, con una cirrosi epatica. Non mi scorderò mai quei suoi occhi blu mare quando mi diceva: “Quando mi riprenderò?” Tre giorni dopo è deceduto. Episodi simili ce ne sono stati altri, ma sempre troppo pochi per formare un medico. Ho imparato che l’università ti fa studiare tanto e ti lascia delle buone basi teoriche, ma non ti dà nessun insegnamento, purtroppo, sulla pratica e sul tipo di approccio psicologico da avere con il paziente: elementi importantissimi per la formazione. Quelli li devi scoprire da sola. Ho imparato che ci vuole dedizione e costanza, passione e curiosità, umanità e risolutezza ma soprattutto la forza di mettersi sempre in discussione per migliorare sempre di più.

Dopo la laurea

Quando mi sono laureata è arrivato il momento della scelta del percorso post laurea. Mi è sempre piaciuta la medicina interna, ma dopo aver ascoltato vari consigli, inizialmente ho optato per una branca medica più specialistica. Sarei voluta entrare in specializzazione in diabetologia per continuare il percorso sul piede diabetico che avevo iniziato con la tesi, ma purtroppo non vinsi il concorso. Continuai ad andare in ambulatorio del piede diabetico come tirocinante volontaria, ma volevo anche iniziare a lavorare. Prima di tutto siccome una delle cose che potevo fare erano le sostituzioni di medicina di generale e le guardie mediche, sono andata una settimana ad affiancare in ambulatorio un’amica medico di famiglia che si è proposta di mostrarmi come si struttura il lavoro, come destreggiarmi fra la burocrazia e soprattutto per riuscire a superare l’avversione verso questo lavoro causato da un tutor durante l’esame di stato: ebbene c’è riuscita. Successivamente ho cominciato a seguire mio padre e ad imparare il mestiere di flebologo e della cura delle lesioni cutanee. Contestualmente ho preso anche il diploma di ecografia clinico. Alla fine di questi due anni, posso dire di non aver nessun rimpianto di non esser entrata subito in specializzazione, anzi mi è servito a crescere e a capire che sarei voluta diventare un medico a tutto tondo prima di mettermi i “paraocchi” da specialista.

Attualmente mi sto preparando a superare il concorso o di medicina generale o di specializzazione in medicina interna che è sempre stata la mia passione, poi vedremo. I miei rapporti con le varie figure che mi hanno insegnato in questi anni sono ottimi e gli sono riconoscente per tutto quello che mi hanno trasmesso. Soprattutto devo ringraziare mio padre che mi ha trasmesso l’amore per questo lavoro. Giorno dopo giorno, sto imparando quello che l’università non è riuscita a trasmettermi. Innanzitutto impari la differenza tra i vari piani: all’inizio per una banale febbre e tosse vai a pensare alle malattie più disparate, anche se poi alla fine è solo una banale influenza oppure ti spaventi allo stesso modo per una dolenzia addominale o per un aneurisma dell’aorta in rottura. Sto imparando che talvolta bastano terapie semplici per risolvere problemi che sembrano talvolta complessi e che si risolvono tranquillamente da soli. Ho imparato che in questo lavoro ci sono anche i lati negativi e che non siamo “eroi”. Devi scontrarti tutti i giorni con persone ottuse, che non sanno apprezzare o non capiscono il tuo lavoro, e con la sofferenza fisica e psichica.

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Nella mia professione mi aspetto di trovare tante soddisfazioni, anche se saranno poche in rapporto alle sconfitte, perché la morte non si può vincere. Talvolta hai la meglio, talvolta riesci solo a rallentare la malattia, in altre solo a ridurre la sofferenza: qualsiasi risultato va accettato, basta che sia il migliore che tu potessi ottenere. Mai arrendersi, bisogna sempre migliorare. Spero di esser capace non solo di occuparmi dei malati, ma anche di essere un sostegno per le famiglie quando ce ne sarà il bisogno. Spero di esser in grado di curare le persone e non di essere solo un proscrittore di farmaci e esami. Le persone in cura da me si aspetteranno che sia una guida e una persona di riferimento durante un percorso diagnostico e un supporto psicologico sia per i malati che per le persone a loro vicine. Talvolta si aspetteranno anche cose che non potrai dargli e dovrai spiegargli che la medicina non è infallibile, ma sempre senza togliergli la speranza. Non mi scorderò mai un episodio successo poco tempo fa. Ero andata a casa di un paziente terminale per il peggioramento in serata della dispnea e per la comparsa di febbre. Ho risistemato la terapia, parlato con tutti, preparandoli alla situazione e alla fine sono andata a salutarlo. Mi ha ringraziato guardandomi fissa negli occhi, mi ha stretto la mano e sorridendomi mi ha detto: “Arrivederci dottoressa! Grazie! Ci vediamo domattina! L’aspetto!”. Sono andata via con una stretta allo stomaco e con la consapevolezza che probabilmente non lo avrei più rivisto. Talvolta ho provato impotenza di fronte alla sofferenza e la morte. L’unica cosa che ti fa continuare a fare il tuo lavoro è l’idea di aver fatto tutto il possibile e la speranza in un futuro di trovare il modo per evitare tali situazioni. I miei punti di riferimento oggi nel mio percorso professionale sono mio padre, un obiettivo da eguagliare e me stessa, con i miei sogni, i miei valori e quello che vorrei diventare. Con i miei colleghi ho sempre avuto un rapporto corretto e di stima. Se non condividevo alcune terapie cercavo di farmelo spiegare, ma sempre in privato. Comunque credo che la collaborazione tra noi e lo scambio di idee sia una delle più grosse opportunità di crescita. Inoltre con alcuni colleghi condivido anche bellissime amicizie che vanno al di la del lavoro. Il futuro…Ci penso non lo nego, ma ho imparato a non fossilizzarmi su di esso. Quel che sarà prenderò. Ora sto aspettando di sapere il risultato dei vari concorsi. Non so se farò il medico di base, l’internista o il chirurgo. Farò quello dove mi porterà il mio percorso, ma so che lo farò sempre con la speranza di diventare un buon medico. Se tornassi indietro? Rifarei questa scelta un milione di volte.

12)

La decisione di fare il medico

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La decisione di fare il medico non nasce così, all’improvviso. Credo che l’idea di fare il medico

passi da una serie di processi, esperienze di vita e considerazioni personali che portano ad

intraprendere questo percorso. Si dice che fare il medico sia una missione… Aiutare la gente è una

missione. Tutto questo non è per niente un luogo comune. Non basta una laurea o un attestato per

essere dei buoni medici, occorre molto, molto di più. Si può scegliere di essere medici in modi

diversi, ma personalmente credo che esista solo un modo di fare il medico, e cioè al massimo delle

proprie possibilità, potenzialità e facoltà. Occorre anche il buon senso. Nella medicina generale il

medico è tutt’oggi il “dottore”, colui il quale oltre a prescrivere farmaci e produrre impegnative è

anche una sorta di consigliere, una figura certamente importante nella vita di tutti.

“La Medicina Generale non fa per me”, pensavo. Fin da piccolo ho sempre creduto che nella vita

avrei fatto qualcosa di utile, utile al mondo, utile forse e più probabilmente a qualcuno. Non ho mai

pensato in senso stretto al denaro, ma a un meritato guadagno per aver fatto qualcosa di buono, di

utile. Non so… Non è per sentirmi in pace con me stesso, ma è qualcosa di inspiegabile. Lo si sente

e basta. Allo stesso modo, però, quando scelsi di iscrivermi alla facoltà di medicina pensavo: “La

Medicina Generale non fa per me”. Pensavo che mi sarei dedicato ad una branca specialistica della

medicina, non alla medicina. Ho frequentato Ospedali, ambulatori ed ho partecipato a progetti di

ricerca che mettevano il mio nome tra tanti, in uno dei numerosi articoli che ogni giorno vengono

sfornati dalle Università di tutto il mondo. Qualcosa di impersonale, che non mi metteva

direttamente in contatto con la vita delle persone. Le persone hanno una vita oltre alla malattia che

li spinge a presentarsi negli ambulatori. E questo, purché banale, spesso negli ospedali passa in

secondo piano. Un giorno, quasi per caso, mi sono iscritto al concorso per l’accesso alla scuola di

formazione specifica in medicina generale. Ho vinto un posto e adesso mi accingo a iniziare il terzo

e ultimo anno con la voglia di finire al più presto e di iniziare a lavorare. Sono contento. Sento che

tutti gli sforzi assieme alle delusioni e alle gioie mi fanno da piedistallo, da fondamenta, sono la

sopra e con scienza e coscienza cerco di fare del mio meglio nonostante il periodo di crisi che

stiamo attraversando. Sono ancora “piccolo”, ma so che crescerò e che le insicurezze a poco a poco

si attenueranno. Adesso sono un Medico e so che tra non molto diverrò un vero “dottore”. Per

qualcuno sarò: il suo dottore!