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Congregazione di Gesu ` Sacerdote Istituto Figlie del Cuore di Gesu ` 32014 P G iccolo regge Periodico trimestrale anno X n. 2 - 2014 - Poste Italiane s.p.a. - sped. in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento In caso di mancato recapito inviare al CPO di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi Taxe perçue Pregare

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Congregazione di Gesu SacerdoteIstituto Figlie del Cuore di Gesuù

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14PG iccoloregge

Periodico trimestrale anno X n. 2 - 2014 - Poste Italiane s.p.a. - sped. in a.p.D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento

In caso di mancato recapito inviare al CPO di Trentoper la restituzione al mittente previo pagamento resiTaxe perçue

Pregare

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Quaderni di spiritualità

Redazione

sr Chiara Curzel

fr. Antonio Lorenzi

p. Roberto Raschetti

p. Giuseppe Stegagno

p. Giovanni Mario Tirante(segretario di redazione)

Dir. e Amm.Piccolo Gregge.Congregazione

di Gesù sacerdotevia dei Giardini, 36

38122 Trentotel. 0461.983844

[email protected]

Curia Congregazionedi Gesù sacerdotec.c.p. 15352388Aut. Trib. Trento

n. 1216 del 27.07.2004Responsabile

a norma di leggeVittorio Cristelli

Grafiche ArgentariumTrento

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s o m m a r i oCOPIAGRATUITA

3 2014

1 la lettera

4 ai lettori

5 l’argomento

15 dentro le parole

18 la voce dei padri

20 una vita per loro

29 chiesa oggi

31 seguimi

36 carisma

41 i nostri santi

45 vita dell’opera 50 esperienze

53 tra le righe del Vangelo

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La LetteraCarissimi,

il mese di novembre ci riporta al pensiero dei nostri defunti e alla preghiera in loro suffragio; come tutte le nostre famiglie, anche noi Famiglia religiosa – sia maschile che femminile – facciamo memoria, in questo mese, dei nostri de-funti: confratelli, consorelle, parenti, amici e benefattori, sacerdoti. Sono 32 i confratelli e 26 le consorelle, oltre a già numerosi aggregati e aggregate, “che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace”. Nella nostra tradizione di Congregazione, in questo mese di novembre offri-remo la concelebrazione comunitaria di suffragio, in giorni stabiliti dalle sin-gole nostre fraternità, per i ministri sacri, i confratelli e le consorelle, per i no-stri parenti e per i benefattori.Per ultimo, in ordine di tempo, avremo un particolare ricordo per p. Mario Re-volti che, come già annunciato nel nostro precedente Piccolo Gregge, ci ha lasciato il 31 luglio. Nelle pagine di questo fascicolo ne faremo memoria at-traverso due contributi.Il suo ricordo è profondo in noi: un fratello arrivato come alunno della Scuo-la Apostolica nei primi anni della vita della Congregazione; in mezzo a noi ha ricoperto vari incarichi di servizio fino ad essere superiore generale. Ha chie-sto poi di essere inviato nella missione in Brasile, dove è rimasto per 33 an-ni, fino alla sua morte.Profondamente amante della sua vocazione e del Carisma di Famiglia ha ac-compagnato la Congregazione con attenzione alla sua storia, ma anche at-tento all’evoluzione e ai segni dei tempi. Ha offerto e condiviso intuizioni per una sempre rinnovata nostra presenza nella Chiesa nel particolare servizio ai Ministri sacri.Siamo certi di averlo ora intercessore in Cielo dove, nella gioia del premio per la sua vita offerta secondo i fini dell’Opera, partecipa alla eterna liturgia celeste.Ritengo doveroso, da parte mia e di tutta la Congregazione, anzitutto un pensiero di vicinanza a Carmela, la sorella di p. Mario, ed inoltre ringraziare i confratelli della Comunità di Barretos, gli aggregati/e brasiliani, le suore della Città di Maria e i tanti amici della Parrocchia del Rosario che sono stati vici-ni a p. Mario – soprattutto in questi ultimi anni – con fraterna dedizione, pa-ziente carità, benevola accoglienza e continua disponibilità: il Signore bene-dica e ricompensi come solo Lui sa fare; p. Mario certamente avrà una inter-

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cessione tutta particolare per loro, contraccambiando dal Cielo, presso il Cuo-re di Cristo sacerdote.1

Omnia vel minimaIl tema che viene particolarmente sviluppato nel fascicolo che presentiamo è CELEBRARE, dedicando attenzione soprattutto alla preghiera.Le nostre attuali Costituzioni al n. 58 del Direttorio scrivono:

Viviamo la preghiera comune, specialmente quella liturgica, come espressione particolare di vitalità nell’Istituto e nella Chiesa.Curiamo il servizio di una appropriata e creativa animazione, che va-lorizzi la partecipazione attiva di tutti nella varietà dei ruoli. Le nostre celebrazioni comunitarie, fatte con proprietà, ci rendono così gruppo aperto di preghiera nella chiesa locale.

Questo richiamo ha come riferimento un particolare articolo del Sommario delle nostre Costituzioni del 1946 che dicevano:

Omnia vel minima quæ ad cultum Dei externum attinent, ita religio-se, peramanter ac splendide curabimus, ut non solum probatio sint di-lectionis sed et reparatio - Cureremo tutte le cose, anche le più pic-cole, che riguardano il culto di Dio, così religiosamente e con tanto amore e splendore, che siano non solo prova di amore, ma altresì ri-parazione.

Un particolare commento a questo articolo lo aveva scritto p. Venturini stesso in una sua Esortazione alle Comunità (Esortazione CIX del 20 dicembre 1950). Ancora posta sulla scrivania nella Stanza del Fondatore, è presente una cartella che contiene altri commenti, scritti da p. Menotti e con appunti dello stesso p. Mario, che il Maestro dei novizi usava nelle istruzioni agli stessi giovani novizi.P. Soncin, nella prima biografia del padre Fondatore, così descriveva l’impe-gno che si viveva in quegli anni:«P. Venturini voleva che si dimostrasse la fede a Gesù Eucaristia curando molto bene, con delicatezza e splendore, tutto ciò che riguardava il suo Cul-to esterno… Le migliori energie dovevano essere spese nelle pratiche di pie-tà, nelle funzioni liturgiche celebrate con ogni possibile decoro e solennità, nell’Ufficio divino recitato in comune, davanti al SS. Sacramento esposto.Il suo motto era: “Omnia vel minima”. Tutto, anche le più piccole cose, cu-reremo nel culto divino, perché ciò sia indice di amore e di riparazione. Vol-le ricca la chiesetta, dotata di paramenti e tovaglie finemente lavorati dalle

1 Chi ha accesso a internet può leggere dalla nostra Rivista brasiliana VOZ AMIGA n. 3 il ricordo che i fratelli del Brasile hanno fatto di p. Mario: http://www.padriventurini.it/files/VA_03_2014.pdf

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nostre Suore. Quanto era esigente con la pulizia e l’ornamento della chiesa e dell’Altare! Se occorreva non risparmiava rimproveri, dava lezioni pratiche di buon gusto. Era nemico dichiarato delle cose fatte alla buona e in fretta: vo-leva che tutto fosse eseguito con proprietà e solennità. Lo splendore del cul-to importava una spesa rilevante ma egli aveva per norma assoluta: noi po-veri, magari patire la fame, ma per Gesù Eucaristia, per il suo culto, lusso e splendore! Diversi Sacerdoti, che conoscevano la povertà grande della Con-gregazione, si meravigliavano nel constatare la ricchezza della nostra Chiesa e quando si diceva che era per dimostrare a Gesù l’amore e riparare la trascu-ratezza di altre chiese, ne rimanevano edificati. Su questo punto P. Venturini era d’accordo con S. Vincenzo de Paoli: la più bella predica che si possa fare agli ecclesiastici è di curare bene il culto divino.Le funzioni liturgiche solenni furono la delizia di P. Venturini: egli allora “pon-tificava”. Esigeva che il canto gregoriano fosse eseguito a perfezione, anche altri canti naturalmente ammetteva, ma dovevano essere ben preparati. Ri-batteva il suo chiodo: noi dobbiamo mostrare amore e riparare. Con umiltà e rammarico diceva: “Io so cantare, ma non so canto, perché invece di stare at-tento alle lezioni di canto a Roma, io pensavo ad altre cose! Ma ora mi pen-to, e non sapendo canto sono un mezzo prete!”.Casa Madre con la sua Chiesa era davvero un centro vitale di spirito sia per i Religiosi, come per i Sacerdoti diocesani. Più volte S.E. Mons. Carlo de Ferrari ebbe a dire che considerava la Congregazione Sacerdotale, con le sue opere, il centro e il cuore della Diocesi, un dono del Cuore di Gesù. Queste espres-sioni devono essere suonate di tanta consolazione al P. Venturini che da anni faticava per la sua realizzazione».

È desiderio di tutti, anche oggi, continuare in questa attenzione e con questo spirito dell’omnia vel minima!!

P. Gian Luigi Pastòsuperiore generale

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Ai Lettori

Cari amici vicini e lontani,purtroppo quest’anno non siamo riusciti a far pervenire i numeri per tempo, speriamo vada meglio in futuro. Ricordo un vecchio adagio

che forse fa al caso nostro: meglio tardi che mai!In questo terzo numero di Piccolo Gregge, dopo i verbi: lavorare e studia-re, tratteremo il verbo pregare; parleremo del tema con la consueta moda-lità guardandolo sotto una triplice prospettiva: teorica, esperienziale e tipica ventu-rina.Già nel numero scorso co-municavamo la morte di p. Mario Revolti, riprendia-mo nuovamente il discor-so raccontando qualcosa in più di questo religioso e pre-te che ha donato la vita per la Chiesa e per la Santifica-zione dei sacerdoti. Coglia-mo l’occasione per ricordare anche Delia la mamma, ultra centenaria, di suor Maria Delia Mereu delle Fe-deli Apostole di Gesù Sacerdote che è deceduta il 22 agosto a Desulo. Per es-si offriamo al Signore preghiere di suffragio.Festeggiamo suor Carla Grigollo, delle nostre sorelle Figlie del Cuore di Ge-sù, che ha celebrato il cinquantesimo anniversario della sua consacrazione al Signore.Augurandovi una buona lettura in nostra compagnia vi abbracciamo e ringra-ziamo per la vostra vicinanza e amicizia.

La Redazione

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L’Argomento

Come direbbe santa Teresa di Gesù bambino, la pre-ghiera è un dialogo tra l’uo-

mo e Dio, «è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo gettato verso il cielo, è un grido di riconoscenza e di amore nella prova come nella gioia». È principalmente un ascolto. Dio par-la, e la Parola si realizza in noi. È que-sto il grande miracolo della nostra fe-de. Per farsi conoscere, Dio ha scelto liberamente di rivelarsi a noi, di alza-re quel velo su di sé, che ci separava, dandoci del “tu”. Questo può essere considerato il nucleo della preghiera cristiana, ben espresso dalla preghie-ra fatta dal giovane re Salomone che, in risposta all’invito rivoltogli da Dio di chiedergli qualunque cosa, dice: “Donami, Signore, un cuore capace di ascolto” (1Re 3,9). Noi uomini abbiamo bisogno essen-zialmente di questo, per conoscere la volontà di Dio e ad essa ispirare la nostra vita, per accogliere l’amo-re di Dio e rispondergli amando lui e i nostri fratelli. Secondo il Catechi-

Sguardo gettato verso il cielo

smo della Chiesa Cattolica esistono alcune forme essenziali di preghie-ra: «La benedizione e l’adorazione, la preghiera di domanda e l’interces-sione, il ringraziamento e la lode». L’Eucaristia contiene ed esprime tut-te queste forme di preghiera. La be-nedizione è la risposta dell’uomo ai doni di Dio. L’adorazione è la pro-sternazione dell’uomo, che si ricono-sce creatura davanti al suo Creatore tre volte santo. La preghiera di do-manda può essere di perdono o an-che una richiesta umile e fiduciosa per tutti i nostri bisogni sia spiritua-li che materiali. L’intercessione con-siste nel chiedere in favore di un al-tro; essa ci conforma e ci unisce al-la preghiera di Gesù, che intercede presso il Padre per tutti gli uomini, in particolare per i peccatori; que-sta deve estendersi anche ai nemici. La Chiesa rende grazie a Dio inces-santemente, soprattutto celebrando l’Eucaristia, in cui Cristo la fa parte-cipare alla sua azione di grazie al Pa-dre. Ogni avvenimento diventa per

Pasquale Ruggeri, un seminarista della Diocesi di Messina, con questa sua riflessione ci aiuta ad esplo-rare il mistero della preghiera cristiana.

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il cristiano motivo d’azione di gra-zie. La preghiera di lode è la forma di preghiera che più immediatamen-te riconosce che Dio è Dio. È com-pletamente disinteressata: canta Dio per se stesso e gli rende gloria per-ché egli è. Tutti i momenti sono indicati per la preghiera, ma la Chiesa propone ai fedeli ritmi destinati ad alimenta-re la preghiera continua: preghiere del mattino e della sera, prima e do-po i pasti; Liturgia delle Ore; Eucari-stia domenicale; santo Rosario; feste dell’anno liturgico; forme che parti-colarmente chierici, sacerdoti e reli-giosi vivono quotidianamente; ma la preghiera è ciò che qualifica ogni cri-stiano. Diceva S. Giovanni Maria Vi-anney: «Vi amo, Signore, e la sola grazia che vi chiedo è di amarvi eter-namente. Mio Dio, se la mia lingua non può ripetere, ad ogni istante, che vi amo, voglio che il mio cuore ve lo ripeta tutte le volte che respi-ro». La tradizione cristiana ha infat-ti conservato tre modi per esprime-re e vivere la preghiera: la preghie-ra vocale, la meditazione e la pre-ghiera contemplativa. Il loro tratto comune è il raccoglimento del cuo-re. La preghiera vocale associa il cor-po alla preghiera interiore del cuore. Anche la più interiore delle preghiere non potrebbe fare a meno della pre-ghiera vocale. La meditazione è una riflessione orante, che parte soprat-tutto dalla Parola di Dio nella Bibbia. Mette in azione l’intelligenza, l’im-maginazione, l’emozione, il deside-rio, per approfondire la nostra fede,

convertire il nostro cuore e fortifica-re la nostra volontà di seguire Cri-sto. La preghiera contemplativa è un semplice sguardo su Dio nel silenzio e nell’amore. È un dono di Dio, un momento di fede pura, durante il quale l’orante cerca Cristo, si rimet-te alla volontà amorosa del Padre e raccoglie il suo essere sotto l’azione dello Spirito. Santa Teresa d’Avila la definisce un intimo rapporto di ami-cizia, «nel quale ci si intrattiene spes-so da solo a solo con Dio da cui ci si sa amati». La preghiera cristiana può essere de-finita anche un dialogo “esodale” in quanto conduce alla conversione e proietta all’unione più intima con Dio. L’uomo, una volta scoperto l’A-more di Dio e colpito da esso, si ren-de conto che Cristo è morto per lui, che ha portato su di sé ogni peccato, ed offrendosi lo ha liberato dal peso opprimente della schiavitù. La pre-ghiera dell’uomo, pertanto, gli con-sente di uscire da se stesso, svuotar-si da tutte le cose che lo appesanti-scono, per fare ritorno al Padre, ren-dendosi a sua volta “dono prezioso” per gli altri. Al giorno d’oggi, spesso c’è chi si la-menta di non avere tempo e con-fessa così che il suo idolo è il tem-po, dal quale è dominato, e che di conseguenza si vota a non vivere mai il presente, l’oggi di Dio, collo-cato tra un passato di cui fare me-moria e un futuro verso cui tendere. Quando invece riusciamo a domina-re il tempo, possiamo sperimentare la preghiera come possibilità di aprir-

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ci a Dio, di ascoltare la sua voce, di entrare in comunione con lui e dun-que con gli esseri umani e con tut-te le creature. Sappiamo perfetta-mente che non c’è tempo per tutto. È questione di un ordine, di una ge-rarchia che dobbiamo stabilire nella nostra vita: il primato spetta davve-ro a Dio o abbiamo qualcos’altro più caro di lui? Vogliamo ascoltare il Si-gnore o altre voci? Vogliamo adora-re lui oppure gli idoli che ci ingan-nano e ci schiavizzano? In proposi-to, non si dimentichi, come direbbe Enzo Bianchi (priore della comunità monastica di Bose), che l’idolo «non è una realtà teologica, ma è innan-zitutto un falso antropologico, è ciò che più minaccia l’umanizzazione». Lottando contro gli idoli e esercitan-doci alla preghiera possiamo incon-trare Dio e, animati dal suo Spirito,

imparare a diventare più uomini, uo-mini come lui ci ha voluti e creati, a immagine del Figlio suo Gesù Cristo. Uno dei grandi frutti della preghie-ra, infatti, è la pace del cuore. Il frut-to della preghiera è l’agápe, è l’amo-re, che poi è Dio stesso. E quando Dio dimora in noi, siamo più saldi di fronte alle tentazioni, siamo più for-ti nelle prove. Avere consapevolezza di quale po-tente arma sia la preghiera, quale potente strumento sia, significa che si è realmente vicini a Dio. Non a tor-to san Domenico di Guzmàn soleva dire: «Dimmi come preghi, ti dirò chi è il tuo Dio»; la preghiera, dunque, è la scala che ci conduce direttamente verso il cielo.

PasqualeSeminario san Pio X

Messina

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Chiamati alla preghiera…

Offriamo…“Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà”. Dopo il segno di Cro-ce, queste sono le prime parole di ogni mia giornata e di ogni nuovo giorno di ciascun religioso della no-stra famiglia religiosa. Le prime paro-le da quel 16 settembre 2006, quan-do ho professato i voti di castità, po-vertà e obbedienza, nello spirito del-le Beatitudini e secondo le Costitu-zioni della Congregazione di Gesù Sacerdote, come recitiamo nella no-stra preghiera di rinnovo dei voti.È molto bello questo atto di offerta composto da padre Mario Venturini: In spirito di umiltà ti offro, o Signo-re, questo nuovo giorno di vita, che tu mi doni, con tutto quello che sarò chiamato a vivere. Tutto di me e del-la mia vita, ogni mio pensiero, parola e azione, sia a gloria del tuo nome e per la costruzione del tuo regno. Ad onore del Cuore Sacerdotale di Ge-sù e in riparazione dei peccati, pri-ma dei miei peccati personali, poi dei peccati di tutto il mondo, per la cre-scita nell’amore e la santificazione di quanti hai consacrato ministri nella tua Chiesa; per i ministri sacri, coloro per i quali siamo stati chiamati dallo Spirito Santo per vivere la nostra of-ferta quotidiana, la nostra offerta di preghiera, ma, soprattutto, la totale offerta della nostra vita.

La nostra personale offerta al Signo-re, poi, non si limita soltanto alla pre-ghiera mattutina, ma il nostro Fon-datore ci esorta a rinnovarla ad ogni ora, con questa semplice e brevissi-ma preghiera, che comunitariamen-te abbiamo adottato all’inizio del-la preghiera dell’Ora media: Gesù, Agnello di Dio, continuamente im-molato sugli altari del mondo, io mi unisco a te. E, dopo la preghiera del Gloria in onore della Santissima Tri-nità, le invocazioni: Cuore sacerdo-tale di Gesù, fa’ il nostro cuore simi-le al tuo. Maria, Madre del Sacerdo-te, prega per noi.

Ringraziamo…Il primo posto nella nostra vita di preghiera è quello della Santa Mes-sa. Scrive padre Venturini nello Spi-rito della Congregazione: «Poiché la Santa Messa è il massimo atto del-la religione, siano compiute con per-fezione quelle cose che a così gran-de sacrificio si riferiscono» (cfr. SdC 204). Viene poi sottolineato come prepararsi bene, ogni giorno, al-la Santa Messa, come viverla, come celebrarla, anche da parte di coloro che non hanno il sacerdozio ministe-riale. Particolare importanza viene dato al ringraziamento dopo la San-ta Messa, perché, terminata la cele-brazione, non ci si distragga subito

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e non si corra immediatamente alle altre occupazioni e agli altri pensie-ri quotidiani, che distolgono la no-stra mente e il nostro cuore delle co-se di Dio.

Lodiamo…Dopo l’Eucaristia, il momento più importante nella nostra vita di pre-ghiera è quello della recita della Li-turgia delle Ore. «È veramente un’a-zione del tutto divina – dice sem-pre il nostro Fondatore nello Spiri-to della Congregazione – e per vive-re bene questo atto di grande pre-ghiera, è necessario disporre la no-stra anima, perché possa essere fat-to nel migliore dei modi» (cfr. SdC 211 §2). Grande importanza viene data alla recita del “Gloria” alla fine di ogni salmo, in ringraziamento al-la Santissima Trinità, da pronunciare con tutto il sentimento dell’anima, in modo che venga sempre richiamata l’attenzione a Dio e il nostro spirito venga rinnovato e acceso d’amore.

Adoriamo…Gesù, spesso, viene lasciato solo e abbandonato nella sua ‘casa’, la chie-sa; tante persone, addirittura, quan-do entrano in chiesa, non fanno ne-anche un gesto di riverenza davanti al tabernacolo, dov’è presente Gesù nel Santissimo Sacramento. E non par-lo solo dei laici, ma anche di noi reli-giosi. Il desiderio di noi, religiosi della Congregazione di Gesù Sacerdote, è quello di adorare il Santissimo Sacra-mento dell’altare ogni giorno, pos-sibilmente in un momento prestabi-lito, dove possano partecipare tutti i membri della comunità.

Sempre padre Mario Venturini, nel-lo Spirito della Congregazione, in-dica un triplice fine nella devozio-ne dell’adorazione. «1. Adorare Ge-sù Cristo, Dio e uomo, e il suo Cuo-re sacer dotale, in quanto unito al-la divinità. 2. Santificare con que-sto mezzo noi stessi, secondo i de-sideri dello stesso Cuore sacerdotale. 3. Collaborare al bene della Chiesa e specialmente dei Sa cerdoti di tutto il mondo» (cfr. SdC 213).Tante volte si fa fatica a vivere il mo-mento dell’adorazione eucaristica; ci si limita magari a leggere la Parola di Dio, senza meditare con sufficienza quanto si è letto. Quando ci si tro-va in questa condizione, non dimen-tichiamoci che è proprio in questo momento dell’Adorazione Eucaristi-ca che dobbiamo sentire maggiore il desiderio di pregare per noi e per tutti i sacerdoti. «Non v’è alcun cri-stiano che abbia maggiormente bi-sogno dell’aiuto di Dio quanto i Sa-cerdoti, per i gravi doveri del mini-stero sacro e per le terribili insidie dei nemici» (cfr. SdC 220).

Meditiamo…Le due principali devozioni nostre sono quelle al Cuore sacerdotale di Gesù e a Maria Santissima, Madre del Sacerdote.«Tutto procede dall’amore grandis-simo e ardentissimo di Gesù, cioè procede dal suo Cuore, e, perciò, giustamente si chiama sacerdotale - spiega sempre padre Mario. Quan-do infatti Gesù Sacerdote adorava la divina Maestà e le offriva umi lissimi ringraziamenti, quando dinanzi a Dio offriva riparazioni per i peccati di

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tutto il mondo o lo pregava per il ge-nere umano, questi atti perfettissimi uscivano dal suo Cuore sacerdotale. Simili atti di religione, ad imitazione di Cristo, devono sgor gare pure del nostro cuore ed essi saranno più per-fetti e tanto più accetti a Dio, quan-to più saranno uniti a quelli del Cuo-re sacerdotale di Gesù» (cfr. SdC 8).

Supplichiamo…Siamo chiamati, perciò, a supplicare Gesù con insistenza, perché ci faccia

conoscere il grandissimo suo amo-re e possiamo impegnarci, con tut-ta la nostra vita, a crescere nella ca-rità. Il Sacratissimo Cuore di Gesù è sacerdotale in tutta la sua esistenza, dal principio della sua incarnazione e nella sua nascita, nella sua vita se-greta e nella sua vita pubblica, nel-la sua passione, morte e risurrezio-ne. È sacerdotale, in maniera piena, nell’ultima cena e ogni volta che rin-nova la sua presenza nel mistero eu-caristico. In particolare prima dei Vespri, tut-ti i giorni, innalziamo al Padre la pre-ghiera sacerdotale, utilizzando le medesime parole di Gesù, raccolte nel capitolo 17 del Vangelo di Gio-vanni, il discepolo amato, e chiedia-mo con Gesù che tutti i ministri sa-cri conoscano il suo nome, custodi-scano la sua parola, siano consacra-ti nella verità e nessuno di loro va-da perduto. C’è da studiare profon-damente questa preghiera sacerdo-tale di Gesù, meditarla con amore ed averla sempre sulle labbra, spe-cialmente nel cuore, perché il testa-mento del Cuore sacerdotale di Ge-sù è il conteggio dei desideri del Si-gnore circa i suoi sacerdoti. Preghiamo Maria Santissima, pro-clamandola “Madre del Sacerdote”, perché ella è veramente Madre di Gesù Sacerdote, in quanto il Figlio di Dio da lei ha preso la carne ed è ve-nuto nel mondo come vero uomo e come vero Dio. Meditando il capitolo 19 del Van-gelo di Giovanni: «Gesù, vedendo presso la croce la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, dis-se alla madre: “Donna, ecco tuo fi-

Padre Mario Venturini.

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glio”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre”», padre Mario Venturi-ni, nella preghiera che ci ha lascia-to, sottolinea come in quell’ora su-prema Gesù, dicendo proprio le pa-role “Ecco tuo figlio”, ha affidato a Maria, nel discepolo Giovanni, tutti i sacri ministri, e perciò, invocando-la come “Madre del Sacerdote”, la preghiamo di accogliere nel suo cuo-re e di proteggere tutti i ministri del-la Chiesa.

Ricordiamo…La settimana dell’anno in cui medi-tiamo più profondamente sulla no-stra vocazione e sulla vita dei mini-stri sacri è, in particolare, la settima-na santa, e inoltre quanto cerchia-mo di rivivere la prima settimana di ogni mese. La settimana santa la viviamo con questa attenzione: il Mercoledì san-to ricordiamo il tradimento di Giu-da e le infedeltà di alcuni sacerdo-ti; il Giovedì santo contempliamo l’i-stituzione dell’Eucaristia e del sacer-dozio, il Venerdì santo, facendo l’a-dorazione della Croce, stiamo insie-me al discepolo Giovanni a far com-pagnia alla Madre Addolorata, con la quale, poi, sosteremo presso il se-polcro di Gesù nel giorno del Saba-to santo. Sarà nostro particolare in-teresse vivere nella più grande gio-ia del cuore il mistero della Resurre-zione e Ascensione al cielo di Gesù, durante il tempo Pasquale, e ringra-ziarlo per il dono dello Spirito Santo nella domenica di Pentecoste, che ci rende suoi testimoni fino agli estre-mi confini del mondo. La festa della Santissima Trinità, infine, deve riem-

pire il nostro cuore di un amore sem-pre più grande e di ringraziamento speciale a Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, per tutte le grazie spi-rituali e materiali che ci concede nel nostro cammino.Oltre alla festa del Cuore Sacer-dotale di Gesù e di Maria Santissi-ma, Madre del Sacerdote, celebria-mo con grande devozione la festa di Cristo Re, dell’Immacolata Conce-zione, dell’Annunciazione del Signo-re, dell’Assunzione al cielo della Ver-gine e di quei Santi amati particolar-mente da Padre Venturini: San Giu-seppe, San Pietro, i Santi della Com-pagnia di Gesù e devoti del Sacratis-simo Cuore di Gesù: Santa Marghe-rita Maria Alacoque e Santa Teresa del Bambino Gesù.

Intercediamo…Ogni giorno all’Ora media, facciamo seguire le preghiere di intercessione. Queste preghiere hanno sempre in comune il fatto di essere rivolte al Si-gnore, per il bene e la santità dei mi-nistri: la domenica per la Chiesa e il Papa, il lunedì per tutti i consacra-ti e le vocazioni, il martedì per i mis-sionari, il mercoledì per i fratelli che hanno lasciato il ministero, il giovedì per i giovani sacerdoti e per i consigli presbiterali e pastorali, il venerdì per la nostra Congregazione e per tut-te le associazioni sacerdotali, il saba-to per tutte le vocazioni e per i nostri fratelli defunti. Tutti i giorni preghia-mo per i nostri benefattori e per tut-ti i confratelli e consorelle delle no-stre comunità.

p. Roberto R.San Cleto - Roma

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Quello in cui credo veramente

Antony Bloom nel suo libro La preghiera giorno dopo giorno racconta: «Ricor-do che una delle prime persone che venne a chiedermi consigli dopo che ero stato ordinato presbitero fu una vecchia signora che disse: “Padre, ho pregato quasi incessantemente per quattordici anni, e non ho mai avvertito la presenza di Dio”. Allora le dissi: “Gli ha dato una chance di proferire anche solo una pa-rola?”. “Oh no” mi disse, “ho parlato io per tutto il tempo, non è forse que-sta la preghiera?”. Le dissi: “No, non penso che lo sia, e quel che le suggerisco è di mettere da parte quindici minuti ogni giorno, restando seduta a sferruzza-re davanti al volto di Dio”.E così fece. Con quale risultato? Presto venne da me e disse: “È straordina-rio, quando prego Dio, in altre parole quando gli parlo, non sento nulla, ma quando mi siedo nella calma, faccia a faccia con lui, allora mi sento avvolta dalla sua presenza”.Non sarai mai in grado di pregare Dio realmente e con tutto il tuo cuore se non impari a tacere e a gioire a causa del miracolo della sua presenza o, se preferi-sci, del tuo stare faccia a faccia con lui anche se non lo vedi».

Mi sembra che queste parole diano il senso della preghiera. L’aveva già det-to Gesù di non dire tante parole come fanno i pagani perché il Padre cono-sce già il nostro cuore e tutte le nostre necessità. Faccia a faccia è accettare la sfida di stare davanti a Lui, chi può vedere Dio senza morire? Giacobbe ave-va avuto le sue fatiche nella lotta dello Iabbok, stava vivendo un nuovo pas-saggio ed è stato messo alla prova. In questi momenti viene fuori quello in cui credo veramente, come la Cananea che, nonostante la resistenza di Gesù, ha continuato la sua lotta, ha continuato a pregare il Signore, non si è stancata, non è venuta meno, il suo cuore di madre e la preoccupazione per sua figlia non l’hanno fatta desistere. Mentre Gesù si lamentava dell’ipocrisia e del cuo-re indurito di tante persone, ecco una donna dal cuore puro, mentre nessu-no capisce lei ha capito bene e ha creduto. Quella briciola di fede che ha avu-to è quanto un granello di senape, eppure capace di spostare le montagne.Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sulla mia esperienza di preghiera. Non è facile per me esprimere quello che vivo nella preghiera. È innanzitutto uno spazio di fiducia, la fiducia ricevuta da Lui e da tante persone fa un tutt’uno nel cuore. La consapevolezza che il Signore si fa precario nei miei confronti e bussa alla mia porta come un povero attendendo con pazienza e fiducia la

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mia disponibilità; mi fa, a volte, arrossire perché a dir la verità non sempre so-no pronto ad aprire, a volte sono preso da tante cose... Signore, aspetta che finisco questo, e magari fuori piove, ah mi sono dimenticato quest’altra co-sa... e passano le ore. Per fortuna ci sono degli spazi sicuri durante la giornata: Lodi, Ora media, Vespri, Adorazione e Messa le celebriamo insieme in comu-nità. Sono un punto fisso dentro la mia giornata. Quando finalmente apro la porta possiamo stare finalmente in pace l’uno davanti all’altro, ho capito che forse ho imparato un po’ a pregare perché lui prima mi ha pregato di aprirgli per stare con me, è quell’Amico che mi chiede accoglienza e non viene mai a mani vuote come faccio spesso io, ma mi porta il pane dell’amicizia, spezza quel pane con me e godo della sua compagnia e della sua amicizia, ha con me una relazione speciale, ma non esclusiva, infatti siamo tanti insieme con Lui. Sono guardato, amato, curato, chiamato e quindi donato, vedente, udente, amante, curante. Non è facile raccontare la propria esperienza di preghiera: è Lui che ci prende per mano, basta che gli crediamo, che non ci difendiamo di fronte a Lui. Mi rendo conto che non prego abbastanza, che non ho la stes-sa pazienza del Signore nel bussare, mi rendo conto che come cristiano, reli-gioso, prete potrei pregare di più. La preghiera è un dono che ho ricevuto, un impegno di Congregazione, un compito pastorale.

Gesù e la donna cananea.

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Un modo che ho trovato per me è fare una preghiera meditata: questo av-viene soprattutto con le letture del giorno della Messa e l’Ufficio delle lettu-re. In questi momenti applico una lettura “ossessiva”; cosa voglio dire: leg-go e rileggo continuamente salmi e letture fino a che essi diventano parte di me, del mio respiro, della mia memoria, della mia voce, dei miei pensieri, dei miei sentimenti, della mia preghiera. A volte invece facevo una lettura affret-tata che non mi lasciava niente, forse dicevo solo parole come faceva la vec-chietta della storia citata sopra e forse mi capita anche adesso. Solo quando desideriamo stare davanti a Lui si può realizzare l’incontro.

«Stando così le cose, non è certo male o inutile pregare a lungo, quan-do si è liberi, cioè quando non si è impediti dal dovere di occupazioni buone o necessarie. Però anche in questo caso, come ho detto, si de-ve sempre pregare con quel desiderio. Infatti il pregare a lungo non è, come qualcuno crede, lo stesso che pregare con molte parole. Altro è un lungo discorso, altro uno stato d’animo prolungato. Consideriamo come del Signore stesso sia scritto che passava le notti in preghiera, e che nell’orto pregò a lungo. Ed in ciò, che altro intendeva, se non darci l’esempio, egli che nel tempo è l’intercessore propizio, mentre nell’e-ternità è, insieme al Padre, colui che ci esaudisce?Sappiamo che gli eremiti d’Egitto fanno preghiere frequenti, ma tut-te brevissime. Esse sono come rapidi messaggi che partono all’indiriz-zo di Dio. Così l’attenzione dello spirito, tanto necessaria a chi prega, rimane sempre desta e fervida e non si assopisce per la durata eccessi-va dell’orazione. E in ciò essi mostrano anche abbastanza chiaramente che non si deve voler insistere in un prolungato sforzo di concentrazio-ne, quando si vede che non può durare oltre un certo tempo, e d’altra parte non si deve interrompere alla leggera o bruscamente la preghie-ra, quando si vede che la presenza vigile della mente può continuare» (Dalla «Lettera a Proba» di sant’Agostino, vescovo).

Sant’Agostino parlando degli eremiti parla di preghiere frequenti, ma tutte brevissime; ecco un altro modo di pregare: tanti “sms” al Signore che ravvi-vano la nostra amicizia con lui. Penso che la preghiera e l’incontro con il Signore sanano la nostra vita e le nostre relazioni. Concludo con un’immagine di san Doroteo di Gaza che, par-lando ai suoi monaci, diceva che la comunità è come un cerchio; al centro di questo cerchio c’è il Signore, tanto più ci si avvicina a Lui tanto più ci si av-vicina ai fratelli.

p. GiuseppeIl Cenacolo

Barcellona P. G. (ME)

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Questa è una delle parole che mi prende dentro, e forse è proprio da dentro che deve

iniziare. Non posso parlare del sostantivo senza fare un accenno al verbo, all’agire. Penso che l’appartenenza non sia mai un dato di fatto ma un dinamismo, una azione che perdura nel tempo sempre in fieri, sempre in divenire. Io appartengo a qualcunoDentro le parole

Nella rubrica “Una vita per loro”, dove simulo un dialogo con il nostro fondatore p. Mario Venturi-ni - siamo già alla trentunesima puntata - veniamo

a conoscenza di un fenomeno della vita spirituale che p. Ma-rio attraversava durante i mesi raccontati nell’intervista: la desolazione. Vo-glio proprio guardare a questo aspetto della vita umana e di fede che mol-ti santi hanno attraversato e che, con ogni probabilità, anche noi qualche volta viviamo. Il Salmo 23, quello che conosciamo come il salmo del buon pastore, al quarto versetto ha un’espressione particolare che attira la no-stra attenzione:

Anche se vado per una valle oscura,non temo alcun male, perché tu sei con me.Il tuo bastone e il tuo vincastromi danno sicurezza.

Si parla di valle oscura ma, subito dopo, il salmista proclama la sua fiducia perché la presenza del pastore non vien meno: «Tu sei con me». Come ve-diamo, la valle oscura, o per dirla con san Giovanni della Croce “la notte” o ancora “il deserto”, “il turbamento”, fa parte della vita spirituale, non è un tempo avulso dal “pellegrinaggio interiore” dell’uomo sulle vie dello Spirito ma, se vissuto bene, può dare nuovo senso al nostro cammino, in quanto in questo momento facciamo esperienza della nostra creaturalità, della nostra finitudine e del nostro desiderio di senso che non può essere totalmente ap-pagato in questa storia che ci porta a volte ad essere inquieti. Lo aveva be-ne intuito sant’Agostino e lo aveva segnato nelle sue pagine memorabili del-le Confessioni. Io, in questo contesto, preferisco parlare di desolazione, an-che perché questo termine mi fa pensare alla grande solitudine che talvol-ta siamo chiamati a vivere come l’ha vissuta Gesù, in modo particolare nel-la sua passione. La desolazione viene definita come la mancanza di consolazione e corri-sponde praticamente ad ogni condizione in cui sentiamo Dio lontano da noi, anche se è vero esattamente il contrario, ovvero che siamo noi ad es-

Desolazione

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sere lontani da Dio. La nostra vita non può andare avanti senza questo rap-porto, altalenante, di desolazione e di consolazione: sembrano essere il si-stema di “sistole e diastole” del nostro cuore spirituale. Nella nostra vita tut-ti abbiamo bisogno di qualche consolazione del cuore per poter fare quello che stiamo facendo. Queste consolazioni sono da intendersi come momen-ti di ricarica, guai se non le avessimo, sono esse che ci fanno avere la fiducia in noi stessi, nella vita, in Dio, di cui abbiamo bisogno per vivere; ma può avverarsi il caso in cui non siamo nella consolazione ma nella desolazione, come in una terra desolata, arida e senz’acqua, incolta, disabitata. La deso-lazione può assumere diverse forme oltre a quelle evidenziate sopra: disa-gio, inquietudine, smarrimento, pigrizia spirituale, aridità, tristezza, dispe-razione, paura…; ciò che accomuna tutti questi stati però è la mancanza di pace spirituale profonda.La desolazione somiglia tanto alla depressione; quest’ultima, però, è una vera e propria patologia che va affrontata nel modo dovuto; la desolazio-ne è una sorta di malattia spirituale. Una malattia però che è curabile ed è temporanea. Dura un po’ di tempo e, se curata bene, passa presto, an-che se può ripresentarsi sempre. Gesù è il vero medico. Più volte Gesù nel-la sua vita storica ha fatto cogliere la sua missione come chi viene per pren-dersi cura, in altre parole ha parlato di sé come di un medico e le sue gua-rigioni miracolose lo attestano pubblicamente. Gesù può guarire le malattie

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non solo fisiche ma soprattutto spirituali e spesse volte le prime guarigioni sono segno di guarigioni più profonde come quando dice dopo un miraco-lo o un segno: «Ti sono rimessi i tuoi peccati» oppure «va’ la tua fede ti ha salvato». Gesù è colui che sostiene nel momento dello sconforto e della sfi-ducia, per questo la più efficace medicina per la desolazione spirituale è la persona stessa di Gesù, il dono dello Spirito del suo amore e del suo perdo-no. Nulla può separarci da questo amore e dalla sua grazia, dice san Pao-lo nella lettera alla Chiesa di Roma; il suo amore e il suo perdono sono al di sopra di ogni nostro cedimento.Cosa dobbiamo fare nel tempo della desolazione? Anzitutto penso che dob-biamo nutrirci di una maggiore e profonda preghiera, anche se non ne abbia-mo voglia e la sentiamo arida, offriamo la nostra aridità, anche questa può essere preghiera: ricordiamo che molti salmi nascono proprio da situazioni di desolazione. Forse la desolazione ci può aiutare ad arrivare all’essenziale della nostra preghiera che santa Teresa d’Avila aveva scoperto: solo Dio. Quando viviamo uno di questi momenti dobbiamo cercare di non fare del-le scelte nuove, ma di rimanere ancorati alle scelte che abbiamo effettuato nel momento della consolazione poiché è nella consolazione che vediamo in modo più chiaro; nella desolazione la nostra visione delle cose è offuscata dal nostro stato interiore. Una lettura agiografica - la vita dei santi e dei testimoni - può aiutarci perché ci fa vedere che il nostro non è un male che viviamo da soli, ma altri prima di noi lo hanno vissuto e superato tenendo lo sguardo fisso in Gesù; i santi so-no ottimi compagni di viaggio anche là dove il cammino si fa arduo. Abbiamo bisogno di compagni di viaggio quando ci sentiamo soli: il padre o la madre spirituale possono svolgere un compito molto proficuo per aiutarci ad oltre-passare la “valle del pianto”. Accostiamo anche persone positive che ci sap-piano capire e accogliere con pazienza.Cerchiamo, per quanto è possibile, di programmare il nostro tempo e rimane-re fedeli agli impegni prefissati nonostante la poca voglia. Ci sarebbero tanti altri modi per affrontare questi momenti per non cadere in surrogati di pace e serenità apparente che potremmo avere sottomano: alco-ol, droghe, gioco d’azzardo, sport cosiddetti estremi, uso scorretto della ses-sualità, dei mass media e dei new media… Impariamo anche a gustare il silenzio tipico della solitudine come luogo dove possiamo incontrare noi stessi e il Signore che ci attende nella “settima stan-za” del nostro castello interiore, quella più profonda e più difficile da rag-giungere.

p. GiòIl Cenacolo

Barcellona P. G. (ME)

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L a lettura di San Paolo basta da sola per farvi pienamente conoscere di quali divini mi-

steri siete stati fatti degni parteci-pando allo stesso corpo di Cristo e al suo medesimo sangue.Paolo infatti proclamava poc’anzi: «Nella notte in cui il Signore nostro Gesù Cristo veniva tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spez-zò e disse ai suoi discepoli: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”; prese anche il calice, dopo aver reso grazie, disse: “Prendete e bevete, questo è il mio sangue”». È stato lui a pronunziare quelle pa-role, a dire del pane: «Questo è il mio corpo»! Chi dunque oserebbe metterle in dubbio? Se fu lui ad assi-curarci sulla realtà espressa dalle pa-role: «Questo è il mio sangue», chi mai potrebbe dubitarne dicendo che quello non è il suo sangue?E Che? Troviamo credibile che a Cana di Galilea abbia trasformato

Portatori del Cristo

La voce dei Padri

Cirillo fu vescovo di Gerusalemme verso la metà del IV secolo. Di lui ci ri-mane la serie delle Catechesi, costituita da 24 conferenze pronunciate per la maggior parte nella chiesa del Santo Sepolcro nel 348 di fronte ai fede-li riuniti. Le ultime 5 sono dette catechesi mistagogiche in quanto aveva-no la funzione di far entrare i neo-battezzati nel senso dei sacramenti ap-pena ricevuti (battesimo, unzione, eucaristia). Riportiamo due brani dalla terza e quarta catechesi mistagogica, in cui il vescovo parla dell’Eucaristia.

l’acqua in vino – il vino è come il sangue – e avremo difficoltà a cre-dere che egli abbia mutato il vino in sangue? Se allora, invitato a nozze, operò sì strepitoso miracolo, non confesseremo a maggior ragione che egli ha voluto dare ai figli del suo talamo nuziale di godere del suo corpo e del suo sangue?È con somma certezza di fede, quin-di, che partecipiamo al corpo e al sangue di Cristo. Sotto le specie del pane ti è dato il suo corpo e sotto le specie del vino ti è dato il suo sangue, perché parteci-pando al corpo e al sangue di Cristo tu diventi un solo corpo e un solo sangue con lui. Noi diventiamo por-tatori del Cristo! Mentre il suo corpo e il suo sangue si espandono per le nostre membra, diveniamo quel che dice san Pietro: «partecipi della na-tura divina».

***

San Cirillo di Gerusalemme.

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Ascoltate poi la voce divinamente melodiosa del cantore che vi esorta alla comunione dei santi misteri di-cendo: «Gustate e vedete come è buono il Signore!».Esercitate il vostro discernimento a

partire non dalla laringe materiale ma dalla fede aliena da dubbio, di-sponendovi ad accogliere il suo in-vito a gustare non il tipo del pane e del vino, bensì l’antitipo del corpo e del sangue di Cristo.Quando ti accosti, non stendere le palme delle mani con le dita disgiun-te, ma con la sinistra facendo un tro-no alla destra che deve accogliere il Re, ricevi il corpo di Cristo sul cavo della destra, dicendo: «Amen».Quando la tua mano viene a contat-to del corpo santo, santifica gli oc-chi, attento a non lasciarne cadere qualche frammento, perché sarebbe per te come perdere un membro del tuo corpo. Se le tue mani ricevesse-ro dell’oro, non lo custodiresti con la più grande attenzione per non per-derne nulla, per non esserne in al-cun modo depauperato? Ancora più attento devi essere per non lasciar cadere alcun frammento di quel che è più prezioso dell’oro e delle pietre preziose.

Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogiche,

4,1-3; 5,20-21

San Cirillo di Gerusalemme.

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Una Vita per Loro

Nell’intervista che mi ha concesso l’ultima volta, pa-dre, mi ha parlato della fondazione della casa di Ro-ma, immagino la sua gioia per essere arrivato final-

mente nella città del Papa. Ricordo che mi aveva ac-cennato al suo desiderio di far sorgere la congregazione

a Roma, ma poi il corso degli eventi si è evoluto in modo diverso. Ma ades-so con una presenza a Roma si apriva una nuova pagina della storia dell’O-pera, dico bene?Certo, figliolo, era un mio desiderio essere presente in quella città e i motivi erano più di uno, non solo quello era il centro della Cristianità per la presenza del Papa, ma anche perché in quella città erano molte le possibilità presenti per vivere in modo ancor più pieno e significativo la nostra vocazione. In quel tempo io seguivo l’Unione Apostolica del Clero e nei miei frequenti viaggi a Roma per questo ministero potevo fermarmi dai nostri, inoltre i preti potevano trovare presso di noi un luogo fraterno dove potersi incon-trare.Ricordo che nel ’51, se non erro era il mese di marzo, essendosi raccolto nella nostra Casa in Roma il Consiglio Nazionale dell’Unione Apostolica, abbiamo chiesto e ottenuto una speciale udienza del S. Padre Pio XII. Vi andai assieme agli altri e p. Menotti. Non avevo mai veduto il Papa così sorridente: la sua faccia mi sembrava raggiante. Gli parlammo dell’Unione Apostolica che mo-strò di conoscere perché discese a particolari interessanti dell’Associazione, come la Ratio Mensis, e i doveri dei Direttori Diocesani.Parlò a ciascuno con amabilità singolare, ma ad un tratto si fermò e rivolgen-domi la parola, chiese: - Coma va, padre, cosa mi dice dei poveri sacerdoti? Compresi subito che voleva alludere ai “caduti” e gli diedi qualche buona notizia per confortarlo. Allora con un sospiro profondo gli uscì dal cuore più che dalle labbra una frase dolorosa: - Che pena! Non la dimenticherò più, tanto mi rimase impressa nella mente e, direi, conficcata nel cuore come una spina. Quel lamento era la vera espressione che usciva dal Cuore ferito di Gesù. Come era evidente in quella circostanza che il Cuore di Gesù Cristo era uno solo col cuore del Papa: Cor Petri, Cor Christi!

trentunesima puntata

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Suppongo che l’esperienza con l’Unione Apostolica sia stata molto ricca per la sua vita di prete. Oltre a Roma si incontrava anche in altri posti?Sì, gli incontri erano in vari posti, ma ricordo con particolare gioia il nostro raduno a Parigi dove celebrammo nell’aprile del 1951 il Capitolo Generale dell’Unione Apostolica. Fu un’esperienza molto bella. Prima di tornare a Trento, feci una de-viazione nel viaggio per passare alcune ore di ritiro spirituale ai piedi dell’altare sul quale Gesù ha mostrato il suo Cuore a santa Margherita Maria a Paray le Monial. Il bisogno che ne provavo era tanto grande! Nonostante i bei giorni trascorsi con tanti confratelli sacerdoti, mi sentivo in una aridità indicibile, che mi era causa di molta sofferenza. Imploravo da Dio il dono delle lacrime, mi dicevo:- Almeno potessi piangere sullo stato dell’anima mia, ma nemmeno questo conforto mi è dato. Mi sembra di poter gridare anch’io, sia pure ben diver-samente da Gesù: Deus meus... ut quid dereliquisti me?Ma il Signore fa bene tutte le cose: lo sapevo e volevo di cuore tutto ciò che Egli voleva, tanto più che questa aridità, più che una prova, era forse un ca-stigo, meritato per le mie innumerevoli infedeltà e negligenze. Ancora la preghiera mi era di conforto e dava il senso di quella desolazione. Pregavo:- Fiat. Amen, e anche Deo Gratias! Però quando si vive in questa situazione, sai figliolo, c’è il pericolo assai grave che una persona si abitui a questo stato d’animo, e che discenda sempre più

Padre Mario con dei preti durante un pellegrinagio con L’UAC.

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in basso, allontanandosi dal suo Signore, e il maligno la vinca... Questo era un rischio che correvo anch’io.

Ma forse il dover viaggiare tanto la stancava?Può darsi! A dire il vero ho dovuto girare parecchio in quei primi mesi del 1951..., da gennaio ad aprile andai quattro volte a Roma. Lo facevo per dovere, per bisogno, non per cercare sollievo. Sarei stato tanto volentieri a Casa... ma un pensiero mi assillava nella mia preghiera:- Forse è mancanza di generosità questa? amore del quieto vivere? egoi-smo...: non lo so; non capisco più nulla, Signore! La mia testa è in una grande confusione e stordimento: ti offro, mio Signore, la povera mia testa, i miei poveri nervi: Deus ne derelinquas me, ora che sono vecchio!Ricordo che arrivai a Paray le Monial in un pomeriggio nuvoloso e anco-ra freddo nonostante fossimo già in primavera inoltrata. Trascorsi un po’ di tempo vicino al santo altare delle apparizioni. Non vi ero più tornato da 22 anni. Al mattino ho celebrato la S. Messa su quello stesso altare dove Cristo mostrò il suo Cuore a santa Margherita Maria. Chiedevo che Gesù guarisse il mio cuore e il cuore di tanti fratelli che vivono la prova. Poi vi ritornai ancora dopo la celebrazione... Nel pomeriggio mi posi presso l’altare del Signore e scrissi una Esortazione per la Comunità, pregando Gesù e Maria che mi sug-gerissero ciò che dovevo scrivere.Lasciai il mio cuore al Cuore di Gesù, e partii per Trento. Arrivato a Casa andai subito in chiesa mi inginocchiai e pregai:- Grazie, mio Dio! Sono tornato con la mia aridità, ma più tranquillo e sere-no. Ghiaccio, benedici il Signore!

Sono convito che il pellegrinaggio sia un’esperienza spirituale molto im-portante per la vita del cristiano perché indica in qualche modo il cammino dell’uomo verso Dio, “sacramento” del cammino di Dio verso l’uomo. Se è vissuto bene è una vera e propria preghiera itinerante. Ebbe altre esperien-ze di pellegrinaggio?Ebbi la grazia di accompagnare, in qualità di assistente ecclesiastico, 430 sacer-doti ammalati, di cui 90 barellati, in un pellegrinaggio a Lourdes; andai in un’al-tra occasione anche a Fatima sempre con L’Unione Apostolica ma vorrei parlarti della volta che andai a Lourdes anche perché vivevo un momento particolare di affaticamento e feci quel pellegrinaggio con gioia, sì, ma con tanto sforzo. Condussi con me i nostri due padri Tabarelli e Paolazzi, in precarie condizioni di salute. Eravamo nel mese di giugno e la temperatura era mite e molti preti, anche se cagionevoli di salute, poterono partecipare e affrontare il viaggio. Trascorremmo a Lourdes la Giornata di santificazione Sacerdotale. Nei discor-si della mattina, qualche vescovo la ricordò ai pellegrini. Nel pomeriggio alle 14.30 celebrammo l’Ora di Adorazione, il Divin Sacramento fu esposto all’Alta-re di S. Bernardetta. I sacerdoti si disposero sulla spianata. Ebbi la grazia di par-

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lare anch’io ai confratelli! Occupato per gli altri pensai poco a me in quei giorni: mi sentivo freddo, arido. Ricordo che provavo una certa ritrosia a bagnarmi nella piscina della grotta: quel mettersi in vista degli occhi altrui, mi ripugnava, d’altra parte mi sembrava che la Madonna mi rimproverasse; all’ultimo cedetti, ma mi sembrò che per i sacerdoti ci volesse un po’ più di riguardo... Nel ritorno condussi al Cottolengo di Biella un povero sacerdote guadagnato alla grazia: un bel miracolo della Madonna! Ma fra tutti quei cari sacerdoti pellegrini, il più bisognoso spiritualmente ero proprio io! Lasciando la grotta pregai:- Ti ringrazio, mia buona Mamma d’avermi chiamato a Lourdes: ottienimi di essere quale Gesù mi vuole.

Ebbe modo di trovar il tempo per un po’ di riposo?Dopo tanto girare... almeno qualche po’ di sosta presso il Signore la potei fare, anche se non potei darmi tutto a me stesso, dovendo prestarmi ai biso-gni spirituali dei figlioli.Ma quanta aridità nel mio povero cuore! In certi momenti, purtroppo non tanto rari, quanta insensibilità in tutto, e specialmente nelle pratiche di pietà. Non volevo ripiegarmi sopra me stesso, no, questo è un rischio che si può correre in questi momenti; un atto sincero, sincero, sincero di dolore, e poi ancora avanti con nuovo impegno, ma proprio questo impegno doveva por-tarmi ad una vera e sempre più intima unione con Dio. Domine, attende et miserere mei: adiuva me, quia pauper sum ego. Domina Mater dulcissima, parvulo tuo, benigna, succurre.Stilai una meditazione per me e per i miei figlioli dove indicavo come modello di preghiera e di vita Gesù.

Grotta di Lourdes.

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La gradiremmo anche noi lettori di Piccolo Gregge! Potrebbe farcene dono?

Vita di oblazione di Gesù - Ecce venio! Quanto poca rettitudine di in-tenzione trovo nel mio operare... Eppure tutto dovrebbe essere rivolto alla gloria di Dio in unione al Sacrificio di Gesù. Non ripeto forse ogni mattina: In spiritu humilitatis... offero Tibi novam hanc diem vitae et quidquid in hac die patiar et perficiam... ad majorem gloriam tuam... Più vigilanza sopra me stesso, perché le azioni quotidiane siano in per-fetto accordo con l’offerta del mattino.Vita nascosta di Gesù, ma quanto fruttuosa: glorificava pienamente il Padre e guadagnava infiniti meriti per l’umanità. Ricordati dunque durante il giorno che ogni istante è prezioso e deve essere speso bene, anzi nel modo migliore: lo esigono il Signore e le anime per le quali ti sei offerto secondo il fine dell’Istituto.Vita pubblica di Gesù - Come erano piene le azioni sue...! La pienezza di quanto opererai dipenderà dalla tua unione con Gesù, dalla accet-tazione della sua volontà, qualunque possa essere; dal compiere ogni cosa come la faceva, come la farebbe ora Egli stesso. E ogni cosa con calma, con la perfezione possibile, presente a te stesso, sotto lo sguar-do di Gesù e di Maria SS., tua diletta Madre.Vita di passione di Gesù - Quante sofferenze: neppure un’ora, piutto-sto si può dire che neppure un istante fu Gesù senza dolore! I dolori del Suo Cuore divino e infinitamente amante! Questi devi sentire tanto nel cuore tuo: chiedi la grazia al Signore, ma con umiltà e insistenza... Se il Papa diceva qualche giorno fa: “Che pena!” pensa quella pena incessante che avrà sofferto Gesù!Vita eucaristica - Gesù che rinnova il suo Sacrificio. - Gesù presente nel S. Tabernacolo... Persuaditi che c’è un decadimento nella tua vita spiri-tuale a questo riguardo. Reagisci subito e con ogni mezzo. L’Eucaristia, Gesù Persona, vivo, reale, deve essere il tuo tutto: il centro, la molla, meglio il Sole, il tutto della tua vita. S. Messa, Adorazione, Unione al S. Sacrificio, devono essere il tuo Paradiso in terra. Approfittane special-mente per dare amore e consolazione a Gesù benedetto. Prega tanto la Mamma Celeste che ti aiuti nel compiere questi Atti sublimi.

La ringrazio, padre, del tempo che mi ha concesso, continueremo la pros-sima volta.

Certo figliolo, alla prossima. Sii contento e fatti santo!

p. GiòIl Cenacolo

Barcellona P. G. ME

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«Celebri bene sempre». Con questa raccomandazione si chiu-dono molte lettere che madre Bice (Lorenza) scriveva a pa-dre Mario. La preoccupazione della correttezza della celebra-

zione accompagna sempre i pensieri di madre Bice, che non si accontenta di generiche affermazioni, ma entra nel particolare per esortare colui che è allo stesso tempo per lei padre e figlio spirituale, affinché mantenga un compor-tamento sempre degno e opportuno prima, durante e dopo la celebrazione. La santa Messa è al centro della vita di entrambi, cuore della vocazione sa-cerdotale di padre Mario, che si unisce così al sacrificio di Cristo per il bene dei sacerdoti, e momento particolarmente intenso nell’esperienza religiosa di madre Bice, che durante la celebrazione spesso vive momenti di unione “mi-stica” con Dio, in cui “sente” intuizioni particolari e si immerge pienamente nel mistero e nel senso profondo della vocazione abbracciata. Entrambi at-tendono questo momento della giornata, lo vivono con intensa partecipazio-ne, desiderano sia il culmine della loro offerta, che viene così unita e nascosta in quella di Cristo. Nei periodi di malattia, in cui padre Mario deve rinunciare ai suoi impegni e progetti, madre Bice sa che in realtà «il sacrificio dei sacri-fici, la immolazione più dolorosa, è quella di non poter celebrare». Ed è per questo che il Fondatore si farà poi costruire una piccola cappella comunicante con la sua camera da letto: neppure la malattia potrà impedirgli di vivere il cuore della Sua vocazione, il sacrificio della Santa Messa. Per comprendere meglio il pensiero dei nostri fondatori, riprendiamo alcuni passaggi di una lettera di madre Bice a padre Mario:

La S. Messa, dice il P. Calage, è il sole degli esercizi di pietà, il Centro intorno al quale si aggira tutta la vita di una F.d.C.d.G. [Figlia del Cuore di Gesù]. Una Messa celebrata in una povera cappella dal più povero dei Sacerdoti, rende più gloria a Dio che tutte le preghiere ed i meriti dei Santi riuniti insieme. Ed è questa gloria di Dio che deve assorbire l’anima Sua e unicamente occuparla – quando Lei si porta all’Altare, sparire per così dire la Sua persona, la quale non diviene che strumento a Gesù – È Gesù che si offre e si immola – È Lui la Vittima ed il Sacerdote Sacerdos sacrificat? Christus est qui sacrificat. In Lei questo dev’essere il bisogno intimo che al mattino La spinge all’Altare: dare cioè a Gesù il mezzo di rinnovare il suo Sacrificio per la gloria del Padre Suo – per le anime sì, ma specialmente per il Sacerdozio. (lettera del febbraio 1920)

Piccoli gesti d’amore

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L’accentuazione dell’aspetto “sacrificale” della celebrazione eucaristica ri-sponde certamente alla teologia più diffusa del tempo, come anche l’insi-stenza per la correttezza formale di gesti e atteggiamenti che circondano questo momento rituale, ma ciò non toglie l’utilità di ripercorrere alcune delle espressioni di madre Bice a riguardo, sia per conoscenza storica che per trarne qualche avvertimento sulla necessità di curare il momento celebrativo con movimenti e comportamenti appropriati. È questione di decoro, di rispetto verso Gesù, ma soprattutto di “delicatezza” verso Colui che è l’Amato: per questo la preparazione all’incontro e lo stare alla sua presenza abbisognano di molta cura, “finezza”, attenzione, come veri e propri gesti d’amore.

Trovo ora in S. Ignazio una Regola, in cui prescrive al Prefetto della Sa-cristia, che i Sacerdoti, allorquando andranno all’Altare per celebrare, abbiano i capelli e la barba decentemente tagliati – È una finezza nel servizio diretto di Gesù che si riferisce al contegno esteriore e che in seguito meglio comprenderà, allorquando esigerà dalla Sua Comunità che alla Cappella ed all’Altare vi si rechino con grande decoro.Ed a proposito di contegno esteriore verso Gesù, mi sembra che Lei abbia bisogno di rinnovarsi nell’esattezza e perfezione, talvolta un po’

Adorazione in Casa Madre.

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trascurate: sia nel Divin Sacrificio – nelle genuflessioni, soprattutto a due ginocchi che fa sì male – sia nel modo in cui è parato ed altre pic-cole cose che bene potrà ricordare purché vi faccia attenzione. (lettera di madre Bice a padre Mario, 21 luglio 1923)

Ci sono periodi “forti”, in cui il consacrato deve esprimere anche con il corpo e gli atteggiamenti esteriori il primato di Gesù nella sua vita. Uno di questi è la settimana di passione, dove l’unione al Sacrificio di Cristo diventa il cuore del tempo e delle azioni.

Questo tempo di preparazione all’immolazione dell’Agnello deve pas-sarsi interamente all’Altare – personalmente il più possibile – col cuo-re sempre, anche durante le ore di assenza. È settimana speciale ai F.d.C.d.G. [Figli del Cuore di Gesù], piccoli agnelli (…) non trascuri Gesù per recarsi in fretta da una parte o dall’altra – resti con gran rispetto alla Sua reale Presenza, modesto il contegno, ben fatte le ge-nuflessioni, gravità nel camminare, occhi bassi e mani riunite, piedi composti – Non è la confusione che deve dominare il Suo spirito fa-cendole dimenticare la Presenza di Gesù, ma lo spirito Suo padroneggi la confusione, rimanendo raccolto perché è dinnanzi a Gesù. (…) Can-tando il Passio, non gridi troppo, ma procuri di farlo bene e con deco-ro, unicamente per Gesù solo. La folla non Le faccia girare lo sguardo inutilmente, ma da buon Sacerdote lo fissi nel suo Gesù – Questi giorni sono esclusivamente riserbati a Lui solo – e quindi in ogni azione Egli deve esserne il Centro. Queste piccole Istruzioni, bene osservate sono mezzo potente di vita interiore e di unione all’Oblazione di Gesù sem-pre Offerto, sempre Immolato. Col cuore lo segua di Altare in Altare, perché Lui, eterno Sacerdote, è sempre vivo che prega per Lei. (lettera di madre Bice a padre Mario, sabato di Passione 1920)

Possiamo sorridere di fronte a queste minuziose prescrizio-ni, ritenerle non necessarie, essere infastiditi da un’affet-tazione esagerata che può sostituire invece che aiuta-re la devozione e l’unione a Gesù che si dona per la sal-vezza di ogni uomo. Ma pos-siamo anche cogliere l’invito a mettere in atto piccoli gesti di rispetto verso il mistero che celebriamo, oltre che di aiuto Celebrazione della Parola - altare di Casa Madre.

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umano alla nostra concentrazione e all’attenzione degli altri. Impareremo così a rispettare i momenti di silenzio (prima, durante, dopo la celebrazione), ad assumere un atteggiamento adeguato, a muoverci in maniera composta, ad aiutarci ed aiutare per non creare distrazioni inutili, a prepararci adeguata-mente e per tempo al fine di vivere e far vivere al meglio l’Eucaristia, che rimane il momento centrale della nostra giornata di consacrati e il culmine e la fonte della vita cristiana.Piccoli gesti forse, non il necessario. Ma anche di questi è fatta la vita, anche di questi si nutre l’amore. E che altro è la nostra, se non una chiamata a vivere e manifestare l’amore?

suor ChiaraCasa Madre - Trento

Celebrazione in Casa Madre.

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Chiesa oggi

Assisi, clero italiano,lavori in corso

Dal dieci al tredici novembre i Vescovi italiani si riu-niranno in assemblea straordinaria a Santa Maria degli Angeli per affrontare un tema di grande at-

tualità per la vita della Chiesa. Infatti l’argomento all’ordi-ne del giorno sarà: La vita e la formazione permanente dei presbiteri. Dobbiamo prendere atto che il mondo è cambiato, anzi sta mu-tando continuamente, quotidianamente, e la Chiesa, agli uomini che vivono in questa incessante trasformazione, deve annunciare il Vangelo di Gesù. Si devono cercare di capire gli aspetti e le direzioni del cambiamento, quali sia-no le forze in campo che si affrontano e si scontrano creando spesso angoscia nei cuori della gente, e quindi equipaggiare bene i sacri ministri per la loro missione. Ai vescovi incombe soprattutto il grave impegno della santità dei propri sacerdoti, devono prendersi la massima cura per la continua formazio-ne del proprio presbiterio. Essi stessi sono chiamati a un esempio di santità nella carità, nell’umiltà e nella semplicità della vita. Il documento Instrumen-tum laboris, preparato per i lavori dell’Assemblea CEI, evidenzia i problemi di questa nuova situazione osservando che le mutate condizioni del contesto attuale in cui la Chiesa vive la sua missione, la riduzione del numero dei preti, le fragilità della generazione giovanile contemporanea, e quindi dei preti che ne condividono i tratti, impongono una riflessione e revisione della prassi pastorale.Il presbiterato è per il servizio alla Chiesa, popolo di battezzati, e non per una dignità personale; perciò in questa prospettiva occorre considerare come va-lore spirituale del presbitero la sua appartenenza e la sua dedicazione, in un unico presbiterio, alla Chiesa particolare. L’identità del prete si può definire come la vocazione a far parte del presbiterio, cioè a collaborare, insieme con gli altri presbiteri e con i diaconi, in comunione e con la guida del vescovo, per la missione apostolica. Il primo dono che i presbiteri devono fare alla Chiesa e al mondo non è l’attivismo, ma la testimonianza di una fraternità concretamente vissuta. Il Concilio Vaticano II insegna che nel presbiterio i sa-cerdoti sono uniti tra loro da intima fraternità sacramentale, e non solamente operativa o affettiva. La spiritualità del prete diocesano è una vera e propria via di santificazione: elementi di altre spiritualità potranno arricchirla, ma non

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sostituirla. In attesa di questo evento nella terra francescana, gli esperti si chiedono: Nel pre-sbiterio viene coltivata quella spiritualità di comunione che si esprime in atteggiamenti concreti quali: la stima reci-proca, il rispetto vicendevole, l’aiuto fraterno, il perdono, la condivisione, l’incontro? La formazione permanente del clero domanda di essere rivisi-tata perché non si accentui in modo esclusivo l’aspetto intel-lettuale dell’aggiornamento o

l’aspetto individuale degli esercizi spirituali. È evidente che queste ed altre moda-lità di formazione sono occasioni preziose e, per certi aspetti, irrinunciabili. Tutta-via la formazione permanente non può ridursi ad iniziative di aggiornamento, ma deve essere vista come conversione permanente della vita; essa risulterà efficace se verrà compresa come la pratica di esercizi di comunione nel presbiterio di cui il vescovo deve assumere la responsabilità per la proposta e la verifica. Papa Francesco ci ha messo tra le mani l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, che contiene materiale sufficiente per ripensare la missione di evangelizzare. Questa assemblea cercherà di farne tesoro, e prenderà in considerazione specialmente queste realtà: la riforma della Chiesa in uscita missionaria, il rinnovamento della iniziazione cristiana, cioè della catechesi, la riduzione del numero dei preti con il conseguente sovraccarico pastorale, la presenza in numero significativo di preti provenienti da altre Chiese e che svolgono in Italia il loro ministero con un incarico prolungato, il sovraccarico di lavoro amministrativo che grava sui parroci, le situazioni di stress (bur-nout), di crisi e di abbandoni del ministero. Vale la pena ricordare che il Papa, nell’ultima Assemblea della CEI, ha espresso stima e affetto nei confronti dei preti italiani, e inoltre ha affermato: I nostri sacerdoti, voi lo sapete bene, sono spesso provati dalle esigenze del ministero e, a volte, anche scoraggiati dall’impressione della esiguità dei risultati. Sembra venuto il tempo per un confronto più franco, approfondito, fraterno all’interno del presbiterio, gui-dato dal vescovo, per leggere la situazione non come la deprimente diagnosi di un irrimediabile declino, ma come il tempo adatto per la nuova evangeliz-zazione, l’intensificarsi della relazione con il Signore, il rinnovarsi del desiderio e della gioia di obbedire alla Sua parola per il compimento della missione che il Risorto affida alla sua Sposa, la Chiesa.

fr. AntonioSan Cleto - Roma

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Quinto passo: Decisione

«Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”» (Lc 9, 57).

Avendo scoperto quello che Dio vuole da te deciditi a rispondergli e a seguir-lo con generosità. Prendere la decisione è difficile. Avrai paura. I tuoi limiti ti sembreranno montagne: “Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane” (Ger 1, 6).Anche così però, nonostante i tuoi limiti, o meglio, proprio insieme a loro, rispondi come Isaia: “Eccomi, manda me!” (Is 6, 8). Dire il “sì”, con il quale impegni tutta la tua vita è una grazia. Chiedi allo Spirito Santo che ti dia questa capacità di rispondere. Non affrontare la decisione equivale a sprecare la tua vita.Per iniziare il cammino della vocazione non aspettare di avere la certezza assoluta che Dio ti sta chiamando, non aspettarti il “famoso contratto firma-to”; ti basta la certezza morale. La decisione è un passo nella fede, un atto di fiducia nel tuo amico Gesù. Al deciderti di seguire in modo radicale Gesù è normale che tu abbia dubbi, paure. Riuscirò a sopportare tutte le esigenze della vocazione? Arriverò alla meta finale? Di una cosa non puoi però dubi-tare: di quello che tu vuoi.Dando questo passo dirai: “voglio consacrare la mia vita a Dio nel servizio ai miei fratelli”. “Voglio entrare in questa congregazione religiosa”. “Voglio essere sacerdote”.

Sesto passo: Agire«Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono» (Mt 4, 21-22).

SeguimiI sette passi della vocazione

In questo numero poniamo l’attenzione sugli ultimi tre passi nel cammino della se-quela: decisione, agire e direzione spirituale.

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Una volta presa la decisione, lanciati! Non ti lasciar vincere dalle paure: lan-ciati con coraggio. Metti tutti i mezzi che hai a tua disposizione per realizzare quello che hai deciso. Non cedere alla tentazione di non entrare in un semi-nario con la scusa del “Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io…” (Lc 9, 61). Con la tua decisione hai impegnato anche tutto il tuo passato; nel futuro cerca solo come essere fedele. L’unica forma di realizzare il progetto di Dio nella mia vita è la fedeltà di ogni giorno. Vivi ogni momento in coerenza con quello che hai deciso, dirigi ogni tuo passo verso la meta.E quando verranno le difficoltà? Perseverare! Il cammino che inizierai è diffi-cile, più di quello che credi. Preparati alla lotta, dovrai affrontare problemi e superare ostacoli. Gesù ti dice: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23). Il sentiero è duro, però Maria ti accompagna, e lo Spirito Santo ti dà la forza per poterlo percorrere. Non si tratta di caricare oggi la croce di tutta la vita, ma solo quel-la di oggi, e così ogni giorno. Dando questo passo dirai, come Pietro: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10, 28).

Settimo passo: Direzione spirituale«Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è sta-bilito che tu faccia» (At, 22, 10).

La direzione spirituale, in realtà, non è solamente un passo in più nel pro-cesso di discernimento vocazionale: è un mezzo del quale si può profittare in ciascuno dei passi visti anteriormente. Il direttore spirituale ti motiverà a pregare e ti aiuterà a capire i segni della volontà di Dio che percepirai. Ti indicherà dove potrai ottenere informazioni e ti aiuterà a riflettere. Nel momento della decisione si allontanerà da te perché tu, di fronte a Gesù, possa rispondere liberamente alla sua chiamata. Ti aiuterà a prepararti con-venientemente per entrare in una casa di formazione. La sua preghiera ed il suo sacrificio per te ti otterranno, dallo Spirito Santo, la luce necessaria per scoprire la tua vocazione e la forza per seguirla. Se è vero che la vocazione è una chiamata personale di Dio che nessuno può ascoltare se non tu stes-so, ed un invito al quale nessuno può rispondere al tuo posto, è altrettanto vero che hai bisogno di qualcuno che ti accompagni nel tuo discernimento vocazionale. È facile farsi illusioni: potrai credere che sia una chiamata di Dio quello che in realtà è un tuo desiderio o, al contrario, potrai pensare che non hai una vocazione quando in realtà Dio ti sta effettivamente chiamando. Dialoga e confrontati con il tuo direttore spirituale per verificare l’autenticità della tua vocazione. Gesù Cristo, dopo essere apparso a Paolo nel cammino di Dama-sco, comandò all’apostolo di recarsi da Ananìa. Proprio Ananìa infatti avreb-

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be detto a Paolo ciò che il Signore voleva da lui. Anche se Gesù avreb-be potuto far conoscere direttamen-te a Paolo ciò che gli chiedeva, volle avvalersi dell’aiuto di Ananìa per far scoprire all’apostolo la sua vocazione (cfr. At 22, 10-15).Nel discernimento del progetto di Dio su di te non puoi fare a meno della mediazione della Chiesa. Sco-prire la tua vocazione non è facile, ma nemmeno impossibile. Se con sincerità ti metterai a cercare la vo-lontà di Dio, e realizzerai i passi che ti suggerisco, credo che potrai capirla. In molti modi Dio ti sta rivelando la maniera in cui vuole che collabori all’in-staurazione del suo Regno. Lui infatti è il primo a cui interessa che tu scopra e realizzi la tua vocazione. Per questo motivo prega, dialoga con il tuo direttore spirituale, percepisci, informati, rifletti, deciditi ed agisci.

***

I passi sono finiti, il cammino verso la meta diventa sempre più corto. C’è la fatica di chi sta raggiungendo la vetta, c’è anche la grande gioia di vedere un orizzonte molto più ampio, più profondo e più grande. La tua vita si confronta con l’assoluto di Dio e si rimane a bocca aperta. Ci specchiamo nella sua verità, nella sua bontà, nel suo amore. Cammino, verità e vita. In questo cammino, in questa ascesa ti renderai conto che tra le mani hai un bastone, un appoggio sicuro. Una guida. Questa guida per me è Maria. Lei intercede, accompagna, incoraggia, sostiene. È una amica sincera, stupen-da, senza macchia. Ogni cammino, ogni progetto, ogni richiesta che affi-diamo a Lei siamo certi di poterlo raggiungere. Lei ci accompagna al “porto sicuro”. Non delude mai, non si dispera mai, non tradisce mai. Senti la sua presenza, senti il suo grande amore sincero. La Madonna di Guadalupe nella sua apparizione al beato Juan Diego ha detto queste parole, ripetile spesso nel tuo cuore:“Ascolta, figlio mio, riponilo nel tuo cuore.Non sto forse qui io, che sono tua Madre?Non stai forse sotto la mia protezione?Non sono forse io la fonte della tua gioia?Niente deve affliggerti e turbarti.”

La Redazione

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50 anni di “Eccomi!”

Il 24 agosto ho festeggiato 50 anni di professione religiosa. Mi sono sentita “piccola”, ma

molto contenta e gioiosa per questo lungo cammino. Ringrazio il Signore perché mi ha donato le grazie per-ché io arrivassi fino a qui. Grazie an-che alla Vergine Santa, perché mi ha sempre sostenuto con la sua mano protettrice.La festa è iniziata con la santa Mes-sa, celebrata dal Superiore generale e con la presenza di altri confratelli. Attorno a me c’erano la mia Comu-nità, guidata da Madre Caterina, e quasi tutti i miei familiari. Ringrazio tutti di cuore!

Ringrazio anche il Padre Fondato-re: proprio in quel giorno ricorreva l’anniversario della Sua Ordinazione Sacerdotale, avvenuta nel 1910, che lui festeggiava sempre con solennità e gratitudine. Dal Cielo avrà certa-mente pregato per noi.Ringrazio tutti quelli che si sono fat-ti presenti in vari modi, soprattutto i confratelli del Brasile e tutti quelli che si sono ricordati di me.È bello camminare con Gesù, sem-pre ci attende, ci accompagna e ci guida.A tutti il mio abbraccio nel Signore,

suor Carla Casa Madre - Trento

Sr. Carla e nipoti.

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35Sr. Carla e sorelle.Sr. Carla e nipoti.

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Carisma

Pregando il Cuore sacerdotale di Gesù

Cari amici lettori, nella nostra rubrica periodica desi-dero iniziare con voi a comprendere l’invocazione che quotidianamente ripetiamo nella nostra preghiera: Cuore sacerdotale di Gesù fa’ il nostro cuore simile al tuo! Alcune parole delle nostre preghiere sono come un codice da decifrare, studiando la loro storia e il loro significato. In questa prima parte, colgo l’occasione per spiegarvi in sintesi la storia e una breve spiegazione del titolo Cuore sacerdotale nella nostra Opera fino al tempo in cui è vissuto padre Mario Venturini, perciò fino al 1957. Non è un argomento semplice, ma è necessario per capire le nostre radici.La spiritualità di padre Mario si colloca dentro l’eredità della spiritualità della scuola francese (1500-1600), soprattutto sulla scia delle riflessioni del sacerdote Pierre de Berulle. La sua dottrina presenta il prete che, con l’ordinazione, è divenuto partecipe del ruolo di mediatore di Cristo, e occu-pa perciò un posto particolarmente eminente. Egli deve avere una santità degna di Colui che rappresenta. Un altro aspetto importante degli studi berulliani si riferisce alla santità e alla dignità dello stato di sacerdote dioce-sano, che esige un alto grado di perfezione, poiché non si fonda su azioni sante fatte dall’uomo, come nei religiosi, ma nelle azioni di Gesù stesso. Il sacerdote infatti si riveste della persona di Gesù, agisce in suo nome e in suo luogo. Questa dottrina berulliana cammina in parallelo al filone spiri-tuale sorto grazie alle tre apparizioni di Cristo nel 1600 a S.Maria Marghe-rita Alacoque presso Paray le Monial in Francia e propagate da p. Claude La Colombière (1641-1682) con i suoi confratelli gesuiti. Riporto un tratto del testo dell’ultima rivelazione, chiamata grande rivelazione, ricevuta da S. Maria Margherita:

Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e che nulla ha ri-sparmiato fino ad esaurirsi e consumarsi per testimoniare loro il suo amore. In segno di riconoscenza, però, non ricevo dalla maggior par-te di essi che ingratitudini per le loro tante irriverenze, i loro sacrilegi e per le freddezze e i disprezzi che essi mi usano in questo Sacramen-to d’Amore. Ma ciò che più mi amareggia è che ci siano anche dei cuori a me consacrati che mi trattano così.

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Per p. Venturini di conseguenza non era necessaria una festa diversa da quel-la che la Chiesa celebra otto giorni dopo la festa del Corpus Domini. Ancora chierico, il giovane Mario era fortemente appassionato per l’Eucare-stia, l’Adorazione e la Riparazione. Il 7 marzo 1912 avvenne come sappiamo la sua opzione fondamentale:

Fate che io concepisca un vivissimo dolore per le continue ingrati-tudini di tanti sacerdoti verso di voi e che senta sempre più ardente la sete di soffrire per ripararle e lenire in qualche maniera al dolore acerbissimo che esse arrecano al vostro sacratissimo Cuore.

Il 3 maggio 1917 padre Mario si offre al Signore: non parla più di dono della personalità, ma si dona a Gesù con l’offerta intera, assoluta, perpetua di tutto me stesso per l’opera del tuo divino amore.Il fascino verso il Cuore di Gesù sembra sia stato favorito in padre Venturi-ni anche dall’amicizia con il compagno di studi Luigi Simoni di Rovigo, che diventò in seguito monaco certosino con il nome di Giovanni Battista. Si ag-giunga pure il contatto con la spiritualità della Beata Madre Maria Deluil Martiny tramite Bice di Rorai - che collaborerà con lui in modo fondamentale alla fondazione dell’Opera sacerdotale. Quest’ultima spiritualità prevede la devozione riparatrice al Cuore di Cristo e l’imitazione di Maria che esercita il suo sacerdozio ai piedi della croce; Madre Deluil Martiny pensava che biso-gna partecipare decisamente alla sofferenza redentrice del crocifisso.Per p. Mario non si può essere per vocazione un altro Cristo se non si è al tempo stesso come Lui: Sacerdote e vittima. Il 1° gennaio 1924 ecco cosa troviamo nel suo Diario:

Far conoscere e amare il Cuore sacerdotale di Gesù, che nobile mis-sione e soprattutto di quanta gloria e consolazione a Lui, che vuole in-nalzato nella stima e nell’ amore dei Prediletti e del mondo tutto il suo Sacerdozio! … Nella piena ed assoluta adesione alle verità della fede e agli insegnamenti della Chiesa, voglio che tutta la mia vita sia oc-cupata nel far conoscere, amare, servire il Cuore sacerdotale di Gesù.

La devozione al Cuore di Gesù come sacerdotale aveva una sua motivazione specifica e importante e p. Mario la esprimeva così nel 1926:

Celebrare l’amore di Cristo, sacerdote del Padre e della umanità, che ha fatto della sua vita intera una offerta sacrificale, che ha dato alla sua Chiesa l’Eucarestia e il sacerdozio, che sulla croce ha consumato l’olocau-sto supremo al Padre, che continua attraverso il ministero dei sacerdoti a rinnovare nell’Eucarestia la sua offerta, che in cielo offre al Padre il suo corpo umano trafitto e un popolo redento, frutto della sua immolazione.

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Sono interessanti alcune coincidenze storiche tra la vita del padre fonda-tore e il magistero dei Papi sul tema della Riparazione, pressoché scono-sciuto ai giorni nostri, ma molto pre-sente in quel tempo.Pio IX inaugura nel 1856 l’era ripara-trice; Pio XI pubblica l’enciclica Mise-rentissiMus redeMptor: la riparazione si collega al Cuore angosciato di Gesù agonizzante; così nel 1938 p.Venturini scrive circa la brama di consolare Gesù Cristo per le offese che riceve, e di or-ganizzare pure un aiuto ai sacerdoti in difficoltà.Pio XII scrive l’esortazione Menti nostrae sulla santità della vita sacer-dotale; poi pubblica l’enciclica Hau-rietis aquas: partendo dal fatto che la devozione tradizionale vede nel sacro Cuore il simbolo e l’espressiva

immagine dell’infinita carità di Gesù Cristo, che ci stimola a ricambiarlo con il nostro amore, il Papa afferma che già nel Vecchio Testamento ci sono im-magini commoventi di questo infinito amore divino, che lo rivelano come quello di un Padre misericordioso e pronto a tutto per ottenere che il suo amore sia corrisposto: è amore tenerissimo, indulgente e paziente e prelude chiaramente, come attestano i profeti, alla nuova alleanza, in cui Dio darà al popolo un cuore nuovo, un cuore di carne e non di pietra, e vi scriverà la sua legge. Infine Pio XII scrive che la contemplazione nel Nuovo Testamento va dunque ricondotta all’amore del Dio Uno e Trino, prima che ad ogni esigenza di giustizia e di espiazione: il mistero della divina redenzione è primariamente e fondamentalmente un mistero d’amore: Cristo soffrendo per carità e obbe-dienza offrì a Dio un valore maggiore di quello che esigeva la compensazione per tutte le offese fatte a Dio dal genere umano. Il fondatore aveva approfondito, nei suoi studi teologici, che se Gesù è sta-to sacerdote, l’unico, grande, autentico sacerdote del Padre e dell’umanità peccatrice, lo è stato non solo e non tanto per quello che ha fatto, ma per l’amore profondo, vivo, sacrificale con il quale ha motivato ogni suo gesto. Questo amore è sgorgato dal suo Cuore.Padre Venturini scrisse che Gesù Sacerdote adorava con il suo Cuore sacerdo-tale Dio Padre, gli offriva ringraziamenti, e pure offriva riparazioni per i pec-cati di tutto il mondo. Il Cuore di Gesù deve dirsi sacerdotale perciò perché il Sacrificio, il desiderio di offrire la vita per la nostra la salvezza, scaturì dal

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suo Cuore infuocato d’amore per l’umanità: Amò e diede se stesso (Ef 5,2).Possiamo dire che, per p. Mario, Cristo ha vissuto l’obbedienza offrendosi come un’Ostia immacolata d’amore che s’immolava, cioè offriva la sua vo-lontà sull’altare del suo Cuore. Un cuore che era allo stesso tempo: Sacerdo-te, Vittima e Altare. Vale la pena qui ricordare che il termine ‘ostia’, deriva dal latino hostia che significa vittima. Padre Venturini scriverà spesso circa l’importanza di offrire ostie spirituali, che sarebbero rinunce, penitenze, sof-ferenze, offerte in comunione al Sacrificio di Gesù Sacerdote. Nello Spirito della Congregazione (uno dei documenti scritti da p. Mario Venturini, nel quale delinea la spiritualità dell’Opera da lui fondata), troviamo alcune importanti sottolineature.- Al punto 11 dello Spirito è evidente che è l’amore di Cristo che nasce nel

suo Cuore e che rimane presente nell’Eucarestia, grazie al ministero dei sacerdoti.

- Al punto 16 padre Venturini scrive che dal Cuore divino di Gesù sgorgano due prove del suo infinito amore: l’Eucarestia e il Sacerdozio; un amore che domanda la riconoscenza.

In particolare nell’Ultima Cena l’amore, nato nel Cuore di Cristo, pensò di perpetuare il sacrificio eucaristico, dentro gli umili segni del pane e del vino.

- Al punto 24 si sottolinea che senza dolore, sacrificio e sofferenza non si vive in un amore simile a quello che Dio, attraverso il Cuore sacerdotale di Gesù, ha avuto per l’umanità.

- Nel punto 30 si evidenzia, a commento della preghiera di Gv 17, che il Cuo-re sacerdotale è sorgente di verità, vita, santità, unità.

- Al punto 40 si mette in risalto la misericordia indicando ai futuri venturini di essere uomini della misericordia perché figli di questo Cuore tanto mi-sericordioso, e in quanto i destinatari della loro misericordia sono proprio i Sacerdoti.

- Nel punto 43 si sofferma sull’abbandono fiducioso al S. Cuore di Gesù in-dicando che nella consacrazione al S. Cuore di Gesù si offre tutto, nessuna cosa esclusa. Come il Signore non mette limite alcuno al dono che ci fa di tutto se stesso, così la nostra offerta deve essere totale.

Cuore sacerdotale ed Eucarestia

Ma quanto sacerdotale fu il Cuore di Gesù nell’ultima Cena! Il Sacrifi-cio Eucaristico è un’invenzione dell’amore infinito, un’attestazione di ardentissima carità. Infatti l’amore escogitò l’immolazione della Cro-ce; l’amore compì la transustanziazione; l’amore nascose Gesù sotto le Specie sacramentali; l’amore volle la consumazione dell’Ostia nella Comunione; l’amore comandò la rinnovazione e la perpetuità del Sa-crificio.

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Cuore sacerdotale e Croce

Il Sacrificio della Croce: ecco il centro di tutti i desideri del Cuore sa-cerdotale di Gesù, ecco la più propria azione sacrificale del medesimo Cuore. Egli disse: «Nessuno me la toglie (la vita), ma la offro da me stesso... Questo comando ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10, 18). Infatti il Profeta aveva di lui predetto: «Si è offerto perchè Egli lo ha voluto» (Is 53, 7). Perciò la volontà, o piuttosto il Cuore di Gesù, ve-ramente sacerdote, offrì il Sacrificio cruento interamente consumato fra le fiamme dell’amore quale olocausto all’Altissimo.Uniamoci sì intimamente alla divina Volontà, che, come regnava nel Cuore di Gesù, così regni nel nostro.

Cuore sacerdotale e Istituzione del Sacerdozio

«Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11, 24), disse Gesù ai suoi Discepoli. Essi però agiscono quale strumento, perchè Gesù Sacerdote è il principale autore e l’invisibile operatore; dunque la divina parola di Cristo per le labbra del Sacerdote compie il Sacramento, e l’amore infuocato del suo Cuore offre al Padre il Sacrificio.Riflettiamo seriamente come dipenderà anche dall’intercessione no-stra che i Sacerdoti donino a Gesù, Pontefice eterno, non solo le loro labbra per pronunciare le parole della consacrazione, ma altresì il cuore e tutti loro stessi con intera, continua, amorosa donazione, af-finché Egli totalmente li possegga e li riempia di se stesso e li consumi nell’unità. Così con più verità all’Altare e in tutti i ministeri sacri essi saranno un altro Gesù Cristo.

fr. AntonioSan Cleto - Roma

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I nostri Santi

Santa Margherita Maria Alacoque

Margherita Alacoque nacque a Lautecourt nei pressi di Verosvres nel dipartimento di Sao-ne e Loira, nella Borgogna, il 22 luglio 1647.

Era figlia di genitori ferventi cristiani, suo padre era il no-taio Claude Alacoque e sua madre, Philiberte Lamyn, era anch’essa figlia di un notaio. Ebbe quattro fratelli.Nella sua autobiografia Margherita Maria Alacoque narra di aver fatto voto di castità all’età di cinque anni. Il padre morì quando lei aveva otto anni, la madre la inviò perciò in un collegio gestito da suore Clarisse. Nel 1661 rac-conta che le apparve la Madonna. Nel 1669, all’età di 22 anni, ricevette la cresima; con l’occasione fece aggiungere al suo nome anche quello di Maria.Margherita Maria Alacoque decise di entrare in monastero e, nonostante l’opposizione della famiglia che voleva per lei un matrimonio, entrò nell’or-dine della Visitazione.Dopo alcuni anni di vita nel monastero della Visitazione di Paray-le-Monial, il 27 dicembre 1673 Margherita Maria Alacoque riferì di aver avuto un’appa-rizione di Gesù, che le avrebbe domandato una particolare devozione al suo Sacro Cuore. Margherita Maria Alacoque affermò di aver avuto tali appari-zioni per 17 anni, sino alla morte.Per queste presunte apparizioni, Margherita Maria Alacoque venne malgiu-dicata dai superiori e osteggiata dalle consorelle, tanto che essa stessa ebbe a dubitare della loro autenticità.Di diverso parere era il gesuita Claude La Colombière, profondamente con-vinto dell’autenticità delle apparizioni: divenuto direttore spirituale della Ala-coque, la difese anche dalla Chiesa locale, la quale giudicava le apparizioni come “fantasie” mistiche.All’indomani della sua morte, avvenuta nel 1690, due sue discepole compi-larono una Vita di suor Margherita Maria Alacoque.

Margherita Maria Alacoque aveva ricevuto dal direttore spirituale l’ordine di scrivere le sue esperienze ascetiche. Sebbene avesse acconsentito a motivo del suo voto di obbedienza, ella inizia l’autobiografia sottolineando tutto il suo disgusto per quanto le viene chiesto:

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«Soltanto per amor Tuo, o mio Dio, mi sottometto all’obbedienza di scrivere queste memorie e ti chiedo perdono della resistenza che fino ad ora ti ho opposta. E siccome Tu solo sai quanto forte sia la mia ripu-gnanza, Tu solo puoi concedermi la forza di superarla».«Devo farmi estrema violenza per scrivere tutte queste cose che avevo tenute nascoste con tanta gelosia e tante precauzioni per il futuro».

Afferma di ricevere in una rivelazione privata la conferma ad andare avanti nello scrivere, seppure dalle sue parole traspaia che ella riteneva i suoi raccon-ti esclusivamente diretti al suo direttore spirituale:

«Queste parole mi dettero un gran coraggio, ma la paura, che questo mio scritto cada sotto lo sguardo altrui, continua».

Dall’autobiografia apprendiamo che ella sentì la vocazione alla vita religiosa fin dall’infanzia, quando neppure comprendeva appieno cosa significasse:

«Oh, mio unico amore, quanto vi sono grata per avermi protetta sin dalla prima gioventù, divenendo signore e padrone del mio cuore [...] E senza sapere cosa volessero esattamente dire, mi sentivo di continuo forzata a pronunciare queste parole: «O mio Dio, vi consacro la mia purezza e vi faccio voto di perpetua castità».

In seguito, racconta che a partire dal 27 dicembre 1673 Gesù le apparve ripetute volte. In quella che viene chiamata la grande rivelazione, scrive che Gesù le mostrò il suo Sacro Cuore e le chiese che il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini fosse celebrata una festa per rendere culto al Sacro Cuore.Alacoque afferma anche di aver ricevuto da Gesù una grande promessa: a chi riceverà la comunione per nove mesi consecutivi, ogni primo venerdì del mese, verrà fatto il dono della penitenza finale. Esso consiste nella possibilità per il devoto di non morire in stato di peccato, né senza ricevere i sacramenti.Margherita Maria prosegue affermando di aver ricevuto per 17 anni rivelazioni, nelle quali veniva chiamata da Gesù “discepola prediletta”, ricevendo i “segreti del suo cuore divino” nonché la conoscenza della “scienza dell’amore”.La notorietà di Margherita Maria Alacoque è dovuta al fatto che le rivelazioni che ella racconta di aver ricevuto porteranno allo sviluppo del culto e all’i-stituzione della solennità liturgica del Sacro Cuore di Gesù. In questo senso Margherita Maria Alacoque si affianca ad altri religiosi, come san Giovanni Eudes e il gesuita Claude La Colombière, suo padre spirituale, che favorirono tale culto. Il culto del Sacro Cuore di Gesù era già presente in epoca prece-dente, ma in modo meno popolare; è documentato da evidenti tracce stori-che risalenti ai secoli XIII-XIV, soprattutto nella mistica tedesca.

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In memoria e onore di questo culto venne portata a compimento l’edifica-zione della Basilica del Sacro Cuore nel quartiere di Montmartre a Parigi, accessibile dal 1876.All’apertura canonica della sua tomba nel luglio 1830, il corpo di Santa Mar-gherita Maria è stato trovato incorrotto, e tale è rimasto, conservato sotto l’altare della cappella della Visitazione di Paray-le-Monial.Il 18 settembre 1864 Margherita Maria Alacoque fu beatificata da papa Pio IX, e poi canonizzata nel 1920, durante il pontificato di papa Benedetto XV. La sua memoria liturgica ricorre il 16 ottobre, mentre nel calendario delle ricorrenze religiose la festa in onore del Sacro Cuore di Gesù è stata stabilita per il venerdì successivo la II domenica dopo Pentecoste.Nel 1928 Papa Pio XI riconobbe nell’enciclica Miserentissimus Redemptor la credibilità da parte della Chiesa cattolica delle visioni a Margherita Maria Alacoque, affermando che Gesù “si manifestò a Santa Margherita Maria”.

Cfr. Ivan Gobry, Margherita Maria Alacoque e le rivelazioni del Sacro Cuore, 1989

Estratto Esortazione XCI Trento, Marzo 1948 di p. Mario Venturini

Il S. Padre Pio XI nella Enciclica «Miserentissimus Redemptor» (9.5.1928) così si esprime a tale riguardo: «Se nella Consacrazione (al Cuore di Gesù) primeggia l’intento di ricambiare l’amore della creatu-ra, ne segue naturalmente un altro, che dello stesso Amore increato

Gesù manifesta il suo Cuore a santa Margarita Maria Alacoque.

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si debbono risarcire gli oltraggi recatigli in qualsiasi modo, quando sia dimenticato per trascuranza o amareggiato per offese: dovere al quale diamo comunemente il nome di riparazione».A questa pratica tanto salutare, sentito bisogno del cuore amante ci spinge lo stesso Gesù benedetto; il quale in una memoranda apparizione a S. Margherita Maria mentre insisteva sull’immensità del suo amore, al tempo stesso, in atteggiamento di addolorato si lamentò di tanti e tanto gravi oltraggi a sé fatti dall’ingratitudine degli uomini, con queste parole che dovrebbero essere scolpite nel nostro cuore, né mai cancellarsi dalla memoria: “Ecco, disse, quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e li ha ricolmati di tutti i benefici, ma in cambio del Suo Amore infinito, non che trovare gratitudine alcuna, incontrò invece dimenticanza, indifferenza, oltraggi e questi arrecatigli talora anche da anime a lui obbligate con più stretto debito di speciale amore” (Enc. Miserent. Red.).Racconta ancora la Santa: «Dopo la S. Comunione il mio Sposo mi si presentò sotto la figura di Ecce Homo, carico della sua Croce, tutto coperto di lividure e di piaghe, grondante sangue da ogni parte, e con voce mesta e dolente mi disse: “E non vi sarà persona che mi abbia pietà e voglia patire meco, partecipando al mio dolore nello stato la-grimevole in cui mi pongono i peccatori?”».E ancora: «Un giorno il Signore nostro, scoprendomi l’amoroso Suo Cuore tutto straziato e trafitto, “Ecco, mi disse, le ferite che riceve dal mio popolo eletto. Gli altri si contentano di percuotere sul mio Corpo, questo mi transverbera il Cuore, che non ha mai cessato di amarlo”».E finalmente: «Il Signore mi si presentò ancora coperto di piaghe, con tutto il corpo sanguinante, il Cuore tutto straziato dal dolore e la Per-sona come tutta spossata. Io me Gli protesi ai piedi col grande timore che mi era impresso nell’anima, non osando dirGli niente. Ed Egli a me: “Ecco a che mi riduce il mio popolo eletto, che destinato da me a placare la mia collera, invece mi perseguita segretamente”».Bastano queste rivelazioni per farci comprendere quanto il Divin Cuore brami e domandi la riparazione, specialmente da parte delle anime che Gli sono più care.Che noi siamo nel numero di queste anime, nessuno, che sia consapevole della propria miseria, ha il coraggio e l’ardire di pensarlo. Sta però il fatto che pure, tanto immeritevoli, il Signore ci ha chiamato a far parte di una Congregazione di Figli del Suo Cuore SS., Congregazione che ha fra i suoi fini quello di «offrire consolazione e riparazione allo stesso Sacratissimo Cuore, profondamente ferito per le offese di alcuni Suoi prediletti».

p. Giuseppe (a cura di)Il Cenacolo

Barcellona P. G. (ME)

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Vitadell’opera

Carissimo,fin da ieri pomeriggio, a Barretos, nella Chiesa del Rosario, sono state celebrate SS. Messe in suffragio di P. Mario, molte persone

sono apparse in chiesa per una preghiera e per commiatarsi. Durante la notte alcune persone hanno vegliato; questa mattina alle ore 9.00 è stata celebrata una S. Messa concelebrata da vari sacerdoti della città, una alle 11.00.Alle 15,15 padri e aggregati, attorno alla bara, hanno avuto un momento di preghiera prima di chiudere la bara.Hanno partecipato i nostri confratelli e alcuni aggregati di Osasco, i padri, studenti nostri, aggregati e amici di Marilia.Alle 16.00 ho presieduto la S. Messa; molti sacerdoti della città non hanno concelebrato; la chiesa piena di fedeli commossi e alle 17.15 l’avvio per il cimitero; moltissimi con le loro macchine, in corteo si sono recati al cimitero, è stato benedetto il tumulo per terra, accompagnando con preghiere fino alla copertura totale.Il tumulo, donato dal dr. Henrique Prata, è su un tappeto verde, tipo inglese,

con nella stessa fossa possibilità di de-porre due bare.Quanti hanno partecipato durante i due giorni, hanno rivelato un grande amore e ammirazione per la persona e il ministero di P. Mario.88 anni di età, 63 di sacerdozio, 33 anni in Brasile, dati più che numerici, indicativi delle grazie a lui concesse dal Signore.

p. CarloBarretos SP (Brasile)

Con queste parole inviate in una mail al superiore generale p. Gian Luigi, p. Carlo, delegato per le nostre comunità in Brasile, ha reso partecipi noi in Italia delle celebrazioni che si sono suc-cedute in suffragio di p. Mario Revolti. Ricordiamo il confratello perché celebri eternamente con Cristo sacerdote la liturgia del Cielo.

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19 Gennaio 1975: nel grup-po di preti sposati “amici del Cenacolo” di Torino c’era grande attesa. Veni-vano a conoscerci dei padri di Trento che avevano come carisma della loro Congregazio-ne l’aiuto ai sacerdoti in difficoltà. Le abbondanti nevicate di quei giorni avevano fatto scegliere a p. Mario, p. Franco e p. Claudio di arrivare in tre-no. Così, con grossi scarponi ma con passo delicato, i venturini entravano nella nostra vita.Io ero a fine gravidanza, ma non bastarono i timori di Stefano e di

Padre Mario… un umile di cuore

mia madre a trattenermi a casa. Così, lasciando a casa con nonna il piccolo Aldo, ero là, col mio pancione, a guardare con un misto

di curiosità e speranza quei tre preti così diversi tra loro, ma

anche così in consonanza nella cor-dialità semplice e nei contenuti delle loro parole: rispetto per una scelta, disponibilità all’aiuto e prima ancora all’ascolto, ricerca nel cogliere nella nostra realtà una strada di aiuto ai preti da percorrere per la loro fami-glia religiosa… Al termine dei loro interventi, con le lacrime agli occhi

Agosto 1970 - Pietralba.

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dissi a Stefano: “Hai sentito? La loro Congregazione come noi, vuole aiu-tare i preti soli e in difficoltà… e non lavora per recuperare a tutti i costi il prete che lascia, ma l’uomo”.Ci avvicinammo a p. Mario con spon-taneità confidandogli che, nella no-stra scelta, ci eravamo ripromessi di esser casa e cuore aperto per tutti, in particolare per i preti che si sentivano soli e per quelli che, come mio ma-rito, decidevano per motivi diversi di chiedere la riduzione allo stato laicale. La solitudine era stata una delle più grandi sofferenze di Stefano nei suoi quasi 20 anni di ministero, spedito e dimenticato in un piccolo e povero paesino di montagna, per anni sen-za luce, senza strada, isolato dal resto del mondo. Ma in questa sofferenza si era fatta strada una convinzione: “Verrà il giorno in cui i preti si potran-no sposare e fare una famiglia”.Andavamo di domenica a trovare qualche prete solo, facevamo acco-glienza a casa nostra… ma con la na-scita del primo figlio e, a distanza di 21 mesi, della creatura che portavo in grembo, sarebbe stato difficile – dissi preoccupata a p. Mario – continuare insieme questo nostro impegno. “Ma sei proprio sicura che il fare sia più im-portante dell’offrire? Anche cambian-do un pannolino o preparando una pappa al tuo bambino puoi aiutare i sacerdoti!” mi disse p. Mario con un bel sorriso. Fu come un raggio di sole che si faceva strada in una fitta neb-bia, un pensiero di disarmante sem-plicità e profondità, che mi permise di affrontare la nascita di Dario (01 feb-braio ‘75) con maggior gioia.Il primo scritto di p. Mario fu pro-

prio una lettera di auguri in risposta all’annuncio di nascita del piccolo.P. Mario era un mite e umile di cuo-re, aveva una delicatezza e una sen-sibilità squisita, era profondamente buono ed aperto, sapeva esser vero e deciso, pur conservando sempre dolcezza e comprensione; ascoltava le persone con empatia e rispetto. Ricordo anche la sua timidezza e umiltà, il suo abbandono costante alla volontà di Dio con pace e sere-nità totale, il suo vivere come ma-nifestazione dell’amore del Signore ogni gesto di tenerezza, di amicizia, di affetto ricevuto e donato.In questi giorni ho ripreso in mano il voluminoso plico di sue lettere (le ho tenute quasi tutte) e ho ripercorso leggendole quarant’anni di sua dire-zione spirituale, di amicizia, di vita.Ci scriveva nel 1980 di aver chiesto di esser sollevato dal compito di Su-periore generale per motivi di salute ma anche perché c’era chi poteva sicuramente farlo meglio di lui; ci raccomandava di lavorare con p. Franco per gli incontri di Brescia (ini-ziati nel ’77, mentre lui era alla gui-da della Congregazione) e di darci da fare per realizzare le settimane di

Agosto 1970 - Siusi con Milly e Stefano.

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48 Agosto 1970 - Soraga.

vacanza e riflessione per famiglie di preti sposati in Baita Castil. Ed ecco cosa ci scriveva dal Brasile mentre faceva un corso di apprendimento della lingua e cultura brasiliana: “Mi sento di aver molto da imparare e non mi rincresce tornare bambino, adolescente che osserva, ascolta, impara”. Trovo in ogni lettera que-sta fiducia e pace nel sentire che il Signore non vien meno, che Dio ama ciascuno dei suoi figli sempre. Mi accorgo che questa è stata una delle prime frasi che mi ha scritto diventando mio confessore e diret-tore spirituale (agosto 1979): “Ri-corda sempre che Dio ti ama”. Con qualche lacrima di nostalgia e di te-nerezza non posso scordare che è stata l’ultima frase che mi ha detto prima di salire sul treno, quando l’ho

accompagnato alla stazione dopo l’ultima visita a Stefano (già grave-mente malato… non l’ha più ricono-sciuto!) “Non dimenticare mai che Dio Ti ama!”Tra queste due frasi scorre la storia di un’amicizia, di un esser accanto nel bene e nel male, nel cammino di una vita. Mi scriveva dopo la mor-te di mio marito: “Lo ricorderò nella Messa il primo agosto, giorno del suo compleanno”. Se n’è andato, il mio padre spiri-tuale, fratello, confidente, amico… lasciando un vuoto grande. Se n’è andato proprio il 31 luglio, in tempo per festeggiare i 90 anni di Stefano insieme, nella gioia senza fine, tra le braccia del Padre.

MillyCaramagna P. (CN)

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La Famiglia di Padre Venturini Congregazione di Gesù Sacerdote

e la sorella Carmela

affidano alla preghiera di amici e conoscenti

P. MARIO REVOLTI di anni 88

impegnato nel ministero per le vocazioni e per i Sacerdoti

in Italia e negli gli ultimi 32 anni in Brasile

morto nello stato di S. Paolo il 31.08.2014

Il Signore misericordioso l’accolga nella sua pace

Da Giornale L’ADIGE - 02.08.2014.

Dal volume ANAGRAFE - Mario Revolti.

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EsperienzeForme, colori, figure… per pregare

Questo articolo (se possiamo chia-marlo così) ha co-

me scopo la condivisione di un’e-sperienza che da qualche tempo vi-vo nella nostra comunità: il fare del-le piccole ambientazioni sotto l’alta-re della nostra cappella con l’intento di visualizzare (con immagini o sim-

boli) quello che preghere-mo con le parole, ad esem-

pio in riferimento alla pre-ghiera vocazionale del primo gio-

vedì del mese o a una festa liturgi-ca importante e cara al nostro Istitu-to. I momenti di preghiera sono af-fidati a turno ad ogni sorella e cia-scuna si lascia guidare dalla luce del-

Ambientazione primo giovedi del mese chiamati ad essere persone-anfore per dare da bere agli altri (EG 86)

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lo Spirito Santo nel prepararli secon-do la propria sensibilità. Da quando ho preparato la preghiera del primo giovedì di febbraio, ho sentito la ne-cessità di esprimere il contenuto con qualcosa di visibile e da allora ho da-to inizio all’angolo della bellezza, al-meno così lo chiamo.Naturalmente sono convinta che il vero autore di questa bellezza non sono io ma è lo Spirito Santo: è Lui che mi ispira, suggerisce e guida ogni mia “creazione”, io sono solo uno strumento nelle sue mani.Anche nelle parrocchie, quanti cate-chisti e animatori liturgici impiegano energie ed entusiasmo per “creare”

una celebrazione coinvolgente, ricca di immagini e quindi “bella”, per aiu-tare i ragazzi a comprendere di più il mistero celebrato e a sentirlo vicino alla propria vita! Ricordo a san Cleto la fatica e l’impegno dei catechisti, assieme a fratel Antonio, padre Ro-berto, Gavino, suor Chiara… Ricor-do la parrocchia di San Sebastiano a Marilia, in Brasile, dove si è creato un gruppo di animazione per la Messa della catechesi, in modo che i bambi-ni e ragazzi che vi partecipavano po-tessero vivere e comprendere la litur-gia e non soltanto assistervi come un qualcosa che non li riguardava. Alla fine della Messa li ringraziavo sempre perché si vedeva quanta passione e dedizione ci mettevano.In questo modo il Dio che è venuto ad abitare tra noi entra anche attraverso i nostri occhi e le nostre esperienze e diventa parte della nostra vita.Mi è piaciuta una considerazione che ho letto e che voglio condivide-re con voi:

Animazione di avvento a san Cleto - Roma.

Candela realizzata per la Festa Sacro Cuore.

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«La nostra cultura è ormai sempre più orientata verso la comunicazione visiva e per-tanto c’è bisogno più che mai di proporre un modo di pre-gare con le immagini. La Vi-sio Divina [metodo per pre-gare con le immagini] ci invita a guardare con un atteggia-mento più contemplativo. Ci invita a vedere tutto quanto si può vedere, di esplorare l’intera immagine. Ci invita a vedere fino in fondo, con profondità, oltre le prime e le seconde impressioni, ol-tre i primi giudizi e modi di percepire. Ci invita di essere visti, sorpresi, trasformati da Dio che non si limita mai ad un’immagine ma vuole par-larci attraverso di essa».

suor MarciaCasa madre - Trento

Equipe animazione liturgica catechesi S. Sebastiano.

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Tra le righedel vangelo

Dal vangelo di Marco (4,35-41)

In quel tempo, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: “Passiamo all’altra riva”. E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella bar-ca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. Si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Per-ché avete paura? Non avete ancora fede?”. E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.

Il cuscino

Non so se ci avete mai pensato, ma chi ha avuto più paura e si è in-zuppato fradicio quella notte, sono stato proprio io. Chi sono? Ec-co, allora avevo ragione, non ci avete mai pensato! Sono il cuscino

sul quale il Maestro dormiva mentre nel mare si scatenava la tempesta e i di-scepoli gridavano dalla paura. Non riuscivo a capire: ma come si fa a dormire con tanta acqua che ti cade addosso, la barca sbattuta dalle onde e le urla dei pescatori? Non sapevo più se stavo ancora in barca o già negli abissi del ma-re. E chi se la dimentica quella notte, son bastate due parole «Taci, calmati!» per far fermare il vento e il mare e… i discepoli! Eh sì, sono proprio io che vi parlo, il cuscino, quello su cui Gesù si era messo a dormire! In quella barca io ero di casa, ci son salito appena nato, ne ho visti di pescato-ri, quanti volti ruvidi e segnati dal vento e dal sole si sono posati su di me per trovare un po’ di riposo dopo le lunghe notti di pesca! Ma come quelli lì, vi assicuro, non ne avevo mai incontrati: non si era mai sentito che un pescatore

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avesse lasciato reti e barche (e cuscino…) così facilmente, invece loro erano scesi dalla barca e avevano seguito il Maestro, subito!Ritornando a quella notte… Gesù aveva appena finito di parlare alle folle, salito sulla barca subito si adagiò su di me e si addormentò, è sfinito – pen-sai – non si ferma mai, sempre tra la gente e raramente me lo ritrovo ad-dosso. Mi sentivo quasi onorato… uno come lui che “non ha dove posare il capo” aveva scelto proprio me per quel gesto così semplice eppure così raro! Io sempre assonnato non ci misi molto ad addormentarmi con lui, però io alle prime grida mi svegliai! I discepoli non sapevano più che fare,

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c’erano anche altre barche, ormai tutte in balia delle onde, l’acqua entrava da tutte le parti e mi inzuppai in pochi secondi, ma lui niente, continuava a dormire, le onde coprivano la barca e lui lì in pieno sonno, tranquillo. Alla fine i suoi amici non seppero più che fare: lo svegliarono. A pensarci bene le voci dei discepoli sono state più forti dei flutti del mare e della violenza del vento: questi non l’hanno svegliato, invece alla richiesta dei discepoli subito Gesù si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia e grande stupore: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”. Chissà… Stava veramente dor-mendo? E poi che strane le sue parole: Perché avete paura? Ma come si fa a non aver paura in un mare in tempesta? Io ne ho avuta tanta! Ma non è solo il mare a spaventare, molte delle sue parole non lasciano l’animo tran-quillo: “se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”; “amate i vostri nemici”; “a chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra”; “chi vuol essere il primo sia l’ultimo e il servo di tutti”… Senti tutto questo e non devi aver paura? Beh, a pensarci bene però, a vedere la sicurezza del Maestro, la sua autorità nel parlare, la sua predilezione per i piccoli e i poveri, la pazienza con i disce-poli, sono pure incoraggiato a fare con lui altre traversate in mari burrascosi. Io sono abituato alla vita comoda, ma con lui mi sento al sicuro, gli son ba-state due parole per fermare il mare, allora gliene basteranno altrettante adesso per fermare le altre tempeste della vita! Me lo hanno detto anche alcuni miei cugini che pure hanno incontrato il Maestro e hanno visto diverse teste alzarsi da loro alle sue paro-le. La suocera di Pie-tro era a letto con la febbre, lo pregarono per lei, egli comandò alla febbre e la feb-bre la lasciò. E subito si alzò in piedi per servirli. Il mio parente di Nain, che faceva un lavoro poco invidiabile, lavorava nel-le bare, ha visto sollevarsi la testa del figlio della vedova alle parole di Gesù: “Ragazzo, dico a te, àlzati!”. E lo stesso è successo al lontano parente che

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stava nella casa di Giairo, sul letto della figlia. Con una parola ha fatto calma-re il vento e il mare, con una parola ha ridato la vita ai morti. Ma perché vi racconto tutto questo? Perché se ho avuto tanta paura della tempesta, più forte è stata la serenità e la calma che sono scese anche in me dopo le sue parole. Poi però ha guardato i discepoli, quasi dispiaciuto non per essere stato svegliato, ma perché la loro paura era stata più grande della fiducia in lui: “Non avete ancora fede?”. Ci penso da quella notte: i discepoli fin dall’inizio si erano fidati di lui, hanno lasciato tutto e l’hanno seguito, han-no ascoltato i suoi discorsi, anche quello famoso della montagna, son rimasti stupiti quando ha scacciato i demoni, senza parole quando ha risuscitato i morti eppure quella notte sulla barca hanno gridato come dei disperati e si sono rivolti a lui con delle parole irriverenti: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. Dov’era la loro fede? Tra vento, acqua e onde alte… ma chi non li comprende?! Chi non si è mai trovato o si trova in una situazione simile e sente rivolte a sé queste parole: Dov’è la tua fede?Dopo quella traversata burrascosa, ho saputo che i discepoli son saliti su un’altra barca, quella che solca il mare del mondo e non affonda mai nono-stante le tempeste e i limiti dei pescatori. Voglio far parte anch’io dell’equi-paggio di questa barca, perché nei momenti di paura e di tempesta voglio risentire quella voce autorevole e rassicurante, che invita ancora a prendere il largo senza timore, perché Lui è presente. Vuoi salire anche tu?

don AlfonsoAcerra (NA)

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III

Dammi, o Signore, te ne prego una volontà più energica

e costante: dammi specialmente un cuore più puro:

allora sì arderò nella tua Casa e mi consumerò d’amore per te.

“A te nunquam separari permittas”. Quanto hai operato in me

e per me, o mio Signore, tutto lì hai fatto per attirarmi al tuo

Amore, al tuo Cuore. Sequere me! Rimani nel mio amore.

Vieni al mio Cuore!

Padre Mario Venturini, Memorie, Trento 7 ottobre 1944

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